Versione per la stampa http://www.consregsardegna.it/wp-content/plugins/print-o-matic/css/print-icon-small-black.png

Resoconto della seduta n. 1001 del 28/04/2018

Seduta informale del 28 Aprile 2018

Manifestazione celebrativa de Sa die de sa Sardinia e dei 70 anni dalla promulgazione dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna

Presidenza del Presidente GANAU

PRESIDENTE. Presidente Pigliaru, onorevoli colleghe e colleghi, assessore e assessori, ospiti tutti, permettetemi prima di tutto di dare il benvenuto ai nostri conterranei sparsi per l'Italia che oggi hanno voluto essere qua insieme a noi per celebrare "Sa Die de Sa Sardigna", giornata della festa nazionale dei Sardi, che proprio questo Consiglio Regionale ha istituito nel 1993 con la legge n.44.

La classe politica di allora capì che la Sardegna aveva bisogno di una sua festa nazionale per unire idealmente l'isola intorno a valori condivisi e scelse quella lontana data del 1794 per il significato simbolico di quell'evento storico che narra di sardi che dopo secoli di rassegnazione, di acquiescenza, di obbedienza, di inerzia, per troppo tempo usi a chinare il capo, subendo ogni genere di soprusi, di sfruttamento, con un moto di orgoglio, di dignità e di fierezza decidono di dire basta.
"Fu un momento esaltante - scrive Lilliu - il tentativo di ottenere il passaggio da una Sardegna asservita al feudalesimo a una Sardegna libera, fondando nell'autonomia, nel riscatto della coscienza e dell'identità di popolo una nuova patria sarda, una nazione protagonista".
La festa nacque con fortissime resistenze, come il nostro Statuto d'altronde, ma oggi possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che è la festa di tutta la comunità sarda.

Sono trascorsi quasi venticinque anni da quell'atto legislativo e forse è anche tempo di valutazioni e rendiconti, come sostiene qualcuno, ma soprattutto è tempo di riflettere sul significato profondo di questa giornata che va al di là dell'affermazione di un'identità sarda, riconosciuta nella lingua e nel valore delle tradizioni e della cultura, ma vuole essere un monito per la Sardegna e per tutta la comunità sarda affinché si faccia artefice del proprio destino e futuro, affinché riaffermi nell'agire quotidiano e soprattutto nell'agire politico la sua autonomia, la sua specialità, oggi più di ieri necessaria in un sistema di poteri modificato dove il nostro interlocutore non è più solo lo Stato centrale ma anche l'Europa, a volte madre e a volte matrigna.

Sa die de sa Sardigna non va vissuta guardando al passato come un evento puramente commemorativo ma come un obbiettivo a cui tendere, indissolubilmente legata al nostro stato giuridico di regione autonoma, al nostro Statuto di autonomia dei quali quest'anno celebriamo il Settantesimo.

Come abbiamo affermato la nostra è un'autonomia giovane se paragonata ai millenni della nostra storia, un'autonomia di cui possiamo essere orgogliosi perché, nonostante le difficoltà e quelle che oggi definiamo forse con un po' troppa faciloneria, scelte sbagliate, sono stati settant'anni di straordinario avanzamento economico e sociale per la nostra terra che si affacciava povera e sfruttata all'alba della Repubblica italiana democratica e antifascista.

Ma soprattutto quello dell'autonomia è un percorso che va ancora perseguito e costruito con un'assunzione di responsabilità collettiva che veda lavorare insieme istituzioni, associazioni, scuole, università e finanche singoli cittadini, che parte dalle potenzialità di ciascuno di noi e che si deve specchiare e confrontare con il valore simbolico di Sa die de Sardigna, che ci invita a compiere ogni giorno una rivoluzione.

E così, sotto la mia presidenza abbiamo scelto di compiere ogni 28 aprile atti dal forte valore non solo simbolico che vanno a segnare un passo importante nella vita della nostra comunità.
Voglio ricordarli:

nel 2015 il Consiglio affermò nella sua interezza il no della Sardegna ad ospitare il deposito delle scorie nucleari, un no che rimane fermo oggi come e più di ieri perché l'unità di una comunità è data dalla propria cultura, dalla propria lingua ma anche dalla propria terra e soprattutto dalla sovranità e dalla libera scelta sul modello di sviluppo che a questa vogliamo dare.

Nel 2016 si riunivano in quest'aula per la prima volta nella storia, le assemblee di Corsica e Sardegna convinte che di fronte a politiche sempre più centralistiche, solo un percorso comune possa portare al rispetto e al riconoscimento di diritti paritari nei confronti dei propri Stati e dell'Europa tutta e possa portare ad un futuro di prosperità per le nostre isole.

Sardegna e Corsica hanno vissuto situazioni storiche e politiche simili, caratterizzate da dominazioni straniere, da imposizioni, angherie e soprusi, ma hanno mostrato la forza di essere un popolo che sa unirsi e ribellarsi quando le dominazioni hanno generato ingiustizie non più tollerabili.
Situazioni storiche che, ancora oggi, rappresentano riferimenti utili ed indicano la strada di una moderna sovranità, compatibile con i principi fondanti l'Europa dei popoli e con quelli caratterizzanti un moderno federalismo democratico.

Nel 2017 in questa giornata solenne tutte le regioni d'Italia si sono interrogate qua in Sardegna sul futuro del regionalismo nel quadro incerto venutosi a creare dopo l'esito negativo del referendum costituzionale. E da quest'aula ancora una volta la Sardegna come settant'anni fa, insieme alle altre regioni a statuto speciale, si è messa alla testa del movimento regionalista riaffermando senza timore il valore della propria specialità e la necessità di un reale e convinto decentramento politico e amministrativo proprio di ogni ordinamento autonomistico evoluto.

E oggi nel 2018 il Consiglio ha deciso di proseguire questo percorso, approvando il riconoscimento come inno della Sardegna il componimento musicale noto come "Procurare 'e moderare" di Franciscu Ignazio Mannu, inserendolo all'interno della legge n.10 del 1999 con la quale venne adottata la bandiera della Regione Sardegna.

Il riconoscimento ufficiale dell'inno, accanto a quello della bandiera contribuisce per il suo significato storico e simbolico, per il valore del testo letterale, a sottolineare i caratteri dell'autonomia speciale della Sardegna e ad accentuare il senso di appartenenza dei sardi a un comune territorio che deve essere sinergicamente governato al difuori di ogni logica di sfruttamento e di diseguaglianza e avendo come obbiettivo il rispetto , la cura e la valorizzazione delle peculiarità che lo contraddistinguono e lo sviluppo delle potenzialità che possiede.

Settant'anni fa in seno alla Repubblica democratica alla Sardegna veniva riconosciuta la dignità di Regione a statuto speciale, veniva data autonomia nel governo della propria vita comunitaria. Oggi questa regione riafferma la sua autonomia istituzionalizzando quello che già tutti i sardi hanno cantato e riconosciuto come proprio inno.

E stasera la prima esecuzione ufficiale dell'inno la dedichiamo ai nostri conterranei che numerosi sono presenti in questa aula e attraverso loro a tutti quelli che popolano l'Italia e il mondo senza mai dimenticarsi la loro terra. Quella dell'emigrazione sarda è la storia di un popolo che ha dovuto lasciare la sua terra in cerca di un futuro migliore ma è soprattutto la storia di vite incredibili, difficili e combattute ma spesso di grande riscatto.

Dall'insularità discendono indubbiamente profili di peculiarità identitari, ambientali da valorizzare e declinare in positivo ma, è evidente, che tale condizione comporta, rispetto al territorio della penisola, l'impiego di maggiori risorse per assicurare alla comunità pari opportunità in termini di sviluppo e oggi come ieri sono tanti, troppi i sardi che emigrano non per scelta ma alla ricerca di un futuro. E allora dico che sbaglia chi minimizza il significato della battaglia per il riconoscimento in costituzione del principio d'insularità, questa è un battaglia identitaria che deve diventare una battaglia di popolo per coinvolgere e convincere tutti i sardi.

Ci sono ancora troppe remore nei partiti e in alcuni settori della società civile rispetto a questo percorso e credo sia un errore non cogliere sino in fondo il significato politico di questa battaglia.

Il tema non è se il referendum che hanno sottoscritto oltre 90 mila sardi avrebbe portato poi ad un risultato automatico, ma era semplicemente l'esigenza di tenere alta la tensione per arrivare a far esprimere i sardi su quello che altro non è che il riconoscimento di un diritto.

Oggi proponiamo un nuovo percorso, condiviso dalla FASI, una legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare che non a caso abbiamo scelto di portare avanti anche a livello nazionale, nonostante servano soltanto 50 mila firme che saremo stati in grado di raccogliere tranquillamente solo in Sardegna, perché l'obiettivo è quello di ottenere un diritto egualitario che l'Italia deve riconoscere alla Sardegna e alle isole minori.

Abbiamo una storia da scrivere e possiamo farlo tutti insieme, gli emigrati e i sardi "rimasti a casa". Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la Presidente della FASI.

MASCIA SERAFINA, Presidente della FASI. Saluto e ringrazio innanzitutto il Presidente del Consiglio regionale, dove ci troviamo, che ci ospita, e che ha voluto incontrarci e portarci nel luogo dove i nostri rappresentanti del popolo sardo lavorano e decidono per la Sardegna determinando leggi, determinando regolamenti che poi incidono sulla vita di tutta la popolazione sarda, ognuno con la propria diversità, come abbiamo visto oggi in questa discussione, con le proprie opinioni messe a confronto ma che alla fine, in una sintesi, producono qualcosa per la Sardegna, per il bene della Sardegna, noi crediamo in questo. Saluto il Presidente della Regione e gli Assessori della Giunta regionale che poi attuano queste indicazioni e portano avanti la vita della nostra Sardegna. Oggi si è approvato l'inno sardo, ogni regione, ogni nazione ha le componenti che si traducono nell'esistenza di un popolo, nell'esistenza di un territorio dove si vive, una bandiera, un inno. Oggi abbiamo completato con l'inno, noi siamo qui oggi come emigrati, una parola che vuol dire "fuori dalla Sardegna", ma siamo popolo sardo, facciamo parte di questo popolo, non risiediamo qui ma portiamo fuori dalla Sardegna la sardità, portiamo i nostri valori, la nostra terra. Oggi è una giornata importantissima, ci sono alcuni anniversari che coincidono, li avete ricordati tutti, ne aggiungo un altro: in questo anno si chiude il centenario della Grande Guerra e il nostro pensiero va a chi 100 anni fa ha fatto nascere col sangue e col sacrificio nelle trincee del Carso, nei luoghi del Veneto, l'idea di un popolo unito, di un popolo unito che si difende, combatte e vince. Ricordo questo anniversario, fra un mese c'è l'anniversario della battaglia del solstizio dove furono presenti, e fu la battaglia decisiva per la fermata dell'avanzata verso Venezia e quindi verso la perdita di un importante territorio italiano, in quella giornata combatterono due personaggi che sono alla base di questa autonomia: Emilio Lussu e Attilio Deffenu, che proprio in quei luoghi perse la vita. Noi che siamo un po' conosciuti come coloro che celebrano le ricorrenze chiuderemo questo centenario proprio a Musile, Fossalta, Meolo dove morì Attilio Deffenu, il 22 e 23 ci sarà un convegno, insieme alla Regione Veneto, su questo grande uomo, un grande uomo noto anche in Veneto, e diciamo che il nostro lasciapassare su queste regioni è proprio la Brigata Sassari, quindi centenario della Grande Guerra che ha costituito, come anche nei giorni scorsi, in alcune conferenze in cui si ricorda la grande guerra, nelle terre dove fu combattuta, conquistò un credito per la Nazione italiana per quello che aveva fatto, un credito che viene saldato nel '48 con la promulgazione dello Statuto a cui era presente proprio Emilio Lussu che su quei fronti aveva combattuto e che ha raccontato la guerra non solo ai sardi ma tutta l'Italia, con l'umanità, i valori di solidarietà, i valori di accoglienza che sono rimasti in quelle terre. Io rappresento e ho l'onore di rappresentare il mondo dell'emigrazione, il mondo che vive in Italia, ma in questo momento siamo anche delegati a rappresentare il mondo che vive fuori, in Europa e nel mondo. Dicevo prima le tre componenti: quella di un popolo, la storia dello Statuto Sardo, quello che è successo dopo, è legato strettamente alla nostra storia. Lo Statuto sardo viene dato per valorizzare, per sollevare proprio la situazione di sottosviluppo che aveva la Sardegna, leggendolo è uno Statuto molto agile che contiene dei titoli che vanno però svolti, altri meno, perché dico che la nostra storia è legata a questo? È legata alle scelte, uno dei primi riconoscimenti della proprietà sarda ad esempio riguarda le miniere e le cave nel '48, nel patrimonio che viene messo a bilancio, vengono dati alla Regione Sarda questi elementi, in quel momento c'era una grande realtà lavorativa, c'era il lavoro. Alcuni anni dopo le miniere chiudono, i minatori emigrano, emigrano perché richiesti dalle altre nazioni europee per le miniere che vengono considerate più produttive. Partono senza nessuna preparazione, portati in base a degli accordi che non conoscevano e che sopportano, ma questo fa parte non solo della storia sarda ma di tutta la storia della migrazione mineraria. Nel frattempo arriva il Piano di Rinascita, Piano di Rinascita che fa delle scelte, la Sardegna avanza, devo dire che molto è stato impegnato nell'avanzamento culturale della Sardegna con l'alfabetizzazione, la possibilità di frequentare le scuole superiori, le lauree e così istituzionalizzare la preparazione culturale. Vengono fatte delle scelte che hanno dato del respiro con l'industrializzazione, hanno dato reddito anche alla Sardegna, poi questa scelta si chiude e c'è una nuova emigrazione, qualcuno era già rientrato. Questo popolo che sta fuori si è adattato, è entrato in altre realtà di regioni italiane che non erano straniere e per questo non erano da meno nella diffidenza, nella non accoglienza, ma erano visti come forza lavoro e il lavoro è il leitmotiv delle migrazioni anche in Sardegna. La Regione Sardegna, grazie alla sua autonomia, può intervenire in supporto e assistenza degli emigrati perché essendo una Regione autonoma può inviare soldi all'estero, può inviare risorse da impiegare nell'assistenza all'emigrazione. Nascono così le organizzazioni che partono però dal basso, partono dagli stessi emigrati che cercano nella propria aggregazione, nel proprio stare insieme, un conforto, un aiuto ma anche una presa di coscienza della propria posizione, dello stato di sfruttamento al quale sono sottoposti e ai diritti: il diritto alla casa, il diritto alla costruzione e alla possibilità di far vivere una famiglia in un ambiente diverso, con una lingua diversa e reclamano quindi il proprio diritto ad avere i compensi e ad avere il costo sociale, familiare e personale che questa emigrazione comportava, non solo alla Sardegna, ma che comportava a questa storia di individui che è sempre vissuta in privato, non era e non è ancora oggi studiata come un fenomeno, l'emigrazione è una componente economica della Sardegna. In quel periodo, oltre alle risorse interne della Sardegna c'erano le rimesse, i vecchi direttori del Banco di Sardegna possono testimoniare quanto di questo danaro all'estero arrivava per la Sardegna. È stato impiegato per costruire le proprie case, per mettere a posto i paesi, per aprire le prime attività imprenditoriali. Tutto ciò che si è imparato si è riportato qui. La Regione arriva a definire una legge, la legge del '91 che riconosce la "sardità" quindi l'appartenenza al popolo sardo che continua negli emigrati, soprattutto nelle seconde e terze generazioni legandola a sé con una legge che voi conoscete e che porta il problema dell'emigrazione in quest'Aula quando si discute di fondi e di economia. Noi ci teniamo a che siamo felici di questo momento che ci porta fuori da questo discorso e ci permette di stare con voi, di farvi conoscere che cos'è la nostra realtà, la nostra realtà è il popolo sardo fuori dalla Sardegna che ha sempre la bandiera pronta da far sventolare in qualsiasi occasione, in qualsiasi Nazione. È un insieme di competenze, di esperienze che possono essere utili alla Sardegna. È chiaro che il nostro apporto si raffronta con le vostre reali esigenze di coloro che vivono qui, sono problemi di emigrazione, che continuano e si evolvono. Continua l'emigrazione giovanile, non solo in Sardegna, ma in Italia, e c'è la globalizzazione del mondo, c'è la possibilità di stare connessi; rimane tra i tanti problemi il problema del lavoro, dal quale noi nasciamo e, per questo, facciamo riferimento all'Assessorato del lavoro. Perché sempre il lavoro che è la ricerca di se stessi, della propria felicità, del proprio futuro che porta fuori da quest'Isola, con grande rimpianto e con grande sofferenza.

L'altro grande problema che noi abbiamo affrontato da subito e abbiamo scoperto subito nel momento in cui siamo saliti su una nave e abbiamo dovuto percorrere questo ponte, per mare in quel periodo, e visto l'inadeguatezza di questo, visto anche lì le condizioni di disagio e di sfruttamento, abbiamo per primi sollevato il tema dell'Isola non solo isola e di tutte le sue possibilità felici, ma di un'isola che può dare molto di più e può avere molto di più se è collegata giustamente e direttamente con il resto della penisola, e quindi dell'Europa. Il problema dell'insularità è il nostro problema. Quarant'anni fa occupavamo i porti, facevamo le manifestazioni, l'ultima l'abbiamo fatta negli aeroporti, qua, per la continuità territoriale aerea. Dal 2015 non esiste più la Ct2, siamo stati in Commissione europea e abbiamo portato lì il nostro problema, dove ci è stato chiesto che non potevamo chiedere di risolvere questo problema sul principio della sardità, o di appartenere al popolo etnico, ma di un principio di insularità, questo nel 2008. Oggi la battaglia continua, deve essere mantenuta perché per noi questo è il grande problema: l'isola è connessa con il mondo, è connessa con tutti i mezzi di comunicazione, ma questi non sono sufficienti. Il costo che il trasporto, il trasporto e tutto ciò che comporta il non poter andare e venire dall'isola quando si vuole, è molto alto. È molto alto per chi ci abita, è molto alto per chi vuol venire, è molto alto per l'economia sarda. Quindi, la battaglia che noi oggi riteniamo ancora attuale e importante, e per questo siamo a fianco - come sempre nelle grandi vertenze sia per il lavoro sia le vertenze politiche dei diritti - al vostro fianco, mettendo a disposizione quello che abbiamo creato fuori dalla Sardegna: i nostri contatti, il valore che noi abbiamo nei territori dove operiamo, per cui vogliamo portare a questa battaglia tutti gli italiani. Gli italiani che conoscono la Sardegna, attraverso di noi, noi: portiamo identità sarda; portiamo però anche una storia di accoglienza, di integrazione che vorremmo fosse sentita, messa nei libri di testo, usata. Perché forse può servire anche per affrontare l'altro grande problema che sembra insormontabile oggi, per la società italiana, che è quello dell'immigrazione. Le migrazioni sono sempre date da necessità, ma anche dal desiderio di affermarsi di provare e questa è alla base anche dell'emigrazione dei nostri giovani oggi. Ci saranno momenti in cui approfondire questi discorsi ,anche alla luce di tutte quelle che possono essere, che conosce benissimo il nostro Assessore al lavoro, il futuro delle nostre organizzazioni. Noi siamo oggi una rete diffusa nel mondo, una rete organizzata che partendo da una situazione di crisi, da una situazione di sofferenza, da una situazione di avventura, di sforzi - che continua - e dove vediamo dei giovani che oggi per affermare il valore della propria competenza, conquistato in Sardegna in università o studi ottimi, affrontano coraggiosamente anche loro l'ignoto e vanno a cercare questo fuori dalla Sardegna. Chiaramente, il primo obiettivo è che questo avvenga il meno possibile, ma poiché questo non è possibile, come non è stato possibile per noi tutti ritornare qui, vogliamo mettere la nostra rete, la nostra rete e la nostra Sardegna fuori, vogliamo consolidare aggiornandola sicuramente, trovando delle altre modalità più rispondenti alle esigenze di oggi e a tutti i cambiamenti che ci sono stati. Per questo chiediamo la vostra attenzione, chiediamo la vostra attenzione perché si ponga alla discussione e non solo le risorse finanziarie ma tutto ciò che riguarda e che noi possiamo e riportiamo in questa Sardegna.

Concluderei, quindi, tutti questi temi lascio aperti e spero che questo sia un incontro che ci apre il contatto diretto con chi decide, con chi discute, come abbiamo visto oggi animatamente ma poi arriva a un progetto e a una conclusione, apra la porta a questo confronto. Oggi, tutti in Sardegna hanno dei figli che vanno fuori, il problema dei trasporti vuol dire anche far sì che questo legame non ce li porti troppo lontano, oggi penso alle nonne via web, alle nonne che incontriamo negli aeroporti che stanno andando a toccare, conoscere, prendere in braccio i nipotini che nascono da questi ragazzi coraggiosi che vanno fuori a cercare il proprio futuro e che avrebbero voglia anche di tornare. Questo lo affidiamo a voi e questo è il vostro compito. L'insularità non deve essere impedimento che questi legami non si possano continuare e non si possano concretizzare.

Noi abbiamo creato questa rete e chiediamo che continui, chiediamo che sia sempre all'attenzione, siamo - come sempre - al fianco vostro, in tutte in tutte le lotte. Perché noi vogliamo continuare a tenere i legami con i nostri territori, con i nostri paesi, e l'altro grande problema dello spopolamento che abbiamo contribuito anche a creare: abbiamo in Sardegna il nostro patrimonio di case aggiustate con sacrificio, ma oggi vuote perché non siamo tornati. Vogliamo metterle a disposizione della comunità sarda, perché ne faccio un uso anche proficuo di una diversa accoglienza, magari a disposizione di coloro che - seconda, terza generazione - che vogliono mantenere il legame con la Sardegna e venire a visitarla e quindi avere un luogo dove andare, il Paese da cui è partito il proprio padre.

Per una nuova progettualità noi crediamo che si debba ritornare sui territori, sulla realtà che conosciamo e con la quale, anche se ce ne siamo allontanati, abbiamo mantenuto un legame sia di tipo istituzionale, sia di tipo emozionale. In fatto di affetti, di amicizie, di legami familiari e parentali. Quello che abbiamo imparato, anche dai giovani sardi di nuova emigrazione, ma anche da quelli di seconda e terza generazione, è che l'identità e l'appartenenza rimangono e sono il punto di forza, ma possono intrecciarsi con altri identità e altre culture in uno spirito di apertura e di accoglienza. Noi portiamo la nostra economia, portiamo la nostra cultura e i nostri valori e abbiamo creato una sardità, che non è solo legata al territorio, che non è residente in Sardegna, ma è sparsa nel mondo, ma è Popolo Sardo.

Viva la Sardegna, viva il Popolo Sardo.

PRESIDENTE. Grazie. Adesso gli interventi dei Capigruppo.

Ha domandato di parlare il consigliere Attilio Dedoni. Ne ha facoltà.

DEDONI ATTILIO (Riformatori Sardi). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, onorevoli colleghe e colleghi, mi sia consentito dal giorno della celebrazione di Sa die de sa Sardigna, festa nazionale del Popolo Sardo, di salutare con stima ed amicizia s'attera Sardigna, la rappresentanza degli emigrati sardi de su disterru non è fatto puramente casuale quanto piuttosto la necessità di vedere riabbracciarsi i fratelli sardi residenti con quelli immigrati nel giorno in cui si rende onore all'isola e si celebra la ricorrenza annuale che esalta la Sardegna e tutti i sardi, ovunque essi siano. Questa è la testimonianza di una Nazione non Stato, fiera di se stessa anche nel ricordo di essere stata uno Stato e di aver offerto la possibilità al Regno d'Italia prima, e quindi all'attuale Repubblica italiana, di trasmettere la propria statualità. Ciò non di meno vi è la necessità di evidenziare lo stato di disagio sociale, di crisi economica e di mortificazione dell'autonomia che oggi i sardi e la Sardegna vivono; sembra perfino che le cognizioni geografiche non esistano più per chi deve amministrare, sia per la Repubblica italiana che per coloro che propongono gli orientamenti a livello di Unione europea, infatti non si riconosce l'insularità con tutti i gravami e tutte le mancate opportunità che da questa condizione derivano.

Siamo certamente fieri di essere una pietra fitta nel Mar Mediterraneo, di essere un ponte naturale fra il centro dell'Europa ed il Nord Africa, di unire continenti, di essere momento attrattivo tra diverse sponde del Mediterraneo, ma ciò impone una politica europea, italiana e sarda fatta di coerenza, di alti valori che propugnino una nuova possibilità di sviluppo e di occupazione, oltre che implementare la conoscenza fra i popoli. Abbiamo perso l'occasione delle autostrade del mare, parlo degli anni Ottanta, stiamo cercando oggi un'aggregazione interregionale di livello europeo con la Corsica, e riterrei che nella storia passata, quella della corona di Aragona - lo dico perché il presidente Pigliaru ha aperto alle Baleari -, corona di Aragona in cui Barcellona, Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia e Napoli rappresentavano insieme la via principale dei commerci del mare, possa essere con la giusta fantasia e la ferrea volontà di ricercare il nostro essere in un nuovo progetto che ci accomuni e ci possa far superare la linea di sbarramento che ci ha impedito finora una correlazione verso nuove possibilità di sviluppo. In quest'anno ricorre il settantesimo anniversario dello Statuto di autonomia, che, al di là delle celebrazioni, ci interpella circa la capacità dell'azione politica che si è svolta, non solo verso la ricerca di una via nuova e di uno slancio verso il riscatto sociale ed economico, ma effettivamente se il popolo sardo è stato capace e all'altezza di auto amministrarsi, di porsi in una posizione di rilievo, di utilizzare al meglio quelle che sono state le risorse che sono arrivate nella nostra Sardegna. Vorrei che ciascuno di noi, quali rappresentanti del popolo sardo, riflettesse sulla bontà della nostra azione politica e se sia stato fatto tutto il giusto e il possibile, anche con un confronto serrato e duro, se necessario, con lo Stato centrale che giammai ha assolto ai propri compiti, peraltro previsti dall'articolato dello Statuto di autonomia. E vorrei ricordare a tal riguardo che dobbiamo porci effettivamente in una condizione non di sudditanza ma paritaria; è stata ricordato in più di una circostanza, anche stasera, che i comitati Stato-Regioni vanno esaltati nella loro capacità di espressione e di dare spiegazioni delle norme sia nazionali che isolane.

Oggi si è approvato l'inno che dovrebbe unire tutti sardi nel mondo, ma questa terra che comunque sia è aspra e forte nella sua tenacia e nei secoli mantiene l'idealità di terra del mito, vorrei che così fortemente il Consiglio regionale riprendesse questa tematica, che non è il mito in sé, è la storia della Sardegna, è ripercorre vie nuove. Al presidente Ganau, al Presidente della Regione faccio l'invito che quando incontra ancora una volta i responsabili dell'Egitto ricordi quelli che sono i legami, le farò avere tutte le cartelle e il perché lo stesso Governatore di Luxor chiese di incontrare i sardi e del perché una delegazione del Consiglio regionale lì si è recata e ha stipulato una convenzione che è stata anche esaltata (…) per cui sono importanti anche queste aperture, perché essendo effettivamente una terra in mezzo al Mar Mediterraneo possiamo agire e utilizzare tutte le forze possibili e immaginabili per avere uno sviluppo più intenso e che risponda alle nostre necessità.

La speranza mai abbandoni il nostro popolo, cosicché l'Isola del mito si rinnovi nella pienezza della realtà come territorio e patria di nuove conquiste sociali, economiche e civili. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Paolo Truzzu.

TRUZZU PAOLO (Sardegna). Signor Presidente, signori Assessori, onorevoli colleghi e colleghe, cari conterranei, siamo qui a celebrare i settant'anni dallo Statuto sardo, settant'anni di autonomia della Sardegna. E' un compleanno importante e credo che sia la giusta occasione per dire che dell'autonomia non ce ne facciamo niente, non perché non ne abbiamo bisogno, non perché la nostra specificità non sia insita nella natura dei sardi, sia quelli che vivono oggi in Sardegna sia quelli che stanno fuori, ma semplicemente perché noi non abbiamo chiaro cosa vogliamo fare della nostra terra, e di conseguenza dell'autonomia non sappiamo che farcene. La nostra impressione personale, confermata da questi quattro anni di legislatura, è che l'autonomia sia un po' come il vestito delle grandi occasioni, da indossare un giorno e poi riporre subito nell'armadio per non rovinarlo, per non stropicciarlo, tant'è vero che quanto previsto dallo Statuto ha avuto così poca realizzazione nella pratica politica sino ad oggi - sembra quasi nuovo -, per non averlo sfruttato appieno però smettiamola di dare le colpe ad altri, a Roma, ai Governi che si sono succeduti, a sos istranzos in generale.

E' vero, cari colleghi, che abbiamo appena votato come inno Procurade 'e moderare, ma smettiamola di elemosinare riguardi e clemenza fuori dalla Sardegna, giusto per non assumerci la nostra responsabilità. In questi settant'anni, e negli ultimi più che mai, è mancata una visione prospettica di quello che doveva essere la Sardegna, si è vissuto alla giornata, in continua emergenza, senza progettare il futuro; tutta l'autonomia del mondo non può nulla se a frenarla è la mancanza di una visione più ampia che ci faccia vedere al di là del nostro naso, che ci faccia chiedere prima chi siamo e dove vogliamo andare. Con lo Statuto noi abbiamo avuto una bella macchina che non ci ha portato da nessuna parte perché a noi per primi era sconosciuta la meta che avremmo voluto raggiungere; un'auto bella ma inutile perché la guardiamo ferma in garage come stiamo facendo qui oggi, la tiriamo a lucido nelle ricorrenze e pretendiamo che le sia fatto da Roma il pieno di carburante, ma poi, una volta a bordo, non sappiamo dove andare e al massimo giriamo a vuoto. Abbiamo gli strumenti, abbiamo l'orgoglio di appartenere a una terra unica e preziosa, decidiamo finalmente quale futuro vogliamo per lei, per i nostri figli, per i nostri nipoti, per i cittadini sardi e che per chi sardo vuole diventare.

Oggi dovremmo chiederci a cosa serva l'autonomia, se ad esempio la qualità della salute che offriamo ai nostri cittadini non è omogenea in tutta l'Isola, se ad esempio c'è un reparto in un ospedale del centro Sardegna in cui manca un computer da tre mesi e tutto si registra a mano, a cosa serva l'autonomia se chi lavora e mantiene viva la nostra terra ha la ragionevole sensazione di sentirsi ai margini del "progetto Sardegna", a cosa serva l'autonomia se accettiamo chi saccheggia, deturpa e inquina, e chi invece produce, trasforma, inventa e rinnova la nostra tradizione culturale, agricola e artigianale si sente figlio di un dio minore. A cosa serva l'autonomia se chi per studio, per lavoro, salute o più semplicemente per inseguire un sogno, un'opportunità si trova sempre più spesso impossibilitato a varcare il Tirreno. Oppure se chi vuole fare del turismo un progetto di vita un modo per raccontare se stesso e la propria comunità non ha la possibilità di far arrivare la materia prima: i turisti. A cosa serva se l'autonomia se i primi cittadini amministratori comunali delle nostre comunità, anche oggi, anche oggi, non hanno più la possibilità di dare risposte e sono sempre più spesso sotto scacco di alcuni violenti. A cosa serva l'autonomia se non siamo in grado, o meglio, se siamo in grado di offrire un progetto di vita e di speranza ai disperati della sponda meridionale del Mediterraneo che scappano spesso da violenza e miseria ma non siamo in grado di offrirlo ai nostri giovani e meno giovani, che qui non vedono un futuro per loro e sempre più spesso abbandonano l'Isola. A cosa serva l'autonomia se non siamo in grado di organizzare le nostre finanze locali e garantirci le risorse per esercitare i nostri diritti e garantirli ai nostri concittadini. A cosa serva l'autonomia se in un paradiso come il nostro formare una famiglia, mettere al mondo un bambino somiglia sempre più a una vincita, un terno al lotto che una reale opportunità, dare un futuro a loro, a questa terra è il nostro compito e noi siamo qui per questo, ma per farlo dobbiamo avere le idee chiare prima ancora che la volontà e i mezzi. Sapere che cosa vogliamo conservare cioè cosa vogliamo salvare e mantenere insieme di questa terra, sapere che cosa deve diventare la Sardegna nei prossimi venti, trenta o cinquant'anni, perché dell'autonomia dello Statuto senza politica non ce ne facciamo niente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il consigliere Daniele Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO DANIELE (SDP). Grazie Presidente, un caloroso saluto, un fraterno abbraccio alla Federazione dei sardi in Italia e non solo. Io credo che se non vogliamo ridurre l'incontro di oggi a un momento di pura liturgia dobbiamo fare nostre le istanze che ben ha rappresentato la presidente Serafina. Perché credo che ci abbia detto delle cose che sono importanti e sulle quali noi, come organo legislativo di questo Consiglio e la Giunta come organo esecutivo, non possono che tenere in conto. L'insularità non può essere quella condizione che nega dei principi ineludibili sanciti dalla Costituzione, che sono i principi di equiparazione e di perequazione; io sono molto contento e vi fa onore che voi oltre che portare la sardità nel mondo partecipiate a questi processi, a questa voglia che non è solo una voglia, ma deve avere un punto di caduta pragmatico del riconoscimento dell'insularità. E credo che il vostro apporto sia un apporto fondamentale; noi tutti a prescindere dalle appartenenze politiche ci siamo messi a correre e siamo dentro questa battaglia, e su questo io ringrazio Attilio Dedoni, in rappresentanza del partito dei Riformatori, che per primi hanno iniziato questo percorso che ci vede tutti insieme.

Le celebrazioni de Sa die de sa Sardinia quest'anno vedono in prima fila la ricorrenza dei 70 anni dello Statuto. Ha detto bene il compagno Paolo Truzzu un attimo fa parlando di autonomia che non serve se poi la politica non la fa servire. Però io credo che in questi settant'anni dobbiamo assumerci tutti delle quote di responsabilità importanti, soprattutto se quel rapporto con lo Stato non ha portato benefici al nostro popolo. E il nostro popolo non solo i nostri compatrioti, i nostri conterranei che vivono su quest'Isola ma sono anche e soprattutto quelli che sono fuori da quest'Isola, e credo che su questo dobbiamo fare molto e riusciremo a fare qualcosa se insieme, spogliandoci da quelle che sono appunto le appartenenze, le ideologie, riusciremo finalmente in maniera unitaria a farci ascoltare, lo dico sempre, da uno Stato che è sempre patrigno o matrigna, se vogliamo utilizzare il genere femminile del termine. Ma le responsabilità sono davvero di tutti, credo che quello Statuto possa essere ancora attuale ma che va anche rivisto in alcune parti; ha detto bene la Presidente prima che alcuni titoli non sono stati svolti appieno o per niente, ed è proprio così. Non è possibile che quei nonni che devono oltrepassare il mare per andare ad abbracciare i loro nipoti abbiano dei limiti temporali per farlo, perché sanno che non possono andare quando vorrebbero andare, perché sono sempre condizionati da altri ostacoli, altri problemi che purtroppo ancora nonostante si stia cercando di affrontarli non riusciamo a risolvere.

Credo che da questo dobbiamo ripartire tutti insieme: la prima battaglia da fare secondo me è quella famosa, famigerata degli accantonamenti. Ma è mai possibile che la Sardegna, lo diciamo tutti da sempre, tutti gli anni lasci nelle casse dello Stato 800 milioni di euro? È possibile che nell'ultima finanziaria ci abbiano riconosciuto 15 milioni di euro? Non ci stiamo più, non dovremmo starci più! Perché la coperta continuerà a rimanere molto corta e noi non riusciremo a dare le risposte a quelli che sono i bisogni del nostro popolo, del nostro popolo in Sardegna, del nostro popolo fuori dalla Sardegna.

Davvero dovremmo fare tutti un bagno di umiltà, indugiare un attimino a pensare che comunque responsabilmente forse abbiamo sbagliato tutti e se ripartiamo da questo credo che davvero faremo un grande, un grandissimo favore, daremo un grandissimo aiuto ai sardi della Sardegna, ai sardi dell'Italia, ai sardi nel mondo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il consigliere Pietro Zanchetta. Ne ha facoltà.

ZANCHETTA PIETRO (Cristiano-Popolari-Socialisti). Grazie onorevole Presidente, presidente Pigliaru, signore e signori della Giunta colleghe e colleghi signore e signori della FASI, ma per provenienza, per radici per imprinting io vorrei richiamare un grande sardo, anche se di adozione, colui che amava Caprera come il beduino ama la sua tenda: Giuseppe Garibaldi. E cito Garibaldi proprio perché con Asproni il 14 marzo del 1862 presentò un'istanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, un memoriale sulla condizione disperata della Sardegna. Nel documento si denunciava apertamente il sistema politico accusato di colpevoli negligenze, strade e ferrovie inefficienti, giustizia male amministrata, organismi amministrativi assolutamente inadeguati ai bisogni della popolazione che erano il frutto di anni di malgoverno e a loro volta avevano generato lo strapotere di bande di assassini. I tre firmatari, c'era anche il deputato Sanna, accusavano in particolar modo il Presidente del Consiglio Rattazzi per l'avventatezza di alcune sue decisioni e lo invitavano a rimediare al più presto al male degli anni passati offrendo un pegno d'amore per la Sardegna. Che cosa si chiedeva in sostanza per l'Isola martoriata? Una migliore distribuzione dei tribunali, una Corte d'Appello indipendente a Sassari, una serie di opere pubbliche improrogabili che interessassero principalmente: strade, ferrovie e porti e una completa riorganizzazione dell'amministrazione pubblica, ripristinando tra l'altro la Provincia di Nuoro. Per la Provincia di Nuoro passarono 65 anni, dal 1862, quando Garibaldi inviò quella lettera al Presidente del Consiglio, per la linea ferrata soltanto 18 anni, però contro il pagamento di 200.000 ettari di terreni, mentre le altre ricche Regioni le ebbero gratuitamente, le giuste richieste provenienti dalla Sardegna trovarono in quei tempi - e diciamolo pure ai nostri giorni - la solita indifferenza di tutti i Governi democratici e non.

Mi pare che sia di strettissima attualità, è chiaro che io ho citato Garibaldi perché ho quelle radici, sono isolano, doppiamente isolano, il suo richiamo presidente Ganau al riconoscimento dell'insularità nei confronti del Governo italiano, nei confronti dell'Europa io non soltanto lo condivido, ma lo sottoscrivo come isolano al quadrato, che vive il doppio disagio o il valore maggiore di essere un isolano nell'isola.

Ma vorrei che questa condizione fosse considerata anche da chi, nel caso della Regione, deve esercitare un'attenzione maggiore delle isole minori. Detto questo, e per concludere comunque, richiamandomi all'inno che noi abbiamo votato, ho voluto citare Garibaldi anche per fare un omaggio al Mannu, in quanto Garibaldi fu cittadino onorario di Ozieri ed eletto deputato per il collegio di Ozieri e della Gallura, quindi un rappresentante autorevole della Sardegna in Parlamento, che io mi permetto di richiamare ancora una volta perché la sua lettera indirizzata a Rattazzi rimane ancora una lettera di strettissima attualità. Il presidente Pigliaru, nel richiamare i motivi di attualità dell'inno, riconducendolo alla nostra realtà politica e sociale, ha detto nel suo intervento che ribellarsi all'oscurantismo rimane sempre un motivo importante e valido. Ribelliamoci con forza a qualunque tipo di oscurantismo, presidente Pigliaru. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Gianfranco Congiu.

CONGIU GIANFRANCO (Partito dei Sardi). Rappresento le istanze di una parte di Sardegna e di popolo sardo che esprime un giudizio di inefficienza e di inefficacia del modello autonomistico, ed il giudizio di inefficacia e di inesistenza ci determina ad un'analisi, presidente Ganau, più che ad una celebrazione dei settant'anni, della rispondenza del modello autonomistico rispetto alle istanze che arrivano dal popolo sardo. E quali migliori parole, quelle pronunciate dalla presidente Mascia, per denunciare, con un occhio che arriva dal di fuori, l'inefficienza di un sistema che non riesce a regolare il diritto alla mobilità accontentandosi di una disciplina, invece, regolamentare di derivazione sovranazionale. Noi non siamo riusciti ancora a conquistare quello che viene da tanti definito diritto alla mobilità per chi come noi ha delle difficoltà, che non sono le difficoltà delle altre isole minori italiane, che non sono le difficoltà di Capri o di Ponza, sono le difficoltà di chi sta al centro del Mediterraneo e che per arrivare sulla terraferma pena le pene dell'inferno. In un modello europeo dove l'insularità viene tracciata nei trattati, ma non viene difesa o rivendicata dallo Stato italiano, è inutile ogni forma di appello affinché lo Stato italiano la riconosca, perché l'insularità è un diritto sancito a livello europeo che va semplicemente negoziato. L'autonomismo, rispetto alla pressione di questi temi, si è dimostrato inefficace; l'autonomismo, rispetto alle istanze del popolo sardo, non è quella prospettiva che noi possiamo tramandare alle generazioni future. C'è una quota di Sardegna che chiede maggiori poteri, c'è una quota di Sardegna che chiede l'apertura di un confronto perché in quest'isola arrivino o si sia destinatari di veri poteri, c'è una quota di Sardegna che invoca il rispetto del principio dell'autodeterminazione dei popoli. L'appassionata requisitoria contro l'autonomismo della presidente Mascia mi ha fatto venire in mente un ragionamento che ho rivisto stamattina su Youtube, ed è una delle ultime interviste, non di una pericolosa indipendentista, ma di un'autonomista convinta, che però sapeva cogliere il tratto di inefficacia e di inefficienza dell'autonomismo, ed è Nereide Rudas, non la cito perché c'è Tore Cubeddu qui a fianco, ma perché ha rappresentato un ragionamento declinato al femminile di una persona alla quale non si può dare dell'eversiva. Nereide Rudas diceva che l'autonomia della Sardegna è un'autonomia imperfetta. Perché diventi perfetta, completa e libera devono verificarsi tre condizioni: l'autocoscienza del popolo, l'elevamento culturale del popolo, e una profonda azione riformatrice. L'autonomia perfetta, completa e libera non è il modello attuale, è il modello statuale che la parte politica che io rappresento pone al centro della sua azione. In un momento in cui celebriamo i settant'anni di un modello che ha mostrato evidenti segni di insufficienza, apriamo una nuova fase ed interroghiamoci qual è l'epoca del post-autonomismo, noi la strada l'abbiamo indicata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Pietro Cocco.

COCCO PIETRO (PD). Io intervengo con piacere in questa giornata di festa della Sardegna, ancor di più oggi che abbiamo approvato l'inno istituzionale della Regione sarda, e lo faccio volentieri oggi con i nostri ospiti sardi che si sono allontanati dalla nostra terra, perché oggi sono qua a parlare con noi dei problemi della Sardegna e di quello che hanno dovuto attraversare quando hanno deciso di lasciarla. Ma diciamo così, che noi sardi parliamo di autonomia in tanti modi, lo facciamo con la consapevolezza di essere parte di un'isola bellissima che amiamo, il cui distacco forzato ferisce, parliamo di autonomia con sentimento, con passione e lo facciamo da molto tempo. C'è chi sostiene che la questione sarda nacque subito dopo il 1847, quando rinunciando alla statualità per la fusione, la Sardegna diventò una regione lontana e trascurata del nuovo regno. Io non so se sia proprio così, certo che trascurata e depredata lo fu davvero, così come precarie furono le condizioni di vita della popolazione, condizioni che non potevano che generare la necessità di nuove forme di autogoverno. Questa difficile situazione fu ancora più chiara nei primi anni del '900, e gli allora plausibili tentativi di dare vigore alla richiesta di autonomia furono sopiti dalla storia scritta della prima guerra mondiale e dal ventennio fascista, che soffocarono ogni velleità autonomistica, fino al 26 febbraio 1948, quando con legge costituzionale numero 3 fu emanato lo Statuto speciale della Sardegna.

Senza avere in pochi minuti la pretesa di analizzare a fondo il problema, credo sia giusto però dire che lo Statuto approvato, più che dettato dalle ragioni della politica, fu conseguenza di una condizione sociale ed economica difficilissima della nostra isola, di un territorio trascurato e marginale. Va però detto con altrettanta forza che lo Statuto ha rappresentato per la Sardegna un punto di riferimento importante, uno strumento che ci ha consentito di rivendicare con determinazione la nostra specificità e la nostra specialità. L'autonomia ci ha permesso di avere poteri decisionali sul governo della nostra isola e responsabilità che ci hanno aiutato a fare grossi passi in avanti rispetto alla condizione in cui la Sardegna si trovava subito dopo la seconda guerra mondiale. Ebbene, sono trascorsi settant'anni, e il nostro Statuto, come è stato detto, è giovane, ma appare evidente come le ragioni della nostra autonomia abbiano necessità di essere aggiornate e adeguate alle mutate condizioni politiche in Italia e in Europa, alle nuove esigenze di una società cambiata, alle crescenti disparità economiche della Sardegna con buona parte del resto d'Italia, e al rinato sentimento di un popolo, il popolo sardo, che ritiene di poter avanzare proposte nuove per avere maggiori poteri decisionali e diritti negati che meritano interventi urgenti che qualcuno pensa possano essere sintetizzati con la bandiera dell'insularità. Questo va bene, ma proprio perché va bene credo che ci sia bisogno di aggiornare i contenuti della carta autonomistica. Noi non ci siamo mai sottratti, come Regione, alle nostre responsabilità di parte di una nazione, lo abbiamo fatto concedendo enormi porzioni del nostro territorio per le servitù militari, così come continuiamo a versare cospicue risorse di denaro attraverso gli accantonamenti per partecipare al debito pubblico nazionale, argomenti sui quali è necessario e urgente rivedere il nostro rapporto con lo Stato. La giornata odierna sia l'occasione per far sentire alta la voce della Sardegna attraverso questa Assemblea regionale, che, fino a prova contraria, è la massima espressione politica della nostra terra e della sua gente. Facciamo in modo che passi con forza l'idea che lo Statuto autonomo è stato una grande conquista, ma, proprio perché è stato determinante per la crescita della nostra terra e perché siamo consapevoli del suo valore, riteniamo necessario procedere con una revisione e con un adeguamento in grado di rispondere alle richieste nuove dei tempi cambiati per far crescere e progredire la nostra Isola in un mondo sempre più globalizzato, per una società aperta e inclusiva capace di reggere le sfide nuove, entusiasmanti e difficili. Passano anche da qui gli interventi per il lavoro, per combattere lo spopolamento, e per dare ai giovani nuove prospettive. Ritengo che i tempi siano maturi per far sì che la Sardegna possa unire le idee, le forze per superare molti ritardi che penalizzano fortemente i suoi cittadini. Altre regioni d'Italia hanno saputo aggiornare le loro Carte autonomistiche migliorandole e adeguandole, alcuni regioni ordinarie del Nord hanno indetto referendum popolari per chiedere maggiore autonomia, così come altre regioni di Europa, nonostante abbiano approvato i loro statuti autonomi decenni dopo di noi, hanno aggiornato e provveduto da tempo a rivedere le condizioni del loro rapporto con lo Stato. Le norme contemplate e scritte settant'anni fa hanno avuto ed hanno tuttora un grande valore, ma appare chiaro come oggi abbiano bisogno di un aggiornamento adeguato ai tempi cambiati. Far sentire più alta la nostra voce in una giornata come quella odierna, nel giorno della festa dei sardi, istituita con legge regionale nel settembre del 1993, e nel giorno in cui abbiamo approvato l'Inno della Sardegna, può avere un forte significato, non solo simbolico.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la consigliera Alessandra Zedda.

ZEDDA ALESSANDRA (FI). Presidente, colleghe e colleghi, Presidente Pigliaru, signori Assessori, un saluto alle autorità presenti e ai gentili e graditi amici emigrati sardi; spero che oggi vi sentiate a casa, in questa casa che è anche la vostra come di tutti i sardi. Condividete con noi questa particolare giornata di festa, Sa Die de sa Sardigna, giornata di festa nazionale dei sardi. Piero Calamandrei disse: "La libertà è come l'aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare". Oggi celebriamo Sa Die de sa Sardigna, ma anche i settant'anni della nostra Carta costituzionale, ovvero lo Statuto Sardo, entrambi simboli di libertà, autonomia e radicale senso di appartenenza ad una terra, ad un popolo, in sostanza alla nostra storia. Mai sarà banale ritualità se si crede in un obiettivo, quello di dare risorse ad un popolo, ad un territorio. Lo Stato italiano oggi ci nega questa possibilità, di avere risorse giuste per tutto quello che la Sardegna ha affrontato e per quello che deve ancora affrontare, per quell'autonomia forte che reclamiamo. La battaglia per il riconoscimento dell'insularità, a partire dalla richiesta di modifica dell'articolo 119 della Costituzione, è appena iniziata, per poter avere l'autogoverno vero, decisivo e incisivo. Riprendiamo il cammino verso una nuova Sardegna, verso la prospettiva di un futuro diverso e la ricontrattazione del nostro essere autonomia consapevole all'interno dello Stato e anche dell'Unione europea. Credo con convinzione che la Regione sarda in quanto Istituzione debba riprendere i valori di unione, coesione e condivisione, che hanno spinto tutto il popolo a muoversi congiuntamente per rivendicare diritti di un'Isola che merita rispetto. Questo Consiglio ha l'obbligo di valorizzare questa ricorrenza, sottolineando le motivazioni che hanno spinto i sardi all'insurrezione. I sardi si sentono nuovamente sudditi di un Governo nazionale arrogante, disattento e distante dalle esigenze dei cittadini, e ciò limita inevitabilmente le opportunità di crescita di sviluppo economico e sociale. Non siamo disposti a fare un solo passo indietro sui temi dell'autonomia, della specificità, dell'autodeterminazione, e chi come noi ha responsabilità istituzionali e politiche, lo deve ai sardi per primi. Oggi come allora nel popolo sardo è maturata la consapevolezza dei nostri diritti, dobbiamo accettare la sfida proponendo una revisione del nostro Statuto che vada nel senso di una maggiore autonomia e autodeterminazione, aprendo una fase nuova, seppur difficile, di ricontrattazione con lo Stato, che dia risposte al mancato riconoscimento di diritti paritari rispetto al resto della nazione, mancato riconoscimento di diritti fondamentali che si configura nel deficit di infrastrutture, trasporti interni ed esterni, assenza di energia a basso costo, che impedisce di fatto lo sviluppo e la competitività. L'autonomia non è una domanda di assistenzialismo, ma è volta a fare la nostra parte, a guardare i nostri confini come all'inizio di un'opportunità come conquistatori e non come conquistati. Rivendicare i diritti del popolo sardo non è indice di un atteggiamento conservatore, ma è vera innovazione, vera rivoluzione, significa mettere in discussione rendite consolidate da tempo da parte di chi fonda le proprie fortune politiche ed economiche sulle condizioni di miseria altrui. Dello Statuto dovremmo tradurre il valore di ciò che significa per la Sardegna l'essere una Regione a Statuto speciale, con tutti i pro e i contro, anche alla luce dei recenti mutamenti politici, in particolare delle battaglie già iniziate nelle regioni del nord per raggiungere forme istituzionali volte all'autonomia. Uno Statuto autonomo ha l'obiettivo di avvicinare le istituzioni ai cittadini, sia al fine di sviluppare responsabilità amministrativa, sia al fine di rappresentare quelle che sono le esigenze e le peculiarità del territorio, in ordine alle sue caratteristiche economiche e culturali. Poche volte è stato modificato sostanzialmente il nostro Statuto, a me piace ricordare l'anno 2013, una bella pagina di autonomia nella quale il Consiglio regionale ha modificato l'articolo 10 del Titolo III, che oggi ci consente maggiore autonomia fiscale in termini di imposizione fiscale regionale. Colleghi, la sfida che ci attende è proprio questa, non aspettare che tutto ciò ci arrivi dall'altra parte del mare, non essere puri e semplici esecutori di ordini di scuderia di partito, ma protagonisti del cambiamento, pronti a concorrere con il contributo di passione e di coraggio, di generosità politica e di impegno per realizzare la nuova autonomia in Sardegna, il cambiamento inizia da noi, inizia tutti i giorni dell'anno. Concludo con un pensiero fortemente voluto; mi auguro, signor Presidente e cari colleghi e amici, e lo auguro a tutto il popolo sardo, che nei prossimi anni non ci sia più bisogno di festeggiare questa ricorrenza una volta all'anno, ma che festeggeremo la Sardegna, la nostra storia, la nostra identità per 364 giorni all'anno, giorni vissuti ad affermare ciò che vogliamo essere e fare, e non fare ciò che altri decidono per noi, e forse saremo in grado anche di dare delle risposte all'amico Paolo Truzzu, che oggi ha messo in seria difficoltà e in dubbio la nostra autonomia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.

PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. Signor Presidente del Consiglio Regionale, onorevoli Consigliere e Consiglieri, gentili e graditi ospiti della FASI, con cui abbiamo collaborato e continuiamo a collaborare con entusiasmo, gentili ospiti tutti, anche io toccherò alla fine di questa lunga giornata temi che sono stati già affrontati. Lo farò facendo quello che deve fare chi ha la responsabilità di governo. E avere la responsabilità di governo significa fare dei passi avanti in termini di proposte, di possibili soluzioni, di provare a tracciare una strada sulla quale poi chiamare l'unità per trasformare le proposte in atti. Ed è quello che farò in questo intervento, soprattutto sul tema dell'insularità. È la quinta volta che ho l'onore di intervenire in quest'Aula in occasione delle celebrazioni di Sa Die, e c'è un filo rosso che unisce queste celebrazioni, c'è nella mia personale esperienza, ma credo, anche nella coscienza collettiva di questa Assemblea e di ognuno dei suoi componenti.
Mi riferisco alla consapevolezza, certo condivisa da noi tutti, seppur con varianti inevitabilmente diverse, di aver utilizzato queste occasioni e altri momenti di discussione come i 70 anni dello Statuto sardo, per stimolare una più moderna capacità di elaborazione del senso dell'autonomia e della specialità, e oggi se ne è discusso molto, anche di chi parla legittimamente di post autonomia, sono temi importanti. E va riconosciuto che in tal senso tutte le forze politiche, in questi anni, hanno dato un contributo importante.
Il triennio rivoluzionario sardo nasceva da una rivendicazione nei confronti dello Stato, del governo piemontese. Una piattaforma declinata nelle "Cinque domande" elaborate dagli stamenti sardi.
Ci sono stati eventi storici: la resistenza, la tentata occupazione francese, la cacciata del Viceré piemontese e dei notabili dell'entourage, le iniziative di Giovanni Maria Angioy di ribellione al feudalesimo. La questione fondante di questi eventi, però, senza dubbio risiedeva nella mancata risposta alle Cinque domande, condensabili sostanzialmente nella richiesta di rispetto della Costituzione del Regno, dei diritti fondamentali e delle aspirazioni dei sardi.
Ho avuto già modo di dire qualche anno fa che non c'è migliore ricorrenza di questa che possa consentirci un contatto sostanziale tra passato e presente, per guardare allo stato di salute della nostra specialità e alle nostre nuove domande, con cui tenere alto lo sguardo verso il raggiungimento del pieno esercizio dei nostri diritti fondamentali.
Con il contributo di molti stiamo cercando di affiancare alla nostra capacità di autogoverno e di esercizio di responsabilità anche la possibilità concreta di esercitare poteri e competenze. All'avvio di questa legislatura abbiamo avuto modo di indicare nel tema della insularità la ragione permanente e il senso profondo della nostra specialità con la quale esercitare la responsabilità e proprio la nostra capacità di autogoverno. Abbiamo concretamente misurato anche in termini di mancato sviluppo come impatti la condizione di insularità sulle nostre vite, ma il limite più grande da superare non è finanziario, sta tutto - non ci stancheremo mai di ripeterlo - nella attuale carenza di strumenti normativi, soprattutto sovranazionali, che ci consentano di adottare politiche e azioni adeguate per sostenere la nostra crescita, il nostro sviluppo e per avere pari opportunità. È paradigmatico in questo senso quello che accade oggi con la nostra continuità territoriale, di cui così a lungo si è parlato. Come ho avuto modo di dire in quest'Aula davanti al Capo dello Stato, abbiamo dimostrato come e quanto tale diritto per i sardi sia un diritto fondamentale e quanto violarlo in toto o in parte leda il principio di uguaglianza. Due anni fa, con il Patto per la Sardegna, che ha dato diverse risposte concrete a richieste specifiche e ci ha fatto fare alcuni passi avanti importanti, abbiamo ottenuto che lo Stato per esempio cofinanziasse le azioni a supporto di questo diritto, ma era solo il primo passo e non il più importante. L'ostacolo principale con cui dobbiamo confrontarci, Regione e Stato centrale insieme, è che utilizzare quelle risorse in modo adeguato deve fare i conti con norme europee sulla concorrenza che fanno un'enorme fatica a riconoscere i problemi specifici di chi vive in un'isola periferica, anche per una lunga colpevole assenza di iniziativa in questo campo a Bruxelles da parte dello Stato italiano. Non è questo un giudizio polemico sull'Europa, la politica di coesione europea è stata ed è una importante conquista del processo di integrazione europea appunto, che permette ai territori di essere protagonisti delle proprie strategie di sviluppo e realizzare interventi destinati a migliorare la vita delle persone. Molto è stato fatto con i fondi europei sul fronte della modernizzazione e della competitività della nostra società, non dobbiamo dimenticarci di riconoscerlo, ma l'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che è la base giuridica della politica di coesione, declina l'obiettivo in tre dimensioni: economica, sociale e territoriale. E proprio quest'ultima, la dimensione territoriale, è per noi la questione più che mai aperta. La normativa sugli aiuti di Stato (e qui entro nella parte più propositiva) ingessa di fatto, come ho detto, i nostri margini di intervento e quindi limita lo stesso potenziale della politica di coesione che l'Europa finanzia. I tentativi di superare gli svantaggi strutturali e permanenti insiti nell'insularità periferica producono un continuo contenzioso con la Commissione europea. Lo ribadiamo, sono necessari dispositivi normativi specifici, calibrati sulle sfide dei territori insulari che tengano conto di fattori quali il bacino demografico, l'estensione territoriale, la distanza chilometrica e temporale dal Continente. Questo è quello che solo pochi giorni fa abbiamo ribadito insieme alle nostre grandi isole alleate e amiche (Corsica e Baleari) a Bruxelles, nell'importante Conferenza dell'Intergruppo parlamentare Isole, alla presenza della commissaria europea per la politica regionale Corina Cretu. In quella sede abbiamo fatto proposte concrete appunto, abbiamo spiegato come sia necessario garantire, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la più ampia flessibilità nella concentrazione dell'intervento dei fondi strutturali e di investimenti europei negli ambiti tematici in cui maggiormente si rilevano le sfide dei territori insulari: maggior libertà di concentrare risorse senza che nessuno detti agende che non sono adeguate ad aggredire i nostri problemi. Ciò permetterebbe infatti alle autorità di governo di queste regioni di introdurre nei propri documenti di programmazione obiettivi prioritari strettamente connessi ai loro problemi specifici; noi parliamo di trasporti, connettività digitale, reti energetiche, gestione delle risorse naturali. Abbiamo sollecitato inoltre l'adozione, nell'ambito della produzione legislativa, di una clausola di insularità incentrata sulla definizione di "regione insulare periferica" che, secondo me, ci distingue in modo significativo da altre regioni insulari meno periferiche, incluse una regione italiana. Abbiamo quindi proposto la definizione di "regione insulare periferica" che prenda in debito conto le specificità dei territori attraverso misure calibrate sulle sfide e caratteristiche specifiche delle nostre isole, graduate in base all'intensità del fattore di insularità che è anche fattore di perifericità. Ancora, abbiamo fatto presente l'importanza di prevedere una modulazione in aumento dei tassi di cofinanziamento dei fondi europei proprio a favore delle regioni insulari che sono, di fatto, periferiche e naturalmente la necessità di incidere sulla normativa degli aiuti di Stato, come abbiamo detto, che è un laccio inaccettabile, una vera e propria limitazione ai nostri diritti di pari opportunità. In concreto, molto in concreto, basterebbe iniziare da questa semplice deroga: tutti i fondi europei e nazionali utilizzati per investimenti, utilizzati appunto per mitigare i costi associati all'insularità, dovrebbero essere esclusi automaticamente, per le isole periferiche, dall'ambito di applicazione materiale della disciplina degli aiuti di Stato, considerandoli ab origine compatibili con il mercato interno a norma dell'articolo 107 del Trattato di funzionamento dell'Unione Europea. Una regola semplice che aumenterebbe di gran lunga la nostra capacità di designare politiche adatte ad affrontare i nostri principali problemi di insularità. Dunque è la nostra grande sfida e, come dicevo in apertura, la politica sarda è impegnata e dovrà esserlo ancora di più, tutti insieme, in un grande sforzo di elaborazione sulle compensazioni a questa situazione strutturale. Oltre al lavoro della Giunta e del Consiglio un importante contributo arriva senza dubbio dal referendum e dalla proposta di revisione costituzionale per il riconoscimento formale della condizione insulare. Importante è anche il lavoro dei parlamentari sardi che ha consentito di mettere per iscritto nella legge di stabilità le procedure per istituire un Comitato paritetico Stato-Regione che si occupi di far riconoscere dagli organismi comunitari la condizione insulare. Ritengo che comunque l'obiettivo a cui devono arrivare le nostre iniziative è quello di consegnare alle istituzioni comunitarie, assieme alle Regioni che condividono la nostra condizione, la comprensione che c'è una lesione dei diritti, che noi facciamo la nostra parte ma che la nostra insularità richiede norme e competenze specifiche sul modello di quanto avviene sistematicamente da sempre per le regioni ultraperiferiche. Non è una questione di risorse o di mercato, lo ripeto ancora, è una questione di diritti e di pari opportunità. È una battaglia sulla quale vogliamo, esigiamo al nostro fianco lo Stato, qualunque sia il Governo che lo rappresenti, quello attuale e quelli che arriveranno.

Così come con lo Stato vogliamo definire e chiudere una serie di altre partite aperte, oltre questa cruciale sull'insularità. Anzitutto chiediamo che siano finalmente rese chiare nel clima di fiducia e di collaborazione al quale non abbiamo mai smesso di dare il nostro contributo, chiediamo che vengano finalmente rese chiare le regole in base alle quali ci viene imposto un livello così alto di accantonamenti, livello che - come abbiamo continuamente ripetuto - ci pare ingiustificato, ingiusto, indifferente al problema dei costi dell'insularità di cui ho appena parlato. Livello di accantonamenti che se ridimensionato correttamente ci consentirebbe, per esempio, di dare ancora più forza e successo alla nostra azione di rientro dal debito storico della sanità, rendendolo più facilmente compatibile con l'assoluta necessità di migliorare continuamente nella qualità dei servizi erogati agli utenti. Ancora, con lo Stato vogliamo continuare il processo di progressivo riequilibrio del peso delle servitù militari. Abbiamo raggiunto importanti risultati in questa legislatura in tema di riequilibrio, ora dobbiamo correre ad attuare quanto concordato e continuare a valutare bene il valore nazionale della generosità che ha espresso la Sardegna in questo campo. Dobbiamo correre su altre partite importanti, come quella de La Maddalena, dove abbiamo ottenuto la consegna all'isola del compendio abbandonato dopo la fuga del G8. Vogliamo che sia la Regione ad esercitare la propria capacità e responsabilità sulla importante rinascita di quella meravigliosa isola. Responsabilità che abbiamo esercitato sulle aree di crisi spesso accollandoci costi e competenze che ordinariamente competono allo Stato. Da ultimo su Ottana per la quale abbiamo chiesto lo stato di Area di crisi complessa. Vogliamo presto avere evidenza anche di strumenti nazionali messi a disposizione di quell'area per il suo rilancio e per accompagnare chi oggi vive drammatiche situazioni di disoccupazione. Ho parlato dell'Europa, dello Stato italiano, di alcune tra le principali questioni aperte dunque con l'esterno della nostra Regione e che incidono sullo sviluppo della nostra terra. Ma poi, per concludere, abbiamo un dovere verso l'interno, verso le situazioni di debolezza e difficoltà dei nostri concittadini che vedono così limitati i propri diritti di cittadinanza. Su questo punto, l'abbiamo detto anche al presidente Mattarella, ritengo che le riforme siano l'unico sentiero percorribile per la Sardegna, riforme profonde, una via però faticosa, certo, ma l'unica possibile. Alcune riforme di questa legislatura, questa legislatura le ha portate a casa e sono sicuro che i loro buoni frutti saranno ben evidenti nel prossimo futuro. Una riorganizzazione della sanità e dell'emergenza urgenza basata sul sistema delle Commissioni e della rete, una riorganizzazione dei centri per il lavoro che viene ormai presa come modello da molte altre regioni italiane, un nuovo sistema delle autonomie locali che va verso la cooperazione e la collaborazione tra Comuni che si affianca a una programmazione territoriale che raccoglie dal territorio, non da singoli Comuni ma dalla cooperazione territoriale, proposte progettuali. Lavora su un piano straordinario fortemente voluto e sostenuto da questo Consiglio regionale e in rapida attuazione per iniziativa della Giunta in stretta collaborazione con l'intero sistema degli enti locali per affrontare situazioni di emergenza lavorativa e per incrementare i vantaggi a favore delle imprese che assumono. Il REIS, una scelta di avanguardia nel panorama politico nazionale fortemente rifinanziato con una decisione saggia anche in questo caso di questo Consiglio regionale. Ora stiamo lavorando alla legge urbanistica con un sistema di consultazione dal basso innovativo e straordinario che darà i suoi risultati e spero che generi una legge di alto livello capace di superare divisioni e di raccogliere il consenso più ampio della società sarda nel suo complesso. Le riforme quindi, piccoli e grandi passi spesso con un lavoro che è stato anche più ampio e partecipato da quello della sola maggioranza. Piccoli passi dicevo, perché le riforme difficilmente si misurano in rumorosi annunci generici o anche qui solo in risorse monetarie, si misurano sulla capacità di incidere nella vita delle persone. Per fare questo dobbiamo continuare a crescere, ad aumentare le nostre competenze e capacità, investire sul capitale umano, abbattere la dispersione scolastica, imparare a conoscere i mercati, favorire la gestione associata di servizi tra comunità, garantire una sanità sempre più efficiente guardando oltre il particolare. Sono passaggi faticosi, talvolta non veloci, per i quali occorre assumersi la responsabilità, rischiare momenti anche lunghi, lo dico alla mia maggioranza, di difficoltà politica, non ci sono alternative.

Occorre la consapevolezza di vivere dentro la storia, di avere una visione, di saperla condividere e di perseguirla con coerenza con la certezza che gli ostacoli e le difficoltà, piaccia o non piaccia, sono la materia di cui è fatto ogni serio disegno di riforme. Per superare queste difficoltà, per produrre risultati tangibili e positivi che la nostra gente si aspetta da noi, da tutti noi, ora più che mai occorre lavorare, lavorare subito e lavorare insieme come ci insegna quello che da oggi grazie all'iniziativa di quest'Aula e l'inno della Sardegna, tesi i fili dell'ordito, dobbiamo continuare a tessere.

PRESIDENTE. Concludiamo con un po' di musica, presentiamo il videoclip della canzone "Umpare" che testimonia la colonna sonora della campagna istituzionale sul settantesimo dello Statuto e che da oggi è scaricabile sulla pagina dedicata "sardegna70.it". Quindi adesso andrà in onda.

(Segue esecuzione del brano)

PRESIDENTE. Mi scuso per questi problemi tecnici, comunque la canzone è ascoltabile sul web sulla pagina "sardegna70.it". Chiedo scusa.

Grazie a tutti.