Discorso di insediamento

Ce lo dice la vertenza del Porto Canale dove 700 lavoratori rischiano in queste ore il licenziamento ma soprattutto lo confermano le storiche vertenze industriali del Sulcis, di Porto Torres, di Ottana, Olmedo, Macchiareddu, dove le ciminiere hanno lasciato in eredità le cicatrici di un vero e proprio disastro sociale e ambientale. Ma alle vertenze prettamente industriali si si sono aggiunte quelle che affondano non solo nella struttura economica della nostra Isola, ma interessano la sopravvivenza di intere comunità.

Mi riferisco, in particolare, alla recente lotta dei pastori che ha riproposto il dramma delle campagne in maniera cruda ma efficace, con il cosiddetto sversamento del latte che ci ha dato la misura della disperazione e della gravità delle condizioni del lavoro e di vita nei campi.

Ed è facile constatare, ancora una volta, quanto l’economia dei nostri paesi e dei nostri territori sia strettamente connessa al comparto della pastorizia.

Si dice “pastores semus totus” per affermare che li sono le nostre radici ma anche per voler significare che se non si paga il latte al pastore, non è solo il pastore a star male ma è destinato a star male anche il fornaio o il farmacista, il commerciante e il professionista, e più in generale l’intero tessuto economico dei nostri piccoli centri.

Ed è proprio per ricordare la battaglia dei pastori che oggi in Aula nello scranno del presidente la campanellina d’argento è sostituita dal campanaccio tipico che si appende al collo degli ovini.

Il tintinnare di questa campana vuole significare l’urgenza di dare la sveglia a chi deve rimettere in moto il comparto primario dell’economia isolana e a rilanciare l’agricoltura come settore fondante le politiche di crescita nella nostra Regione.

E il concetto si rafforza quando i numeri del fenomeno dello spopolamento ci ricordano un’altra emergenza che deve essere affrontata con immediatezza, determinazione e competenza, non fosse altro perché si stima, che nel volgere di qualche lustro, saranno non meno di trenta i Comuni sardi che cesseranno di esistere, e nel frattempo, in 304 comuni su 377 i decessi sono destinati a superare le nascite.

La sconfitta dei pastori, e la scomparsa dei piccoli centri significherebbe, infatti, tranciare i tiranti a cui è agganciata la nostra identità di sardi.

Ed è anche per tale ragione che auspico misure e interventi adeguati perché siano recuperati e rafforzati tutti i presidi culturali e i simboli dell’identità, ad incominciare da una politica linguistica che restituisca al sardo, all’algherese, al tabarchino, al sassarese e al gallurese la libertà e la dignità di lingua, colmando così il divario causato da secoli di esclusione dal processo culturale europeo che, nel corso degli anni, si è positivamente sviluppato proprio in materia di tutela e salvaguardia della lingua stessa.

Sostengo questa battaglia di civiltà e progresso proprio in qualità di rappresentante della comunità di Alghero, che si è contraddistinta, da sempre, per iniziative e azioni a tutela della lingua catalana e delle sue tradizioni.

Ritengo doveroso, a questo proposito, far giungere alle istituzioni e al popolo catalano la vicinanza e il sostegno del Consiglio regionale e del popolo sardo, nella pacifica e democratica battaglia condotta per il riconoscimento del diritto all’autogoverno.

Sentimenti di amicizia e auspici per una sempre crescente collaborazione politica e istituzionale, mi sento inoltre di rivolgere all’Assemblea di Corsica, con la quale condividiamo comuni battaglie nel segno di quell’Europa dei popoli e delle Regioni che resta ancora oggi un’occasione mancata.
Così come possono essere definite occasioni mancate, i tentativi che nel corso degli ultimi vent’anni sono stati condotti per favorire una cosiddetta legislatura costituente. La realtà è quella che noi tutti conosciamo e che ha visto le riforme costituzionali al palo, al pari delle proposte di revisione, più o meno profonde, dello Statuto di Autonomia.

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