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Resoconto della seduta n. 270 del 04/08/1993

CCLXX SEDUTA

(ANTIMERIDIANA)

MERCOLEDI' 4 AGOSTO 1993

Presidenza del Presidente FLORIS

indi

della Vicepresidente SERRI

indi

del Presidente FLORIS

INDICE

Comunicazioni del Presidente

Disegno di legge: "Disposizioni integrative e modificative della legge regionale 20 aprile 1993, n. 17 - Legge finanziaria 1993" (404). (Discussione generale):

SELIS, relatore di maggioranza

COGODI, relatore di minoranza

LADU LEONARDO

USAI SANDRO

PULIGHEDDU

MERELLA

BARRANU, Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio

Per fatto personale:

LADU GIORGIO

PRESIDENTE

PAU

Proposte di legge Salis - Puligheddu - Ladu Giorgio - Melis - Meloni - Murgia - Ortu - Planetta: "Celebrazioni del bicentenario dei moti antifeudali in Sardegna e istituzione della festa nazionale del popolo sardo 'Sa die' il 28 aprile" (215) e Deiana - Salis - Casu - Cocco - Atzeni - Degortes - Giagu - Mulas Maria Giovanni - Ortu - Serra: "Istituzione della giornata del popolo sardo 'Sa die de sa Sardinia'". (392) (Discussione del testo unificato e approvazione col titolo "Istituzione della giornata del popolo sardo 'Sa die de sa Sardinia'"):

SALIS

COCCO

ORTU

PILI

(Votazione per appello nominale)

COGODI

(Risultato della votazione)

La seduta è aperta alle ore 10.

PORCU, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 30 luglio 1993, che è approvato.

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. Comunico che, in base al disposto di cui alla mozione numero 117, Scano e più, approvata dal Consiglio il 5 maggio scorso, recante "Necessità di trasparenza circa l'appartenenza ad associazioni che svolgono attività di carattere politico, culturale e assistenziale o di promozione economica e l'eventuale affiliazione alla massoneria", sono sinora pervenute a questa Presidenza le dichiarazioni scritte di 77 consiglieri. Le dichiarazioni sono a disposizione dei consiglieri che volessero prenderne visione, presso gli Uffici del Consiglio". Non hanno dato risposta i consiglieri Ladu Giorgio, Merella, Pau.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Salis - Puligheddu - Ladu Giorgio - Melis - Meloni - Murgia - Ortu - Planetta: "Celebrazioni del bicentenario dei moti antifeudali in Sardegna e istituzione della festa nazionale del popolo sardo 'Sa die' il 28 aprile" (215) e Deiana - Salis - Casu - Cocco - Atzeni - Degortes - Giagu - Mulas Maria Giovanni - Ortu - Serra: "Istituzione della giornata del popolo sardo 'Sa die de sa Sardinia'" (392)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge numero 215 e 392. Dichiaro aperta la discussione generale.

Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Deiana.

DEIANA (D.C.), relatore. Mi rimetto alla relazione scritta.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Salis. Ne ha facoltà.

SALIS (Rinascita e Sardismo). Signor Presidente, colleghi consiglieri, è significativo il fatto che, subito dopo l'approvazione della legge sulla lingua e la cultura sarda, ci si appresti a prendere in esame e spero anche ad approvare un provvedimento che, celebrando un grande momento della nostra storia, istituisce la giornata del popolo sardo "Sa die de sa Sardigna" individuandola nel 28 aprile, giorno in cui nel 1794 furono cacciati i piemontesi dall'Isola o, per dirla coi documenti del tempo, il giorno della emozione. Nessun discorso sulla identità può mai essere fatto senza una precisa consapevolezza storica di quello che siamo, senza i precisi riferimenti temporali che hanno segnato il cammino non facile del nostro essere popolo. Quello che si vuole ricordare oggi è un momento che vide i sardi protagonisti e causò, secondo molti e autorevoli storici, il più esteso e profondo sconvolgimento sociale e politico che abbia mai scosso l'Isola. A questo proposito ci sono alcuni studiosi che attribuiscono a una sorta di sindrome sardista l'esaltazione del 28 aprile, tesi quest'ultima contraddetta dal fatto che proprio uno dei massimi esponenti del sardismo, Camillo Bellieni, non mostrò un grande apprezzamento per il magistrato della reale udienza Giovanni Maria Angioy, indiscusso protagonista dei moti definiti per questo angioiani. Non solo, ma anche uno storico della Sardegna, Raimondo Carta Raspi, mentre esalta l'epopea arborense, si mantiene molto freddo nei confronti del triennio rivoluzionario sardo, che fu invece adeguatamente rivalutato dai combattenti della parte settentrionale dell'Isola nel 1920 e oggi rappresenta una sorta di riferimento ideale del sardismo moderno. L'attento esame dei documenti dell'epoca effettuato da illustri studiosi della materia fa dell'insurrezione del 28 aprile del 1794 una data di fondamentale importanza per il popolo sardo che per la prima volta reagisce massicciamente all'arroganza del potere dominante, in un momento particolarissimo, un potere rappresentato dai piemontesi, così che quel giorno diventò anche un momento fondamentale del triennio delle rivolte urbane e rurali dal 1793 al 1796, e tutto questo non era certo insensibile ai fermenti rivoluzionari che arrivavano dalla Francia. Si ricordino a questo proposito i moti di Alghero del 1793 e quelli successivi di Oristano, di Iglesias, quelli di Bosa, fino alle lotte antifeudali del 1795 che sfociarono nell'assedio di Sassari, fino alla marcia su Cagliari dello stesso Angioy nel 1796.

Quali furono le cause di questa insurrezione, di questa giornata fatidica e così importante? Le cause remote dell'insurrezione del 28 aprile devono da una parte forse essere ricercate in motivazioni di carattere prettamente economico, dovute al dissesto creato da quella che fu detta l'inflazione dei biglietti di credito, che i Savoia avevano introdotto in Sardegna fin dal 1780. A questa messa in commercio dei biglietti non corrispondeva più un uguale volume di moneta metallica e a questa circolazione esorbitante di biglietti erano legate anche speculazioni presenti nell'incetta di grano e di altri generi alimentari stimolate dal rigido sistema protezionistico che era fondato sulle famose sacche, cioè una sorta di diritti sulle esportazioni che costituivano uno dei cespiti decisivi dell'erario.

Un'altra fondamentale causa dei moti del 28 aprile, oltre a quella di carattere economico, fu l'eccesiva piemontizzazione degli impieghi in Sardegna condotta inizialmente dal Ministro Giovanni Battista Lorenzo Bogino. Che cosa accadeva? Accadeva che i giovani laureati delle università di Sassari e Cagliari si vedevano puntualmente bloccato l'accesso ai ranghi dell'amministrazione statale dalla occupazione delle cariche pubbliche anche minori, da parte dei forestieri piemontesi. Dai documenti dell'epoca risulta inoltre che i burocratici incompetenti che venivano spediti nell'isola non disdegnassero affatto di rivolgersi ai sardi con epiteti spregiativi e offensivi come quello di "molentes", "pezzenti" e così via. In una relazione del 1794, di autore anonimo, si legge: "Quanti esteri europei a motivo del commercio abitano o trafficano in Sardegna hanno sempre conosciuto o confessato il gravissimo torto della dominante nazione piemontese e l'estrema miseria della sarda nazione. Ricca questa dei più squisiti e abbondanti prodotti e favorita dalla natura, invece che essere l'oggetto della altrui invidia lo era della compassione dei popoli commercianti e il continuo bersaglio delle satire dei piemontesi. Indarno sperava la povera isola un incoraggiamento del Governo, suo dichiarato nemico, intento solo a accumulare tesori e a trascurare non solamente i di lei vantaggi economici ma altresì l'amministrazione stessa della giustizia che in nessuna parte d'Europa può essere più disordinata". Mi domando, colleghi, se questo anonimo autore, potendo rivivere ai tempi nostri, scriverebbe qualcosa di diverso. Non credo proprio! Di fatto questo documento così particolare, così prezioso dell'epoca, sottolinea quale fosse lo stato di profondo antagonismo esistente tra i piemontesi e i sardi. C'è chi, come lo storico Federico Francioni, parla di lacerazioni a sfondo etnico nel senso meno enfatico del termine, lacerazioni che già si erano verificate con i dominatori spagnoli, coi quali però vi erano affinità geostoriche e culturali nonché una comune mediterraneità. In questa non facile situazione, grande rilevanza assumono le famose cinque domande rivolte dagli Stamenti, l'antico parlamento sardo, gli ordini privilegiati, al re Vittorio Amedeo III, nelle quali era compresa anche la richiesta di esclusività delle cariche pubbliche ai nazionali sardi. Ma quello che più importa a questo proposito è la rilevanza politica delle cinque domande che in sintesi si contrapponevano all'assolutismo piemontese chiedendo un rapporto completamente diverso tra gli Stati di terraferma e l'Isola. Siamo di fronte alla prima vera richiesta di autonomia del popolo sardo, secondo alcuni a una sorta di anticipazione ante literam del federalismo, concetti poi, ribaditi nel cosiddetto Ragionamento giustificativo in quella idea di nazione sarda, così è scritto, intesa proprio come diversità di costumi, consuetudini, leggi, istituzioni e clima rispetto a quella dominante piemontese. Le tematiche del Ragionamento furono riprese dal cosiddetto Manifesto giustificativo della emozione popolare, che l'ironia della storia attribuisce a tale Antonio Cabras, nel quale si afferma che la nazione sarda gemeva da lungo tempo sotto un vero dispotismo introdotto dai piemontesi. Pare comunque che nel documento venisse alla fine riconfermata da Cabras una sorta di fedeltà, di lealismo verso la dinastia piemontese. Un altro Cabras, Vincenzo, titolare di un famoso studio legale e padre del suddetto Antonio creò senza volerlo l'occasione della rivolta; il suo arresto avvenuto a Cagliari all'una del 28 aprile 1794, insieme a quello dell'avvocato Bernardo Pintor, ad opera dei piemontesi, innesca e accelera la reazione popolare. Una emozione violenta risveglia all'improvviso una forte coscienza comune. Alla emozione partecipano numerosi membri dei Gremi, in particolare conciatori e calzolai, tra cui spicca la figura di Raimondo Sorgia, una sorta di capopopolo, nonché una folla incontenibile di giovani e donne in armi. La rivolta ha esito positivo, la maggior parte degli impiegati forestieri vengono imbarcati immediatamente, altri vengono accompagnati nei conventi della città per essere custoditi. Vorrei concludere con una annotazione particolare, che è anche un segno di dignità, di quelli che una volta tanto sono vincitori e non vinti, e per questo forse la dignità assume valore maggiore. In un documento del tempo si esaltano la moderazione e il contegno praticato dopo la vittoria del 28 aprile, e questo non doveva essere facile in una situazione di tumulto, eppure ci furono questa moderazione e questo contegno sintetizzati in queste frasi di un anonimo: "Da una nazione cotanto vilipesa e oltraggiata senza commettere il minimo disordine, il minimo insulto". Ecco, mi sembra che questo breve excursus storico, colleghi, possa testimoniare la rilevanza di questi avvenimenti, e quanto siano sconosciuti a noi stessi e quanto sia anche appassionante riscoprirli e quanto importante sia farli conoscere ai nostri figli, ai ragazzi, a quelli che purtroppo, come molti di noi, non hanno avuto l'opportunità nelle scuole dell'obbligo di studiare la nostra storia. Forse il vero significato di questa proposta di legge, che sembra una leggina, ma a mio avviso non lo è, è proprio questo di riprendere il filo della memoria, di darci l'opportunità, in maniera concreta, attraverso la istituzione di questa giornata del popolo sardo, "Sa die", di ricordare che anche noi abbiamo una storia, che non è una storia nella storia ma è una storia particolare, una storia senza la quale non potremmo essere sardi, popolo, con la nostra identità e, per citare di nuovo le fonti, con la nostra emozione quotidiana.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO (P.D.S.). Signor Presidente, colleghi, contrariamente alle apparenze (già lo sottolineava il collega Salis) questa non è una semplice leggina. Noi facciamo una distinzione del tutto inconsistente tra leggi (consideriamo tali quelle che hanno una grossa provvista finanziaria) e leggine, e tale sarebbe questa. In realtà essa ha per la nostra autonomia e per la vita del popolo sardo un'importanza strategica per le finalità che vuole raggiungere.

Innanzitutto aiuta a liberarci da una serie di luoghi comuni: a cominciare da una visione d'isolamento e separatezza della capitale della Sardegna rispetto alla complessiva storia dell'Isola. I moti del 1794 e il movimento angioiano che, in qualche modo ne scaturì, e che vide la partecipazione di Cagliari e Sassari con un loro originale contributo, ci dicono che nei momenti salienti della storia sarda la vita delle città si fonde totalmente con la storia complessiva della società sarda. In questo caso furono moti originali, come originali furono i movimenti che precedettero il 1789. L'89 della grande rivoluzione francese venne preceduto in Sardegna da tutta una serie di rivolte che daranno caratteri peculiari a tutto il movimento rivoluzionario sardo.

Altra caratteristica, sulla quale riflettere, e che dà grande significato alla giornata del 28 aprile 1794, è non solo la fusione tra città e campagna, ma anche quella tra intellettuali e popolo. Qualche nome lo ricordava il collega Salis. A mo' d'esempio cito la partecipazione di professionisti come il Pintor e di popolani come il Lecis. La partecipazione d'intellettuali e popolo contribuì a dare completezza e maturità al movimento. Non fu una delle tante jacquerie meridionali. Anche di qui il rispetto che si ebbe per la vita fisica dei piemontesi cacciati.

Questa legge celebrativa del 28 aprile 1794 assume particolare significato perché, non meno della legge sulla cultura che abbiamo approvato ieri, dovrebbe segnare uno spartiacque nella storia e nel modo in cui abbiamo sinora vissuto l'autonomia.

Apro una parentesi. Io chiederei all'Ufficio di Presidenza una grande cortesia. L'Ufficio di Presidenza si è preoccupato di fornirci una serie di strumenti elettronici per la nostra attività. Io lo inviterei a dotarci anche di un altro mezzo che richiede ben più modica spesa: fornire (parlo per me) quei tappini di cera che vendono in farmacia, onde consentire che tolti gli occhiali e messi i tappi, quindi isolatici dall'ambiente, ciascuno di noi possa proseguire la propria riflessione senza il brusio permanente che impedisce lo svolgimento degli interventi. Chiedo scusa e chiudo la parentesi.

Questa giornata dovrebbe segnare, a mio avviso uno spartiacque perché assume un significato importante, non meno importante della legge che abbiamo approvato ieri, cioè il passaggio da un certo modello di gestione dell'autonomia ad un altro modello. Dal modello della sciatteria al modello del rigore; il dovere del rigore che in qualche modo anche la legge di ieri postula.

I sardi, i cagliaritani cacciarono il 28 aprile del 1794 i piemontesi; oggi dovremmo avere una forza maggiore: quella necessaria a cacciare il piemontese che è in noi. E preciso, perché non vorrei mancare di riguardo ai piemontesi: il termine "piemontese" qui viene usato come sinonimo di cortigiano. Cacciare, quindi, la dimensione di vita cortigiana che è stata introdotta nella vita delle istituzioni autonomistiche; eliminare la separatezza tra i modelli di gestione dell'autonomia e le esigenze profonde del popolo sardo; superare la gestione dell'autonomia che non è stata in sintonia con i sentimenti di fondo del popolo sardo, e che spesso ne ha corrotto la linfa vitale.

Nella proposta sulla riforma dello Statuto (ormai quattro anni fa) presentata dal Gruppo della Democrazia Cristiana, c'era una parte alla quale io guardai con entusiasmo e che per qualche verso mi colpì: faceva riferimento ai sentimenti etici del popolo sardo.

Io mi chiedo (lo chiedo in particolare agli amici della Democrazia Cristiana che nella gestione delle istituzioni autonomistiche hanno avuto un ruolo determinante, anche se non esclusivo) se noi abbiamo gestito l'istituto autonomistico secondo i sentimenti e l'eticità profonda del popolo sardo. E dico "noi", non mi rivolgo quindi solo agli amici della Democrazia Cristiana. Purtroppo io do una risposta negativa. Ecco perché considero questa una legge spartiacque. Essa ci deve stimolare ad amministrare l'istituto autonomistico in maniera consona e rispondente ai sentimenti di eticità e di parsimonia del popolo sardo.

Cacciare il cortigiano che è in noi: questa è un'operazione estremamente più difficile di quella del 28 aprile 1794. E' un'operazione alla quale già da ieri, in qualche modo, ci siamo accinti; a cominciare dalle cosiddette "spese elefantiache" della legge sulla cultura di cui ha parlato la stampa. Mi chiedo: se una tale legge fosse stata approvata venti anni fa, quanti miliardi (al livello dei prezzi di oggi) sarebbero stati destinati? Quanto sarebbe stato speso, ed a pioggia, per un'operazione di corrompimento complessivo? Ieri è stata varata una legge, pur essa spartiacque, perché si passa dalla mera discrezionalità e dall'arbitrio all'introduzione di criteri d'imparzialità; il passaggio da un modello patrimonialistico dell'autonomia, della nostra quota di Stato, a un potenziale sistema di regole conformi ai principi dello Stato di diritto. E' un modo per vivere in positivo la rivoluzione del tempo presente; a questo noi, come autonomisti, siamo chiamati; è questo il contributo che noi dobbiamo dare. A questo mira anche la legge istitutiva della "giornata ufficiale celebrativa del popolo sardo", che ci accingiamo a votare.

E' prevista una spesa di 200 milioni; quanto sarebbe stato destinato in altri momenti, secondo un'altra concezione? Miliardi e miliardi! Si è detto: se questa giornata non mobilita il volontariato, se non riesce ad attivare i sentimenti di autonomia, che sono certo un fatto di razionalità, ma sono anche un fatto (come dice un mio fraterno amico) viscerale, cioè rispondenti ad un sentimento profondo, collegati a quelle radici alle quali faceva ieri riferimento l'assessore Collu, se la legge non ha questa capacità a ben poco serve: sarebbe destinata a non produrre effetti.

Questa legge (e chiudo, ringraziando i colleghi che cortesemente hanno seguito il mio intervento) ci impone infine un obbligo: l'obbligo della vigilanza perché muti il modello di gestione complessiva del nostro istituto autonomistico.

Vigilanza, anche, perché la legge sulla cultura e la lingua sarda, che abbiamo approvato ieri, non venga applicata in modo distorto rispetto alle sue finalità istitutive.

La legge che ci accingiamo ad approvare oggi ci impone rispetto all'esercizio complessivo dell'autonomia, l'obbligo della vigilanza. Ciò affinché la legge di ieri e questa siano lo strumento per una rinascita, che è innanzitutto rinascita etica del popolo sardo.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Ortu. Ne ha facoltà.

ORTU (P.S.d'Az.). Onorevole Presidente, qualche parola sulla legge che andiamo a votare. La storia dei popoli - ce lo insegna e ce lo ripete spesso Francesco Masala - non sempre è quella vera, specie per i popoli deboli, che hanno avuto vicissitudini certamente non gratificanti nel corso del tempo. C'è una storia che non si scrive, c'è una storia che non si insegna, c'è una storia che vive nell'oblio ed è la storia dei vinti. Perché la storia è scritta sempre da coloro che hanno vinto le battaglie, che hanno vinto con la loro egemonia, per cui abbiamo i popoli con storia, i vincitori, e popoli senza storia, i vinti. Eppure una storia, minore quanto si vuole, ma densa di eventi, di idee, di lotte, di passione l'hanno anche i popoli vinti. Nelle nostre scuole, in Sardegna, si è parlato sempre e si è insegnata la storia degli altri, dei dominatori, la storia dei vincitori, mai la storia del nostro popolo. Non insegnare la storia significa anche togliere a un popolo ogni volontà di riscatto. Un popolo vinto non ha storia, non ha cultura, non ha lingua, direi quasi non ha anima. Questo è quanto si vuole.

Ieri in Consiglio regionale, concludendo i tre giorni di dibattito elevato, così come da molto, da troppo tempo non avveniva in quest'Aula, si è approvata una legge che va contro tendenza. Altro che cultura di regime; questa è contro-coltura, è la cultura dei vinti, di coloro che sono stati oggetto di studio, di studio attento quanto si vuole, ma oggetto di studi antropologici. Attenti e illustri studiosi sono venuti in Sardegna, hanno misurato i crani dei nostri padri per concludere che il popolo sardo, in fin dei conti, era un popolo inferiore, di una razza inferiore, un popolo dei criminali. Ma veniamo agli eventi che hanno consigliato la proposta di legge che noi oggi discutiamo. In uno dei soliti baratti, in uno dei soliti scambi, dei soliti mercimoni che noi abbiamo appreso dalla storia, nel 1720, dopo il trattato di Londra, la Sardegna venne assegnata alla casa Savoia in cambio della Sicilia; scambio non molto gradito, certamente, dalla casa Savoia, che vedeva nella Sicilia una terra che poteva dare più profitti alla cassa della casa Savoia. C'era però una condizione nel trattato di Londra: la conservazione della vecchia autonomia che dalla caduta dei Giudicati nel periodo spagnolo-aragonese, era stata garantita alla Sardegna. Gli Stamenti, con i loro bracci (ecclesiastico, militare e regio) andavano conservati. Certo, c'erano dei privilegi anche, e non privilegi certamente per i pastori, per i contadini, per gli artigiani, questo era popolo che non esisteva, che non aveva diritto allora. Era la nobiltà che lucrava sulle fatiche dei contadini dei nostri villaggi, era la nobiltà che aveva diritto agli uffici, alle prebende, a tutto quanto poteva rendere più facile la vita. Nel 1720, il conte di Saint Remy arrivò in Sardegna con l'incarico di Viceré, e gli Stamenti furono messi da parte, non più convocati. Si imponevano le tasse senza che gli Stamenti decidessero sul tanto da versare alla corona e sulle domande da presentare alla casa Savoia per averne naturalmente risposte conseguenti e positive. Si cominciò a concedere gli uffici soltanto ai piemontesi, e non solo gli uffici, anche i vescovadi. Gli arcivescovi della Sardegna furono non sardi, perché di questo popolo, anche se i nobili non erano certamente molto organici agli interessi del resto del popolo, dei nobili sardi, non ci si fidava poi tanto.

Ma tra coloro che avevano avuto possibilità di studiare, di frequentare dei corsi regolari di studio, già serpeggiavano le idee che venivano non dal continente italiano ma dalla Francia, le idee di libertà, di fratellanza, le idee degli enciclopedisti. Ormai è provato che testi di cultura francese ed europea erano abbastanza diffusi in Sardegna, il popolo sardo non era veramente all'oscuro di tutto, isolato, solitario, senza contatti col mondo; tutt'altro. Ma perché nel 1793, quando la flotta francese si presenta nelle acque di Sardegna, sono i sardi che si organizzano, è la nobiltà che si organizza? Per la libertà dei sardi, per amore verso i Savoia? Forse nulla di tutto questo; senza dubbio, i feudatari, che tendevano a conservare i loro feudi e tenere soggetti contadini e pastori lottarono contro l'arrivo dei giacobini francesi, dei rivoluzionari francesi perché avrebbero potuto mettere in pericolo il loro privilegio. Fatto sta che i francesi non riuscirono a sbarcare in Sardegna, riuscirono a sbarcare a Carloforte, piantarono gli alberi della libertà e poi l'abbandonarono perché era ben poca cosa a confronto dell'isola nella sua interezza. E la Chiesa andava predicando e incitando e stimolando contadini e pastori: guai se i francesi fossero sbarcati in Sardegna, cosa sarebbe successo delle loro donne? E cosa sarebbe successo dell'antica fede dei padri, delle chiese, delle processioni? E i sardi combatterono allora.

Ecco, un momento in cui i sardi non riescono a capire che forse qualche cosa di nuovo può arrivare con lo sbarco francese in Sardegna, ma combattono insieme ai feudatari, alla Chiesa, agli ecclesiastici contro i francesi e i francesi non riescono a sbarcare. I protagonisti di queste lotte non sono solo i Sulis, i Siotto, i Pintor, i Simon, ma i miliziani che, a cavallo o senza cavallo, combattono contro i francesi impedendo loro lo sbarco nel lido di Quartu.

Dicevo però che in Sardegna c'erano i circoli giacobini e anche le prime organizzazioni di tipo massonico. Non come quelle di oggi! Sconfitti i francesi, finita questa lotta contro gli invasori, i pie-montesi gioiscono e i premi sono per i militari, per i capitani, per gli ufficiali dell'esercito piemontese; i sardi vengono messi da parte, ormai non servono più. I privilegi sono e saranno per i piemontesi. Non per nulla l'inno angioiano ad un certo punto recita: "Fiat po su piemontesu sa Sardigna una cuccagna". E si spartiscono le spoglie di questo Stato, di questa Regione; per loro "sunt sos impleos" dice ancora l'inno angioiano. E non solo, nel palazzo viceregio i piemontesi si riuniscono e cantano canzoni deridenti i sardi. Per dire che i sardi contano niente, che intanto loro continueranno a farla da padroni e che i privilegi saranno ancora per loro. Penalizzazione dei sardi, quindi, della nobiltà soprattutto, degli ecclesiastici soprattutto, non dei preti di campagna ma dei canonici, dei vescovi e via dicendo, dell'alto clero. Contadini e pastori non hanno mai conosciuto privilegi ma solo angherie e continuerà ancora così per loro. Ma i nobili non demordono, i nobili vogliono i privilegi anche loro, vogliono ricompense anche loro, vogliono uffici anche loro, vogliono comandare anche loro. Certo c'è questa rivendicazione, perché si riuniscano nuovamente gli Stamenti, perché venga riconosciuta l'antica autonomia degli Stamenti, che le tasse vengano imposte con il loro consenso; e le stesse nobildonne, le mogli dei nobili si riuniscono anche loro per la prima volta e perché? Perché a teatro non hanno riservato a loro dei posti nelle tribune perché sono occupate dalle donne piemontesi. Non grandi ideali, non nobili slanci di generosità verso un popolo ma piccoli egoismi, senza dubbio. Ecco che si organizza la rivolta, per il 4 maggio, perché il 4 maggio è la data del rientro di Sant'Efisio da Pula e il popolo si riunisce nelle strade: è il momento di sollevare il popolo alla rivoluzione. Sennonché la Corte vicereale viene messa sull'avviso e provvede in tempo a bloccare la rivolta. Si arrestano i cosiddetti caporioni della rivolta, l'avvocato Cabras e Pintor vengono chiusi nella Torre di San Pancrazio. E gli arresti avvengono di giorno, immediatamente dopo l'ora di pranzo o all'ora di pranzo e, al momento in cui si arresta il Cabras, che ha casa e studio nel quartiere di Stampace, la gente vede. L'avvocato Cabras ha clienti e gode di simpatia specialmente in questo quartiere. I parenti dell'avvocato Cabras e di Pintor vanno in giro, soprattutto nel quartiere di Stampace a sollevare il popolo contro il piemontese.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SERRI

(Segue ORTU.) Poi la rivolta si estende al quartiere della Marina e agli altri quartieri di Cagliari. E tanta e tale è la rivolta, il subbuglio che gli stessi arrestati hanno paura di pagare loro le conseguenze della rivolta perché sono chiusi nella torre di San Pancrazio, nelle mani dei piemontesi. Si manda una guarnigione svizzera per affrontare i rivoltosi ma non c'è nulla da fare; le porte del castello vengono sfondate, si occupa il palazzo del viceré, i popolanti di Stampace arrivano alle dispense del viceré e fanno una grande sbafata. Ma il viceré e i nobili vengono arrestati, e si tratta, si cercano mediazioni, si fanno tentativi di accordi fino a che si decide di rispedirli tutti in Piemonte. Vengono portati al porto e da qui si mandano nuovamente in Piemonte. Si sollevano poi le altre città: Sassari, Oristano e via dicendo. E' la rivolta. Si chiude con un grande successo, salvo poi trovare accordi tra i piemontesi e i nobili e richiamare successivamente i piemontesi in Sardegna, quando però anche i posti e le spoglie dei sardi vengono spartite.

Bene, la storia è questa, un momento certamente entusiasmante, un momento di rivolta, un momento in cui l'oggetto diventa soggetto della sua storia; però pensando alle radici, io mi sono detto che forse sarebbe più opportuno cambiare la data e invece del 28 aprile scegliere il 3 di agosto, perché in questa data è stata approvata dai rappresentanti del popolo sardo la legge sulla disciplina della lingua e della cultura in Sardegna. Degni o non degni che ne siamo, siamo i legittimi rappresentanti del popolo sardo, tanto quanto non erano gli Stamenti allora.

Ma non è che la vicenda storica sia tutto; questa domanda forte di autonomia da parte degli Stamenti, questa partecipazione popolare più o meno consapevole, possono servire ai sardi per approfondire, nell'occasione del 28 aprile, questi temi, perché siano tutti vigilanti. Francesco Cocco ci richiamava alla vigilanza sull'osservanza delle leggi, soprattutto della legge che ieri abbiamo approvato. Forse celebrare questa festa può richiamare l'attenzione dei cittadini di Sardegna a una costante vigilanza perché le leggi siano fatte nell'interesse della generalità del popolo sardo e non nell'interesse di qualche furbo.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale. Per esprimere il parere della Giunta ha facoltà di parlare l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.

BARRANU, Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio. La Giunta si rimette alla relazione scritta.

PRESIDENTE. Onorevole Ortu, intende formalizzare la proposta che ha fatto nel suo intervento?

ORTU (P.S.d'Az.). No.

PRESIDENTE. Metto in votazione il passaggio all'esame degli articoli. Chi lo approva alzi la mano.

(E' approvato)

Si dia lettura del titolo.

PORCU, Segretario:

Titolo

Istituzione della giornata del popolo sardo "Sa die de sa Sardinia".

PRESIDENTE. Poiché nessuno domanda di parlare sul titolo lo metto in votazione. Chi lo approva alzi la mano.

(E' approvato)

Si dia lettura dell'articolo 1.

PORCU, Segretario:

Art. l

1. Il 28 aprile è dichiarata giornata del popolo sardo "Sa die de sa Sardinia".

2. In occasione della ricorrenza, la Regione autonoma della Sardegna organizza manifestazioni ed iniziative culturali.

3. A tal fine la Giunta regionale approva annualmente, sentita la competente Commissione consiliare, uno specifico programma, predisposto dall'Assessore della pubblica istruzione anche sulla base delle iniziative indicate dagli enti locali.

4. Detto programma deve mirare a sviluppare la conoscenza della storia e dei valori dell'autonomia, in particolare tra le nuove generazioni.

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un emendamento. Se ne dia lettura.

PORCU, Segretario:

Emendamento aggiuntivo Morittu - Murgia - Mulas Maria Giovanna - Cogodi - Salis - Ladu Giorgio - Ortu - Puligheddu - Manca - Marteddu

Art. 1

Al punto 3 dell'articolo 1 dopo le parole "indicate dagli enti locali" aggiungere "e associazioni senza scopo di lucro". (1)

PRESIDENTE. Uno dei presentatori dell'emendamento ha facoltà di illustrarlo.

ORTU (P.S.d'Az.). Si dà per illustrato.

PRESIDENTE. Per esprimere il parere della Giunta ha facoltà di parlare l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.

BARRANU, Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio. La Giunta lo accoglie.

PRESIDENTE. Poiché nessuno domanda di parlare metto in votazione l'articolo 1. Chi lo approva alzi la mano.

(E' approvato)

Metto in votazione l'emendamento numero 1. Chi lo approva alzi la mano.

(E' approvato)

Si dia lettura dell'articolo 2.

PORCU, Segretario:

Art. 2

1. Nel bilancio della Regione per il 1993 e nel bilancio pluriennale 1993-1994-1995 sono apportate le seguenti variazioni:

In aumento

11 - ASSESSORATO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, SPETTACOLO E SPORT

Capitolo 11133 (N.I.) - Spese per la celebrazione della giornata del popolo sardo "Sa Die de sa Sardinia".

1993 lire 200.000.000

1994 lire 200.000.000

1995 lire 200.000.000

In diminuzione

03 - ASSESSORATO DELLA PROGRAMMAZIONE, BILANCIO, CREDITO E ASSETTO DEL TERRITORIO

Capitolo 03016 - Fondo speciale per fronteggiare spese correnti, dipendenti da nuove disposizioni legislative (art. 30 L.R. 5 maggio 1983, n. 11 e art. 3 della legge finanziaria)

1993 lire 200.000.000

1994 lire 200.000.000

1995 lire 200.000.000

mediante riduzione della riserva di cui alla voce 9 della Tabella A allegata alla legge finanziaria.

2. Le spese per l'attuazione della presente legge valutate in 200.000.000 annue fanno carico al sopraindicato capitolo dei bilanci della Regione per gli anni 1993-1994-1995.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Pili. Ne ha facoltà.

PILI (P.S.I.). Presidente, non è senza emozione che intervengo brevemente nel dibattito di questa proposta di legge per ricordare un'occasione per me importante. Nel 1984 partecipai a una riunione assieme a Bustiano Dessanay, Umberto Cardia, il professor Lilliu, Elisa Nivola, Antonello Satta, Pino Usai, Salvatore Cubeddu, e qualche altro di cui non mi ricordo, perché non ho gli appunti di quella riunione. In quella occasione discutemmo proprio della necessità di trovare opportunità e modi perché l'identità del popolo sardo e la sua storia non fossero soltanto un'occasione celebrativa, ma si potessero esprimere nella vita non soltanto culturale ma anche economica e sociale della nostra Regione. Ci si poneva, cioè, il problema di come il popolo sardo potesse e possa essere protagonista e artefice della propria storia dalla fase progettuale a quella attuativa e a quella gestionale. Nacque in quella occasione - e io in questo momento intervengo per ringraziare i colleghi che hanno presentato le proposte di legge -nacque in quella occasione la proposta avanzata proprio da Bustiano Dessanay, da Cardia e dagli altri, di celebrare con "Sa die sarda" l'identità del popolo sardo.

Oggi il Consiglio regionale approva queste proposte di legge, io sono solo intervenuto per ri-cordare questi grandi compagni, soprattutto quelli che non ci sono più, che hanno anticipato l'iniziativa oggi in discussine. Mi sembrava doveroso da parte mia ricordarlo.

PRESIDENTE. Poiché nessun altro domanda di parlare, metto in votazione l'articolo 2. Chi lo approva alzi la mano.

(E' approvato)

Votazione per appello nominale

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale delle proposte di legge numero 215 e 392.

COGODI (Rinascita e Sardismo). Presidente, vorrei chiedere, se è possibile, di votare questa proposta di legge unitamente al prossimo disegno di legge in discussione, alla fine della seduta.

PRESIDENTE Abbiamo già iniziato la procedura di voto, onorevole Cogodi.

Procediamo con la votazione per appello nominale.

Coloro i quali sono favorevoli risponderanno sì; coloro i quali sono contrari risponderanno no. Estraggo a sorte il nome del consigliere dal quale avrà inizio l'appello. (E' estratto il numero 36 corrispondente al nome del consigliere Manunza.)

Prego il consigliere Segretario di procedere all'appello iniziando dal consigliere Manunza.

MULAS MARIA GIOVANNA Segretaria, procede all'appello.

Rispondono sì i consiglieri: Manunza - Merella - Mereu Orazio - Mereu Salvatorangelo - Morittu - Mulas Franco Mariano - Mulas Maria Giovanna - Muledda - Murgia - Onida - Oppi - Ortu - Pau - Pes - Pili - Puligheddu - Pusceddu - Ruggeri - Salis - Sanna - Sardu - Satta Antonio - Scano - Sechi - Selis - Serra - Serri - Soro - Tamponi - Tarquini - Urraci - Usai Sandro - Zucca - Amadu - Baroschi - Carusillo - Casu - Cocco - Cogodi - Corda - Cuccu - Dadea - Deiana - Demontis - Desini - Fadda Antonio - Fadda Fausto - Fadda Paolo - Ferrari - Giagu - Ladu Leonardo - Lombardo - Manca - Manchinu.

Rispondono no i consiglieri: Porcu - Cadoni.

Si sono astenuti i consiglieri: Pubusa - Serra Pintus - Fantola.

Risultato della votazione

PRESIDENTE. Proclamo il risultato della votazione:

presenti 59

votanti 56

astenuti 03

maggioranza 29

favorevoli 54

contrari 02

(Il Consiglio approva).

Discussione generale del disegno di legge: "Disposizioni integrative e modificative della legge regionale 20 aprile 1993, n. 17 - Legge finanziaria 1993" (404)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge numero 404.

Dichiaro aperta la discussione generale. Ha facoltà di parlare l'onorevole Selis, relatore di maggioranza.

SELIS (D.C.), relatore di maggioranza. Presidente, colleghi, il mio intervento sarà brevissimo anche perché molte delle cose che si possono dire e pensare sono state già dette e scritte in occasione della discussione degli altri provvedimenti di bilancio. Io avevo addirittura intenzione di allegare come relazione di maggioranza le altre relazioni, ma poi ho scritto e ho proposto all'attenzione del Consiglio una sintesi delle cose che in altri momenti abbiamo detto. Intervengo solo per richiamare due o tre aspetti che mi sembrano fondamentali: il primo aspetto riguarda la crisi finanziaria che noi stiamo vivendo e che credo non sia completamente apprezzata dal Consiglio regionale. Noi abbiamo chiuso il bilancio 1993, ricorrendo a mutui per oltre mille miliardi e coprendo la spesa sanitaria con un altro mutuo. Bene, questo mutuo non potrà più essere riacceso per i prossimi anni. Io credo che noi dobbiamo cominciare a ragionare, la Giunta e il Consiglio devono cominciare a ragionare considerando che il bilancio 1994 si dovrà chiudere con mille, duemila miliardi in meno e allora io vorrei...

PRESIDENTE. Prego i colleghi consiglieri di prendere posto e tacere.

SELIS (D.C.), relatore di maggioranza. Il prossimo bilancio probabilmente si dovrà chiudere con mille, duemila miliardi in meno, posto che non possiamo accendere un muto all'anno. In una situazione di entrate non crescenti, vista la situazione nazionale, dobbiamo predisporre, e credo che l'Assessore ne sia consapevole, un bilancio con mille-duemila miliardi in meno, il che significa che verosimilmente non riusciremo a coprire le spese correnti. Credo che sia un dato, e su questo non mi soffermo, di una tale delicatezza e di una tale gravità da meritare l'attenzione preoccupata di tutti noi.

La seconda considerazione è che noi assistiamo a una perdurante crisi nazionale e a una congiuntura internazionale che non fanno prevedere una ripresa dei processi di crescita nazionale ed internazionale, che in altri periodi hanno poi trascinato lo sviluppo regionale, il che significa che se noi speriamo e aspettiamo che la ripresa internazionale trascini noi, nei prossimi mesi e nei prossimi anni ci troveremo amaramente delusi. Questo significa che crescono le nostre responsabilità nell'affrontare i processi di sviluppo regionale, e l'aumento delle nostre responsabilità per affrontare i processi di sviluppo regionale significa che dobbiamo mettere in campo, per i mesi e per le settimane che ci rimangono, due grandi riforme: quella di soggetti istituzionali, gestionali, operativi della Regione e quella della politica di bilancio.

Queste considerazioni io le ho proposte alla Giunta e pensavo che già in occasione della discussione della variazione di bilancio alcune proposte potessero essere accolte, però in Commissione la Giunta ha sottolineato il fatto che questa manovra era una integrazione di bilancio 1993. Ci siamo dedicati, in Commissione, a recepire le proposte della Giunta e a cercare di dare loro una maggiore connotazione produttiva, contraendo le spese correnti e cercando di concentrare risorse a favore dell'industria, dell'agricoltura, delle opere pubbliche. Però il problema rimane tuttora aperto e io credo che noi dobbiamo considerare che il prossimo bilancio sarà l'ultima occasione prima della fine della legislatura, per adottare le riforme che da anni tutti diciamo di ritenere indispensabili per realizzare una seria politica di bilancio, una seria politica di programmazione dello sviluppo. Credo che le considerazioni che in quest'Aula verranno fatte - sono state fatte gli anni scorsi, verranno ripetute oggi - e poi valuteremo se sintetizzarle in un ordine del giorno, dovranno servire alla Giunta da direttive quando predisporrà, io ritengo e auspico in tempi brevissimi, entro settembre o nei primi giorni di ottobre, il bilancio annuale e pluriennale. Andare più in là significa andare all'esercizio provvisorio ed entrare in un periodo politico che tutti sappiamo particolarmente delicato. Dunque il primo impegno che io chiedo alla Giunta è di predisporre il bilancio e di presentarlo in Commissione entro settembre, per consentirci di approvarlo entro l'anno.

Il secondo elemento di una linea di direttive che il Consiglio potrebbe dare alla Giunta riguarda la politica delle entrate; in una situazione di entrate stabili io credo che noi dobbiamo fare ogni sforzo per verificare le partite ancora aperte col Governo, per verificare i flussi finanziari che dal Governo arrivano o non arrivano a livello regionale, per verificare le iniziative che possiamo e dobbiamo mettere in campo per un ottimale accesso ai fondi nazionali e comunitari. La terza linea di comportamento riguarda la revisione del bilancio, io credo che la Giunta, la Commissione e il Consiglio, al di là degli enunciati, dovranno adottare criteri di rigore e di austerità per contrarre al massimo le spese correnti. Le grandi partite di spese correnti, dall'economato al personale, dovranno - è stato detto tante volte - essere verificate non per invocare tagli indiscriminati ma per proporre politiche che consentano davvero una rigorosa contrazione e una riforma di queste spese che consenta di reperire risorse da puntare sulle politiche produttive.

La quarta linea riguarda una revisione legislativa e anche su questo, colleghi del Consiglio, io credo che dobbiamo fare un momento di riflessione; non possiamo pensare che la programmazione si attui solo con la parte letteraria dei programmi, i programmi se non diventano legge rimangono lettera morta, sono le leggi che orientano la spesa; le linee programmatiche devono diventare riforma legislativa e la Giunta, almeno per alcune grandi categorie di spesa, pensate all'agricoltura o all'industria, deve fare qualcosa di più. Fare una riforma delle legislazioni di settore non significa, lo ribadisco con forza, fare nuove leggi. Noi abbiamo il convincimento che l'attività del Consiglio si valuti dalla quantità di leggi che sforniamo, e stiamo sfornando leggi che spesso rimangono nel cassetto, seminano illusione e implicano costi che non riusciamo a sostenere. Un'attività di riforma legislativa certo implica, se è necessario, qualche nuova legge, ma soprattutto il coordinamento, la delegificazione, il varo di testi unici, cioè dare un corpo comprensivo alla legislazione per renderla davvero un apparato operativo in grado di sostenere le politiche di sviluppo.

La quinta linea di riforma riguarda le politiche di settore; noi non potremo addivenire a una reale politica di programmazione e di riforma del bilancio se le grandi categorie di spesa dalla sanità, alla forestazione, alla formazione professionale, alle opere pubbliche, agli studi e alla programmazione rimangono come sono. Noi dobbiamo rimettere sotto controllo queste categorie di spesa perché se no non controlliamo la finanza regionale. Il fatto che dobbiamo chiudere il bilancio con duemila miliardi in meno vuol dire che siamo al dissesto finanziario - lo dico in un clima estivo di stanchezza e di disattenzione complessiva, ma lo dico perché rimanga agli atti - siamo in una situazione pesantissima dal punto di vista finanziario. Se non mettiamo sotto controllo la spesa sanitaria, la formazione professionale, la forestazione, le opere pubbliche, noi non riusciremo a varare alcuna politica di bilancio e di programmazione per gli anni prossimi.

La sesta linea di riforma riguarda le categorie più delicate, gli studi, le consulenze, i convegni. Di tutte queste cose io credo che dovremo fare una gestione unificata più rigorosa e più trasparente. Fare politica di programmazione non significa indicare solamente le strategie e fare le leggi, significa poi attuarle. Noi dobbiamo, credo, come Consiglio, pensare a noi non solamente come semplici legislatori, ma come coloro che poi controllano l'attuazione delle leggi. Invochiamo ancora una volta l'attenzione della Giunta su un attento impegno di monitoraggio della spesa che serva a fornirci gli stati di attuazione non solo finanziari, ma reali. Gli stati di attuazione finanziaria nel settore delle opere pubbliche non significano nulla, nel settore delle opere ambientali non significano nulla, il monitoraggio della spesa deve darci stati di attuazione reali, cioè deve dirci che impatto hanno gli stanziamenti, i comportamenti e i programmi, e questo è essenziale.

Se non facciamo questo, se non poniamo in atto queste procedure, noi non riusciremo in questa attività di monitoraggio, a verificare i processi e le procedure amministrative e a migliorarle in termini di efficienza e di efficacia e il discorso delle lungaggini delle spese eccetera, sarà costantemente ripetuto anche se spesso è un luogo comune, perché quando si dice che nei cassetti della Regione ci sono centinaia di miliardi non spesi, si tratta di realtà di centinaia di mutui contratti e non attivati perché noi non abbiamo i miliardi non spesi, noi abbiamo mutui, abbiamo debiti che il Consiglio ha autorizzato e non abbiamo spesi. Però il monitoraggio della spesa serve proprio per verificare l'impatto delle nostre politiche, per verificare lo stato delle nostre opere, per verificare l'efficienza delle procedure amministrative e perché su queste procedure possiamo davvero proporre delle misure di efficienza e di efficacia che implichino una verifica della funzionalità burocratica dei soggetti operativi e delle procedure di controllo. Su tutte queste cose io credo che noi dobbiamo fare una riflessione operativa, verificando i problemi tuttora aperti, cito per tutti le leggi di accompagnamento di cui abbiamo fatto una prima esperienza non felicissima nel bilancio del 1993. Tutte queste tematiche dobbiamo affrontarle e alla luce del dibattito che qua si proporrà tentare di comporle, se siamo d'accordo, in un documento che serva alla Giunta per predisporre un bilancio annuale e pluriennale per il 1994-1997 in tempi brevissimi che recepisca gran parte di questi convincimenti che non sono solo di una forza politica, ma credo di tutto il Consiglio, che sono state più volte ribaditi e sottolineati in quest'Aula e che l'Assessore conosce perché anch'egli da relatore li ha più volte sottolineati. Direi che rappresentano un patrimonio conoscitivo, una consapevolezza di questo Consiglio, e se noi arrivassimo a stilare alcuni punti fermi, questi potrebbero davvero costituire una direttiva, che consenta alla Giunta e al Consiglio di predisporre il prossimo bilancio, avendo coscienza della pesante crisi finanziaria che attraversiamo, avendo coscienza che questa crisi si affronta con una politica di austerità che riguardi le spese, anche quelle indispensabili e indilazionabili, che riguardi comportamenti e status giuridici ed economici forse anche nostri, sulla base della consapevolezza che la classe politica ha del momento drammatico che stiamo vivendo e che a settembre diventerà ancora più evidente e più esplicito e che dovremo governare col massimo di rigore, col massimo di dedizione, col massimo di sacrificio ma anche mettendo in campo iniziative che ci guadagnino il consenso e la fiducia dei cittadini e che ci vedano totalmente impegnati a fronteggiare una crisi davvero gravissima.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Cogodi, relatore di minoranza.

COGODI (Rinascita e Sardismo), relatore di minoranza. E' detto nella relazione di maggioranza, in modo abbastanza implicito, e in modo più esplicito nella relazione di minoranza, che questa manovra di bilancio non è un puro e semplice assestamento, quello tecnico che invece la Giunta dovrà ancora presentare, forse nel mese di settembre. Il provvedimento di cui ci occupiamo è invece un vero e proprio bilancio bis, che segue di qualche mese la prima manovra più generale e complessiva di bilancio. E quindi assume una particolare rilevanza questa manovra bis di bilancio per l'entità delle risorse, perché si occupa e ridestina una cifra che si avvicina ai mille miliardi, quindi non è cosa di poco conto e questa cifra è quella che segue al bilancio ordinario che è di qualche mese fa. Quindi si suppone che gli obblighi generali della Regione, le principali e fondamentali direzioni di spesa siano già state tenute nel debito conto qualche mese fa, dal che dovrebbe derivare che, con questa manovra bis, vi dovrebbe essere, continuo ad usare il condizionale, una maggiore duttilità e una capacità di manovra superiore a quella che in genere il bilancio ordinario consente, perché deve sempre fare i conti con la rigidità delle spese necessarie, degli obblighi, dei contratti e di tutte le emergenze che si verificano in via generale. Invece, non dico che non c'è nulla - non sarebbe esatto - di tutto questo, di novità, di risposta all'emergenza, però vi è talmente poco rispetto al possibile, che anche quel poco ne risulta sminuito, rientra in una linea tradizionale, vorrei dire pigra, del modo di essere della politica e del governo della Regione.

Io credo che tutte le cose importanti che abbiamo detto e abbiamo ascoltato in questi due o tre giorni di dibattito sulla cultura sarda non debbano essere considerate come cosa a sé, a parte, una parentesi che si apre e che si chiude. La cultura, si è detto, è non solo riconoscimento di valori importanti del passato ma è riconoscimento dei valori del presente, della capacità propria di esprimersi, della capacità propria di pensare e di fare, quindi di autogovernarsi, e autogoverno vuole dire decidere, vuol dire scegliere, vuol dire essere capaci di esercitare responsabilità, se no non si capirebbe più nulla di quello che affermiamo quando trattiamo di cultura se non avessimo anche insieme e non esercitassimo una cultura di governo, una cultura pratica, una cultura dello sviluppo, una cultura cioè che sia davvero tale e non sia contemplazione di valori che furono, di vestigia del passato o comunque solo attività o valore settoriale. Io vorrei inserire proprio un abbozzo di ragionamento su questo bilancio bis, dentro questo significato generale che è la negazione della cultura di governo, di autogoverno dimostrata nei fatti. Passare - si è detto in questi giorni - dalla autonomia delle parole, dall'autonomia della sciatteria, dall'autonomia del consumo, alla autonomia del rigore, dell'etica superiore, dell'equilibrio, dello sviluppo. Come si materializza tutto questo, oggi che discutiamo di bilancio e non di semplici aggiustamenti del bilancio ma di una vera e propria manovra bis importante di bilancio? Come si esprime la Regione, quella vera, quella fatta dai sardi e non i pezzi di Regione più vicini a chi comanda e a chi decide, non i cerchi più interni al nucleo, che poi non so se è costituito dalla Giunta regionale, dalla cassa regionale o dalla banca che la Regione foraggia in modo eccessivo senza chiedere convenzioni e contratti e condizioni utili per la società e per l'economia sarda? Di sicuro c'è un nucleo essenziale in cui sta la leva di comando e ci sono poi dei cerchi concentrici e chi è più vicino al nucleo più ha, più afferra, chi è più lontano ha poco o non ha nulla. Noi abbiamo due regioni, una di cui si tiene conto e una della quale non si tiene conto alcuno, una regione che è parte nella politica e nei bilanci, una regione esclusa, fuori. Io mi domando, per esempio, perché tra tante considerazioni, ancora una volta non ci poniamo il problema del perché i fondi destinati a promuovere progetti speciali di occupazione, avendo riformato la legge qualche mese fa, avendo assegnato al Presidente della Giunta regionale compiti di decretazione d'urgenza, avendo dotato la Giunta regionale, in deroga a tutte le leggi, di uffici speciali che si possono costituire per istruire le pratiche, non vengono spesi, perché i giorni stiano decorrendo invano e perché i progetti speciali di occupazione che risultano validi non vengano varati.

Io non sto chiedendo, come pure sarebbe necessario, di devolvere la gran parte delle risorse disponibili della Regione in conto occupazione per promuovere altri progetti di occupazione straordinaria, ma che non si dica una parola su leggi esistenti, su leggi riordinate, su procedure nuovissime che però rimangono lettera morta così come le procedure che erano ritenute non adeguate, tutto questo è incultura.

Caro professore Collu, è importante la radice dell'albero ma in quanto dia frutto attraverso lo sviluppo dell'albero. Insomma, per farla breve, noi oggi abbiamo una manovra di bilancio bis presentata al Consiglio regionale che destina la somma di 890 miliardi che costituiscono un mutuo. La Regione sta indebitando se stessa, quindi la comunità regionale per 890 miliardi, circa un decimo cioè del bilancio annuale della Regione e poco vale dire che il muto era già autorizzato l'anno scorso...

(Interruzioni)

Certo, ma non è stato contratto, quel debito non c'è ancora, noi lo stiamo riautorizzando, cioè ridecidendo, quindi stiamo decidendo di indebitare la comunità regionale. Questo mutuo dovrà essere restituito dalla comunità regionale nei prossimi diciotto anni, quindi si pone un problema di responsabilità molto precisa per noi che oggi decidiamo e per la Giunta regionale che gestirà questi 890 miliardi. Dobbiamo agire con molta oculatezza; questi sono danari più preziosi delle entrate ordinarie nel bilancio della Regione, perché costituiscono un debito che noi stiamo addossando per diciotto anni a chi verrà dopo di noi. Se la destinazione sarà la più propria, se darà frutti, sarà un'operazione utile, pulita, se i frutti fossero malefici il nostro operato sarebbe simile a quello del Governo nazionale che, per molti lustri ha indebitato lo Stato, con tutto lo scasso che ne è derivato, per cui le generazioni presenti pagano non solo gli errori ma un disastro politico prima che finanziario, dovuto a un bilancio drogato, a un consumo superiore alle disponibilità con tutto quelle che ne consegue, di danno non solo economico e finanziario ma anche di danno politico, di danno morale nei rapporti tra il cittadino e lo Stato e di crisi della stessa idea di democrazia. Se noi vogliamo davvero rafforzare l'idea di autonomia con la legge sulla cultura ma anche con una cultura ordinata di governo, dobbiamo porci questo problema. Se la Regione si sta indebitando per 890 miliardi noi siamo tenuti a fare una gestione molto oculata di queste somme. Si devono fare scelte indispensabili, devolvendo questi fondi verso settori di spesa produttiva e sociale per cui valga la pena di indebitare non noi stessi ma la comunità regionale per i prossimi diciotto anni. D'altronde - come ricordava il relatore di maggioranza, onorevole Selis - questo indebitamento che grava su esercizio finanziario 1993, non poter sicuramente essere ripetuto l'anno prossimo, perché se dovessimo ogni anno indebitare la regione per mille miliardi, arriveremmo tra qualche anno a consegnare ad altri una Regione che non potrà più avere un bilancio. Le entrate ordinarie non sono in aumento, ma in diminuzione, i tagli selvaggi, per quanto si sa, sono all'ordine del giorno, inoltre la Regione è indebitata in modo consistente, cioè ha debiti verso terzi, che deve pagare. Nel bilancio 1 e nel bilancio 2, cioè questo, non si tiene conto di questi debiti, ben sapendo che in ogni momento possono essere richiesti e si tratta di debiti che ammontano a oltre cinquecento miliardi. La Regione, per esempio, ha un debito verso soggetti privati, in base alla legge 44, ancora per oltre cento miliardi, perché ha deciso che pur avendo modificato la legge numero 44 voleva pagare il pregresso. Io ho sempre sostenuto che la Regione non era tenuta, per quella legge sbagliata, a pagare tutto il pregresso, però per una scelta politica le maggioranze di questi anni hanno deciso di pagare quel pregresso e quindi lo si deve pagare. Si tratta di più di cento miliardi, però non figura da nessuna parte che la Regione stia stanziando questa somma, si mettono quindici miliardi in un bilancio, si dice che se ne metteranno venti nel prossimo, però rimane questo debito nei confronti dei cittadini ai quali, poiché si è deciso, si deve pagare.

La Regione ha un debito - si è appurato in sede di Commissione bilancio - che deriverebbe (io non ho il testo della convenzione) da un accordo transattivo intercorso tra la Giunta regionale e l'AIAS, in base al quale accordo transattivo, cioè contratto, la Regione si impegna a consegnare all'AIAS 80-90 miliardi. Se la Giunta regionale ha stipulato quel contratto, se quel contratto è valido, paghi. Perché si dovrebbe consentire all'AIAS di ottenere non solo 80-90 miliardi, ma anche i danni, più gli interessi di mora? Se è un debito vero, si paghi, se non è un debito vero lo si cancelli, e lo si dica. Ma la Giunta dice che questo è un debito vero, perché c'è un contratto tra la Giunta e l'AIAS che lo certifica; una convenzione che lo sancisce, però non c'è traccia nel bilancio. La Regione è indebitata con le farmacie per circa 150 miliardi, miliardo più o miliardo meno, tanto i miliardi ormai sono noccioline - questo si è appurato in Commissione bilancio - però non paga, né è stanziata in bilancio la cifra necessaria per pagare, se è dovuto, questo debito. A domanda la Giunta risponde che è dovuto. Ma se è dovuto, perché non si paga? Verso il sistema sanitario - poi discuteremo delle ragioni addotte dalla dottoressa Marrosu per le sue dimissioni - al di là delle deroghe per 40 miliardi, autorizzate però non coperte finanziariamente, figurano altri debiti che devono essere necessariamente pagati. Chi dice 60, chi dice 90 miliardi, e di questi non c'è traccia nel bilancio. Ci sono cioè circa 600 miliardi di debiti della Regione, rispetto ai quali la Giunta regionale, la maggioranza, non si pongono il problema, li tramandano ai posteri. Questo non è esercizio di responsabilità né amministrativa né politica, questo è tirare a campare, questo è - se mi è consentita l'espressione - barare, perché si fa finta di disporre di risorse e si scaricano gli effetti su chi verrà dopo, non sull'Assessore del bilancio, che verrà, ma su chi complessivamente sarà chiamato ad assumere responsabilità di governo, perché un governo, anche dopo il disastro di questa Giunta e di questa maggioranza, ci dovrà pur essere. Nel frattempo prosegue la gestione allegra delle risorse regionali; la stagione delle cicale, caro collega onorevole Cocco, non è passata, in questa Regione si cicaleggia ancora troppo, le spese non dico improduttive, ma superflue, abbondano. Io non so come si debba dire o chi lo debba dire o dove lo debba dire, questa parrebbe piccola politica rispetto alla grande politica, ma è possibile che questa Regione abbia tra Uffici centrali e periferici, tra amministrazione centrale ed enti, più macchine di rappresentanza della Presidenza degli Stati Uniti? Non è un'esagerazione, è così, perché ho letto che la Presidenza degli Stati Uniti ha diciotto macchine di rappresentanza, la Casa Bianca, quella che comanda il mondo...

(Interruzioni)

La Regione ne ha più di cento, e ci sono Assessorati che ne hanno cinque, per Assessore, per Capo di Gabinetto, per segretario, per supplenza di non so che cosa. Ma a che serve tutto questo? Non è che queste cose non costino, costano moltissimo, e costano a tutti. Per non dire di tante altre cose, per esempio di tutte queste pubblicità che non pubblicizzano nessun valore positivo. Un collega mi ha spiegato ieri che mezza pagina di giornale contiene un messaggio contro gli incendi, io debbo confessare che non lo avevo capito, perché ero convinto che fosse la pubblicità di un collirio, per gli occhi di quella donna, anzi si alternano un giorno una donna, un giorno un uomo a dire: "Con i tuoi occhi vedi e fornisci idee contro l'incendio". Io pensavo che fosse la pubblicità per un collirio, tutti i giorni sul giornale, strapagata. Ero convinto fino all'altro giorno, finché un collega non me lo ha detto, che la pubblicità che appare su Videolina e su altre emittenti locali, che raffigura una cartolina della Sardegna - se è pubblicità turistica si dovrebbe fare fuori per i continentali, e invece si mostra una cartolina ai sardi - ero convinto che fosse un intervallo, come quello delle pecorelle, che appariva un tempo, nella televisione, tra un programma e l'altro. Mi è stato detto che è una pubblicità che costa alla Regione centinaia di milioni, per propagandare il turismo, mostrando delle cartoline ai sardi. Poi bisognerà verificare quanti dei boschi mostrati non sono bruciati e quante di quelle spiagge non sono ancora cementificate o degradate. Questo è un altro campo di accertamento. Tutto questo accade, questo e altro, tanto altro. E allora il problema è: come dare una soluzione politica - uso l'espressione che si usa per tangentopoli, e la uso volutamente - come dare una soluzione politica a questo insieme di cose, in una regione dove l'apparato produttivo è prostrato, è in ginocchio, in una regione dove ai cassaintegrati si dice che non c'è nulla e che devono aspettare, dove agli operai delle fabbriche si dice che la chimica dovrà chiudere, la cartiera dovrebbe chiudere, per il carbone può darsi che si trovi una combinazione internazionale? Ai giovani disoccupati, e non solo ai giovani manovali, ma ai giovani diplomati o laureati di questa regione, e spesso laureati con il massimo dei voti, che per anni non trovano lavoro, cosa dobbiamo dire? " Vivete di cartoline turistiche, vi mandiamo a passeggio con le macchine di rappresentanza, aspettate il futuro, mettete il collirio"? Cosa dobbiamo dire se non si ricostruisce una base di fiducia e comunque non si dà una speranza? Che senso ha se non si pongono queste questioni? Certo riordinare qualche norma è un fatto importante, ma quando noi riordiniamo le norme e le leggi in via generale e facciamo una politica solo settoriale, per commercianti, per artigiani, per agricoltori, per industriali, quando abbiamo fatto solo una politica di tipo, come dire, categoriale noi siamo alla società delle corporazioni. Dentro le categorie, poi ci sono i soggetti che hanno diversa forza, ci sono i forti e ci sono i deboli. Lo scopo della programmazione, della politica, delle scelte è creare equilibrio, equità per i soggetti deboli della società. E questo non è risolvibile con le sole norme, per categorie. Vanno individuate, all'interno delle categorie, nel contesto sociale, le differenze e i livelli diversi a cui agire per fare giustizia, per dare cioè ai sardi, a ognuno qualcosa, perché questo è il problema del buon governo dell'autonomia e dell'autogoverno, se volete. Io concordo con quanto affermava il collega Selis: bisogna arrivare a un punto, speriamo sia questo, nel quale il Consiglio regionale, possibilmente questo Consiglio regionale, prima di tornare a casa - perché lo vuole o perché gli elettori così decideranno - riesca a operare quel punto di svolta che di questi tempi si chiama bonifica del bilancio.

Io qui ho una lettera che, in qualità di Presidente della Commissione bilancio e programmazione, l'onorevole Selis inviò a suo tempo al Presidente della Giunta regionale e all'Assessore regionale del bilancio e della programmazione, dando indicazioni sul riordino del bilancio, indicazioni di carattere programmatico che in questo bilancio non hanno riscontro. Però si dice che valgono per il futuro. Il collega Selis anche oggi, come relatore di maggioranza della Commissione, ha ripetuto queste cose giuste. Bonifica del bilancio è la parola magica che circola in questo momento. Io ho già avuto modo di dire a Gianmario, anche amichevolmente, che rischia di essere chiamato mister day after, il signore del giorno dopo, perché Gianmario ha ragione, però ha sempre ragione il giorno dopo, o meglio lui dice le cose giuste il giorno dopo, perché sono anni che Gianmario Selis, che noi apprezziamo per il suo impegno, per la sua cultura politica, dice cose che condividiamo, però sono anni che dice le stesse cose, partecipando alle combinazioni di maggioranza e quindi di governo e quelle cose rimangono sempre lettera morta. Da questa situazione bisogna uscirne, non possiamo essere noiosi, né chi dice né chi ascolta. Bisogna arrivare a decidere e proponiamo che si decida oggi, con questa manovra di bilancio, della quale noi pensiamo che non innovi, che indebiti la regione purtroppo in gran parte inutilmente, con segni anche regressivi evidenti in alcune poste. Questo è preoccupante sul piano politico, ma fa parte del modo di concepire la politica e il governo e anche del come si concepisce la regione. Io volevo solo richiamare emblematicamente un articolo di questo bilancio, che mi pare sia il 4 bis, laddove si prevede uno stanziamento di 7 miliardi per una operazione di permuta, si dice qui, con casermette militari. Qui si parla di edilizia abitativa, ma non c'entra nulla con l'edilizia abitativa. Sono casermette dismesse, che in base all'articolo 14 dello Statuto spettano alla Regione. Se l'autorità militare non le dà è necessario sollecitarla. Negli anni passati si era arrivati a una ipotesi di accordo almeno parziale, per un passaggio graduale. Insieme alle case de La Maddalena, c'è anche uno stabile militare in Olbia, che il Comune di Olbia, anzi l'Assessorato agli enti locali, gestione Satta, ha ritenuto che debba essere acquisito al Comune di Olbia. In cambio la Regione paga. Gli stabili militari dismessi debbono venire alla Regione, e qui si prevede che 5 miliardi e mezzo a La Maddalena, 1 miliardo e mezzo a Olbia, quindi 7 miliardi di denaro regionale, vanno all'autorità militare. Stiamo pagando con i denari regionali le servitù militari. Sette miliardi non sono cosa da poco, e in ogni caso è il segno che è negativo, è nefasto, è il sintomo della superficialità, della negazione del valore dell'autonomia, dell'incapacità di autogoverno, cioè di tutte quelle cose che si dice, e in questi giorni si è detto, io credo con spirito di verità, di volere fare per il futuro.

Mi avvio a concludere, ma volevo qui ricordare la petizione del movimento delle riforme, il quale si rivolge al popolo dicendo: "Facciamo insieme le riforme". Uno dei punti qualificanti delle riforme è la bonifica radicale del bilancio della Regione. Ma se, cari colleghi del movimento delle riforme, o che tali vi chiamate, la bonifica del bilancio della Regione non la facciamo insieme qui, noi consiglieri regionali che il bilancio decidiamo, chi altro la può fare? La faremo noi se ne abbiamo voglia e capacità. E allora, per favore, diciamo come vogliamo bonificare questo bilancio, diciamo quali spese devono restare, quali no, a che cosa devono essere attribuiti i danari che si sottraggono dalla spesa dispersiva, clientelare, qualche volta anche peggio, come quella che va a ripagare servitù militari, cioè condanne che questa Regione ingiustamente si porta addosso.

La conclusione di questo dibattito potrebbe essere quindi la presentazione di un ordine del giorno oppure di una serie di ordini del giorno che dicano sin d'ora alla Giunta come deve impostare il prossimo bilancio. Dia questo Consiglio regionale, se vuole, direttive precise alla Giunta regionale, a qualsiasi Giunta, a questa come a quella che verrà. Dica in modo puntuale, preciso, cosa si deve togliere, cosa si deve riordinare e come, quando si farà il bilancio prossimo della Regione, in modo che questo lavoro si faccia prima, perché si è verificato che dopo che il bilancio è presentato, dopo che sono intervenute mediazioni a monte, è molto difficile parare a valle la valanga. Forse, intervenendo in tal modo, dando oggi qui direttive puntuali e precise alla Giunta che deve impostare il bilancio, dovendo la Giunta attenersi ad esse, è possibile forse interrompere questo circolo vizioso, rompere la catena e riuscire a liberare risorse che potranno essere destinate nel prossimo futuro alle attività sociali e produttive più indispensabili, se si può usare questa espressione, più urgenti per la comunità regionale.

Questa manovra di bilancio invece va ancora una volta nel senso opposto alla bonifica; è ancora una volta un bilancio inquinato, purtroppo, non vi è alcun segno di novità. Non che noi dobbiamo prendere atto di questo, noi ci opponiamo e protestiamo per questa ulteriore dispersione di risorse che interviene in questa fase di crisi profonda dell'economia e della società sarda; ci opponiamo a tutto questo, ma nell'opporci non ci limitiamo ad elevare una protesta, diamo anche una indicazione che possa essere risolutiva se non per l'immediato almeno per il prossimo futuro.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Leonardo Ladu. Ne ha facoltà.

LADU LEONARDO (P.D.S.). Signor Presidente, colleghi consiglieri, stiamo esaminando un provvedimento che riguarda una manovra di esigua entità finanziaria, interessa infatti poco più di 850 miliardi. D'altra parte la stessa relazione della Giunta afferma che non si tratta di una manovra di assestamento, quanto piuttosto di una manovra di coordinamento e di completamento che si è resa necessaria dopo la verifica del consuntivo 1992 e la determinazione degli avanzi di amministrazione e che rende possibile la reiscrizione obbligatoria delle assegnazioni statali, dei programmi comunitari e del fondo dei residui perenti; come pure rende possibile la ridestinazione del mutuo previsto già nel bilancio del 1992 ma non contratto e che appunto può essere reimpegnato. Alla manovra di assestamento se ne accompagna una di variazione che porta un saldo complessivo di circa 25 miliardi e che è finalizzata a sostenere specifiche iniziative che nel provvedimento sono indicate con molta puntualità e chiarezza. E' una manovra, dunque, di entità esigua; questo è un dato obiettivo e indubitabile che, realisticamente, deve essere alla base delle considerazioni e delle proposte che dobbiamo esaminare. Che cosa fare? Questo è il problema politico. Io credo comunque che questo Consiglio possa e debba dare un segnale netto ed univoco. Non è possibile disperdere ulteriormente le poche ed esigue risorse di cui disponiamo; credo al contrario che occorra guardarci intorno, verificare le emergenze e rispetto ad esse realisticamente assumere gli impegni per farvi fronte nel modo migliore possibile; e credo che l'emergenza occupazione, la drammatica crisi industriale e aggiungerei, rispetto alla relazione della Giunta, anche le difficoltà del settore agricolo e del comparto agropastorale in particolare, siano le emergenze di riferimento principali che dobbiamo considerare nel valutare e nell'assumere decisioni sull'uso di queste limitate risorse. La proposta della Giunta comunque di per sé dava indirizzi nettissimi e chiarissimi di impegno di grande parte delle risorse in direzione degli investimenti, per far fronte alle emergenze che prima richiamavo. Questo va riconosciuto perché l'impostazione era condivisibile già nella proposta iniziale. D'altra parte, le scelte prioritarie in direzione dell'impegno di risorse verso gli investimenti, che la Giunta faceva, riguardavano scelte chiare e precise, in primo luogo il concorso di risorse regionali per attuare e attivare l'accordo per la Sardegna centrale; in secondo luogo l'integrazione delle risorse con oltre 180 miliardi del fondo, in parte già previste dal bilancio del 1992, per riattivare il settore dell'edilizia, in particolare realizzare opere pubbliche per dare attuazione all'accordo sottoscritto con le organizzazioni sindacali per dare risposte all'emergenza occupativa.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FLORIS

(Segue LADU LEONARDO.) La terza scelta era quella di fornire, rispetto alla esiguità di risorse, una dotazione adeguata alle leggi i incentivazione industriale. Queste erano le scelte fondamentali che ha compiuto la Giunta nella proposta di adeguamento di bilancio.

Debbo dire che la Commissione si è inserita in questa linea e forse l'ha accentuata in uno sforzo di selezione ulteriore della spesa. Questo va obiettivamente riconosciuto ai lavori della Commissione, al di là delle considerazioni particolari, sicuramente in parte condivisibili, che faceva il collega Cogodi, perché la Commissione, tra le mille pieghe ed i rivoli del bilancio, prosciugando e tagliando, ha recuperato circa 100 miliardi e questi 100 miliardi li ha riversati sulla legge "22" e sulla legge "66" integrando quindi la quota di risorse già assegnata nella proposta della Giunta per le leggi di incentivazione industriale. E con scelta propria - voglio a questo riguardo fare alcune considerazioni - la Commissione ha riservato una quota di queste risorse all'agricoltura e in particolare al comparto agro-pastorale.

Si tratta di un lavoro che si è sviluppato in coerenza con l'impostazione che era maturata già nella definizione del bilancio del 1993, e che ha cercato di portare avanti nei limiti obiettivi che dobbiamo apertamente riconoscere in questa sede, comunque per la prima volta con chiarezza e con nettezza, una operazione di risanamento del bilancio, di limitazione delle spese di gestione, delle spese correnti e degli sprechi. Credo che dobbiamo riconoscere che questo è stato un obiettivo che abbiamo perseguito con grande unità, con grande coerenza già nella impostazione della manovra di bilancio e che è alla base anche delle scelte e delle indicazioni che proponiamo in questa manovra di assestamento. E credo che questo sforzo che qua consolidiamo in qualche modo anche prefiguri con nettezza la linea che dovremo portare avanti nella impostazione della legge di bilancio per il 1994 e nell'esame della proposta di assestamento del bilancio 1993.

Sicuramente questa operazione non è stata nel passato facile e sarà ancora più difficile nel futuro, però è una scelta ormai irreversibile, non si può tornare indietro, la difficoltà dipende in gran parte dal fatto che le problematiche di risanamento del bilancio si intrecciano con quelle più complesse che riguardano le tematiche della riforma della Regione e della riforma degli enti strumentali, e con le resistenze, perché non dirlo, corporative, durissime che hanno rappresentanza politica aperta anche in questa sede e in questo Consiglio. Ma lo sforzo che stiamo compiendo credo vada valorizzato e sostenuto con convinzione perché vi è la necessità non solo di un confronto ma anche di un impegno politico perché possa compiersi positivamente. Nelle considerazioni iniziali ho fatto cenno alla sottovalutazione che, nella proposta iniziale, era stata fatta dalla Giunta del settore agricolo e di quello agro-pastorale in particolare. La Commissione ha corretto la proposta della Giunta prevedendo finanziamenti inadeguati, sicuramente esigui pur essi e limitati per questo settore, in particolare per il comparto lattiero-caseario. Vorremmo, quindi, che in questa sede questi elementi venissero seriamente considerati; abbiamo l'impressione che il fuoco sia sotto le ceneri e la rassegnazione è forse oggi la risposta che queste categorie di lavoratori danno, non avendo più neanche la forza di esprimere con la rabbia e con la protesta sociale una rivendicazione sacrosanta rispetto a una situazione che rischia di diventare drammatica. Voglio fare a questo riguardo una considerazione generale, seppure brevissima: ieri l'assessore Collu, magistralmente, ci ha detto che la crisi enorme, immensa che ha investito la nostra terra, la nostra Isola, non richiede soltanto interventi e proposte economiche; la crisi ha messo in discussione valori, idee, la stessa identità del nostro popolo che è più che mai disorientato. Ma, forse, la discussione di questi giorni ha riguardato più il rapporto fra cultura e lingua che fra cultura e vita. Mi sembra di poter fare questa osservazione a conclusione di quella discussione. Ora io credo, riprendendo le considerazioni che facevo rispetto a una particolare categoria di lavoratori, quali quelli del mondo agro-pastorale, che uno dei valori fondamentali intorno a cui ricostruire una nuova identità della Sardegna moderna e del popolo sardo è simbolicamente la terra. Ne parliamo sempre di meno in quest'Aula, e conseguentemente, rispetto ad essa, facciamo scelte inadeguate; e mentre dico "simbolicamente la terra", penso a una cultura urbana che è sempre più dominante, ma non alla cultura urbana positiva che riguarda il modo di organizzare la propria vita e migliorare la qualità della vita degli uomini della comunità regionale o di tutte le comunità; quanto piuttosto ai valori urbani di una società dove si affermano sempre più il degrado e l'omologazione. E allora il valore della terra, in contrapposizione a questa cultura urbana, credo che debba essere un punto di riferimento della nostra riflessione per le scelte parziali che facciamo oggi ma soprattutto che faremo in sede di bilancio. Dobbiamo con forza, oggi, mentre le comunità locali più direttamente legate a questo valore, alla terra, sembrano essere spinte a una condizione di marginalità, riproporre una forte parola d'ordine che non è assolutamente di retroguardia e che riguarda "tornare alla terra". Insisto su questo tema perché in questi ultimi mesi, lo dico orgogliosamente, sottolineando la positività del nostro lavoro, abbiamo adottato provvedimenti di grandissima importanza, in tutti i settori, ma in particolare provvedimenti che interessano l'intero ventaglio dei settori produttivi, dall'industria all'artigianato, al commercio e al turismo. Le modifiche dei meccanismi di incentivazione sono determinate dall'esiguità delle risorse ma anche dall'esigenza di sburocratizzare il rapporto fra imprenditori e Regione e ristabilire un rapporto naturale invece tra credito e imprenditori che permetta una selezione e un'attivazione dei processi di mercato, liberato da condizionamenti burocratici. Abbiamo fatto un lavoro positivo sulla "66" sulla "22", sulla "21", approvando il piano cave, estendendo i benefici della "268". Abbiamo, credo, apportato modifiche che sicuramente determineranno risultati positivi nel tessuto economico e produttivo della Sardegna. Purtroppo, però, lo dico con forza, dobbiamo registrare che mancano, nel contesto di questo lavoro, cioè nell'adeguamento normativo al contesto produttivo complessivo, uno sforzo e un impegno per quel che riguarda un settore primario fondamentale per la Sardegna, quello dell'agricoltura e della pastorizia. In questo settore, che pure, io credo, soffre di una crisi strutturale pesantissima e probabilmente, per il disagio sociale ed economico in cui versa, più di altri necessitava di interventi adeguati, di correzione normativa e di impostazione di politiche nuove per rilanciarlo e creare le condizioni di sviluppo, siano rimasti praticamente fermi. Ripeto, questa riflessione generale riguarda un tema culturale che approfondisce le considerazioni che faceva Collu e che riguarda il rapporto tra cultura e vita. Queste tematiche che fanno parte della nostra storia, della nostra vita, non possono essere da questo Consiglio, che talvolta è travolto nell'attenzione dalle emergenze particolari, essere considerate marginali o inopportune.

Facevo considerazioni per quel che riguarda l'adeguamento della normativa per far fronte con politiche moderne a questo settore; non voglio, in alcun modo, ridurre queste riflessioni a una pura e semplice contestazione degli indirizzi e delle proposte di politica agricola e nel comparto agro-pastorale, che l'Assessore sta portando avanti. Sarebbe d'altra parte irresponsabile da parte mia disconoscere che l'Assessore sta lavorando tra enormi difficoltà per impostare e attuare un accordo che riguarda un complesso di tematiche che vanno considerate unitariamente, per restare nel comparto agro-pastorale, quali sono le tematiche che riguardano la sanità del bestiame, l'adeguamento dei caseifici alle norme CEE, il sostegno alla commercializzazione. Già in questo provvedimento, a questo riguardo assumiamo alcuni impegni precisi e definiti. Non voglio neppure polemizzare in alcun modo con l'impostazione per affrontare queste tematiche, al di là della polemica che si è sviluppata in questi mesi in Sardegna per la definizione di questa proposta globale complessiva, perché hanno concorso alla definizione di un programma tutte le categorie, le rappresentanze dei produttori. Voglio però dire come, ancora, la Regione sarda, allorché dai programmi e dai piani deve passare alle scelte concrete, per esempio per quel che riguarda la fissazione del prezzo del latte, non è in grado di portare avanti una politica di innovazione, una politica coraggiosa, una politica che, appunto, tenga conto di un contesto di mercato che è assolutamente modificato, e soprattutto dell'esigenza che noi mettiamo in campo soggetti imprenditoriali che siano in grado di affrontare le condizioni nuove dell'economia. Immaginate che lo scorso anno in questo comparto, dopo molti anni, per la prima volta, la nostra produzione è stata interamente venduta e un prezzo sostenuto per le nostre produzioni quest'anno poteva probabilmente essere contrattato più liberamente, senza i condizionamenti determinati dalle giacenze relative a produzioni degli anni trascorsi, tenendo conto anche del favorevole andamento del dollaro, e in considerazione del fatto che un'operazione di aumento dei prezzi era resa necessaria dalla diminuzione delle compensazioni comunitarie e dalla necessità di ricapitalizzare le imprese perché facessero fronte agli impegni di adeguamento delle strutture aziendali alle normative CEE. La Regione imposta una politica inadeguata; non compete a lei fissare il prezzo, ma fa una scelta di parte che si dimostra sicuramente inadeguata e probabilmente perdente per la Sardegna. Questa è solo un'esemplificazione che volevo fare per portare alla vostra attenzione il tema di fondo che, ripeto, simbolicamente potrebbe essere chiamato "ritorno alla terra". Questo è il quadro entro cui esaminiamo questo provvedimento. Io sono convinto, a conclusione di una fase impegnativa dei lavori del Consiglio regionale, che abbiamo senza enfatizzare il risultato del nostro lavoro, compiuto un lavoro sicuramente positivo anche se di efficacia limitata, di questo siamo assolutamente convinti. Anche questo provvedimento non sarà sicuramente risolutivo delle difficoltà enormi che attraversiamo, perché rispetto alla drammatica situazione regionale, di cui abbiamo consapevolezza, siamo sicuramente conviti che non vi si può far fronte soltanto per così dire con misure interne, ma tuttavia questa volta, forse più di altre, non solo a parole ma coi fatti, dobbiamo essere soddisfatti del nostro lavoro e possiamo forse affrontare la partita decisiva che riguarda il confronto del Governo sulle questioni centrali e drammatiche con più volontà unitaria e con più convinzione. Credo che le misure che abbiamo adottato in questi giorni possano ricompattare con grande sforzo unitario il Consiglio regionale per affrontare la partita decisiva del confronto con lo Stato sulle questioni centrali che riguardano il futuro della nostra gente.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Sandro Usai. Ne ha facoltà.

USAI SANDRO (D.C.). Signor Presidente, onorevoli colleghi, avendo fatto parte della Commissione bilancio che ha esaminato il testo presentato dalla Giunta per la finanziaria bis del 1993, è chiaro che non posso che condividere l'impostazione data dalla Commissione che ha integrato in modo consistente la proposta formulata dalla Giunta. La manovra finanziaria si muove sulla strada giusta, d'altronde anche sostenuta dalle opposizioni, cioè sulla strada del contenimento delle spese correnti, dell'incremento dei fondi per lo sviluppo economico e dell'aumento delle spese per gli investimenti. Le spese correnti sono state ridotte al minimo, abbiamo decurtato vari capitoli di bilancio, abbiamo riservato tutto il riservabile alle politiche di settore nei comparti economici, abbiamo aumentato le spese per gli investimenti: significativo l'aumento consistente fatto per la "44" e la "66". Tra l'altro questa manovra finanziaria è andata di pari passo con tutta la nuova legislazione di settore che si è votata in quest'Aula in questi giorni, su proposta della Giunta, anche questa con modifiche importanti redatte in sede di Commissione di merito. Infatti voglio ricordare che quest'Aula nei giorni scorsi ha varato una nuova legge sugli incentivi all'artigianato, sugli incentivi all'industria alberghiera, sugli incentivi al commercio, una legge importante, la "21", di cui ieri abbiamo parlato in Commissione, la convenzione con gli istituti bancari, gli incentivi per l'industria cioè la legge che sopperisce alle carenze conseguenti alla cessazione di efficacia della "64" nazionale. Ha portato determinanti modifiche alla "66" determinando il nuovo limite delle piccole e medie industrie e stabilendo un nuovo tipo di incentivazione, ha introdotto anche un istituto abbastanza nuovo, quello delle anticipazioni sulle commesse, per far fronte alle difficoltà in cui versano moltissime aziende isolane. Insomma ha portato interessanti innovazioni che interessano tutto il comparto produttivo attuando di fatto l'orientamento che la Giunta regionale aveva espresso nelle sue dichiarazioni programmatiche. E' chiaro che tutto ciò non è sufficiente a risolvere i problemi dei comparti produttivi in Sardegna, la grande crisi del settore industriale. L'aver puntato esclusivamente nel passato sulla grande industria di Stato si è rivelato fallimentare e il modello di sviluppo regionale si è discostato notevolmente da quello nazionale ed europeo improntati principalmente sulla piccola e media industria. Voglio ricordare ancora una volta che se l'Italia è diventata la quinta nazione industriale del mondo, non è dovuto, questo, al fatto che si sono sviluppate la FIAT, la Pirelli o l'Olivetti, ma dal fatto che si sono sviluppate in Italia, in particolare snelle regioni del Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, Piemonte e così via, tutta una serie di piccole e medie imprese, che sono quelle che stanno riuscendo ad adattarsi meglio delle grandi industrie alla crisi mondiale e sono quelle che mantengono alte le esportazioni in Italia, che mantengono alta la ripresa economica in Italia e ciò tra l'altro, benché sono più suscettibili alla innovazione tecnologica, si adattano più facilmente ai mutamenti delle esigenze del mercato. La FIAT si adatta con più difficoltà e con maggiore vischiosità alle richieste innovazioni del mercato, questo invece non avviene nella piccola industria.

Nel settore dell'agricoltura siamo quasi all'anno zero se si pensa per esempio che nel settore più importante quello zootecnico, settore ovino, manteniamo deficienze strutturali che ci collocano fuori dall'Europa. L'Assessore dell'agricoltura si sta affannando ad ottenere una proroga dalla Comunità europea e se non otterremo questa proroga noi non potremo più esportare il latte ovino sardo, perché la produzione di questo latte non risponde ai requisiti minimi di carattere igienico previsti dalla normativa europea.

Nel settore turistico peraltro la dissennata politica turistica degli ultimi armi, unita ai ritardi e alle incertezze nell'attuazione della legislazione paesistica, ha fatto allontanare fino adesso investimenti e turisti. Speriamo che il varo dei piani paesistici, dando certezza giuridica, riporti in qualche modo l'attenzione degli investimenti e speriamo venga attuata una politica che in qualche modo soddisfi la grande industria e incoraggi il turismo. Un articolo della finanziaria viene incontro alla crisi del comparto turistico spostando di due anni, per esempio, il pagamento delle rate di mutuo scadenti nel 1993-1994.

Questi sono i problemi veramente importanti che vanno urgentemente esaminati, sviscerati, capiti, e sono capitoli che vanno ancora scritti. Oggi certamente in questa manovra di assestamento non si può fare più di quanto si è fatto, ma domani, con la finanziaria del 1994, dovremo sicuramente proseguire nell'opera di riduzione, di contenimento della spesa corrente e aumento degli investimenti nei settori produttivi, nella ristrutturazione intera del comparto produttivo. Dobbiamo senz'altro darci una vera politica industriale attivando una costante azione di promozione industriale, cercando di realizzare tutte le condizioni perché possa svilupparsi questo tessuto industriale. Io, a integrazione di quanto già detto da chi mi ha preceduto, dal collega relatore Selis, dal collega Ladu, voglio comunque ricordare tre grandi problemi che abbiamo di fronte in questo scorcio di legislatura: il primo è quello della provvista finanziaria. Questo Consiglio ha mutato rotta nel sistema delle incentivazioni finanziarie, passando dal sistema dei contributi a fondo perduto, a valere su fondi regionali, al sistema invece dell'abbattimento del costo del danaro acquisibile sul mercato finanziario. Questo richiede ovviamente una provvista finanziaria che si aggira intorno ai 3 mila miliardi che va reperita sul mercato e che richiede una particolare attenzione di promozione da parte del Governo regionale. Noi abbiamo avuto occasione di sentire il Presidente della Giunta regionale, in sede di Commissione bilancio e ci ha assicurato che, appena varate queste leggi e questo assestamento di bilancio, avrebbe sicuramente intrapreso un'azione con gli istituti di credito per poterli convincere ad attivare la ricerca sul mercato nazionale e internazionale di questa provvista finanziaria. Diversamente, se le banche non reperiranno queste risorse finanziarie per dare mutui ai loro clienti, sui quali la Regione poi abbatte il costo degli interessi, è chiaro che tutta la nostra politica diventa una politica inutile, diventa una politica improduttiva perché mentre prima i diversi comparti almeno in minima parte avevano dei contributi a fondo perduto, finiranno per non avere né contributo né mutuo.

Il secondo problema è quello del debito a breve che grava su questa Regione. Io voglio ricordare ai colleghi che noi a breve dobbiamo reperire 40 miliardi circa sulla sanità, 40 miliardi per il saldo delle spese correnti, la sanità ha richiesto 72 miliardi, questo assestamento gliene dà soltanto una trentina; 40 miliardi per le spese correnti, 40 miliardi per le deroghe votate nel 1992, 105 miliardi per pagare l'arretrato dovuto ai disabili di mente, 80 miliardi circa per il sardo del debito AIAS, 12 miliardi per l'adeguamento strutturale dell'ospedale di prima specialità, 150 miliardi circa di debiti nei confronti del sistema farmaceutico, oltre alle spese da affrontare per quanto riguarda le nuove patologie, AIDS e così via, sono all'incirca, solo per la sanità, 450 miliardi. Per l'industria abbiamo debiti per 215 miliardi circa, anzi di più; 36 miliardi e 700 mila servono per ripianare i debiti dell'EMSA, 24 miliardi e mezzo per l'accordo Eni-miniere con l'Eni; 24 miliardi per la Sardamag; 125 miliardi per la SIPAS, oltre a una cifra indeterminata che non è ancora da me conosciuta per quanto riguarda la Mineraria Silius. Abbiamo quindi un debito da affrontare a breve termine non inferiore ai 215 miliardi. Siamo già arrivati a 700 miliardi. In agricoltura per miglioramenti fondiari e per innovazioni tecnologiche servono 100 miliardi e ne sono stati assegnati in questo bilancio 35. Quindi arriviamo a circa 800 miliardi. Questi sono debiti a breve e noi dovremo sicuramente nella prossima finanziaria fare delle riduzioni drastiche del bilancio regionale e indebitarci ancora perché questi sono debiti certi, non sono debiti incerti che possiamo evitare di pagare.

Il terzo problema è chiaramente quello della nuova politica della Regione come imprenditore. Dei 215 miliardi di debito che riguardano il sistema industriale, buona parte sono conseguenti all'attività della Regione come imprenditore e noi dobbiamo affrontare questo problema seriamente e stabilire che ruolo deve avere la Regione come imprenditore nelle sue partecipate che accumulano soltanto debiti. Questa nuova politica non può essere determinata soltanto con un'azione di ingegneria istituzionale, non può essere affrontata ristrutturando gli enti perché i debiti rimangono. Quando noi aboliamo 1'EMSA rimangono i 36 miliardi di debiti, quando noi modifichiamo la SIPAS rimangono comunque 125 miliardi di debiti, rimangono cioè questi problemi.

Noi dobbiamo fare un discorso chiaro prima della prossima finanziaria, in sede di Consiglio e di Giunta chiaramente, per porre mano a questo bubbone, decidere le cose da tenere e le cose da dismettere, naturalmente con un riguardo all'occupazione. Sicuramente con un riguardo all'occupazione, ma certamente cercando di contenere, di ridurre e comunque di porre fine a questi pozzi senza fondo che sono le partecipate.

Questo chiaramente è lo scenario che noi avremo davanti in questi prossimi mesi; è chiaro che la proposta del disegno di legge va senz'altro approvata dall'Aula, e merita il consenso di tutti quanti, non soltanto della maggioranza, ma anche dell'opposizione, perché è lo sforzo massimo possibile in questo momento, ma dobbiamo tutti quanti tenere presenti, Giunta e Consiglio, che nei prossimi mesi, da qui alle elezioni, abbiamo questi tre grandi problemi da affrontare senza la cui soluzione, noi sicuramente mandiamo a fondo la barca della Regione sarda.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Puligheddu. Ne ha facoltà.

PULIGHEDDU (P.S.d'Az.). Signor Presidente, colleghi consiglieri, prima di iniziare il mio brevissimo intervento, dichiaro l'adesione del nostro Gruppo alla proposta del Presidente della Commissione e del collega Cogodi, perché vengano presentate in un ordine del giorno delle direttive per il prossimo bilancio. Questo anche perché, di solito in quest'Aula si parla ma non ascolta nessuno, tanto meno gli Assessori interessati, che quindi non tengono certamente conto delle cose che si dicono.

Venendo all'argomento in discussione, cioè la manovra bis, nel senso che si tratta comunque di una manovrina del bilancio e quando si dice bis è davvero bis, perché si è seguito il sistema già usato nella prima manovra e si sono riscritte le stesse voci, così come erano previste, cercando di recuperare quello che in prima battuta era stato sospeso. Si era deciso in occasione della discussione del bilancio di sospendere alcune norme per cercare di riscriverle in seguito, possibilmente migliorando o abolendo quelle leggi e leggine di cui si è fatto cenno ieri nella discussione, che vengono di volta in volta presentate, con una previsione di spesa di pochi milioni che poi diventano centinaia e qualche volta miliardi. Sono quelle leggine che orientano il bilancio in senso negativo, che non tengono conto degli indirizzi dati e dei risultati che si vogliono raggiungere ma prevedono una spesa perché magari è stata prevista a livello locale. Nelle varie riunioni in Commissione l'opposizione ha offerto la disponibilità a cercare, anche se si tratta di una somma forse non rilevante rispetto al bilancio complessivo, di non perdere questa occasione per impegnare tutto nell'apparato produttivo della Regione, tenuto conto dell'ampia maggioranza che appoggia questa Giunta e della disponibilità dell'opposizione a un'operazione di questo genere, tenuto conto delle grosse necessità della Sardegna in questo momento, tenuto conto che molti dei consiglieri regionali che sono qui presenti oggi non ci saranno più la prossima legislatura e quindi possono ragionare in un modo più sereno, su un indirizzo della spesa che rappresenti finalmente quello spartiacque di cui si è parlato oggi per superare un sistema assistenzialistico, di spendita a volte non ragionata, e arrivare a spendere meglio le poche risorse finanziarie restanti. Poche perché i tagli di questi ultimi anni sono molto dolorosi e si sentono e si tenta in qualche modo di farvi fronte, perché a questo non siamo arrivati oggi, naturalmente, ma con i provvedimenti che il Governo ha varato negli ultimi anni, tanto da convincere la Giunta ad aprire una guerra istituzionale nei suoi confronti. Il Governo ha ricevuto ripetutamente i componenti della Regione e ci si aspettava dei risultati, ma un documento dalla Giunta portato in Commissione proprio per la vertenza Sardegna, ci annunciava la sconfitta, dandoci in questo modo un quadro reale della nostra situazione e convincendoci che, se non avessimo impegnato al meglio le risorse, le cose sarebbero andate malissimo. Ci sono stati vari incontri tra la Giunta e rappresentanti del Governo centrale, alcuni anche qui in Sardegna. Ricordo l'incontro con l'allora sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Cristofori. In quell'occasione era venuto anche Cragnotti, mi pare che così si chiami l'attuale presidente della Lazio, che forse ha acquistato la società con i soldi della chimica. Quando è cambiato il governo - perché c'è stato un susseguirsi di cambiamenti di Governo - pur essendo stato promosso Cristofori al rango di Ministro, a trattare i problemi della Sardegna, è stato mandato Baratta, il quale non conosceva le cose, o forse non le voleva conoscere. Siamo quindi ripartiti daccapo con discorsi diversi, poi, caduto quel Governo, finalmente al Ministero dell'industria che ha competenza sulle questioni della Sardegna è andato un tecnico. Savona tra l'altro ha il pregio di essere sardo, forse ha anche il difetto di cui parlava poc'anzi il collega Cocco, lui non ha una sola parte di piemontese, si sente piemontese per intero, come tutti i sardi che diventano importanti e cercano di essere più italiani degli italiani, danneggiando così la causa della giustizia che, proprio per questa ragione, viene travisata. Savona ovviamente ha negato la possibilità, almeno in un primo tempo, di mandare avanti quello che era previsto nella vertenza Sardegna. Quindi non ha trovato soluzione l'esigenza di migliaia di lavoratori di potere anche in qualche modo cambiare senza che questo significhi licenziare, né raggiungere l'obiettivo, che in questi giorni è stato raggiunto, di avere più pensionati che lavoratori. Questo fatto naturalmente è dovuto a un certo tipo di politica e ai licenziamenti e per questo oggi in Italia, in Sardegna in particolare, ci sono più pensionati che in altre nazioni. A questo numero per fortuna non è stato aggiunto quello dei cassaintegrati che sono anche loro dei pensionati, anomali; pensionati, anche se sono in attesa di lavoro e non hanno ancora l'età per essere considerati tali. A questo punto si ha l'impressione che le ostilità vengano dichiarate, non dalla Giunta al Governo, ma dal Governo alla Giunta, alla Sardegna in generale.

Io vorrei tornare al problema del bilancio e degli accantonamenti che erano stati fatti. Alcune cifre erano state accantonate perché potessero poi essere reinserite in bilancio, con una destinazione migliore. Da un'indagine fatta dal Presidente della Commissione, risulta che ogni dipendente riceve dalla Regione, in servizi circa 20 milioni. Tenuto presente che in un ufficio possono esserci fino a quattro dipendenti, si capisce quale sia la misura della spesa in questo settore. Si era chiesto, nel sospendere una parte di questi servizi ai dipendenti, un controllo rigoroso in particolare sull'uso dei telefoni. Il collega Cogodi non ha richiamato questo aspetto, perciò intendo parlarne io. Chi telefona alla Regione si sente rispondere molto spesso, attraverso un messaggio preregistrato, che l'impiegato è momentaneamente assente. Non si è tenuto conto, nell'offrire questo servizio, che il cittadino che telefona e non trova l'impiegato comunque paga per la chiamata, che spesso è un'interurbana. Si era detto in Commissione che in assenza dell'impiegato sarebbe opportuno non utilizzare alcun messaggio preregistrato per evitare al cittadino di pagare inutilmente. Naturalmente non si è tenuto conto di questo suggerimento. Invece nel provvedimento in discussione si è deciso di riscrivere le stesse somme negli stessi capitoli. Non si è tenuto conto neanche della sospensione decisa in Commissione, in occasione della discussione del bilancio. Un'altra osservazione di cui non si è tenuto conto è che mentre di solito i patrimoni producono ricchezza, il patrimonio della Regione produce spesa. Noi spendiamo centinaia di milioni per vigilare su Surigheddu e Mamuntanas, le due proprietà nel territorio di Alghero per il cui acquisto abbiamo spesso miliardi. Non si è ancora decisa la destinazione di questi beni acquistati dalla Regione per la Regione. Abbiamo alcuni pastori che vi pascolano le loro pecore e che oltre a questo naturalmente noi paghiamo. Inoltre, in un periodo in cui gli affitti dei locali sono in continuo aumento, noi ricaviamo dall'affitto degli immobili di proprietà della Regione cifre inconsistenti. Abbiamo speso miliardi per fare il censimento delle nostre proprietà. Sarebbe utile che la Giunta riferisse sugli utili e sulle spese relative a queste proprietà. Sono stati fatti dei cenni sull'AIAS, sulle deroghe, sulla legge "44", sulle farmacie. Si tratta di una parte dei debiti della Regione. Ci sono tanti altri debiti che non risultano nel bilancio e di cui certamente dovremo tenere conto. Da qui la necessità di impegnare la Giunta a presentare, in occasione della predisposizione del prossimo bilancio, un rapporto preciso sullo stato finanziario della Regione. Il collega Cogodi ha infine richiamato il problema delle proprietà dismesse delle basi militari. Io ritengo questo fatto gravissimo e non penso possa essere considerato una distrazione. A La Maddalena ci sono 62 casupole in cui trent'anni fa stavano i militari in servizio nell'isola. Da circa vent'anni queste palazzine sono state occupate dai senzatetto, quindi dismesse di fatto anche se non sulla carta.

Il sistema di presentazione delle voci di bilancio è così contorto che talvolta è di difficile lettura e se uno non segue puntualmente facendo riferimento alle leggi in questione, rischia di non sapere per che cosa vota. Oggi noi dovremmo prendere 62 appartamenti dismessi dalle forze armate, probabilmente in cattivissime condizioni, e costruirne 50 nuovi per i militari. Teniamo presente che una volta che questi 62 appartamenti saranno nostri dovremo probabilmente metterli a posto per convincere la gente a pagare l'affitto perché sicuramente chi li occupa non paga. Ma è possibile che non si convenga che è più opportuno costruire 50 appartamenti nuovi per la gente e esigere regolarmente l'affitto? Parlo delle basi militari perché in questi giorni c'è un altro grosso problema a questo proposito: a Teulada le autorità militari vogliono installare un radar. Si sono pronunziati contro, per l'eccessiva presenza in quel sito di basi militari, i comuni vicini, si è pronunciata contro anche la rappresentanza della Regione nella Commissione paritetica sulle servitù militari ma si insiste nel volere quel terreno per installare il radar. Il collega Baroschi ha proposto l'istituzione di una Commissione che si occupi del problema dei beni dismessi dalle società minerarie. Penso che questa sia una questione analoga. Per quale ragione dobbiamo permettere che si installi questo radar a Teulada dove il territorio è occupato quasi completamente dalle basi militari? Poi probabilmente dovremmo ricomprarlo a prezzi certamente maggiorati. Chi dirige le basi militari ritiene di continuare a vessare la nostra Regione installando strumenti che la gente rifiuta. E' ora di smetterla. Ieri abbiamo approvato una legge per la tutela della lingua e della cultura in Sardegna, ma cultura è anche poter stabilire le cose che in Sardegna si possono e quelle che non si debbono fare. Crediamo che la Sardegna contribuisca ampiamente, col suo territorio, per le basi militari, soprattutto se si tiene conto anche delle basi americane presenti proprio a La Maddalena. Se le autorità militari vogliono fare altre installazioni militari le facciano fuori dal nostro territorio, perché queste cose limitano le nostre possibilità di sviluppo.

Prima di concludere, voglio dare invece una valutazione positiva sui finanziamenti per la ricerca previsti in questo provvedimento. Per insistenza non solo delle opposizioni ma di tutta la Commissione si è indirizzata certamente in modo migliore, rispetto a quanto previsto nella proposta della Giunta, la spesa per lo sviluppo dell'apparato produttivo della Sardegna, dando spazio alla ricerca che è certamente importante e che speriamo ci liberi dalla necessità di accettare nostro malgrado quello che ci viene proposto dall'esterno. Speriamo che questa ricerca ci conduca finalmente all'indipendenza anche nello sviluppo della nostra Isola.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Merella. Ne ha facoltà.

MERELLA (Gruppo Laico Federalista). Signor Presidente, colleghi consiglieri, questo impegno politico di agosto, che si presenta inedito per molti aspetti, chiama oggi l'Assemblea, cioè la massima istituzione rappresentativa regionale, a occuparsi della manovra finanziaria di assestamento, che l'attuale Giunta ci propone, in un momento, di peculiare rilevanza politica, di peculiare rilevanza economica e sociale e anche istituzionale. Noi abbiamo fatto cenno alla inusualità dell'impegno politico perché non ci sfuggono i connotati istantaneamente riscontrabili di diversità e di novità. Discutiamo la manovra ad agosto con la dichiarata volontà di avere le risorse spendibili già da metà settembre. L'entità delle risorse di cui viene previsto l'utilizzo è di rimarchevole ampiezza; si avverte cioè la determinazione di immettere nel circuito della spesa quanto più è possibile al fine, noi pensiamo, di attenuare con ogni mezzo e strumento l'impatto di una molto probabile stagnazione, che è tutta collegata, a nostro avviso, e al blocco dei flussi finanziari collegati al funzionamento della "64" e al mancato prorogarsi delle annualità della "268" e al blocco dei trasferimenti di ANAS, ENEL, SIP, ENI, Ferrovie dello Stato e di tutto quell'altro arcipelago di pubbliche risorse, che di fatto contribuiva a tenere in piedi una economia molto particolare, una economia caratterizzata da realizzazioni di infrastrutture nuove, da manutenzioni, da ammodernamenti, da ristrutturazioni, attraverso l'utilizzo della piccola e media impresa di servizio, attraverso l'erogazione di decine di migliaia di salari che poi supportavano il ventaglio dei consumi. Quindi l'anticipazione della manovra di assestamento si colloca in questo quadro di sempre più emergente e progressiva constatazione di mancati trasferimenti che va di pari passo con le drammatiche battaglie di queste settimane finalizzate alla difesa degli impianti della grande industria petrolchimica, piombo zincifera, cartaria ed estrattivo-mineraria, e con la constatazione di una deprimente stagione turistica che butta molta acqua sugli entusiasmi di chi a tale settore pensava e vuole continuare a pensare in termini di sostitutività e non in termini di complementarietà.

Tutto questo avviene oggi in Sardegna, avviene cioè in una delle venti regioni in cui è diviso e articolato il nostro Paese che, non bisogna dimenticarlo, sta vivendo un momento di trasformazione ampia, profonda e dai connotati ancora non ben individuati e forse non facilmente intellegibili. Per cui noi azzardiamo anche a pronunciare un convincimento che cercheremo di argomentare con semplici e brevissime riflessioni. A me pare che l'interessante dibattito ancora in corso sulle colonne della stampa isolana, che sollecita tutti coloro che vogliono dire qualcosa di utile e di originale, su come in Sardegna bisogna impostare una nuova e diversa fase dello sviluppo, sia fortemente carente di un elemento non trascurabile anzi decisivo. Quale sarà la connotazione strutturale del nostro Paese e quindi anche della Sardegna all'indomani del compiersi e del completarsi delle profonde modificazioni in atto, modificazioni che possono essere riassunte con la conclusione dell'indagine di tangentopoli che, a nostro avviso, lascerà tracce indelebili nel formarsi del personale politico che siederà nel futuro Parlamento del Paese? Quanti uomini come Ajala, come Di Pietro, come Borrelli, come Ciampi, come Gallo, come Caselli, come Ronchey, come Savona, Scalfari e altri ancora prenderanno il posto dell'attuale vecchio personale politico tutto liquidato e spazzato via come vecchia nomenclatura partitocratica e che si porterà forse appresso anche logiche che ad esso appartenevano, non solo e purtroppo quelle finalizzate alla propria autosopravvivenza, ma anche quelle ambivalenti permette di ragion politica e di connotato sociale e assistenziale che consentivano la sopravvivenza di quel tessuto industriale, salvagente ineludibile per una società, per partiti, per sindacati di un territorio e di una Regione ai limiti del sottosviluppo? Porci questa domanda non deve sembrare, a mio avviso, un inutile esercizio di futurologia, quando va diventando sempre più forte l'enunciato che il Mezzogiorno d'Italia deve convincersi della necessità di dover provvedere ob torto collo ai propri bisogni di sviluppo, con le proprie autonome capacità di produzione o di ricchezza, con una ancora per niente percettibile esistenza di accumulazione di risorse endogene, che debbono essere il volano indispensabile per supportare qualsivoglia intrapresa, dal momento complesso della produzione a quello ancora più difficile della vendita.

In poche parole è fortissima la volontà di dimenticare quel termine magico che va sotto il nome di solidarietà e tramite il quale, con criteri tutti italiani, si è alimentata la sopravvivenza del Sud e si è consentito il miglioramento del tenore di vita delle popolazioni delle regioni meridionali, Sardegna compresa, ma si è preso atto, ahimè, del crescere rigoglioso e forte di una realtà malavitoso-criminale alimentata dalla massiccia immissione di risorse pubbliche e quindi dalla massiccia occupazione di essa dentro i partiti politici e tramite questi nelle istituzioni elettive. Le ceneri del Sud ci appaiono molto diverse da quelle del Nord e quindi io non temo l'incontro Ciampi-Bossi per le ragioni che hanno alimentato la preoccupazione di Occhetto. Lo temo per l'eventuale verificarsi di concordanze che, prendendo lo spunto dal coincidente giudizio dell'eccessività del drenaggio fiscale, porti il Governo di oggi e di domani all'adozione di una sempre più marcata politica di tagli sulle spese, che obblighi a vistose decurtazioni dei flussi e degli investimenti nel Mezzogiorno.

In quest'Aula, nel corso di numerosi dibattiti e confronti, altri autorevoli colleghi hanno dichiarato la difficoltà del confronto politico, sottolineando la tipicità degli interlocutori, banchieri che ragionavano esclusivamente alla luce delle risultanze dei bilanci, con l'obbligatorio vincolo dello stacco improcrastinabile del respiratore automatico, non solo come è ovvio a quei pazienti con l'elettroencefalogramma piatto e in stato di coma dépassé, ma anche a coloro che potevano lasciar sperare il miglioramento, il recupero e la guarigione ove si fosse predisposta la terapia più appropriata e i provvedimenti più consoni al caso. Sono proprio questi banchieri di oggi che insieme a tanti altri, impegnati lodevolmente, lo dobbiamo dire, nella grande operazione di pulizia e di decapitazione di quanti hanno abusato della fiducia e della delega degli elettori, sono questi che assumeranno ruoli, competenze e compiti dai quali discenderanno le speranze di sopravvivenza e di riscatto di tanta parte del nostro Paese, di quello endemicamente più debole e meno infrastrutturato, tutto minato dal mal sottile della corruzione partitocratica, minato dall'uso clientelare dell'esercizio dei diritti e dei doveri, sfiduciato dalla diffusa e permanente assenza dello Stato. Soffermiamoci perciò qualche istante a pensare a questo, che può essere solo piccola parte di un tutto molto più ampio, molto più articolato, molto più complesso.

La capacità di capire come dovranno essere giocate le carte sul tavolo delle decisioni, che incideranno sui percorsi strutturali alla ricerca di uno sviluppo possibile e credibile, dovrà essere massima e a lungo riflettuta e meditata. La consapevolezza che con il futuro assetto istituzionale Parlamento e Governo, radicalmente modificati e innovati, saranno interlocutori ancora più duri ed inflessibili di quanto non lo siano stati nel passato è un dato permanente che non dobbiamo e non dovremo mai dimenticare; quindi durissime battaglie, per affermare il nostro sacrosanto diritto a far parte del novero delle Regioni che vogliono lo sviluppo, ci attendono nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Il professor Savona dice: "Basta con la chimica, basta con il carbone, avanti l'agroindustria, avanti il turismo, impulso all'artigianato, valorizzazione delle risorse locali come il sughero e il granito insieme alla risorsa ambiente da difendere e potenziare". Questo enunciato può anche essere condivisibile ma, come opportunamente sottolinea l'amico Antonio Catte, la Regione non ha la bacchetta magica, né essa è peraltro posseduta da quella piccola e media impresa di cui a proposito si parla in tanti interventi che si sono succeduti nelle scorse settimane; è sufficiente sottolineare un dato estremamente emblematico, l'entità della remunerazione della materia prima trasformata incide per un quinto rispetto al prezzo che sopporta il consumatore all'atto dell'acquisto di un bene di consumo. Questo significa che quattro quinti del valore di un prodotto non si fermano nella nostra Isola ma si dividono in tanti rivoli della distribuzione, e noi purtroppo, in troppi settori, siamo detentori del solo momento produttivo trasformativo, mancando totalmente della commercializzazione. Quali connotati devono assumere il coraggio e la fiducia di cui parla Savona, rivolto soprattutto alle giovani generazioni che si affacciano al mercato del lavoro, forti della loro totale incapacità a conoscere le mille sfaccettature della scommessa che risponde al mitico termine di impresa? Quale coefficiente di attenzione ottiene quel segmento di istituzione pubblica che governa e guida settori come l'artigianato, il turismo, l'agricoltura, la piccola iniziativa industriale? Troppe volte mi pare di cogliere solitudine in chi parla di questi problemi e disattenzione in chi ascolta. Certamente la complessità dei processi di formazione di una nuova imprenditorialità non è disconoscibile, ma non per questo devono essere abbandonati a se stessi e marginalizzati. Molte risposte alle diverse cause di freno che operano sul comparto della piccola e media impresa sono nelle desolanti ammissioni che Giuliano Murgia fa quando accenna ai tempi biblici della struttura burocratica regionale e alle non ben ponderate opportunità insiste nella legge regionale "28". Va avanti da un certo tempo la contestazione forte delle grandi responsabilità del Governo, in termini di assenza e di indisponibilità, così come determinata e risoluta ci pare la proposta di abbandono dei vecchi criteri di intervento, tutti incentrati sulla non frequentazione della industrializzazione per grandi poli. La moderazione e il buon senso, riscontrabili nel contributo di Antonello Soro, stanno ad indicare l'obbligatorietà di un percorso che si stenta a condividere e per il quale occorre un concentrarsi di volontà e di sforzi che oggi si fa fatica ad intravedere. L'uscita morbida dalla totalizzante presenza della grande industria, per di più tutta di mano pubblica, ha bisogno di tempi e di ritmi compatibili con il nascere e il crescere di un tessuto di piccola e media imprese che anche essa ha bisogno di tempi sardi per affermarsi. L'altissimo tasso di mortalità, di queste nuove realtà, il mai verificato impatto in termini di costi e benefici della predetta legge regionale "28", ci fa intuire la peculiarità dello scenario sardo, ove ci si trova a operare. Ma se questa consapevolezza è presente, e noi ci auguriamo che lo sia soprattutto qui, perché tanta incoerenza, tanto assenza di vincoli, tante deroghe e infiniti distinguo per giustificare interventi non coerenti e compatibili col metodo della programmazione e dello sviluppo equilibrato del territorio?

Abbiamo concluso importanti impegni e significativi atti di politica e di programmazione, e primo tra essi l'oculato governo del territorio e la sua articolazione in realtà territoriali subregionali. Nel momento in cui siamo stati costretti a confrontarci con scelte che dovevano dare senso compiuto ai nostri convincimenti di suddivisione equilibrata, noi abbiamo, per l'ennesima volta, preso atto della nostra debolezza strutturale nel confronto con le realtà centrifughe e allocative degli enti locali minori e sicuramente lunga, faticosa, impervia si dimostrerà la strada dell'individuazione di nuovi confini delle realtà provinciali, e forse quasi vano l'impegno di chi, con tenacia e ostinazione, ha voluto potestà primaria omologa a quella siciliana per poter legiferare in questo settore così delicato ed importante.

Qualche mese fa abbiamo dato vita ad una importante operazione di instaurazione di un rapporto nuovo con gli enti locali, trasferendo loro, attraverso criteri predeterminati, un consistente flusso di risorse. I mesi successivi ci dovranno dire e far capire se è stato veramente fatto un utile servizio ed è stato approntato un coordinato sistema di controllo e di analisi sulle modalità della spendita, cioè sull'obbligo della non ripetitività e della non duplicazione degli interventi, sull'efficacia della collocazione delle risorse e il conseguente beneficio che da esse si può trarre. Solo in tal modo sarebbe sostenibile quel concetto di programmazione che c'è parso vacillare nell'impatto con le nuove norme di ripartizione delle risorse. L'abbandono di tali criteri, peraltro non sempre frequentemente rispettati nel passato, significherebbe il capovolgimento di quanto, per un ventennio, si è tentato di fare in questa Isola, con l'ultima scelta in ordine di tempo delle ore programma, che rischiano anche esse di diventare un flatus voci. Per questo noi ribadiamo con forza la determinazione di non abbandonare il metodo della programmazione, ma anzi di porre in essere tutti quei provvedimenti correttivi e perfezionativi che consentano al metodo di far funzionare un utilizzo corretto delle risorse, un'equilibrata, ragionata, oggettiva distribuzione sul territorio, una monitorizzazione continua delle valutazioni costi e benefici degli interventi.

Il Consiglio non deve fare pure e semplici dichiarazioni di principio in tal senso, e all'ordine del giorno che stiamo per firmare, e sul quale c'è tutta la nostra adesione, devono seguire atti concreti, atti di legislazione, provvedimenti vincolanti che vadano su questo versante. Non ci si può limitare a dire che dibattere ed approvare la manovra di assestamento ad agosto consente forse 90 giorni di spendibilità effettiva delle risorse programmate con la medesima manovra.

Tutto questo non è sufficiente, il Consiglio deve realizzare un rapporto di confronto e intesa permanente con la Giunta e con le rappresentanze tutte della società civile sarda, per coordinare gli sforzi, per quotidianizzare la difesa e gli attacchi su un piano di iniziative nelle quali ci sia prima di tutto il massimo della trasparenza e l'assenza assoluta delle reticenza, anche quando si devono prendere determinazioni dolorose, spiacevoli e impopolari. La battaglia per la sopravvivenza della petrolchimica, dell'alluminio, del settore estrattivo e del polo cartario, non può essere questione che interessa i soli addetti, e al massimo coloro che utilizzano gli effetti riflessi della esistenza di questa realtà industriale perennemente in pericolo.

La chiarezza e la trasparenza hanno senso se i durissimi confronti con chi sostiene ipotesi di chiusura diventano un patrimonio di tutti i soggetti che a diverso titolo vivono e operano in questa isola. Ma la realizzazione di questo assunto rivoluzionario postula anche il contrario e cioè che le battaglie, le proposte, le iniziative delle altre realtà della società sarda, devono trovare udienza, ascolto, attenzione, alla pari di quelle che chiedono gli operai per la difesa del loro sacrosanto diritto al lavoro. Dire questo per me e per noi significa innanzitutto andare a rileggere e rivivere quelle indimenticabili pagine della storia sarda di qualche decennio orsono, quando in diversi momenti del nostro vivere e del nostro operare si ritenne necessario fare un appello massiccio di mobilitazione, che sfociò allora nei congressi del popolo sardo. Forse oggi stiamo per vivere uguali esigenze e sollecitazioni in un contesto politico e sociale radicalmente mutato, dove all'acutezza e alla profondità della crisi corrisponde anche un lunghissimo periodo di sfiducia, una diversa volontà di combattere, una quasi assenza di quel collante essenziale che risponde al concetto di solidarietà. Per questo, non volendo oggi pronunciare sul momento giudizi di valore su quanto l'attuale Giunta ci propone, noi attendiamo la proposta di bilancio per l'anno 1994, auspicando un'accoglienza non soltanto delle raccomandazioni che con chiarezza estrema ha voluto proporre il relatore nel suo breve ma coinciso intervento, ma anche dei richiami e delle sollecitazioni che qui abbiamo voluto rappresentare.

PRESIDENTE. Poiché non vi sono altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Per esprimere il parere della Giunta, ha facoltà di parlare l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.

BARRANU, Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio. Signor Presidente e colleghi del Consiglio, questo sia pur breve dibattito ha fornito comunque indicazioni, credo molto efficaci, sui contenuti e sulla portata della manovra che il Consiglio stesso si appresta a votare. Noi stiamo parlando di un assestamento di bilancio, in realtà è un termine improprio perché si tratta piuttosto di una manovra integrativa al bilancio del 1993. Va detto che a questo tipo di manovra dovremmo abituarci, permanendo le modifiche che sono state introdotte alla legislazione di contabilità, che hanno soppresso i residui di stanziamento, ma hanno anche creato una massa di avanzi di amministrazione, che ovviamente è più consistente rispetto a quello che accadeva con le procedure precedenti, perché tutto ciò che non viene impegnato entro il 31 dicembre dell'esercizio costituisce economia, e quindi deve essere reimpegnato nel bilancio dell'anno successivo. E poiché il consuntivo, i dati relativi agli avanzi di amministrazione non sono noti prima del mese di aprile, è evidente che non è possibile reimpegnare queste somme con il bilancio di previsione dell'anno successivo; occorre un provvedimento successivo, integrativo appunto. Questa è quindi la portata del provvedimento. Diverso è l'assestamento che, ovviamente, anche se la legge di contabilità prevede debba essere presentato entro il mese di giugno, è difficile presentarlo entro quel mese, soprattutto se, come quest'anno, abbiamo approvato il bilancio appena due mesi e mezzo fa, e quindi non siamo nelle condizioni di fare degli assestamenti, delle modifiche al bilancio del 1993. Tuttavia la portata di questo assestamento è rilevante per quantità e qualità. Non credo di sminuire la scelta fatta dalla Giunta regionale, quindi per quello che mi compete da me stesso, forzando in direzione delle spese di investimento, dicendo che questa scelta comunque, in una misura rilevante, era anche una scelta obbligata, nel senso che il meccanismo di entrate relativo a questa manovra rendeva molto difficile ampliare le spese correnti. Era possibile diminuirle, ma non ampliarle, in quanto gran parte delle entrate a copertura di questa manovra è appunto soggetta al vincolo delle spese di investimento, perché si tratta di assegnazioni statali oppure perché sono entrate derivanti dal mutuo contratto dalla Regione il quale, per Statuto, può essere acceso soltanto per spese di investimento e non per spese correnti. Questi vincoli hanno ulteriormente sollecitato al Giunta regionale e la stessa Commissione bilancio del Consiglio a finalizzare gran parte delle entrate per spese di investimento.

Voglio citare alcuni dati. Sul totale della manovra che è di 849 miliardi, noi abbiamo l'83 per cento di spese di investimento e il 17 per cento di spese correnti. All'interno della manovra quali sono gli aspetti più significativi che sono stati del resto elencati da esponenti della maggioranza e delle opposizione nel dibattito di stamane? Intanto vi è un incremento rilevante degli stanziamenti per il settore industriale; lo stato di previsione dell'industria con questa manovra di soli fondi regionali avrà, senza contare quello che potrà accadere con l'assestamento di fine anno, 290 miliardi. Ai 140 miliardi di fondi regionali stanziati con il bilancio di quest'anno, approvato alcuni mesi fa, si aggiungono altri 140 miliardi con questa manovra che portano il totale dei fondi regionali a 280 miliardi, che è una percentuale - in rapporto al totale del bilancio regionale - che probabilmente il settore industriale non ha mai conosciuto nella storia dell'autonomia regionale.

Questo perché la ripartizione dei 140 miliardi in gran parte riguarda la legge "22" e la legge "66", cioè due leggi che la Giunta regionale intende utilizzare anche come forma di anticipazione rispetto a provvidenze statali che non arrivano, per favorire la crescita e lo sviluppo di nuove iniziative. A questo voglio aggiungere la manovra straordinaria in materia di opere pubbliche di attività delle costruzioni che globalmente ricomprende 170 miliardi, in gran parte destinati ai lavori pubblici, all'ambiente e all'agricoltura e che sono relativi ad opere immediatamente cantierabili e che quindi mirano ad attenuare gli effetti negativi determinanti dalla crisi industriale che in Sardegna è particolarmente presente, come noi sappiamo, nell'attività delle costruzioni. Un altro aspetto importante e significativo è quello relativo allo stanziamento triennale dei 150 miliardi per l'accordo di programma per la Sardegna centrale, che il Governo ci ha chiesto fossero stanziati a parte in modo da poter sbloccare la quota di 350 miliardi che deve essere erogata dal Governo.

Ci sono anche alcune norme tese a superare difficoltà di ordine amministrativo. Per esempio, nel campo della ricerca, non avendo noi una legge che disciplina questa materia (la Commissione competente deve esaminare nel mese di settembre i progetti di legge giacenti su questa materia) la Regione in questi anni ha dovuto finanziarie gli enti di ricerca attraverso la legge "268", che finanzia però progetti e non società, finché si è arrivati al punto che la Corte dei conti ha bloccato tutti gli stanziamenti. Siamo stati costretti a intervenire per evitare la chiusura di tutti gli enti operanti in prevalenza nell'ambito del parco tecnologico regionale, che avrebbe non solo bloccato l'attività di ricerca, ma creato anche situazioni di disoccupazione per tanti giovani ricercatori che stanno operando in questi centri.

Ci sono alcune norme che prevedono l'estensione agli Assessori delle norme sulla pubblicità e trasparenza dei propri redditi. Gli Assessori, non essendo più consiglieri regionali, non erano obbligati a presentare le proprie dichiarazioni dei redditi al Consiglio regionale; estendere anche agli Assessori tecnici questa normativa è un segnale che può avere una sua importanza.

Si è cercato in ogni caso di ridurre al massimo l'incremento delle spese correnti, non perché le spese correnti siano di per sé improduttive, perché ci possono essere molte spese cosiddette di investimento che sono improduttive, laddove per esempio hanno carattere assistenziale, ma perché la scelta che si è voluta privilegiare con questa manovra è appunto quella che dicevo.

A questo lavoro ha dato un contributo importante la Commissione programmazione, quindi io devo dare atto alla maggioranza del contributo dato in Commissione; ma devo dare atto anche del contributo positivo delle opposizioni che del resto è stato dato anche stamani in Aula, al di là delle posizioni di portata politica più generale che è legittimo rimangono. Io credo che in una situazione come questa, quando si ha necessità di mettere a disposizione tutte le risorse per evitare che la crisi precipiti, e in presenza di un assoluto blocco di trasferimenti da parte dello Stato, perché questa è la situazione reale nella quale ci troviamo, sia importante che si avvii a conclusione la sessione preferie estive del Consiglio regionale approvando un provvedimento come questo, che si propone di mettere a disposizione del sistema economico, produttivo, sociale regionale centinaia di miliardi che altrimenti rischierebbero di andare di nuovo in economia, perché queste somme, non dimentichiamolo, sono economie di stanziamento, soldi non impegnati al 31 dicembre dello scorso anno. Se noi non riusciamo a metterli in cantiere operativamente entro il mese di settembre o la prima quindicina di ottobre rischiamo di trovarci in una situazione di non impegnabilità delle stesse risorse.

Io ritengo che già in questa manovra da parte della Giunta vi è stata la volontà di cominciare ad accogliere alcuni dei suggerimenti che sono emersi dal dibattito politico e consiliare in questi mesi, in relazione in particolare alla ristrettezza di risorse e anche alla gravità della crisi, cioè quelli relativi ad una riqualificazione della spesa regionale e quelli relativi ad una finalizzazione più produttiva della stessa. Naturalmente in questa manovra poteva essere recepito in parte questo suggerimento, ma io ho già detto in Commissione e lo ripeto qui che, per esempio, le sollecitazioni presenti anche nella lettera del Presidente della Commissione bilancio, inviata al sottoscritto e al Presidente della Giunta regionale, sono condivise dalla Giunta. Naturalmente, già col bilancio di quest'anno, abbiamo cominciato a riformare la struttura del bilancio. La legge sugli enti locali e soprattutto, le leggi di incentivazione del sistema produttivo stanno rivoluzionando la struttura della spesa regionale nel campo degli incentivi, con la legge "21" per l'industria e con i provvedimenti appena approvati per il turismo, l'artigianato e il commercio.

Queste sono modifiche rilevanti nella struttura del bilancio regionale; ovviamente ci sono alcuni segmenti ugualmente importanti che sono esattamente quelli che sono stati citati che condivido: la formazione professionale, la forestazione e la sanità. Io ritengo, per esempio, in relazione a quest'ultimo punto, l'ho già detto in Commissione, che è importante che il fondo sanitario, per il peso che ha nel bilancio regionale, quasi metà del bilancio regionale, non possa continuare a rimanere un fondo con un unico capitolo per la spesa corrente, ma debba essere ripartito nel bilancio per voci distinte in modo tale che le Unità sanitarie locali, l'Assessore della sanità, la Giunta regionale, il Consiglio, conoscano direttamente quali sono le somme stanziate per le varie voci - personale, convenzionata esterna, specialistica, farmaceutica - e si eviti di correre il rischio di quelle finzioni che poi possono accadere, deliberando l'assunzione di nuove spese, magari in Consiglio e riversandole sul fondo sanitario regionale, senza poi sapere qual è la copertura. Di queste cose la Giunta regionale è disponibile a tenere ulteriormente conto con la prossima manovra di bilancio per il 1994, 1995, 1996; è d'accordo anche sul fatto che si approvino delle risoluzioni che suonino come indirizzi alla Giunta stessa e quindi, con questo spirito, anche al fine di favorire una migliore organizzazione del lavoro, credo che sia opportuno che si sospendano i lavori in modo tale da poter avere un confronto rapido con i Gruppi, in particolare sulle risoluzioni di indirizzo alla Giunta regionale e arrivare quindi alla votazione della legge e degli emendamenti nei tempi più rapidi possibili.

Per fatto personale

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare l'onorevole Giorgio Ladu. Ne ha facoltà.

LADU GIORGIO (P.S.d'Az.). Non voglio entrare nel merito delle comunicazioni del Presidente, ma stamattina è stato comunicato all'Aula che tre consiglieri non avevano presentato la dichiarazione di appartenenza o meno alla Massoneria o ad altre associazioni.

Presidente, io ritengo, per quanto mi riguarda di non dover dare nessuna risposta alla sua lettera, non per scortesia o altro, ma perché in quest'Aula, cioè in un intervento pubblico, io ho detto chiaramente di appartenere alla Massoneria italiana, di essere iscritto alla loggia Lando Conti. Ritengo quindi inopportuno rispondere alla sua lettera.

PRESIDENTE. Onorevole Ladu, io devo far presente che sono qui per fare in modo che vengano rispettati gli impegni assunti dal Consiglio regionale. Il Consiglio regionale nel mese di maggio ha approvato una risoluzione e ha chiesto al Presidente di chiedere ai consiglieri regionali di dichiarare non solo la loro eventuale iscrizione alla Massoneria ma anche ad associazioni di fatto che svolgono attività di carattere politico, culturale, assistenziale, o di promozione economica, e così via. Io ho mandato ai consiglieri ben due lettere in cui affermavo che poi avrei reso edotto il Consiglio in merito. E questo ho fatto. Mi dispiace che lei non risponde alla lettera perché essa riguarda il quesito che era stato formulato dal Consiglio regionale, che non riguarda soltanto la Massoneria, ma tutte le associazioni che io ho richiamato. Non voleva essere una scortesia né nei suoi confronti, né nei confronti degli altri due colleghi che non hanno riposto.

LADU GIORGIO (P.S.d'Az.). Questa lettera lei l'ha inviata a seguito di un ordine del giorno e la discussione che si era conclusa con quell'ordine del giorno era una discussione sull'appartenenza alla Massoneria di consiglieri regionali. Pertanto, avendo dichiarato pubblicamente la mia appartenenza ed essendo questa dichiarazione agli atti di questa Assemblea ritengo non opportuno rispondere.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare l'onorevole Pau. Ne ha facoltà.

PAU (Gruppo Laico Federalista). Signor Presidente, brevemente, intendo parlare anch'io per fatto personale. Mi è stato riferito, perché io non ero presente all'inizio della seduta, che lei ha letto i nomi dei consiglieri che non hanno presentato questa dichiarazione. Io prendo atto che lei ha ottemperato a quanto deciso dal Consiglio regionale con la mozione numero 117, e questa è stata una sua iniziativa, lodevolissima, però non per questo doveva arrivare a questa forma quasi di punizione pubblica. Nella mozione non era previsto il termine per la presentazione della dichiarazione.

Quindi, personalmente, non avendo dato peso alla cosa, ho ritenuto di non rispondere in tempi brevi. Lo farò nel più breve tempo possibile e naturalmente non perché lei pubblicamente ha rivelato i nomi di coloro che non hanno presentato la dichiarazione.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Pau, però le ricordo che i termini li ha fissati il Presidente. Nelle due lettere che lei ha ricevuto i termini sono indicati. Lei può sempre presentare, comunque, la sua dichiarazione.

Se non ci sono osservazioni, i lavori del Consiglio riprenderanno questo pomeriggio alle ore 17.

La seduta è tolta alle ore 13 e 25.