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TESTO UNIFICATO N. 3(PLIP)-13-14-16-22-49/A

CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XV LEGISLATURA

TESTO UNIFICATO N. 3(PLIP)-13-14-16-22-49/A

Norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agrobiodiversità, marchio collettivo, distretti

Approvato dalla Quinta Commissione nella seduta del 9 luglio 2014


RELAZIONE DELLA QUINTA COMMISSIONE PERMANENTE INDUSTRIA, COMMERCIO, ARTIGIANATO, TURISMO, COOPERAZIONE, ENERGIA, ATTIVITÀ ESTRATTIVE, FORESTAZIONE, AGRICOLTURA, CACCIA, PESCA, ACQUACOLTURA

composta dai Consiglieri

LOTTO, Presidente e relatore – CRISPONI, Vice presidente – LEDDA, Segretario – TEDDE, Segretario – CARTA – COMANDINI – FLORIS – MANCA Pier Mario – MORICONI – CHERCHI Oscar – RUBIU – TENDAS – UNALI

Relazione dell’On. LOTTO

pervenuta il 16 luglio 2014

Il testo unificato recante norme in materia di agricoltura, predisposto dalla Quinta Commissione a partire dai progetti di legge n. 13, 14, 16, 22 e 49 e dalla proposta di iniziativa popolare n. 3, affronta alcuni temi di grande attualità per la realtà agricole e rurali della Sardegna. La Commissione ha fatto la scelta di affrontare i tre argomenti in un unico provvedimento di legge, unificando le proposte presentate da diversi consiglieri, al fine di impostare una norma organica in materia di agricoltura e sviluppo rurale.

Da una parte, infatti, si vuole adeguare la normativa sarda alle norme nazionali e internazionali in tema di salvaguardia e valorizzazione della agrobiodiversità isolana, dall’altra si vogliono creare le condizioni per valorizzare le produzioni dei nostri agricoltori attraverso l’istituzione di un marchio collettivo di qualità e creare altresì le premesse affinché il tessuto economico territoriale si strutturi, in sintonia con le istituzioni locali, per promuovere e guidare lo sviluppo economico locale.

Il presente testo unificato è stato approvata all’unanimità dalla Quinta Commissione nella seduta del 9 luglio 2014, previa un’accurata istruttoria nel corso della quale sono stati auditi l’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale, i rappresentanti delle associazioni agricole di categoria, i rappresentanti delle centrali operative, Confindustria e i rappresentanti dei comitati spontanei per la biodiversità.

La Terza Commissione, con nota prot. n. 7786 del 2 luglio 2014, ha espresso, ai sensi dell’articolo 45, comma 1, del regolamento interno, parere favorevole con osservazioni sugli aspetti finanziari del provvedimento. Tali osservazioni sono state recepite dalla Quinta Commissione nella formulazione finale della norma finanziaria.

Il capo I è dedicato alle norme di tutela e valorizzazione dell’agrobiodiversità. L’opportunità di uno strumento normativo che tuteli e valorizzi la biodiversità regionale è emersa in considerazione dell’avvento di nuove tecnologie e del progressivo diffondersi di modelli agricoli vincolati a varietà con una base genetica molto stretta, elementi che rappresentano una nuova potenziale minaccia di contaminazione e di erosione genetica. Vista l’importanza che la Regione autonoma della Sardegna riconosce all’agricoltura ed alle produzioni agro-alimentari tipiche e di qualità, si deve considerare che una perdita o una significativa riduzione della biodiversità non equivale semplicemente ad un depauperamento dell’ambiente, ma mette a rischio risorse naturali fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico di molte zone della Sardegna. Va, peraltro, specificato che nel presente testo unificato viene trattato il solo tema dell’agrobiodiversità, tralasciando la biodiversità della fauna selvatica e della flora spontanea, argomento che dovrà essere affrontato, in parallelo con altri temi di eguale importanza per la salvaguardia e tutela dell’ambiente, con un’altra iniziativa legislativa.

Per quanto attiene, in particolare, all’agrobiodiversità il testo proposto trova un punto di riferimento normativo nel Trattato internazionale per le risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, firmato a Roma nel 2001 ed entrato in vigore nel giugno del 2004. La legge 6 aprile 2004, n. 101, con cui l’Italia lo ha ratificato, dispone che siano le regioni a provvedere all’implementazione delle previsioni del Trattato: in questo modo assumono particolare e nuovo rilievo le iniziative regionali, finalizzate ad individuare alcuni strumenti per la conservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche autoctone. Con questa proposta di normativa la Regione si dota di uno strumento legislativo che riconosce la biodiversità come patrimonio fondamentale della Regione e supporta la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione delle entità e degli ecosistemi che la compongono, in un’ottica di disponibilità collettiva e di sviluppo sostenibile.

Protagonista insostituibile nelle nostre comunità rurali e nei sistemi produttivi tradizionali, con una innegabile influenza sulla tipicità dei prodotti e sulle caratteristiche assunte dal paesaggio rurale, il patrimonio di biodiversità che in Sardegna si intende tutelare e preservare rappresenta una garanzia anche per le agricolture intensive. Basate su pochissime varietà coltivate e razze allevate, altamente specializzate ma significativamente fragili in termini di variabilità genetica e capacità di adattamento alle modificazioni del clima e dell’ambiente, queste possono trovare elementi indispensabili al loro rinnovamento solo nella ricchezza di variabilità genetica della agrobiodiversità.

Non è un caso, infatti, che importanti ditte sementiere multinazionali vadano alla ricerca costante di nuovo patrimonio genetico da utilizzare nella costituzione di nuove varietà da brevettare e immettere sul mercato mondiale. Paradossalmente quella biodiversità che le moderne agricolture intensive tendono a depauperare rappresenta anche per loro l’unica riserva genetica che ne possa garantire in futuro la sopravvivenza.
Ciò che, pertanto, la Regione e la comunità sarda devono evitare, è che il proprio ricchissimo patrimonio di agrobiodiversità vada disperso o possa essere utilizzato da chiunque per obiettivi estranei agli interessi della comunità stessa.

I principali pilastri su cui poggia l’impianto normativo in tema di agrobiodiversità, sono rappresentati dall’istituzione dei repertori regionali tenuti dall’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale, ove è prevista l’iscrizione delle risorse genetiche locali, nonché l’istituzione della Banca regionale del germoplasma di interesse agronomico, zootecnico e forestale con il fine di garantire la tutela, mediante la conservazione ex situ, delle razze e varietà locali. La previsione di apposite commissioni per la biodiversità vegetale e per quella animale garantiscono all’Assessorato regionale il necessario supporto scientifico nella predisposizione e nella gestione dei repertori.

Altro pilastro fondamentale è rappresentato dalla rete di conservazione e sicurezza delle risorse genetiche di interesse agrario, zootecnico e forestale a cui possono aderire soggetti pubblici o privati, quali enti locali, istituti sperimentali, centri di ricerca, università, associazioni, agricoltori e produttori, singoli o in forma associata, che siano in possesso dei requisiti previsti. Particolare importanza riveste il riconoscimento del ruolo di “agricoltore custode” a coloro che provvedono alla conservazione in situ delle razze e varietà locali a rischio di estinzione ed iscritte nei repertori regionali. La loro attività quotidiana garantisce la conservazione delle risorse genetiche vegetali ed animali nell’ambiente e nel contesto economico più adeguato.

Con l’istituzione del contrassegno e delle comunità di tutela della biodiversità nonché con la previsione di adeguati interventi per la ricerca scientifica sulla biodiversità agraria e alimentare, si vogliono, infine, predisporre le condizioni per la valorizzazione e la conoscenza della biodiversità nella comunità sarda.

Il capo II detta norme per l’istituzione e gestione di un marchio collettivo di qualità garantito dalla Regione. La globalizzazione delle economie mondiali ha imposto anche al sistema delle imprese agricole sarde il confronto costante con nuovi mercati e nuove produzioni di massa e con realtà agricole un tempo inesistenti che oggi tendono a mandare fuori mercato le produzioni delle agricolture dei paesi occidentali. Le diverse condizioni del mercato del lavoro di quelle realtà, come anche il più basso livello dell’insieme dei costi di produzione e le norme generalmente più permissive sull’utilizzo dei presidi fitosanitari, hanno imposto alle nostre imprese agricole la necessità di ricercare nuove frontiere produttive e di mercato. Ciò impone l’esigenza di una profonda riorganizzazione dell’intero comparto agro-alimentare isolano con la necessità di impostare politiche per la tracciabilità e la valorizzazione delle produzioni agro-alimentari di qualità certificate.

La certificazione della qualità di prodotti attraverso l’istituzione dei marchi appare oggi come uno degli strumenti fondamentali per creare le premesse per il rilancio del nostro sistema agro-alimentare. La politica dell’istituzione dei marchi di denominazione di origine protetta, seppure utilizzata in Sardegna in misura insufficiente rispetto a quanto realizzato in altre regioni italiane, ha contribuito in misura determinante a creare le premesse per l’ammodernamento ed il rilancio di interi comparti del settore primario. Tali misure però, anche per il limitato numero di marchi attivati, si sono dimostrate insufficienti ad un rilancio dell’intero sistema agro-alimentare sardo.

Appare pertanto indispensabile una ulteriore spinta nella direzione della certificazione e promozione delle produzioni di qualità, attraverso l’istituzione di un marchio collettivo della Regione che caratterizzi sistemi e processi produttivi ben definiti da appositi disciplinari di produzione, aperto a chiunque si uniformi alle previsioni di detti disciplinari e che preveda la tracciabilità del prodotto.

La Regione quindi, nell’ambito delle proprie competenze in materia di produzione, raccolta, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, zootecnici, ittici e silvo-pastorali, persegue la loro valorizzazione promuovendo tecniche di produzione e di trasformazione che rispettino la salvaguardia dell’ambiente e la salute dei consumatori istituendo un proprio marchio collettivo e formula, a tal fine, un apposito regolamento d’uso che definisca la denominazione e le caratteristiche ideografiche del marchio nonché le modalità della concessione in uso, lo schema di convenzione e la disciplina delle sanzioni in caso di inadempienze.

Di particolare importanza e delicatezza è, peraltro, la predisposizione dei disciplinari di produzione e la definizione dei principi generali cui devono uniformarsi gli stessi in conformità alle linee programmatiche della politica agricola regionale e comunitaria. Con l’ausilio di un apposito comitato tecnico-scientifico, quale supporto consultivo per formulazione, gestione e promozione del marchio, andranno fatte scelte non indifferenti sull’impulso che da ciò potrà derivare alla crescita dell’intero settore agricolo. A titolo di esempio, richiamo la discussione che anima il mondo imprenditoriale e della trasformazione sui disciplinari dei “culurgiones”. La possibilità che nel processo produttivo possa essere impiegata la fecola di patate in luogo delle patate non è infatti indifferente allo sviluppo della pataticoltura sarda. Certamente, in caso di carenza attuale di produzioni locali di patate, la loro sostituzione con patate prodotte altrove si renderà indispensabile, ma resterà comunque aperta per i prossimi anni la prospettiva di promozione della coltura anche nell’Isola e la possibilità di caratterizzare i “culurgiones” oltre che come prodotto tipico della nostra tradizione anche come prodotto in Sardegna con materie prime nostrane. Cosa assolutamente impensabile in caso di possibilità di utilizzo della fecola.

Particolare importante nell’impianto normativo è l’articolo 22 dove è trattato il tema della tracciabilità e della etichettatura per quanto riguarda l’apposizione del marchio collettivo, dell’indicazione del luogo di origine o di provenienza del prodotto e della dicitura da utilizzare in caso di provenienza sarda. Sarà così possibile conoscere il luogo di produzione dei prodotti interessati dal marchio collettivo, nonché sapere l’origine delle materie prime per i prodotti che hanno origine da processi di trasformazione.

Tra le principali cause della profonda crisi economica e sociale in cui versa l’economia isolana vanno indubbiamente individuate le condizioni di estrema difficoltà di gran parte delle aree rurali della Sardegna. Appaiono sempre più evidenti problemi di spopolamento nella gran parte dei comuni di piccola e media dimensione, con particolare gravità nelle zone interne e con l’abbandono delle attività agro-pastorali tradizionali, delle attività artigianali e commerciali nonché delle principali istituzioni pubbliche (scuole, forze di pubblica sicurezza ecc.). Vanno scomparendo culture e saperi tradizionali che potrebbero rappresentare invece, assieme all’immenso patrimonio storico ed ambientale, una formidabile leva su cui basare una politica di rilancio dell’economia isolana. Una politica da costruire sui pilastri della multifunzionalità dell’agricoltura, della integrazione tra il mondo agropastorale ed il sistema delle imprese artigianali, commerciali e della ristorazione; una politica che punti alla valorizzazione dei prodotti agricoli di qualità certificata ed al rilancio su nuove basi dell’intero comparto agro-industriale.

Con la presente proposta di normativa, al capo III, si intende affrontare il tema relativo al rilancio dell’economia delle aree rurali della Sardegna e della agricoltura in particolare, attraverso l’istituzione dei distretti, rurali, agro-alimentari di qualità, della pesca e acquacoltura di qualità e dei bio distretti.

Il distretto produttivo è espressione della capacità del sistema delle imprese e delle istituzioni locali di sviluppare una progettualità strategica che si esprime in un piano per lo sviluppo del distretto, conforme agli strumenti legislativi e programmatori regionali vigenti ed integrato con tutte le iniziative per lo sviluppo del territorio previste dai programmi di sviluppo locale. L’istituzione dei distretti di cui alla presente proposta rappresenta, in questa ottica, uno dei principali strumenti su cui potrà contare la Regione per rilanciare l’economia agricola sarda e arginare il fenomeno dello spopolamento delle zone interne.

Obiettivo principale sarà quello di coinvolgere gli enti locali ed il mondo imprenditoriale in un grande progetto per mettere a sistema le risorse produttive, imprenditoriali, ambientali, storiche e culturali dei nostri territori con la valorizzazione delle produzioni agricole di qualità. Con l’istituzione dei distretti si vuole tutelare il valore aggiunto dei nostri processi produttivi nonché creare le condizioni per il mondo agro-alimentare di fare sistema con le imprese appartenenti a settori diversi da quello primario, ma strettamente dipendenti da questo.

Nel testo proposto viene indicato un insieme di obiettivi che si vogliono conseguire in relazione, tra l’altro, alla promozione della cooperazione territoriale in un’ottica progettuale di territorio, alla diffusione, alla commercializzazione e all’istituzione di nuovi prodotti a marchio DOP e IGP, al collegamento delle produzioni agricole alle pratiche produttive, ristorative, turistiche, sportive e ricreative territoriali nonché al potenziamento dell’identità sarda tramite la salvaguardia e la riscoperta dei saperi tradizionali.

Accanto ai principali requisiti territoriali e produttivi per l’individuazione e delimitazione dei distretti è indicato il ruolo degli enti locali e, in particolare, del sistema delle imprese nella promozione dei distretti e nella formulazione della proposta alla Regione che ne definisce l’individuazione ed il riconoscimento secondo un iter istruttorio ben definito.

La discussione in Commissione ha portato ad una semplificazione delle modalità di costituzione dei distretti e degli organismi rappresentativi degli stessi per i quali è stato previsto il solo consiglio direttivo rinunciando alla commissione distrettuale presente nella proposta originaria.

Cardine fondamentale su cui si impernia la vita e la operatività dei distretti è rappresentato dal piano di distretto, comprendente una dettagliata analisi quali-quantitativa sullo stato attuale del distretto, sul grado di attuazione e sugli obiettivi raggiunti nel corso del mandato, nonché la descrizione delle attività di coinvolgimento delle imprese facenti parte del territorio del distretto, l’elenco dei soggetti attuatori e delle fonti di finanziamento e l’indicazione delle sinergie e delle integrazioni con altri strumenti comunitari.

La presente proposta, come sarà apparso chiaro ai colleghi, non è una proposta di legge di spesa. In essa cioè non si definiscono né si orientano flussi finanziari a favore dei diversi comparti del settore agricolo ma si vogliono creare le condizioni perché il mondo agricolo e il sistema delle imprese nel suo complesso, possano contare su alcuni supporti normativi che ne accompagnano e agevolano l’attività.

Tra le principali difficoltà che il sistema economico locale, e quello agricolo in particolare, incontra nel processo di crescita e sviluppo, va individuata infatti, anche la assenza di norme regionali che agevolino i processi e i sistemi produttivi. La risposta che con la presente si intende dare non è certamente esaustiva ma rappresenta senza dubbio una buona base che, colmando alcuni vuoti normativi, offre al sistema delle imprese, agricole ma non solo, nuovi strumenti di aggregazione e promozione dell’economia isolana.

Per quanto riguarda la norma finanziaria, la Commissione, preso atto che la spesa prevista a regime è di euro 570.000 annui, che siamo già a metà 2014 e che, in ogni caso, la proposta in esame necessita, per poter essere attuata, dell’adozione di apposite direttive di attuazione da parte della Giunta regionale, ha ritenuto opportuno, in sede di approvazione finale, una riduzione dello stanziamento complessivo per il 2014 da euro 570.000 a euro 290.000.


Relazione dell’On. FENU

pervenuta il 22 luglio 2014

Il presente disegno di legge, seppure con dei sostanziali distinguo, è stato approvato nella Quinta Commissione all’unanimità in data 9 luglio 2014, rimandando all’Aula il compito di evidenziare meglio ciò che si ritiene più utile per la Sardegna e il suo popolo.

La Sardegna ha oggi, tra le sue caratteristiche vincenti, soprattutto in un mondo sempre più globalizzato, la sua enorme variabilità e specificità rappresentata dalle sue agrobiodiversità.

Questa ricchezza è però al contempo fragile, perché si sviluppa all’interno di un’isola, in un tessuto ambientale ed economico rurale che è esso stesso fragile e lo è ancor di più se rapportato ai parametri di riferimento di contesti rurali inseriti in una economia di più vasta scala, siano essi nazionale o continentali.

Questa fragilità nel suo insieme costituisce uno svantaggio competitivo all’origine, non inferiore al 20 per cento. Un divario questo mai colmato e che urla giustizia.

Ma questa è oggi la nostra realtà, questa è la Sardegna, e con essa dobbiamo fare i conti.

Per queste ragioni i nostri termini di paragone, i nostri quadri comparativi, non possono mai mirare alla ricerca dell’uniformità con altre realtà, condizione questa che ci vedrebbe sicuramente soccombere e sempre indietro al nastro di partenza, bensì al contrario dobbiamo ambire a percorsi paralleli, ma divergenti, che sappiano valorizzare ed evidenziare, sin quasi all’ostentazione rispettosa, in un mondo globalizzato ma affamato di radici culturali, le nostre differenze, la nostra migliore qualità, esistente e da costruire, le nostre peculiarità che devono sempre più essere legate agli aspetti tipici identitari e storico culturali, così come la stessa Europa ci chiede da tempo.

Di fronte a questa realtà che ci appartiene, la Sardegna non deve e non può produrre solo per chi vuole semplicemente nutrirsi, ma anche e soprattutto per chi nutrendosi vuole emozionarsi, per la qualità, i sapori, le diversità e le eccellenze agroalimentari uniche al mondo.

Oggi l’acquisto di un prodotto è sempre più un fatto emozionale, nella consapevolezza dell’acquisto e nella lealtà del rapporto tra produttore e consumatore; passa quel filo sottile che fa la differenza, in una naturale e inevitabile competizione, tra lo sviluppo della nostra economia e delle opportunità di lavoro per i nostri giovani, oppure dell’economia e dell’occupazione di altre realtà.

Questa è la nostra carta vincente e non possiamo permetterci che se la giochino altri.

La proposta di legge in questione scaturisce da uno studio approfondito e dalla sintesi di ben sei disegni di legge presentati dalla maggioranza e dall’opposizione che vanno tutti nella medesima direzione, la conservazione e la valorizzazione dei nostri prodotti, delle agrobiodiversità e lo sviluppo del mondo rurale. Tra questi disegni di legge uno di essi, presentato dal Comitato Identità e Futuro, assieme alla Coldiretti e ad altre associazioni in data 22 dicembre 2011, è di iniziativa popolare e precedente a tutti gli altri, quando pochi parlavano di questi argomenti.

L’approvazione del disegno di legge di sintesi da parte di quest’aula è, per le ragioni poc’anzi esposte, un bel segnale di risposta da parte della politica alle esigenze dei cittadini che partono dal basso, esigenze che non sono di destra o di sinistra, ma che sono richieste del nostro popolo e in quanto tali vanno affrontate con unità d’intenti e senza pregiudizi. Avere da parte nostra il coraggio di ascoltare è un segno di grande umiltà che ci avvicina al popolo che rappresentiamo nel Parlamento sardo.

Questa proposta di legge è importantissima e, anche se arriva a posteriori rispetto ad altre realtà nazionali ed europee, giunge comunque in un momento di svolta cruciale, nella speranza che non sia troppo tardi.

Arriva dopo decenni di errori strategici nell’individuazione delle vie maestre di crescita della Sardegna; dallo sviluppo di produzioni industriali già decotte prima ancora di nascere, alla liberalizzazione selvaggia di una grande distribuzione che si pensava potesse portare benessere per i sardi, ma che in realtà lo ha portato solo per altri.

All’interno di queste cattedrali di concentrazione della domanda, i nostri prodotti, specie quelli agroalimentari, vengono venduti senza alcuna valorizzazione, sotto costo e spesso sfruttati come prodotti civetta per favorire la vendita di produzioni provenienti da altre parti d’Italia e del mondo, al solo scopo di garantire il massimo profitto per gli importatori, incuranti del danno che stanno creando.

Queste situazioni ci hanno fatto assumere le sembianze, più che di una Regione autonoma, di una colonia, dove l’assistenza e l’assistenzialismo concesso servono ad impedirci di produrre e a favorire l’acquisto di prodotti d’importazione, dirottando le risorse economiche dei sardi verso altri mercati piuttosto che trattenerle in Sardegna a creare ricchezza, generare sviluppo, sostenendo ne l’economia e l’ occupazione.

Nell’arco di pochi decenni, il perdurare di questa condizione ci ha impoverito, sono stati persi migliaia di posti di lavoro, le nostre aziende hanno maturato la convinzione e la consapevolezza, purtroppo reale, che non è più conveniente produrre. Chi è stato lungimirante, e si è potuto permettere altre opportunità, ha abbandonato subito la propria azienda ed ha interrotto la produzione; chi invece ha resistito nel tempo, ha accumulato debiti sino alla condizione di vedersi pignorare dalle banche il patrimonio ereditato dalle precedenti generazioni e che non potrà più lasciare ai suoi figli e alle future generazioni, i quali pertanto, in taluni casi saranno costretti ad emigrare o infoltiranno le schiere dei disoccupati e dei nuovi poveri.

Il risultato di ciò è sotto gli occhi di tutti, disoccupazione, emigrazione, abbandono delle campagne, mancanza di presidio del territorio, danni ambientali, aumento di fenomeni sociali negativi e della microcriminalità, pignoramenti, suicidi, impoverimento generale. Tutto questo grava sulle nostre spalle ed ha un costo enorme per la nostra società che diventa un macigno per il futuro.

Questo è il prezzo da pagare che abbiamo ereditato per aver trascurato nel tempo il settore primario dell’agricoltura e dell’agroalimentare. Questo, associato al turismo e all’artigianato locale, è invece, come oggi tutti noi sappiamo, il settore che può riservarci i più grandi risultati socio economici e occupazionali.

Dopo tanti anni, oggi siamo di nuovo qui, punto e a capo, a cercare di recuperare il tempo perso, nella speranza che ciò che è successo in passato rappresenti un monito sempre presente e una importante lezione per il futuro.

Il nostro futuro non può più concepire una Sardegna che importa l’80 per cento del suo fabbisogno agroalimentare, ma che punta decisamente, nel breve e medio periodo a migliorare la bilancia commerciale dell’agroalimentare almeno del 40-50 per cento, oggi abbiamo un saldo negativo sull’agroalimentare di 2,2 miliardi di euro; qui è la nostra ricchezza!

Il nostro futuro non può accettare che la materia prima necessaria per la produzione delle nostre eccellenze agroalimentari e dei nostri prodotti tipici e identitari, tramandati da millenni e che rappresentano parte della nostra cultura, vengano realizzati con materie prime non sarde; qui sono il nostro futuro, la nostra economia, i nostri posti di lavoro. Nel lungo periodo, strategicamente, senza indugio, dobbiamo ambire all’indipendenza agroalimentare.

Questa proposta di legge ha tutti i crismi di una legge quadro che regola un mondo, quello rurale che è ancora oggi, fortunatamente per noi, pregnante nella nostra società e cultura.

La stessa individuazione della figura quasi poetica ma molto pratica, dell'”agricoltore custode” ne è al contempo la testimonianza e il giusto riconoscimento.

Non sappiamo per quanto tempo questo mondo riuscirà a resistere, ecco perché è importante approvare e rendere prontamente operativa questa legge, per conservare e valorizzare un patrimonio straordinario, unico al mondo, prima che sia troppo tardi.

Essa propone di approcciarci alle problematiche di un comparto, che serba in sè passato, presente e futuro della nostra terra e rappresenta uno spaccato importante della nostra società; partendo dalle sue basi originarie, quindi dalle sue agro biodiversità e peculiarità, ne organizza lo sviluppo attraverso i distretti rurali, la tracciabilità delle sue produzioni primarie e della materia prima utilizzata nei prodotti trasformati e passa, inevitabilmente, attraverso il riconoscimento, doveroso e obbligato delle sue specificità e qualità, con l’ausilio di un marchio ombrello denominato ” Prodotto in Sardegna”.

Il Decreto Legislativo n. 228 del 18 maggio 2001 delega alle Regioni potestà legislativa in materia di distretti rurali e agroalimentari di qualità; ciò per favorire una programmazione più mirata alle esigenze del territorio in linea con l’esplicita esigenza della valorizzazione delle tradizioni culturali e delle vocazioni territoriali, spostando l’attenzione su aspetti sociali e di gestione del territorio. Oltre a questi aspetti vengono presi in considerazione altri fattori, come l’integrazione di filiera, la presenza economica degli specifici settori nel tessuto socio economico del territorio e la tipicità dei prodotti.

Le indicazioni del Decreto, riprese concettualmente in questa proposta di legge regionale, offrono un orientamento preciso: i distretti in materia rurale e agricola sono caratterizzati dall’integrazione fra le componenti del settore primario con altri elementi di natura eterogenea, quali i fattori culturali e storici, mentre i distretti agroalimentari di qualità hanno un impatto nella definizione del modello di sviluppo del territorio e una significativa integrazione di filiera, caratterizzata da certificazioni o produzioni tipiche e di qualità.

Ma se i presupposti della legge sono fondamentalmente giusti si scontrano con una serie di problemi di ordine pratico, economici, logistici e culturali dovuti alla difficoltà di certificare i prodotti anche DOP e IGP. La legge pertanto deve essere integrata attraverso strumenti finanziari e legislativi che consentano un’agevole e snella certificazione dei prodotti a marchio e tradizionali, ciascuno attraverso i propri organismi di tutela.

Parliamo dei vari prodotti sardi certificati, Carciofo Spinoso DOP, Zafferano di Sardegna, Olio extravergine di oliva, Agnello IGP, ecc che, nonostante le peculiari caratteristiche organolettiche abbondantemente certificate, l’ottenimento di DOP e IGP, rappresentano per l’economia isolana una fetta ancora troppo limitata del PIL, soprattutto in rapporto al potenziale mercato di riferimento.

Questo perché mancano strumenti adeguati di soluzione degli annosi problemi legati alla logistica di vendita dei prodotti anche attraverso piattaforme per la commercializzazione e la promozione dei prodotti. Quindi alla legge vanno abbinati adeguati strumenti di supporto alla certificazione dei prodotti che rappresentano il punto di partenza sia dei distretti rurali sia di quelli agroalimentari.

Siamo certi che questa proposta di legge non è la panacea di tutti i mali, ma rappresenta sicuramente una svolta importante, un’occasione che non possiamo fallire.

In alcuni passaggi cardine, riaffiora lo scontro tra due scuole di pensiero che si fronteggiano in Europa da decenni senza esclusione di colpi; da una parte le lobbies dell’agroindustria e del commercio internazionale che mirano a fare profitti speculativi e a continuare a garantire le produzioni del nord Europa, dall’altra le associazioni che rappresentano i produttori, soprattutto quelli agricoli, nonché le associazioni ambientali, identitarie, culturali e la politica locale che predilige un’economia diffusa, uno sviluppo del mondo rurale e della piccola – media impresa che rappresentano l’ossatura economico sociale dell’ Europa centro meridionale.

Per queste ragioni, fermamente convinto che non possiamo continuare ad accettare passivamente ciò che ci viene imposto, specie quando risulta irrazionale, illogico, ingiusto e penalizzante per il nostro popolo, nonostante il lavoro svolto dalla Commissione, mi sento personalmente motivato a chiedere a questo Consiglio e a tutti i Colleghi ogni sforzo possibile per migliorare ulteriormente questa proposta di legge.

Non rinunciamo, solo per la frenesia della sua approvazione, alla possibilità di renderla ancora più efficace ed incisiva, nel difficile momento che attraversa la nostra economia con l’obiettivo di salvaguardare e creare nuovi posti di lavoro, migliorare le condizioni di vita attuali e per le future generazioni del popolo sardo, che rappresentiamo in quest’Aula onorandolo della fiducia che ci ha concesso.


TESTO DELLA COMMISSIONE

Titolo: Norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agrobiodiversità, marchio collettivo, distretti.

Capo I
Tutela, conservazione e valorizzazione dell’agrobiodiversità della Sardegna

Art. 1
Oggetto e finalità

  1. Nel rispetto della Costituzione e degli obblighi nazionali e internazionali, la Regione autonoma della Sardegna riconosce e tutela l’agrobiodiversità del proprio territorio sotto il profilo economico, scientifico, culturale e ambientale. In particolare, la Regione tutela e valorizza il patrimonio di razze e varietà locali, come definito dall’articolo 2, al fine di sostenere lo sviluppo economico e sociale del settore agricolo, di promuovere la tutela degli agroecosistemi, di favorire un utilizzo sostenibile di tali risorse e di garantire la tipicità dei prodotti agricoli.
  2. La Regione:
    a) riconosce che le razze e varietà locali e le relative specie progenitrici e/o affini appartengono al patrimonio di interesse agrario, zootecnico e forestale della Sardegna;
    b) promuove e garantisce l’utilizzazione collettiva del patrimonio di razze e varietà locali effettuata attraverso la Rete di conservazione e sicurezza di cui all’articolo 8;
    c) favorisce e promuove la tutela delle risorse genetiche d’interesse agrario, zootecnico e forestale, la salvaguardia e la gestione razionale degli agroecosistemi e delle produzioni tipiche e tradizionali.
  3. Per l’attuazione della presente legge la Regione:
    a) promuove l’informazione e l’educazione, con particolare riferimento alle scuole e d’intesa con le competenti autorità scolastiche, volta a favorire la formazione di una coscienza civica, il rispetto e l’interesse per l’ambiente e la sua tutela, anche in collaborazione con gli enti e le associazioni senza scopo di lucro che abbiano come fine istituzionale la protezione dell’agrobiodiversità;
    b) eroga contributi a enti pubblici o ad altri enti e associazioni senza scopo di lucro che abbiano come fine istituzionale la protezione dell’agrobiodiversità, sulla base di appositi progetti, sentito il parere della competente commissione tecnica di cui all’articolo 6.

Art. 2
Definizioni

  1. Ai sensi e per gli effetti della presente legge valgono le seguenti definizioni:
    a) biodiversità: comprende l’insieme e la variabilità di tutti gli organismi viventi di ogni origine e natura che si trovano sulla biosfera e viene distinta in tre livelli principali: genetico, specifico ed ecosistemico;
    b) agrobiodiversità: include tutte le componenti degli agroecosistemi e della diversità biologica di rilevanza per l’agricoltura e l’alimentazione; la varietà e variabilità genetica, specifica ed ecosistemica di animali, piante e microrganismi, indispensabili per sostenere le funzioni dell’agroecosistema, la sua struttura e i suoi processi;
    c) conservazione ex situ: complesso di misure necessarie per la conservazione della diversità biologica di specie vegetali, animali, microbiche in ambiente diverso dal proprio habitat naturale; consente la conservazione delle specie domesticate e della loro variabilità genetica al di fuori del loro centro di origine o di diversità;
    d) conservazione in situ: complesso di misure necessarie per la conservazione degli ecosistemi e degli habitat naturali, nonché il mantenimento e la ricostituzione delle popolazioni di specie vitali nel loro ambiente naturale e, nel caso delle specie di interesse agrario, nell’ambiente in cui si sono sviluppate le loro caratteristiche distintive; per conservazione in situ si intende anche la conservazione delle risorse genetiche in azienda (on farm);
    e) ecotipo: forma morfologicamente distinta entro una unità tassonomica, prodotta dalla evoluzione e dalla selezione naturale;
    f) popolazione: insieme di individui di una unità tassonomica, razza, cultivar, ecotipo, ceppo microbico e clone, autoctono, originario del territorio sardo, per cui è possibile effettuare una delimitazione fisica e/o genetica e una separazione dalle altre popolazioni;
    g) unità tassonomiche: sono incluse in tale dicitura tutte le categorie tassonomiche, spontanee o coltivate, di livello specifico, sottospecifico e varietale.
  2. Sono considerate razze e cultivar locali, di seguito denominate risorse genetiche:
    a) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi, ceppi microbici e cloni autoctoni, originari del territorio sardo;
    b) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi, ceppi microbici e cloni alloctoni, introdotti da lungo tempo nel territorio della regione e integrati tradizionalmente in forma produttiva nella sua agricoltura e nel suo allevamento e nei processi di trasformazione;
    c) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi, derivanti dalle precedenti per selezione;
    d) popolazioni, unità tassonomiche, razze, cultivar, ecotipi già autoctoni, ma attualmente scomparsi dal territorio della Sardegna e conservati in orti botanici, allevamenti, università o centri di ricerca sardi e di altre regioni o paesi, per i quali esiste un interesse economico, scientifico, culturale, paesaggistico a favorirne la reintroduzione.

Art. 3
Compiti della Regione

  1. La Regione esercita la propria attività di conservazione, tutela e valorizzazione delle risorse genetiche:
    a) favorendo le iniziative, pubbliche o private, tendenti a preservare e ricostituire le risorse genetiche e a diffonderne la conoscenza e il rispetto, e nel caso di razze, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni utilizzati a fini produttivi, a diffonderne l’uso e a valorizzarne i prodotti;
    b) assumendo direttamente iniziative volte alla tutela e alla valorizzazione di tali risorse.
  2. La Regione tutela e valorizza il patrimonio culturale di saperi, tecniche e consuetudini legate all’agrobiodiversità che le comunità rurali hanno storicamente praticato; a tal fine la Giunta regionale è autorizzata ad attivare, anche in concorso con enti locali, associazioni e altri organismi, specifiche iniziative per il recupero e la conservazione della memoria storica legata alla biodiversità di interesse agrario o identitario.
  3. La Regione, mediante appositi programmi d’intervento, stabilisce le attività e le iniziative che ritiene necessario attivare e incentivare, determina i criteri di accesso ai benefici, la misura degli incentivi e le relative modalità di attuazione.
  4. I programmi di cui al comma 3, approvati dalla Giunta regionale, seguono le seguenti linee di intervento:
    a) ricerca sul territorio e selezione delle risorse genetiche;
    b) conservazione delle risorse genetiche e gestione della rete di conservazione e sicurezza di cui all’articolo 8;
    c) valorizzazione dei prodotti locali tipici e tradizionali e identitari;
    d) recupero e moltiplicazione delle risorse genetiche;
    e) monitoraggio dello stato di conservazione dell’agrobiodiversità.

Art. 4
Repertori regionali

  1. Fatti salvi i diritti degli agricoltori su ogni pianta coltivata o animale allevato, le risorse genetiche sono iscritte in appositi repertori regionali, tenuti dall’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale o da enti o organismi a ciò autorizzati con apposito provvedimento della Giunta regionale.
  2. I repertori regionali sono organizzati secondo criteri e caratteristiche tecniche che consentano l’omogeneità e la confrontabilità con analoghi strumenti esistenti a livello nazionale e internazionale.
  3. L’iscrizione nei repertori di risorse genetiche a rischio di erosione genetica o estinzione è corredata da apposita annotazione.
  4. La produzione e commercializzazione delle sementi delle varietà da conservazione iscritte nel registro è effettuata nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 29 ottobre 2009, n. 149 (Attuazione della direttiva 2008/62/CE concernente deroghe per l’ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica, nonché per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata a semina di tali ecotipi e varietà).

Art. 5
Iscrizione ai repertori regionali

  1. L’iscrizione delle risorse genetiche ai repertori regionali è effettuata dall’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale, previo parere espresso, ai sensi dell’articolo 6, dalla competente commissione tecnico-scientifica.
  2. L’iscrizione ai repertori avviene a seguito di iniziativa da parte di enti scientifici, enti pubblici, organizzazioni private e singoli cittadini.
  3. Le direttive di attuazione di cui all’articolo 14 disciplinano le modalità e le procedure per l’iscrizione ai repertori regionali.

Art. 6
Commissioni tecnico-scientifiche

  1. Sono istituite la commissione tecnico-scientifica per il settore animale e la commissione tecnico-scientifica per il settore vegetale.
  2. La commissione tecnico-scientifica per il settore animale è composta da:
    a) un funzionario dell’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale competente in materia di risorse genetiche animali;
    b) un funzionario delle agenzie agricole regionali competente in materia di risorse genetiche animali in agricoltura;
    c) un agricoltore che detiene materiale animale la cui tutela è prevista dalla presente legge in rappresentanza di ciascuna delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative;
    d) due esperti del mondo scientifico e accademico competenti in materia di risorse genetiche animali in agricoltura.
  3. La commissione tecnico-scientifica per il settore vegetale è composta da:
    a) un funzionario dell’Assessorato regionale all’agricoltura e riforma agro-pastorale competente in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario;
    b) due funzionari delle agenzie agricole regionali competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario;
    c) un agricoltore che detiene materiale di piante erbacee, arboree o forestale di interesse agrario la cui tutela è prevista dalla presente legge in rappresentanza di ciascuna delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative;
    d) quattro esperti del mondo scientifico e accademico competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario.
  4. Le commissioni sono nominate dalla Giunta regionale, restano in carica per cinque anni e possono avvalersi, per competenze specifiche, di esperti esterni.
  5. Le commissioni di cui al comma 1 svolgono le seguenti funzioni:
    a) esprimere parere in merito all’iscrizione e alla cancellazione della varietà da conservazione nel Repertorio regionale del patrimonio genetico;
    b) stabilire l’urgenza, la priorità e la tipologia d’intervento per ciascuna delle varietà da conservazione;
    c) proporre i criteri per l’individuazione degli agricoltori custodi delle varietà da conservazione.
  6. Ai componenti delle commissioni compete il trattamento economico stabilito dalla legge regionale 22 giugno 1987, n. 27 (Norme per l’attribuzione di gettoni di presenza ai componenti di comitati, commissioni e altri consessi operanti presso l’Amministrazione regionale).

Art. 7
Banca regionale del germoplasma
per l’agricoltura e l’alimentazione

  1. Al fine di garantire la tutela, mediante la conservazione ex situ, delle razze e varietà locali è istituita la Banca regionale del germoplasma d’interesse agronomico, zootecnico e forestale, di seguito denominata Banca.
  2. La Banca svolge tutte le operazioni dirette a salvaguardare il materiale in essa conservato da qualsiasi forma di contaminazione, alterazione e distruzione, garantendone la disponibilità nel tempo.
  3. Nella Banca confluiscono tutte le accessioni iscritte nei repertori regionali.
  4. Alla gestione della Banca provvede l’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale che può avvalersi di altri soggetti, pubblici o privati, settorialmente specializzati, previo parere della commissione tecnico-scientifica di cui all’articolo 6.
  5. Il funzionamento della Banca è disciplinato con le direttive di attuazione di cui all’articolo 14.

Art. 8
Rete di conservazione e sicurezza

  1. È istituita la Rete di conservazione e sicurezza delle risorse genetiche di interesse agrario, zootecnico e forestale, di seguito denominata Rete, gestita e coordinata dall’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale o da enti e organismi a ciò delegati.
  2. Della Rete fanno parte di diritto gli agricoltori custodi di cui all’articolo 10 e la Banca regionale del germoplasma per l’agricoltura e l’alimentazione.
  3. Alla Rete possono aderire altri soggetti pubblici o privati, quali enti locali, istituti sperimentali, centri di ricerca, università, associazioni, agricoltori e produttori, singoli o in forma associata, che siano in possesso dei requisiti previsti dalle direttive di attuazione di cui all’articolo 14.
  4. La Rete svolge ogni attività diretta a mantenere in vita il patrimonio di interesse agrario, zootecnico e forestale minacciato da erosione genetica attraverso la conservazione ex situ e in situ e provvede a agevolarne la circolazione.
  5. Gli agricoltori, gli enti, i centri di ricerca, le università e le associazioni depositari di materiale genetico tutelato dalle presenti disposizioni, che non aderiscono alla rete, sono tenuti a fornire alla Banca del germoplasma per l’agricoltura e l’alimentazione una parte del materiale vivente ai fini della moltiplicazione, per garantire la conservazione delle informazioni genetiche presso altro sito accreditato.
  6. L’aderente alla Rete che abbia depositato una domanda di privativa varietale o brevettuale su di una varietà derivata da una varietà iscritta nei repertori, oppure su materiale biologico derivante da questa, ne dà tempestivo avviso all’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale, con le modalità previste dalle direttive di attuazione di cui all’articolo 14.

Art. 9
Circolazione del materiale genetico

  1. Al fine di garantire un uso durevole delle risorse genetiche, a seguito di apposita certificazione, è consentita, tra gli aderenti alla Rete, la circolazione, senza scopo di lucro e in ambito locale, del materiale genetico, volta al recupero, mantenimento e riproduzione di varietà locali a rischio di estinzione e iscritte nei repertori regionali.
  2. Con le direttive di attuazione cui all’articolo 14 sono definite le modalità di circolazione del materiale genetico.

Art. 10
Agricoltore custode

  1. Ai fini della presente legge si definisce “Agricoltore custode” chi provvede alla tutela e conservazione in situ delle razze e varietà locali a rischio di estinzione, iscritte nei repertori regionali di cui all’articolo 4.
  2. L’Agricoltore custode:
    a) provvede alla messa in sicurezza della singola risorsa genetica proteggendola e salvaguardandola da qualsiasi forma di contaminazione, alterazione o distruzione;
    b) diffonde la conoscenza, la coltivazione e l’allevamento delle risorse genetiche di cui è custode, attenendosi ai principi di cui alla presente legge;
    c) effettua il rinnovo dei semi o la ricostituzione attraverso altro materiale di propagazione di specie conservate nella Banca regionale del germoplasma di interesse agrario, zootecnico e forestale, sentito il parere della competente commissione tecnica di cui all’articolo 6.
  3. Il titolo di Agricoltore custode è conferito a seguito dell’iscrizione in apposito elenco tenuto dall’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale o dall’ente o organismo a ciò delegato.
  4. Nell’individuazione dell’Agricoltore custode sono favoriti i membri delle comunità locali tradizionalmente impegnate nella conservazione delle risorse genetiche della Sardegna e chi abbia provveduto alla loro riscoperta.
  5. La riproduzione di risorse genetiche effettuata dagli agricoltori custodi avviene presso le zone originarie di prelievo o quelle che la memoria storica riconosce come tradizionali luoghi di presenza della coltivazione.
  6. In caso di necessità e urgenza l’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale o ente o organismo a ciò delegato provvede, per fini di pubblico interesse, all’avvio di un programma di riproduzione in campo di una varietà in via di estinzione.
  7. Con le direttive di attuazione di cui all’articolo 14 sono disciplinati:
    a) le modalità di iscrizione all’elenco di cui al comma 3;
    b) i requisiti oggettivi e soggettivi necessari per ricoprire e per mantenere l’incarico di Agricoltore custode;
    c) le modalità di eventuali provvidenze a sostegno delle attività svolte dall’Agricoltore custode.

Art. 11
Contrassegno

  1. Per favorire la più ampia conoscenza e informazione dei cittadini in ordine a prodotti ottenuti da varietà e razze locali a rischio di estinzione di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, è istituito un contrassegno regionale da apporre sui prodotti costituiti, contenenti o derivati da materiale iscritto nei repertori regionali.
  2. L’uso del contrassegno è facoltativo ed è concesso dalla Regione agli agricoltori custodi di cui all’articolo 10 e alle aziende agricole che producono o trasformano utilizzando, secondo le buone pratiche agricole consuete, pratiche compatibili con la necessità di salvaguardare l’ambiente e di conservare lo spazio naturale, secondo il regolamento CE n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n.1698/2005 del Consiglio.
  3. Con le direttive di attuazione di cui all’articolo 14 sono disciplinati: contenuto, caratteristiche grafiche e modalità di ottenimento e impiego del contrassegno di cui al comma 1.

Art. 12
Comunità di tutela della biodiversità agraria
e della cultura e qualità alimentare

  1. Al fine di sensibilizzare la popolazione, di sostenere le produzioni agrarie e alimentari, in particolare della Rete regionale di cui all’articolo 8, e di promuovere comportamenti atti a tutelare la biodiversità agraria e alimentare, la Regione, anche con la collaborazione delle camere di commercio, dei consorzi di tutela, delle organizzazioni agricole di categoria maggiormente rappresentative e di altri soggetti riconosciuti, pubblici o privati, promuove l’istituzione di comunità di tutela della biodiversità agraria e della cultura e qualità alimentare, definite ai sensi del comma 2.
  2. Ai fini della presente legge, sono definiti comunità di tutela della biodiversità agraria e della cultura e qualità alimentare gli ambiti locali derivanti da accordi tra agricoltori custodi locali singoli e associati, comitati per la biodiversità, gruppi di acquisto solidali, istituti scolastici e universitari, centri di ricerca, associazioni per la tutela della qualità della biodiversità agraria e alimentare, ospedali, esercizi di ristorazione, esercizi commerciali, piccole e medie imprese artigiane di trasformazione agraria e alimentare, nonché enti pubblici.
  3. Gli accordi di cui al comma 2 possono avere come oggetto:
    a) lo studio, il recupero e la trasmissione di conoscenze su varietà e razze locali;
    b) lo studio e la diffusione di pratiche proprie dell’agricoltura biologica e di altri sistemi colturali a basso impatto ambientale e volti al risparmio idrico, alla minore emissione di anidride carbonica, alla maggiore fertilità dei suoli e al minore utilizzo di imballaggi per la distribuzione e per la vendita dei prodotti;
    c) la realizzazione di forme di filiera corta, di vendita diretta, di scambio e di acquisto di prodotti agricoli e alimentari nei circuiti locali in ambito regionali;
    d) la costituzione dei distretti di cui all’articolo 26;
    e) lo studio, il recupero e la trasmissione dei saperi e sapori locali relativi alle pratiche agricole tradizionali e identitarie delle colture agrarie e degli allevamenti.

Art. 13
Interventi per la ricerca
sulla biodiversità agraria e alimentare

  1. La programmazione delle attività della Regione nell’ambito della ricerca e sperimentazione in agricoltura, per tramite delle proprie agenzie e dell’università, prevede interventi per la ricerca sulla biodiversità agraria e alimentare, sulle tecniche necessarie per favorirla, tutelarla e svilupparla nonché per favorire l’uso di risorse genetiche come strumento di adattamento ai cambiamenti climatici su interventi finalizzati al recupero di pratiche corrette in riferimento all’alimentazione umana, all’alimentazione animale, al risparmio idrico e alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
  2. La Regione finanzia la realizzazione di progetti innovativi sulla biodiversità agraria e alimentare, proposti da enti pubblici e privati, individuati mediante bando pubblico.

Art. 14
Direttive di attuazione

  1. La Giunta regionale approva con propria deliberazione le direttive di attuazione del presente capo entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge.

Capo II
Istituzione del marchio collettivo di qualità agro-alimentare garantito dalla Regione per la tracciabilità e la promozione dei prodotti agricoli e agro-alimentari di qualità

Art. 15
Finalità

  1. La Regione promuove la valorizzazione dei prodotti agricoli, zootecnici, ittici e silvo-pastorali incentivando l’utilizzo di tecniche di produzione, di raccolta e di trasformazione che assicurino la qualità e favoriscano la salvaguardia dell’ambiente e la salute dei consumatori.

Art. 16
Istituzione del marchio collettivo

  1. Per il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 15, la Regione autonoma della Sardegna, ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), registra un marchio di qualità a carattere collettivo dei prodotti agricoli e agro-alimentari, di seguito denominato “marchio” e ne è titolare.
  2. Il marchio di cui al comma 1 identifica le produzioni agricole e agro-alimentari che offrono garanzie qualitative per sistema di produzione, lavorazione o per altre intrinseche caratteristiche ottenute con metodi di produzione definiti da appositi disciplinari di produzione vincolanti.
  3. I prodotti per i quali è concesso l’utilizzo del marchio sono realizzati nell’ambito di un sistema di qualità trasparente, aperto a tutti i produttori, che assicuri la completa tracciabilità dei prodotti e risponda alle esigenze del mercato e dei consumatori, nel rispetto delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci di cui agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
  4. L’utilizzo del marchio è altresì consentito, fatta eccezione per i prodotti DOP e IGP, per i prodotti tradizionali di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 (Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449), e all’articolo 2 del decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350 (Regolamento recante norme per l’individuazione dei prodotti tradizionali di cui all’articolo 8, comma 1, del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173), che rispettino gli specifici disciplinari di produzione di cui all’articolo 19. I prodotti tradizionali possono contenere nell’etichetta la dicitura: “prodotto inserito nell’elenco nazionale dei prodotti tradizionali”. Il nome tradizionale è legato al prodotto inserito nell’elenco nazionale dei prodotti.

Art. 17
Direttiva d’attuazione

  1. La Giunta regionale disciplina, con proprie direttive:
    a) il segno distintivo del marchio e il relativo manuale d’uso;
    b) le modalità di concessione in uso e di utilizzo del marchio;
    c) la disciplina della diffida, della sospensione e della revoca della concessione.

Art. 18
Concessione dell’uso del marchio

  1. L’utilizzo del marchio è concesso per prodotti agricoli e agro-alimentari per i quali sono stati approvati i relativi disciplinari di produzione.
  2. L’uso del marchio di cui all’articolo 16 è concesso, per i singoli prodotti, alle imprese, singole o associate, che ne fanno richiesta.
  3. Le imprese di cui al comma 2 si impegnano a rispettare gli specifici disciplinari di cui all’articolo 19, le disposizioni deliberate dalla Regione per l’applicazione della presente legge e quanto previsto dall’articolo 22 in materia di etichettatura, nonché a consentire lo svolgimento dei controlli di cui all’articolo 21.

Art. 19
Disciplinari di produzione

  1. I disciplinari di produzione di ciascun prodotto fresco o trasformato fissano i caratteri dei processi produttivi e di filiera necessari per migliorarne la qualità, per diminuire l’impatto ambientale degli stessi e per tutelare la salute dei consumatori.
  2. L’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale, con l’ausilio delle agenzie regionali competenti in materia di agricoltura, provvede alla formulazione e all’aggiornamento dei disciplinari di produzione, anche avvalendosi di enti tecnico-scientifici con provata esperienza nel settore.
  3. I disciplinari di produzione sono approvati dalla Giunta regionale e pubblicati nel Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS) e comunicati alla Commissione europea, ai sensi della direttiva n. 98/34/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione.

Art. 20
Comitato tecnico-scientifico

  1. Presso l’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale è istituito un comitato tecnico-scientifico, quale supporto consultivo per la gestione e la promozione del marchio e per esprimere pareri sui disciplinari di produzione, sugli aggiornamenti degli stessi e sulle convenzioni tra Regione e soggetti interessati all’utilizzo del marchio.
  2. Il Comitato è composto da:
    a) il direttore generale della direzione regionale competente per materia o un suo delegato, con funzioni di presidente;
    b) un rappresentante concordemente designato dalle associazioni dei consumatori;
    c) un rappresentante concordemente designato dalle associazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello regionale;
    d) un rappresentante concordemente designato dalle centrali cooperative del settore agro-alimentare maggiormente rappresentative a livello regionale;
    e) un rappresentante concordemente designato dalle associazioni delle imprese di trasformazione coinvolte nel processo di filiera maggiormente rappresentative a livello regionale;
    f) due esperti della materia nominati dalle Università di Cagliari e Sassari.
  3. In relazione agli argomenti trattati, il comitato è di volta in volta integrato da un esperto per ciascuno dei settori merceologici da ammettere al marchio.
  4. I componenti il comitato sono nominati con decreto dell’Assessore regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale.
  5. Le sedute del comitato sono valide se è presente la metà dei componenti, in seconda convocazione è sufficiente la presenza di un terzo dei componenti.
  6. Le decisioni sono adottate a maggioranza dei presenti.
  7. Ai componenti il comitato compete il trattamento economico stabilito dalla legge regionale n. 27 del 1987.

Art. 21
Controllo e vigilanza

  1. La Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale, individua il soggetto pubblico competente per il controllo del rispetto dei disciplinari di produzione da parte dei concessionari del marchio.
  2. Al fine di certificare il proprio sistema di qualità e il rispetto dei disciplinari di produzione i concessionari del marchio hanno facoltà di avvalersi del soggetto pubblico di controllo di cui al comma 1 o di un organismo di controllo privato.
  3. Gli organismi di controllo privati soddisfano i seguenti requisiti:
    a) essere terzi e indipendenti;
    b) essere accreditati dallo stato membro di appartenenza e operare ai sensi della norma tecnica UNI CEI EN n. 45011 del 1° marzo 1999 (Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione di prodotti);
    c) non svolgere attività di consulenza nei settori relativi alle attività oggetto del controllo.

Art. 22
Etichettatura

  1. Gli operatori economici che hanno in concessione l’uso del marchio lo appongono in etichetta sul prodotto secondo le modalità definite nelle direttive di attuazione di cui all’articolo 17.
  2. Ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), e successive modificazioni, l’etichetta contiene l’indicazione del luogo di origine e di provenienza del prodotto e, nel caso di prodotti trasformati, anche del luogo di provenienza delle materie prime utilizzate.
  3. Nel caso di produzioni primarie prodotte in Sardegna e di prodotti trasformati realizzati in Sardegna con materie prime sarde, l’indicazione di cui al comma 2 è la seguente: “Prodotto in Sardegna”.

Art. 23
Interventi a sostegno
della diffusione del marchio

  1. La Giunta regionale:
    a) promuove attività di studio, ricerca, informazione e divulgazione del marchio regionale di qualità;
    b) promuove la realizzazione di campagne promozionali dei prodotti tutelati dal marchio anche attraverso iniziative integrate con il settore secondario e il turismo;
    c) al fine di favorire un adeguato aggiornamento professionale dei soggetti concessionari del diritto d’uso del marchio, nonché per favorire l’integrale e corretta applicazione dei disciplinari da parte delle imprese agricole, promuove appositi interventi e seminari di assistenza tecnica e formazione professionale.

Art. 24
Sanzioni amministrative

  1. L’uso non autorizzato del marchio è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 15.000. In caso di reiterazione dell’infrazione la sanzione può essere aumentata sino a euro 25.000.
  2. Il mancato rispetto degli obblighi di cui all’articolo 18, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 3.000.
  3. Nell’ipotesi di reiterazione dell’infrazione di cui al comma 2, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria, il trasgressore:
    a) nel caso di una seconda violazione è inibito dall’utilizzo del marchio per un periodo temporale da uno a sei mesi;
    b) nel caso di un ulteriore violazione dopo la seconda è soggetto alla revoca definitiva dell’utilizzo del marchio.
  4. Le sanzioni amministrative di cui ai commi 1, 2 e 3 sono accertate e irrogate dall’Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale.
  5. L’Amministrazione regionale destina gli introiti derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie al conseguimento delle finalità di cui al presente capo.

Capo III
Istituzione, individuazione e disciplina dei distretti rurali, dei distretti agro-alimentari di qualità, dei bio distretti e dei distretti della pesca e dell’acquacoltura di qualità

Art. 25
Finalità

  1. La Regione autonoma della Sardegna, ai sensi dell’articolo 13, commi 1 e 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57), nell’ottica di promuovere lo sviluppo rurale e le produzioni collegate al contesto produttivo storico-tradizionale sardo, disciplina l’individuazione e l’istituzione dei distretti rurali, dei distretti agro-alimentari di qualità, dei bio distretti e dei distretti della pesca e dell’acquacoltura di qualità.

Art. 26
Definizioni

  1. Si definiscono distretti rurali i sistemi produttivi locali di cui all’articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese), caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
  2. Si definiscono distretti agro-alimentari di qualità i sistemi produttivi locali caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.
  3. Si definiscono bio distretti quei sistemi produttivi caratterizzati dalla presenza di filiere produttive a carattere biologico, in conformità alle disposizioni del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91. Gli stessi possono coincidere con i territori già identificati con i distretti rurali o agro-alimentari di qualità, sovrapponendosi, oppure costituire unità autonome, con confini propri non corrispondenti a quelli dei distretti rurali o agro-alimentari di qualità.
  4. Si definiscono distretti della pesca e dell’acquacoltura di qualità i sistemi produttivi locali aventi le caratteristiche di cui all’articolo 36, comma 1, della legge n. 317 del 1991, caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività ittiche e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.

Art. 27
Obiettivi specifici

  1. Le disposizioni del presente capo perseguono i seguenti obiettivi:
    a) promuovere la cooperazione valorizzando le risorse del contesto territoriale di riferimento;
    b) conservare la qualità del prodotto nel corso delle operazioni e dei passaggi nella filiera orizzontale fino al consumatore finale;
    c) contribuire alla diffusione, alla commercializzazione e all’istituzione di nuovi prodotti a marchio DOP e IGP, nonché di produzioni a qualità ambientale certificata e riconosciuta a livello europeo;
    d) contribuire all’utilizzo delle forme di paesaggio agricolo in chiave turistica, valorizzando le proprietà diffuse del territorio non funzionali a una produzione di massa;
    e) contribuire all’aggregazione tra imprese per acquisire competitività nei confronti del mercato interno e dell’export;
    f) collegare le produzioni primarie alle pratiche produttive, ristorative, turistiche, sportive e ricreative territoriali;
    g) potenziare l’identità sarda tramite la salvaguardia e la riscoperta dei saperi e sapori tradizionali e con l’utilizzo delle risorse materiali e immateriali del territorio legate alla tradizione e alla cultura locali;
    h) promuovere la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità locale;
    i) evitare la marginalizzazione delle produzioni primarie nei rapporti interni al distretto;
    j) favorire il raccordo e l’integrazione tra i sistemi produttivi locali.

Art. 28
Requisiti per l’individuazione dei distretti rurali

  1. I distretti rurali sono individuati in un contesto territoriale geograficamente definito quando contemporaneamente:
    a) vi sia la presenza di una realtà produttiva agricola, zootecnica e silvo-pastorale dedita alle produzioni tradizionali, in attività e di carattere non marginale, attuata in diverse aziende del territorio di origine;
    b) le materie prime utilizzate per la realizzazione dei prodotti trasformati siano di origine locale;
    c) la produzione non sia limitata a una sola tipologia di prodotto, né a un prodotto singolo, salvo che si dimostri la presenza di iniziative imprenditoriali atte a colmare tale mancanza nel breve periodo.
  2. Costituiscono ulteriori elementi identificativi dei distretti, se sussistenti:
    a) la presenza, tra gli abitanti del territorio, della memoria storica dei prodotti alimentari in questione, rintracciabile nell’utilizzo culinario della ristorazione locale, secondo ricette locali e tradizionali, e di rapporti di scambio, cessione, ricerca dei prodotti in questione all’interno della comunità locale;
    b) la presenza di attività artigianali di trasformazione e/o manipolazione alimentare e/o di altro tipo, strettamente collegate alle produzioni del distretto rurale nonché alle tradizioni locali;
    c) la presenza di attività di ricezione turistica e di imprese di ristorazione di qualsiasi dimensione che dimostrino l’utilizzo o la disponibilità concreta a utilizzare i prodotti distrettuali.

Art. 29
Requisiti per l’individuazione
dei distretti agro-alimentari di qualità

  1. I distretti agro-alimentari di qualità sono individuati in un contesto territoriale geograficamente definito quando contemporaneamente:
    a) vi sia la presenza di produzioni agricole, zootecniche e silvo-pastorali di particolare qualità, merceologicamente omogenee, riconosciute dalla normativa comunitaria vigente per denominazione di origine o indicazione geografica, o certificate a livello nazionale o regionale secondo norme che ne distinguano e valorizzino la qualità, il processo produttivo e l’origine, nell’ottica del raggiungimento di un riconoscimento comunitario;
    b) vi sia la presenza in loco di una filiera orizzontale economicamente rilevante, costituita a partire dalle produzioni di cui alla lettera a) con attività strettamente interconnesse riguardanti settori produttivi diversi da quello primario, tesi alla commercializzazione e valorizzazione della produzione locale tipica o tradizionale, di cui alla lettera a) e, contestualmente, a quella del territorio;
    c) la programmazione territoriale e produttiva e l’assistenza nelle varie fasi della filiera orizzontale, a partire dalle produzioni primarie, sia realizzata da soggetti attivi del territorio, in sintonia e con il sostegno degli enti pubblici locali.
  2. Qualora al momento dell’individuazione del distretto agro-alimentare di qualità la filiera orizzontale locale di cui al comma 1, lettera b), non risulti ancora integrata e attiva, ma vi siano sul campo, debitamente evidenziati e assicurati nella relazione dell’ente proponente di cui all’articolo 32, gli elementi e la volontà degli attori territoriali di costruirla nel breve periodo, la Regione può riconoscere comunque il distretto, fatto salvo l’obbligo da parte del consiglio direttivo del distretto di cui all’articolo 33 di certificare l’avvenuta realizzazione delle condizioni di cui al comma 1 entro il primo anno del primo mandato successivo al riconoscimento.

Art. 30
Requisiti per l’individuazione dei bio distretti

  1. I bio distretti sono individuati in un contesto territoriale geograficamente definito quando ricorrono le seguenti condizioni:
    a) vi sia la presenza di produzioni primarie di particolare pregio merceologicamente omogenee, derivate da processi produttivi che prevedono l’utilizzo di tecniche riconosciute dalla normativa comunitaria per l’ottenimento di prodotti biologici;
    b) vi sia la presenza in loco di una filiera orizzontale economicamente rilevante, costruita a partire dalle produzioni di cui alla lettera a) con attività strettamente interconnesse riguardanti settori produttivi diversi da quello primario, tesi alla commercializzazione e valorizzazione della produzione biologica;
    c) la programmazione territoriale e produttiva e l’assistenza nelle varie fasi della filiera orizzontale, a partire dalle produzioni primarie, sia realizzata da soggetti attivi del territorio, in sintonia e con il sostegno degli enti pubblici locali.

Art. 31
Requisiti per l’individuazione dei distretti della pesca e dell’acquacoltura di qualità

  1. Ai fini della sua individuazione, il distretto della pesca e dell’acquacoltura di qualità possiede le seguenti caratteristiche:
    a) realizzazione di uno o più prodotti merceologicamente omogenei, certificati e tutelati ai sensi della vigente normativa, biologici o tipici, la cui produzione risulti significativa per l’economia agro-alimentare regionale;
    b) presenza di un sistema consolidato di relazioni tra imprese ittiche, servizi alla pesca e acquacoltura;
    c) partecipazione degli enti che rappresentano la ricerca scientifica per affiancare le imprese nell’innovazione della filiera, della conservazione, rintracciabilità del prodotto e redazione del programma di sviluppo;
    d) integrazione tra produzione e fenomeni culturali e turistici del territorio attraverso relazioni con le istituzioni locali interessate alla realtà distrettuale, con le quali le imprese ittiche e i gruppi di ricerca scientifica stabiliscono rapporti di collaborazione.

Art. 32
Individuazione dei distretti

  1. I distretti sono individuati e riconosciuti dalla Regione a seguito di apposita iniziativa da parte di:
    a) enti locali, singoli o associati, insistenti sul territorio del distretto;
    b) la camera di commercio competente per territorio;
    c) le associazioni di categoria;
    d) le imprese operanti sul territorio;
    e) altri enti o istituzioni pubblici o privati.
  2. L’ente o gli enti proponenti il distretto garantiscono la più ampia concertazione coinvolgendo le rappresentanze economiche, sociali e istituzionali del territorio.
  3. I soggetti di cui al comma 1 svolgono azioni di animazione del territorio destinate a promuovere la costituzione dei distretti, anche con l’ausilio degli enti e agenzie regionali competenti in materia.
  4. Gli enti proponenti individuano i soggetti primi costituenti del distretto.
  5. Alla domanda di riconoscimento sono allegati:
    a) l’accordo di cui all’articolo 33;
    b) una relazione descrittiva (quali-quantitativa) del distretto proposto che contenga:
    1) gli elementi sociali, economici e ambientali (agrario-paesaggistici) che caratterizzano e individuano il distretto proposto, secondo i parametri di cui agli articoli 28, 29, 30 e 31;
    2) un’analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza, le opportunità e i rischi nello sviluppo del territorio e nella costituzione del distretto;
    3) un piano programmatico di sviluppo che dimostri le potenzialità del distretto nel medio periodo;
    4) la rappresentazione cartografica dell’area interessata dal piano, con identificazione di comuni ed enti locali e dei loro confini amministrativi.

Art. 33
Costituzione del distretto

  1. Il distretto è costituito mediante la stipula di un apposito accordo tra i soggetti aderenti operanti sul territorio.
  2. L’accordo disciplina la composizione e la nomina del consiglio direttivo del distretto, nel rispetto di quanto previsto dal comma 5.
  3. Il consiglio direttivo è l’organo di governo del distretto con potere decisionale.
  4. Il consiglio direttivo elegge al suo interno il presidente del distretto a cui compete la rappresentanza legale del distretto.
  5. All’interno del consiglio direttivo non meno di un terzo dei componenti appartiene al settore primario ed è assicurata la rappresentatività di ogni settore coinvolto nella filiera orizzontale distrettuale. Nel caso di compresenza di produzioni primarie agricole, zootecniche, ittiche e forestali è assicurata la presenza degli operatori di ciascuno di questi settori.

Art. 34
Funzionamento del distretto e procedure di approvazione del piano

  1. I soggetti promotori forniscono servizi che agevolano l’iter procedurale e la realizzazione del piano di distretto di cui all’articolo 35.
  2. Il consiglio direttivo elabora un piano di azione, denominato piano di distretto, coincidente con la durata del mandato del consiglio direttivo, secondo le finalità, gli obiettivi e le prescrizioni contenuti nella presente legge; il piano di distretto è presentato alla Regione per l’approvazione entro tre mesi dall’insediamento del consiglio direttivo.
  3. La Regione, entro un mese dalla ricezione, si pronuncia sul piano.
  4. L’attuazione del piano di distretto è sottoposta a verifiche con cadenza annuale da parte della Regione.
  5. Le eventuali variazioni del piano di distretto adottate dal consiglio direttivo sono soggette ad approvazione regionale.
  6. I membri di un consiglio direttivo distrettuale rurale non possono appartenere a un altro distretto rurale.
  7. L’unione e la confluenza di due o più distretti è proposta dalla Regione a seguito di valutazione concordata con gli enti promotori e i rappresentanti legali dei distretti.

Art. 35
Contenuti del piano di distretto

  1. Il piano di distretto contiene i seguenti elementi:
    a) una relazione dettagliata quali-quantitativa che illustri e descriva:
    1) lo stato attuale del distretto, in cui emergano gli attori e i componenti del distretto e il loro grado di interconnessione e interdipendenza, integrata dalla rappresentazione cartografica dell’area interessata dal piano, con identificazione di comuni ed enti locali e dei loro confini amministrativi;
    2) il grado di attuazione degli obiettivi raggiunti nel corso del mandato del precedente consiglio direttivo, indicati nel corrispondente piano di distretto e un’indicazione delle continuità o discontinuità del nuovo piano di distretto rispetto al precedente;
    3) le attività di coinvolgimento delle imprese facenti parte del territorio del distretto;
    4) le modalità di sviluppo a breve termine individuate dal consiglio direttivo, comprensive di corrispondenze ai piani di sviluppo rurale o settoriali per le attività coinvolte nel distretto;
    b) un elenco dei soggetti attuatori e delle fonti di finanziamento;
    c) l’indicazione delle sinergie e delle integrazioni con altri strumenti comunitari, nazionali e regionali di intervento.

Art. 36
Direttive di attuazione

  1. La Giunta regionale, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, delibera, con proprie direttive di attuazione, le modalità di costituzione e di composizione dei distretti e individua le strutture regionali di riferimento.

Capo IV
Disposizioni comuni

Art. 37
Clausola valutativa

  1. La Giunta regionale, trascorsi due anni dall’entrata in vigore della presente legge, trasmette al Consiglio regionale una dettagliata relazione sul suo stato di attuazione.

Art. 38
Norma finanziaria

  1. Agli oneri derivanti dagli articoli 1, 3, 6, 7, 10, 13, 20 e 23 della presente legge, valutati complessivamente in euro 290.000 per il 2014 e in euro 570.000 per gli anni 2015 e successivi, si provvede, nei limiti degli stanziamenti di bilancio annualmente a ciò destinati, come di seguito:
    a) quanto a euro 290.000 per l’anno 2014, mediante utilizzo di quota parte delle risorse già destinate agli interventi di cui all’articolo 7, comma 14, della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 (legge finanziaria 2008), e successive modifiche ed integrazioni, iscritte per l’anno 2014 in conto dell’UPB S06.04.015 del bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016;
    b) quanto a euro 570.000 per gli anni 2015 e successivi, mediante utilizzo di quota parte delle risorse già destinate agli interventi di cui all’articolo 21, comma 3, della legge regionale 29 maggio 2007, n. 2 (legge finanziaria 2007), e successive modifiche ed integrazioni, iscritte per gli anni 2015 e 2016 in conto dell’UPB S06.04.006 del bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016 e di quelle corrispondenti per gli anni successivi.
  2. Ai fini dell’attuazione del comma 1 nel bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016 son apportate le seguenti variazioni:

in aumento

UPB S06.04.015
Tutela, valorizzazione e marketing dei prodotti agricoli – spese correnti
2014 euro —
2015 euro 500.000
2016 euro 500.000

UPB S01.03.003
Funzionamento organismi di interesse regionale
2014 euro 40.000
2015 euro 70.000
2016 euro 70.000

in diminuzione

UPB S06.04.015
Tutela, valorizzazione e marketing dei prodotti agricoli – spese correnti
2014 euro 40.000
2015 euro —
2016 euro —

UPB S06.04.006
Agevolazioni alle aziende agricole danneggiate da calamità naturali o avversità atmosferiche – parte corrente
2014 euro —
2015 euro 570.000
2016 euro 570.000

  1. Gli oneri derivanti dalle succitate disposizioni gravano sulle suddette UPB del bilancio di previsione della Regione per gli anni 2014-2016 e su quelle corrispondenti dei bilanci per gli anni successivi.
  2. Dall’attuazione delle altre disposizioni di cui ai capi I e II e dall’attuazione dell’intero capo III non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 39
Entrata in vigore

  1. La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nel BURAS.
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