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Resoconto della seduta n. 107 del 21/07/2005

CVII SEDUTA

(Pomeridiana)

Giovedì 21 luglio 2005

Presidenza del Vicepresidente Fadda Paolo

indi

del Presidente Spissu

La seduta è aperta alle ore 17 e 02.

MANCA, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana di giovedì 7 luglio 2005 (102), che è approvato.

Continuazione della discussione generale della proposta di legge Maninchedda - Orrù - Balia - Uras - Marracini - Sanna Francesco: "Norme per le unioni di comuni e le comunità montane. Misure di sostegno per i piccoli comuni". (89/A)

PRESIDENTE. Ricordo che l'ordine del giorno reca la continuazione della discussione generale della proposta di legge numero 89/A. E' iscritta a parlare la consigliera Corrias. Ne ha facoltà.

CORRIAS (D.S.). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa proposta di legge è l'esplicitazione forte della volontà di questa maggioranza di continuare con un'azione di riforma reale fatta di scelte forti, concrete e coraggiose, coraggiose perché si vanno a toccare abitudini e pratiche consolidate.E' inoltre una risposta alla sfida che la Giunta ha fatto in finanziaria dando tempi precisi perché si avviasse una profonda revisione degli assetti istituzionali territoriali. Questo è certamente un momento straordinario, la politica sarda è chiamata a dare risposte ineludibili per recuperare i ritardi esistenti rispetto a molte altre regioni italiane. Momento straordinario perché abbiamo le nuove province, il Consiglio delle autonomie locali, il disegno di legge in discussione in Commissione sul conferimento delle nuove funzioni agli enti locali. Le vere e grandi riforme non valgono per il contingente ma devono essere di lungo e largo respiro.

Questa riforma ha tali caratteristiche perché, pur comprendendo in sé l'obiettivo di razionalizzare la spesa, guarda molto oltre; si propone di aiutare a realizzare quei principi che stanno alla base e della riforma del Titolo V della Costituzione ma anche concretamente contribuisce e si ispira ai principi della "267", della cooperazione e sussidiarietà.

Altre riforme, come hanno già affermato alcuni colleghi prima di me, occorrono; ma è fondamentale che la Regione si liberi dei pesi e delle funzioni che hanno appesantito l'azione di governo e che non hanno inciso significativamente sulla crescita del territorio e sul suo sviluppo. "Mamma Regione": dalla quale tutto si diparte e su cui tutto deve convergere, servendo più alla creazione di carriere politiche che al reale miglioramento della qualità della vita dei sardi, più al ceto politico che ai territori.

La nostra Regione vive i drammatici problemi dello spopolamento di molti paesi e del grave squilibrio economico, collegati strettamente anche al diverso standard di qualità di servizi che i comuni piccoli non riescono ad offrire. Allora, un governo non strabico deve puntare a rendere protagoniste le comunità locali con atti concreti, con l'obiettivo di favorire le aggregazioni dei comuni per gestire in maniera associata funzioni e servizi; è l'obiettivo principale di questa legge.

Si tratta, quindi, di una sfida politica ma anche e soprattutto culturale; si tratta di riconoscere, di accordarsi, di stipulare un patto, tra pari grado, di un affidamento reciproco ed accompagnato, con il quale la Regione imposta una fase nuova di rapporti con il territorio e le sue istituzioni; si tratta di rifuggire da tentazioni neo-accentratrici; la democrazia diffusa con i soggetti eletti, rappresentanti legittimi del territorio, non deve essere vista con diffidenza.

L'individualismo e la preferenza a fare da soli si possono sconfiggere solo creando un clima istituzionale che, oltre alla convenienza dello stare insieme ed alla razionalizzazione della spesa, realizzi ed attui un governo tra pari con la Regione che opera non in termini di graziosa concessione, con una visione paternalistica del governo, ma con l'obbligatorietà della concertazione forte con gli enti locali territoriali.

Le azioni di governo, che hanno come obiettivo il riequilibrio economico e la coesione sociale, devono essere supportate da riforme legislative che ne realizzino l'attuazione all'interno di un quadro di regole che favoriscano l'associazione fra le diverse realtà locali, orientando alcune politiche regionali in favore appunto delle forme associative. Questa legge risponde a questo obiettivo partendo da alcuni fondamentali principi, in primo luogo la libertà di iniziativa e di scelta dei comuni e una maggiore incentivazione e preferenza per le forme associative più stabili. Perché, come efficacemente detto nella relazione alla proposta di legge, l'obiettivo è quello di rendere anche i comuni piccoli e piccolissimi protagonisti alla pari perché senza di essi non è possibile uno sviluppo equilibrato e diffuso anche alle zone interne e più marginali.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cappai. Ne ha facoltà.

CAPPAI (U.D.C.). Signor Presidente, credevo di dover parlare intorno alle 18, invece sono le 17 e 08!

PRESIDENTE. Onorevole Cappai, visto che lei pone questo problema le dico che l'ho fatto per non dichiarare decaduti alcuni dei suoi colleghi dell'opposizione!

CAPPAI (U.D.C.). Grazie Presidente, ma non voleva essere...

CUGINI (D.S.). Ha sbagliato, io l'ho capito che stava facendo quella cosa lì.

CAPPAI (U.D.C.). Vedrà che adesso l'ex segretario regionale dei D.S. vorrà fare la sua solita battuta; però non parla Ladu da questa parte, parla Cappai!

Vede, stamattina ho ascoltato con molta attenzione l'intervento dell'amico Maninchedda, ne ho condiviso quasi in toto l'esposizione. Mi dispiace che vada via l'amico Renato! L'amico Renato stamattina ha detto che troppi erano gli emendamenti presentati e che quindi la concertazione, se doveva esserci, doveva essere in Commissione e non in Aula. Poi ha accennato al significato di democrazia; la democrazia, onorevole Cugini, è anche quella di consentire ad ogni consigliere, che non ha partecipato in Commissione alla stesura di un testo di legge, di poter presentare in questa Aula tutti gli emendamenti che ritiene opportuno presentare.

Io intervengo principalmente per riportare nei giusti canali il percorso di questa legge. L'onorevole Cugini stamattina ha detto che, nel programma di governo del presidente Soru, era inserito il tema oggi in discussione; io rileggo pari pari, a pagina 69 delle dichiarazioni programmatiche del presidente Soru, ciò che avete scritto insieme, onorevole Cugini, perché in più di una occasione voi avete detto che avete partecipato alla stesura di queste dichiarazioni. Al paragrafo che riguarda la riforma del sistema delle autonomie avete scritto: "Consiglio regionale e Consiglio delle autonomie locali concorreranno a ridisegnare l'ordinamento delle autonomie locali secondo i principi della sussidiarietà, della differenziazione e dell'adeguatezza"; mi chiedo quando e come ha partecipato il Consiglio delle autonomie locali alla stesura di questa proposta di legge.

Quindi, l'invito che posso rivolgere al Presidente della Commissione, ma più in generale a tutta la maggioranza, è che sospenda momentaneamente, che ritiri questo provvedimento e lo concordi con il Consiglio delle autonomie locali;non avete detto solo questo, avete detto anche: "il sistema degli enti locali sarà rafforzato dal ruolo che dovranno svolgere le otto province, quello di nuovo, unico, livello intermedio dotato di competenze di programmazione e gestione dei servizi d'area vasta, di coordinamento e di supporto della rete territoriale comunale, destinato ad assorbire tutte le funzioni oggi svolte da organismi territoriali non riconducibili alle forme associative tra i comuni - e fra parentesi dite - (o alle comunità montane riformate o ridotte nel numero)".

Invito tutti i colleghi del centrosinistra a leggere quello che avete scritto nelle dichiarazioni programmatiche e a riflettere su quello che oggi state facendo che è una cosa diversa da quella che avete proposto agli elettori nella competizione elettorale. Da una parte il collega Cugini dice che va rispettata la volontà dell'elettore perché ha sposato questo programma, questo progetto politico, dall'altra però non vi accorgete che state facendo una cosa diversa. Entrando nel merito della proposta di legge, nella quale dite "comunità montane riformate o ridotte nel numero", in base al contenuto del testo mi domando: quante comunità montane potremo avere? Quante unioni di comuni potremo avere? Quale sarà il costo, visto che avete dato un costo in questa proposta di legge? Quali sono gli elementi che hanno portato a determinare quel costo?

Ecco, a me sembra più una proposta dettata dalla voglia di qualche personaggio di arrivare in fretta alle riforme, sì, di qualche personaggio, quello che è sempre assente nell'Aula quando si parla dei problemi importanti: l'onorevole Soru! Il presidente Soru, che tutto fa fuorché stare in Aula a sentire le richieste e le proposte che avanza il legislatore sardo, cioè quello che è stato chiamato dalla gente a modificare, a proporre, a correggere ed in qualche modo a programmare le leggi. Se è vero che il presidente Soru ha scritto lui questo programma, voi avete partecipato firmandolo; in questo stesso programma, vi è insita una contraddizione, perché c'è scritto che bisogna attivare una nuova programmazione dal basso, devo dire che ne abbiamo visto altre, non vorrei che qualcuno si fosse dimenticato che già in precedenti legislature, risalenti alla fine degli anni Sessanta o ai primi degli anni Settanta, per la programmazione dal basso erano stati istituiti i comprensori, di cui facevano parte tutti i comuni; uno dei compiti dei comprensori era quello della programmazione dal basso, senza fondi; così come le comunità montane hanno vissuto senza fondi.

Io ho condiviso l'impostazione data dal mio collega di Gruppo Andrea Biancareddu, ha ragione, dice quello che voi dite qui: cioè che l'unico ente intermedio fra comune e Regione è la provincia, e adesso sono otto, lo dite voi, qui. Secondo me, ci vuole veramente una discussione fra maggioranza ed opposizione, ci vuole dialogo soprattutto quando si devono redigere queste leggi, allora io invito veramente il collega Maninchedda a ritirare questa proposta di legge e a cercare quel dialogo, fra le varie componenti di questo Consiglio, per arrivare ad una conclusione unitaria.

Stamattina, parlando alla fine dei lavori con qualche collega, sia di centrodestra che di centrosinistra, ho chiesto loro quante comunità montane vorrebbero che si costituissero in Sardegna, ho ricevuto risposte che ne prevedono sei, otto al massimo. Allora mi sono chiesto in base a quali criteri, visto che la proposta di legge lascia ampio spazio per crearne di più, anche venti, venticinque ed anche quaranta. Ancora ho domandato quante unioni dei comuni avrebbero voluto avere. Per riposta ho ricevuto questa: "Tutte quelle unioni che i comuni vogliono creare". Allora, quante unioni di comuni dovremmo avere o potremmo avere? Secondo me, il tema è stato affrontato con molta superficialità, molta!

Io non ho aspettato che ci fosse questa legge per l'unione di comuni, ho utilizzato una legge nazionale e con altri comuni ho istituito un'unione di comuni e stiamo già gestendo insieme (senza costi però, senza costi!) alcuni servizi: la segreteria comunale, la manutenzione dell'impianto elettrico, stiamo mandando in appalto il servizio della raccolta dei rifiuti solidi urbani; non costa niente e non costerà niente. Sono servizi che porteranno ad una diminuzione dei costi per l'utenza; è un'unione che non dà prebende agli amministratori perché gli amministratori saranno gli stessi; allora riflettiamo su quello che stiamo facendo perché da una parte diciamo che vogliamo risparmiare e dall'altra creiamo altre strutture senza numero, illimitate, tutte quelle che si vogliono creare.

Stiamo attenti! Di fronte all'opinione pubblica avete detto - probabilmente in qualche caso l'abbiamo condiviso anche noi - che si devono ridurre al massimo gli enti, li dobbiamo accentrare, dobbiamo eliminare quegli inutili; riflettiamo: sono tutti utili questi enti? Saranno tutte utili le comunità montane che nasceranno? Saranno tutte utili le unioni di comuni che nasceranno?

Io vi lascio questa riflessione, so che l'opinione dell'elettorato sarà quella che abbiamo letto in questi giorni sulla stampa, non appena è stato eletto il Consiglio delle autonomie locali: un altro carrozzone! Altri soldi pubblici, altri stipendi, altri gettoni! Ecco, allora, stiamo attenti perché non si può essere moralisti da una parte e poi non applicare la moralità dall'altra.

Riflettiamo su quello che stiamo facendo, onorevole Maninchedda. E' vero, ho condiviso il suo intervento stamattina, tranne il fatto che abbia detto che è largamente di sinistra, questo non l'ho condiviso, mi consenta, perché la conosco da molto ed è la prima volta che le sento dire che lei sia largamente di sinistra, ne prendiamo atto, credevamo che lei avesse un'altra impostazione, sappiamo che è un cattolico praticante, però non deve dire che gli altri non sono per la sussidiarietà e per la solidarietà, tutti lo siamo, soprattutto chi viene da un certo modo di fare politica e da un certo mondo. Allora, proprio in virtù di quel principio di sussidiarietà e di solidarietà, la invito per la terza volta nel mio intervento a ritirare questa proposta e a riportarla in Commissione, per esaminare anche quegli emendamenti che, così come è avvenuto in molte altre occasioni, sono necessari per modificarla.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Dedoni. Ne ha facoltà.

DEDONI (Riformatori Sardi). Signor Presidente, il ragionamento che si sta svolgendo attorno a questa proposta di legge, che invero non investe solo le comunità montane ma vorrebbe abbracciare un insieme di articolati istituzionali che affrontano il nodo della piccolezza dei nostri comuni, e che si rifà alla normativa nazionale delle unioni dei comuni, ci porta però a fare qualche esame di più largo spettro. Nessuno degli intervenuti si è soffermato esclusivamente sulla questione delle comunità montane, pur tuttavia l'attenzione sostanziale è indirizzata a quell'ente montano. Io voglio capire qual è la sostanzialità dell'intervento. Tento di cogliere l'invito a dibattere sul problema delle comunità montane, probabilmente è quel richiamo alla finanziaria dello scorso anno in cui si paventava, tra le altre cose, la loro eliminazione complessiva e tout court e che ha visto in corsa, nel frattempo, un buon lavoro, tutto sommato, anche se non condivisibile, da parte della prima Commissione, in modo da non incorrere nella scadenza di quei termini ipotizzati ancora una volta dal presidente Soru per le soluzioni dei problemi della Sardegna, del deficit delle istituzioni regionali, passando attraverso una segmentazione e un commissariamento dei vari enti regionali, così da tagliare corto su ogni argomentazione.

Io credo che chi è abituato a ragionare, e stamattina ringrazio l'onorevole Maninchedda dell'intervento, ci dice che la partecipazione è popolare. La democrazia è il sale della crescita civile di qualsiasi popolazione che, a volte in maniera inusuale, in maniera poco attenta e poco corretta, si vuole semplificare in un eccesso di liberismo in economia e in un eccesso di governabilità a livello istituzionale e politico, restringendo l'ambito decisionale. Sono cose che non sono antitetiche con la democrazia, se hanno dei contrappesi e se sono poste in un tessuto complessivo istituzionale. Se questo è vero, non capisco perché si debba avere paura di discutere anche degli emendamenti che sono posti in Aula, per esempio nel caso in questione per vedere se la ragione sta in chi vuole assolutamente tagliare e chiudere alcuni enti montani, magari riducendoli ad otto, o in chi non sa neanche quelli che si stanno concretamente riducendo. Addirittura, si può cercare di far apparire qualcosa di miracolistico con il fatto che si tolgono i comuni rivieraschi o i comuni che hanno popolazione superiore a 40 mila abitanti, cosa che, cari colleghi, chiaramente è leggibile dalla legge di riforma nazionale delle comunità montane.

A questo punto, mi pare necessario fare qualche passaggio legandolo al vissuto istituzionale e territoriale della Regione Sardegna. Mi pare che si facesse riferimento alla "268" quando con la legge 33 furono istituiti i comprensori e con la legge regionale numero 26 le comunità montane. Forse allora si soffriva di un momento politico particolare in cui i due schieramenti politici trovavano il modo di realizzare sintesi per dare propulsività alla società sarda rinvenendo un momento d'aggancio negli esecutivi con la presenza, dentro gli esecutivi, anche delle minoranze; probabilmente e sicuramente quel momento istituzionale non ha più ragion d'essere.Cari colleghi, le comunità montane, le istituzioni delle comunità montane, le rappresentanze delle comunità montane hanno chiesto da almeno dieci anni al Consiglio regionale, ora di questo colore, ieri di un altro colore, avantieri di un altro colore ancora, di modificare sostanzialmente quelle scandalose, ribadisco oggi scandalose, presenze all'interno degli esecutivi.

L'hanno chiesto le stesse comunità montane in un senso forte di partecipazione istituzionale! Se questi sono i tagli perché si possa garantire una riduzione di sprechi o di spese, che certamente sono esistite, se raffrontate a quel periodo istituzionale, non è altrettanto vero che il disegno istituzionale, che oggi nasce da un discorso di altimetria, sia un parametro esclusivamente valido per dare rappresentatività a quelle che sono le politiche dichiarate, caro onorevole Cugini, in quella pratica ormai da libretto rosso o libretto verde, a seconda della tonalità o religione a cui si appartiene, che fu il programma di governo presentato ai cosiddetti elettori da questa maggioranza. Non è quello! Non è quello, anche perché non mi pare che ci sia stato scritto, ancorché richiamato, non lo conosco molto a fondo probabilmente lo dovrò veramente rileggere per verificare quali le profondità di pensiero che ci sono...

CUGINI (D.S.). Più che leggerlo, devi studiarlo.

DEDONI (Riformatori Sardi). Lo studierò e stia tranquillo le farò anche una buona relazione in Aula! Le farò una buona relazione in Aula, su questo non c'è dubbio!

PRESIDENTE. Onorevole Cugini! L'onorevole Dedoni non ha bisogno di aiuto. Onorevole Cugini, la prego.

DEDONI (Riformatori Sardi). Ma io lo ringrazio, comunque! Volevo dirle che il tempo è maestro per tante cose e non credo che l'altimetria, lo ribadisco, sia l'unico concetto che può permettere di riformare le comunità montane.

Io provengo da una particolare zona, che conoscono bene anche altri amici, che non è certamente avvantaggiata per condizioni di territorio, di mare, di grande sviluppo o persistente benessere. Quando in Sardegna si sono previste le comunità montane sapevamo di non avere le Dolomiti, o le montagne della Val d'Aosta o di qualche altra valle lombarda, dovevamo considerare il panorama orografico della Sardegna. Allora, io mi chiedo: è il parametro altimetrico che funziona in Sardegna dove veramente montagne non esistono?

Io credo che il discorso socio-economico debba prevalere su ogni altra argomentazione e quando tolgo la potenzialità di una forza istituzionale quale può essere una comunità montana in una condizione data, per esempio come la Marmilla dove sparisce, o il Montiferru, o il Barigadu, mi chiedo se sia quello il riequilibrio territoriale sognato dalle zone interne, non lo so! E non so se è vero quello che suggerisce qualcuno dell'Esecutivo che, comunque sia, i danari che le comunità montane percepiscono dallo Stato come finanziamento all'esercizio, veramente ancora continuerà ad arrivare dopo che la soppressione delle comunità montane, perché sono finalizzati alle comunità montane, al di là di alcune assicurazioni che l'onorevole Assessore degli enti locali ritiene di dover dare.

Io ho la sensazione che ancora una volta stiamo regalando allo Stato dei danari, stiamo facendo del male alle comunità locali sopprimendo delle istituzioni che hanno operato bene; certo non tutte hanno operato bene, ce ne sono da cancellare. Ma dove hanno realizzato la consociazione, la razionalizzazione della scuola, un'organizzazione dei trasporti, un sistema alternativo nella sanità, garantendo a lande sperdute una grande iniziativa tesa a portare nel territorio delle zone interne, dei piccoli comuni, che vanno a spopolarsi, una presenza istituzionale seria di comuni aggregati, mi chiedo se sia giusto cancellarle per poi istituire un'altra unione di comuni. Non era più facile prendere ciò che dice la stessa legge nazionale quando parla di unione di comuni ed unione di comuni e comunità montane? Che differenza vi è? Quale risparmio ci sarebbe, quando potremmo rischiare invece di avere unioni di comuni sempre più moltiplicate e con autonomie statutarie e quindi con possibilità di utilizzo finanziario ulteriore? E' questo il risparmio?

In modo ridicolo poi si introduce nell'argomento la partecipazione dei comuni rivieraschi, certo anche essi si sono avvantaggiati dei benefici derivati da un'altimetria che, sino a quella punta, li portava ad essere dentro le comunità montane, ma essi - come ricordava stamattina in un'interruzione l'onorevole Cugini - hanno realizzato anche opere a mare, cioè sono stati capaci di realizzare, operare e gestire, non sono la scusante per l'onorevole Presidente della Giunta di poter e voler cancellare enti che hanno lavorato, che hanno gestito, che forse andavano, come ricordavo prima, misuratamente verificati già da quando gli stessi lo chiedevano.

Oggi, in una saga della ricerca alle streghe, in una saga in cui si tenta di tagliare a tutti i costi, oltre agli enti del turismo ricordati stamattina, possiamo citarne altri; per esempio, vorrei vedere in che condizioni sono oggi gli enti dell'agricoltura, quelli che dovrebbero dare assistenza; che cosa si sta facendo per la peste suina? Quali conseguenze ha provocato la peste suina? Si è mai pensato che anziché essere un contagio per esempio da animale di terra ad animale di terra, potesse essere un passaggio da animale di terra ad animale d'aria?

Può darsi che siano fantasie, ma quali sono le ricerche, le opzioni, quali sono state le capacità intuitive e le disponibilità di questi enti che sono commissariati, che hanno una forza di attività di una sola persona che gestisce tutto o può complessivamente gestire; basterebbe quanto ha detto stamattina l'onorevole Maninchedda per ricordare i dati della spesa, Assessorato per Assessorato, avendo la direzione univoca di un capo che decide su tutto.

Allora, io non credo che la semplificazione istituzionale passi attraverso questi metodi, prima di tutto occorre individuare il vero problema della Sardegna; una Costituzione del popolo sardo, cosa che non è avvenuta, ancora una volta, nelle segrete stanze, c'è chi dà il benestare e chi no! E' lo Statuto da privilegiare, poi le leggi elettorali che tutti, mi pare, abbiano criticato in questo posto, non è certamente il Regolamento di quest'Aula, caro presidente Spissu, che ci può portare a vedere che quest'Aula sia funzionale solo perché vuole un lasciapassare assoluto per il Governatore o per le esigenze dell'Esecutivo! Non è vero che si difende solo quest'Aula difendendo il suo nobile lavoro, il nobile lavoro dell'Aula non deve essere condizionato con assurde pretese, come quella che chiede la realizzazione prima del Regolamento consiliare altrimenti - parrebbe così abbia dichiarato il Governatore - non si presenterebbe neanche il Dpef qui in Aula. Questo è il furore autonomistico di creare veramente una soluzione nuova istituzionale e di dare spazi effettivi alla democrazia e alle istituzioni rappresentative del popolo sardo? Io credo di no.

Onorevole Secci, io non ho conflitti di interesse, guarda caso, per mia sfortuna, avendo una certa età, sono in via pensionistica, ma le debbo dire che conosco bene quegli enti e li posso difendere, non solo perché ci lavoro, anche qualche suggeritore farebbe bene a pensare quello che hanno avuto e quello che hanno potuto fare; ricorderemo nel territorio, se sarà il caso, le cose che qualcuno afferma in Aula.

(Interruzione)

Probabilmente abbiamo toccato qualche nervo scoperto o sensibile di alcune persone che parlano bene e razzolano male, non avendo capito che la democrazia è anche accettazione e partecipazione seria ad un sistema di confronto democratico. Lo invocava lei, io sono per discutere in termini democratici! Allora, Presidente, io le chiedo se non sia il caso che questa norma abbia anche un momento di passaggio dentro il Consiglio delle autonomie locali che si è appena costituito. Perché non chiedere un parere al Consiglio delle autonomie locali che abbiamo appena insediato? Abbiamo paura di confrontarci anche con il Consiglio delle autonomie locali che abbiamo appena appena posto in carica? Io non lo so! Credo che la correttezza istituzionale abbia un tutto tondo e che veramente si vada a fondo nelle verifiche reali da farsi sulle istituzioni, gli enti da sopprimere, da modificare, da integrare, da commissariare, se è il caso; credo che nessuno abbia paura del commissariamento delle comunità montane, se serve e, comunque sia, credo che sarà obbligatorio farlo perché, una volta esitata questa legge, chi gestirà la chiusura di quegli enti? Chi porrà in campo gli accorpamenti? Ancora non sappiamo neanche, circolano alcune ipotesi che non sono concrete, se siano in ambito provinciale o interprovinciale. Credo che ci sia materia di verifica effettiva, ma in prima istanza deve riguardare lo Statuto della Regione Sardegna e l'intelaiatura complessiva; lo ricordavo ieri nel dibattito che riguardava il rapporto con lo Stato, che non è un rapporto privatistico né di poche persone, ancorché demandato da una larga maggioranza del Consiglio, ma ha la necessità di essere una presenza forte di tutto il popolo, corale, per la quale le istituzioni territoriali devono vivere un momento significativo di confronto con lo Stato, e la Regione è Regione perché ha veramente compiutezza di sé, si riconosce nelle proprie esigenze, nelle proprie necessità e combatte da pari a pari a livello istituzionale.

In questa logica, allora, ha ragione d'essere la modifica istituzionale, ma ripeto, Carthago delenda est, torniamo lì, manca lo Statuto, manca la Costituente, anche se a qualcuno fa male e fa venir dolore di pancia! Manca l'intelaiatura essenziale della istituzione regionale. Tutto l'altro certamente va a cascata, in un sistema in cui effettivamente non è l'istituzione massima che comanda sulle altre, ma c'è una concertazione vera, effettiva all'interno del sistema autonomistico, e il sistema autonomistico non è la Regione in sé ma è la Regione, le Province, i Comuni e le comunità montane, le unioni di comuni.

Questo è l'autonomismo regionalistico, questo è l'ambito istituzionale in cui ci si dovrebbe confrontare per poter dare una risposta seria e positiva per il futuro della nostra Regione. Altrimenti ancora una volta avremo fatto aggiustamenti, avremo fatto i tagliatori di testa ma certamente non avremo soddisfatto l'esigenza del popolo sardo per un'economia che non sia in condizione di difficoltà, per uno sviluppo sociale consentito e un vivere civile certamente più prospero di quello avuto sino adesso, per manchevolezze di tutte le parti politiche; tengo a precisare, perché in quest'Aula forse qualcuno spesso si dimentica, che se è vero che ha governato cinque anni fa il centrodestra, molto prima, per quindici anni almeno, ha governato il centrosinistra. Quindi quando ci si arrocca su certe posizioni, si pensa che la verità stia solo da una parte, pensiamo ad una disponibilità e apertura al dialogo per una crescita vera delle istituzioni, non certamente per chiudere e tagliare, come invece parrebbe che oggi si voglia fare.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Francesco Sanna. Ne ha facoltà.

SANNA FRANCESCO (La Margherita-D.L.). Signor Presidente, colleghi e colleghe del Consiglio, io credo che dobbiamo tentare in questa parte residua dei nostri lavori in discussione generale di affrontare e di leggere la proposta di legge, oggi al nostro esame, sforzandoci di cogliere la complessità del compito che i proponenti e il Consiglio sono chiamati a sviluppare.

La complessità è data dal fatto che ci troviamo, ogni volta che guardiamo al fenomeno del come funzionano le autonomie locali, a un crocevia particolare della nostra storia costituzionale e statutaria. La complessità sta anche nel fatto che si confrontano, quando cerchiamo di sviluppare il tema di come i cittadini le rendono immediatamente evidenti alle istituzioni alle quali partecipano con il voto democratico, la gestione dei poteri, la gestione delle competenze, la gestione delle funzioni amministrative, che sono il modo con cui la politica offre le risposte immediate al bisogno dei cittadini stessi. E' un frangente complicato perché siamo di fronte a una riforma costituzionale che ha ribaltato il concetto su a chi spettano in primo luogo le funzioni amministrative, quindi il dovere di dare le risposte alla cittadinanza, e poi ha detto, la riforma costituzionale, che, sia quando queste funzioni amministrative, questi compiti della politica spettino allo Stato, sia quando a determinarle sia la legge della Regione, comunque c'è una riserva che costitutivamente va riconosciuta a favore dei comuni. Questa riforma ha anche detto, dopo un dibattito durato trent'anni sull'esistenza in vita e sulla doverosità dell'esistenza in vita delle province, che esse hanno una valenza costituzionale dopo i comuni. Quando una norma della nostra Costituzione dice che i comuni, le province e le regioni italiane costituiscono la Repubblica, dice una cosa che prima non era di così totale evidenza anche agli operatori della politica, che invece su questa gerarchia hanno costruito un'interpretazione della politica stessa, oltre che le carriere, i cursus honorum, le fasi di formazione, le strutture dei partiti.

Vorrei dirvi che, fino a ieri, fino all'altro ieri in verità, fare il sindaco era il punto di partenza del cursus honorum del servizio politico; oggi può diventare un punto di arrivo, così come fare il Presidente della Regione o il Presidente della Provincia. C'è una rivoluzione in questo che tocca anche le comunità montane, le quali fino a ieri si percepivano come una sorta di quarto livello tra gli enti, diciamo così, intermedi tra il comune e lo Stato, e che probabilmente oggi, io ritengo ne abbiano piena consapevolezza, non lo sono più.

Allora guardiamo alla complessità della materia, vediamo e giudichiamo anche come i proponenti la sottopongono al Consiglio: parlano solo delle comunità montane, è questo il tema? No, non è nemmeno il titolo della legge questo. Se io dovessi dare un titolo di divulgazione, di semplificazione al lavoro che si è cercato di fare, è esattamente quello che vi ho detto prima, cioè come soprattutto i piccoli comuni si pongono in relazione con il territorio complesso e specifico della Regione Sardegna per sviluppare, nella pienezza del ruolo che la Costituzione assegna loro, le funzioni amministrative, i poteri, la risposta ai bisogni dei cittadini.

Per questo la legge ha un valore direi ordinamentale e dovremmo guardarla con una particolare attenzione; secondo me, lo stiamo facendo. E' un valore ordinamentale perché quando noi andiamo a sostenere che vogliamo guidare, come Regione, attribuendo compiti alla Regione, un processo attraverso il quale i comuni svolgono meglio il loro compito, invitandoli, come la legge fa, ad associarsi in forme organizzate e le meglio organizzate per la gestione integrata delle loro funzioni, dobbiamo farlo sapendo che intanto quella è una loro possibilità, è una loro libertà, è una libertà doverosa, se mi consentite l'espressione che gioca sulla contraddizione dei significati, ma direi che è una libertà doverosa e come tale la Regione Sardegna deve trattarla, con la delicatezza giusta che occorre utilizzare quando si tratta il tema della libertà: la libertà dei comuni di associarsi per il meglio.

Ma questa libertà è subordinata ad un interesse che viene prima dell'istituzione "comune" ed è l'interesse del cittadino che ha diritto ad avere il servizio che deriva dall'esistenza di quel comune e dall'esistenza della sua capacità di rendere pienamente quei servizi.

Bene, se oggi noi giriamo la Sardegna, vediamo una situazione dei comuni che, per effetto di politiche nazionali quasi sempre, ahimè, di questi ultimi anni, di decremento e di prosciugamento dei trasferimenti erariali, ha una possibilità di sviluppo dei poteri e di applicazione delle loro funzioni che sfiora ormai l'impotenza. I sindaci ci vengono a dire che non possono gestire i servizi con i loro bilanci, i sindaci dei piccoli comuni non riescono a fare nemmeno le cose essenziali. Un collega dell'opposizione ci ha raccontato che si stanno organizzando con l'unione, gestiscono insieme un segretario comunale e un servizio di nettezza urbana. Quindi la strada dell'associazione è il modo con cui i comuni rispondono, o tentano di rispondere efficientemente al tema della resa efficace del loro lavoro, dell'esercizio dei loro poteri.

Noi affronteremo questo tema probabilmente dopo l'estate anche rispetto a un altro versante della ipotesi di riforma a cui stiamo lavorando. Con il disegno di legge numero 85, la Regione trasferirà molto del suo potere, tutto quello che non ha necessità di esercizio unitario, alle province e ai comuni, e badate che quando lo trasferisce ai comuni lo trasferisce in maniera eguale, senza fare distinzioni, al comune di Cagliari, che ha 170 mila abitanti, e al comune di Goni, che non arriva a 600, perché le norme costituzionali impongono eguale dignità al comune di Cagliari e al comune di Goni.

Questo comporta che la Regione ha il compito delicato di aiutare i comuni a trovare una dimensione giusta, parlo ovviamente di quelli più piccoli, per poter esercitare bene, come lo fa il comune di Cagliari, lo stesso potere che viene conferito al comune di Goni e ad altri piccoli comuni. Ecco, noi abbiamo la possibilità di scrivere una pagina che non è quella, come scrive un autorevole costituzionalista, della nuova controversia "municipalismo versus neoregionalismo", ma possiamo iniziare a scrivere in Sardegna una pagina che ha un altro titolo, cioè un modo concreto di applicare il principio di leale collaborazione tra Regione e comuni.

Io posso dire che, rispetto al testo della legge, già il dibattito di stamattina, ma anche delle ultime ore, può declinare questo principio di leale collaborazione anche con alcune modifiche al testo arrivato in Aula. Penso, per esempio, che il lungo periodo iniziale che si è in qualche modo immaginato di attribuire alla Giunta regionale, i 14 mesi per raccogliere e leggere diciamo il fenomeno degli ambiti ottimali nei quali i piccoli comuni possono in qualche modo esercitare al meglio i loro poteri, possa essere asciugato temporalmente, per vedere, fin dal primo momento, una partecipazione dei comuni, direi anche delle otto province, perché quando le abbiamo istituite ci siamo impegnati, qui sono d'accordo con chi l'ha sostenuto, a una sorta di applicazione di principio di non proliferazione, per cui le province oggi sono i veri unici enti intermedi tra i comuni e le regioni.

Allora un coinvolgimento immediato dei comuni nella lettura delle loro situazioni territoriali, un richiamo alle zone storiche della Sardegna, un richiamo anche all'esperienza vissuta delle comunità montane, un reale aggancio territoriale per continuare ad avere una vita rinnovata. Questa vita rinnovata non è semplicemente quella che noi imponiamo loro predisponendo una legge o venticinque leggi, come abbiamo fatto in passato, creandole da qui dentro, dovranno rinascere dal basso, anche attraverso la lettura della volontà dei rappresentanti di quelle comunità, dei consigli comunali, che dovranno deliberare di nuovo che quella è la migliore delle loro forme associate.

Credo che siano principi sui quali tutti si possa in qualche modo convergere. Nella legge c'è questo principio di non proliferazione degli enti, c'è una preferenza verso gli enti con amministratori eletti dal popolo, non se ne devono avere a male gli amici amministratori delle comunità montane, che sono quasi sempre amministratori comunali, ma c'è una differenza tra vedere verificato programmaticamente, all'inizio e alla fine, il loro lavoro da un giudizio del popolo o essere nominati eletti in una fase di selezione di amministratori di secondo grado dai consigli comunali. C'è una differenza e per quanto mi riguarda è una differenza rilevante, non è una diminutio per il lavoro che essi hanno fatto, fanno e faranno, ma io credo che questo privilegio vada riaffermato nella legge.

Le comunità montane diventano enti locali possibili, eventuali, non necessari, così come le altre forme di aggregazione diventano forme possibili, auspicabili direi, ma non necessarie, necessarie solo nel momento in cui le comunità, attraverso i consigli comunali, decideranno di trovare quella forma di aggregazione e di coordinarla in un contesto territoriale ampio e, per quanto riguarda il dovere della Regione, del Consiglio regionale e della Giunta regionale, in uno sforzo di leale cooperazione; il che significa che queste forme di associazione dovranno essere aiutate a nascere e a crescere attraverso opportuni incentivi di natura finanziaria, come c'è scritto nella legge.

La legge non punta la pistola alla testa dei comuni per costituire le unioni, ma dice che se tu sei più capace di esercitare le tue attività attraverso un'unione, attraverso una forma associativa, io, che sono d'accordo su questa tesi, ti aiuto a svilupparla. In tutto questo sarebbe facile dire di eliminare allora le comunità, cioè si scontrano le tesi estreme, quella che tende ad abolire le comunità montane e a fare solo unioni di comuni e quella che invece ritiene di mantenere le comunità montane perché sono unioni di comuni.

Guardiamoci attorno, è vero, onorevole e amico Matteo Sanna, che l'Unione Europea guarda al fenomeno della montagna con attenzione, è vero che l'Unione Europea addirittura ha indicato nella montagna uno dei luoghi della debolezza delle situazioni rurali e del disagio territoriale, questo tema è addirittura entrato nella Costituzione europea, è vero che l'Unione Europea non dice che la montagna inizia da 600 metri o da 800 metri, come invece ci insegnavano i nostri libri delle scuole elementari, qualcuno che ha qualche anno meno di me e la scuola elementare più vicina se lo ricorderà, sempre che i geografi non abbiano cambiato idea, ma è anche vero che questo non è il compito dell'Unione Europea, perché c'è una montagna delle Alpi e c'è anche una montagna della Sardegna, e c'è una montagna della Corsica, come c'è una montagna degli Abruzzi.

Quindi la classificazione di montanità, per uscire dall'equivoco per cui se tutto è montagna nulla è montagna, è una responsabilità che deve assumere il Consiglio regionale. Questa proposta tenta di assumere questa responsabilità. Poi si potrà migliorare, forse c'è qualche livello di ingiustizia. Io ritengo che dobbiamo assegnare all'Esecutivo, in questo dialogo con i comuni, gli spazi e i margini perché, attraverso una forma di programmazione e di pianificazione degli ambiti ottimali, ingiustizie, letture affrettate, rigidità derivanti da criteri meramente geografici, possano essere in qualche modo recuperate. Però, badate bene, guardarci attorno significa anche capire che, d'ora in poi e probabilmente nei prossimi mesi, le politiche della montagna non saranno più quel nulla che sono oggi a livello nazionale.

Voglio dire agli amici del centrodestra, venerdì scorso, alla Fabbrica del Programma, c'è stato un incontro su questi temi e il centrosinistra si impegna a mettere nel programma nazionale che si faranno politiche per la montagna vere, non quella elemosina del fondo per la montagna che ogni anno viene distribuito, ma facendo politiche per la montagna vere, come ci chiede anche l'Europa che si impegna a cofinanziarle; bisogna che noi ci assumiamo la responsabilità di dire che la montagna è una cosa diversa da un territorio disagiato. Noi, in Sardegna, probabilmente riusciamo a fare una legge che è anticipatrice di questa linea e, badate, credo che ciascuno di noi abbia l'orgoglio e speri in cuor suo in fondo di fare a volte delle cose che siano di guida per quello che altri voglio fare.

Allora, colleghi consiglieri, per fare questo c'è bisogno adesso e ci sarà bisogno domani di cambiare mentalità per la Regione, che non dovrà più giocare la sua parte secondo schemi di troppo facile dirigismo, ma di più attento e continuo ascolto. Qui c'è una previsione, perché questa è la prima legge che, venendo dopo quella che ha istituito il Consiglio per le autonomie, è, non voglio dire zeppa, ma ricca di richiami agli organismi creati dal Consiglio per le autonomie e, lo voglio dire all'onorevole Dedoni, la nostra opinione (che verrà trasformata in un emendamento) è che questo organismo non sia solo il Consiglio per le autonomie. Il Consiglio per le autonomie vorrei dire che viene addirittura superato, perché chiederemo che ci sia una consultazione dal basso di tutti i comuni della Sardegna. Tutti i comuni della Sardegna deliberanno dove e come ritengono essi volontariamente di associarsi, se si vogliono associare e in quale contesto territoriale vogliono farlo; ma dopo, per la chiusura del piano, noi chiederemo che ci sia un'intesa in Conferenza Stato-Regione che è qualcosa di più di un parere, intesa vuole dire che i comuni della Regione dovranno stringersi la mano ed essere pienamente e reciprocamente soddisfatti dell'accordo che la Giunta alla fine di questo periodo di lettura del sistema delle autonomie locali in Sardegna dovrà in qualche modo proporre al Consiglio delle autonomie, ai comuni e al Consiglio regionale.

Ci sarà bisogno di cambiare mentalità anche per i piccoli comuni e forse anche per i medi comuni, troppi di noi sono stati contattati da amici amministratori, con i quali condividiamo anche l'esperienza politica, i quali ci hanno ricordato che 200 anni fa lo zio del prozio del post nipote di quello non parlava con quello dell'altro comune e quindi, siccome quell'odio di natura quasi tribale più che paesana si è sviluppato anche se in forme non sanguinose, è il caso di non legare, in una comunità montana o in un'unione di comuni, quel comune a quell'altro.

Ora, noi non dovremo fare ovviamente quelli che insegnano la via della cultura e della civiltà con una puzza di superiorità gerarchica, questo non bisogna farlo e non si dovrà fare, però io credo che ci sarà un tempo di misurazione culturale, antropologica, di riflessione sulla convivenza civile anche per le popolazioni e gli amministratori delle popolazioni dei piccoli comuni e forse, ripeto, anche dei medi. Io credo che tutto questo percorso dovrà essere in qualche modo aiutato, aiutato non solo dalle nostre parole e dalle nostre norme, ma anche - se ci crediamo - da sforzi finanziari che significano non immaginare che le risorse sono infinite ma che si possono allocare quelle scarse che abbiamo a seconda di una misura di maggior giustizia nell'aiutare la convivenza delle comunità della nostra Sardegna. Vediamo se riusciamo a farlo in uno sforzo unitario che, secondo me, il Consiglio può utilmente produrre in questo dibattito e nella conclusione e nella votazione di questa legge.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Capelli. Ne ha facoltà.

CAPELLI (U.D.C.). Signor Presidente, Assessori, colleghi e colleghe, mentre ascoltavo gli interventi di stamattina dei colleghi, cercavo di ascoltarli con il massimo dell'attenzione, mi chiedevo, in riferimento particolare ad alcuni di questi interventi, anche su questa legge, visti gli emendamenti presentati, visto il corpo della legge, cos'è che sostanzialmente ci divide.

Con molta attenzione, come sempre, ho seguito anche l'intervento del Presidente della Commissione che, nella sua prima parte, ha sottolineato alcuni aspetti che sono inerenti appunto all'analisi di questa legge sul riordino delle comunità montane; accedo alla sua richiesta e non voglio cadere nella provocazione dicendo che non va strumentalizzato quell'intervento, assolutamente. Non è mia intenzione farlo. Ricorderei soltanto, se ci ascoltiamo e se in questi mesi ormai di quest'anno ci siamo ascoltati, quante volte c'è stato il richiamo da questa parte, non da questa parte politica, da questa parte logistica dell'Aula, un'attenzione particolare a inizio legislatura al sistema, a un sistema che non funziona, a un sistema - io dico - anche politico, parlo di legge elettorale che andrà sicuramente rivisitata, che attendiamo che venga da voi dato l'assenso perché possa essere rivisitata, riteniamo quella una priorità perché il metodo è sostanza e questo è stato ben richiamato dal collega Maninchedda stamattina.

Se il metodo è sostanza e se la legge elettorale è una priorità perché è il sistema che non funziona, il momento cardine è proprio discutere di come si deve formare un governo, di quali sono i ruoli, richiamandomi anche a quanto scritto nel programma della vostra coalizione: potere legislativo e poteri amministrativi dovranno essere effettivamente distinti in modo che sia trasparente l'attribuzione alla Giunta e al Consiglio delle rispettive responsabilità. Io credo che noi, in questa fase, abbiamo qualche problema che, dagli interventi dei colleghi, se ben ho interpretato, non è tra noi, perché io non mi sento di non condividere per esempio l'ultimo intervento dell'onorevole Sanna. Sono tranquillo e sereno nel momento in cui dico che gran parte del suo intervento è da me condiviso, così come è condivisa, perchè ritengo che la Commissione abbia ben lavorato per la sua stesura, questa proposta di legge, la quale dà risposte alle esigenze che ambo le coalizioni sentivano e hanno trascritto nei loro programmi, cioè una rivisitazione del sistema degli enti locali e del sistema delle competenze. E' necessitata e sentita tra noi, è sentita tra la gente, magari tra la gente è sentita di più perché ci sono dodici Assessori, perché c'è un ulteriore grado di competenza, analisi e responsabilità politica, perché c'è ancora modo di assegnare poltrone, così come per le otto province; io penso che, se oggi noi ridiscutessimo dell'istituzione delle province facendoci tirare la giacca nel corso della discussione dai vari amministratori e amici richiamati, per la necessità di trovare altri spazi politici per allargare il consenso che noi riteniamo risieda sempre nei rappresentanti politici degli enti locali e a seguire secondo la scala gerarchica delle competenze e dell'importanza del ruolo politico che si riveste, oggi noi non voteremmo quella legge.

Riconosco ancora oggi che l'unico che ebbe una lungimiranza nell'andare contro quella legge, io non arrivai a tanto se non all'astensione, fu l'onorevole Pirisi che votò contro l'istituzione delle nuove province. Forse non tutti in quel momento sono stati abbastanza liberi da quelle tiratine di giacca, dalle aspettative non delle popolazioni di quelle province, ma dalle aspettative degli amministratori di quelle province che si vedevano già in tanti Presidenti di quelle vuote province, che si vedevano già nel ricoprire ruoli fino ad allora impensati per quel territorio, vendendo tutto questo come maggior attenzione per quel territorio, maggiori risorse per quel territorio, maggiori autonomie di quel territorio, altro termine di cui usufruiamo o esageriamo anche nell'utilizzo perché l'autonomia è una gran bella cosa quando si hanno i mezzi e la capacità di esercitarla. Molto spesso noi con questo termine copriamo le nostre stesse mancanze.

Allora, la legge all'attenzione dell'Aula è una legge accettabile, come dimostrato dal voto in Commissione, dai colleghi che partecipano a quella Commissione. E' una legge che ci deve portare necessariamente ad una riforma e io non sto qui a fare demagogia nel dire come qualcun altro ha detto che è indubbio che noi dobbiamo passare da un numero di 25 a un numero "x" di comunità montane. Io dico, come contenuto in alcuni emendamenti, che noi dobbiamo arrivare a un numero definito, noi ci assumiamo l'impegno di definire, secondo i parametri previsti in legge e anche secondo delle deroghe ad alcuni articoli di legge, il numero delle comunità montane, lasciando la libertà ai comuni di aderire ad una o ad un'altra comunità montana, peraltro noi, per ruolo e per responsabilità, dobbiamo delineare la cornice delle comunità montane da costituire.

Discutere di questo non è lesa maestà; è corretto e giusto dire che la Commissione ha lavorato bene, una commissione bipartisan, e che all'unanimità sono state votate alcune cose. Allora, si chiede: perché ci sono gli emendamenti? Perché, grazie a Dio, esiste ancora un po' di democrazia. Perché, grazie a Dio, esiste ancora un po' di libero confronto. Perché, grazie a Dio, esistono dei momenti, quando si predispone una legge, di ripensamento, di maggior analisi, di maggior contributo, di concertazione, perché non sempre, onorevole Sanna, dialogare con amici o nemici, io non vedo questa differenza, dialogare con gli amministratori, che siano essi di parte o meno, partiamo tutti dal presupposto per esempio che il sindaco quando è eletto è un sindaco di tutti. In modo particolare io cito il sindaco, non ho nessun pregiudizio, non chiedo da dove vieni, che colore o che parte politica rappresenti, magari lo so già, però accedo a un confronto, accedo all'ascolto delle sue ragioni e credo che, dialogare, confrontarsi e ascoltarsi, sia sicuramente un momento di arricchimento, soprattutto quando si discute di riforme.

Allora, non tutto quello che è avvenuto nel passato (parlo dei cinquant'anni ormai trascorsi, non sto parlando della precedente legislatura) è da buttar via, ci sono delle cose che l'autonomia, la democrazia, i padri dell'autonomia, le prassi istituzionali, ci hanno insegnato che non sono da buttar via. Ci hanno insegnato per esempio che, in presenza di una proposta o di un disegno di legge e in presenza di emendamenti ad una proposta o ad un disegno di legge, esiste un momento in cui le parti politiche si siedono e dialogano, si confrontano. In questo modo, ci hanno insegnato, si eleva il confronto e si impara l'uno dall'altro; ci hanno insegnato che si tagliano i momenti di discussione in Aula perché il momento della Commissione è un momento importantissimo, fondamentale; però ce ne sono anche altri in seguito, per esempio davanti a 50 emendamenti la Giunta non ha soltanto (non c'è scritto da nessuna parte questo ovviamente) il compito di chiamare la sua maggioranza e chiedere di limare gli elementi di contrasto che pur esistono, sono gravi e profondi tra l'attuale Giunta e l'attuale maggioranza, ma c'è anche il compito, tra persone di buon senso, di chiedere di sedersi e misurarsi tra le parti in Consiglio sul merito degli emendamenti proposti, questo non vuole dire che debbano essere accettati, ma quanto meno che si accede a un confronto.

Perciò, vedete, soprattutto in questa fase credo che nessuno di voi potrà accusarci di fare becero ostruzionismo, di dilatare i tempi, non ce n'è bisogno, li state già dilatando sufficientemente. Se abbiamo sospeso l'Aula anche nella giornata di ieri non è su nostra richiesta, è legittimo che ci sia una richiesta perché va fatto un ulteriore chiarimento sulla proposta di legge, è legittimo, così come è legittimo e corretto soprattutto che, in presenza di emendamenti, si discuta con le parti, pertanto ci sia un momento di sospensione in cui le parti si incontrano e cercano di approfondire e definire il confronto sui temi che gli emendamenti propongono. Per esempio, un emendamento che mi viene in mente ora, di quelli presentati, ritiene opportuno ridurre gli assessorati delle comunità montane a quattro.

Anche noi come vedete tendiamo al risparmio, anche noi tendiamo all'ottimizzazione e alla razionalizzazione del sistema, anche noi condividiamo il principio che le comunità montane vengano riformate, ne siamo tanto convinti che abbiamo sottoscritto una legge ad inizio legislatura, proposta dal collega Biancareddu, che addirittura proponeva l'abolizione delle comunità montane, perché? Perché forse noi abbiamo già enti intermedi. L'onorevole Sanna riconosce solo la provincia e condivido. Però ne abbiamo così tanti che il momento decisionale si allunga in maniera spropositata, anche le deleghe sono importantissime e basilari perché non dobbiamo sicuramente aumentare il centralismo cagliaritano - per semplificare, lo chiamo così - istituzionale, intendo della Regione, sì pure dobbiamo dare delle deleghe, ma tutto questo deve essere automatico, veloce, attuativo e credo che noi ci stiamo perdendo ancora nei meandri del compromesso, nei meandri dell'aggiustamento.

Tutto questo ci porta a non vedere il moscerino che abbiamo nell'occhio, infatti i dati riportati dall'onorevole Maninchedda sono esaustivi e esemplari. La spesa: 0,37 per cento dell'Assessorato dell'agricoltura e, badate bene, non è colpa dell' ex assessore Addis, anche se si è voluto sacrificare qualcuno per coprire le magagne di un sistema. Non do le colpe neanche al presidente Soru che purtroppo ci dobbiamo tenere, è una di quelle cose che ti capita e te la devi tenere. Da buoni cristiani accettiamo anche questo sperando che duri il meno possibile, le disgrazie capitano a tutti, questa è la disgrazia di aver perseguito per l'ennesima volta, e abbiamo sbagliato noi tutti, l'immagine del successo, di avere perseguito non la scelta politica, non la scuola politica, che non per forza deve essere un riconoscimento di ruolo del passato, ma un riconoscimento di capacità di mediazione, di politica, polis, abbiamo scelto ognuno per conto suo, nel momento opportuno, la politica dell'immagine, abbiamo scelto la politica della prima pagina, del successo, e abbiamo magari messo da parte persone illustri che avrebbero potuto, che non riconosciamo tali perché fanno politica, perché siamo caduti tutti nel gioco di denigrare la politica.

Anche oggi ho sentito "i partiti", "la politica dei partiti", ma quando parliamo di partiti dobbiamo tutti sollevare il cappello se abbiamo un concetto alto della politica e del ruolo dei partiti e se non focalizziamo la nostra attenzione su alcune devianze che ci sono state nella politica e nei partiti, di qualsiasi parte essi siano. Allora, sono certo che non ripeteremo e che non ripeterete quell'errore; voi sapete bene che se fossimo stati in un regime parlamentare, mi dà fastidio il termine "regime", in un sistema parlamentare, oggi noi avremmo un altro Presidente e un'altra Giunta; lo sappiamo tutti. Sicuramente avremmo avuto un altro Presidente e un'altra Giunta e alla gente, noi cosa trasferiamo? Come viene interpretato questo? Si dice che, per fortuna, c'è la stabilità e la governabilità; questo è il lato positivo che trasferiamo fuori, che facciamo leggere alla gente, ma non ci si rende conto di qual è il prezzo, che state pagando e che stiamo pagando, per la stabilità e la governabilità. E' un prezzo alto che ognuno di noi, nella sua dignità politica, nel suo ruolo di tecnico o consigliere, arriva a rinnegare, non parlo di tutti ovviamente, pur di rimanere in sella. Se questo è il prezzo della governabilità, uso un termine un po' da stadio, "arridateci Andreotti" diceva qualcuno, non voglio arrivare a questo, è solo per sintetizzare un concetto.

Allora, se recuperiamo tra noi questo metodo democratico ereditato dal passato, che spero rimarrà in futuro, anche se per un annetto l'abbiamo dimenticato, per andare avanti correttamente in un'analisi di una proposta di legge, le parti dovrebbero sedersi e discutere ulteriormente; ripeto, discutere ulteriormente non è un peccato di lesa maestà nei confronti dell'operato ottimo in questo caso della Commissione, ma è un'ulteriore sicurezza delle vostre e delle nostre posizioni, io dico di quelle posizioni che si sovrappongono e sulle quali concordiamo, sulle quali credo potrete concordare nel momento in cui ci facciamo interpreti di proposte migliorative del testo di legge.

Noi vogliamo ridurre il numero delle comunità montane, siamo pronti anche a discutere, in questa Aula, un sistema di riforme generali; voi chiedete a Roma riforme del Parlamento intero e non di una parte di esso, e poi ci portate qui un pacchetto chiuso? Le riforme facciamole insieme, non sono da fare a maggioranza, facciamole insieme, noi siamo pronti a discutere e a rivedere gli emendamenti proposti, a comprendere qual è la difficoltà dell'inserimento di alcuni di essi, oltre che a ritirarne qualcuno, ma è possibile che non recuperiamo l'elemento di confronto e di discussione tra noi? Togliamo quel muro esistente oggi di impossibilità di tornare sui propri passi perché si è raggiunta la ragionevolezza e il confronto democratico.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Uras. Ne ha facoltà.

URAS (R.C.). Signor Presidente, colleghi, Assessori, una legge, una delle poche che questo Consiglio fa, la si giudica buona legge quando è stata applicata e sperimentata sul campo, si è verificata l'utilità e la reale corrispondenza tra obiettivi proposti e obiettivi effettivamente raggiunti; se questa sia una buona legge o una pessima legge, noi potremmo saperlo solo dopo. Se ogni volta che ci apprestiamo ad approvare una legge con contenuti ordinamentali, andassimo a cercare ciò che si è detto quando abbiamo approvato quelle precedenti (per esempio, se andassimo a cercare nella documentazione di questo Consiglio, nei resoconti, quelle sedute in cui si approvò, anni fa, l'istituzione delle comunità montane o quella dei comprensori, l'individuazione, sempre anni fa, delle zone omogenee, le aree di programmazione, o quando si costituirono le UU.SS.LL. che diventarono AA.SS.LL. e così via), troveremmo sicuramente traccia di una esaltazione pregiudiziale di quei contenuti.

Io mi esalto poco, devo dire, per questa legge e per quelle precedenti, mi esalto poco! Non trovo tutto questo entusiasmo perché si è detto che è una legge di riforma, forse anche la prima vera legge di riforma di questa legislatura; può darsi, me lo auguro, ho contribuito a scriverla, molto modestamente, nel senso che il mio contributo è stato certamente molto più modesto di altri colleghi che hanno lavorato con più impegno e anche con più competenza nella redazione di questo provvedimento. Però questa è una legge che parte da alcuni ragionamenti (che non appartenevano al passato, al passato ne appartenevano di diversi) e cerca di evitare alcune ossessioni che, in questa stagione, io mi auguro alla fine, cioè che vada a compimento anche veloce, non per niente i tempi di realizzazione degli eventi si sono accorciati, prima andavamo con i carri a buoi e oggi andiamo con i jets e i tempi si sono accorciati; la stagione delle intese ha avuto un certo lungo periodo, la stagione dell'approccio di contrasto dell'alternativa netta ne ha avuto un altro, tra sistemi, tra concezioni ideologiche.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPISSU

(Segue URAS.) Questa è la stagione di un nuovo dirigismo, di un decisionismo pregiudiziale, tutto aritmetico, che funziona molto con effetto mediatico, che vuole soddisfare così (come si soddisfacevano i leoni nell'arena con carne umana, non faccio questo riferimento casualmente) la sete e la fame della cosiddetta gente che non è il popolo, che non ha una consapevolezza di se stessa, è una cosa molto condizionabile che va dietro le parole d'ordine e anche quelle che non capisce. Per cui c'è un ceto politico, che cresce e si sviluppa nei territori, che sembra che non abbia altra aspettativa che mangiare indennità a carico del contribuente. Questa è una delle ossessioni, ma ce ne sono altre, quella dei numeri, quattro, cinque, otto, dieci comunità, venticinque unioni, cinquemila, vediamo un po', parcellizzazione, concentrazione, un'altra ossessione! Allora le leggi così non si possono fare, magari escono anche bene, magari poi verificheremo che hanno raggiunto l'obiettivo che avevano, quello vero,forse quello che noi neppure avevamo capito, però sta di fatto che le leggi che nascono con le ossessioni rischiano di essere in sè un possibile fallimento.

Io devo dire la verità: la Commissione ha lavorato per superare e rimuovere le ossessioni, ha lavorato cioè per costruire un prodotto che non fosse quello preannunciato, quello pre pensato e pre raccontato sugli articoli di stampa, che non fosse cioè la derivazione di una norma intrusa della finanziaria, ma che fosse quello che doveva essere, cioè una legge ordinamentale che regolasse i rapporti tra le amministrazioni locali in funzione di rendere servizi più efficienti, più efficaci per i cittadini, per non cancellare le identità, le culture, gli sforzi, gli impegni, il lavoro di tanti amministratori locali, di giovani e meno giovani, uomini e donne di questa regione che, nel territorio, si sono impegnati per il loro sviluppo in modo da dare risposte anche quando si sono registrate assenze gravi della Regione e dello Stato.

In Commissione si è voluto dare risposta a questa esigenza e il prodotto finale è, almeno in questa direzione, un prodotto apprezzabile. Non so se sarà una buona legge ma essendo un prodotto che ha tentato di superare e rimuovere le ossessioni, il prodotto di uno sforzo di considerazione vera della realtà, un prodotto della discussione e del connfronto interno nella Commissione, noi l'avremmo auspicato più significativo con la minoranza o le minoranze, perché ha ragione l'onorevole Capelli, non bisogna aspettare l'Aula per proporre modifiche, per entrare nei ragionamenti, bisogna anche stare nella Commissione.

In questa circostanza, come ho l'abitudine di dire tutte le cose in modo molto diretto, senza colpevolizzare comportamenti, dico che in Commissione un po' è mancata questa discussione tra maggioranza e minoranze, sarebbe stato importante perché avremmo prodotto anche meglio nella direzione che dicevo io prima, cioè del superamento e della rimozione delle ossessioni, dell'evitare le prime pagine. Le prime pagine si riempiono con i numeri, numeri che, francamente, io molte volte non riesco neppure a capire a che cosa siano collegati o perché debbono essere evocati, non ci riesco e mi sembra di essere scemo! Forse altri capiscono e capiscono meglio, forse capiscono meglio perché applicano dinamiche di ragionamento che appartengono più alla Prima Repubblica che a questo tempo moderno, cioè a una serie di relazioni, di iniziative, di azioni che si producono in funzione della gestione del potere.

Il potere può essere diffuso, partecipato, democratico, frutto di una decisione che si forma attraverso corrette relazioni, in modo trasparente davanti a tutti, anche qualche volta col conflitto, oppure può essere un dirigismo da censo, da mancanza assoluta di preoccupazione, anche dall'approfittare di un anarchismo che si diffonde e di una disponibilità spesso anche troppo palese alla contrattazione di qualche beneficio. Io sono contro il dirigismo perché l'ideologia a cui appartengo ha fatto un'esperienza negativa nel novecento, penso che sia stata traumatica e devastante per popoli interi, ritengo che il dirigismo, quando si è sostituito al sano spirito cooperativo, non ha prodotto effetti buoni neppure nell'economia. Penso cioè che vada cancellata l'idea stessa che si possano proporre anche in questa occasione, anche in questa legge, anche nella nostra parziale possibilità di intervento a regolare i rapporti istituzionali, processi forzosi.

Noi vogliamo riorganizzare i comuni perché i comuni possano dare maggiori servizi ai cittadini, la prima preoccupazione che dobbiamo abbandonare è che rappresenti un handicap la volontà liberamente espressa dagli stessi comuni, attraverso le loro rappresentanze, che sono le uniche riconoscibili, quelle che si siedono nei consigli comunali e che raccolgono il consenso di tutte le parti politiche, perché se noi attivassimo processi comunque in qualche misura obbligatori verso una pianificazione che è definita centralmente e che non rispetta le libere volontà, noi faremmo un'operazione dirigistica e avremmo costruito le condizioni per il fallimento anche di questa normativa.

I comprensori furono un'operazione dirigistica e fallirono, le vecchie comunità montane sono state un'operazione dirigistica e hanno fallito, la novità di questa legge - se sarà conservata fino alla sua approvazione - è la libera e spontanea manifestazione di volontà dei nostri enti locali e delle sue rappresentanze istituzionali. Questo è il dato: che si costituiscano comunità montane attraverso la forma nuova delle unioni dei comuni montani, che si costituiscano unioni di comuni, e che tutto questo processo serva anche, con alcune misure mirate, a raccogliere le esigenze e i bisogni delle nostre piccole comunità che sono la maggioranza, i comuni che sono al di sotto di 3 mila abitanti sono circa 270, quasi i due terzi dell'intera rete istituzionale locale.

I nostri piccoli comuni sono anche, diciamo, un presidio del nostro territorio, sono distribuiti, qualche volta sono molto vicini tra loro e qualche altra volta sono invece lontani, chi vive in quelle realtà vive una vita di sacrificio, tagliato fuori dai centri più attrezzati dove cultura, lavoro, possibilità di sviluppo, anche personale, di affermazione delle proprie aspirazioni, garantiscono di più; invece, quelle popolazioni, quelle che stanno e che risiedono nei nostri piccoli centri, sono prive di queste possibilità, eppure presidiano il territorio, lo salvano, lo tutelano, ne garantiscono una possibilità di utilizzo, di impiego corretto, quasi sempre più corretto che da altre parti, più rispettoso che da altri parti.

I nostri piccoli comuni vanno salvati, vanno aiutati, ma vanno aiutati sensibilmente, allora tutto questo processo di riarticolazione che parte dalle organizzazioni anche in modo associato delle funzioni sia nelle comunità montane, che sono unioni di comuni montani, sia nelle unioni di comuni e attraverso i piccoli comuni che si possono tra loro aggregare quando ce ne sono le condizioni e le volontà, ma comunque devono essere sostenuti perché sono un sano ed efficace presidio nel territorio, beh, tutto questo sistema ha bisogno di risorse e questa è una riforma che funzionerà se ne avrà.

Un'altra ossessione è quella del risparmio, io ogni tanto leggo, anche oggi, "meno spese, più entrate", che cosa siamo? Una banca? Un istituto di credito? "Meno spese e più entrate"! Io voglio più spese quante più entrate ci saranno, io voglio che tutte le lire che sono disponibili, che ancora non si sono spese per colpa di questa Regione, sempre più dirigistica e centralistica, si spendano; non voglio meno spese! Voglio spendere tutte le lire che ci sono dentro le casse della Regione, "spese quanto entrate" e non "meno spese e più entrate"! Non meno spese e più entrate, ce l'abbiamo di abitudine meno spese e più entrate, siamo pieni di residui, non abbiamo speso i soldi che avevamo! Tante spese quante entrate significa favorire le nostre realtà locali, i nostri piccoli comuni, quelle popolazioni più escluse, più emarginate, più marginali, dare a loro la possibilità di dire: "Io vivo in una realtà che mi garantisce altrettanto quanto è garantito ai sardi che stanno nelle città e nei poli costieri". Questa è una legge che si sforza di dare una risposta in tal senso, quindi contiene in sé elementi per poter diventare una buona legge rimuovendo quelle ossessioni anche di risparmio.

Noi pensiamo di mettere in campo, attraverso i fondi previsti in questa legge, per l'unione di comuni, quindi per l'esercizio delle funzioni comunali in modo associato, e per i nostri piccoli comuni, tutte le incentivazioni che devono essere risorse aggiuntive rispetto a quelle che già destiniamo al nostro sistema locale. Non si può risparmiare; non è tempo di risparmio. Il tempo del risparmio è quel tempo…

PRESIDENTE. Onorevole Uras, il tempo a sua disposizione è terminato.

E' iscritto a parlare il consigliere Pisano. Ne ha facoltà.

PISANO (Riformatori Sardi). Signor Presidente, io inizio dalla frase quasi ultima che l'onorevole Uras, in questo momento, ha pronunciato denunciando qui, con proposito ovviamente molto costruttivo, che lui vuole una Regione sempre meno dirigistica e meno centralistica rispetto a questa che oggi andiamo a verificare essere la nostra Regione. Il riferimento più diretto a una incapacità ad avviare davvero le riforme, ad avviare quella trasformazione che noi tutti auspichiamo davvero trovi ospitalità in questa stagione di riforme, così com'era stato annunciato, è contenuto nelle affermazioni che ha fatto questa mattina, in maniera sicuramente appassionata, ma anche sofferta, il Presidente della prima Commissione. Una Regione diversa, una Regione che davvero abbia come primo obiettivo quello di non fare scomparire le identità dei nostri piccoli comuni, una Regione che abbia davvero il grande obiettivo di stare vicino alle debolezze di questo grande momento di riforma al quale noi vogliamo avvicinarci.

Allora, la considerazione prima che voglio fare è che, tre giorni fa, la Giunta regionale ha adottato un provvedimento che io definisco non giusto, non equo nei confronti di tutti i cittadini e delle popolazioni della nostra Regione, si tratta di quel provvedimento, suggerito e proposto dall'Assessore dell'ambiente, che prevede di portare la tassazione per il conferimento dei rifiuti dalla misura minima alla misura massima di 50 lire il chilogrammo, un costo che ovviamente saranno chiamati tutti i cittadini, soprattutto dei piccoli comuni, a dover pagare perché la possibilità concreta, immediata, di dar luogo a forme associative, nella gestione dei servizi, è ovviamente ancora lontana. Poiché questa proposta normativa davvero si pone come grosso obiettivo quello di avviare, quindi dare strumenti, e concreta attuazione alla finalità primaria dell'associazionismo, io annuncio qui che condivido, quasi totalmente, lo spirito con il quale è stato costruito questo meccanismo normativo che di sicuro assomiglia molto a quel principio che aveva ispirato i 120 sindaci nel 1992 quando chiesero in maniera prepotente, occupando quest'Aula, la nascita della legge "25".

Questa stagione e questa norma devono assomigliare molto a quel momento, devono davvero portare con sé quella tensione che tutti gli amministratori locali dovrebbero testimoniare in questa Aula perché si arrivi a modificare e a portare novità a un testo ormai anche superato e in ogni caso inadeguato rispetto ai processi normativi nazionali. La "267" è un testo che noi non abbiamo ancora recepito per intero nella nostra legislazione, solo in minima parte, e alcuni dei temi forti, in essa contenuti, sono oggi riproposti in questa importante proposta di legge.

Poiché noi vogliamo dimostrare, anche con i fatti, di non voler assolutamente frenare questo processo di riforma, molto atteso e che noi riteniamo anche molto tiepido da questo punto di vista, annuncio che ritireremo i primi cinque emendamenti di cui tra l'altro sono primo firmatario. Davvero non c'era assolutamente nessuna forma di campanile dietro il contenuto di quegli emendamenti, noi non volevamo individuare comuni o amministratori, noi intendevamo dare un apporto costruttivo, migliorativo. Per evitare di essere fraintesi, riteniamo di dover fare necessariamente un'azione in questa ottica. Noi crediamo che lo spirito semplificativo con il quale si vuole ridurre il numero delle comunità montane, dei consigli di amministrazione delle comunità montane, dei comuni ritenuti montani, sia molto condivisibile e che necessariamente il legislatore sardo doveva far riferimento a un requisito, il più oggettivo possibile. Ci rendiamo conto che l'introduzione di altri requisiti riferiti alle condizioni socio economiche dei nostri territori interni davvero forse mai avrebbe potuto consentire di metterci d'accordo su una proposta.

Quindi, i 102 comuni che, per effetto dell'articolo 5, prima parte del primo comma, vengono individuati come comuni montani, secondo questa nuova proposta, per via di una altimetria della loro propria superficie territoriale con un'incidenza superiore al 50 per cento, credo che possa essere anche un riferimento equo, così come la seconda parte del primo comma dell'articolo 5 che, a integrazione di questi 102 comuni, ne indica altri 19 della nostra Sardegna che hanno un dislivello altimetrico superiore a 600 metri, ritenuti montani purché nella condizione di aver almeno un 30 per cento della loro superficie comunque superiore in altimetria ai 400 metri, credo che pure questo diventi un requisito oggettivamente perseguibile.

Sulla funzione dell'articolo 6 poi, che è un po' una sorta di addizione e sottrazione, dove aggiungiamo qualche comune e ne sottraiamo degli altri, probabilmente è opportuno portare dentro quest'Aula una riflessione un po' più ampia. Io non sono assolutamente convinto che possa essere un bene, ma il ragionamento può essere di confronto anche leale, sottrarre per intero i 13 comuni che ricadono nel territorio dell'Ogliastra ritenendo che le competenze delle comunità montane in quel caso siano affidate per intero alla Provincia, così come andare a definire, mi pare di ricordare, altri 13 comuni, che totalmente potrebbero avere un perimetro di confine superiore al 60 per cento con altri comuni montani, significa evidentemente introdurre una sorta di omogeneità territoriale che, invece, è un concetto assolutamente, da questo punto di vista, condivisibile.

Però l'aspetto principe di questa proposta, l'aver voluto porre delle condizioni innovative nell'istituzione delle comunità montane, assimilandole giuridicamente tra l'altro a unioni di comuni, credo che dovrebbe davvero essere secondario rispetto alla riflessione più ampia e generale che noi qui siamo chiamati a fare. Qual è l'aspetto davvero preponderante, interessante? Io ho seguito con grande attenzione quasi tutti i lavori della prima Commissione e devo anche dire che, quando c'è stata l'occasione e l'opportunità di esprimere quale suggerimento, sono stato ascoltato in maniera costruttiva. La vera grande utilità, la vera grande rivoluzione, è contenuta naturalmente nel voler indicare non in maniera impositiva, ma in maniera quasi indicativa, la funzione associativa che i comuni oggi devono avere, soprattutto i piccoli comuni, perché possano gestire servizi insieme. E' un processo ineludibile. Non è più possibile oggi arrivare all'obiettivo, che poco fa enunciava l'onorevole Uras, di salvare i piccoli comuni, se non si passa obbligatoriamente attraverso questo processo.

Perché ho citato la delibera di Giunta regionale di tre o quattro giorni fa? Perché necessariamente i comuni, se non vorranno pagare le 50 lire a chilogrammo di tassazione per il conferimento in discarica, debbono per forza avviare la raccolta differenziata, e un comune di 3 mila abitanti o di 2 mila abitanti non può certo farlo, lo deve fare attraverso una forma associazionistica, quindi attraverso un'unione di comuni. Mi vede totalmente d'accordo anche la grande proposta di ridefinizione dei piccoli comuni, non mi scandalizza assolutamente che si possa anche parlare in questa sede del limite chilometrico di distanza dal mare per definire i comuni piccoli quando, appunto, sono distanti almeno 15 chilometri dalla costa. Se qualche collega pone in maniera costruttiva un emendamento che abbia ragione d'essere e che definisca in maniera diversa i 15 chilometri, credo che nessuna barricata possa davvero essere fatta.

Però è vero il concetto che i piccoli comuni costieri non possono oggi avere lo stesso trattamento, da parte della Regione, riservato ai piccoli comuni dell'interno, per un semplicissimo ragionamento. Lo diceva stamattina l'onorevole Cugini, il problema principale è quello delle risorse, non è assolutamente vero che si sta andando a costruire in maniera politica una rivoluzione degli enti locali. Si deve innanzitutto porre una condizione fissa all'entità delle risorse e capire quali sono i meccanismi per la sua distribuzione. Faccio un esempio di piccoli comuni costieri, so di non far torto a nessuno, come può essere il comune di Villasimius, che ha un introito oggi soltanto di ICI dell'ordine - mi pare di ricordare - di 2 milioni e 500 mila euro, qualcosa di simile. Credo proprio che se i piccoli comuni dell'interno avessero un decimo, un centesimo di queste entrate, probabilmente sarebbero quasi contenti.

Ci rendiamo conto che non può più essere accettabile che la legge 25 del 1992, grande conquista dell'autonomia degli enti locali in quel momento, possa restare in piedi con quel ragionamento, perché è cambiato il mondo, perché in 13 anni il problema della fiscalità degli enti locali è rivoluzionato totalmente. Perché nel nostro comune, così come sicuramente nel comune di Baressa, non è più possibile oggi contrarre mutui probabilmente perché non abbiamo più capacità di indebitamento, mentre le entrate, che sono afferenti entro i primi tre titoli del bilancio, consentono ai comuni costieri di fare ciò che vogliono.

Allora, io dico che noi ci poniamo in una condizione di totale incoraggiamento verso una riforma che sia in questo momento una novità, anche perché avevamo creduto davvero in quel principio che qui il presidente Soru aveva enunciato dicendo che bisogna stare attenti perché le norme intruse contenute nella finanziaria hanno la sola finalità di incoraggiare e di avviare davvero le riforme.

Poiché noi ci siamo allontanati anche da quello spirito vincolistico, che proprio su questa materia era contenuto nella finanziaria, credo che dobbiamo utilizzare, o trasformare in positivo se preferite, questa intenzione della maggioranza che a noi, non solo va bene, devo dirlo pubblicamente, ma va benissimo. Siamo per le riforme, siamo favorevoli perché le riforme si facciano e siano vicine a quelli che sono gli interessi dei cittadini, soprattutto dei cittadini più deboli.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pili. Ne ha facoltà.

PILI (F.I.). Signor Presidente, stamani sono state rievocate in quest'Aula parole importanti per definire questa legge. L'onorevole Maninchedda, Presidente della prima Commissione, ha parlato di un nuovo corso dell'ordinamento istituzionale sardo e ha aggiunto parole come innovazione e giustizia. L'onorevole Biancareddu, dal canto suo, invece, ha parlato di barzellette. E' chiaro che sono due visioni diverse di una legge che stiamo cercando, anche grazie all'intervento dell'onorevole Maninchedda, di guardare e di poter interpretare senza ragionamenti di schieramento. Io voglio cercare di farlo, perché capisco che, su un tema come questo, non vi può essere una divisione netta tra parti, ma occorre un ragionamento.

Consentitemelo, colleghi, leggendo questa proposta di legge si è ben lungi dal poter parlare di riforme, per tutta una serie di ragioni che cercherò nella sostanza di argomentare, mi sembra sempre di più un tentativo di restaurazione di alcuni vecchi concetti e principi che hanno caratterizzato l'autonomia regionale in questi ultimi cinquant'anni. Restaurazione che non significa certamente azione innovativa, ma che può essere semmai considerata come un'azione di retroguardia su alcuni filoni sostanziali nella valutazione che viene fatta proprio della intenzione di recintare, sul piano istituzionale, alcune realtà autonomistiche come i comuni e la loro caratterizzazione e specificità.

Una proposta, mi perdonerete, datata e consunta, superata, che non tiene conto di alcuni principi fondamentali che invece sono negli argomenti portati in quest'Aula da ambo gli schieramenti, che sono contenuti nelle dichiarazioni programmatiche del presidente Soru, che sono condivisi in alcuni aspetti fondamentali anche da questa parte e che hanno elementi che purtroppo non si traducono in quella innovazione culturale nella concezione istituzionale, programmatoria e gestionale del territorio regionale.

Cercherò di spiegare, colleghi, con poche parole, alcuni concetti elementari sul piano istituzionale, sul piano sostanziale, sul piano concettuale e su quello finanziario ed economico. Il primo, quello istituzionale, onorevole Maninchedda, lei l'ha richiamato stamani, l'hanno richiamato molti colleghi che sono intervenuti prima di me, noi abbiamo scelto un male necessario, qualche anno fa, quello di realizzare in Sardegna un diverso assetto istituzionale promuovendo la costituzione di otto nuove province, perché tutte sono state ridefinite, rimodificate e messe sul terreno istituzionale come nuovi soggetti da organizzare rispetto ai poteri e ai territori. Oggi mi domando: se in questa legge vi è scritto che le comunità montane devono e possono avere un massimo di sei assessori più il presidente, questi sei assessori di quali competenze dovrebbero occuparsi, diverse da quegli stessi sei o otto assessori delle nuove province? Di servizi sociali? Ci saranno i cittadini che dovranno essere seguiti dall'Assessorato ai servizi sociali della comunità montana e altri da quelli della provincia? O, per esempio, visto che qui si richiamano le attività produttive, leggendo tutti gli articoli della norma che è stata proposta, le attività produttive le segue l'assessorato della comunità montana o quello della provincia? Io so e posso soltanto dire che, facendo un semplice calcolo, con questa norma si introducono, anzi si restaurano 100, 150 nuovi assessori al governo di materie già disciplinate, già contenute nel nuovo assetto istituzionale delle otto province. Quindi vi è un raddoppio e una sovrapposizione di quei poteri gestionali su alcune materie già contenute nell'organizzazione delle nuove province.

C'è una differenza sostanziale, sulla quale forse in termini propositivi bisognerebbe riflettere: le nuove province (in Sardegna, come sapete, abbiamo un potere costituzionalmente riconosciuto sulla materia degli enti locali) devono essere espressione di un voto popolare o emanazione diretta dei comuni? Questa forse è la valutazione politica più alta che questo Consiglio regionale può fare, cioè può esserci un Consiglio provinciale che elegge consiglieri di piccole circoscrizioni, di piccole aree, o forse è meglio che quell'ente intermedio sia la rappresentazione corretta, così come capitava nelle comunità montane, di ogni singolo comune, di ogni singola realtà comunale? E' una valutazione che avremmo potuto fare, che avremmo potuto mettere all'esame di questo dibattito.

Certo è che così facendo andiamo incontro a una sovrapposizione non più giustificabile, soprattutto per quello che in questa proposta viene contenuto in termini di risorse trasferibili. E' stato detto, lo ha detto molto puntualmente stamani il collega Biancareddu, che non è un problema di risorse trasferibili. Lo Stato ha detto e ha scritto che tutte le risorse finanziarie legate alla politica della montagna (non quelle che diceva l'onorevole Sanna, che ha detto: "Faremo con la 'fabbrica di Prodi' ", al limite può fare una crono scalata, Prodi, non certo la politica della montagna), la pianificazione territoriale, la pianificazione infrastrutturale, la pianificazione sociale sono davvero il tema alla base del ragionamento. E se la provincia ha la competenza della pianificazione territoriale, ce l'ha per la montagna e per le coste, giustamente, e non vi può essere un triplo passaggio sulla pianificazione territoriale, cioè la Regione, poi la provincia e poi la comunità montana, incrementando ulteriormente quella gestione farraginosa che sicuramente tanto danno ha provocato. La pianificazione infrastrutturale, colleghi, è un elemento cardine, una strada dove poter andare dalla montagna alla costa, se no siamo di fronte all'isolamento; chi decide la strada? La comunità montana si ferma ai 400 metri e poi inizia la provincia? Ma con quale raziocinio politico, istituzionale, programmatorio, gestionale si propone un'assurdità di questa natura?

E poi c'è l'elemento del piano sostanziale: è corretto aggregare soltanto i piccoli comuni? O è ipotizzabile l'aggregazione dei piccoli comuni anche con i grandi comuni, creando alleanze tra quelle realtà metropolitane che pure esistono in Sardegna? Vedi Cagliari, che ha un peso economico che potrebbe sicuramente aiutare a creare un'intesa anche con i più piccoli dei comuni. E' un errore recintare e chiudere in se stessi i piccoli comuni, non dando loro la possibilità di creare quella fruizione anche tra grandi città e piccoli comuni, capacità che può essere assolutamente fondamentale.

Ma c'è un piano sostanziale politico che, in questa norma, non viene assolutamente preso in considerazione; è un principio sacrosanto del futuro economico della Sardegna, che è l'integrazione, l'integrazione tra le coste e le zone interne. Non vi può essere futuro per le zone montane senza integrazione con le zone costiere e non vi può essere futuro per le coste senza l'integrazione con le montagne. Se noi perseguiamo quel concetto antico, atavico, che ha caratterizzato anche l'autonomia regionale sarda, cioè concepire le zone interne recintate, non in raccordo con le zone costiere, che non sempre sono zone ricche e sviluppate, se non si cura bene la montagna non si può star bene nemmeno in pianura. E' questo un concetto che noi dobbiamo mettere alla base anche della riflessione dell'altro fronte, cioè quello delle zone costiere.

Poi c'è il piano concettuale, un territorio non va diviso e recitato, va semmai pianificato e governato nella integrazione delle sue diversità e delle sue specificità. Quando la politica, quando le istituzioni tentano di marginalizzare creando una recinzione legislativa, come quello che sta capitando oggi, si commette un errore concettuale che la Sardegna purtroppo paga già da troppo tempo.

Per quanto riguarda poi il piano finanziario ed economico, è una proposta di legge virtuale che non ha risorse, non mette una sola lira, propone di togliere un po' da una parte per metterlo da un'altra, ma parliamo del 5 per cento, di una ripartizione di 5 milioni di euro tra una miriade di comuni. Briciole, non riusciranno a fare assolutamente niente! E' una legge che pianifica quel che già esiste, la legge 25, lo ha richiamato poc'anzi il collega Pisano. Bastava introdurre la modifica dei parametri sulla "25" e avremmo visto, come oggi, i comuni che pagano anche lo scotto di una decisione assurda della cancellazione del trasferimento della "37", non la possono sopportare.

Forse quella legge 25 spaventa chi governa, perché ci sono i parametri di ripartizione dei fondi e non quello che invece sta avvenendo oggi. A proposito di quello che diceva stamani il collega Maninchedda sulla impropria restrizione dei poteri e la strettoia univoca delle decisioni, cito per tutti, i PIT; voi sapete quello che sta succedendo sui piccoli comuni, su quei comuni che non sono riusciti a vincere la gara concorsuale, sulla quale si era impegnata l'Amministrazione regionale su un preciso mandato della Commissione Europea? La Giunta regionale ha deciso di stralciare quelle 17 aree di comuni deboli, che non erano riusciti a pianificare e programmare, e ha inventato, senza mai scrivere una delibera peraltro, l'imbroglio dei laboratori, di cui nessuno sa niente. Non sappiamo chi li gestisce, con quali risorse vogliono gestire la pianificazione territoriale e soprattutto se la ripartizione, che era stata allora posta in essere con criteri di omogeneizzazione, verrà rispettata. Quelli sì che saranno denari sottratti anche al governo dell'autonomia e delle realtà più deboli come i piccoli comuni.

Inoltre, permettetemi, colleghi, coloro che hanno firmato questa legge, l'avete decantata come una legge di riforma, ma non è una legge di riforma, io prenderò soltanto l'articolo 1 bis per dimostrarvi che non solo non riforma niente, ma è totalmente errata sul piano della tecnica legislativa e sostanziale. Mi riferisco ancora al collega Maninchedda che ha richiamato i colleghi, prima di tutto ad una maggiore partecipazione alle Commissioni, e poi ad una lettura più attenta. Io l'ho letta, dal primo all'ultimo articolo e mi sono reso conto che, nell'articolo 1 bis, per esempio, manca il soggetto, che non è un elemento secondario, è l'elemento primario; avete tentato di mettere in campo, nell'articolo 1 bis, un vero raggiro del Consiglio regionale della Sardegna, perché parlate di un soggetto "X" che non avete definito, che non avete scritto, quindi dovete per forza emendarla, sarete costretti a presentare un emendamento all'articolo 1 bis per dire chi è il soggetto. E' il Consiglio regionale che approva il cosiddetto programma che dà mandato per rifare tutto e il contrario di tutto? Se è il Consiglio regionale possiamo discutere, ma se è la Giunta regionale siamo in quella impropria restrizione del campo democratico. Se siamo a un passo dal baratro, questa legge ci fa fare un passo in avanti, appunto verso il baratro. Un ulteriore passo in avanti nella logica espropriativa delle funzioni di questo Consiglio regionale.

Colleghi, quando si leggono elementi così marcatamente anti-Consiglio regionale, dove si dice che uno schema di programma viene trasmesso al Consiglio regionale per il parere, si dice già che il Consiglio regionale non è investito di questo ruolo, quindi voi, che avete decantato in maniera negativa la gestione della Giunta regionale attuale (perché non credo che ci sia un riferimento ai posteri rispetto alle critiche e alle accuse che sono state mosse stamani in alcuni interventi), è evidente che state dicendo che la Giunta regionale deve fare il programma. Un programma che dica tutto quello che, sul piano regolamentare, sul piano costituzionale, è di competenza esclusiva del Consiglio regionale della Sardegna, perché, all'articolo 1 bis, punto 2, dice: "individua i caratteri degli ambiti adeguati…", "opera la ricognizione delle gestioni associate…" e "specifica i criteri per l'accesso di unioni…". Cosa sono i criteri, se non un principio regolamentare che non può essere in alcun modo delegato a un soggetto esecutivo, che voi mentre da una parte denigrate, dall'altra parte volete riempire di ulteriori accentramenti, a dispetto di quella sussidiarietà che decantate, ma che in questa proposta, lo vedremo articolo per articolo, non solo non è rispettata, ma è cancellata.

Occorre forse proprio per questo che ci sia una riflessione congiunta (non dico addirittura riportare la legge in Commissione, perché so che non c'è questa apertura politica) perché si possa fare un esame dopo un dibattito sull'inquadramento generale di quella che dovrà essere la gestione futura degli assetti istituzionali in Sardegna.

Vedete, quando si fanno fughe in avanti, qualcuno l'ha detto, così come sono state fatte su questa legge fughe in avanti, senza avere la cornice esatta dei campi, dei tempi e degli ambiti su cui fondare la riforma della Regione, andate foglia per foglia a tentare di investire l'opinione pubblica di un riformismo che, in questo caso, si fonda con la restaurazione di principi che hanno l'unico obiettivo di riportare in sella centinaia di assessorati, magari anche auto blu, a dispetto delle esigenze vere e forti di quei territori deboli che hanno bisogno di ben altre risposte.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Licheri. Ne ha facoltà.

LICHERI (R.C.). Signor Presidente del Consiglio, Assessori, onorevoli colleghi, la proposta di legge esitata dalla prima Commissione, che norma l'unione di comuni e delle comunità montane, oltre alle misure di sostegno per i piccoli comuni, rappresenta per questa maggioranza, per noi, un fatto importante, perché avvia una riforma che consente alla Sardegna un riassetto territoriale maggiormente armonico ed una nuova fase di sviluppo economico equilibrato.

Questa proposta si inserisce nel percorso delle riforme delle autonomie locali segnando un mutamento di impostazione. Infatti si affronta una riforma che pone il tema della partecipazione diffusa e dal basso, perché individua modelli organizzativi per gestire in maniera ottimale le funzioni e i compiti attribuiti agli enti locali attraverso una diversa articolazione istituzionale del territorio basata su un'interazione politico-gestionale dei piccoli comuni, capace di esaltarne specificità, competenze e risorse.

Attraverso questo percorso partecipativo vengono definite modalità e forme più efficienti di associazionismo istituzionale. Il trasferimento sempre maggiore di funzioni e di competenze agli enti locali confligge, però, con la dimensione stessa degli enti in quanto tali e soprattutto con la limitatezza delle loro risorse. Il decentramento e i principi che regolano il conferimento di funzioni determinano forme stabili e diversificate di cooperazione tra i comuni per garantire una reale programmazione e realizzazione di politiche territoriali. A me pare che, in coerenza con tale impostazione, la proposta di legge consente nuove forme di aggregazione dando un rilievo centrale all'unione di comuni e ridisegnando in quest'ottica anche il profilo delle comunità montane. E' per questa ragione che, in Sardegna, è maturata la necessità di una riforma che da una parte ridimensioni l'entità numerica delle comunità montane e dall'altra ponga in essere strumenti utili in grado di avere ricadute positive su territori svantaggiati. Questa proposta di legge va nella direzione di una migliore articolazione dei servizi a vantaggio dei cittadini e delle comunità nel loro complesso.

L'esperienza pregressa ci dice, infatti, che in questi anni - lo hanno sottolineato anche alcuni colleghi - alcune comunità montane hanno saputo lavorare bene tanto da essere state gli unici momenti avanzati per uscire dall'isolamento e dal sottosviluppo. Altre, però, hanno risposto a mere esigenze di ceto politico e di sottogoverno, anteponendo le esigenze di una concezione distorta della politica a quelle di uno sviluppo economico e sociale efficiente di quei territori.

L'unione di comuni, così com'è stata formulata al Capo I della proposta di legge numero 89, rappresenta uno strumento innovativo perché consente, ai soggetti che ne faranno parte, di razionalizzare in forma associativa le funzioni e i servizi di loro competenza. A fronte del taglio sempre più drammatico dei trasferimenti statali, l'unione di comuni costituisce, dunque, la sola risposta possibile alla contraddizione tra le aumentate competenze e le diminuite risorse a disposizione; in quest'ottica si inserisce, a mio giudizio, anche il nuovo profilo delle comunità montane.

Nel corso della discussione della precedente manovra finanziaria, con chiaro intento strumentale, si è tentato di far passare l'idea che tale riforma si risolvesse in una semplice cancellazione delle comunità montane della Sardegna; la proposta di legge in questione invece va esattamente nella direzione opposta, perché vengono semmai rafforzati i profili dell'identità istituzionale della comunità montana in quanto viene, da un lato, ribadita la sua indiscussa natura di ente locale mentre, dall'altra, essa è configurata anche come unione di comuni preposta alla gestione associata delle funzioni comunali. In ultima analisi, nella nuova formulazione le comunità montane, oltre ad essere delegate alla valorizzazione delle zone montane e all'esercizio di funzioni proprie, sono individuate anche come strumento per l'esercizio associato di funzioni comunali e, quindi, come unione di comuni.

Al fine di rendere dinamica ed operativa tale impostazione, è pertanto necessario operare un profondo mutamento pragmatico di cultura istituzionale e addivenire ad una nuova fase di innovazione e di riorganizzazione nel governo del territorio; la normazione della nuova legge dovrà servire a superare diffidenze e titubanze nell'identificare le comunità montane e le unioni di comuni quali amministrazioni credibili ed adeguate per ricevere compiti aggiuntivi rispetto alle funzioni tradizionali, facilitando un processo associativo sempre più stretto tra i piccoli comuni.

Ma, perché tutto ciò avvenga, è necessario fare chiarezza su un punto preliminare: è indispensabile che, al conferimento di funzioni e di compiti, si accompagni il trasferimento di adeguate risorse finanziarie, organizzative e patrimoniali; viceversa senza questa complementarietà costruiremo solo scatole vuote, utili al massimo a soddisfare bramosie di sottogoverno e non certo ad innescare una fase di rinascita e di sviluppo. L'obiettivo primario del riassetto organizzativo è creare condizioni esecutive che garantiscano la diffusione capillare delle opportunità di sviluppo, realizzare una penetrazione nelle aree di disagio e marginalità per articolare un intervento funzionale al superamento delle condizioni di sottosviluppo o tendenza all'inerzia; in tutto ciò vanno ricercate le ragioni che ci devono spingere a battere tutte le strade utili a favorire l'aggregazione tra i comuni, con tutto quello che questo comporta in termini di gestione, di poteri e di risorse.

Se inizialmente l'avvio e l'attivazione dei servizi essenziali delle nuove comunità montane e dell'unione di comuni determinerà certamente anche dei sacrifici, una volta a regime però tali sacrifici si tradurranno in economia di scala con benefici evidenti per le popolazioni interessate; in alcuni comuni è già stato sperimentato anche in passato positivamente il percorso della gestione associata dei servizi. Il nostro compito, attraverso questa legge, è rafforzare tale soluzione in modo da valorizzare le specificità di ciascuna realtà; com'è stato giustamente sottolineato nella relazione dei proponenti, dobbiamo avviare un percorso virtuoso che incentivi l'insediamento sia abitativo sia imprenditoriale compatibilmente con le esigenze di quei territori attraverso un protagonismo partecipativo e decisionale degli enti e delle popolazioni locali.

E' certamente una riforma complessa quella che si intende avviare con questa legge, ma noi crediamo che essa vada nella direzione giusta e che possa rivelarsi uno strumento idoneo a far uscire diversi nostri territori e i suoi abitanti dall'isolamento, favorendo quello sviluppo economico, sociale e culturale che noi tutti auspichiamo, tutto questo attraverso il rispetto rigoroso della legittima autonomia decisionale dei comuni; ciò significa che, con questa proposta di legge, va preventivamente bandita ogni pretesa di unilateralismo da parte della Regione Sarda nella pianificazione degli interventi e nella soluzione delle difficoltà che inevitabilmente potranno presentarsi.

Le finalità, ho concluso, di questa legge sono quelle di promuovere strumenti nuovi ed efficaci in grado di rafforzare coesione ed integrazione sociale tra comunità per promuovere sviluppo, innovazione e crescita delle nostre popolazioni. Lo sviluppo socio-economico nella nostra Isola è uno dei temi da perseguire per uscire dalla condizione di arretramento e di isolamento, per fare questo però diventa necessario attivare un sistema di servizi attraverso forme associative in grado di avviare un processo di consolidamento delle politiche per lo sviluppo.

Credo che questo sia un modo nuovo e fattivo per consentire al cittadino, partendo dal basso, così come ha sottolineato più volte nel suo intervento il collega Maninchedda, di poter partecipare al processo di costruzione e di programmazione locale dei nostri territori.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere La Spisa. Ne ha facoltà.

LA SPISA (F.I.). Dopo un'analisi attenta di tutto l'articolato (anche seguendo il dibattito politico che si è sviluppato, prima e durante la discussione adesso in Aula, fino al periodo in cui nel corso dell'esame della legge finanziaria abbiamo affrontato il problema del riordino delle comunità montane), credo di avere l'obbligo di fare un'affermazione che, detta dal versante dell'opposizione, potrebbe essere interpretata erroneamente; ho il dovere di dire che questo testo di legge viene definito (all'interno di quest'Aula ma anche e soprattutto fuori, oltre che nei corridoi), e viene considerato tale anche guardando al numero e al contenuto degli emendamenti, erroneamente come la legge di riordino delle comunità montane. Io credo che si debba cogliere onestamente il tentativo fatto dalla Commissione, di tener conto dei diversi orientamenti di tutti gli schieramenti politici, ma questo testo di legge contiene alcune disposizioni, manifesta alcuni tentativi di dare risposta all'esigenza, sentita da più parti e da tanto tempo, di riqualificare l'azione delle autonomie locali sia sul piano finanziario, attraverso gli strumenti delle risorse finanziarie trasferite dallo Stato e dalla Regione alle autonomie locali, sia per quanto riguarda l'assetto normativo, cioè privilegiare, incentivare e sostenere la gestione associata dei servizi e delle funzioni in generale, per realizzazione di opere, di iniziative, di attività che in qualche modo arrivano anche all'intervento sull'economia del territorio.

Quindi, io credo che il giudizio su questa legge, da parte nostra, sia fortemente negativo riguardo a quanto e come viene affrontato il problema delle comunità montane, mentre possa essere invece più attento ed in qualche modo più capace di cogliere gli elementi positivi presenti per quanto riguarda invece il Capo III della legge che riguarda appunto gli incentivi alla gestione associata di funzioni degli enti locali. Io, anche per l'esperienza avuta personalmente negli anni scorsi, ho notato come sia difficile affrontare e gestire il grave problema di orientare la spesa regionale nei confronti delle autonomie locali avendo a disposizione una quantità di risorse e un livello di interlocuzione con gli enti locali molto molto ridotto, parlo sia di risorse che di capacità di progettare insieme tra Regione ed enti locali e anche tra enti locali.

Un passo, un articolo della legge riguarda per esempio, non è un esempio casuale, gli interventi relativi ai piani per insediamenti produttivi. I piani per insediamenti produttivi sono strumenti urbanistici gestiti dai comuni che hanno risolto e stanno risolvendo, laddove fatti seriamente, problemi enormi che riguardano sia lo sviluppo economico, sia la riorganizzazione del territorio, la gestione dei centri abitati, la riduzione dell'impatto negativo che hanno necessariamente sulla vita dei cittadini, in particolare, nei piccoli centri, tante presenze di piccole imprese all'interno dei centri abitati; cioè tutta una politica di pianificazione urbanistica e di programmazione economica finalizzata a rendere i centri abitati più vivibili e le aree attorno, individuate appositamente proprio come aree degli insediamenti produttivi, aree che possano attrarre nuove iniziative o migliorare quelle esistenti. Ci sono comuni che hanno visto le proprie aziende artigianali raddoppiare il fatturato e il numero degli occupati proprio perché hanno avuto la possibilità di poter destinare, agli artigiani o alle piccole industrie, aree attrezzate ed urbanizzate; dando cioè dei servizi reali, delle infrastrutture ad operatori economici che si sono potuti sviluppare e che hanno liberato i centri abitati da una presenza che obiettivamente disturba, che rende meno vivibile ma anche meno gradevole e meno accogliente il centro abitato.

Una politica interessante ma fatta con risorse molto scarse. Abbiamo sempre avuto grande difficoltà, addirittura quest'anno in bilancio abbiamo tolto completamente i fondi destinati ai comuni per finanziare le opere di urbanizzazione nei piani di insediamenti produttivi.. La difficoltà consisteva nel dover soddisfare un fabbisogno di risorse finanziarie altissimo che non trovava mai accoglienza da parte di una previsione finanziaria sempre assolutamente insufficiente; in questa ipotesi, prevedere in legge che finalmente i piani di insediamenti produttivi, ma possiamo appunto allargare ad altre funzioni (il settore dei trasporti, la gestione dei servizi o di infrastrutture sugli impianti sportivi, la gestione dei musei o comunque di centri o attività culturali), ad altri servizi che possano confinare di fatto con la gestione dei servizi sociali, poter prevedere che la priorità nella ripartizione delle risorse vada effettivamente ai comuni che si associano è uno stimolo sul piano finanziario, sul piano organizzativo, direi anche sul piano culturale. I piani di insediamenti produttivi, come le gestioni associate dei servizi, come quello dei trasporti o come possono essere i servizi riguardanti la tutela dell'ambiente, la depurazione e così via, effettivamente possono dare un grande impulso e soprattutto un grande stimolo a cambiare mentalità, a superare la mentalità e la cultura individualistica che punta a rafforzare il proprio comune a scapito degli altri; ci sono comuni che, attraverso i PIP, proprio perché sono stati bravi, hanno di fatto sottratto ad altri comuni attività economiche che sono fuggite da una parte ed andate da un'altra parte.

Quello che noi dobbiamo valorizzare comunque nella politica regionale, nella nostra legislazione, è esattamente di far fronte ad una carenza di risorse incentivando la gestione associata; questa è una direzione, al di là delle scelte opportunistiche, addirittura anche con venature elettoralistiche, come diceva il collega Cugini, verso cui andare perché è una cultura che riguarda la modalità della legislazione e della programmazione economica che tende effettivamente a mettere a disposizione degli enti locali le poche risorse che si hanno, in modo tale che venga razionalizzata la spesa e finalizzata a renderla più fruttuosa per quanto possibile proprio per le popolazioni locali e per le attività economiche.

Io credo che questa sia la direzione giusta e questo sia il contenuto positivo di questa legge; molto meno noi siamo costretti a sottolineare in termini di positività sulla parte precedente, la parte che riguarda le comunità montane e di conseguenza la previsione delle norme riguardanti l'unione di comuni, pur riscontrando che la volontà della Commissione è stata quella di tentare di recuperare, proprio attraverso la disciplina delle norme che riguardano la formazione dell'unione di comuni, il senso di inutilità, di frustrazione e di rabbia anche per le tante risorse finanziarie sprecate in una gestione farraginosa che moltiplica gli enti e quindi moltiplica semplicemente la voglia di occupare comunque spazi di potere a tutti livelli, da quello regionale a quello locale, diventando quindi un ricettacolo di persone che, non trovando sfogo né in Regione, né in provincia, oppure a livello comunale, trovavano la possibilità di gestire uno spazio di potere attraverso comunità montane con 12 assessorati che però effettivamente drenavano risorse e non fornivano servizi adeguati, tanto che le comunità locali spesso si chiedevano, e tutti si chiedono ancora, che senso avessero queste istituzioni. Non si riesce ancora ad uscire da questo vicolo.

La legge prevede alcuni limiti, prevede alcune riduzioni, sicuramente riconoscibili ed in qualche modo condivisibili, ma non si supera né nella legge, né nel dibattito a cui stiamo assistendo, l'evidente difficoltà di dire "no" ai propri amici di partito, ai propri colleghi, alle parti che stanno diciamo sul territorio che pretendono di avere maggiori spazi di potere; non si ha il coraggio di dire che ormai non c'è più una stagione politica in cui questo possa essere consentito. Affiora, ed è evidente anche nella lettura delle proposte fatte da diverse parti, l'esigenza di individuare e di prevedere delle norme che, di fatto, fotografano realtà esistenti; norme che in qualche modo potrebbero ancora portare a ritrovare situazioni vecchie, passate, inutili, con fondi per la montagna che potrebbero essere spesi per realizzare opere nelle aree costiere, o per l'individuazione di assetti dei nuovi enti che in qualche modo vedono insieme comuni montani e comuni che con la montagna non hanno nulla a che fare.

Esiste certamente il problema di come utilizzare le risorse ma giustamente è stato osservato che i fondi per la montagna potrebbero essere anche utilizzati, così com'è contenuto in un emendamento proposto da alcuni nostri colleghi, dalle stesse province prevedendo dei circondari che, in qualche modo, diano delle indicazioni vincolanti alle province stesse sull'utilizzo dei fondi stanziati dallo Stato per lo sviluppo della montagna; è un modello, un modello che poteva essere utilizzato. E' stata scelta un'altra strada; noi politicamente dobbiamo dire che la strada imboccata è soltanto parzialmente positiva per le parti che appunto ho descritto prima, ma in realtà il nodo politico non è stato risolto, e c'è un nodo politico che obiettivamente rimane tale perché siamo convinti che sia giusto, sia vero, sia condivisibile, l'esame, l'analisi, la denuncia, direi, fatta su una tendenza sempre più centralistica nella predisposizione delle norme, dei programmi, dei piani e sulla base di un presupposto che anch'io personalmente credo che sia assolutamente e decisamente oggi da contestare, cioè che l'accentramento delle decisioni sia automaticamente fonte di una maggiore efficienza.

Condivido almeno una gran parte, direi, delle osservazioni fatte su questo punto dal Presidente della prima Commissione sul fatto che l'efficienza non necessariamente deriva dall'accentramento delle decisioni. Tanti di noi hanno avuto l'illusione oppure l'hanno tratta da un'analisi spietata di un passato in cui effettivamente la democrazia, l'assemblearismo, la democrazia che ha sconfinato nell'assemblearismo ha portato ad una paralisi totale della capacità decisionale delle istituzioni pubbliche, che per questo occorresse una spinta verso l'accentramento delle capacità decisionali.

Stiamo riscontrando purtroppo che non è così. Stiamo riscontrando che accentrare eccessivamente le capacità decisionali porta soltanto ad una semplificazione artificiosa, ad una semplificazione dei processi di confronto, ad una semplificazione del lavoro difficile di elaborazione di proposte, di progetti, di idee, di soluzioni che, dal concorso delle idee e delle proposte di tutti, possono essere arricchite.

Noi abbiamo oggi la necessità davvero di fare norme, programmi e piani che tengano conto dell'apporto possibile di tutti, sia orizzontalmente, sia verticalmente, in una capacità cioè di ascolto e di coinvolgimento delle decisioni sia nei livelli più alti dell'attività legislativa o programmatoria, o anche amministrativa della Regione, sia verso i livelli più vicini al territorio attraverso il coinvolgimento effettivo delle autonomie locali.

Noi abbiamo la necessità di recuperare la capacità di confronto e di valorizzazione delle idee di tutti come una possibilità che apparentemente ritarda le decisioni ma dà poi alle decisioni una efficacia e una possibilità di coinvolgimento nella loro attuazione mille volte più efficiente. Dobbiamo credere e scommettere in questo, ma per farlo occorre avere il coraggio da parte di chi governa e da parte di chi ha il controllo della maggioranza, che non è l'Esecutivo, il controllo della maggioranza ce l'hanno l'intelligenza e la capacità dei consiglieri regionali di maggioranza di fare leggi che sappiano effettivamente dare, al sistema regionale e delle autonomie locali, strumenti per scommettere sulla responsabilità di tutti.

Non concordo su una delle cose dette dall'onorevole Maninchedda, cioè che l'efficienza sia legata alla legalità; è troppo poco! L'efficienza non può essere legata semplicemente alla legalità. L'efficienza è legata certamente anche al rispetto della legalità, dell'imparzialità da parte di tutti i livelli, ma l'efficienza è legata anche alla responsabilità. Se noi abbiamo un grave problema culturale, politico-culturale, che viene meno, così come in molti livelli viene meno anche nella nostra società ed anche nella nostra economia, è la responsabilità di soggetti sociali, economici e politici che sappiano rischiare, perché occorre una capacità di rischio non solo dalla parte dell'imprenditore ma anche da parte del cittadino e da parte del politico.

La capacità di rischio significa certamente saper guardare alla legalità, all'esigenza di efficienza, anche all'insieme delle norme che garantiscano l'imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche saper guardare alla necessità di far nascere, di coltivare, di incentivare lo scatto di responsabilità a tutti i livelli della nostra società regionale e locale; al di là di tutte le nostre diatribe, al di là delle polemiche anche aspre di questi giorni, le abbiamo tutti presenti, su alcuni evidentissimi esempi di carenza di imparzialità da parte dell'Amministrazione regionale e del Governo regionale, che noi sottolineiamo proprio per senso di responsabilità, non per una vuota polemica indirizzata a qualcuno in particolare.

Non facciamoci soggiogare dall'idea che appunto una maggiore snellezza e una maggiore disinvoltura negli atti pubblici possa portare ad una maggiore efficienza; l'efficienza si ottiene recuperando il confronto e la capacità di valorizzare tutto ed anche di tagliare sul passato quando questo è necessario.

PRESIDENTE. L'intervento dell'onorevole La Spisa era l'ultimo della serata. I lavori del Consiglio si concludono per questa settimana, riprenderanno martedì 26 luglio, alle ore 17, con la prosecuzione degli interventi dei Capigruppo.

Congedo

PRESIDENTE. Comunico che il consigliere regionale Giuseppe Fadda ha chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 21 luglio 2005. Poiché non vi sono opposizioni, il congedo si intende accordato.

La seduta è tolta alle ore 19 e 47.