CCLXXXVII SEDUTA
(ANTIMERIDIANA)
GIOVEDI' 7 OTTOBRE 1993
Presidenza del Presidente FLORIS
indi
della Vicepresidente SERRI
INDICE
Legge regionale 3 agosto 1993: "Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna" CCLXXVI, rinviata dal Governo. (Discussione):
DEIANA, relatore....................
COCCO....................................
SALIS.......................................
PUBUSA .................................
MULA MARIA GIOVANNA
PORCU.....................................
LORETTU................................
MURGIA ................................
MANCA ..................................
La seduta è aperta alle ore 10.
URRACI, Segretaria, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del 29 settembre 1993, che è approvato.
Discussione della legge regionale 3 agosto 1993: "Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna" CCLXXVI, rinviata dal Governo
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della legge regionale 3 agosto 1993, (CCLXXVI) rinviata dal Governo.
Dichiaro aperta la discussione generale. Ha facoltà di parlare l'onorevole Deiana, relatore.
DEIANA (D.C.), relatore. Signor Presidente, colleghi del Consiglio, la Commissione ottava ha riapprovato all'unanimità dei presenti il testo di legge che fu approvato da questo Consiglio regionale il 3 di agosto e come a tutti noto l'ha riapprovato facendo riferimento ai rilievi del Governo. Penso che non sia il caso di entrare nel merito dei singoli articoli per esaminare questi rilievi perché questo lavoro è stato fatto in Commissione. E' indispensabile però dire alcune cose di carattere generale e soprattutto far conoscere all'Aula le considerazioni della Commissione e le posizioni assunte nel riesame della legge. Sul titolo I, che riguarda le finalità della legge e i compiti della Regione, il Governo non ha fatto nessun rilievo, quindi in premessa si può dire che ne ha accettato lo spirito e i principi. Così non è per quanto riguarda la traduzione negli articoli successivi della filosofia che ha ispirato l'intera legge. La Commissione ha scelto di essere fedele al testo originale accettando però alcuni suggerimenti e approvando delle modifiche tese a rendere la legge più chiara ed esplicita.
Dicevo che non ci sono stati rilievi al titolo I mentre ci troviamo di fronte a tantissimi rilievi agli articoli 4, 8, 9, 12 del titolo II, in cui si entra nel merito dell'interpretazione dell'articolo 5 dello Statuto. Tutti noi abbiamo letto più volte questo articolo e chi ha seguito questo argomento sia a livello regionale si livello nazionale ha avuto occasione di riflettere sul problema. Noi non abbiamo fatto altro che dare un'interpretazione esatta al contenuto dell'articolo 5 dello Statuto che sancisce la facoltà della Regione di emanare norme di integrazione e di attuazione in materia di istruzione di ogni ordine e grado e di ordinamento degli studi. Abbiamo quindi seguito la linea del recepimento dei rilievi riguardanti la struttura della legge, per migliorarla, nel quadro però dei principi generali già espressi ed approvati da questo Consiglio. La Commissione, soprattutto per quanto riguarda il titolo II ha ritenuto di poter accogliere alcuni rilievi che si sono tradotti in una formulazione più appropriata del testo che risulta così più chiaro. Ma, per quanto riguarda il titolo II, la Commissione non si è limitata a questo. A seguito di un incontro con la delegazione del comune di Alghero ha introdotto in legge il termine di "lingua catalana di Alghero", anche se il testo approvato dal Consiglio regionale era formulato in modo tale che in esso si potesse collocare anche la lingua catalana di Alghero. Non c'era quindi alcuna volontà di non includere questa lingua ma, visto che questo non era molto chiaro, la Commissione, in fase di riscrittura, ha introdotto la lingua catalana. Quindi anche per questo aspetto il nuovo testo è più definito.
Non comprendiamo invece i rilievi del Governo sulla parte relativa agli strumenti operativi. Negli incontri che la Giunta ha avuto col Governo e su cui ha riferito in Commissione, sono emersi alcuni chiarimenti e quindi la necessità di aggiustare dal punto di vista tecnico alcuni articoli riguardanti l'aspetto amministrativo, in particolare la struttura e il personale dell'Osservatorio, l'impianto generale resta immutato e quindi in questa parte la legge non è stata neanche nei principi modificata. Si tratta semplicemente di una riscrittura.
Nel titolo II c'è, come ho detto poc'anzi, l'introduzione della lingua catalana di Alghero. Nel prosieguo dell'esame della legge non si capisce come mai il Governo, accettando i principi e lo spirito del titolo I, poi faccia ad alcuni articoli delle obiezioni che non hanno ragione d'essere. La discussione si è ampliata sul titolo IV, su cui il Governo ha fatto dei rilievi agli articoli numero 23, 24, 25, 27, 28, 29 e 31. Anche su questo, cercando di prendere nella giusta considerazione i rilievi fatti dal Governo la Commissione non ha avuto nessun dubbio. Ha assunto una posizione ferma e allo stesso tempo di complementarietà nel senso che ha modificato e integrato gli articoli oggetto dei rilievi, laddove questi non intaccano lo spirito e i contenuti sostanziali della legge. Ha modificato anche un altro aspetto che nella formulazione precedente, nel testo approvato dal Consiglio, poteva non esprimere con chiarezza la volontà politica esistente in legge, che era quella dell'intesa tra la Regione e lo Stato: alla formulazione precedente che prevedeva un rapporto con gli uffici periferici del Ministero competente, si è preferita nella nuova formulazione la dicitura "d'intesa con il competente Ministero". Tenendo fermi i principi non si è voluto - e questa mi sembra che sia la ferma volontà anche di chi era assente nel momento in cui la legge è stata votata all'unanimità - rinunciare assolutamente a quelli che sono i contenuti della norma statutaria, in particolar modo dell'articolo 5. Noi, in questo titolo IV, quando parliamo di integrazione e di sperimentazione non ci mettiamo in contrapposizione e in conflitto con lo Stato e tanto meno con gli organi dello Stato che governano la scuola. La Commissione e anche il Consiglio, nell'approvare il 3 di agosto questa legge, si sono rifatti alla normativa nazionale che prevede in tutto il territorio nazionale - e perché anche non si deve prevedere nel territorio sardo - l'integrazione e la sperimentazione. Mi riferisco al D.P.R. numero 419 del 74 e ai riferimenti della Carta costituzionale che sono gli articoli 6 e 9 della Costituzione in cui si parla di tutela delle minoranze linguistiche e di promozione dello sviluppo della cultura. Quindi noi, rifacendoci al dettato costituzionale e a quello dell'articolo 5 dello Statuto, non abbiamo fatto altro che tenerci fedelmente e giuridicamente integrati nel sistema normativo nazionale. Penso che questo non possa essere negato e non ci vengono fatti rilievi quando lo affermiamo nei principi, ma quando traduciamo in misure concrete questi principi.
Naturalmente il nostro atteggiamento non rigido e di dialogo con il Governo centrale e con il Ministro competente potrebbe portare il Governo stesso a rivedere le posizioni che ha assunto nel decidere di rinviare la legge ma potrebbe anche servire, attraverso l'azione che l'Esecutivo intraprenderà in questi giorni a Roma, a far capire ancora meglio a chi ha in mano l'istruttoria, a livello nazionale, il senso della legge che noi andremo ad approvare. Penso che quest'azione debba assolutamente essere intrapresa.
L'altro rilievo che noi abbiamo preso in considerazioni riguarda il titolo V ed esattamente gli articoli 33 e 36 che riguardano l'uso della lingua sarda nei collegi e nelle assemblee e nei toponimi. L'uso della lingua sarda nei toponimi è già una realtà nei nostri Paesi, perché certi termini in sardo non sono traducibili in lingua italiana. Anche questo penso sia un punto irrinunciabile e su questo la Commissione ha avuto una posizione che è però facilmente comprensibile. Noi ci rifacciamo nella legge ai regolamenti e gli statuti dei Comuni e in Sardegna, negli statuti o nei regolamenti di certi comuni, già questo principio è stato affermato, così come del resto è affermato nel regolamento della nostra Assemblea. Quindi pensiamo che questo punto non possa costituire motivo ulteriore di rinvio. C'è infine il richiamo alla legge costituzionale numero 2 del 1993 che la Commissione ha ritenuto di inserire a maggiore giustificazione delle norme approvate. Anche su questo, si dovrebbe nel confronto col Governo, far comprendere che noi non stiamo andando verso uno scontro o verso una posizione estremistica indipendentistica della Regione autonoma della Sardegna, ma vogliamo ribadire la dignità statutaria che ci è stata riconosciuta con legge costituzionale. Quindi, l'obiettivo della Commissione nella riscrittura della legge è stato quello di rendere di più facile lettura la legge anche per il Governo. Noi non stiamo andando a spiegare al Governo i termini giuridici in un dialetto che difficilmente capirebbero o in lingua sarda; parliamo in lingua italiana, avendo dei riferimenti giuridici istituzionali che ci possono dare ragione. La Commissione ottava ha difeso i principi che il Consiglio aveva riaffermato con l'approvazione della legge, facendo non il braccio di ferro, ma una difesa convinta e consapevole dei principi dell'autonomia sancita nello Statuto.
Signor Presidente, la data del 3 agosto 1993, quando fu approvata questa legge, venne definita da noi e da molti all'esterno come una data storica; una data storica perché il Consiglio regionale aveva approvato la legge sulla cultura e sulla lingua. Si è parlato moltissimo dopo il 3 agosto, molto poco prima del 3 agosto; dopo il 3 agosto si è parlato moltissimo e forse nel parlare hanno avuto più spazio e più voce le posizioni che non erano favorevoli all'approvazione di questa legge. Forse hanno avuto più possibilità di utilizzare tutti i mezzi di informazione coloro che non erano prima e non sono adesso favorevoli al fatto che la Regione della Sardegna abbia uno strumento che possa definire gli ambiti e i principi culturali, sia della cultura in toto, sia dell'utilizzo della lingua sarda e del catalano di Alghero.
Si è parlato, forse anche troppo, per sentito dire e, molti di quelli che hanno parlato e scritto, forse non hanno letto attentamente la legge che il Consiglio regionale aveva approvato, tanto è vero che si è fatto in modo che venissero strumentalizzate alcune parti della legge che strumentalizzabili non erano; si è iniziato a parlare in lingua sarda nelle scuole cercando di applicare questa legge quando ancora legge non era, perché non pubblicata sul Buras. Sono delle fughe in avanti, sono delle forme di esibizionismo, non penso che la Commissione ottava e tanto meno il Consiglio regionale si siano comportati nell'esame e nella scrittura della legge in un modo così leggero; penso che si siano comportati con la massima serietà e con la massima convinzione che le circostanze e i contenuti della materia in esame richiedevano.
Superstruttura: qui non si è inventata nessuna superstruttura, non si è inventato nessun ente strumentale, non si è ipotizzato nessun ente che potesse dare sistemazioni future; il personale dell'Osservatorio fa parte del ruolo unico regionale, oppure è personale comandato dagli enti strumentali o, in accordo con gli organi centrali dello Stato, può essere di interscambio tra l'amministrazione statale e quella regionale. Gli unici posti in più, se così si possono definire, sono solo quelli dirigenziali e sono per contratto triennale rinnovabile per una sola volta. L'Osservatorio è stato presentato come un ente mastodontico e non lo è; è semplicemente uno strumento all'interno dell'Assessorato della pubblica istruzione che andrà a seguire lo sviluppo e l'iter che la legge prevede nei suoi contenuti. Si è parlato di forme assembleari. Dov'è l'assemblea del comitato tecnico scientifico? Si sono fatte proposte di partecipazione e di riduzione dello stesso comitato tecnico scientifico, ma come si può andare ad eleggere un comitato tecnico scientifico e farlo in forma ridotta sapendo della complessità e delle molteplici voci che si sono sviluppate nei secoli e che sono presenti oggi in Sardegna? All'interno del comitato scientifico devono poter essere tutte presenti e poter dare dei giudizi e fare delle proposte in modo che racchiudano nella loro completezza tutti gli aspetti culturali e anche linguistici e dilettali della Regione Sardegna? Penso che questa sia una obiezione da respingere, perché non si può parlare di un comitato mastodontico, assembleare, non si può parlare di partecipazione elevata e quindi di inefficienza.
Signor Presidente, cari colleghi, non sono solito cercare la pubblicità personalmente con gli organi di informazione, anzi qualche volta la evito e preferisco lavorare e lavorare sodo, magari tutto il giorno fino a notte fonda; altrettanto ha fatto l'intera Commissione. Quando si interpreta il lavoro in maniera parziale, forse lo si fa volutamente per cercare di sollevare le proteste di quelli che hanno interesse e volontà di strumentalizzare la cosa. In tutto questo periodo abbiamo discusso a lungo ma la mia preoccupazione costante in questa discussione durante le ferie e alla ripresa dalle ferie è stata di far sì che questa legge non sia vista soltanto come legge per la tutela della lingua. Sappia il popolo sardo, sappiano gli operatori della cultura della Sardegna che questa è in prima battuta soprattutto la legge sulla cultura. Nessuno di noi deve rinunciare all'idea che all'interno della cultura sarda possa avere il suo ruolo importantissimo anche la lingua, nessuno lo mette in dubbio; ma questa è soprattutto la legge sulla cultura, e quando si parla di legge sulla cultura si intende identità della Sardegna, si intendono quei principi di autonomia più volte affermati che si vogliono consolidare e riconoscere con legge e quindi a livello istituzionale. Tanto è vero che la legge prevede l'emanazione di leggi di settore con cui si possa andare a normare il settore delle biblioteche, il settore museale, i settori della musica, del folclore, della letteratura, della poesia, eccetera. Quindi è una legge che afferma la valenza e il significato altissimo della cultura nel popolo sardo, e come tale noi la dobbiamo prendere, non deviandone il contenuto centrale per andare su aspetti marginali.
Queste mie osservazioni non scritte su cose che ormai conosciamo quasi a memoria, per averle rilette, riapprovate, ricorrette, riformulate ripetutamente, portano a una riflessione: tutti parliamo di crisi, crisi sociale, crisi politica, crisi dei partiti, crisi industriale, crisi economica. La crisi si risolve quando un popolo ha coscienza della sua storia, quando un popolo ha coscienza della sua identità culturale, quando un popolo sa definirsi bene all'interno di una nazione, di una società europea e mondiale e può andare con dignità e con fermezza, con la propria identità culturale, a risolvere i propri problemi. Forse un domani si parlerà di queste cose, ma la crisi sicuramente, sia quella economica che quella sociale, arriva anche perché in parte si è persa questa identità culturale. Noi, con questa iniziativa, vogliamo riconoscere a livello istituzionale questa identità a livello culturale, per dare una spinta maggiore, per dare un carattere più definito sia in campo istituzionale, in Consiglio regionale, sia a tutti i livelli, in Sardegna, per poter dire un domani che anche i sardi hanno una loro storia, l'hanno tramandata nel tempo ma, soprattutto, hanno ritrovato questa identità che permette loro di portare avanti delle lotte che permette loro di portare avanti delle proposte che possono essere domani anche utili a risolvere la crisi economica e sociale.
Spero che il Consiglio regionale, anche in questa tornata, possa affrontare questo dibattito con grande serenità e mi auguro che possa riapprovare la legge senza paura perché in Commissione non si è abdicato, e tanto meno si è svenduta nessuna proposizione di principio, nessuno dei poteri di autonomia conquistati con legge costituzionale, ma si è voluti rimanere in Italia cercando di parlare la lingua sarda e la lingua catalana assieme a quella italiana, senza metterci in contrapposizione alla lingua italiana, ma cercando con la nostra identità di sardi di saper parlare e di saper dialogare non soltanto in lingua sarda e in lingua italiana, ma in inglese e in tutte le altre lingue che esistono oggi nel nostro pianeta. Se riusciremo a riapprovare questa legge e se avremo la capacità di far capire queste cose semplici e dovute penso che anche il Governo possa venire a più miti e a più ragionevoli incontri per dare il lasciapassare a questa legge. Rimane aperta la possibilità, se così non fosse, per l'amministrazione regionale e il Consiglio regionale e tutti i sardi di continuare a rivendicare e, se è necessario a fare il braccio di ferro con l'amministrazione statale per cercare di difendere ciò che ha conquistato in secoli e che ha costruito mattone su mattone la cultura sino ad oggi.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Cocco. Ne ha facoltà.
COCCO (P.D.S.). Signor Presidente, signori Assessori, colleghi del Consiglio, nel 1984 partecipai a San Gavino ad una iniziativa sui temi dell'architettura della terra cruda. Oggi queste tematiche sono al centro di specifiche ricerche accademiche; allora avevamo il tono quasi di una sfida culturale bizzarra. Al termine del dibattito, un gruppo di giovani mi regalò una pubblicazione sui toponimi del paese, era una ricerca con la quale quei giovani cercavano di comprendere tanti fili sotterranei della loro storia.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SERRI
(Segue COCCO.) Scendendo qui in Consiglio mi capita spesso di passare in via Porcile già via del Fortino, un toponimo, e va bene in lingua italiana, perché fa parte delle fortificazioni settecentesche di Amedeo di Savoia che portò anche l'introduzione della lingua italiana in Sardegna, in parte, perché per altri versi era già introdotta. Ma quando leggo via de Is Argiolas, capisco che quel toponimo non può essere tradotto in lingua italiana senza perdere il senso di fondo, di quando Cagliari e il quartiere di Villanova in particolare erano anche di dimensione contadina e lì, tra via Garibaldi e via San Lucifero, era il limite della città dove si trebbiava il grano e i cereali. Si vada in Corsica, paese della lingua centralistica per eccellenza, ebbene, anche lì - a parte che a Corte, l'antica capitale, esiste un corso di laurea in lingua e letteratura corsa - non solo esistono i toponimi, ma la lingua corsa, che non è lingua come la sarda ma casomai è un dialetto italiano, viene valorizzata in tutti i suoi aspetti e non solo interviene la stampa per distribuire gratuitamente i parasole con le scritte "su fogu no", "il fuoco no", ma è usata nei vari aspetti della vita civile e sociale.
Il toponimo è uno stimolo alla memoria storica, alla consapevolezza di sé; e quindi della propria storia comunitaria, la cui messa in luce funge spesso da antidoto ai processi di degrado sociale. Una comunità che ha consapevolezza di sé - lo sottolineava per taluni aspetti il Presidente della Commissione - una comunità che ha conoscenza della propria storia è quasi sembra meno degradata delle comunità che hanno reciso le proprie radici. I toponimi non sono un argine al degrado, ma sono certamente un mattone per costruire l'argine; e poiché il materiale per edificare gli argini al degrado sociale è una qualità particolare e molto rara nessun mattone può essere sprecato.
Ebbene secondo il Governo, il sostegno ai comuni per una tale opera, sarebbe in violazione alle nostre competenze statuarie e come tale illegittimo. Sto parlando del quarto punto dei motivi di rinvio della legge sulla cultura e la lingua sarda. Siamo al ridicolo.
Abbiamo istituito nella legge in argomento un organismo che abbiamo voluto forse anche di raccordo immediato con la società (parlo del tanto contestato Osservatorio), ne abbiamo stabilito il limite massimo in venticinque unità; abbiamo stabilito che nella stragrande maggioranza non devono rappresentare assunzione di nuove unità. Abbiamo anche detto che poi, in tempi rapidi, bisogna procedere ad una ristrutturazione dell'Assessorato anche per dargli una migliore struttura organizzativa e funzionale.
Ebbene una volta tanto che con chiarezza vi è la preoccupazione di raggiungere obiettivi di efficienza e conseguentemente di economicità, per il Governo diventiamo degli scialacquatori che non rispettano la legge "421" del 1992; pertanto la nostra legge sulla cultura sarebbe illegittima e quindi da rinviare.
Dopo 22 anni viene posto l'obiettivo di realizzare una "scuola efficiente", che è condizione essenziale per arrestare i processi di disgregazione e avviare un serio processo di sviluppo sociale; cioè ci prefiggiamo di perseguire l'obiettivo che ha indicato una Commissione bicamerale del Parlamento della Repubblica, e per questo Governo diventiamo dei violatori dei nostri limiti statutari, diventiamo delle persone che non sanno stare al loro posto, che non sanno rispettare le competenze di altri organismi. Eppure a indicare l'obiettivo di una scuola efficiente (e scuola efficiente è innanzitutto una scuola ancorata al territorio e alla realtà in cui opera) non è stato un "pesdarau" dell'autonomia. Lo ha indicato, nella sua relazione conclusiva, un uomo di grande equilibrio e di elevato livello scientifico, quale era appunto il senatore Giuseppe Medici, presidente della predetta Commissione bicamerale.
Io sto sintetizzando i motivi del rinvio, forse lo sto facendo anche con un po' di sarcasmo, che nasce dal fastidio di dover combattere contro un atteggiamento di chiusura burocratica da parte del Governo, ma questi sono in ultima istanza i motivi del rinvio. Per altro verso questa vicenda mette in evidenza nostri limiti, quel nostro continuare a procedere da "locos e disunidos" che secondo la sprezzante locuzione dei dominatori iberici, mette in evidenza i nostri limiti di fondo.
Abbiamo gravi carenze statutarie, in taluni casi, come quello dell'articolo 5, abbiamo una qualche competenza amministrativa.
Ebbene anziché sentirci stimolati all'agire unitari, ci trinceriamo dietro la solita bandiera dell'interesse di parte, male da cui un po' tutti siamo affetti, e rinunciamo ad esercitare un nostro ruolo di iniziativa istituzionale. E ciò mi pare particolarmente grave in questo momento di rifondazione del patto costituzionale della nostra Repubblica.
Per altro verso credo si debba riconoscere che alcuni aspetti formali della legge meritassero di essere rivisti, ma è il tono dei rinvii, il modo in cui sono stati formulati che non può essere in alcun modo accettato e alcuni vanno respinti nella loro formulazione e nella sostanza, non solo nel tono. Per altro verso devo riconoscere, dicevo, che il rinvio è diventato - e lo metteva in evidenza il Presidente della Commissione nella sua relazione - una occasione per eliminare possibili interpretazioni non univoche; quindi con larghi margini interpretativi che avrebbero potuto rappresentare un varco ad una applicazione riduttiva che poi è quella che si desume aver dato il Governo facendo riferimento ad una mera sperimentazione metodologico-dialettica, anziché alla sperimentazione degli ordinamento come previsto dall'articolo 3 del "419".
La sperimentazione didattica seguirà a quella dell'ordinamento, ma la sperimentazione didattica è un minus rispetto a quella degli ordinamenti, che oltre tutto non presenta quelle situazioni di conflittualità con gli organi collegiali della scuola ai quali si fa riferimento nei motivi del rinvio.
Credo debba essere chiaro agli organi di governo preposti al controllo della legge che noi non vogliamo surrogare gli organi collegiali della scuola, sarebbe un fine veramente sciocco e limitante. Siamo deputati dall'ordinamento costituzionale ad un altro ruolo.
Siamo e ci sentiamo assemblea legislativa, che è articolazione della Repubblica e fa leggi che sono certo leggi della Regione, ma anche nel contempo leggi della Repubblica. E ciò dico non per enfatizzare un ruolo ma per rimarcare una visione unitaria della Repubblica, che potrà continuare ad essere unitaria (unitaria nello spirito e nel comune sentimento nazionale) anche quando la sua formula di organizzazione fosse quella federale; così come potrà essere disunita pur continuando ad avere strutture ed ordinamenti centralistici. Lo spirito del leghismo di Bossi mi pare ne sia una chiara conferma.
Certe burocrazie ministeriali, quelle preposte a dare il parere al Governo in ordine ai rinvii delle nostre leggi, mi pare assumano spesso angolazioni che non possono essere certo inquadrate in una logica di unità di fondo della Repubblica. Spesso in quegli atteggiamenti c'è il seme della disunione, della frammentazione della Repubblica.
Ma al di là degli atteggiamenti dei Ministeri romani, siamo e ci sentiamo momento della Repubblica, soggetti attivi chiamati a concorrere alla complessiva vita nazionale. Vogliamo concorrervi responsabilmente come comunità che ha una sua specifica storia e cultura.
In questo senso siamo e ci sentiamo Stato, non in una dimensione ottocentesca della statualità che coltiva anacronistici sogni di separatismo, ma perché nella dimensione dell'Europa dei popoli non vogliamo più essere popolo dissidiato, oggetto di storia altrui.
Non è questo un discorso di oggi, è tutt'uno con la storia delle nostre rivendicazioni autonomistiche. E' un discorso presente nella Consulta e poi nella costituente. Di qui l'articolo 5 dello Statuto, che non nacque all'improvviso ma era frutto di una lunga riflessione, di un lungo dibattito, che è certo qualcosa di meno rispetto ai poteri di altre Regioni di diritto speciale, ma che ci attribuisce in materia d'istruzione un ruolo che per ora non hanno le regioni di diritto comune che presto avranno.
Poteri integrativi in materia di ordinamento scolastico che noi dobbiamo esercitare per coltivare una grande ambizione: essere un grande laboratorio per una scuola all'altezza dei compiti che oggi pone la società. Una scuola che sia soggetto attivo nei processi di riaggregazione e di sviluppo della società. E' un progetto che non può essere perseguito in solitudine, non la ridotta del popolo sardo, tutt'altro!
Avvertiamo la necessità di un progetto di scuola in Sardegna e per la Sardegna, ma che sia nel contempo modello per le altre regioni ed al quale possano guardare altre regioni d'Europa e del mondo, e segnatamente i Paesi del Mediterraneo.
Sappiamo che un tale progetto non è di facile ideazione nei suoi aspetti tecnici, per cui dobbiamo avvertire la necessità di raccordarci ad altre realtà. Un progetto che sappia democraticamente mobilitare l'intera società sarda, e segnatamente la scuola sarda, le Università sarde, le associazioni e gli organismi legati al mondo della scuola. Da questo deve nascere il progetto della sperimentazione, da questo deve nascere un'ipotesi.
Saremmo condannati al fallimento se un tale progetto non sapesse creare questi raccordi e stimolare le complessive energie presenti nella nostra società. Saremmo condannati al fallimento se ponessimo che un tale progetto può essere coltivato da noi in solitudine, senza guardare al di là dei nostri orizzonti di immediata competenza. Dobbiamo mirare a un progetto in Sardegna e per la Sardegna ma che sappia essere anche un progetto unitario per l'Italia e per l'Europa. Questo obiettivo è ben definito e meglio puntualizzato nella legge che ci avviamo a votare e potrà essere veramente un'occasione per avviare un processo di innovazione, uno spartiacque nella vita, nelle storia e nella cultura sarda.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (Rinascita e Sardismo). Presidente, colleghi del Consiglio, qualche mese fa in quest'Aula mi è sembrato si respirasse un'aria un po' diversa dal solito, una sorta di entusiasmo, di partecipazione collettiva e di tensione ideale, sembrava improvvisamente e finalmente contagiare un po' tutti. Con l'approvazione della legge sulla cultura e sulla lingua sarda, una volta tanto, questo Consiglio, sebbene in ritardo da più di quarantanni, dava un segnale forte ed inequivocabile sul versante dell'identità e dell'autonomia; una volta tanto venivano concretamente richiamati quei poteri statutari troppo spesso dimenticati ed ignorati, e in questo nobile Consesso venivano archiviate le pregiudiziali cultural politiche che per tanti, troppi anni, hanno costituito un vero e propri sbarramento, fino al coprifuoco ideologico nei confronti di un bene primario ed insostituibile qual è da considerarsi l'identità culturale di un popolo, di noi tutti.
Nessuno in quest'Aula, spero, può permettersi di dimenticare l'applauso che ha accompagnato l'intervento finale dell'assessore Collu. Ebbene, in quel momento, cari colleghi, applaudivamo noi stessi, nelle piena consapevolezza di aver siglato con l'approvazione di questa legge un momento fondamentale della storia dell'autonomia. Nessuno può ignorare il grande significato politico di questo evento. Un risultato, una conquista che è di tutti, oltre i partiti o, se preferite, oltre le ormai consunte logiche di schieramento che gli eventi, sebbene a fatica, stanno fortunatamente superando. In un contesto politico non facile per la troppa confusione che lo sta caratterizzando, le persone di questo Consiglio, chi più chi meno, hanno dato il loro contributo, perché finalmente la nostra cultura avesse un paio di gambe per muoversi su sentieri che non fossero il negletto e il museale per pochi nostalgici.
Ora, cari colleghi, tutto questo non esiste più; ogni degna parola pronunciata in quest'Aula, ogni sincero sforzo costruttivo, la stessa volontà di questo Consiglio, sono stati brutalmente cancellati. Quell'entusiasmo collettivo e sincero a cui facevo riferimento è stato improvvisamente mortificato e banalizzato dall'intervento becero di un Governo che in questo modo, respingendo la legge sulla lingua e cultura sarda, immagino abbia voluto significare a noi tutti come vada interpretata la così detta solidarietà nazionale a cui molti ancora oggi hanno il coraggio e la spudoratezza di richiamarsi in più di un'occasione. E' indubbio, colleghi, che i motivi di rinvio adottati dal Governo sono di sostanza ed hanno un dichiarato carattere politico. La bocciatura di questa legge non è altro che la bocciatura della nostra autonomia. Dobbiamo prendere atto che in questo meraviglioso Paese c'è chi osa ancora frenare la storia; quella storia che fortunatamente avvia il Paese medesimo verso un naturale assetto federale, in un contesto che noi crediamo fermamente debba essere di forte solidarietà tra i popoli, nel pieno rispetto delle diversità. Ora, a nostro avviso, contrastare questo nobile cammino, perché preoccupati soprattutto dei fermenti di secessione nordista e, di rimando, impedire in maniera becera qualsiasi afflato autonomistico, come la libera e legittima espressione dell'identità culturale di un popolo, quasi fosse una sorta di attentato all'unità nazionale, tutto questo è da considerarsi un'operazione politicamente miope e suicida da parte del Governo, nonché in contrasto con i dettami costituzionali, indegna di un Governo che si arroga ancora il diritto di chiamarsi democratico.
Sul nostro versante interno, purtroppo, anche chi ha rappresentato questa Regione, in questa vicenda, non mi sembra alla luce dei fatti e delle soluzioni prospettate degno di occupare il posto che occupa; una interlocuzione con il Governo, o meglio con i funzionari del Ministero, tutta basata sulla mediazione dei principi bypassata per sano realismo; un palese atteggiamento di acquiescenza che mal si concilia con l'apprezzata difesa della legge in quest'Aula, fatta dal medesimo Assessore competente.
E poi, mi si perdoni, questo andare per corridoi, per stanze ministeriali, questo cercare gli amici, e gli amici degli amici, più da questuanti che da veri rappresentanti del Governo di una Regione, tutto questo non fa altro che consolidare quell'immagine di subalternità assunta comeforma mentis, di marginalità supinamente accettata, di vassallaggio impiegatizio che mi auguravo fossero più retaggio di un'anaedottica o malcostume del passato, che reale e odierna prassi comportamentale di un rappresentante di questa maggioranza.
La nostra identità, la nostra cultura, l'autonomia stessa non possono essere relegati al ruolo di questua, e così il popolo sardo non può essere relegato al ruolo di questuante del proprio diritto al lavoro, questuante del proprio diritto ad esistere come tale, questuante del proprio diritto al lavoro, questuante del proprio diritto al territorio e così via. Se non si riesce, colleghi, a comprendere la gravità, sul piano politico, dei motivi di rinvio di questa legge da parte del Governo e quindi la necessità di una risposta politica forte e immediata, molti dei discorsi che si fanno dentro e fuori quest'Aula non hanno più senso, molti di quelli che ogni tanto frequentano quest'Aula non hanno più senso. Non si può, caro Assessore, dopo più di quarant'anni, approvare una legge purché sia, magari solo un pezzo di legge, magari una legge fatta dagli altri, magari fatta dal Governo italiano al nostro posto. La nostra non può essere un'identità mediata; i principi non si mediano, si affermano e si difendono con forza; i principi non sono forma, sono sostanza; se si rinnegano i principi fondamentali su cui poggia questa legge, la legge non c'è più. La nostra - estremizzo - non può essere (per usare una terminologia molto cara ai funzionari che hanno materialmente scritto le modifiche della legge approvata da questo Consiglio) non può essere, dicevo, una cultura di recepimento, una identità di recepimento, ovvero la legge sulla lingua e la cultura sarda viene banalizzata e inquadrata come legge di recepimento. Come dire: noi recepiamo noi stessi, attraverso quello che il Governo italiano vuole che noi siamo, l'importante - è scritto anche questo nelle modifiche proposte per quanto concerne l'integrazione e sperimentazione nel campo della scuola - l'importante è che noi non interferiamo, non contrastiamo con gli interventi dello Stato. Insomma, colleghi, siamo all'assurdo che chi ha perennemente interferito sulla nostra storia, sulla nostra cultura, sulla nostra lingua, oggi nel 2000 ci accusa di interferenze, ci impone di non interferire, non solo, ma interferisce a sua volta sulle nostre competenze primarie, sui nostri poteri statutari, mortificando a tal punto questa Regione da metterla sullo stesso piano - cito testualmente - se non addirittura in subordine ad un sovrintendente scolastico o ad un provveditore.
In sintesi, qualsiasi tipo di scelta oggi si faccia, pur apprezzando gli sforzi di chi, non condividendo l'ipotesi di temporanea acquiescenza dell'Assessore, si è adoperato per emendare per quanto possibile questa legge approvata unanimemente dal Consiglio, emendarla senza snaturarla troppo, e magari - e do atto in questo caso all'onorevole Manca - anche razionalizzando e ordinando meglio certe parti che potevano ingenerare equivoci di interpretazione, pur apprezzando questo lavoro, dicevo, noi riteniamo che sostanzialmente in tutta questa vicenda si sia ancora una volta compiuto un passo indietro sotto tutti i punti di vista, politico, istituzionale e soprattutto sul piano della dignità e dell'autonomia di questa Regione. L'autonomia di cui parlo è quella vera, che bisogna sapersi conquistare sul campo, aprendo finalmente quel conflitto istituzionale con lo Stato, annunciato e minacciato da questa Giunta, così detta di guerra, ma poi mai attuato. A meno che questa Giunta non abbia definitivamente sposato la così detta autonomia dell'acquiescenza. A giudicare dai risultati - vedasi tanto per citare un esempio la vertenza Sardegna - mi sembra che a questo proposito ormai non vi siano dubbi anche perché le battaglie, se si crede nella causa - e questa è una delle tante cause degna di venire difesa - si possono vincere, schierando un esercito possibile, una armata, anche se disastrata e guidata da generali improvvisati e maldestri; sempre meglio che chinare continuamente la testa senza reagire, senza neanche combattere.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Pubusa. Ne ha facoltà.
PUBUSA (P.D.S.). Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi sarebbe stato facile nell'immediatezza del rinvio governativo, assumere una pubblica posizione per dire che i rilievi del Governo nei confronti di questa legge vanno ben oltre le critiche che, in compagnia per taluni aspetti, ma in quasi totale solitudine per quanto attiene il voto finale, avevo manifestato in quest'Aula. E tuttavia ho ritenuto di dover mantenere un atteggiamento silenzioso, da un lato per consentire alla Commissione di meditare senza che la polemica politica potesse infuriare e prendere piede sulla stampa o nelle sedi consiliari, ed anche perché è nota la mia posizione nei confronti dei rilievi e del controllo governativo, posizione che non è di mera lamentazione ma che si è tradotta anche, nella passata legislatura ed in questa nella proposta di legge del P.D.S. di una riforma organica dell'articolo che disciplina i controlli sulle leggi regionali. La mia posizione è su questo punto abbastanza chiara. Io contesto una normativa ed una procedura il cui risultato pratico conduce al fatto che la legislazione che risulta dall'incontro tra gli apparati esecutivi della Regione sarda e l'ufficio controlli del Governo o talora è la risultante di incontri, nel migliore dei casi, tra Assessori regionali e il competente Ministero. Quindi si tratta di un sistema che in sostanza espropria l'Assemblea regionale dalla propria autonomia.
Debbo tuttavia lamentare in questa sede, non nei confronti del Governo nazionale ma del ceto politico sardo che quella proposta di riforma, di revisione sui controlli presentati nell'86, se non ricordo male, dalla Regione sarda, giace nei cassetti del Parlamento nazionale senza che nessun organo del Consiglio regionale né nessun organo della Giunta regionale in genere abbia svolto una qualsiasi azione perché quella proposta venisse tradotta in legge. Questo atteggiamento, secondo me, è molto più significativo di tante parole che si usano qui dentro e fuori sulla reale volontà del ceto politico sardo di ottenere maggiori spazi di autonomia. Quindi io non faccio riferimento ai rinvii del Governo nazionale per trarne argomenti in favore di quanto dissi la prima volta e di quanto ribadirò oggi; traggo piuttosto argomento dai numerosi interventi che sono comparsi sulla stampa sarda di autorevoli studiosi o di autorevoli uomini politici. Cito fra tutti l'intervento, come al solito brillante, dell'ex segretario del Partito Sardo d'Azione, Columbu, che con l'ironia che gli è propria e con la grande capacità che gli è propria ha detto in poche righe e molto meglio di me, in modo più tagliente di quanto io dissi in quest'Aula, quanto questa legge non avesse nulla a che vedere con la tutela della lingua sarda e, meglio e con più autorevolezza di me, ha invitato l'Assemblea ad adottare un testo radicalmente diverso. Su questa linea, con argomentazioni varie, sono intervenuti vari studiosi, sulla stampa locale, i quali hanno messo in evidenza come tra questa legge e il problema della tutela della cultura e della lingua sarda, non vi sia alcun nesso se non meramente verbale. Voglio aggiungere a queste osservazioni un'altra osservazione che ho già fatto e che ribadisco: io ho sempre più fastidio per quegli interventi, talora anche di ottima fattura e di grande livello, che non centrano il problema di cui si sta parlando. Molti dei sostenitori di questa legge esordiscono richiamandosi ai valori dell'autonomia, dicendo che senza coscienza di sé non c'è autonomia e non c'è sviluppo economico, e tutta una serie di luoghi comuni che in quest'Aula dovrebbero essere dati per scontati. Si tratta di banalità ormai acquisite che si farebbe bene a non ripetere ad ogni piè sospinto.
(Interruzioni)
Sono banalità perché siamo tutti d'accordo. Qui non stiamo discutendo se la lingua o la consapevolezza dei valori ambientali e culturali della Sardegna dia o meno ai sardi una maggiore consapevolezza di sé oppure se aiuti o meno lo sviluppo della Sardegna. Sono questioni che la cultura democratica, a tutti i livelli, ha acquisito e ha sedimentato; quindi siccome io ritengo che la stragrande maggioranza delle forze che si confrontano in quest'Aula si richiami a quei valori culturali, è inutile che ogni volta ci ripetiamo cose su cui siamo tutti d'accordo. Qui l'oggetto del contendere non è questo, perché su questo siamo d'accordo, l'oggetto sul quale dobbiamo discutere è molto più semplicemente se questo testo di legge è il testo che meglio risponde o risponde in misura accettabile a quella finalità su cui tutti siamo d'accordo. Il problema è un problema eminentemente pratico; cioè si tratta di vedere se questo articolato per il modo in cui è confezionato, risponde o no a quella esigenza. Sulla esigenza siamo tutti d'accordo. Io direi, tuttavia, e ribadisco che l'articolato così come si configurava nella sua prima stesura e, come, anche se con qualche piccolo correttivo, si configura in questa riedizione, è un articolato che è frutto di una superata cultura burocratica di sinistra, cioè di quella cultura di sinistra che su ogni questione riteneva che si dovesse, per meglio soddisfarla, costruire un grande apparato, non solo, ma riteneva che su ogni questione si dovessero prevedere 10 mila piani, programmi, indirizzi, direttive, e chi più ne ha più ne metta. Non solo, ma è un testo in cui questo vecchio indirizzo, nobile ai suoi tempi, si coniuga con una mai sopita vocazione clientelare di settori della Democrazia Cristiana, con una visione burocratica della statualità di matrice sardista. Talvolta, in ambienti sardisti si ritiene che quanto più l'apparato è grande, visibile, tanto più è visibile la statualità.
(Interruzione)
Credo che le cose che dite voi sardisti o che si leggono sulla stampa non siamo cose segrete. Le leggiamo tutti.
ORTU (P.S.d'Az.). Nel 1949 i sardisti proposero che i consiglieri regionali lo facessero come atto di volontariato.
PUBUSA (P.D.S.). E sbagliavano perché come atto di volontariato dovreste sapere che agevola soltanto chi ha mezzi propri, i possessori di reddito e invece priva coloro che provengono dalle classi non abbienti. Questo è notorio. Comunque, si può proporre anche questo.
Quindi in questa nuova edizione, rispetto alla prima, cosa è cambiato? Mi sembra che non sia cambiato niente. Io tralascio i primi tre articoli perché non dicono niente. L'oggetto e le finalità di una legge si debbono trarre dalla legge stessa e non da enunciazione degli obiettivi che poi possono essere nella legge anche traditi, come avviene del resto in larga misura in questa.
Per quanto riguarda gli strumenti operativi, se non ho capito male, perché il testo lo abbiamo ricevuto adesso in Aula, c'è un tentativo di meglio disciplinare l'Osservatorio regionale, anche se rimangono in piedi tutte le osservazioni fatte. Ad esempio, per quanto riguarda il principio che l'Osservatorio opera con piena autonomia scientifica sulla base di indirizzi formulati dall'Assessore, a me pare che l'autonomia in questa materia non debba essere tanto dell'Osservatorio o degli organi che operano presso l'Assessorato, ma debba essere degli operatori. Fra l'altro questa è un'autonomia per taluni operatori culturali costituzionalmente garantita, come quella che riguarda l'insegnamento. Qui invece il discorso è opposto, si dice che l'Osservatorio è autonomo in parte rispetto all'Assessore, anche se ne deve seguire gli indirizzi e le direttive, mentre sembrerebbe che questo Osservatorio abbia dei poteri di indirizzo e di programmazione nei confronti di soggetti che invece, per disciplina costituzionale, devono essere autonomi e che comunque, in un ordinamento che non voglia ripercorrere vie che tutti condanniamo, debbano invece operare con una loro autonomia. Soprattutto nel campo culturale. Che i cento fiori fioriscano senza che vi siano pretese di ingabbiamento, di eccessivi indirizzi, di eccessive programmazioni. Quindi, se mai andava salvaguardata non tanto l'autonomia dell'Osservatorio, perché è bene che si sappia quali sono gli obiettivi che l'organo politico in generale intende nella sua azione perseguire, ma quella degli organi e dei soggetti che operano nel settore culturale. Da questo punto di vista la legge mantiene il suo originario difetto, nella pesantezza dell'apparato dell'Osservatorio. E stato alleggerito, ma era così pesante che il peso è ancora eccessivo nonostante l'alleggerimento. Si prevedono ancora i comandi. Anche io ho ricevuto varie richieste sulla possibilità di essere comandati.
DEIANA (D.C.). La Commissione non ne ha ricevuto.
PUBUSA (P.D.S.). Ma certo che non ne ha ricevuto! Ma i nomi e i cognomi li conosciamo tutti. Tu non li conosci, o dici di non conoscerli. Ma le persone che ambivano e ambiscono a questo si conoscono già.
Vorrei suggerire ai membri della Commissione e al Consiglio di esaminare con attenzione il comma terzo dell'articolo 9, perché mi sembra che ci sia una delega al Presidente della Giunta a modificare con decreto una disposizione di legge che è la parte precedente dell'articolo 9. Solitamente norme così configurate costituiscono oggetto di rinvio da parte del Governo perché, come è noto, non esiste nell'ordinamento regionale la possibilità di modificare con atto del Presidente della Giunta una norma di legge.
Non dico nulla sulle cose su cui mi sono già intrattenuto la volta scorsa. Voglio invece soffermarmi su una norma che mi ha colpito perché ritengo che sia peggiorativa rispetto alla legge precedente. Io ho chiesto informazioni su come i Gruppi si sono pronunciati in Commissione e mi sembra sia stata approvata all'unanimità. Io non posso non esprimere la mia sorpresa sul fatto che l'onorevole Ortu a nome dei sardisti, ma anche altri che si proclamano sardisti più di tutti, abbiano potuto approvare un apparato di norme che fa del Ministro - direbbe Francesco Masala - "italiota" della pubblica istruzione l'arbitro degli interventi in Sardegna. Bisogna che siamo chiari. Se c'è un motivo di rinvio che andava contestato in radice, senza possibilità di discussione è quello che attiene all'interpretazione dell'articolo 5, lettera a), dello Statuto di autonomia. Mentre gli altri motivi di rinvio attengono a questioni contingenti a cui si può accedere o meno, ma che non coinvolgono questioni di principio, il rinvio sull'articolo 5, signori miei, e lo dico soprattutto agli iper autonomisti presenti in quest'Aula, è un rinvio in cui si dice: "belli miei, voi senza la tutela, senza la volontà degli organi statali, in questa materia non potete far niente". Sull'unico punto su cui si doveva resistere - perché è una questione di principio - arrivando anche alla Corte Costituzionale, e se mai accettando una sconfitta in quella sede, c'è stato un calamento di brache, scusate se uso questo termine poco parlamentare. Io non voglio leggere tutti gli articoli, neanche me li ricordo, perché il testo lo abbiamo potuto leggere stamattina, ma ci sono almeno sette articoli in cui si dice che le decisioni fondamentali su questa materia avvengono di intesa col Ministro: "La Regione ed il competente Ministro individuano d'intesa i percorsi formativi scolastici ecc. ecc."; "Interviene a tal fine la Regione - sempre nell'articolo 23 - d'intesa col Ministero". Poi ancora: "per il conseguimento dei fini l'Assessore regionale ed il competente Ministro stabiliscono". Ora, io anche io passo per non essere un ipersardista, anche perché evito questi toni enfatici, vi domando: cosa pensate che farà il Ministro competente nel momento in cui l'Assessore pro tempore andrà da lui per concertare? Ma voi pensate...
(Interruzioni)
Io ne parlo adesso, in sede di discussione generale. Cosa pensate che il Ministro che vi ha bocciato questa legge soprattutto contestando la potestà regionale sulla materia...
(Interruzioni)
Io quando parlo di Ministro non mi riferisco alla istituzione statale che ha sempre avuto questi atteggiamenti restrittivi. Cosa pensate che dirà questo Ministero: "Signori belli, fate tutto ciò che volete sulla materia"? Noi stessi gli abbiamo riconosciuto in questa legge il potere di essere l'arbitro di ciò che in materia di promozione della cultura sarda si deve fare in Sardegna. Io giudico questo il più ignominioso calamento di brache sul tema dell'autonomia che sia avvenuto in questa sede. Ho saputo, non ero in Sardegna, che ci sono state occupazioni, ci sono state manifestazioni, sempre apprezzabili, di fronte alla sede del Governo; io mi chiedo se coloro che hanno fatto quelle manifestazioni non dovrebbero adesso manifestare contro sé stessi, posto che hanno dato a quell'autorità che contestavano in quel modo il potere di diventare l'arbitro di tutto ciò che si deve fare in questa materia in Sardegna.
MURGIA (Rinascita e Sardismo). Sei per la secessione?
PUBUSA (P.D.S.). Io non sono per la secessione. Sono perché i principi enunciati conseguano formulazioni normative coerenti. Questo, rispetto a tutta la contestazione che si è fatta del rinvio del Governo, in particolare sull'articolo 5, su cui il caso sarebbe dovuto essere sollevato con forza, rappresenta un calamento completo di brache aldilà di ogni aspettativa. Quindi, conclusivamente, ribadisco la mia posizione già per altro espressa, ribadendo che, soprattutto in considerazione di questa palese apertura di spazi di veto, di intervento, di decisione al Ministero della pubblica istruzione nazionale, questa legge non può essere assolutamente considerata un prodotto che tende ad una autonoma tutela e valorizzazione della cultura e della lingua sarda ma è un prodotto che a questa tutela fa esclusivamente danno, creando un gravissimo precedente per quanto attiene ai rapporti Stato-Regione, laddove su competenze che la Regione deve rivendicare - perché io sono d'accordo sul principio che soprattutto sui temi della cultura, dell'identità eccetera, si gioca in modo fondamentale la battaglia sull'autonomia - proprio nel cuore, nella parte più intima, delicata di quest'autonomia noi abbiamo - speriamo che il Consiglio non approvi - inserito questo vulnus, che consente ad un'autorità di cui dovremmo contestare questo potere, consente, perché noi stessi glielo stiamo conferendo, il potere di diventare l'arbitro, il censore, colui che pone veti e colui che decide. Invito con tono molto sommesso quest'Assemblea a una riflessione su questi punti.
PRESIDENTE. E iscritta a parlare l'onorevole Maria Giovanna Mulas. Ne ha facoltà.
MULAS MARIA GIOVANNA (P.S.I.). Signor Presidente, colleghi del Consiglio, dopo l'approvazione della legge che, anche dal mio punto di vista, con tutti i limiti sui quali potremo discutere ancora per tanto tempo, ha segnato un momento importante nella storia della nostra autonomia, si è aperto un dibattito. Un dibattito non privo di molti equivoci, di molti ripetuti luoghi comuni, di molte paure, ma mi sia consentito anche di qualche limite di conoscenza e di informazione. Molte delle tesi esposte potrebbero essere confutate e tuttavia che il dibattito se si sia aperto è positivo. Forse sono addirittura insufficienti il quanto e il come si è discusso di questa legge, perché discorsi e percorsi su questa tematica sono appena avviati e non sono né facili né scontati; richiedono molta consapevolezza e vigile attenzione perché, lo dicevamo anche nella prima fase del dibattito, obiettivi giusti e mezzi appropriati non vengano distorti.
Credo, tuttavia, che l'opera di rimozione, operata per 45 anni, rispetto alla questione della lingua e della cultura sarda abbia subito un'importante battuta d'arresto proprio il 3 di agosto di questo 1993. Tutti convinti? Forse no, alcuni dichiarati, altri in attesa. Tutti pervasi dalla splendida utopia che la legge in discussione possa nel contempo risolvere i problemi della lingua sarda che muore, di una identità culturale che si va perdendo, di uno sviluppo mutilato e dolente? Certamente no, ma in molti sicuramente convinti che bisognava operare una svolta, che è importante riconoscersi e auto stimarsi, io lo ripeto questo concetto onorevole Pubusa, anche se è scontato, perché così scontato non è se andiamo ad esaminare tutte le vicende della nostra storia recente e del nostro sviluppo; perché per essere riconosciuti e stimati bisogna riconoscersi e auto stimarsi e aprire, in condizioni di pari dignità, un confronto con altri; perché è necessario operare un radicale cambiamento del sistema educativo in Sardegna e offrire a tutti l'opportunità di un'educazione culturale e sociale più completa, più democratica, più formativa. Insieme a tutto questo c'è la necessità di raccogliere, di documentare, di catalogare, di ricostruire, perché quanto della storia di un popolo rimane ancora non vada perduto per sempre; perché non si annulli, con la perdita della memoria, un percorso di vita e di saperi, né tanto meno si rinunzia ad esprimere con parole differenti pluralità, diversità e ricchezza.
E' stato giustamente scritto, subito dopo l'approvazione della legge, che una parola espressa in sardo, in italiano e, poniamo in inglese - o in francese o in qualunque altra lingua - arricchisce di significati, di sentimenti, di valori, il patrimonio culturale di una comunità. Quindi, lingue in contatto e non in contrasto, lingue che si incontrano, che si confrontano, non oppositive fra loro. Noi non abbiamo saputo difendere e valorizzare il nostro diritto a questa diversità, non lo abbiamo fatto fin dalla stesura della nostra legge costituzionale di autonomia. Lo Statuto sardo non contiene, a differenza di altri Statuti speciali e ordinari, vedi quello della Valle d'Aosta, del Trentino, dell'Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia, ma anche del Piemonte, della Basilicata, del Molise, nessuna specifica disposizione di principio sulla tutela della nostra cultura e della nostra lingua. Non è che noi oggi stiamo facendo una rinuncia se interveniamo per apportare alcune modifiche per rendere più leggibile la legge; non c'è niente che dica sul diritto di decidere della formazione scolastica dei cittadini sardi. E fino a oggi non si è neppure esercitata la facoltà di adottare e integrare - facoltà che invece esiste - le leggi dello Stato, come previsto dall'articolo 5 dello Statuto, per tentare di innovare le indicazioni generiche della normativa statale. Lo suggeriva del resto il professor Azzena, oggi Assessore della pubblica istruzione, nel suo studio sulla specialità in "Autonomia regionale e realtà sarda". E' rimasto questo un articolo in sospensione, sembra forte ed è debolissimo. Anche per questa autolimitazione, abbiamo oggi un sistema educativo e scolastico inadeguato, per cui la scuola sarda ogni anno subisce perdite dolorose di migliaia di nostri ragazzi. Noi abbiamo cominciato ad affrontare il problema, forse dovevamo cominciare ad affrontarlo dallo Statuto, abbiamo cominciato da una legge sulla lingua e sulla cultura e comunque abbiamo cominciato. Abbiamo voluto rispondere con questa legge al disinteresse di anni, alla mancata volontà di affermare la nostra autonomia, e la legge sconta sicuramente il limite di mediazioni politiche anche - perché no - la paura di un sistema di gestione talvolta troppo disinvolto da parte del potere esecutivo e, forse per paura, ancora una volta abbiamo appesantito, abbiamo voluto precisare, chiosare concetti che forse potevano essere espressi in modo essenziale. Ma, proprio perché eravamo avvertiti di questo pericolo, forse siamo incorsi nell'eccesso opposto e tuttavia finalmente abbiamo sancito il principio del pluralismo linguistico e del diritto ad una identità culturale specifica anche se di minoranza.
Immediatamente è intervenuta la censura burocratica di un potere centralizzato, di uno Stato accentratore che, tra l'altro, esso stesso non ha saputo tradurre in legge quadro la tutela delle minoranze etnico-linguistiche sancita dalla Costituzione, perché gli articoli 2, 3 e 6 parlano chiaro: lo Stato avrebbe dovuto quanto meno emanare una legge-quadro, non lo ha ancora fatto. Ha invece preferito centellinare e diluire in mille rivoli il decentramento dei poteri anziché ridefinire in modo inequivocabile l'attuale assetto di ripartizione dei poteri tra Stato e Regione. Il nostro Governo sembra non tenere conto non solo della Costituzione che si è dato, ma anche di risoluzioni sui diritti civili sanciti in diversi contesti internazionali, dalle Nazioni Unite nel 1948 al Consiglio d'Europa nel 1950, alla Convenzione dell'Unesco, che pure ha firmato, il 14 novembre del 1960, insieme ad altri Stati e via via alle Carte europee. Lo Stato crede di avere qualche giustificato motivo per eccepire sulla nostra legge, e forse se andiamo all'esame della dottrina, della giurisprudenza, se riconosciamo i limiti comunque contenuti nel nostro Statuto, su questo si può aprire una discussione, ma ha torto quando esso stesso è inadempiente, ha torto quando vuole cancellare il potere di integrazione rispetto ai programmi scolastici, ha torto quando vuole cancellare la facoltà di sperimentazione sulla lingua, ammessa dagli stessi programmi della scuola dell'obbligo. Non agisce con equità e lungimiranza quando pretende di mortificare il diritto di un milione e seicentomila cittadini circa, e approva poi un progetto sul bilinguismo perfetto, quello sì, una legge sul bilinguismo perfetto, per una comunità di 1500 persone nella regione alpina della Val d'Aosta, ed è giusto che ci sia stato il riconoscimento. Il Governo è miope a non capire soprattutto che molti insegnanti nella scuola fanno assai di più di quanto noi ci stiamo proponendo, che la realtà virtuale in Sardegna è assai più avanzata della nostra proposta ed è per queste diverse ragioni che oggi riproponiamo la legge cercando di non svilire il contenuto innovatore e certamente di non rinunciare alle prerogative autonomistiche. Io credo che non possiamo più sottrarci alla responsabilità di revisione dello Statuto; noi dobbiamo risolvere compiutamente il problema di una definizione del rapporto Stato-Regione. Se questa esperienza ci ha dimostrato che l'articolo 5 dello Statuto subisce un'ulteriore e inaccettabile mortificazione, ci insegna anche che lo stesso articolo 5 è inadeguato, è insufficiente, è troppo povero per una piena affermazione della nostra specificità culturale e linguistica. Oggi c'è l'urgenza di dare una risposta, che non può più essere rimandata alle lungaggini di un contenzioso con lo Stato. Io credo che tutti noi siamo stati tentati di fare il braccio di ferro, io per prima, e il mio Gruppo, perché ci parevano inaccettabili, soprattutto il tono ed il modo con cui lo Stato ci rispondeva. Ma noi possiamo rivendicare, affermare, contestare, ma per intanto ancora una volta noi rimanderemo la soluzione di una questione di grande importanza politica e sociale. L'urgenza è davanti ai nostri occhi, si è già citata la scuola, ma è la comunità che vive dentro contraddizioni che lacerano il tessuto sociale, contraddizioni di cultura e di linguaggi. La nostra proposta, invece, più ragionata, più meditata, non è quella di continuare a far sì che in questo scontro di linguaggi ci sia ancora una volta una lingua minoritaria perdente. Il nostro proposito è quello di non lasciare a puri rapporti di forza lo sviluppo umano e sociale della nostra comunità. Questo la legge si propone, si propone di farlo con alcuni interventi criticabili, rivisitabili, emendabili che si potranno rimettere in discussione. Proviamo almeno a fare un'esperienza, proviamo almeno a capire che cosa ci abbiamo messo dentro.
Io credo che questo Consiglio abbia la facoltà in qualunque momento di modificare questa legge, però noi abbiamo il dovere, in questa fase, di rivendicare con lo Stato rapporti positivi, paritari e di scambio, convinti che questo rappresenta un arricchimento costruttivo reciproco e quindi proponendo lingue in contatto e non lingue in contrasto. Questo è l'equivoco in cui il Governo stesso è caduto, per cui la Commissione, pur consapevole dell'attacco ai nostri diritti statutari e autonomistici, e pur rimanendo la volontà di non demordere e di non arrendersi, ha tenuto conto di alcuni rilievi, ha cercato di riscrivere la legge, perché ci preme, ci pare urgente, ci pare indispensabile richiamarci ad un autonomismo reale e cominciare, questo autonomismo reale, ad esercitarlo, a renderlo possibile. Non ci hanno convinto i rilievi burocratici e difensivi e abbiamo cercato di tenere conto di una realtà effettuale; la famiglia, la scuola, questa era la nostra preoccupazione. C'è stata fra l'altro, a mio parere, in riferimento a quanto accennavo all'inizio del mio intervento, una informazione non distesa su questa legge, non del tutto corretta. Io non voglio addentrarmi in polemiche, non è questa la sede per farlo, per confutare tesi che non condivido, per esempio l'allarme drammatizzante presso l'opinione pubblica riguardo ad alcuni punti: l'Osservatorio, il demone emblema del clientelismo e dello sperpero. Sembra che improvvisamente con questa struttura la Regione abbia non solo confermato ma esaltato la sua capacità di sperpero e di spreco...
PORCU (M.S.I.-D.N.). E' vero.
MULAS MARIA GIOVANNA (P.S.I.). E perché non ti sei opposto il giorno che qui si è approvata una legge che prevedeva l'introduzione, in un ente che deve essere soppresso, di altri 53 soggetti? Perché c'erano problemi di lavoro o perché c'erano problemi di efficienza e di efficacia nell'assistenza agli agricoltori? E' un esempio. Bene abbiamo fatto, se lo ritenevamo opportuno, ad approvare anche quello, ma non capisco perché ci scandalizziamo di sei convenzioni per l'Osservatorio. Allora dov'è la struttura elefantiaca? L'Osservatorio è stato strutturato come una organizzazione interna all'Assessorato e ha piena autonomia scientifica - non mi scandalizza affatto la cosa, perché se no chiameremo dei burocrati e non degli esperti - ma che risponda ovviamente a obiettivi stabiliti dalla programmazione regionale e che risponda ai precisi indirizzi finalizzati all'attuazione del legge. Questo noi chiediamo agli esperti, che verranno convenzionati per attivare la legge e chiediamo naturalmente a tutta quella parte di esperi, di funzionari regionali che hanno capacità, che hanno maturato esperienza, che hanno acquisito sapere, di lavorare anch'essi per raggiungere questo obiettivo. Non sono in contrasto queste due strutture; noi diciamo però che, per alcuni determinati momenti e periodi, c'è necessità di alcune esperienze specifiche convenzionabili a termine, licenziabili se non rispondono alla funzione che devono svolgere. Abbiamo esperienza purtroppo di ben altri carrozzoni e distorsioni e, forse perché non sono né figlia né madre delle convenzioni, io ho ancora fiducia nella capacità di controllo di questo Consiglio, nella capacità di controllo dei cittadini, nella capacità di controllo degli intellettuali, dei professori universitari rispetto a convenzioni fasulle e sbagliate. Certo può diventare un carrozzone proprio nel momento delle convenzioni per gli studi e per le ricerche, ma se scegliamo i sei esperti in modo trasparente essi stessi dovrebbero essere capaci di denunciare studi e ricerche inutili. Diventa così un cerchio che si può chiudere bene anziché un circolo vizioso. E' una battaglia difficile da vincere, che richiede una rottura, una forte discontinuità con il passato. Forse più che emettere avvisi di garanzia per reati a venire dovremmo impegnarci per avere una maggiore capacità di controllo, perché l'Osservatorio non sia un carrozzone e si controlli e si vigili tutti, politici, stampa, cittadini, perché tutti abbiamo il dovere di controllare e combattiamo pubblicamente perché clientele, sprechi e spartizioni abbiano a finire in questo contesto come in altri mai denunciati.
Chissà perché la denuncia avviene quando si parla della cultura, di questa cosa che viene considerata essenziale nei discorsi e che poi viene vanificata invece nella prassi quotidiana. Allora noi sappiamo che la cultura d'altronde non è - e oggi più che mai non lo è - una concezione romantica, è una struttura...
(Interruzioni)
PRESIDENTE. Si allontani dall'aula chi disturba i lavori del Consiglio, prego i commessi di provvedere.
Onorevole Cogodi, la richiamo ufficialmente, lei è qui in Aula come rappresentante del popolo sardo, si attenga al Regolamento del Consiglio, Regolamento che lei ha approvato. Onorevole Mulas, continui.
MULAS MARIA GIOVANNA (P.S.I.). Io sto parlando di altre questioni, sto parlando di sostanza.
(Interruzioni)
PRESIDENTE. Sospendo la seduta per cinque minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 11 e 46, viene ripresa alle ore 11 e 55.)
PRESIDENTE. E' superfluo ricordare ai colleghi consiglieri che conoscono il Regolamento che il pubblico è ammesso nelle tribune appositamente riservate, ma non può in alcun modo disturbare i lavori del Consiglio e qualora questo avvenga deve essere allontanato per consentire i lavori del Consiglio. I consiglieri, ricordo ancora, non possono interloquire con il pubblico, quindi richiamo l'onorevole Cogodi. Prego, onorevole Mulas, continui il suo intervento.
MULAS MARIA GIOVANNA (P.S.I.). Presidente, io spero di non aver perso del tutto il filo e di aver conquistato un po' più di serenità per discutere di questo problema.
Mi riferivo alla nostra capacità di controllo e mi riferivo anche alla necessità di avere una struttura per produrre cultura, per produrre impegno culturale. Noi, dicevo, non viviamo nel romanticismo, e lo sa molto bene chi usa sofisticati sistemi di comunicazione per diffondere cultura e pseudocultura. La cultura non è uno spiritello, è una produzione materiale, una produzione simbolica; richiede lavoro, formazione, strumenti. Ci vuole quindi una struttura agile, ricambiabile e a me pare che l'Osservatorio risponda a questi requisiti o almeno per avere questi requisiti è stato pensato. Se non sarà adeguato dovremo avere il coraggio di rivedere e di modificare questa struttura.
L'altro punto su cui si è insistito è che questa sorta di Minculpop, di Ministero della cultura popolare, la Regione, che ha rinunciato per tanti anni ad esercitare un ruolo vero di politica culturale, adesso diventerebbe impositiva e accentratrice. Si parla infatti di imposizioni, di programmi calati dall'alto, di concezione verticistica della cultura, e io ritengo che queste affermazioni siano gratuite. Questa non è una legge sul bilinguismo perfetto, potremmo farla, avremmo dovuto farla io dico, forte delle mie convinzioni; potremmo farla dopo l'adeguamento dello Statuto, ma oggi il testo che approviamo non impone; i verbi sono calibrati; il contatto fra le due culture, il riferimento reciproco dei linguaggi sono affidati al progetto didattico dell'insegnante, alla libertà di insegnamento, alla capacità dell'insegnante di integrare i programmi ministeriali e alla capacità della Regione di attivare su tutto il territorio regionale una sperimentazione che verifichi questa possibilità e opportunità di integrazione. Questa legge non è una rivoluzione. Io sono convinta che è un grande risultato, che è un punto di partenza, ma non è una rivoluzione. Molti insegnanti intervengono da anni in ottemperanza alle circolari ministeriali che, per chi non lo ricordasse, recitano così: "ogni programma di insegnamento deve partire dal territorio, dall'ambiente, dal contesto antropologico in cui il ragazzo vive, dalla sua storia, dal livello degli strumenti, di modi di comunicare, e le tecniche pedagogiche o didattiche a questo e a tutto ciò devono essere adattate". Infatti il Ministero aveva già capito che una cultura uniforme, astratta, non è educativa, è rischiosa, non è produttiva nella moderna psicopedagogia e invitava gli insegnanti a partire dal luogo. Ecco perché ancora di più mi sorprendono le osservazioni del Governo e il modo in cui le fa. E noi che cosa abbiamo cambiato in questa fase? Ci siamo orientati, come vi dicevo, per una rivisitazione, per una riscrittura chiarificatrice della legge, soprattutto di quegli articoli che potevano far incorrere in un qualche equivoco. Io credo che oggi il Consiglio non debba tornare indietro. Ha affermato una volontà, ha capito che si può operare una svolta e più che mai noi siamo certi che abbiamo il compito di dare risposte politiche adeguate alle questioni socio-culturali della Sardegna e del nostro popolo. Stiamo dando una risposta al Governo, non stiamo rinunciando alle nostre prerogative autonomistiche e nulla è cambiato in noi circa la coscienza della nostra responsabilità politica che invece ci obbliga a dare risposte a questioni fondamentali della nostra società sarda. Credo che la Commissione - e il Presidente lo rimarcava nel suo intervento, lo hanno fatto anche i colleghi che mi hanno preceduto, il collega Cocco ha confutato in maniera puntuale e precisa tutte le osservazioni del Governo - credo che la Commissione, ripeto, non abbia fatto e non volesse fare nessuna rinuncia. Credo che il Consiglio debba oggi riesaminare il testo che la Commissione propone e credo che abbia il dovere di non mortificare quella volontà che il 3 di agosto ha già espresso in questa stessa Aula.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Porcu. Ne ha facoltà.
PORCU (M.S.I.-D.N.). Signor Presidente, colleghi del Consiglio, io ho seguito l'andamento del dibattito fino ad adesso e non posso fare a meno di dolermi che sia così sfortunato da dover intervenire ora, quando è andato via il pubblico che ha riempito quest'Aula abbastanza deserta, in certi momenti della discussione, di consiglieri regionali. In realtà, questa assenza della massa dei consiglieri dall'inizio della discussione non è questa volta condannabile, secondo me. In realtà i consiglieri regionali dimostrano così di essere né più né meno stanchi e annoiati di quanto non lo siano i comuni cittadini del lungo tormentone che ci ha portato alla discussione odierna. Condivido per certi versi, non in tutto naturalmente, ma per certi versi, il giudizio che ha dato l'onorevole Cocco sulla risposta governativa a questa legge. Anche secondo me si tratta di una risposta burocratica e ottusa, perché il Governo ha perso da noi una buona occasione, secondo me, per motivare con principi degni di essere da noi apprezzati la sua risposta. E' stata una risposta burocratica ad una legge che invece andava condannata e respinta per ben altri motivi, molto più importanti e molto più sostanziali di quelli esposti dal Governo. In questa azione il Governo si è dimostrato ancora una volta pavido e incapace di rispondere alle esigenze dei tempi che impongono per tutti, dico per tutti, a cominciare appunto dall'Esecutivo nazionale, risposte chiare e coerenti ai problemi più che mai urgenti e drammatici che bussano alle porte della Nazione. In realtà da quando questo Consiglio regionale approvò in maniera stentata e confusa questa legge, la situazione si è ancor più aggravata, è diventata ancor più confusa, e questo non fa che riaffermare con forza tutti i motivi del nostro no, del no del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale alla legge, sia nella sua prima stesura, sia nella sua seconda stesura, in quella che la Commissione regionale presieduta dall'onorevole Tamponi propone oggi all'approvazione di questa Assemblea.
Devo dire che da allora, onorevoli colleghi, la situazione sociale, economica, occupativa della Regione, con il suo drammatico aggravarsi ha reso più che mai necessaria una riflessione da parte di questo Consiglio sulle difficoltà, sui modi e i propositi di questa legge. Debbo dire che l'unica cosa non negativa di questa vicenda del rinvio della legge da parte del Governo sta nel fatto che con questo rinvio il Consiglio regionale è messo nelle condizioni di fare un esame di coscienza ulteriore, di cercare di rimediare ad un guasto fatto. E per noi, sia ben chiaro, l'unica maniera per rimediare a questa situazione è che il Consiglio regionale respinga la legge nel suo complesso, che finalmente, onorevoli colleghi, in seguito, subito dopo che sarà respinta questa legge, si proceda effettivamente, con tutta la fretta che noi riconosciamo debba esservi in questi casi, alla formulazione di una nuova legge che riguardi la tutela del patrimonio culturale della Sardegna, delle tradizioni culturali che il popolo sardo ha il diritto di vedere difese e tutelate.
L'aver voluto inserire in una legge di tutela del patrimonio culturale anche una questione dirompente come quella della lingua sarda, significa aver mancato un'occasione per dare risposte concrete, aver reso confuso e non praticabile il terreno su cui questo organo legislativo si muoveva; significa evidentemente accantonare la grande importanza che il riordino delle risorse culturali ha per la Sardegna, perché fatalmente questo discorso sulla cultura, sulle tradizioni del popolo sardo, va ad immergersi in una polemica sulla lingua che non potrà non avere, come già ha avuto purtroppo, effetti negativi anche sulla cultura della Sardegna. Noi non riteniamo, sia ben chiaro, onorevoli colleghi - lo avevamo detto anche nel nostro intervento in discussione generale l'altra volta - che non sia importante il patrimonio linguistico delle genti di Sardegna; è importante, riconosciamo l'importanza dell'esprimersi. Non voglio ritornare, caro assessore Collu, sul fatto che noi siamo abitanti della Sardegna, veniamo dal profondo delle regioni interne della Sardegna, parliamo in sardo nelle nostre famiglie, ma abbiamo la convinzione che ci viene dal cuore, prima ancora che l'intelligenza, che sia del tutto utopistico pensare che la modificazione del modo di parlare della gente possa provenire da un'imposizione del Consiglio regionale. E' fondamentalmente utopistico questo, onorevoli colleghi. La lingua sarda muore, ma io credo che muoia, che ci sia questa legge o che non ci sia questa legge. Anzi, questa legge serve a farla morire prima, onorevoli colleghi, perché non si tutela un patrimonio linguistico con una legge, non si tutela un patrimonio linguistico intervenendo in settori delicatissimi come quello della scuola, che, in questi giorni, abbiamo visto in che situazione di grave disordine è stata precipitata anche dai tagli del Governo e dalle inefficienze della burocrazia scolastica. Gravare questa burocrazia di una questione così dirompente, come la lingua sarda, vuol dire paralizzare il mondo scolastico isolano, e con questo non si fa un servizio né alla cultura né alla lingua sarda. Perché, onorevole assessore Collu, lei sa bene quello che è successo dopo che i giornali hanno cominciato parlare di questa lingua sarda in Sardegna, e se lei mi permette, caro Assessore, ne abbiamo sentito di tutti i colori, dai mass media, dai giornali e nelle televisioni private. Lo stesso, pochi colleghi che mi ascoltate, ho sentito un grande professore, un esperto di lingua sarda uno di quelli che dovrebbero probabilmente far parte di questo famoso osservatorio, di questa struttura che si vuole creare per portare avanti questo tipo di discorso, dire che finalmente questa legge avrebbe portato all'obbligo, per tutti gli insegnanti delle scuole elementari e delle medie della Sardegna, di conoscere la lingua sarda. Questo l'ho sentito io, non da un cittadino qualsiasi, poco esperto su questa legge; l'ha detto una persona di grande prestigio nel mondo della scuola sarda.
E avete visto tutti quanti cosa è successo nel mondo della scuola; organi della scuola paralizzati da interventi per nulla estemporanei, di professori che volevano parlare, anche in quell'occasione, della lingua sarda. In fin dei conti, abbiamo dato la stura ad atteggiamenti, situazioni di cui il precario equilibrio con cui la scuola anche in Sardegna vive, non ha assolutamente bisogno. Ed è stato il mondo scolastico, per mia diretta esperienza, onorevoli colleghi, che ha gradito molto la nostra tenace opposizione a questa legge. Voi non sapete quali reazioni ci sono state nel mondo degli insegnanti a questa situazione. E, guardate, il mondo della scuola è un mondo che è stato sacrificato fortemente in questi anni dalle politiche governative e anche dalle politiche regionali ed è un mondo delicatissimo, che merita tutto il nostro rispetto, perché nelle scuole si formano i nostri giovani.
Un altro motivo, onorevoli colleghi, per il quale confermiamo tutta la nostra opposizione a questa legge, è il fatto che noi, come organo dello Stato italiano, come espressione della popolazione della Sardegna, non possiamo non guardare al panorama politico nazionale in cui questa vicenda si svolge. E non possiamo dimenticare che in questi giorni, in queste settimane c'è stato, da parte di una forza politica importante, nel quadro politico nazionale, come la Lega, per bocca del suo capo onorevole Bossi, un attacco esplicito all'unità nazionale, che è il bene supremo di tutta la nazione italiana, di tutti gli italiani sia della Valle d'Aosta, che della Lombardia, che della Sicilia, che della Sardegna, onorevoli colleghi. Noi non possiamo fare in questo momento un favore a Bossi, non possiamo mettere in moto altri meccanismi di disgregazione, non lo possiamo fare: dobbiamo evitare queste cose che oggettivamente portano acqua al mulino separatista, se non altro per le ripercussioni che avranno al di là dello stesso contenuto della legge. Questo è un contenuto dirompente, un contenuto che porterà confusione nel già confuso mondo in cui versa l'unità nazionale italiana.
E poi alcune questioni di merito, onorevoli Assessori. L'onorevole Mulas, mia grande amica, collega coraggiosa che io apprezzo per l'entusiasmo con cui porta avanti le sue tesi, mi tranquillizzava tempo fa e mi diceva: guarda che noi non stiamo inventando a tavolino una lingua sarda. Noi con questa legge - diceva ancora l'onorevole Mulas - stiamo cercando di valorizzare le parlate già esistenti nella comunità sarda. Ebbene, io ho riflettuto molto su questo ragionamento intelligente dell'onorevole Mulas. Però questo ragionamento che a prima vista sembrerebbe non fare una grinza si dimostra un po' vacillante quando noi lo precipitiamo nella realtà sarda, nella realtà delle famiglie della Sardegna. Facciamo un esempio, onorevoli colleghi: a Sassari si parla il sassarese che, come tutti ben sapete è una parlata che niente ha a che fare con il barbaricino per esempio; ebbene immaginiamo una coppia di sposi che ha dei bambini di circa dieci anni e che lavora a Nuoro: i bambini crescono imparando il nuorese, poi i genitori vengono trasferiti a Sassari e si trovano in un mondo scolastico che parla il sassarese. Questo non è un aiuto per quei bambini, è un modo di accrescere la loro confusione, posto che non si può pensare di introdurre lo studio del barbaricino in quel di Sassari.
AZZENA, Assessore della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport. Mi permetta l'interruzione: e se venissero trasferiti a Londra?
PORCU (M.S.I.-D.N.). Non è la stessa cosa, perché l'inglese, onorevole Assessore, è cosa ben diversa dal barbaricino. E guardi che io amo più il barbaricino dell'inglese ma è una cosa diversa. Noi stiamo facendo un'operazione che veramente mette in allarme le coscienze della Sardegna, che rende ancora più confuso lo scenario in cui si va a calare. E poi, onorevoli colleghi, i professori sono spesso di madre lingua italiana, non bisogna pensare soltanto a quelli che sono di madre lingua sarda, come lo siamo noi. Io stesso pecco in questo senso qua, pecco...
(Interruzioni)
Non ho altri peccati da farmi perdonare, assessore Sanna, ho soltanto questo, non essendo mai stato Assessore regionale, non ho altri peccati da farmi perdonare. Ho soltanto questo. Pecco nel fatto di pensare in sardo e di pensare quindi che tutti quanti i cittadini sardi debbano per forza conoscere una qualsiasi parlata sarda; ma non è assolutamente vero, onorevoli colleghi, in questa regione ci sono centinaia di migliaia di persone che non conoscono una sola parola di sardo. E io dico che c'è l'80 per cento dei consiglieri regionali che non sa parlare il sardo; non faccio percentuali sulla Giunta perché forse raggiungeremo percentuali molto più alte. E noi dobbiamo pensare a loro perché sono sardi come noi e hanno bisogno di essere tutelati come noi. Il nostro primo dovere di legislatori è quello di dare risposte a tutta la Sardegna, a quelli che parlano in una maniera e a quelli che parlano in un'altra.
Cari colleghi, questo è quello che volevo dire per confermare il nostro deciso "no" alla legge. Permettetemi però di concludere con una piccola chicca che ho letto nella cronaca di Alghero de "La Nuova Sardegna" di venerdì 17 settembre. Si tratta di un'intervista con Giancarlo Melis, primario del reparto di traumatologia dell'Ospedale Marino di Alghero, il quale lamenta il fatto che l'Unità Sanitaria di Alghero non dà più soldi per le protesi; se un cittadino ha bisogno di una protesi, deve andare a cercarsela da sé. Questo professore, disperato perché non riesce a dare risposte concrete per mancanza di finanziamenti ai cittadini che chiedono risposte concrete per mancanza di finanziamenti, ai cittadini che chiedono risposte immediate in questo settore, commenta da par suo la situazione creatasi con questa vicenda della lingua sarda. E' una voce dal popolo, un tempo si diceva: vox populi vox dei, quando forse c'era più rispetto per il popolo e anche per Dio; ma devo dire che anche oggi, in questo mondo disincantato, potremmo trovare motivi di riflessione nelle parole del professor Melis. Il professor Melis dice: "abbiamo appena detto che a noi servono cento milioni per finire le sale operatorie: ebbene, visto che la Regione sta impegnando trenta miliardi per difendere e promuovere sa limba, da sardo quale sono da generazioni sono pronto, se ci danno un miliardo, uno solo, per rendere efficiente e funzionale l'intera struttura - che serve ai sardi, sia chiaro - ad obbligare il personale medico e tutto il personale paramedico in sala operatoria a parlare soltanto in limba, perfino a cambiare l'abbigliamento adottando berritta e gambali magari di colore bianco". Questa è la realtà, io ho provato a portarvi una piccola chicca di quello che pensa la gente su queste cose; mi auguro che il Consiglio regionale dia prova di saggezza quando si andrà a votare su questa legge stamattina o stasera.
PRESIDENTE. E iscritto a parlare l'onorevole Lorettu. Ne ha facoltà.
LORETTU (D.C.). Signor Presidente, colleghi consiglieri, prendo la parola, come mi sembra doveroso, per svolgere alcune brevi considerazioni. Io sono tra coloro che ritengono corrisponda ad una esigenza fondamentale della Sardegna che la Regione si doti finalmente di una legge di carattere generale come base per una organica politica culturale. Sono tra coloro quindi che si rammaricano che in quarant'anni di autonomia non sia stato possibile pervenire prima di oggi a questo risultato, e che ancora oggi si rischi di non raggiungere questo risultato. Perché non vi è dubbio che uno sviluppo vero e globale della comunità regionale e delle sue condizioni complessive di vista non può realizzarsi se non traendo ispirazione almeno da una forte politica culturale. Ed è proprio partendo da queste convinzioni che qualche settimana fa ho espresso il mio voto favorevole sul testo sottoposto all'approvazione dell'Assemblea, pur con un senso di profondo disagio e con la preoccupazione che ancora una volta il Consiglio regionale finisse per compiere un tentativo per alcuni versi appassionato e generoso ma anche per altri aspetti velleitario e strumentale, in ogni caso destinato a fallire.
Il rinvio governativo, per molti aspetti infondato e pretestuoso, o meglio ancora frutto di una lettura restrittiva e burocratica delle nostre competenze statutarie, per altri versi affonda indubitabilmente le proprie ragioni in una formulazione confusa e velleitaria che, come si poteva facilmente prevedere, offriva facile appiglio ad un giudizio critico. La nuova formulazione è frutto di un lavoro impegnativo, svolto dalla Commissione VIII che ha consentito, attraverso un impegno positivo, di apportare al testo precedente notevoli miglioramenti. Innanzitutto, e va sottolineato adeguatamente, si è recuperato in termini espliciti e formali il discorso relativo alla tutela e alla valorizzazione della cultura e della lingua catalana di Alghero. Io non metto naturalmente in dubbio l'intenzione che ha positivamente animato la Commissione in occasione della prima stesura, ma devo dare atto ai commissari di tutte le parti politiche di aver compreso l'importanza del problema sollevato dall'amministrazione comunale di Alghero e di averlo rappresentato attraverso la predisposizione di una serie di emendamenti; la disponibilità di tutti i commissari ha perciò consentito di trovare una formulazione pienamente soddisfacente che, pur tenendo presente il ruolo minoritario che caratterizza il catalano di Alghero nel contesto regionale, recepisce un'aspirazione profonda della comunità algherese ad ottenere un riconoscimento pieno e paritario con le altre espressioni culturali e linguistiche, così come compete a chi è e vuole sentirsi parte viva e integrante della più ampia comunità regionale.
L'altro dato che va sottolineato è che la riformulazione in molte parti del testo originario ha consentito di pervenire ad una stesura indubbiamente migliore come dicevo, non solo nella forma, ma anche nella sostanza, sicuramente più attenta al rapporto tra competenze regionali e competenze statali, più chiara e coerente nelle sue enunciazioni. E tuttavia la definizione data ai titoli IV e V relativi alla scuola e ai rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini non mi consente di superare le perplessità e le preoccupazioni per il rischio di un nuovo rinvio governativo. Le perplessità e l'insoddisfazione però non sono soltanto formali, per quanto attiene al rischio, come dicevo, di ulteriori rilievi, con riferimento in particolare alle competenze statali e a quelle regionali, ma riguardano la sostanza delle scelte compiute, la preoccupazione è che ancora una volta il Consiglio compia una scelta in qualche misura velleitaria e, per voler raggiungere traguardi non raggiungibili e forse neppure giusti, metta in pericolo la possibilità di dotare ancora una volta la Regione sarda di una legge che, come dicevo prima, anch'io ritengo essenziale per lo sviluppo della nostra comunità.
Io non credo infatti che esistano le condizioni per stabilire in legge che l'insegnamento delle diverse discipline scolastiche possa o debba essere impartito in lingua sarda o in lingua catalana. Non credo che una tale scelta sia praticabile, né credo possa essere attuata in termini di imposizione, per rispettare innanzitutto i diritti di tutti i giovani cittadini sardi che siedono sui banchi di scuola e non hanno il sardo né il catalano come lingua madre, per rispettare il diritto della stragrande maggioranza degli insegnanti sardi, che hanno il diritto di impartire l'insegnamento in una lingua da essi perfettamente conosciuta e dominata, senza di che l'insegnamento perderebbe la sua anima, il suo significato, il suo valore, la sua capacità di coinvolgimento, la sua capacità di formare cittadini nuovi, così come non credo che sia realistico pensare di rimandare a scuola le migliaia di dipendenti pubblici operanti in Sardegna, da quelli regionali a quelli dei comuni e delle province, a quelli degli uffici statali, perché imparino a parlare e a scrivere una lingua che per molti di loro è sconosciuta e che comunque nella migliore delle ipotesi essi conoscono solo nella forma orale. Per queste ragioni il confronto con i sostenitori della tesi opposta non mi ha consentito di superare, ho espresso in Commissione ed esprimerò in Assemblea un voto di astensione sulle norme contenute nei titoli IV e V della legge, mentre esprimerò un voto favorevole sull'insieme del provvedimento nella convinzione che questi aspetti velleitari e demagogici di una parte delle norme previste non faccia venire meno l'interesse prioritario ad adottare nei tempi più brevi una disciplina generale in materia di politica culturale, rispetto alla quale, come è stato detto la questione della lingua, pur importantissima, è tuttavia soltanto un aspetto.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Murgia. Ne ha facoltà.
MURGIA (Rinascita e Sardismo). Signor Presidente, colleghi consiglieri, non è molto che si è spenta l'eco degli applausi che sancirono in questa Assemblea l'atto finale di approvazione della legge sulla cultura sarda, in un clima esaltante e di consapevolezza per aver d'un colpo rimediato a quarantacinque anni di ritardi ed inadempienze.
Per le cose che poi dirò nel corso dell'intervento, anticipo che intendo ritirare l'applauso rivolto non solo all'assessore Collu, ma alla Giunta, alla maggioranza, e l'applauso rivolto anche a noi stessi. Un'impennata autonomistica e unitaria, l'atto più qualificante, a mio parere, di questa legislatura, che avrebbe potuto significare, questo sì, un momento di svolta per una stagione di vere riforme, ma nel senso giusto, nella direzione cioè dell'interesse della Sardegna e dei sardi. Invece, ahimè, eccoci tornati nella stessa sede - stessi personaggi, stessi autori - per discutere, ma non nello stesso clima, la stessa legge, stavolta come vittime di un'impennata centralistica e colonialista del Governo centrale.
La stessa maggioranza, questa enorme e oramai inutile maggioranza, anche quella che si sta creando in termini surrettizi, sta per infilarsi l'abito della più dannosa subalternità, e si accinge a scrivere uno dei capitoli più oscuri dell'ormai lungo libro dell'autonomia calpestata.
Che avreste ceduto era chiaro dal primo momento, fin dal momento in cui, chiesto tempo al Consiglio, avete promosso e fatto un umiliante viaggio a Roma per pietire da un oscuro funzionario del Ministero della pubblica istruzione, il cui titolare almeno inizialmente non vi ha neppure ricevuto in qualità di rappresentanti del popolo sardo. La dignità, la fierezza di un popolo che ha migliaia di anni di storia alle spalle sono stati mortificati dalla complice remissività dei suoi governanti, che permettono che i propri diritti vengano calpestati nonostante siano sanciti dalla Corte Costituzionale.
Il ceffone che il Governo dello Stato ha assestato all'autonomia della Sardegna con la bocciatura della legge sulla lingua non è, come pure avevamo pensato di fronte all'enormità del provvedimento, il prodotto di menti ottuse (hanno avuto un mese di tempo per farlo) ma di un ceto politico ed economico che vive evidentemente con terrore la saldatura fra l'autonomia della Sardegna e le sue radici storiche, culturali, etniche; o questo non avete capito o siete conniventi con tale disegno, o magari sono vere entrambe le ipotesi. In ogni caso non avete più alcun titolo, alcuna legittimazione a rappresentare un popolo che della sua unicità, della sua autonomia fa ragione di vita; non potete in coscienza più rappresentare se non voi stessi e chi, nella subordinazione e nella dipendenza politica e culturale, trova spazi per campare la propria esistenza. Altro che strappo istituzionale! "Dal contenzioso al conflitto con il Governo" si diceva. Nessuno vi ha creduto e nessuno vi crede più, né i minatori del Sulcis, né gli operai della cartiera di Arbatax, né i contadini del Campidano, né i pastori della Barbagia, né i precari della scuola.
A ben considerare, le caratteristiche di questo governissimo sono quelle di interra mortus delle ultime autonomie ancora esistenti e quelle di grande e molliccio ventre dell'omologazione che digerisce anche intellettuali e tecnici di valore, anch'essi purtroppo piegati all'esigenza della subalternità. Apparentemente potreste sembrare preoccupati della difesa della legge e della lingua sarda, sostenendo la singolare tesi della necessità per salvare il salvabile, di cedere parzialmente perché in realtà un pezzo importante della legge rimanga. E' una ben singolare tesi questa che afferma la possibilità di salvaguardare uno dei cardini della nostra autonomia offrendo la stessa oltre che rassegnarsi all'idea che essa sia mortificata. Non è con il pragmatismo e il realismo politico - io leggerei codardia - che si difendono la lingua e l'autonomia, ma con il coraggio di riapprovare la legge bocciata dal Governo così come l'abbiamo licenziata in agosto. E' una questione di principio a cui vale la pena una volta tanto dare una qualche dignità. Governi e sistema politico che hanno fatto carne di porco della legalità e della finanza pubblica, che hanno dilapidato sostanze e istituzioni, che hanno creato enti dispendiosi e inutili, devono avere la faccia di suola per accusare l'Osservatorio previsto dalla legge di essere un carrozzone. Non dobbiamo riconoscere loro alcun diritto di mettere bocca e naso in una organizzazione interna alla Regione autonoma; questa è nostra competenza primaria, tanto più che non si chiede allo Stato un centesimo in più per tutelare e valorizzare una lingua che il Parlamento non ha avuto il tempo, nonostante la Costituzione, vedi l'articolo 6, di tutelare. Lo stesso Parlamento europeo ha richiamato l'Italia, come unico Stato inadempiente, all'approvazione di leggi di tutela delle minoranze linguistiche, così come sono svariate le sentenze della Corte costituzionale che danno torto al Governo e giustizia alle Regioni, a Statuto speciale, in materia di tutela linguistica.
Questi sono i motivi che avrebbero dovuto suggerirvi la strada da seguire, ma avete fatto i sordi, avete temuto non di perdere nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, avete avuto paura di vincere, per le conseguenze che una vittoria in una battaglia così fortemente caratterizzata avrebbe potuto avere e soprattutto, e questo è ancora più grave, non avete saputo cogliere e interpretare il sentimento diffusissimo nella gente sarda di offesa, di indignazione che solo il ricorso alla Corte costituzionale avrebbe potuto placare.
Io mi auguro ancora che il Consiglio regionale trovi al suo interno la forza, il coraggio e la libertà di disattendere le indicazioni della Giunta e rispedisca al mittente la bocciatura della legge, senza modificare una sola virgola. Lo dice uno che dal 1978, raccogliendo a Cagliari, insieme a pochissimi altri, le firme per la proposta di legge popolare sul bilinguismo ottenne gli sberleffi, l'anatema, le invettive di chi vedeva il bilinguismo, ieri come oggi, come anticamera del separatismo, come con molta eleganza diffusa disse in una circolare ai comunisti un attuale autorevole membro di questo Consiglio. Lo dice quindi uno che della battaglia per i diritti collettivi e nazionali dei sardi ha fatto il punto principale di impegno politico.
In quattro giorni di presidio, insieme ai compagni di Rinascita e Sardismo, abbiamo raccolto migliaia e migliaia di firme di cittadini che spontaneamente si avvicinavano per sottoscrivere la petizione perché questo Consiglio respinga questo sopruso. Questo al di là del fatto che condividessero o meno la legge in tutte le sue parti, ma soprattutto come atto di incoraggiamento alla resistenza. E a me non sfugge comunque, anche ora che sembrava raggiunto un sogno, che un atto di pavidità, come quello di rinunciare a una riapprovazione testuale avrebbe conseguenze negative di portata storica, ancora più gravi e rilevanti dell'atto di sottomissione commesso il giorno in cui il Governo ci negò il diritto di esprimerci sulla base atomica di La Maddalena.
Questa Giunta e quella che l'ha preceduta e le maggioranze che le hanno sostenute hanno già autorizzato fin troppo la protervia centralista dello Stato italiano; lo hanno fatto quando hanno subito la riattivazione, come carcere speciale per mafiosi del carcere dell'Asinara; lo hanno fatto quando hanno esaltato, dopo essere stati bypassati, la spedizione militare detta "forza paris". Tra l'altro adesso i militari sono ritenuti anche l'elemento necessario e sufficiente non solo per la lotta alla delinquenza, ma anche per la lotta gli incendi. Questo sembra suggerire che la Sardegna, per trovare sbocchi positivi ai suoi vari problemi, può essere utilmente ridotta al rango di una piazza d'armi. Lo hanno fatto, dicevo, anche quando hanno sottoscritto l'intesa con il Governo sul Parco del Gennargentu spogliando la Regione di un'altra sua competenza vitale. Lo hanno fatto, e lo fate, accettando di volta in volta il rinvio di innumerevoli leggi di riforma e di autonomia con burocratica rassegnazione. Lo hanno fatto e lo faranno autorizzando il centralismo dello Stato - in un'epoca in cui il centralismo è in crisi ovunque, tranne in Russia, dove sta tornando in auge - perché alimentato e incoraggiato dal bassissimo profilo autonomistico di una classe dirigente, di una classe politica e di una maggioranza tra le più nefaste nella storia dell'autonomia.
Siamo sicuri che oggi il Governo italiano avrebbe tirato il ceffone che ha assestato all'autonomia se il ceto politico sardo, presa coscienza della sua identità, avesse resistito alle piccole e grandi bocciature delle leggi? Cedete pure a quest'ultima pretesa! Ai danni materiali e alla desertificazione industriale si aggiungano i danni morali, culturali e spirituali! Il quadro del vostro fallimento è completo. Con il disinteresse e la disinvoltura con cui questa maggioranza bulgara affronta e si inserisce, si fa per dire, nel dibattito in corso per la riforma dello Stato e delle istituzioni, non possono che prospettarsi altri disastri. E non vi rendete neppure conto - nel caso contrario sarebbe ancora peggio - che la bocciatura della legge sulla lingua e la cultura sarda, se da un lato ha profondamente offeso la stragrande maggioranza dei sardi...
(Interruzioni)
Io do atto all'assessore Collu di essere l'unico cortese a sostenere ancora, nonostante il linguaggio non sia molto accademico, l'urto degli interventi dei rappresentanti di questa Assemblea, e al loro interno dei rappresentanti dell'opposizione. Dicevo, ancora di più ne aveva dato la prima reazione unanime, per l'ennesima volta, in sintonia con i sentimenti dei rappresentanti che i rappresentanti avevano avuto di fronte all'atto intimidatorio del Governo italiano. L'unità di intenti avrebbe potuto innescare una unità nuova, questa volta sì autonomistica, amplificandone voce, forza e capacità contrattuale, ma ancora una volta un mediocre real politik e una tendenza alla mediazione anche su principi fondamentali ha svilito il significato stesso, trasformando i sentimenti iniziali di giusta ribellione in paura dell'autonomia e terrore del futuro.
Mi auguro che tutti in quest'Aula riusciamo a cogliere e a trasformare in atti la rabbia o anche solo la inquietudine dei sardi di fronte all'offensiva del Governo. Mi auguro insomma che non perdiamo l'occasione di riaffermare il diritto dei sardi al resistere come popolo, con la sua lingua, la sua cultura, le sue tradizioni, i suoi modelli morali. Lo voglia o non lo voglia un Governo che ha combinato già abbastanza disastri in Sardegna senza che noi, rappresentanti di questo popolo, abbiamo avuto l'energia necessaria e la vigoria morale per opporci con l'unica arma che abbiamo, il diritto di contare sulle nostre forze e di pretendere rispetto.
Per questo, signor Presidente, colleghi, mi riservo, dopo attenta valutazione delle modifiche alla legge apportate dalla Commissione, di partecipare o meno al voto finale, perché nel caso che le mie valutazioni dovessero, come penso, essere negative, non intendo avallare con la mia presenza un atto di sottomissione che in termini pregiudiziali in questo momento, per questioni di principio, non intendo condividere.
PRESIDENTE. E iscritto a parlare l'onorevole Manca. Ne ha facoltà.
MANCA (P.D.S.). Signor Presidente, voglio, in premessa, rassicurare l'amico onorevole Porcu, dicendogli che esistono nella coscienza e nella cultura di molti di noi, e spero di tutti, sufficienti motivazioni per difendere l'unità nazionale, contestualmente però, e sottolineo il valore dell'avverbio, alla battaglia per riaffermare il diritto e il bisogno di salvaguardare la cultura e la lingua e quindi l'unità del popolo sardo. E aggiungo che non ha senso riproporre oggi in quest'Aula le argomentazioni con cui il Partito Democratico della Sinistra ha dichiarato, nel corso del precedente dibattito, il suo consenso ed il convinto sostegno politico alla legge relativa alla tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna. E tuttavia le motivazioni addotte dal Governo per rinviare la legge, il confronto sviluppatosi successivamente fra le diverse forze politiche e il variegato atteggiamento dalle stesse assunto in merito alle modalità e al tono della necessaria risposta, spingono ad alcune riflessioni certamente non inutili per quanti, ed io sono fra quelli, hanno creduto e credono nell'utilità del provvedimento e nella radicata saggezza popolare-contadina che l'ha in buona parte ispirato e sostenuto. Saggezza convintamente opposta allo snobbismo esclusivista di non pochi circoli intellettuali che, a risultato conseguito, hanno preso le opportune distanze, dimostrando di aver subito la legge come una sorta di intrusione e di indebita invasione di campo, peraltro dopo averla invano richiesta e sollecitata per diversi decenni. E' fuori di dubbio che i due rilievi di sostanza proposti dal Governo, quello teso a limitare la competenza della Regine in materia di organizzazione dei propri uffici, ed il secondo diretto a contestare e contrastare il potere di adattamento e di integrazione dell'ordinamento e di programmi scolastici in ambito regionale, ledono la radice stessa dell'autonomia e della specialità della Sardegna. Rispetto a tale lesione certamente di natura sostanziale la posizione del P.D.S. è stata da subito di chiaro e netto rifiuto. Il giudizio espresso non ha lasciato spazio agli equivoci e, nella sua radicalità, si è apertamente divaricato anche rispetto alla proposta tattica della Giunta, di questa Giunta, sulla qualità della risposta. Una proposta, quella della Giunta, tesa a realizzare uno smembramento della legge in una parte morbida, facilmente assorbibile dal Governo e in una seconda parte rivolta alla difesa dei principi e del diritto statutario, da riproporre però in un secondo tempo e in fase di netto distacco dalla prima rivendicazione.
Peraltro, il fronte del dissenso verso l'indicazione dell'Esecutivo, che aveva temporaneamente raccolto sia i barbari dell'opposizione che i gentili del P.D.S. non ha retto davanti alla prospettiva del che fare, perché mentre i barbari, visi noti, sparavano a salve con l'obiettivo di difendere la legge nella stesura originaria, noi gentili del P.D.S. senza darne e senza prenderne, abbiamo da subito dichiarato di voler approfittare delle osservazioni del Governo per ripulire il testo del provvedimento e riportarlo in Aula rafforzato da un più stretto collegamento tra la riconfermata difesa dei principi ed una più lucida individuazione dei percorsi attuativi.
Il risultato del lavoro della competente Commissione, che viene oggi proposto all'attenzione del Consiglio, non elimina le ragioni del contendere. Sotto questo aspetto la possibilità del conflitto Stato-Regione non è rimossa, per volontà espressa di tutte le forze politiche che hanno partecipato alla discussione ed hanno contribuito positivamente alla stesura del nuovo testo. Pare, comunque, di poter affermare che alla ferma riproposizione dei diritti statutari risulta ora più strettamente collegata l'individuazione di un percorso amministrativo che può consentirne l'effettivo esercizio. Lo scostamento tra i due testi, quello originario e quello odierno è minimo per quanto riguarda i primi tre titoli e l'ultimo della legge ed interessa esclusivamente il richiamo specifico della minoranza catalana, peraltro già sottinteso nella precedente stesura del secondo comma dell'articolo e la precisazione e specificazione del quadro funzionale dell'Osservatorio. Il titolo quarto, interessante l'attività della Regione nell'integrazione dei programmi scolastici e nella sperimentazione, si presenta invece radicalmente modificato. Tale scelta è stata obbligata dalla cattiva lettura fatta dal Governo sul vecchio testo, dovuta anche ad alcune incertezze espressive e a qualche salto logico che ha favorito la messa in campo di una proposta di mediazione burocratica nettamente al ribasso e fuorviante rispetto alla centralità del vero problema posto dalla legge: il diritto di far entrare progressivamente l'insegnamento di cultura e lingua sarda nei programmi delle scuole di ogni ordine e grado in Sardegna a totale carico finanziario dello Stato. La concessione da parte del Governo di spazi anche ampi di opzionalità per tale insegnamento non poteva essere considerata una risposta all'altezza della rivendicazione avanzata, tesa invece a conquistare un nuovo modello di ordinamento all'interno del quale i percorsi formativi siano fortemente ancorati alla lettura della realtà e della storia locale, e dell'ambiente fisico e culturale nel quale l'insegnamento viene praticato. La storia e la vita assieme hanno insegnato e insegnano ogni giorno anche a noi, al mondo degli adulti voglio dire, non solo a guardare ma coltivare l'albero delle radici, perché è il solo modo per irrobustirlo, dargli capacità di resistenza, renderlo competitivo, tentare di farlo svettare e primeggiare nella selva, con tale obiettivo il richiamo e il riferimento al D.P.R. numero 419 del 1974 è diventato specifico e puntuale ed il ricorso ad esso, anche in termini strumentali ed utilitaristici, è stato graduato in modo tale da consentire l'esplicazione e l'applicazione amministrativa del potere di integrazione dell'ordinamento scolastico attraverso l'articolo 5 dello Statuto, riconosciuto ma ad oggi non ancora confortato dall'attribuzione dei connessi poteri amministrativi. Lo schema logico conseguente prevede, dunque, che la Regione modifichi, adattandolo, l'ordinamento scolastico statale con una libera autonoma integrazione dei programmi, che viene operativamente recepita e praticata attraverso cicli di sperimentazione su tutto il territorio regionale, vincolante e obbligatoria e con oneri a carico dello Stato, fatta salva ovviamente la possibilità di attivare ulteriori forme di sperimentazione aggiuntive ed opzionali e con oneri a carico della Regione.
Il terreno del confronto, individuato e delimitato dal nuovo testo della legge, è certamente più favorevole alla Regione, ed ha il pregio di costringere il Governo ad una risposta di natura politica, privandolo della possibilità di rifugiarsi, come nell'occasione precedente, dietro il paravento di una semplicistica e riduttiva messa in campo di una contrattazione e mediazione di natura essenzialmente burocratica.
In chiusura, e alla fine di queste brevi considerazioni, mi sia consentito di dire che, sia sul piano della riflessione politica che su quello dell'analisi dei comportamenti, non ho dimenticato le parole amarissime pronunciate in quest'Aula dal compagno Cogodi, in occasione della discussione e approvazione del precedente testo della legge in esame, per denunciare la caduta di interesse, la sordità, il carattere di estraneità che ha caratterizzato e contraddistinto l'approccio del mondo dell'informazione e della cultura ufficiale con il complesso del problema rilanciato dalla discussione consiliare. La stessa povertà del dibattito politico culturale seguito all'approvazione della legge, peraltro quasi esclusivamente concentrato sugli aspetti relativi al personale e alle risorse finanziarie e disattento sulla valutazione dell'impatto delle nuove norme sull'agire della società sarda, evidenzia la sottovalutazione grave di un aspetto politico di primaria importanza. Mi riferisco al potenziale di partecipazione, di rinnovamento che l'uso riconosciuto della lingua sarda può positivamente liberare. Mi riferisco al potenziale di energie latenti e compresse che può essere attivato, all'estensione reale ed effettiva del confronto democratico, al possibile recupero di aree di esclusione e di marginalità. Non capire, non sentire, o peggio rifiutare tutto questo significa soltanto difendere un mondo e una società che oggi sono vincenti, è vero, ma non hanno futuro. Ha scritto bene Antonio Romagnino, ricordando qualche giorno fa su L'Unione Sarda l'impegno umano, religioso democratico di Padre Ernesto Balducci, ha scritto Romagnino: "Comincio a capire sempre più profondamente, già alle soglie del duemila, che è il villaggio che ci salverà, mentre le città soccombono e uccidono, perché il mondo del futuro lo farà la miriade di villaggi conservatisi e omologati non dal consumismo ma da una rianimata umanità".
PRESIDENTE. I lavori del Consiglio riprenderanno questo pomeriggio alle ore 17.
La seduta è tolta alle ore 12 e 57.