CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII LEGISLATURAPROPOSTA DI LEGGE N. 350/A
presentata dai Consiglieri regionali
FLORIS - TUNIS - BUSINCO
il 30 settembre 2002
Nuove norme sul sistema di rappresentanza e sull'elezione degli organi di governo della Comunità autonoma di Sardegna
RELAZIONE DEI PROPONENTI
Il mutare del quadro normativo costituzionale di riferimento ha indotto un proliferare di ipotesi per l'adeguamento delle leggi elettorali dei Consigli regionali e dei Presidenti delle Regioni.
Lo Stato centrale ha dettato una normativa uniforme attraverso le Leggi costituzionali 22 novembre 1999, n. 1 e 31 gennaio 2001, n. 2. La nuova disciplina costituzionale rischia, nei fatti, di smarrire dal patrimonio giuridico e legislativo, ancorché politico e sociale, il senso delle specialità e specificità che hanno sancito il doppio binario del regionalismo italiano, ordinario e differenziato.
Sulle ragioni e il significato, oltrechè l'attuale portata, delle forme e condizioni particolari di autonomia riconosciute dalla Costituzione alle Regioni ad autonomia differenziata si deve oggi riflettere per comprendere quali siano i limiti - ed entro questi le possibilità - di una seria, autentica, funzionale riforma del sistema della rappresentanza attraverso una nuova legge elettorale per la Sardegna.
La Carta Costituzionale del 1948 prevedeva, nel dettato dell'articolo 122, che "il sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri regionali" fossero stabiliti - per le Regioni a statuto ordinario - con legge della Repubblica. La stessa normativa venne prevista nello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, approvato con Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, mentre alla Sardegna, alla Sicilia e al Trentino Alto Adige venne riconosciuta la competenza di dotarsi di una propria legge elettorale, con il solo limite della natura proporzionale del sistema di elezione del Consiglio regionale. La medesima disciplina fu prevista in sede di approvazione dello Statuto speciale per il Friuli Venezia Giulia, con Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.
Il quadro normativo così apparecchiato dal legislatore costituente lasciava chiaramente intendere la volontà di riconoscere alle Regioni speciali un più ampio e incisivo spazio di autonomia nella determinazione del proprio sistema della rappresentanza. In sintonia con l'ispirazione delle norme elettorali per il Parlamento d'allora e come già per la stessa Assemblea costituente, si optò poi per l'indicazione del sistema proporzionale come linea guida della legge elettorale, soprattutto in virtù di considerazioni prettamente ingenerate dalla contingenza storico-politica del momento. L'Italia, infatti, veniva fuori da un conflitto bellico che aveva segnato nel profondo le coscienze della nazione divisa e martoriata; da una esperienza dittatoriale che aveva escluso la partecipazione democratica alla vita politica del Paese: il proporzionale rappresentava allora la soluzione che avrebbe potuto garantire la più ampia partecipazione popolare alla scelta e alla stessa guida del Paese, un motivo di unità nelle diversità e specificità che da quel sistema inevitabilmente sarebbero emerse. Il progressivo evolversi istituzionale, la ritrovata pacificazione nazionale, hanno comportato una differenziazione e del dettato normativo e della cosiddetta costituzione materiale. Al sistema elettorale proporzionale sono state apportate numerose correzioni, dagli sbarramenti al metodo d'hondt, ai premi di maggioranza, fino a sostituirlo per larga parte con meccanismi maggioritari sia per le consultazioni parlamentari che per le amministrative.
E' venuta meno l'unitarietà del quadro di riferimento.
Tanto ciò vero che, già nel 1989, con la riscrittura dell'articolo 16 dello Statuto per la Valle d'Aosta, il legislatore costituzionale sancì questa nuova linea di tendenza e proiettò tale Regione, relegata in precedenza ad una situazione assai anomala rispetto alle altre Regioni ad autonomia speciale, all'avanguardia dotandola di molta più libertà d'azione nella scelta della propria legge elettorale: scomparve infatti il vincolo proporzionale del sistema elettorale.
Da ultimo, poi, la modifica del Titolo V della Carta costituzionale, sovvertendo ogni pregresso schematismo, ha esteso tale libertà piena alle Regioni ordinarie, che possono dotarsi di una propria legge elettorale senza vincoli di sorta in ordine al sistema prescelto. E, di più, dotarsi e modificare in qualsiasi tempo il proprio Statuto con semplice procedimento rinforzato di doppia lettura assembleare con intervallo di almeno due mesi e maggioranza assoluta per la votazione.
Sarebbe paradossale, oltreché anomalo ed offensivo per la storia delle autonomie speciali se, a fronte di tale nuovo status delle regioni ordinarie, sopravvivessero per le prime lacci e lacciuoli, limiti e controlli tali da inficiarne la stessa possibilità di autodeterminazione del sistema elettorale e della rappresentanza.
Crediamo, pertanto, che alla luce della riforma del titolo V e del nuovo quadro normativo complessivo vi sia lo spazio per determinare, in autonomia e nell'alveo più generale di un progetto di riforma della politica e della società sarda, uno specifico sistema elettorale della Sardegna.
A noi compete, come organo legislativo e di massima rappresentanza dell'intera comunità sarda, far valere in questa sede più che mai le ragioni delle nostre plurisecolari peculiarità allorché va definita la forma di governo della nostra Isola e, con essa, l'intero sistema della rappresentanza.
In questo dobbiamo andare al di là delle contingenti divisioni, oltre i posizionamenti e gli schieramenti transeunti, ma guardare all'interesse comune di avere regole certe, che riguardano il gioco democratico e non possono essere appannaggio di pochi o del più forte né essere regole a favore di taluni e contro talaltri.
Solo dal concorso delle diversità ed esperienze, che ciascuna forza in questa Assemblea rappresenta, può nascere il migliore prodotto fra i possibili in un clima di confronto, anche serrato, ma fiero e leale.
La classe politica è chiamata in questo momento solenne della Storia a dare prova di unità e responsabilità. Di capacità critica ed aggregante per riconquistare tra la gente quella fiducia che sola può dare nuova linfa ed impulso alla partecipazione ed al circuito democratico.
Giungere alle venture scadenze elettorali senza aver dotato la Sardegna di una sua normativa elettorale specifica, dovendo quindi applicare le disposizioni transitorie di una legge statale omologante e riduttiva, rappresenterebbe un incomparabile smacco alla storia dell'autonomia.
Questa proposta di legge non vuole essere lo sterile tentativo di adeguare pedissequamente la norma ai riferimenti costituzionali e legislativi esistenti o, peggio, a modelli estero fili di dubbia importazione, quanto piuttosto l'affermazione della nostra autonomia, delle nostre irrinunciabili ed innate diversità, che ci rendono nazione unica e non confondibile, proprio nel momento principale della vita democratica del nostro popolo: il sistema di selezione della classe dirigente, la scelta del timone dell'intera comunità.
In questo, che riconosciamo essere un ambizioso progetto, abbiamo ben chiare due direttrici.
Esiste oggi un comune sentire dei sardi, manifestato esplicitamente attraverso il Referendum regionale sulla forma di governo, in ordine alla vocazione maggioritaria e presidenziale a cui dovrà ispirarsi il nuovo sistema della rappresentanza.
D'altro canto, poi, la realtà geografica e territoriale, culturale ed antropologica del l'Isola impone un'attenzione particolare alla tutela delle libertà espressive, delle diversità intese come risorsa impareggiabile, che in essa trovano composizione. Ciò significa aderire ad un principio necessario di rappresentatività, cui contemperare, in un virtuoso connubio, le soluzioni del maggioritario e del presidenzialismo.
Quindi, una nuova norma elettorale per la Sardegna non può che essere una ipotesi diversa e non omologabile all'esistente, una testimonianza di originalità ed autonomia culturale, politica e morale, che superi le oramai becere rigide partizioni tra presidenzialismo, maggioritario, proporzionale e quant'altro.
Crediamo che, in asse ai crescenti poteri che andranno riconosciuti al presidente della Regione, quale guida del governo della comunità, che potrà direttamente eleggerlo, debba trovare spazio una nuova centralità del Consiglio regionale. L'Assemblea legislativa dovrà rappresentare la camera delle specificità territoriali e locali dell'Isola, il luogo di comparazione e composizione delle istanze e degli aneliti di centro e periferie.
Dovrà essere espressione della società reale, che ogni giorno vive e lavora, componendo il sistema Sardegna.
Sulla base di queste riflessioni, la proposta prevede l'elezione del 60% dei Consiglieri regionali in collegi uninominali maggioritari a turno unico, così da avere certezza sulla rappresentanza di ogni singolo territorio in seno all'Assemblea e circa il reale avvicinamento tra corpo elettorale e candidati, affidando al primo la possibilità di scegliere direttamente e senza ulteriori mediazioni i propri rappresentanti.
Il restante 40%, anche al fine di garantire il rispetto dei vincoli statutari ancorché tutelare il valore delle diversità dei contributi che esperienze e culture politiche differenti possono apportare al dibattito ed al governo stesso della Regione, sarà eletto con metodo proporzionale sulla base di liste concorrenti per circoscrizioni corrispondenti alle Province e con il solo capolista bloccato. All'interno delle liste, pertanto, sarà possibile esprimere un voto di preferenza per un candidato, determinando in concreto la possibilità per l'elettore di scegliere con chiarezza i propri rappresentanti.
E' stata istituzionalizzata, poi, l'auspicata facoltà di voto per i sardi all'estero, per tutti gli emigrati, attraverso la creazione di una apposita circoscrizione elettorale, denominata "Estero" appunto, alla quale sono attribuiti due seggi da assegnarsi con metodo proporzionale mediante riparto tra liste concorrenti.
Il sistema di elezione del presidente è imperniato sul duplice binario del rapporto diretto con il corpo elettorale e con i consiglieri regionali della futura maggioranza. In ogni collegio uninominale, infatti, il nome del candidato alla carica di presidente della Regione e quello del candidato a consigliere regionale collegato, oltre che essere visivamente uniti nella scheda elettorale insieme ai contrassegni, sono fortemente legati alle vicendevoli sorti, in quanto i voti espressi per l'uno vanno automaticamente all'altro e viceversa. Ciò consente di consolidare i rapporti in clima di fiducia e di lealtà, favorendo la futura stabilità delle maggioranze. Esiste inoltre un elemento di estrema chiarezza nei confronti dell'elettore che, fin da principio, sa chi contribuirà a far governare con il proprio voto.
Al pari, nelle schede per l'attribuzione con sistema proporzionale dei seggi, le liste e i contrassegni hanno un legame grafico con il rispettivo candidato alla presidenza, con il capolista e con i singoli candidati per i quali è possibile esprimere il voto di preferenza. Anche qui, tutti sono legati al medesimo voto.
Il sistema dello scorporo garantisce poi un riequilibrio tra i due sistemi - maggioritario, uninominale e proporzionale - garantendo anche le forze politiche minori ma rappresentative, che possono apportare importanti contributi alla vita politica della Regione.
Nell'articolazione dei poteri tra organi, cioè nella definizione della forma di governo, si è affidato al Consiglio la possibilità di esercitare un controllo sulla condotta politica del presidente della Regione attraverso l'istituto della mozione di sfiducia costruttiva, utilizzabile una sola volta nell'arco della legislatura, anche al fine di evitare il proliferare di eccessivi trasformismi e di frequenti ribaltoni di palazzo.
Per definire la differenza di competenze ed eliminare il paradosso del duplice ruolo concentrato in un'unica persona di controllato/controllore, è stata poi prevista l'incompatibilità temporanea tra l'ufficio di Assessore regionale e quello di consigliere. Nella sostanza, i Consiglieri che sono chiamati ad assolvere ed accettano l'Ufficio di Assessore, decadono temporaneamente dal seggio consiliare, cui subentra il primo dei non eletti. Qualora in seguito dovessero decadere, per qualsiasi motivo, dal ruolo di Assessori essi rientrerebbero in possesso del proprio seggio consiliare.
In ultima analisi, la presente proposta di legge, proponendosi come contemperamento delle diverse esigenze in campo, con particolare riferimento alla rappresentatività ed alla governabilità, mira a creare un clima di dialogo e confronto tra tutte le forze politiche, sociali, imprenditoriali e le parti sociali, i singoli cittadini, il mondo dell'associazionismo e del volontariato che porti in tempi brevi all'approvazione di un'autonoma, specifica e peculiare disciplina elettorale per la Sardegna, che renda funzionali le istituzioni e moderno, agile, rispondente alle aspettative della gente, il nuovo sistema della rappresentanza.
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AUTONOMIA - ORDINAMENTO REGIONALE - RAPPORTI CON LO STATO - RIFORMA DELLO STATO - ENTI LOCALI - ORGANIZZAZIONE REGIONALE DEGLI ENTI E DEL PERSONALE - POLIZIA LOCALE E RURALE - PARTECIPAZIONE POPOLARE
composta dai Consiglieri
SANNA Emanuele, Presidente e relatore - SATTA, Vice Presidente - BIANCU, Segretario - GIOVANNELLI, Segretario - BALIA - CAPPAI - CORDA - DIANA - FANTOLA - FLORIS - ORRU' - PITTALIS - SANNA Giacomo - SANNA Gian Valerio - SANNA Salvatore
pervenuta il 26 giugno 2003
Con la modifica dell'articolo 15 dello Statuto introdotta dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, è stata attribuita alla Sardegna una forma di autonomia statutaria in qualche modo analoga a quella concessa alle regioni ordinarie con la legge costituzionale n. 1 del 1999. Fermo restando il rango costituzionale dello statuto sardo, è stato cioè consentito alla Regione di disciplinare autonomamente la propria forma di governo, mediante una legge regionale approvata a maggioranza assoluta e assoggettabile a referendum confermativo, la cosiddetta legge statutaria, che costituisce una nuova fonte normativa intermedia fra il livello costituzionale e quello della ordinaria legislazione regionale. La forma di governo comprende, secondo la specificazione dello Statuto, "le modalità di elezione, sulla base dei princìpi di rappresentatività e di stabilità, del Consiglio regionale, del Presidente della Regione e dei componenti della Giunta regionale, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, nonché l'esercizio del diritto di iniziativa legislativa del popolo sardo e la disciplina del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo".
Il testo unificato che di seguito si illustra affronta tutti questi argomenti, salvo la disciplina dei referendum e quella dell'iniziativa legislativa popolare, avendo la Commissione ritenuto più opportuno farne oggetto di una legge a sé stante, che dovrà comunque essere approvata in tempi molto rapidi, essendo necessario superare una situazione di insufficienza e confusione legislativa che si è manifestata anche in occasione dei recenti referendum sulle province.
E' opportuno anche ricordare che la Prima Commissione ha tempestivamente sottoposto all'esame del Consiglio il disegno di legge che disciplina il referendum confermativo sulle leggi statutarie, trasformato dall'Assemblea nella legge regionale 28 ottobre 2002, n. 21, senza l'approvazione della quale non si sarebbe potuto procedere alla modifica della normativa elettorale regionale.
Il testo si articola in due parti, riguardanti rispettivamente l'elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione e le norme fondamentali sulla composizione, il funzionamento e i rapporti reciproci degli organi della Regione.
La prima parte si apre con un articolo contenente i principi fondamentali del sistema, che di seguito si richiamano evidenziando anche i punti di divergenza rispetto alla legge per le regioni ordinarie:
1) l'elezione diretta del Presidente della Regione, con tutte le conseguenze ed anche i vincoli statutari che tale scelta comporta, principale dei quali è l'automatico scioglimento del Consiglio, col ricorso a nuove elezioni, ogniqualvolta venga meno il Presidente della Regione, sia per ragioni politiche (dimissioni o approvazione della mozione di sfiducia), sia per altre cause (decadenza, impedimento permanente o morte). A questo proposito la Commissione ha lungamente discusso sulla possibilità di introdurre norme per evitare l'automatico scioglimento del Consiglio in caso di morte, impedimento permanente o dimissioni per ragioni personali del Presidente, ma ha infine optato per un adeguamento alle prescrizioni della legge costituzionale n. 2 del 2001, dalla quale appare difficile in questa fase discostarsi per il suo rango sovraordinato;
2) il ricorso ad un ballottaggio tra i due candidati alla presidenza più votati nel caso in cui nessuno ottenga la maggioranza assoluta nel primo turno di votazione, non avendo la Commissione condiviso il sistema a turno unico applicato nelle regioni ordinarie, che consente l'elezione di un Presidente "di minoranza". La scelta della Commissione su questo cruciale punto della riforma è frutto di una complessa mediazione tra i gruppi consiliari ed è stata fatta, sia pure col voto contrario di diversi commissari, per assicurare alla coalizione vincente quell'ampia base di consenso popolare che non viene sempre garantita in un sistema monoturnista;
3) il collegamento fra la scelta del candidato alla presidenza della Regione e il voto per uno dei partiti che esprimono quel candidato, con l'esclusione del voto disgiunto, che è invece previsto nelle regioni ordinarie, e con il conseguente divieto della presentazione di liste provinciali non collegate ad un candidato alla presidenza. Anche questa scelta è maturata nella prevalente convinzione dei componenti della Commissione che deve esservi piena corrispondenza tra il Presidente eletto e la sua base elettorale e deve essere assicurata la coerenza col programma di governo sottoscritto dalla coalizione vincente;
4) la previsione di un collegio regionale, nel quale però i candidati sono eletti sulla base delle preferenze ottenute e non in blocco, come avviene invece nelle regioni ordinarie. La lista bloccata, a parere della Commissione, mortifica il diritto di scelta degli elettori e assegna di fatto ai partiti il potere "anomalo" di eleggere direttamente una quota significativa di consiglieri regionali;
5) la garanzia di una sufficiente maggioranza per la coalizione che esprime il Presidente della Regione, che si è ritenuto di fissare nel 55 % dei seggi, mentre la legge per le regioni ordinarie in taluni casi (e precisamente quando il candidato eletto presidente supera il 40 % dei voti) assicura alla maggioranza almeno il 60 % dei seggi, misura che la Commissione ha ritenuto eccessivamente distorsiva del risultato elettorale;
6) la distribuzione del premio di maggioranza sia nel collegio regionale che nei collegi provinciali; la legge elettorale delle regioni ordinarie invece utilizza per il premio di maggioranza prioritariamente i seggi del collegio regionale e, qualora questi non siano sufficienti, ricorre a seggi aggiuntivi che possono far superare il numero di 80 consiglieri regionali fissato dallo statuto. Il ricorso ai seggi aggiuntivi, reso possibile dall'espressa deroga allo statuto recata dall'articolo 3 comma 3 della legge costituzionale n. 2 del 2001, è tuttavia precluso al legislatore regionale, che non dispone del medesimo potere di deroga;
7) l'attribuzione dei seggi nel collegio regionale (in misura proporzionale ai voti ottenuti e comunque assicurando alla coalizione vincente almeno 9 seggi, compreso quello del Presidente della Regione, e garantendo in ogni caso l'elezione del capolista della seconda coalizione) esclusivamente alle due coalizioni più votate, al fine di incentivare non solo l'esistenza di una forte maggioranza, ai fini della governabilità e della stabilità del sistema istituzionale, ma anche la formazione di una coesa opposizione, nella logica di un moderno bipolarismo e per favorire le condizioni dell'alternanza nel governo;
8) la fissazione di una soglia di sbarramento, che esclude dal riparto dei seggi le liste che non abbiano raggiunto il 3% del totale dei voti, a meno che non siano inserite in una coalizione che ha superato il 10% dei voti, al fine di fornire un valido incentivo alla formazione di ampie coalizioni;
9) la garanzia che a ciascun collegio provinciale sia effettivamente assegnato il numero di consiglieri regionali ad esso spettante sulla base della popolazione residente, evitando il drenaggio di seggi a favore dei collegi maggiori, che si verificherebbe col sistema del riparto dei resti previsto per le regioni ordinarie, tanto più in quanto, con l'istituzione delle nuove province, sono aumentati sia il numero dei collegi che le loro differenze dimensionali.
All'articolo 1, contenente i principi fondamentali del sistema elettorale, fanno seguito una serie di articoli contenenti il dettaglio attuativo di tali principi. Particolare attenzione meritano i punti seguenti:
1) il divieto delle candidature multiple (articolo 7), con l'eccezione della candidatura in una lista regionale ed in una lista provinciale ad essa collegata; tale eccezione si rende necessaria per non penalizzare l'elezione dei candidati più rappresentativi anche di altre eventuali coalizioni, che sono esclusi dal riparto dei seggi del collegio regionale;
2) l'adeguamento della durata delle operazioni di voto (articolo 10) alla scelta, recentemente operata a livello nazionale, di ripristinare l'apertura dei seggi anche nella giornata del lunedì; rispetto alle norme nazionali, l'unica differenza consiste nell'aver anticipato dalle 8 alle 7 l'apertura dei seggi nella giornata di domenica:
3) l'adeguamento della grafica delle schede di votazione (articolo 11) all'esigenza di rappresentare visivamente il collegamento fra liste provinciali, liste regionali e candidati alla presidenza, pur mantenendo il sistema di espressione del voto di preferenza mediante la barratura della casella stampata a fianco del cognome del candidato prescelto, già sperimentato nelle ultime due tornate di elezioni regionali.
Negli articoli dal 12 al 16 è definito in dettaglio il nucleo centrale del procedimento elettorale.
La prima fase del procedimento (articolo 12) consiste nella verifica del raggiungimento della maggioranza assoluta dei voti da parte di un candidato alla presidenza o, in caso contrario, nell'accertamento della necessità di procedere al ballottaggio tra i due candidati più votati.
La seconda fase consiste (articolo 13) nell'individuazione del vincitore della competizione per la presidenza della Regione.
Segue quindi (articolo 14) il riparto dei seggi del collegio regionale. Di questi uno spetta di diritto al candidato eletto Presidente e uno al capolista dell'altra lista più votata. I 14 seggi residui sono dapprima ripartiti proporzionalmente fra le due liste regionali più votate nel primo turno di votazione. Si verifica poi se vi è la necessità di attribuire il premio di maggioranza alla lista del Presidente della Regione, nel caso che i voti da essa ottenuti non siano sufficienti a farle ottenere nel collegio regionale almeno 9 seggi, compreso quello attribuito al Presidente, cifra che va a formare, insieme ai 35 seggi dei collegi provinciali, il "minimo garantito" del 55% dei seggi che deve comunque essere assicurato alla coalizione del Presidente della Regione per rispondere al principio statutario della stabilità del sistema di governo.
Si procede quindi (articolo 15) al riparto dei 64 seggi dei collegi provinciali fra i partiti che superino la soglia di sbarramento. Questa operazione deve necessariamente essere condotta considerando i seggi nel loro complesso, in quanto è sul totale dei risultati ottenuti dai partiti su scala regionale che va verificata l'eventualità di attribuire il premio di maggioranza.
Per il riparto si è scelto di adottare un metodo rigorosamente proporzionale, conosciuto in dottrina come metodo Webster-Sainte Lagüe, che differisce dal più noto metodo d'Hondt in quanto utilizza l'arrotondamento all'intero più vicino e non l'arrotondamento per difetto, eliminando con ciò la tendenza del metodo d'Hondt a favorire i partiti maggiori,
Anche per i seggi dei collegi provinciali, una volta effettuato il riparto proporzionale, si deve verificare che tale riparto assicuri ai partiti della coalizione che esprime il Presidente della Regione il "minimo garantito"; in caso contrario, si deve procedere assegnando ope legis 35 seggi ai partiti della coalizione del Presidente della Regione e 29 seggi a tutti gli altri. In tale ipotesi si dovranno ripetere distintamente per i due gruppi di 35 e di 29 seggi le operazioni di riparto proporzionale fra i partiti.
Una volta stabilito, proporzionalmente ai voti ottenuti e fatto salvo il "minimo garantito" per la coalizione vincente, il numero complessivo di seggi spettanti a ciascun partito su scala regionale, si deve procedere alla ripartizione territoriale dei seggi, che è l'operazione tecnicamente più delicata, dovendo muoversi nel rispetto maggiore possibile di due criteri di rappresentatività tra loro potenzialmente confliggenti: la rappresentatività politica, ossia la regola secondo cui ciascun partito dovrebbe vedersi attribuire i seggi nei collegi nei quali ha conseguito i migliori risultati, e la rappresentatività territoriale, ossia la regola secondo cui ciascun collegio deve effettivamente ottenere il numero di seggi ad esso spettante in proporzione alla popolazione residente.
La vecchia legge elettorale regionale e la legge elettorale vigente per le regioni ordinarie ignorano il conflitto e conducono, al termine delle operazioni di riparto, ad uno scostamento tra il numero di seggi teoricamente spettante a ciascun collegio sulla base della sua consistenza demografica e quello effettivamente assegnato, scostamento che tendenzialmente si volge a favore dei collegi più popolosi, tanto più in presenza di un numero elevato di partiti e soprattutto di una rilevante differenza tra le dimensioni dei collegi, quale si è venuta a determinare con l'istituzione delle nuove province.
La Commissione ha scelto invece un procedimento di allocazione territoriale dei seggi (articolo 16) che, fermo restando il numero complessivo di seggi spettanti a ciascun partito su scala regionale, assume la rappresentatività territoriale come vincolo e perciò attribuisce i seggi a ciascun partito nei collegi corrispondenti ai risultati più alti in valori assoluti da esso conseguiti, purché questi risultati riguardino collegi nei quali i seggi non sono già stati tutti assegnati.
Il procedimento prescelto somiglia apparentemente al metodo d'Hondt, in quanto come il d'Hondt mette in graduatoria i quozienti calcolati dividendo successivamente i voti riportati da ciascun partito in ciascun collegio per la serie dei numeri naturali che va da 1 al numero dei seggi da assegnare. La serie di quozienti così ottenuta non viene però utilizzata per stabilire il numero di seggi da attribuire a ciascuna lista, in quanto tale numero è stato già determinato su scala regionale tenendo conto anche del premio di maggioranza, ma solo per fornire un ordine di precedenza prestabilito nell'allocazione territoriale dei seggi. Tale ordine diventa importante nella fase finale dell'allocazione, quando necessariamente succede che qualche risultato ottenuto da un partito in una circoscrizione debba essere scartato, in quanto in quella circoscrizione tutti i seggi sono stati già attribuiti, e si debba scorrere la graduatoria fino a trovare una circoscrizione nella quale ci sono ancora seggi da assegnare.
La Commissione, che ha discusso a lungo su quest'articolo, valutando anche altre possibili alternative, è ben consapevole del fatto che la soluzione adottata sacrifica marginalmente il principio della rappresentatività politica in qualche territorio (senza beninteso alterare il numero complessivo di seggi spettante a ciascun partito). L'accettazione di una soluzione di compromesso è stata tuttavia ritenuta necessaria, al fine di non vanificare un altro principio egualmente rilevante, quello della rappresentatività territoriale complessiva commisurata agli 8 collegi delle nuove province.
Gli articoli 17 e 18 si occupano dei temi, fra loro connessi, delle condizioni di eleggibilità e delle situazioni di incompatibilità dei consiglieri regionali.
Gli articoli seguono le tracce della normativa vigente per le regioni ordinarie, contenuta nella legge 23 aprile 1981, n. 154, discostandosene sostanzialmente soltanto per i seguenti aspetti:
1) l'aggiunta all'elenco delle ineleggibilità contenuto nella legge nazionale di alcune cariche o funzioni pubbliche (l'assessore regionale, il difensore civico regionale, i componenti degli uffici di gabinetto del Presidente della Regione e degli assessori);
2) l'aggiunta al medesimo elenco anche delle posizioni di direttore responsabile ed editore dei principali strumenti di comunicazione di massa, che per la loro rilevanza nel mercato locale sono in grado di influenzare in maniera particolarmente intensa la formazione delle opinioni e delle scelte degli elettori;
3) l'anticipazione ad un mese prima della presentazione delle candidature del periodo entro il quale i soggetti in posizione di ineleggibilità che intendano candidarsi alle elezioni devono dimettersi o collocarsi in aspettativa o comunque cessare dall'esercizio delle funzioni che determinano la condizione di ineleggibilità;
4) l'estensione anche alla posizione di socio delle situazioni di incompatibilità che derivano dall'aver parte in aziende o società, ivi comprese le cooperative, che hanno in corso contratti con la Regione o ricevono contributi dalla medesima;
5) l'esclusione dall'elenco delle incompatibilità delle cariche di sindaco o di assessore di un comune sotto i 10.000 abitanti, che sono invece considerate incompatibili in tutte le regioni a statuto ordinario.
Le norme di cui ai precedenti punti 3) e 4), votate a maggioranza in Commissione, meritano una attenta riconsiderazione da parte del Consiglio, in quanto possono risultare limitative del diritto di elettorato passivo per un numero rilevante di cittadini.
Il Capo II del testo unificato contiene le norme fondamentali sulla nomina, i poteri e i rapporti reciproci del Presidente della Regione, della Giunta e del Consiglio.
Per quanto riguarda il Presidente della Regione, particolare rilievo assume la disciplina delle dimissioni (articolo 26), che devono essere mantenute per quanto è possibile nel circuito istituzionale; per questo motivo si è previsto che le dimissioni, una volta formalmente presentate, restino sospese nella loro efficacia per 20 giorni, periodo che si ritiene congruo al fine di consentirne l'eventuale ritiro, portando in ogni caso la discussione nella sede più propria, che è quella dell'Aula consiliare.
Numerosi aspetti di interesse presentano gli articoli dedicati alla Giunta e agli assessori.
Coerentemente con la forma di governo presidenziale, la legge lascia al Presidente della Regione un'ampia libertà nella nomina e nella revoca degli assessori, ponendo tuttavia alcune doverose limitazioni per quanto riguarda il numero, che viene fissato in 12, l'obbligo della presenza di assessori di entrambi i sessi e la necessità di informare il Consiglio, in particolare all'atto della costituzione della nuova Giunta, delle vicende che riguardano la nomina e la revoca degli assessori (articolo 27).
Si è ritenuto inoltre di dover attribuire al Consiglio anche il potere di approvare, a maggioranza assoluta ed a scrutinio palese, una mozione di sfiducia nei confronti di un singolo assessore, che determina la sua decadenza e l'obbligo per il Presidente di sostituirlo (articolo 33).
Dando per scontata, in una forma di governo presidenziale, l'incompatibilità tra le funzioni di assessore e di consigliere regionale (articolo 31), la Commissione non ha tuttavia voluto precludere al Presidente la possibilità di scegliere gli assessori anche fra i consiglieri regionali. Tale possibilità sarebbe di fatto vanificata se si imponessero all'assessore le dimissioni dalla carica di consigliere. Si è ritenuto pertanto di introdurre un meccanismo di supplenza, peraltro già sperimentato in altri ordinamenti.
Nonostante l'ampia convergenza raggiunta in Commissione su questa soluzione, sono state avanzate anche motivate osservazioni sul possibile indebolimento del principio di incompatibilità tra ruolo di consigliere e quello di assessore.
Per quanto riguarda il funzionamento della Giunta, l'articolazione organizzativa degli assessorati e i rapporti fra Presidente ed assessori, ci si è limitati (articolo 32) a prescrivere il quorum e la maggioranza per le deliberazioni della Giunta, alla quale si ritiene opportuno mantenere il carattere di organo deliberativo collegiale, mentre la determinazione degli altri aspetti è lasciata alla legge ordinaria, assicurando con ciò una maggiore flessibilità, ma mantenendo comunque una opportuna riserva di legge per quanto riguarda le regole di funzionamento degli organi di governo della Regione.
L'ultima sezione del testo unificato è dedicata al Consiglio regionale, del quale si è inteso valorizzare le funzioni in un'ottica di concreta realizzazione del principio di rappresentatività, che lo Statuto colloca accanto al principio di stabilità come cardine della forma di governo della Regione.
In questa prospettiva si è ritenuto opportuno prevedere (articolo 34) per l'elezione del Presidente del Consiglio regionale un percorso che favorisce la formazione di un'ampia maggioranza sul suo nome. Si è inoltre disciplinata la possibilità di una revoca, doverosamente circondandola delle garanzie necessarie a tutelare la posizione super partes del Presidente.
Con l'articolo 35 si è inteso assicurare la permanenza in capo al Consiglio, oltre a quelle legislative e regolamentari previste dallo Statuto, di due funzioni essenziali come l'approvazione degli atti fondamentali di programmazione e la formulazione di indirizzi politico-programmatici, funzioni nelle quali particolarmente si può e si deve esprimere la valenza rappresentativa dell'organo consiliare. Si è ritenuto infatti che la forma di governo della Regione non debba essere basata sulla prevalenza di un potere sull'altro, ma sull'equilibrio, che dev'essere dinamicamente realizzato nella concreta dialettica politica, fra poteri entrambi paritariamente legittimati dal consenso popolare.
L'esigenza di salvaguardare i poteri dell'assemblea legislativa-rappresentativa con l'avvento di un sistema di governo presidenziale dovrà essere ulteriormente e attentamente valutata durante l'esame in Aula di questo provvedimento, tenendo conto anche della crescente sofferenza che si registra, in forme quanto mai preoccupanti, in tutte le regioni ordinarie dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 1999.
Seguono due articoli che al tempo stesso concretizzano i poteri di controllo del Consiglio regionale e definiscono alcune misure di tutela della posizione delle minoranze, che si ritengono particolarmente opportune in un sistema maggioritario. Si tratta dell'articolo 36, sulle inchieste consiliari, e dell'articolo 37, che individua nel comitato nomine un soggetto specificamente deputato a verificare i criteri adottati dalla Giunta nelle nomine di sua competenza. Si è scelto di riservare alle opposizioni la presidenza sia del comitato nomine che delle eventuali commissioni di inchiesta, le quali, entro determinati limiti, possono essere istituite su richiesta della minoranza.
Infine con l'articolo 38 viene sancita la necessità della programmazione dei lavori del Consiglio regionale, introducendo al tempo stesso una opportuna riserva di spazi a favore delle opposizioni.
Resta infine da riferire del lungo ed impegnativo percorso seguito dalla Commissione per definire il presente testo unificato.
Il punto di partenza è stato rappresentato da sei proposte di iniziativa consiliare, cui va aggiunto un disegno di legge presentato dalla precedente Giunta regionale, su cui la Commissione ha iniziato a lavorare il 18 dicembre 2002. La presenza di un numero così ampio e differenziato di proposte avrebbe potuto costituire un serio elemento di difficoltà, ma la disponibilità di tutti i proponenti e l'impegno profuso nella discussione da tutti i componenti della Commissione hanno consentito di concludere la discussione generale con un ampio e dettagliato accordo su tutti i principali punti della legge. Sulla base di quell'accordo è stato possibile redigere ex novo un'ipotesi di testo unificato, sulla quale la Commissione ha lavorato nella fase della discussione degli articoli. A causa della sospensione imposta dalla lunga sessione di bilancio, il lavoro della Commissione in sede referente si è potuto concludere solo il 12 giugno 2003, dopo oltre 40 sedute, con una votazione finale nella quale il testo unificato ha ottenuto il voto favorevole dei consiglieri dei gruppi DS, Margherita, UDC, UDR e SDI e l'astensione dei consiglieri dei gruppi FI, AN, Riformatori e Misto.
Conclusivamente sembra doveroso fare alcune considerazioni di carattere squisitamente politico.
La Commissione ha rispettato il mandato dei gruppi consiliari e della stessa Conferenza dei capigruppo, recuperando il grave ritardo che si era accumulato negli ultimi due anni sulla riforma elettorale sarda.
In due mesi effettivi di lavoro e con la partecipazione costante e propositiva di tutti i commissari è stato licenziato, senza voti contrari, un testo unificato sul quale adesso il Consiglio può discutere e decidere, in piena sovranità, modificando e migliorando il progetto della Prima Commissione soprattutto sui punti dove permangono limiti e contrasti politici.
Questa ineludibile riforma bisogna scriverla pensando agli elettori sardi, per rafforzare la loro sovranità e consegnare ad essi il potere effettivo di scegliere maggioranze programmatiche e governi di legislatura finalmente sottratti ai giochi di Palazzo e alla endemica instabilità delle coalizioni post-elettorali.
Le regole attraverso cui si seleziona la rappresentanza della comunità sarda nell'Assemblea legislativa regionale non si possono scrivere con logica di parte e devono garantire tutti i soggetti che partecipano alla gara per il consenso democratico: partiti, coalizioni alternative e la generalità degli elettori.
I tempi per varare una buona legge elettorale, rispettosa delle peculiarità istituzionali e politiche della nostra Isola, sono ormai stretti, ma il Consiglio è adesso nella condizione di poter legiferare, correggendo i limiti e anche alcune inaccettabili storture della legge nazionale.
Lo spirito unitario e sostanzialmente costruttivo che ha caratterizzato il confronto politico in Commissione è auspicabile che non si disperda e anzi si rafforzi durante l'esame in Aula di questo progetto di legge, per realizzare, se non l'unanimità, la più ampia unità autonomistica possibile.
In questo spirito il Consiglio potrà anche ulteriormente accorciare le distanze che permangono tra i gruppi su alcuni punti delicati della legge, e in particolare sulla ineludibile questione di una parità effettiva dei sessi per l'accesso alle cariche pubbliche elettive e sulle istanze del mondo dell'emigrazione.
Il testo della Commissione è unificato con il Disegno di legge n. 245 e le Proposte di legge n. 362 - n. 379 - n. 380 - n. 392 - n. 396