Interrogazione n. 1691/A

CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA

XVILegislatura

Interrogazione n. 1691/A

CIUSA, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di intervenire in merito alla gestione e al pagamento dei canoni di concessione per lo sfruttamento delle sorgenti naturali.

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Il sottoscritto,

premesso che:
– per poter esercitare l’attività di imbottigliamento e commercializzazione di acque minerali naturali o di sorgente le ditte interessate devono disporre del riconoscimento del Ministero della salute e dell’autorizzazione previsti dal decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176;
– la domanda di riconoscimento deve essere indirizzata al Ministero della salute, corredata dalla documentazione volta a fornire una completa conoscenza delle caratteristiche dell’acqua;
– l’autorizzazione all’utilizzazione ed all’immissione in commercio, una volta ottenuto il riconoscimento ministeriale, è rilasciata dalla Regione, Assessorato dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale, previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà corrispondenti alla sua qualificazione;
– la ditta che intende svolgere l’attività di imbottigliamento e commercializzazione di acque minerali naturali o di sorgente deve presentare apposita domanda al SUAPE competente per territorio, che verifica la correttezza formale della documentazione e la trasmette per via telematica a tutti gli enti coinvolti, tra i quali il SIAN competente per territorio del Dipartimento di prevenzione della ATS Sardegna ed il Servizio sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Assessorato dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale;
– gli enti coinvolti, entro dieci giorni consecutivi dalla ricezione della documentazione inviata dal SUAPE, verificano la correttezza formale e sostanziale dell’istanza e della documentazione e richiedono, se necessario, integrazioni documentali o chiarimenti;
– lo stesso Servizio ATS, dopo la verifica documentale ed al fine di esprimere, entro trenta giorni consecutivi dalla ricezione della documentazione inviata dal SUAPE, il previsto parere tecnico relativo alle verifiche di propria competenza, effettua un’ispezione presso lo stabilimento prima dell’avvio di qualsiasi attività, al fine di verificare che siano soddisfatti i pertinenti requisiti stabiliti dalla vigente normativa di settore e, in particolare, il rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176;
– il competente Servizio della ATS Sardegna comunica tramite la piattaforma SUAPE e via PEC all’Assessorato le risultanze dell’ispezione in loco ed il relativo parere tecnico per il rilascio dell’autorizzazione (nei casi di conferenza di servizi in forma semplificata ed in modalità asincrona) o direttamente in sede di conferenza (nei casi in cui questa si svolga in forma simultanea ed in modalità sincrona);
– il Servizio sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Assessorato, entro sette giorni consecutivi dal ricevimento da parte del SUAPE dell’esito favorevole della fase asincrona o del verbale della seduta della conferenza di servizi, provvede ad adottare la determinazione di autorizzazione allo stabilimento (che viene poi trasmessa tramite la piattaforma SUAPE per fare parte integrante del provvedimento unico finale);
– nel caso in cui, invece, le verifiche svolte dagli enti coinvolti abbiano dato esito negativo, il SUAPE emette un provvedimento di diniego, che viene trasmesso all’interessato, al competente Servizio della ATS Sardegna ed all’Assessorato;

considerato che:
– l’affare delle acque minerali in bottiglia pone l’Italia in una posizione anomala rispetto alle altre nazioni europee poiché le aziende non hanno smesso di versare canoni molto bassi alle regioni per lo sfruttamento delle sorgenti;
– negli anni passati Legambiente e Altreconomia hanno denunciato lo scandalo italiano legato al business delle acque in bottiglia;
– nel 2006 già in Conferenza Stato-regioni si definì un documento di indirizzo che proponeva canoni uniformi sul territorio nazionale e affinché si introducesse l’obbligo di pagare sia in funzione degli ettari dati in concessione che per i volumi emunti o imbottigliati, indicando come cifre di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per metro cubo imbottigliato;
– 7 anni dopo il documento Legambiente e Altreconomia hanno inviato un questionario a tutte le regioni italiane i cui dati hanno evidenziato un quadro estremamente eterogeneo con un unico elemento comune, ovvero che le condizioni sono sempre molto vantaggiose per le società che imbottigliano l’acqua e che gran parte delle amministrazioni sono ancora inadempienti rispetto a quanto stabilito nel 2006;
– nel 2011 per soddisfare la sete di acqua minerale dei cittadini italiani si utilizzavano oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica di cui solo un terzo andava riciclato mentre i restanti due terzi finivano in discarica;
– elevatissimi sono i profitti per le società che gestiscono questo business dato che i canoni richiesti dalle Regioni per le concessioni hanno importi ridicoli e addirittura in determinati casi non vengono in considerazione i volumi emunti o imbottigliati;

rilevato che:
– dopo l’ultima pubblicazione da parte del Ministero dell’economia delle ultime statistiche sul tema e relative al 2015 è stata portata avanti una nuova indagine sui dati delle regioni relative alla quantità di acqua emunta o imbottigliata e all’importo del canone versato dalle aziende;
– sulla base delle dichiarazioni fornite dalle regioni si evidenzia che nel 2020 sono stati emunti circa 17,9 miliardi di litri d’acqua, mentre i canoni corrisposti alle Regioni ammontano a poco meno di 18,8 milioni di euro;
– la Sicilia non ha fornito nessun dato relativo al 2020 mentre il Piemonte ha comunicato solo quelli relativi ai canoni incassati;
– è evidente un trend che conferma quanto denunciato in passato da Legambiente o fatto rilevare dal Ministero dell’economia: le aziende pagano pochissimo la materia prima che sta alla base della loro attività;
– nel 2020 le imprese che operano in Lombardia (tra cui Spumador Spa, Ferrarelle Spa, Sanpellegrino Spa) hanno imbottigliato 3,6 miliardi di litri d’acqua versando circa 4,6 milioni di euro: appena 0,0013 euro al litro;
– in Valle d’Aosta, l’unico concessionario (Sorgenti Monte Bianco Spa) ha versato un canone complessivo di poco superiore a 237 mila euro a fronte di 247 milioni di litri d’acqua emunti: 0,0010 euro al litro;
– le aziende che operano in Umbria (tra cui Rocchetta Spa e Acque Minerali d’Italia Spa che qui imbottiglia Sangemini) hanno pagato mediamente 0,0011 euro al litro e questa stessa acqua, una volta imbottigliata e distribuita, viene venduta tra i 20 centesimi e i due euro al litro; è evidente quello che Legambiente denuncia da anni come l’anomalia tutta italiana dell’acqua in bottiglia;
– oltre all’analisi dei dati, è interessante rilevare come in due occasioni Mineracqua si sia opposta alle richieste di Altreconomia nella parte in cui si chiedeva di conoscere i dati relativi alle singole aziende;
– la Regione Friuli-Venezia Giulia ha accolto l’opposizione presentata da Mineracqua, la Federazione italiana delle industrie delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente (mineracqua.it), opponendosi alla divulgazione dei dati disponibili relativi all’imbottigliato al fine di non pregiudicare gli interessi economici e commerciali di tutte le aziende controinteressate;
– anche la Regione Piemonte aveva inizialmente accolto la “parziale opposizione” della federazione delle imprese “a nome e per conto delle aziende Alpe Guizza Spa, Fonti Alta Valle del Po Spa, Lauretana Spa, Pontevecchio Srl, Spumador Spa San Bernardo Spa, Pian della Mussa Srl;
– Mineracqua ha precisato che non è stato possibile ricevere i dati disaggregati perché questi “mettendo in relazione l’emunto con l’imbottigliato e il prezzo che è pubblico, sono rappresentativi dell’efficienza di ciascuna azienda” e questo potrebbe essere usato dai “concorrenti” per conoscere “informazioni riservate e sensibili con il rischio di alterare la libera concorrenza”.

ritenuto che:
– occorre avere ben presente che si parla di soggetti privati che hanno in gestione un bene pubblico e che a determinare l’importo che le aziende versano alle Regioni concorrono due fattori: un canone relativo alla superficie di territorio dato in concessione e uno commisurato alla quantità d’acqua emunta o imbottigliata;
– ciascuna Regione applica criteri diversi, anche in base al tipo di contenitore utilizzato;
– le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-regioni nel 2006 invitano gli enti locali ad applicare entrambi questi parametri, eppure ancora oggi Sardegna e Puglia prevedono il versamento del solo canone legato alla concessione di suolo pubblico: per la prima ammonta a 41,06 euro per ettaro e per la seconda a 149,50 euro “per ogni ettaro o frazione di ettaro” in concessione;
– di fatto le aziende pagano cifre che oscillano attorno a 1-1,5 euro per metro cubo: portare i canoni a 20 euro al metro cubo, ovvero a 2 centesimi al litro;
– è necessario un intervento tempestivo per permettere di avere più risorse da investire e consentendo alla Regione di dare in concessione a privati un bene pubblico facendolo fruttare adeguatamente,

chiede di interrogare il Presidente della Regione e l’Assessore regionale dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale per sapere:
1) se siano a conoscenza di quanto esposto e del fatto che in assenza di una regolamentazione nazionale le regioni hanno la massima libertà sulle modalità di applicazione del canone (in ettari, per unità di volume, per unità di volume imbottigliato) e il prezzo da applicare;
2) quali misure intendano mettere in campo per applicare un canone uniforme e più elevato per consentire alla Regione di avere degli introiti maggiori che si traducono in risorse da poter vincolare in investimenti sul territorio isolano a favore della tutela degli ecosistemi acquatici.

Cagliari, 25 novembre 2022

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