LXXXV SEDUTA
(SEDUTA SOLENNE)
(POMERIDIANA)
Venerdì 20 marzo 2015
Presidenza del Presidente Gianfranco GANAU
La seduta è aperta alle ore 16 e 23.
Seduta solenne alla presenza della Presidente della Camera dei deputati
PRESIDENTE. Onorevoli colleghe e colleghi, presidente Pigliaru, Assessore e Assessori, autorità tutte, è con grande e sincero piacere che do il benvenuto alla presidente Boldrini a nome di tutto il Consiglio regionale e di tutti i sardi.
Presidente, la ringrazio per aver voluto questo momento di incontro e confronto con il Parlamento dei Sardi all'interno della sua visita, breve ma ricca di impegni, nella nostra terra, dove conoscerà un popolo orgoglioso della propria identità, della propria cultura e della propria storia, fieramente e convintamente autonomista.
La nostra, presidente Boldrini, è oggi una terra ferita dove la crisi economica, che ha colpito la nostra regione in maniera più profonda rispetto al resto del territorio nazionale e che oggi ha assunto i caratteri drammatici dal punto di vista sociale, sta profondamente minando la tenuta e l'organizzazione della stessa struttura della società sarda. Crisi che sconta i limiti di scelte del passato, dimostratesi errate, come quella della monocultura industriale e l'incapacità della politica di costruire un futuro alternativo, di risolvere problemi e ritardi storici, quali quelli della continuità territoriale, dell'infrastrutturazione strategica e della disponibilità di energia a basso costo.
La nostra, presidente Boldrini, è una terra amata, dalla quale oggi si emigra come 60 anni fa con un'unica differenza che oggi a farlo sono anche i nostri giovani laureati, il nostro futuro, che lasciano la loro terra, proprio come descritto nel volume di Grazia Deledda da lei citato, con animo pieno di malinconia per quello che lasciano alle spalle e l'ansia per quello che li aspetta. Una terra dove la popolazione invecchia ed esplode la questione delle zone interne, sempre più spopolate, con previsioni demografiche di riduzione della popolazione residente sino a quasi un terzo rispetto a quella attuale nei prossimi 50 anni.
Presidente, questo Consiglio si riunì per la prima volta il 28 maggio del 1949, secondo in ordine di tempo solo a quello Siciliano.
Iniziava allora la storia della speciale autonomia della Regione Sardegna che per la prima volta aveva organi di espressione democratica dei Sardi e la possibilità di concorrere a decidere il proprio futuro.
L'esperienza autonomista si prospettò sin dai sui primi atti come l'occasione per il riscatto della Sardegna dai secoli di abbandono e sfruttamento e per l'avvio di una stagione di crescita e di progresso, portando ad esprimere e rappresentare, pur nelle evidenti e sentite diversità locali, le ragioni di un comune sentire dell'essere sardi.
L'istituzione democratica regionale, disegnata proprio sul modello parlamentare e regolamentare della Camera dei Deputati, si è radicata profondamente diventando riferimento di tutte le istanze politico-istituzionali, trovandosi spesso sovraccaricata di un eccesso di responsabilità, rispetto a compiti e decisioni, che lo Stato, ieri come oggi, trattiene e non condivide.
La Sardegna fu protagonista insieme alle altre Regioni speciali del nuovo, faticoso cammino delle autonomie regionali e tracciò il percorso per l'affermarsi, dopo oltre vent'anni, delle Regioni ordinarie che oggi, dimentiche della storia, troppo spesso confondono l'esigenza di difendere e confermare la specialità come una fastidiosa anomalia e un ingiustificato privilegio.
Il rapporto univoco e bilaterale tra la Sardegna e lo Stato, che ha dimostrato tutta la sua debolezza fin delle origini, ha visto la regione impegnata in un combattimento impari che l'ha isolata nei confronti del movimento regionale complessivo e che ha prodotto un ritardo culturale e istituzionale, depotenziando l'autonomia effettiva.
Paradossalmente la Sardegna e tutte le Regioni speciali con le norme di attuazione hanno avuto in ritardo le stesse funzioni delle regioni ordinarie.
Da anni il dibattito regionale evidenzia l'insufficienza dello Statuto del 1948, sia per il suo carattere riduttivo originario, sia per il quadro delle funzioni oggi inadeguato rispetto agli obiettivi. Insufficienze che non significano, Presidente, necessità di superamento, ma richiesta di maggiori poteri e maggiore autonomia perché è comune e ribadita la convinzione che le ragioni della specialità permangano e siano anzi rafforzate, necessitando oggi come ieri di politiche con forte accentuazione regionale.
Politiche e dunque poteri con finalità di compensazione, ad esempio per il superamento dei limiti dell'insularità, politiche attive specifiche, dal momento che l'Isola nonostante abbia l'indice infrastrutturale delle ferrovie più basso d'Italia, è di fatto esclusa dai grandi progetti (spesso a dimensione europea) che passano per il Continente; poteri autonomi di organizzazione e diffusione dei servizi nel territorio che considerino i caratteri geografici e la scarsa densità della popolazione, si pensi - un esempio per tutti - alla dispersione scolastica dove raggiungiamo il triste primato del 25 per cento di abbandoni a fronte di un dato nazionale del 17 per cento, che dimostra tutta l'inadeguatezza di criteri nazionali, che mal si attagliano alla nostra Regione. Poteri con finalità di tutela e valorizzazione legati alle identità linguistica e culturali e alla specificità del territorio e dell'ambiente.
La Sardegna che non si è mai sottratta ai suoi doveri di solidarietà nei confronti del Paese chiede oggi, come 66 anni fa, una reale integrazione economica e sociale, una reale integrazione politica e istituzionale e il rispetto dell'identità etnico-linquistica, culturale, insomma nazionale.
Perché, Presidente, il principio di solidarietà non può essere applicato in senso unilaterale. Non è più sostenibile che la Sardegna sopporti il 61 per cento delle servitù militari, o che si pensi alla Sardegna come al più vasto carcere d'Italia o come deposito di scorie nucleari; o che si debba attendere decenni per ottenere quanto dovuto in termini di entrate fiscali; non è più tollerabile il ricatto che da decenni mette in contrapposizione tra loro diritti costituzionali inalienabili, come quelli al lavoro, alla salute e ad un ambiente salubre, né che la Sardegna abbia una percentuale di disoccupazione giovanile del 54,2 per cento e di disoccupazione femminile del 57 per cento.
Potrei continuare in questo lungo e triste elenco, che dimostra se ce ne fosse bisogno, come la questione sarda sia tutt'altro che risolta. Ecco, Presidente, qualche giorno fa è stata presentata da più parlamentari sardi una mozione che pone al centro i temi della crisi economica e sociale e della Sardegna e del rapporto tra Regione autonoma della Sardegna e Stato, confidiamo nella sua sensibilità perché l'argomento possa essere sottoposto in tempi brevi all'attenzione della Camera.
Noi, Presidente, immaginiamo il nuovo Statuto come un rinnovato patto che coinvolge in responsabilità comuni lo Stato e la Regione perché riteniamo che la fase difficile che il Paese sta attraversando non possa giustificare in alcun modo il superamento dell'autonomia e della specialità. Oggi la crisi economica sta rafforzando le politiche centraliste con sottrazione dell'esercizio di funzioni dalla periferia verso il centro e in alcuni casi della stessa potestà statale ad altra sovra-nazionale. L'urgenza è istituzionale oltreché economica, bisogna accelerare il processo legislativo senza indebolire la democrazia.
L'antiparlamentarismo ora individua il Senato come capro espiatorio dei mali collettivi e nelle Regioni la causa delle inefficienze amministrative. Certo la democrazia rappresentativa ha un difetto consuma risorse materiali e spirituali, ma è evidente che il valore della rappresentanza è un bene in sé che non può essere sacrificato sull'altare dei costi. Il vero costo della politica è quello di scelte sbagliate prese per anni inseguendo il consenso elettorale, piegandosi a illusioni semplicistiche ma popolari. Per riconciliare le istituzioni con i cittadini non serve meno politica, ma come troppo spesso si dice, piuttosto della buona politica.
Gli organismi di secondo grado che andranno a sostituire il Senato e le province comporteranno un'accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori e questo se da un lato risponde alla forte richiesta di diminuzione del numero degli eletti e dei costi della politica dall'altra umilia la richiesta di partecipazione democratica senza tralasciare il fatto che per sindaci e presidenti è già difficile svolgere il loro lavoro figuriamoci trovare il tempo per un serio impegno in organismi di secondo livello siano essi sovra comunali o statali.
Per tacere della riforma elettorale che prevede un sistema fortemente maggioritario con capilista bloccati. È evidente che il filo conduttore è quello di una riduzione grave degli spazi di rappresentanza e dunque di democrazia e che si sta percorrendo un crinale fortemente pericoloso.
Nella stessa ottica si inserisce la riforma del Titolo V che piuttosto che impegnarsi nel correggere gli elementi che hanno impedito al federalismo di funzionare lo cancella con la scusa dell'efficienza. Il Governo sceglie, ancora una volta, di accentrare le decisioni piuttosto che condividerle con i livelli locali attraverso il depotenziamento della competenza esclusiva delle Regioni ordinarie e l'eliminazione di quella concorrente. Un declassamento del legislatore regionale che attribuisce allo Stato anche la possibilità di intervenire nelle aree di competenza residuale la cosiddetta clausola di salvaguardia. Dopo appena 14 anni assistiamo all'inversione di quel processo di federalismo avviato con la riforma del Titolo V. Certo a prima vista la proposta sembrerebbe non mettere in discussione la nostra autonomia e non indebolirla, anzi una valutazione superficiale si potrebbe addirittura pensare a un suo rafforzamento, ma è evidente che si tratta di un rafforzamento solo apparente in quanto l'autonomia è inevitabilmente più debole nel quadro di un sistema regionale complessivamente indebolito.
Questo vale tanto di più per una Regione come la Sardegna debole sotto il profilo economico, demografico e politico e che ha un peso minore di altre nel rapporto bilaterale e negoziale con il Governo nazionale. Forti della nostra specialità abbiamo il dovere di guidare le rivendicazioni delle Regioni ordinarie perché solo all'interno di un sistema regionale differenziato la nostra specialità diventa un elemento da valorizzare e non un privilegio da difendere contro tutti. In questo percorso diventa fondamentale il recupero della centralità delle assemblee legislative espressione della sovranità popolare.
Ho personalmente apprezzato il richiamo al fondamentale valore dell'istituzione parlamentare nel sistema dell'equilibrio democratico. La crisi e la necessità di fare in fretta non può diventare scusante per la distruzione del sistema parlamentare e questo vale per il centro come per le periferie. Il Consiglio regionale sardo ha particolarmente avvertito e sofferto la perdita del ruolo legislativo trovandosi stretto tra le attese suscitate dall'autonomia e la progressiva crisi delle istituzioni parlamentari. Gli iter legislativi possono essere semplificati, devono trovare strumenti di maggiore celerità, ma guai a pensare il percorso di formazione delle leggi e di confronto con l'Esecutivo come un intralcio.
Il Parlamento sardo al pari di quello italiano si trova troppo spesso stretto tra la necessità e l'urgenza di decidere e l'impossibilità di allargare il dibattito, favorire il confronto, esprimere la varietà delle posizioni per arrivare alla migliore soluzione. L'equilibrio dei poteri tra organo legislativo ed esecutivo è sicuramente ancora un tema da risolvere in particolare andrebbero potenziati gli strumenti di indirizzo e di controllo del Parlamento sugli atti degli organi esecutivi ed introdotti gli strumenti di verifica e controllo sulle ricadute e sull'efficacia delle azioni definite da norme legislative.
La verità è che oggi è la democrazia ad essere entrata in crisi e questo proprio nei paesi centrali dove era maggiormente consolidata, una crisi caratterizzata da patologie che colpiscono la partecipazione vista la crescita preoccupante dell'astensionismo che in Sardegna nelle ultime regionali ha raggiunto in alcuni territori la percentuale del 56 per cento, e la rappresentanza visto che i cittadini si sentono sempre meno rappresentati dagli eletti. La crisi della democrazia deve essere combattuta con più democrazia non con riforme parziali e disorganiche, con maggiori economie e non con un rafforzato centralismo. Di fronte a questo, presidente Boldrini, siamo pronti a condividere una battaglia comune per rimettere al centro della politica la dignità e l'alto valore della funzione legislativa.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Pietro Pittalis.
PITTALIS PIETRO (FI). Signora Presidente della Camera, bene bennida in terra sarda, abbiamo il piacere di accoglierla in quest'Aula avendo apprezzato il significato politico e culturale della sua visita in Sardegna ad iniziare proprio dall'attenzione che ha voluto riservare alla memoria delle nostre illustri conterranee Eleonora d'Arborea, Grazia Deledda e Maria Lai. Tre figure femminili che hanno saputo portare oltre i confini di questa Isola, confini che per ogni sardo rappresentano un po' i confini del proprio cuore, la più nobile espressione della civiltà giuridica, letteraria ed artistica prodotta in Sardegna. Tre grandi donne degno frutto di una cultura matriarcale antichissima che ha segnato profondamente la nostra società, i nostri costumi, le nostre tradizioni, la nostra identità facendo del popolo sardo un unicum nel panorama nazionale ed europeo.
La sua visita, signora Presidente, ci offre anche lo spunto per una sia pur brevissima riflessione sui temi che già in maniera puntuale ha toccato il Presidente del Consiglio Gianfranco Ganau. Su quelle riforme che sono all'esame del Parlamento soprattutto per gli effetti che determineranno sul nostro ordinamento democratico già che investono, com'è stato ricordato, il ruolo e le funzioni del Parlamento nella sua nuova configurazione quello delle assemblee elettive regionali, del sistema più in generale delle autonomie locali.
Riflessione che si impone, mi sia consentito, ancor più nella contingenza del momento in cui assistiamo ad una sorta di stravolgimento di fondamentali regole costituzionali da parte di chi pretende di relegare il Parlamento ad un ruolo meramente notarile. Siamo sì in un sistema presidenzialista ma, colleghe e colleghi, autorità, non siamo ancora in una Repubblica presidenzialista così come la intende qualcuno dei nostri rappresentanti, e mi riferisco senza mezzi termini all'attuale Capo del Governo.
Io come tanti colleghi, signora Presidente, abbiamo apprezzato i suoi interventi e i suoi richiami a tutela delle prerogative delle assemblee legislative che sono le uniche sedi della sovranità popolare, lo facciamo oggi, lo avremmo fatto ieri, lo faremo sempre perché è lo spirito democratico che deve informare la politica e soprattutto i rappresentanti delle assemblee democraticamente eletti. E lo dico anche con la preoccupazione in questo momento, perché io noto che quando si è trattato di rimuovere anche l'ultimo leader politico democraticamente eletto dal popolo italiano vi era sempre una sorta di appello a tutte le vestali della nostra Carta costituzionale, molto presenti, molto attivi. Oggi quei movimenti pare dormano sonni tranquilli, non si agitano e non agitano le piazze contro le derive plebiscitarie. Questo è un elemento che pongo alla riflessione di noi tutti, perché se non siamo consapevoli che questa situazione si riverbera inevitabilmente sul sistema delle autonomie locali e di quelle regionali, le quali vengono vissute spesso come intralcio e delle quali se ne vorrebbe ridelineare in peggio ruolo e competenze, io sono sicuro che così le cose noi rischiamo una deriva neocentralista ancora peggiore di quella che noi già conosciamo, soprattutto alimentata da parte di quelle alte burocrazie ministeriali che spesso, anche per responsabilità della classe politica, vorrebbero limitare gli spazi di autonomia legislativa ed amministrativa delle regioni finanche mettendo in discussione le specialità come quella sarda. Si sappia, signora Presidente, qui come a Roma, che il popolo sardo non accetterà mai alcun arretramento in tal senso. La specialità dell'autonomia della Regione Sardegna non è frutto di graziosa concessione dello Stato italiano, ma costituisce un patto, il frutto di un reciproco riconoscimento tra il popolo italiano e il popolo sardo, tra la storia del popolo italiano e la storia del popolo sardo intimamente legate per le ragioni che noi ben conosciamo.
Lo Statuto di specialità ha potuto e saputo riconoscere l'alterità della Sardegna in termini storici, culturali, politici e sociali. Solo una grande cultura politica dei nostri padri costituenti, che ha riconosciuto i tratti identitari e le antiche aspirazioni nazionalistiche del popolo sardo con profonda lungimiranza politica, ha reso possibile la convivenza democratica della Sardegna all'interno dello Stato repubblicano, questione altrimenti difficilmente componibile, questo devono ricordarsi di Roma. Ciclicamente appare sulla scena politica qualcuno che vorrebbe mettere in discussione questo patto, modificandolo in peggio per la Sardegna sotto l'usbergo di supposti principi di parità di condizioni e di uguaglianza fra le regioni, ritenendo storicamente superate le condizioni che hanno giustificato nel nostro Stato l'adozione delle specialità. Diciamo pure senza mezzi termini che queste persone probabilmente, anzi sicuramente, non sanno neanche quello che dicono, non capiscono che il problema non è quello di degradare la specialità della Sardegna all'ordinarietà delle altre regioni, ma quello semmai di inverare compiutamente le norme statutarie esistenti e di adeguarle in parte ai tempi che stiamo vivendo.
Signora Presidente, la Sardegna esigerà ancora più autonomia di quella che finora è riuscita ad avere concretamente, autonomia non più chiacchierata, ma autonomia praticata. Noi esigiamo che lo Stato ed il Governo osservino il principio di leale collaborazione con la nostra Regione, vogliamo che la Sardegna possa conseguire quel riscatto politico e sociale attraverso interventi definitivi che ne colgano lo status del tutto particolare nel contesto delle regioni italiane in quanto isola al centro del Mediterraneo, un'isola per altro con scarsa densità abitativa, con i fattori che strutturalmente ci ha ricordato il presidente Ganau, e non sto qui a ripeterli, ne hanno impedito e ne impediscono le grandi potenzialità e capacità di sviluppo. La vertenza Sardegna con lo Stato italiano è in essere da troppo tempo, purtroppo non siamo riusciti ancora a chiuderla. Le classi dirigenti di questa Regione hanno alternativamente trattato alcuni nodi strutturali di quella vertenza ottenendo ora significativi risultati, in altri contesti meno significativi, ma al di là delle responsabilità il problema è che rappresentano questioni da sempre spine nel fianco della crescita e dello sviluppo della Sardegna. A riguardo io aggiungo solo una cosa che forse è sfuggita al presidente Ganau, abbiamo anche la preoccupazione, presidente Boldrini, che la Sardegna possa essere individuata come sede del deposito delle scorie nucleari. Forse ero distratto, presidente Ganau, ma allora repetita iuvant come si suol dire. Lo ripeto e lo ribadisco, signora Presidente, noi su questo saremo ancor più intransigenti, sappiano a Roma che su questo tema non arretreremo, e lo posso dire con certezza e anche con fierezza che non è un problema di una parte politica, ma è un problema sul quale tutta la classe politica isolana si riconosce all'unisono. Però, come prospettare il futuro di questa isola? In che termini? Noi abbiamo proposto con serenità, ma con determinazione, che una delle vie sarebbe quella di perseguire con coraggio tutti gli interventi tesi ad ottenere e fare della Sardegna la zona franca integrale. Fare della Sardegna la zona franca del Mediterraneo, lo ribadiamo oggi qui con forza, rappresenterebbe un vantaggio non solo per la Sardegna ma per l'Italia e finanche per l'Europa. Dopo tutte le politiche poste in essere in questi ultimi sessantasei anni l'intervento di politica economica rappresentato dalla zona franca costituirebbe la vera svolta, la vera rinascita della Sardegna. A chi con colpevole sufficienza tratta l'argomento come qualcosa di chimerico, di irrealizzabile, e a chi lo propugna alla stregua di invasati o fanatici, chiediamo di assumere quel coraggio che sempre è necessario per compiere scelte importanti e decisive. Certo, è n percorso tutto in salita, del quale conosciamo le insidie, le resistenze, gli interessi contrari, e che dunque esige la lotta politica dei sardi e della sua classe dirigente, un percorso, signora Presidente, che ha però trovato le istituzioni europee tanto attente e sensibili nell'individuarne la fattibilità quanto la protervia del nostro Stato che ha opposto solo strade sbarrate. E non a caso il nostro Emilio Lussu diceva, già più di sessant'anni fa, che la Sardegna sarebbe risorta e che i sardi sarebbe stati gli artefici del loro avvenire. Ma aggiungeva che senza la solidarietà dello Stato, una solidarietà non mendicata ma frutto di una conquista attraverso la lotta politica, non sarebbe possibile una rapida rinascita, e questo è senza dubbio vero nel bene e nel male. Come classe politica abbiamo il dovere di offrire la speranza ai nostri concittadini e per far questo è necessario che per prime siano le nostre coscienze ad illuminarsi di speranza da poter offrire e condividere con il nostro popolo. Signora Presidente, si è soliti dire che dalle crisi possano svilupparsi nuove opportunità, perché dalle crisi nascono le scelte e le decisioni. Questo vale a maggior ragione per chi riveste ruoli di responsabilità politica. Dobbiamo avere il coraggio di decidere senza inutili timori reverenziali e a volte la forza delle parole può fare molto, e noi confidiamo nella forza delle sue parole, quelle che saprà dire a testimonianza di questa visita in Sardegna avendo cura di questi aspetti che per noi sono fondamentali.
Concludo, Presidente, con un auspicio personale. Non so se ha mai avuto l'occasione di assistere a rappresentazioni dei canti e dei balli della tradizione sarda, se non ha mai avuto occasione spero che possa averla in questa tre giorni. Avrà dunque modo di ascoltare un canto fatto di echi e di lamenti lontani e di vedere un ballo in cerchio, su ballu tundu, dove le coppie di ballerini si tengono per mano, a testimonianza di una profonda unione comunitaria, dove tutti hanno lo stesso ruolo, identico ruolo, sorreggendosi a vicenda. Ma, ad un certo punto, il gruppo che balla in cerchio si apre e, in quel momento, si realizza un'ideale segno di apertura della comunità a chi ad essa si avvicina con serietà e rispetto. Ecco, signora Presidente, per il rispetto e la sensibilità che connotano la sua visita in Sardegna, forse più che in altri modi potrà cogliere i sensi dell'antica e profonda civiltà di questo popolo rimanendone, siamo certi, intimamente legata. Grazie.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.
PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. Signora Presidente della Camera dei deputati, signor Presidente del Consiglio, signori consiglieri, signori parlamentari, e a nome mio e di tutta la Giunta regionale che ringrazio la presidente Boldrini per la sua visita in Sardegna e per il suo intervento in quest'Aula. Tanti sono i motivi per cui la sua presenza è per noi preziosa, soprattutto in questo momento; ci dà l'opportunità, infatti, di affrontare alcuni temi che sono di grande attualità e interesse. Ne cito tre, ne affronterò brevemente tre: il bilanciamento dei poteri tra Consigli, Parlamenti e Organi esecutivi; il regionalismo nei confronti di tendenze del neocentralismo; la nostra specialità. Così come il Parlamento è la casa di tutti gli italiani, questo Consiglio regionale è la casa di tutti i sardi, l'Aula dove l'organo legislativo opera le sue funzioni, dove si realizza anche l'indirizzo e il controllo delle politiche dell'esecutivo; questo è il primo tema che voglio affrontare. Sappiamo bene che il rapporto tra legislativo ed esecutivo molto spesso, in Italia, e non solo in Italia, si è sviluppato in modo complesso; sappiamo bene quanto sia aperta la discussione sulla definizione dei ruoli reciproci. In questi anni in particolare si è sempre percepito, da noi e, come dicevo, non solo da noi, un continuo spostamento di poteri a favore dell'Esecutivo, e proprio davanti a ciò il ruolo dell'Aula diventa ancora più importante, se è possibile, nel processo di rafforzamento della democrazia, processo che, nel primo anno della nostra legislatura regionale, poi nell'ambito della normale dialettica tra maggioranza e opposizione, è stato un riferimento costante dell'attività di questa Assemblea. Il giorno delle mie dichiarazioni programmatiche ho auspicato, ed è un auspicio tuttora valido, che il Consiglio regionale utilizzi appieno strumenti di controllo sull'operato dell'Esecutivo, strumenti di grande importanza, e ancora in parte da sviluppare. Mi riferisco in particolare all'adozione, per esempio, di una legge sulla sistematica valutazione degli effetti delle politiche pubbliche, che devono essere giudicate sulla base della loro efficacia ed efficienza; uno strumento, questo della valutazione, essenziale, come dicevo, non solo per esercitare il doveroso controllo sull'operato dell'Esecutivo da parte del legislativo, ma anche, ed è il punto più importante, io credo, per migliorare la qualità delle politiche, attraverso una sistematica lettura di ciò che ci insegna l'esperienza delle molte azioni già concluse e spesso non adeguatamente analizzate. So che proprio da questo Consiglio, su sua diretta iniziativa, arriverà presto una riforma in tal senso, che può farci fare rapidamente un salto di qualità e portare la Sardegna all'avanguardia tra le Regioni italiane, e a diventare un esempio di trasparenza e di bilanciamento dei poteri. Di massima trasparenza e di poteri ben bilanciati, infatti, abbiamo bisogno per migliorare la qualità delle nostre istituzioni, e la qualità delle nostre istituzioni, oltre ad essere un diritto dei cittadini, è una condizione imprescindibile per lo sviluppo economico e sociale della nostra comunità, ed è fondamentale per ridare alle istituzioni la credibilità e la fiducia che, è inutile nasconderlo, troppo spesso si sono perse in questi anni. Perciò, istituzioni efficienti, trasparenti, monitoraggio ossessivo della legalità e della imparzialità, e va anche in questa direzione la nostra riforma della macchina regionale, con l'obiettivo ambizioso di fare, appunto, delle istituzioni sarde un modello di riferimento per tutti. Secondo punto: regionalismo e neocentralismo. Parlare di qualità istituzionale di questi tempi è particolarmente importante per chi oggi governa una Regione; in tempi in cui le regioni sono spesso guardate con scetticismo spetta a noi, prima di chiunque altro, dimostrare che il regionalismo ha vantaggi non teorici, ma concreti, misurabili rispetto a qualunque modello neocentralista. Spetta a noi ricordare che spesso le regioni trovano, in realtà, soluzioni a favore dei cittadini di ordine superiore rispetto a quelle che possono essere trovate dal livello centrale del Governo; questo è un punto che viene spesso dimenticato in questi momenti di tendenze neocentralistiche. Questo accade, per esempio, proprio nel caso che ho appena citato, quello della valutazione delle politiche pubbliche, nel cui ambito alcune regioni hanno fatto passi avanti molto più rapidi di quelli fatti dallo Stato centrale, o persino dall'Unione europea. Accade nell'istruzione, nelle politiche attive del lavoro, nelle politiche socio-sanitarie, nelle politiche ambientali, per citare solo alcuni esempi. E allora, in questi tempi di assetti che cambiano, di riforme istituzionali importanti la domanda è: servono ancora regioni? Servono ai cittadini? Servono allo Stato? E la risposta credo debba essere che poiché le regioni sono il luogo essenziale di sperimentazione delle politiche, che quando hanno successo possono poi essere diffuse ovunque nel territorio nazionale, la risposta ancora oggi deve essere un convinto sì, e noi, come Sardegna, ci candidiamo a sperimentare politiche che abbiano l'ambizione di diventare buone pratiche, pratiche che possono essere diffuse e copiate altrove, e che contribuiscano a dare una qualità istituzionale migliore non solo nella nostra Regione, ma in tutta la Nazione italiana. Le regioni, dunque, soprattutto quelle a statuto speciale, devono dimostrare quanto la loro autonomia sia utile, non solo per le regioni stesse, come dicevo, ma per l'intero quadro nazionale, per contribuire a ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Per noi in Sardegna, per questo Consiglio, per la Giunta, questa è una grande sfida. In un contesto nazionale che, come dicevo, guarda alle regioni in generale, e a quelle speciali in particolare con lo scetticismo che ho appena citato, in questo contesto, per affrontare proficuamente il tema della riforma dello Statuto sardo, il faro dovrà essere quello del miglior bilanciamento tra il principio di eguaglianza e la diversità sostenibile. Noi vogliamo rivendicare la nostra autonomia speciale, interpretando la specialità in un'accezione moderna e dinamica, perché crediamo di poterlo fare con convinzione. Lo Statuto speciale deve riscrivere con chiarezza un rapporto di piena reciprocità con lo Stato, che preveda un nuovo riparto delle competenze legislative e delle competenze amministrative, sulla base di un principio di sussidiarietà e di adeguatezza. Lo Statuto, il nostro Statuto deve prevedere maggiori potestà legislative in materia finanziaria e fiscale, e un trattamento finanziario più favorevole, e concentrarsi sull'affermazione di diritti speciali che concorrano a rafforzare l'idea della nostra diversità, il diritto alla continuità territoriale, il diritto alla cultura, alla nostra identità, appunto, il diritto a competere con lo Stato per individuare standard ambientali più severi. In particolare l'insularità, quale elemento permanente di un regime speciale, riguarda oggi non solo un argomento geografico, economico e economicista, ma concerne da un lato il tema dell'identità sul piano storico, ambientale, sociale, culturale e linguistico di una Regione come la nostra, e dall'altro il ruolo di sponda e di frontiera meridionale dell'Unione europea. Un ruolo, quest'ultimo, lo dico per inciso, quello di fronte alla sponda Sud del Mediterraneo, che svolgiamo con grande consapevolezza. Basti citare il fatto che la Sardegna, signora Presidente, è stata confermata come capofila del programma Enpi, ora Eni, per la cooperazione transfrontaliera del Mediterraneo, programma che riunisce ben 14 Paesi e che negli ultimi anni ha finanziato 95 progetti con 200 milioni di euro, e tutti in settori come la crescita socio-economica, il dialogo culturale, il turismo sostenibile, le sfide ambientali, lo sviluppo del capitale umano. Oggi i Paesi del Mediterraneo stanno affrontando molte sfide, che devono trovare soluzioni di cooperazione per crescere insieme, superare le difficoltà e ridurre i divari, con l'obiettivo comune di uno sviluppo che sia davvero sostenibile, e basti citare i tragici fatti di Tunisi per sottolineare l'importanza del dialogo e della cooperazione in questa situazione particolarmente delicata che si sta vivendo su entrambe le sponde del bacino. Ci sono dunque più livelli di responsabilità: quella che ci appartiene totalmente, quella che condividiamo con lo Stato e quella che riguarda lo Stato e i suoi doveri nei confronti della Sardegna, doveri e diritti sanciti dal nostro Statuto. Da parte nostra, come Giunta regionale, abbiamo il compito di riconquistare la fiducia dei cittadini, assumendoci fino in fondo la responsabilità di governare in Sardegna in uno dei momenti certamente più difficili della nostra storia recente.
La crisi ha portato ferite profonde che ogni giorno, con grande impegno, lavoriamo per sanare e per restituire a questa terra la sua opportunità di sviluppo. La Sardegna, come è stato già detto, più di altre regioni, soffre gli effetti pesanti di questa crisi, che si trova ad affrontare, come regione, in condizioni particolarmente svantaggiate. La disoccupazione, le grandi crisi industriali, un ambiente fragile da salvaguardare e livelli, come si è detto, inaccettabili di dispersione scolastica, quando ben sappiamo che l'unica via per restituire un futuro alla nostra terra e ai nostri giovani è dare l'opportunità di una buona istruzione ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze. In questa direzione vanno naturalmente i nostri sforzi, le nostre politiche che affrontiamo tutte con la consapevolezza, appunto, della nostra responsabilità. Alcune di queste responsabilità sono nostre ma, come ho detto, altre chiamano in causa lo Stato. Siamo fortemente convinti che lavorare insieme secondo il principio della leale collaborazione, sul quale principio stiamo scommettendo ogni giorno da quando siamo al governo, porti i suoi frutti. Lo abbiamo fatto su tutti i fronti e in questo anno di governo abbiamo raggiunto importanti risultati.
Ma altre vie restano ancora incerte, a cominciare dalla vertenza entrate, che è stata citata, e ricordo che i tagli da parte dello Stato al nostro bilancio arrivano con straordinaria rapidità, mentre il riconoscimento dei nostri crediti richiede anni per arrivare, quando arriva, in ritardo, limitatamente, e questa asimmetria non è più accettabile. Quindi la vertenza entrate, la necessità non più rimandabile di un riequilibrio delle servitù militari, una quota abnorme delle quali ricade sulla Sardegna e, come chi mi ha preceduto, anch'io mi auguro con la massima forza e determinazione che nessuno in questo momento stia pensando di imporci una ulteriore servitù, quella legata ai depositi delle scorie nucleari, perché su questo, nel respingere una nuova servitù, saremo tutti molto determinati. E ancora il costo dell'energia che, sia chiaro, deve essere un punto precisamente compreso dallo Stato, che a causa dell'insularità crea una situazione in cui la Sardegna è l'unica regione in cui non c'è il metano e dunque vive in una situazione nella quale un insostenibile svantaggio di costo viene aggiunto e gravato sul nostro sistema produttivo, di fronte a una competizione che invece è sempre più globale. Ancora c'è da dire che i nostri territori soffrono un progressivo disimpegno da parte dello Stato, un arretramento che sta portando alla chiusura di molti presidi periferici, dalle caserme ai servizi postali, a uffici di Ministeri. Per contro ai Comuni, alle Province e alla Regione viene chiesto di farsi carico dei costi di tribunali, di uffici di giudici di pace, della Corte dei conti, di direzioni scolastiche e così via.
Su tutto, sulle cose nelle quali riusciamo a lavorare bene sulla base di una leale collaborazione e sui problemi che invece sono ancora aperti, come quelli che ho citato, ci confrontiamo giorno per giorno con il Governo centrale e con lo Stato. Su tutto stiamo lavorando giorno per giorno, insieme a quest'Aula, con dedizione e impegno, certi che il principale esercizio di sovranità e di autonomia sia una essenziale assunzione di responsabilità, un percorso in cui facciamo la nostra parte con convinzione e dedizione e in cui però chiediamo allo Stato con forza, signora Presidente, di fare la sua.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la Presidente della Camera dei deputati.
BOLDRINI LAURA, Presidente della Camera dei deputati. Buon pomeriggio a tutte e a tutti. Saluto il Presidente del Consiglio Gianfranco Ganau, il Presidente della Giunta Francesco Pigliaru, i consiglieri regionali, gli Assessori qui presenti, saluto le autorità civili e militari, saluto anche i giovani che vedo qui presenti. Mi fa piacere che siano qui. Il tema che andrò a trattare magari non è proprio dei più facili da coniugare, ma spero che, studiando voi scienze politiche, lo troverete di vostro interesse.
Ecco, per me questa è la prima volta in Sardegna da Presidente della Camera, non è la prima volta però sull'isola. La conoscevo già in precedenza, sempre a titolo professionale, perché appunto la Sardegna era una di quelle regioni attenzionate al fenomeno migratorio e dunque in precedenza ho avuto occasione di venire spesso in questa isola. Penso che non sarà neanche l'ultima visita come Presidente della Camera perché la Sardegna è grande, qualcuno degli scrittori della terra di Sardegna la chiamava quasi un continente nel descriverla, e dunque essendo una zona estesa è difficile poter concentrare tutto in una visita, che sarà pur breve, ma tre giorni è comunque una visita che ha una sua consistenza, e faremo delle tappe che rispondono a una logica.
Perché io oggi sono qui in Sardegna? Avrei potuto scegliere un'altra regione, ma invece ho voluto venire qui perché ritengo che sia dovere delle istituzioni stare fuori del palazzo, primo, e stare là dove c'è più bisogno e in quest'isola lo Stato ci deve essere, in quest'isola ci deve essere la capacità di ascolto delle istituzioni centrali. Dunque io sono qui per rappresentare le istituzioni centrali in una posizione di ascolto, in una posizione di potermi far carico dei problemi che voi mi state evidenziando, con l'impegno di poter poi io muovermi in un'ottica di compartecipazione alla soluzione dei problemi che sto ascoltando da più parti. Quindi il primo obiettivo è quello di testimoniare vicinanza. Incontrerò le parti sociali, incontrerò le delegazioni di lavoratrici e lavoratori, perché appunto ritengo che non si possa stare in un territorio come questo ignorando il problema più grande, che è il problema del lavoro, la madre di tutte le emergenze.
Poi, come ho detto, c'è stata una scelta che abbiamo fatto nell'impostare questa visita, e devo ringraziare tutte le autorità per la sinergia che hanno messo in questa visita perché c'è stata un'ottima collaborazione tra tutti, inclusi anche i parlamentari, i deputati che mi hanno chiesto e mi hanno sostenuta in questa mia visita. Il filo che vogliamo seguire - è stato già detto - è quello di portare omaggio e riconoscimento a delle figure femminili, figure autorevoli, ma magari non troppo note come dovrebbero a livello nazionale, tre figure uniche, direi, nei rispettivi settori di riferimento. Ed è chiaro che quindi andrò ad Oristano a ricordare Eleonora d'Arborea, l'autrice della Carta de Logu, ma non posso non andare a Nuoro che è la terra, la città, della scrittrice unico premio Nobel per la letteratura, Grazia Deledda, così come, nonostante logisticamente non sia facilissimo, ho chiesto esplicitamente di andare a Ulassai perché ho conosciuto, sia pur non direttamente, Maria Lai attraverso un'opera bellissima che noi abbiamo a Montecitorio nell'auletta dei Gruppi. L'anno scorso abbiamo fatto anche un'iniziativa ispirata alla sua filosofia, alla sua opera e mi è stato fatto dono di un bellissimo catalogo e li ho conosciuto questa artista straordinaria, per intuizione, per visione per, anche, capacità di non fermarsi davanti agli ostacoli, per osare. Ci vuole coraggio in tutte le attività, sicuramente nell'arte, ma anche in politica.
Oggi qui noi dobbiamo farci delle domande sul ruolo delle Assemblee elette, dei Parlamenti e dobbiamo anche farci delle domande su come noi riusciamo a rispondere ai bisogni delle persone. Questa domanda ci porta anche a dover ammettere alcune cose perché credo che il deficit di credibilità che oggi hanno le istituzioni e la politica, quel deficit si basa su qualcosa di reale che noi non possiamo più nascondere. Allora dico che purtroppo non sempre le istituzioni riescono a rispondere secondo le aspettative delle persone, non è questione di disponibilità o di sensibilità, ma spesso questo si deve a meccanismi istituzionali che risultano inceppati, meccanismi che risultano inefficaci e non in linea con i tempi. Allora ritengo che si possa dire che esistono problemi strutturali che riguardano soprattutto le Assemblee legislative come sono il Parlamento e i Consigli regionali.
La crescita del potere degli Esecutivi - è stato già menzionato qui - a scapito delle Assemblee rappresentative e dei Parlamenti non è un fenomeno nuovo e non è un fenomeno solo italiano, perché è da tempo che esiste questa situazione, che poi c'è anche una sana dialettica tra poteri dello Stato per ridefinire i propri rispettivi ruoli. Questo c'è sempre stato e continuerà ad esserci. Quindi, dobbiamo capire anche che l'emergenza derivante dalla crisi ha contribuito anche a spingere e a concentrare il momento decisionale in capo agli Esecutivi e questo su diversi livello di governo, l'Unione europea, lo Stato e le Regioni. C'è stata una spinta verso questa tendenza. La necessità di intervenire rapidamente, per carità, più che motivata, è andata però spesso a scapito della possibilità di adottare interventi sufficientemente partecipati e anche provvisti di un adeguato sostegno da parte dei cittadini. Lo dimostrano le politiche adottate negli anni passati orientate quasi esclusivamente a criteri di austerità finanziaria, con una limitata, a mio avviso, eccessivamente limitata considerazione verso le conseguenze sul piano sociale.
Guardate, ve lo dico avendo come retropensiero quello che è accaduto in Grecia, Paese che conosco bene in cui ho lavorato. Quello che è stato fatto in quel Paese, a mio avviso, è qualcosa che difficilmente può essere spiegato alle persone: la riduzione della capacità dello Stato di poter erogare i servizi principali; la riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici più del 30 per cento; l'aumento della mortalità infantile. Vedete, il mio primo viaggio da Presidente della Camera all'estero l'ho voluto fare in Grecia e, Presidente, sa da dove in Grecia l'ho iniziato questo viaggio, oltre agli incontri istituzionale che sono per me prioritari? Dagli orfanotrofi. L'aumento dell'abbandono dei bambini in Grecia è stato del 330 per cento. L'ho fatto, questo giro, perché dovevo capire, dopo gli incontri istituzionali, che cosa significava l'applicazione delle misure dell'austerità. Allora andiamo a vedere che cosa succede negli ospedali, andiamo a vedere che succede nei centri medici. La popolazione greca stenta ad avere accesso al servizio sanitario e allora si cura da "medici del mondo", da "medici senza frontiere" che erano lì per curare i migranti, i rifugiati. Ma costa andare in ospedale, costa comprare le medicine e in pochi se lo possono permettere. Allora l'Europa deve ricominciare da quei centri medici, deve ricominciare da quegli orfanotrofi. Così come l'Italia deve ricominciare delle regioni più in difficoltà, motivo per cui io sono qua.
Ecco, le Assemblee legislative - ritornando al tema, ma mi scuserete se ogni tanto divago - sono state chiamate spesso a partecipare a questo iter in modo passivo e questo a vario livello di politiche. Ma l'esperienza dimostra che se rimangono prive di una sufficiente base di legittimazione democratica, le decisioni adottate rischiano di rimanere inefficaci perché sono rigettate dagli stessi cittadini a cui sono rivolte. Quindi, la funzione primaria delle Assemblee legislative dovrebbe essere quella di assicurare la più ampia partecipazione alle decisioni riguardanti le politiche pubbliche. A questo proposito, Presidente, è mia intenzione valorizzare il contributo che può venire dalle istituzioni locali ai lavori del Parlamento. Già oggi noi lo vediamo, le Commissioni parlamentari procedono alle audizioni dei rappresentanti degli enti territoriali, ma noi dobbiamo intensificare tutte le opportunità per promuovere l'utilizzo delle proposte che possono arrivare dai territori per migliorare i processi decisionali a livello centrale. Questa integrazione ritengo sia assolutamente necessaria e che vada a beneficio di tutti, delle istituzioni centrali e di quelle locali. Si tratta quindi di coniugare due esigenze senza contrapporle fra loro. Una è quella di una capacità decisionale tempestiva, senza la quale le Assemblee risultano spiazzate dai problemi, quindi inutili nella vulgata (parlano, non decidono, sprecano tempo, ma che fanno, rallentano), quindi si deve discutere, ma poi si deve decidere. Solo questo darà alle Assemblee elettive la centralità che meritano. Noi dobbiamo discutere, ma noi dobbiamo anche arrivare a decidere. Quindi questa penso che sia un'esigenza che dobbiamo sempre tenere a mente e l'altra è quella di un processo legislativo consapevole che sia frutto di un'ampia discussione e di una discussione partecipata.
Ecco, intorno a queste due esigenze, io insieme alla Giunta per il Regolamento della Camera abbiamo lavorato per una riforma del Regolamento. Guardate, voi sapete bene, ma lo devo ricordare anche a chi non è dentro ai lavori legislativi, il Regolamento non è un tecnicismo, il Regolamento è qualcosa di estremamente importante. Allora fin dall'inizio della legislatura ci siamo cimentati in questo esercizio e le direttrici su cui ci siamo mossi sono essenzialmente due: dare al Governo tempi certi per i propri provvedimenti, per i propri disegni di legge, questo perché dando tempi certi per i disegni di legge si dovrebbe, di fatto, poi ridurre il ricorso alla decretazione d'urgenza; al tempo stesso però dobbiamo dare alle opposizioni la possibilità di portare in Aula i provvedimenti così come li hanno voluti e concepiti. Abbiamo lavorato sull'empowermentdelle Commissioni permanenti, più preponderanza, più importanza ai lavori delle Commissioni, più centralità a questo lavoro. Abbiamo voluto dare un percorso certo alle proposte di iniziativa popolare perché oggi sapete bene ci sono le proposte di iniziativa popolare, decine di migliaia di cittadini che si mobilitano e poi cosa succede? Esattamente niente, non succede niente, quelle proposte sono frutto di impegno, di tempo, di mobilitazione. rimangono nei cassetti delle Commissioni. Nella nostra riforma c'è invece un percorso certo per quelle proposte perché poi non ci dobbiamo lamentare che i cittadini si disamorino se noi quelle proposte le lasciamo lì nei cassetti delle Commissioni. Quindi questo impianto che prevede anche tempi più serrati, quindi più garantiti per il dibattito in Assemblea, tutto questo impianto è stato studiato per dare centralità ai lavori della Camera. Un progetto che ritengo essere molto equilibrato ma che purtroppo non incontra ancora una sufficiente motivazione da parte dei Gruppi perché ne dovrebbero chiedere la calendarizzazione e dunque il lavoro è pronto da luglio, io mi auguro che quanto prima si possa arrivare a portarlo in Aula questo progetto di riforma del Regolamento. Un altro contributo importante alla valorizzazione del ruolo del Parlamento verrà anche dalla fine del bicameralismo perfetto perché vedete la differenziazione dei ruoli delle due Camere penso che sia un'esigenza da tutti avvertita. Poi ognuno la vede e io non entrerò certo nel merito quale sia il modo migliore per arrivarci, però ritengo che superare il bicameralismo voglia dire rafforzare il ruolo del Parlamento.
Quindi nessuno tra le forze politiche anche quando abbiamo discusso in Aula il provvedimento ha proposto di lasciare le cose come stanno, nessuno. Quindi le soluzioni sono state varie ma tutte volte a indicare per il Senato della Repubblica un ruolo diverso da quello attuale, quindi un ruolo che fosse peraltro rappresentativo delle realtà regionali. Per dare legittimità alle decisioni di interesse generale sono convinta che non basti il Parlamento nazionale soprattutto in un Paese come l'Italia che è costituzionalmente plurale quindi le ragioni nel nostro stare insieme devono essere ogni giorno queste ragioni ritrovate attraverso un confronto permanente. E con chi questo confronto deve essere permanente? Deve essere con tutte le componenti politiche ma anche economiche ed anche territoriali. Quindi non è possibile nel nostro Paese governare democraticamente tutto dal centro, questo non è possibile, non è concepibile. Quindi il polmone delle autonomie territoriali di cui i Consigli regionali sono un indispensabile presidio è quanto mai necessario per far respirare la nostra democrazia. Quindi tutto questo esalta le ragioni della specialità che qui sono state riportate da tutti gli interventi, le ragioni della specialità delle regioni come la Sardegna. Questo è un valore costituzionale, è un'esigenza imprescindibile quindi anche per il governo democratico della cosa pubblica, quindi un valore che ritengo non verrà in alcun modo messo in discussione. Ho sentito oggi anche tra i giornalisti questa preoccupazione ma per quanto abbiamo potuto vedere anche nella discussione sulle riforme, questo principio non è assolutamente in discussione. Nel mio discorso d'insediamento dissi una cosa che magari a molti sarà sembrata un po' ingenua, ma dissi che i cittadini debbono tornare ad innamorarsi delle istituzioni. Ecco, può sembrare un proposito velleitario, ma io ritengo che invece sia qualcosa di assolutamente necessario e anche un obiettivo indispensabile per salvaguardare proprio la nostra libertà. Ma com'è possibile far tornare a innamorare i cittadini delle istituzioni in un momento in cui la fiducia dei cittadini è così bassa? Io penso che le istituzioni debbano rinnovarsi, è uno sforzo che dobbiamo fare tutti, rimettiamoci in discussione, rinnoviamoci, rendiamoci trasparenti, bandiamo la corruzione, dobbiamo bandire la corruzione, far pulizia e dobbiamo impegnarci in una politica di sobrietà, sobrietà vuol dire contenimento dei costi della politica. Io posso dire che per quanto riguarda questa legislatura alla Camera dei deputati noi su questo punto penso che fin dall'inizio abbiamo mandato un messaggio chiaro, io stessa ho deciso senza che nessuno me lo chiedesse di tagliarmi il mio stipendio, non l'indennità, il mio stipendio del 30 per cento, chiesi poi ai membri dell'Ufficio di Presidenza di considerare l'ipotesi appunto di ridursi l'indennità di funzione, cosa che hanno fatto, abbiamo ridotto il numero delle segreterie particolari e poi abbiamo fatto qualcosa che nessuno mai aveva fatto, cioè abbiamo avviato una ristrutturazione, in qualche modo chiamiamola così, una riforma delle retribuzioni dei dipendenti di Camera e Senato. Vedete, nessuno aveva mai fatto questo e nel fare questo noi abbiamo tagliato le retribuzioni anche attuali cioè il maturato, il maturato, abbiamo messo dei tetti, potevamo non farlo, con l'autodichia potevamo non farlo ma abbiamo voluto farlo e questa operazione tra Camera e Senato perché l'abbiamo fatta congiuntamente, nel giro di quattro anni farà risparmiare 97 milioni di euro alle casse dello Stato, 97 milioni di euro non sono pochi. Al tempo stesso abbiamo tagliato la spesa di 138 milioni di euro in due anni e andremo presto a effettuare un ulteriore taglio per il bilancio del 2015. Quindi rinnovarsi vuol dire anche rendersi trasparenti, vuol dire desecretare cioè rendere accessibili i documenti delle Commissioni d'inchiesta. Anche qui questa azione di desecretazione non era stata fatta mai in precedenza, con l'Ufficio di Presidenza della Camera abbiamo deciso di avviare un'azione di desecretazione sia della Commissione Ilaria Alpi sia della Commissione sulle navi dei veleni sia dell'armadio della vergogna, il famoso armadio della vergogna e abbiamo desecretato migliaia di pagine che prima non erano disponibili, oggi sono accessibili dai cittadini. E se noi vogliamo coinvolgere i cittadini, le persone, dobbiamo anche renderci accessibili sul web perché il web non è solo un mezzo per, come dire, discutere che già sarebbe comunque importante, ma è un modo, è uno strumento di partecipazione democratica e allora abbiamo voluto fare una piccola rivoluzione, per la prima volta la Camera dei deputati è sui social media, c'è la possibilità di discutere con i cittadini attraverso i social media e abbiamo voluto istituire una Commissione per il web fatta da deputati e da esperti al fine di elaborare una carta dei diritti e dei doveri per Internet. Perché vedete Internet è troppo importante perché il Parlamento non se ne occupi, è troppo importante, Internet deve rimanere uno spazio di libertà e non può essere il luogo dove il più forte impone le regole, il legislatore ha un dovere su questa sfera digitale che fino ad ora nel nostro Paese non ha avuto abbastanza importanza o comunque non ha avuto l'importanza che merita. Questo per dire che le istituzioni vanno profondamente rinnovate ma non demolite, rinnovate sì, ma non demolite perché noi non abbiamo bisogno dell'anno zero, noi non abbiamo bisogno della distruzione ma noi dobbiamo anche avere la capacità di rivendicarlo con orgoglio il cambiamento, non giocare di rimessa. Fatto il cambiamento che è necessario fare noi dobbiamo far capire quanto sono importanti le istituzioni per l'assetto democratico, dobbiamo rilanciare contro chi tenta di delegittimare le istituzioni facendo capire l'importanza che le istituzioni hanno in una democrazia. E allora tra poche settimane celebreremo il settantesimo anniversario della Liberazione, quindi ricorderemo il sacrificio di quanti persero la vita per dare agli Italiani la libertà di pensiero, per dare agli Italiani il diritto al voto, per dare agli italiani una stampa libera, una Costituzione democratica, per fare di questo Paese un posto più giusto. Noi appunto fra pochi giorni celebreremo questo. Ecco, se esiste il Parlamento, se esistono le assemblee elettive nelle Regioni e nei Comuni noi lo dobbiamo a tutte quelle ragazze e tutti quei ragazzi giovani che decisero di lasciare da parte i loro timori, ma anche le loro aspettative, i loro sogni e decisero di combattere una lotta che c'ha portato alla libertà, ma anche a carissimo prezzo. Quindi l'Italia si liberò, ci fu la liberazione, la lotta di tutte le forze democratiche consentì questa liberazione dal nazifascismo, e questo oggi è qualcosa che noi non possiamo sottovalutare, cioè che il Parlamento è figlio di quel coraggio, il Parlamento è figlio di quel sacrificio. Per questo, rinnovandolo, il Parlamento, deve tornare ad essere il cuore pulsante della vita democratica del nostro Paese e noi a quell'impegno dobbiamo tutti restare fedeli. Vi ringrazio.
(Applausi)
PRESIDENTE. La seduta è tolta. Ricordo che il Consiglio è convocato martedì alle ore 10 e 30.
La seduta è tolta alle ore 17 e 32.