Giornata della donna 2021 – Il Presidente Pais 

“Non appena si concede alla donna l’uguaglianza con l’uomo, questa si dimostra superiore a lui”.

Ho voluto citare questa frase pronunciata da Margaret Thatcher, una delle donne simbolo della politica del Regno Unito e della storia, per aprire i lavori di questa Assemblea “Un Consiglio per l’8 Marzo” che da quest’anno abbiamo deciso di istituzionalizzare, in occasione della Giornata internazionale della donna.

L’Assemblea regionale vuole così dare un ulteriore segnale e cercare di costruire un’Istituzione ancora più democratica e quindi più forte e una società più equilibrata in ogni comparto anche dal punto di vista del genere.

Ogni anno sarà stabilito un tema riguardante la presenza delle donne nei diversi ambiti e nei diversi settori da affrontare e studiare in modo approfondito affinchè si creino le premesse per individuare gli strumenti più idonei a colmare la disparità di genere che ancora, purtroppo, esiste. Sarà inoltre nostro compito,  per quanto di competenza, proporre specifici provvedimenti finalizzati a raggiungere tali obiettivi.

Ogni 8 marzo, dunque, giornata scelta per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in tutte le parti del mondo, sarà per il Consiglio regionale della Sardegna un punto di partenza per studiare e portare avanti iniziative legislative di genere.

Il Consiglio regionale, luogo della rappresentanza politica della Sardegna, dedica il primo evento di questa iniziativa alla presenza delle donne negli Organi di governo della Regione.

Vedremo i dati della presenza delle donne nell’Assemblea legislativa e nelle Giunte regionali dalla Prima legislatura ad oggi, parleremo delle consigliere che hanno ricoperto incarichi all’interno delle istituzioni regionali, alcune delle quali ci hanno onorato con la loro presenza quest’oggi, e faremo il punto della situazione.

Siamo tutti convinti del fatto che le donne debbano essere il motore della società. Da uno studio della Banca d’Italia è emerso che se il tasso di occupazione femminile dovesse raggiungere il 60%, il PIL crescerebbe di 7 punti.

Quindi, è necessario studiare strumenti adeguati a orientare la nostra azione verso questa direzione partendo proprio dal fenomeno delle elette in Sardegna.

Per analizzare un fenomeno è necessario partire dai dati. 

La percentuale complessiva di donne nei Parlamenti di tutto il mondo è del 24,9%.

Nel 1995, anno della Dichiarazione di Pechino, la percentuale era dell’11,3%: dunque c’è stato un aumento ma è stato minimo. 

Appena 1 seggio su 4 è rappresentato da donne e solo nei Parlamenti di quattro paesi (Ruanda, Cuba, Bolivia e Emirati Arabi Uniti) le donne hanno superato il 50% dei seggi, raggiungendo così la parità di genere.

Nel Parlamento europeo le elette sono il 40,4%.

In Italia la percentuale delle donne alla Camera è del 31,27%, al Senato del 34,89%. Il nostro Paese è al 31esimo posto nella classifica mondiale.

Questo ritardo, rispetto al resto del mondo, è sicuramente dovuto anche al fatto che in Italia le donne hanno conquistato il diritto al voto nel 1945 e quello all’eleggibilità nel 1946. Ben 40 anni dopo la Finlandia (1906) e trenta anni dopo la Danimarca (1915), il Lussemburgo (1918), la Svezia e i Paesi Bassi (1919). Decenni di ritardo che fanno sentire la loro incidenza non solo a livello nazionale ma anche a livello regionale.

I segnali che arrivano dalla politica nazionale non vanno certo verso la direzione di una piena parità di genere né per le donne elette né per quelle nominate. Anche in Sardegna i dati parlano chiaro: la politica regionale non è donna. Non lo è mai stata.

Nelle 16 legislature regionali, su un totale di 1.174 consiglieri regionali eletti, le consigliere sono state solo 70 con una percentuale di appena il 5,96%.

Nelle elezioni regionali del 2019, dove si votava tra l’altro con il sistema che prevede la c.d. “doppia preferenza di genere”, sono state elette 9 donne su 60 consiglieri (il 15%).

Poche anche rispetto agli altri Consigli regionali d’Italia: la Sardegna è solo al 15° posto dopo il Molise che ha la percentuale più alta (il 36,36%), seguono l’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio.

Vorrei soffermarmi sugli effetti della “doppia preferenza di genere” che credo abbia raggiunto solo parzialmente nella nostra Regione gli effetti auspicati.

È vero che numericamente il numero delle consigliere regionali in questa legislatura è più che raddoppiato rispetto alla precedente, ma è anche vero che nove consigliere su un totale di 60 è un numero veramente esiguo. È necessario capire perché anche in Sardegna le donne fanno così fatica ad essere elette e in questo 2021 cercheremo di esaminare ulteriormente questo aspetto per valutare con quali interventi si possano arginare queste differenze.

Da un recente studio condotto a livello nazionale emerge che in tutti gli organi di rappresentanza la presenza delle donne e, soprattutto, la qualità degli incarichi che esse ricoprono, continua a non reggere il confronto con quella degli uomini.

Vediamo se questo studio rispecchia anche la realtà nella nostra storia autonomistica. Le donne che hanno ricoperto incarichi rilevanti in Consiglio regionale sono pochissime. 

 

Dalla prima legislatura ad oggi c’è stata una sola donna Presidente del Consiglio regionale, è stata CLAUDIA LOMBARDO, nella XIV legislatura.

4 sono state le vicepresidenti: MARIA ROSA CARDIA (nella Ottava), LINETTA SERRI (nella Decima), FRANCESCA CHERCHI (nella Undicesima), CLAUDIA LOMBARDO (nella Dodicesima).

Claudia Lombardo fu anche l’unica consigliera eletta Questore nella XII legislatura.

 

9 le consigliere segretario (di cui tre in questa legislatura CARLA CUCCU, ANNALISA MELE, ELENA FANCELLO).

Proseguiamo con le consigliere presidenti di commissione. Appena 8. Le ultime risalgono alla XII legislatura quando le consigliere Mariella Pilo (FI) e Noemi Sanna (AN) guidarono rispettivamente le commissioni “industria” e poi “Politiche comunitarie” e l’esponente di Alleanza nazionale la “Sanità”.

Dalla XII legislatura in poi alla guida dei cosiddetti “parlamentini” sono stati eletti solo uomini.

Per quanto riguarda i gruppi politici, le donne Presidente sono state in tutto 5. Noemi Sanna nella XI (AN), Paola Lanzi nella XIII (Sinistra Autonomista), Anna Maria Busia nella XV (Gruppo Misto), Alessandra Zedda nella XV (Forza Italia) e Desirè Manca (Movimento 5 stelle) per la prima parte di questa XVI legislatura. 

Passando all’esame delle giunte regionali, nella storia autonomistica le donne assessore sono state 35 su un totale di 501 assessori nominati nelle 16 legislature, con una percentuale del 6,98%.

L’unica giunta con pari rappresentanza di genere fu quella nominata, nel luglio del 2004, dall’allora Presidente della Regione Renato Soru che volle nel suo esecutivo 6 assessore su 12.

La perfetta parità durò pochissimo perché dopo qualche mese l’assessora all’agricoltura Salvatorica Addis fu sostituita da un uomo. 

 Nel complesso, dunque, anche la storia delle giunte regionali in Sardegna è poco al femminile. Dal 1949 al 2004 furono nominate assessore solo 5 donne.

E dal 1958 ci furono 30 anni di politica regionale senza mai una donna nominata in un esecutivo. Ad interrompere questa disparità di genere è intervenuta la nomina, nella Decima legislatura nel secondo esecutivo guidato da Antonello Cabras, di Maria Giovanna Marrosu alla Sanità.

Attualmente abbiamo una vice presidente della Regione donna Alessandra Zedda che è anche assessora al lavoro. Attualmente le assessore sono quattro: oltre ad Alessandra Zedda, Valeria Satta agli Affari generali, Gabriella Murgia all’agricoltura, Anita Pili all’industria.

La prima donna assessora di una giunta regionale fu Pierina Falchi (DC) nominata alla Pubblica Istruzione nella seconda legislatura nella giunta di Giuseppe Brotzu.

Dai dati che ho esposto emerge inequivocabilmente che la parità di genere nelle Istituzioni regionali della Sardegna è ancora lontana e noi legislatori dobbiamo trovare il modo di ridurre questa differenza che sembra ancora oggi incolmabile.

Occorrono prima di tutto una volontà politica più forte e un’azione concreta da parte non solo delle donne ma dell’intera società per favorire una maggior presenza femminile nei parlamenti o negli esecutivi. Solo rafforzando questa presenza, infatti, si possono migliorare i processi decisionali e si può sviluppare una democrazia maggiormente rappresentativa, al servizio del bene comune quale sintesi di punti di vista e di sensibilità diversi. Dunque, gli uomini e le donne hanno il DOVERE di lavorare insieme per raggiungere l’uguaglianza di genere.

 

Quest’anno il Consiglio regionale vuole proprio dare un nuovo segnale, trovare il modo per accelerare e sostenere i progressi verso l’uguaglianza di genere anche esaminando le esperienze e i percorsi degli altri Paesi del mondo nei cui parlamenti è stata o si è quasi raggiunta la parità.

Un solo dato per riflettere: dei 20 Paesi al mondo con la quota maggiore di donne in parlamento, 16 applicano una qualche forma di correttivi alle leggi elettorali come strategia per raggiungere in definitiva la parità di genere.

Altri fattori chiave che aiutano ad accelerare e sostenere i progressi verso l’uguaglianza di genere dovrebbero includere, ad esempio, politiche di welfare che consentano una più ampia possibilità di partecipazione alla vita politico istituzionale delle donne, la promozione di una cultura inclusiva del genere femminile all’interno dei partiti politici, la promozione di formazioni che sensibilizzino su questi temi i vari ambienti della società, una cultura politica più sensibile al genere, libera da pregiudizi e da atteggiamenti che possano dare adito a forme anche solo embrionali di molestia e di violenza fisica o verbale.

 

Sarebbe opportuno apprestare modelli di Governance che favoriscano il più possibile la presenza femminile e più efficaci modalità di verifica delle politiche di genere rafforzate dalla presenza di organismi indipendenti che possano vigilare per contrastare ogni tipo di discriminazione.

Credo che sia veramente giunto il momento di cambiare le cose, e questo mutamento deve cominciare anche dalle Istituzioni regionali.

  Anche in questo momento così difficile nel quale si cerca con tutti i mezzi di combattere la pandemia, le donne si sono rivelate protagoniste della lotta al virus: due terzi del personale sanitario è donna e all’interno della famiglia sono proprio le madri e le figlie che stanno pagando il prezzo più alto non solo dal punto di vista sanitario, ma anche da quello del lavoro. In Italia il tasso occupazionale femminile delle donne tra i 25 e i 29 anni è il più basso d’Europa.

Anche sotto questo aspetto la Sardegna deve ripartire e può farlo solo con l’apporto determinante delle donne. 

 Di una cosa sono convinto: “Non ci può essere una vera democrazia senza un’effettiva parità di genere”.

Carissime colleghe, carissime ospiti, carissimi colleghi, siate le benvenute, siate i benvenuti a questo evento. Ciò che avete da dirci e da suggerirci sarà senz’altro prezioso e fondamentale per trovare assieme il percorso da seguire in questa comune battaglia di civiltà.

Grazie

 

 

 

 

 

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