Seduta n.245 del 14/09/2017 

La seduta è stata preceduta da un incontro con il Prefetto Franco Gabrielli, Capo della polizia di Stato.

(Il resoconto integrale è allegato alla Seduta)

CCXLV Seduta

Giovedì 14 Settembre 2017

Presidenza del Presidente Gianfranco GANAU

La seduta è aperta alle ore 11 e 22.

FORMA DANIELA, Segretaria, dà lettura del processo verbale della seduta del 26 luglio 2017 (241), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Giampietro Comandini, Michele Cossa, Luigi Crisponi, Attilio Dedoni, Roberto Desini, Gavino Manca, Piermario Manca, Alfonso Marras, Giorgio Oppi, Giuseppino Pinna, Valter Piscedda e Gianluigi Rubiu hanno chiesto congedo per la seduta del 14 settembre 2017.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Annunzio di presentazione di proposta di legge statutaria

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la proposta di legge statutaria numero 12.

Annunzio di interrogazioni

PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

FORMA DANIELA, Segretaria. Sono state presentate le interrogazioni numero 1235, 1236 e 1237.

Discussione e approvazione della mozione Busia - Pinna Rossella - Forma - Zedda Alessandra sullo stato di attuazione del Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere e delle misure adottate in materia dal Consiglio regionale, con particolare riferimento agli strumenti diretti a garantire la prevenzione della violenza e il coordinamento della rete formata dagli operatori dei centri antiviolenza, operatori dei centri per autori di violenza di genere, servizi sociali, forze dell'ordine, sistema giudiziario e ogni altra realtà

operante nel settore della violenza sulle donne. (348)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione numero 348.

Mozione Busia - Pinna Rossella - Forma - Zedda Alessandra sullo stato di attuazione del Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere e delle misure adottate in materia dal Consiglio regionale, con particolare riferimento agli strumenti diretti a garantire la prevenzione della violenza e il coordinamento della rete formata dagli operatori dei centri antiviolenza, operatori dei centri per autori di violenza di genere, servizi sociali, forze dell'ordine, sistema giudiziario e ogni altra realtà operante nel settore della violenza sulle donne.

IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO che:

- la violenza di genere ricomprende l'insieme delle violenze esercitate sulle donne, in tutte le fasi della loro vita, in qualunque contesto, pubblico o privato e giustificate dall'appartenenza al genere femminile;

- secondo i dati Istat 2014, sono 6 milioni 788 mila in Italia le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica o sessuale;

- il 62,7 per cento delle violenze è commesso da un partner attuale o precedente;

- il 10,6 per cento delle donne ha subito violenza prima dei 16 anni. Tale percentuale aumenta al 65,2 per cento ove si consideri la violenza assistita, cioè la violenza sulla propria madre;

- le donne separate e divorziate hanno subito violenze fisiche o sessuali in percentuale maggiore rispetto alle altre donne, così come quelle affette da disabilità o con problemi di salute;

TENUTO CONTO che:

- si registrano segnali di miglioramento rispetto all'indagine precedente: è in calo la violenza sia fisica che sessuale; si registra una maggiore consapevolezza, sempre più donne considerano la violenza subita un reato, cercano sempre di più aiuto presso i centri antiviolenza, sono più soddisfatte del lavoro delle forze dell'ordine;

- prendendo in analisi le vittime dei soli delitti rientranti nell'accezione violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti, violenze sessuali ecc.), si evidenzia una diminuzione dell'incidenza delle vittime di sesso femminile tra l'anno 2013 e 2014, in controtendenza con l'anno 2015, ove si registra invece un aumento;

PRESO ATTO:

- che il panorama normativo italiano prevede molteplici strumenti per contrastare le azioni violente in genere, sia maschili che femminili e, nel tempo, il legislatore è intervenuto con nuove direttive o modificando quelle esistenti;

- dei recenti interventi legislativi sul tema, la legge n. 119 del 2013, di conversione del decreto legge n. 93 del 2013 contiene disposizioni volte a prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere; la legge 27 giugno 2013, n. 77, con la quale l'Italia è stata tra i primi paesi europei a ratificare la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come "Convenzione di Istanbul", adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, a seguito del raggiungimento del prescritto numero di dieci ratifiche. La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione stabilisce inoltre un chiaro legame tra l'obiettivo della parità tra i sessi e quello dell'eliminazione della violenza nei confronti delle donne;

- della proposta di legge attualmente all'attenzione del Senato, votata all'unanimità alla Camera sulla tutela degli orfani dei crimini domestici;

- che l'articolo 5 del decreto legge n. 93 del 2013 ha previsto l'adozione di un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con lo scopo di affrontare in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti a livello sia centrale che territoriale, il fenomeno della violenza contro le donne, snodo centrale dell'azione ordinaria di contrasto alla violenza di genere;

- che il Piano è elaborato dal Ministro per le pari opportunità, con il contributo delle amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza e adottato dal medesimo Ministro, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Esso è, inoltre, predisposto in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020. L'ambizioso obiettivo è la piena tutela della donna da ogni forma di violenza e discriminazione di carattere sessuale, sociale, culturale ed economico, per un effettivo raggiungimento della parità dei sessi. Sotto il profilo giudiziario, in un'ottica che pone al centro del sistema la tutela della vittima, è stato delineato un sistema di strumenti giuridici per elevare l'efficacia dell'azione di prevenzione e contrasto della violenza di genere e di ogni forma di violenza domestica;

- che il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;

- che le finalità del piano sono molto ampie e riguardano interventi relativi a una pluralità di ambiti: dall'educazione nelle scuole, alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, anche attraverso un'adeguata informazione da parte dei media, dal potenziamento dei centri antiviolenza e del sostegno alle vittime al recupero degli autori dei reati, dalla raccolta di dati statistici alla formazione degli operatori di settore. Il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere assicura il coordinamento e il coinvolgimento di tutti i livelli di governo interessati, basandosi sulle buone pratiche già realizzate a livello territoriale, anche grazie alle azioni di associazioni e soggetti privati;

- che per l'adozione del piano, il Ministro delegato per le pari opportunità può avvalersi delle risorse del Fondo per le pari opportunità. Il decreto legge dispone al riguardo un incremento del predetto Fondo per le pari opportunità di 10 milioni di euro, limitatamente all'anno 2013, vincolati al finanziamento del piano contro la violenza di genere (articolo 5, comma 4). Per gli anni 2014, 2015, e 2016 ha provveduto la legge di stabilità 2014, aumentando ulteriormente il fondo di 10 milioni per ciascuno di questi anni, con vincolo di destinazione al piano medesimo;

- che il Ministro delegato per le pari opportunità, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, provvede annualmente a ripartire le risorse tra le regioni, tenendo conto di una serie di criteri indicati dalla legge;

- che nel complesso, le previsioni del bilancio integrato per la promozione e la garanzia delle pari opportunità, sono pari a 70,1 milioni di euro per il 2017, 24,7 milioni di euro per il 2018 e di 22,1 milioni di euro per il 2019;

- che nel bilancio 2017 della Presidenza del Consiglio, nel capitolo nel quale sono iscritti sia i fondi destinati al Piano straordinario che quelli per i centri antiviolenza e le case rifugio (articolo 5 bis) risultano stanziate per il 2017 risorse per 21,7 milioni di euro;

VISTA la legge regionale 7 agosto 2007, n. 8 (Norme per l'istituzione di centri antiviolenza e case di accoglienza per le donne vittime di violenza);

RILEVATO che:

- ancora troppi sono i segnali negativi e che serve più vigore nell'azione esecutiva delle leggi approvate: il numero degli stupri è identico dal 2006 al 2014. Le violenze sono anzi più gravi: aumentano sia quelle che hanno causato ferite dal 26,3 al 40,2 da parte del partner e aumenta il numero delle donne che hanno temuto per la propria vita dal 18,8 al 34,5. Preoccupa, soprattutto, il dato relativo agli omicidi: nel 2010 le vittime di sesso femminile rappresentavano il 29,89 per cento delle persone uccise, nel 2013 tale percentuale raggiunge un picco del 35,71 per cento, per diminuire nell'anno 2014 (31,34 per cento) e nel 2015 (30,06 per cento). Anche l'ambito familiare affettivo, dove l'incidenza percentuale evidenzia il delicato e "debole" ruolo della donna, mostra un significativo "aggravamento". Se nel 2010 le donne uccise in ambito familiare/affettivo rappresentavano il 62,70 per cento le stesse raggiungono nel 2013 il triste primato del 70,22 per cento, per stabilizzarsi nel 2014 al 61,04 per cento e nel 2015 al 64,88 per cento (dati tratti da Analisi criminologica 2015 della violenza di genere, che costituisce un'autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento di cui all'articolo 113 della legge n. 121 del 1981);

- nel periodo 2013/2015 gli ammonimenti risultano in aumento del 3,41 per cento, nel 2015 si registrano 246 soggetti allontanati con effetto immediato dalla casa familiare, con un aumento del 236 per cento rispetto al 2013;

PRESO ATTO della manovra finanziaria 2017 approvata dal Consiglio regionale e, in particolare, dei seguenti interventi previsti dalla legge regionale 13 aprile 2017, n. 5 (legge di stabilità 2017):

- articolo 6 "Interventi rivolti agli autori di violenza di genere e nell'ambito delle relazioni affettive", comma 5, che dispone che la Regione istituisca, entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge, un osservatorio regionale sulla violenza e periodicamente organizza tavoli tecnici per garantire procedure integrate e una rete sinergica, formata dagli operatori dei centri antiviolenza, dagli operatori dei centri per autori di violenza di genere, dai servizi sociali, dalle forze dell'ordine, dal sistema giudiziario e da ogni altra realtà operante nel settore della violenza sulle donne;

- articolo 6, comma 6, che prevede che la Giunta regionale, su proposta dell'Assessore regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale, sentita la Commissione consiliare competente, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, stabilisce i criteri per la concessione di contributi diretti a finanziare le attività e le strutture dei centri di presa in carico degli autori di violenza;

- articolo 5, comma 33, istitutivo del fondo regionale per le vittime e gli orfani per crimini domestici;

- legge di bilancio che ha incrementato il capitolo di spesa a favore dei centri antiviolenza per una somma pari a euro 900.000 per l'anno 2017,

impegna il Presidente della Regione

a riferire sullo stato di attuazione nella Regione del Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere e a dare attuazione alle misure adottate in materia dal Consiglio regionale, con particolare riferimento agli strumenti diretti a garantire la prevenzione della violenza e il coordinamento della rete
sinergica, formata dagli operatori dei centri antiviolenza, operatori dei centri per autori di violenza di genere, servizi sociali, forze dell'ordine, sistema giudiziario e ogni altra realtà operante nel settore della violenza sulle donne. (348).)

PRESIDENTE. Diamo per illustrata la mozione Busia, Pinna, Forma, Zedda.

È iscritto a parlare il consigliere Domenico Gallus. Ne ha facoltà.

GALLUS DOMENICO (PSd'Az). Io prima di effettuare l'intervento sulla mozione in oggetto ho da dichiarare questo, che sono qua a titolo personale e sono lieto di esserci, sono e resto all'opposizione, però sono e resto libero di dire quello che penso e di votare quello che penso che sia giusto per la Sardegna. Quindi ribadisco ancora la mia posizione autonoma nel centrodestra, ma comunque sia non legata a nessun Gruppo e a nessun partito per adesso, quando farò le mie scelte le comunicherò immediatamente, da allora avrò anche un Capogruppo, perché la mia è solo un'adesione tecnica, e avrò anche un partito a cui rispondere, perché i numeri in democrazia dicono che se si decide una certa strategia, anche se non si è d'accordo, però i numeri sono dall'altra parte e la si accetta. Io non sono stato contattato da nessuno per prendere la decisione di non essere presenti qua oggi, non condivido questa scelta, infatti sono qui tranquillo ad effettuare anche il mio intervento che, tra l'altro, nell'intervento stesso ci ho messo serate di lavoro, e da questo do inizio appunto all'intervento.

Quindi, grazie signor Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, colleghe e colleghi. La violenza di genere è un fenomeno trasversale, interessa tutte le classi, perché in larga percentuale sta dentro il nucleo base della comunità, la famiglia, ed è proprio in famiglia che veniamo marchiati dalla nostra appartenenza sessuale, ed è qui che impariamo precocemente quelle che sono le differenze di genere. Al momento della nascita la prima etichetta che connota gli individui in quanto soggetti sociali, relativamente all'identificazione personale, è proprio l'essere maschio o femmina. La società implica che l'identità individuale sia assegnata in primissima istanza dall'appartenenza sessuale, maschile e femminile, e si configurano pertanto come due categorie complementari e reciprocamente escludentesi, nelle quali sono collocati tutti gli esseri umani. La coppia uomo-donna mette in campo dimensioni che, pur partendo dal riconoscimento del dato biologico, il sesso maschile o femminile, ampliano i confini di significato dei termini implicati, includendo e comprendendo sia il rimando a tutta una serie di aspetti - qualità, attributi, carattere eccetera -, che prescindono dalla stessa base biologica, sia in riferimento al contesto socioculturale, politico e storico ideologico, come contesto fondamentale per la definizione della mascolinità o della femminilità. Nel sentire comune, infatti, il sesso e il genere costituiscono un tutt'uno; sesso e genere non costituiscono due dimensioni contrapposte, ma interdipendenti. Sui caratteri biologici si innesca il processo di produzione dell'identità di genere, traducono le due dimensioni dell'essere uomo e donna. Il genere è un prodotto della cultura, è frutto del rinforzo sociale e culturale dell'identità. Attraverso il comportamento, il linguaggio, il ruolo sociale, testimoniamo l'appartenenza al genere; in sostanza il genere è un carattere appreso e non innato. Il dato biologico viene trasformato in un sistema binario purtroppo asimmetrico, in cui il maschile occupa una posizione privilegiata rispetto al femminile, al quale è legato da strette connessioni, da cui entrambi ne derivano a una reciproca definizione. Se prendiamo in esame gli aspetti della vita quotidiana, comprendiamo immediatamente che non ve ne è alcuno che non sia connotato secondo il genere. La nostra vita è contornata da chiari messaggi sulle differenze. Pensiamo alla facilità con la quale attribuiamo un determinato linguaggio del corpo a uomini e donne: postura, portamento, gesti, espressioni quando parlano, il modo di conversare. Gli uomini: affermazioni dirette, richieste dirette, interruzioni frequenti. Le donne: richieste in diretta e tendenza ad essere interrotte. O a come sottolineiamo la nostra appartenenza sessuale con la scelta degli oggetti: orologi, calze, pantofole, fazzoletti e quant'altro. Possiamo fare infiniti esempi, e tutti possono dirci qualcosa anche sugli ideali di mascolinità e femminilità. Queste differenze oggi sono problematiche. Il linguaggio corporeo maschile e femminile e il modo in cui essi interagiscono non sono solo semplice espressione di differenze convenzionali di stile, ma messaggi importanti sul modo in cui gli interlocutori sentono di poter occupare lo spazio fisico e comunicativo, e sulle variabili di potere implicite nelle transazioni uomo o donna. Tutto ciò rientra nel quadro di insieme delle differenze e diseguaglianze più ovvie e osservabili fra i sessi. Questa, al pari di quella fisica, è violenza. Si tende oggi a considerare vinta la battaglia per l'uguaglianza e ad affermare l'avvento di una società post femminista, di una società cioè in cui il femminismo ha perso la sua ragion d'essere. In Gran Bretagna l'Equal Pay Act del 1970 e il Sex Discrimination Act del 75, che in Italia corrispondono grosso modo all'articolo 37 della Costituzione sulla parità di trattamento economico, e alla legge 903 del 1977 sulla parità uomo-donna nei rapporti di lavoro, e l'istituzione in Italia della Commissione per le pari opportunità, legge 10 aprile 1991, dimostrano la presenza di una società capace di riconoscere le ineguaglianze e disposta a ristabilire gli equilibri. Tuttavia, nonostante queste misure, le donne continuano a non godere nelle società occidentali contemporanee di una condizione di parità, anche se sono stati fatti dei passi importanti in questo settore. Anche qui, dove è rappresentata la Sardegna intera, il genere femminile è un quindicesimo di tutta l'Assemblea regionale, nonostante le donne nella nostra Isola siano in maggioranza rispetto agli uomini. Ciascun individuo porta ancora l'etichetta che lo classifica come maschio o femmina; e questa è o non è violenza? Ciò avviene perché già a partire dalla famiglia, primo sistema sociale col quale l'essere umano è a contatto, per proseguire con la scuola, altro sistema sociale primario, e continuare con gli ambienti lavorativi, assistiamo ad una socializzazione di genere, che attraverso l'educazione fa sì che maschi e femmine assumano comportamenti e ruoli diversi, che la società ritiene opportuni per loro. Per questo non dobbiamo stupirci se il passo alla violenza sul genere è ritenuto debole, e cioè quello femminile sia più corto di quanto spesso possiamo immaginare. Il contrasto agli stereotipi di genere e alla violenza oggi non rappresentano solo una questione di civiltà e di rispetto dei diritti umani, ma una vera e propria questione sociale. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità è un grave problema di salute pubblica, che incide direttamente sul benessere fisico e psichico delle donne, e indirettamente sul benessere sociale e culturale di tutta la popolazione. La violenza di genere è un fenomeno difficile da contrastare, perché spesso mascherato e nascosto negli interstizi della società. Pur essendo presente nella vita quotidiana dei molte donne, riesce silenziosamente a mascherarsi come evento accidentale, e persino nella percezione delle vittime stesse. La violenza di genere determina senza dubbio un costo sociale che frena lo sviluppo economico della società, a cominciare dal mancato guadagno economico da parte delle vittime, fino ad arrivare ai costi finanziari, che il sistema deve sostenere per arginare gli effetti negativi dei maltrattamenti contro le donne. Le violenze generano spese pubbliche più elevate per i servizi medici, per il sistema giudiziario, per la sicurezza, e soprattutto per il prezzo pagato dalle future generazioni in termini di disagio e sviluppo. Il femminicidio, l'estrema (…) violenza di genere, che ben conosciamo, è un fatto sociale; la donna viene uccisa in quanto donna, o perché non è la donna che l'uomo o la società vorrebbero che fosse. Nonostante la cronaca veda crescere il numero di donne vittime di violenza, è difficile da concepire, da mettere, da razionalizzare, da accettare, che in una società democratica, civilizzata e culturalmente avanzata come la nostra accada questo. Eppure molte donne oggi sono vittime di violenza solo perché donne. Famiglia e scuola, è proprio qui che si deve intervenire primariamente per fare in modo che i nostri ragazzi vengano educati al rispetto e all'uguaglianza, ma soprattutto al non utilizzo della violenza come elemento unico del soddisfacimento di quelle che sono pulsioni naturali. (…) educativa extra familiare risulta avere un importante ruolo di educazione al genere, così come la rete sociale che accompagna ciascuno di noi per tutta la vita deve essere esempio di eguaglianza e non violenza. E' necessario pensare che occorrono più servizi e cambiamenti di cultura, azioni e pratiche di orientamento, anche per le famiglie e le istituzioni, oltre che per il mondo del lavoro. L'azione da mettere in atto deve essere senza dubbio di tipo trasversale, lavorando a fondo sull'educazione in senso ampio, partendo dal considerare la radice profonda presente in ogni essere umano il fatto di essere persona. E' necessario contribuire alla modificazione di atteggiamenti e mentalità, e a superare gli stereotipi nei vari ambienti sociali. I centri antiviolenza, i servizi essenziali, le forze dell'ordine e chiunque si trovi ad operare nel settore della violenza sulle donne, deve avere la certezza (…) una rieducazione che partendo dalle famiglie si estenda alla scuola e ai centri di formazione, alla pubblica amministrazione e alle aziende dove ciascuno di noi può essere attore di una realtà da migliorare. Concludo con un'affermazione di Mike White, noto psicoterapeuta australiano: per afferrare il concetto di differenza è sufficiente chiedersi quale sia l'unico tratto di una persona che non dimentichiamo mai di registrare e ricordare, anche dopo l'incontro più effimero, e la risposta è il sesso. Lo ricordiamo perché, ci piaccia o no, il sesso è importante, ed è in questa rilevanza che indichiamo con il termine genere. Grazie

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Gianfranco Congiu. Ne ha facoltà.

CONGIU GIANFRANCO (Partito dei Sardi). Sono qui per apporre formalmente la firma mia e di tutto il Gruppo alla mozione in discussione. Siamo tutti noi particolarmente grati all'impegno profuso dalle colleghe nell'andare a ricordare con la mozione quello che costituisce un patrimonio politico di tutto il Consiglio regionale di questa legislatura, patrimonio politico che si è trasfuso formalmente nel dettato normativo dell'ultima legge di stabilità con la quale abbiamo istituito, penso tra le prime Regioni d'Italia, gli osservatori, capitoli specifici dedicati all'assistenza degli orfani vittime di violenza di genere dimostrando non solo con la retorica delle parole ma anche con la logica e con la coerenza dei fatti che questo Consiglio regionale, questa legislatura caratterizza il suo impegno sociale marcando un punto decisivo sulla lotta alla violenza di genere. Noi ci siamo e siamo qua in seduta formale per ribadire il nostro impegno, per ricordare a tutti l'impegno profuso in questa legislatura ma anche per ricordare che i temi e questo è uno di quelli più che dal punto di vista della repressione, vanno affrontati dal punto di vista del cambio culturale e cambio culturale significa impostare noi che siamo Regione capofila su questo tema, impostare un dibattito politico urgente perché in Aula arrivi quanto prima la legge sulla parità di genere perché non venga confusa nel mare magnum di riforme elettorali che ottengono e ci fanno ottenere l'unico risultato di dilatare i tempi di approdo verso una riforma quanto mai urgente. Riteniamo che l'approccio culturale debba segnare il cammino e le azioni di ciascuno di noi ed è per questa ragione che abbiamo scelto come gruppo di non partecipare alla parte informale perché riteniamo che il capo della struttura repressiva italiana in un momento di confronto sulle politiche tese a rimuovere gli ostacoli non abbia contribuito alcunché all'elevazione del dibattito se non dal punto di vista dello snocciolamento dei dati perché è vero che anche a livello italiano il tema è centrale nell'agenda politica, ma i fatti ancora una volta dimostrano che da un lato ci sono le parole, dall'altro ci sono i fatti che negano l'essenza delle stesse. Non esiste a livello italiano l'attivazione di un Ministero per le pari opportunità avendo relegato il tema solo e soltanto ad una struttura dipartimentale. Allora se è centrale per noi deve essere centrale anche per lo Stato italiano, questa è la ragione per la quale noi abbiamo ritenuto che non fosse utile per la affermazione dell'etica del dibattito sulla violenza di genere una presenza sarebbe stata una presenza polemica e non avremmo voluto marcare né sporcare quell'occasione con delle polemiche inutili, ce sono state fin troppe. Tornando alla parte formale sono lieto che vi siano i Presidenti, vi sia l'Assessore competente che illustreranno qual è il cronoprogramma per il conseguimento dei risultati e gli obiettivi tracciati dalla finanziaria 2017, ma segnalo anche, Presidente, il fatto che oggi è una giornata di lavoro ordinaria per noi e mi dispiace constatare che a fronte della discussione sulla mozione sostenuta anche da noi non vi sia nel prosieguo dei lavori analoga attenzione per tutte le altre mozioni che recano temi decisivi e importanti per questa terra. Ben venga l'apertura di una seduta dedicata alle mozioni come era stato l'impegno preso dai Capigruppo ma alla discussione e all'esaurimento con tutto il tempo e l'enfasi che occorre il tema sulla violenza di genere, doveva accompagnarsi una prosecuzione dei lavori per l'evasione di tutte le altre mozioni che affrontano temi che sono cruciali per la nostra vita sociale e politica.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Daniela Forma. Ne ha facoltà.

FORMA DANIELA (Gruppo Misto). Ormai non passa giorno che non si senta parlare di violenza sulle donne e questo ci porta doverosamente a riflettere sulla visione politica sociale e culturale che orienta le strategie che abbiamo attuato e che siamo chiamati ad attuare. Ora se il documento più importante sul tema della violenza contro le donne è la dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 93, io ritengo che la sintesi perfetta a mio avviso risieda nella convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica che è entrata in vigore il primo di agosto del 2014. Tale convenzione che è meglio conosciuta come la Convenzione di Istanbul ha segnato una strada ben precisa che abbiamo iniziato a percorrere condividendo tutti, istituzioni, mondo associazionistico e professionale e soggetti privati un percorso che è politico, un percorso che è culturale e normativo, di innovazione, di civiltà, di recupero, di condivisione e di conoscenza per rimuovere non solo attraverso leggi ma soprattutto con comportamenti e con la coscienza, con una nuova coscienza collettiva ciò che impedisce la piena cittadinanza delle donne. E la Convenzione di Istanbul ci fornisce non solo l'obiettivo da raggiungere ma anche le definizioni da condividere, la complessità politica e culturale da affrontare, gli spazi su cui agire e sia chiaro che non è solamente una questione di conoscenza né di consapevolezza collettiva, di valutazione dei punti di attenzione che poi ognuno e ognuno dovrà esercitare nelle proprie funzioni e attività. Ricordiamo l'articolo 3 della Convenzione di Istanbul che dice: "Con l'espressione violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica, economica comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata." Quindi parliamo di violazione dei diritti umani e danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica, economica, quindi da una parte una categoria etica e normativa dall'altra il segno multiforme di quanto sia ampio lo spazio su cui lavorare. Quindi il primo punto su cui dobbiamo lavorare per accrescere la consapevolezza diffusa senza mai dimenticare che la violenza nei confronti delle donne è una violazione dei diritti umani che dobbiamo ridurre fino ad eliminare. Ma allora il raggiungimento dell'uguaglianza di genere, di fatto e di diritto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne ed infatti la sfida più dirompente che siglando questa convenzione abbiamo accettato è proprio quella di cambiare la società, i nostri modelli culturali, le nostre rappresentazioni, i nostri linguaggi, le nostre abitudini, le nostre leggi, il nostro modo di stare al mondo e relazionarci con le differenze di genere imparando a rispettarle e riconoscerne il valore. Questa è la sfida da vincere perché la nostra società è ancora fortemente e profondamente maschilista e discriminatoria, e questo fa male non alle donne ma a tutta la società. Quindi dicevo società profondamente maschilista e discriminatoria, sì perché il fenomeno della violenza di genere non è altro che la manifestazione della storica differenza in termini di potere all'interno delle relazioni di genere, differenza che ha portato alla dominazione dell'uomo nei confronti della donna, è frutto dell'esigenza di affermare l'autorità maschile all'interno della coppia e nella società ed infatti nel mondo a parità di grado di sviluppo economico dei vari Paesi, gli abusi fisici e sessuali sono più diffusi laddove le norme culturali tendono a giustificare il ricorso alla forza. E c'è anche un'altra questione, buona parte della società vede le violenze perpetrate da un partner nei confronti della propria donna o ex donna come un fatto privato, come una questione privata e non come un problema sociale e di valenza pubblica e questo è evidente soprattutto per le violenze domestiche. Quante volte anche a noi è capitato di ripetere bonariamente il famoso detto: "Tra moglie e marito non mettere dito"? Proverbio che rispecchia chiaramente come anche nella nostra società trova riscontro una visione di questo tipo. E allora iniziamo a stravolgere le visioni culturali consolidate nel nostro Paese, nella nostra piccola realtà, iniziamo a considerare la violenza di genere come un fatto non normale, non socialmente accettabile, iniziamo a mettere dito tra moglie e marito perché la violenza non può mai essere considerata alla stregua di un fatto privato. Facciamo in modo che la solitudine e la vergogna non diano il colpo di grazia finale ad una donna che ha subito violenza ma che è sopravvissuta a chi voleva ribadire su di lei il proprio dominio, il proprio possesso. Sì perché, io lo ribadisco, alla base della violenza di genere c'è quasi sempre un'atavica dinamica di potere, dove l'uomo cerca di ribadire la propria supremazia sulla donna che sfocia nell'atto violento. E allora è quanto mai opportuno interrogarci in questo luogo, che è luogo di servizio ma è anche luogo di potere, sulle dinamiche sociali del potere e sul ruolo e gli spazi di potere cui la donna può accedere nella nostra società. E allora io concordo pienamente con il Presidente del Consiglio quando afferma che da qui dobbiamo ripartire, dal problema della sottorappresentatività del genere femminile in quest'Aula. Perché se è vero che oggi in Italia un terzo delle parlamentari sono donne, è anche vero che anche in quest'Aula, nel Parlamento dei sardi, sono solo quattro le donne su 60 Consiglieri regionali. E se è vero che nella nostra Giunta regionale il genere femminile è ben rappresentato, domandiamoci: quante sono le donne che hanno un ruolo nelle maglie del sistema regionale? quante sono le donne negli uffici di gabinetto, nei ruoli dirigenziali? quante sono le donne nominate negli enti, nelle agenzie, nei ruoli di punta del sistema sanitario regionale? I nostri partiti si scaldano e si attaccano per ogni nomina che viene fatta dalla Presidenza della Giunta, dalla Presidenza del Consiglio, ma chi si è mai scandalizzato? chi ha mai protestato, perché per l'ennesima volta si è comunque scelto per un ruolo di potere un uomo, piuttosto che una donna? Allora interroghiamoci ancora oggi su quanto sia normale relegare al ruolo di potere un uomo nella nostra società sarda e quanto sia fastidioso dover necessariamente fare posto ad una donna quando questo è obbligatorio per legge. Da qui iniziamo oggi a porre in essere atti concreti di apertura nei confronti delle donne. Cari colleghi non abbiate paura di essere uomini coraggiosi, uomini che non vedono sminuire il proprio prestigio, il proprio potere nel consentire alle donne di poter accedere a spazi di potere. Questa legislatura venga ricordata come quella che consentirà alle donne sarde di poter compiutamente concorrere alle scelte della nostra Regione. Facciamo anche noi responsabilmente la nostra parte nella lotta alla discriminazione di genere che è il substrato culturale alla violenza di genere, imperante anche nella nostra società. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. Comunico che è rientrato dal congedo l'onorevole Comandini.

E' iscritto a parlare il consigliere Emilio Usula. Ne ha facoltà.

USULA EMILIO (Gruppo Misto). Presidente, sarò brevissimo senz'altro. Anch'io voterò assolutamente a favore di questa mozione, che apprezzo, e voglio dirlo pubblicamente apprezzo senz'altro l'impegno delle nostre quattro Consigliere nelle battaglie per la difesa e per ricordare appunto il ruolo delle donne in questa società. Però non posso esimermi, in un momento come questo, di ricordare un altro momento, il momento dell'ultima finanziaria quando proposi, con un emendamento, un finanziamento dei centri antiviolenza, per fare in modo che questo finanziamento venisse avvicinato almeno alle cifre originarie, proponevo un finanziamento di un milione e mezzo, questa Assemblea, questa maggioranza, mostrando una certa ipocrisia politica, riuscì a stanziare la misera cifra di 900.000 euro, che sono molto lontane come risorse da quanto stabilito dalla legge istitutiva del 2007, che proponeva e stanziava 1.200.000 euro, sino ad arrivare nel 2006 e nel 2007 a 1.800.000 euro. Ebbene questa legislatura, con l'ultima Finanziaria, abbiamo stanziato 900.000 euro per i centri antiviolenza che urlano sofferenza perché non riescono a pagare gli affitti, non riescono a pagare le bollette, non riescono a comprare la benzina per le macchine, non riescono ad acquistare i beni di prima necessità. E quindi voglio sottolineare, mentre dico che senz'altro voterò a favore di questa mozione, voglio sottolineare la contraddizione però di questa maggioranza. Non possiamo fare grandi discorsi liturgici contro la violenza di genere, e poi nel momento in cui dobbiamo dare anche forza e gambe a quelle istituzioni, a quelle donne, a quegli enti che in qualche modo si pongono proprio come argine contro la violenza di genere, poi andiamo a stringere i cordoni della borsa, che già sarebbero stati molto stretti. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Luca Pizzuto. Ne ha facoltà.

PIZZUTO LUCA (SPD). Presidente, io penso che questo tema sia un tema molto rilevante e che noi sbagliamo ad occuparcene solo nel momento in cui i media portano all'attenzione dell'opinione pubblica stupri, violenze, assassinii, e cose di questo tipo. Uno dei più grandi intellettuali credo viventi oggi, io lo ritengo il Gramsci contemporaneo, Ocalan, imprigionato sull'isola di Imrali, basa la sua filosofia politica sul pensiero che la libertà dell'umanità in questa società violenta e oppressiva si fonda soprattutto sulla liberazione della donna, e usa una metafora molto forte, molto potente, partendo da un'analisi storica del neolitico, in cui lui dice che finché Dio è stato donna, con la madre terra e le rappresentazioni ad essa collegate, l'umanità ha vissuto in pace e ha avuto periodi di prosperità, i problemi sono nati quando Dio è diventato uomo, e da lì dice che la prima forma di oppressione non è dell'uomo sull'uomo, ma dell'uomo sulla donna, e per fare in modo che ci sia libertà, anche fra gli uomini, è necessario prima di tutto ripristinare la libertà della donna. Noi oggi viviamo in una società dove la donna altro non è che un oggetto sessuale a disposizione dell'uomo, basta vedere la televisione, siamo bombardati costantemente da immagini e icone che dicono sostanzialmente questo: la donna deve essere un oggetto a disposizione del piacere dell'uomo, ed è sempre a un livello più basso dell'uomo. Basti pensare anche a questi programmi di finta scienza, dove ci sono uomini che fanno domande, quiz televisivi eccetera, e la donna altro non è che l'apparizione, più o meno in bikini, dell'intrattenimento sessuale per gli uomini. O basti pensare anche a programmi dove nella cultura e nel senso comune la cucina è affidata alla donna, abbiamo programmi dove lo chef è uomo e la donna è una cuoca. C'è costantemente un dislivello culturale profondo e radicale. Allora se noi questo vogliamo provare a metterlo in discussione, dobbiamo prima di tutto noi uomini, come genere, cercare di mettere prima in discussione il nostro potere, e aprirlo, e dall'altra parte dobbiamo riflettere sulla nostra condizione di essere maschi, perché il nostro essere maschi in una società che domina in questa maniera, e che ci obbliga a essere, con modelli culturali profondamente violenti, la rappresentazione maschile dell'uomo muscoloso, dell'uomo virile, che deve avere in mano fucili, che non deve chiedere mai (rappresentazione a cui orgogliosamente, con la mia linea curva, di pancia non rivendico, e preferisco essere un altro modello di uomo), è una rappresentazione che è violenta anche per noi, perché ci viene impedito di vivere le nostre emozioni, ci viene impedito di poter essere in contatto anche con noi stessi. Un uomo non deve piangere mai, noi siamo stati educati anche a questo. Allora è una società profondamente oppressiva, che abbiamo il dovere di cambiare, dove le donne sono vittime di una violenza e di una repressione maschile che è inaccettabile. E al di là delle cose politiche che noi in quest'Aula abbiamo il dovere di fare, e alcune cose si sono dette e si sono fatte, noi abbiamo il dovere di un cambiamento, e io ho apprezzato molto un'espressione che Gianfranco hai utilizzato nella tua educazione, tu hai detto "noi uomini non violenti", io credo che il passaggio epocale della nostra società sia quello di avviare un cambiamento culturale verso la non violenza e verso un modello di uomo e di società che non appartenga più a un modello dominante, patriarcale e brutale che sta annichilendo il mondo perché è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo anche in queste ore e in altre parti del mondo per cui il tema della violenza di genere non è un tema relegato al fatto che si stanno uccidendo delle donne, che è un atto gravissimo e violentissimo ma è un atto che parla della nostra società patriarcale, di come questa è stata costruita, di come questa è stata plasmata per il dominio dell'uomo e di come noi dobbiamo avere il dovere di cambiarlo, non solo perché siamo politici in quest'Aula, ma perché probabilmente molti di noi sono padri, sono nonni, sono zii e hanno il dovere di dare un messaggio educativo diverso da questo punto di vista. Io penso che le azioni che noi abbiamo impostato in Iscola, gli emendamenti in finanziaria debbano andare verso un modello educativo nuovo di cui la Regione Sardegna dovrebbe farsi avanguardia in questo momento attraverso l'educazione sentimentale, l'educazione sessuale, che è un tema di cui tutti hanno paura ma che la letteratura scientifica dice che ove ci sono elezioni e dove si fa prevenzione in questo senso diminuiscono gli stupri e le forme di violenza e forme di consapevolezza emotiva. Noi in Sardegna possiamo essere gli artefici tutti insieme di un cambiamento e di un modello culturale innovativo a cui magari un domani si potrà guardare con orgoglio per gli effetti nelle nuove generazioni, io penso che questa sia la sfida che noi dobbiamo lanciarci in quest'Aula nella prossima finanziaria, negli atti che determineranno il lavoro di questa legislatura, lo dobbiamo non solo a noi stessi ma ai figli del domani perché la costruzione di una società egualitaria e giusta parte dal fatto che ognuno di noi si mette in discussione, dal privato alla sfera pubblica, solo così noi possiamo avere la forza e il coraggio di cambiare veramente questa società e di creare un mondo più giusto.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la consigliera Rossella Pinna. Ne ha facoltà.

PINNA ROSELLA (PD). Presidente, il tema di oggi è un tema che ci tocca profondamente, parliamo di donne aggredite, picchiate, perseguitate, sfregiate, abusate e persino uccise da uomini quasi sempre quelli che, abbiamo detto e ripetuto anche oggi, sostengono di amarle. La violenza contro le donne rappresenta un flagello mondiale nella maggior parte del pianeta, un fenomeno ancora impunito e largamente diffuso, basti pensare che molti Stati che fanno parte delle Nazioni Unite non hanno normative o disposizioni che rendano giustizia alle vittime colpendo coloro che commettono tali crimini. Durante le guerre le donne tornano a essere contese come oggetti anche in quelle società che in tempo di pace sembravano aver superato questa visione, nei conflitti etnici in particolar modo le donne vengono colpite non perché realmente pericolose, ma solo perché sono le donne del nemico, potenziali generatrici di futuri nemici, uccidendole e stuprandole, torturandole, si vogliono colpire in realtà gli uomini, i nemici a cui esse appartengono. In Europa è la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in età compresa tra i sedici e quarantaquattro anni e se nel terzo mondo ogni minuto una donna muore per le complicazioni legate al parto, in Occidente le statistiche parlano di uno stupro ogni quattro minuti negli Stati Uniti e persino nella civilissima Svezia un omicidio ogni dieci giorni. Fermandoci al fenomeno più eclatante, quello del femminicidio, l'uccisione di una donna appunto con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali rappresenta, l'ha detto e l'ha confermato anche il prefetto Gabrielli stamattina, la parte preponderante degli omicidi è contro il genere femminile, un numero gigantesco, uccide più donne la violenza del partner, marito o fidanzato che non il cancro, gli incidenti stradali o le guerre. Negli ultimi cinque anni 774 casi di omicidio di donne, una media di circa 150 all'anno, in Italia significa che ogni due giorni una donna viene uccisa. La famiglia, l'abbiamo detto, i rapporti sentimentali piuttosto che essere spazi rassicuranti, luogo di affetti e di relazioni positive, sono il luogo più pericoloso per le donne e anche per i bambini, è lì che le donne subiscono violenza fino a perdere la vita, purtroppo le cronache quotidiane, l'ultima di ieri, di questi giorni, evidenziano anche tra i più giovani l'instaurarsi di relazioni violente e patologiche, il fidanzato diciassettenne che ha ucciso la fidanzatina di sedici anni. Donna, lo diceva molto bene Pizzuto, considerata una proprietà dell'uomo, lo diceva anche Daniela Forma, spesso il partner si trasforma in carnefice perché spinto dalla gelosia incapace di accettare la fine di una relazione, quella decisione di interrompere la relazione è per la donna fatale, ma cosa stiamo facendo se i numeri restano così altamente drammatici, ci dobbiamo chiedere se stiamo facendo abbastanza, è evidente che quello che stiamo facendo non basta, non bastano gli interventi riparatori, la rete di servizi, i centri antiviolenza, le case di rifugio indispensabili strumenti a supporto delle vittime e anche dei carnefici, chiamiamoli così, tutti finalizzati a ricostruire elementi di difesa e potenziare gli strumenti di autostima per le donne maltrattate o violentate. Eppure, già dalla quarta Conferenza mondiale sulle donne di Pechino del '95 i maggiori organismi internazionali hanno dato l'input per avviare un piano d'azione omogeneo volto a prevenire la violenza di genere, nonché agire sull'empowerment femminile riconoscendo uno status quo non più sostenibile e accettabile, perché oltre alla protezione delle vittime è importante ricordare che la Convenzione di Istanbul obbliga i suoi firmatari alla creazione di politiche integrate e globali sull'educazione, la formazione professionale e l'inserimento lavorativo delle donne, ed è su questo tema che dovremmo cimentarci maggiormente: sopraffazione e violenza originano dallo stesso humus, un pensiero che porta l'essere umano, chiunque esso sia, adulto o minore, di qualsiasi sesso a considerare l'altro come un soggetto a cui non è dovuto rispetto. I progetti di denuncia e di prevenzione della violenza di ogni forma di violenza passano per un cambiamento culturale di orizzonte che mette al centro il valore dell'identità di ogni persona, la relazione tra uomini e donne, il rispetto di ogni differenza e il rispetto dell'alterità dei bambini e delle bambine da parte degli adulti e dell'ambiente in cui crescono. La mozione numero 192, presentata il 6 novembre del 2015, in aperta contrapposizione alla mozione presentata dai colleghi di centrodestra, aveva come argomento il tema: la necessità di introdurre nelle scuole della Sardegna l'educazione alle pari opportunità, la prevenzione della violenza di genere, il contrasto a qualunque espressione e forma di discriminazione. Ora, in quella mozione sottoscritta fra l'altro da tutti i consiglieri regionali del centrosinistra e da tutti i Capigruppo, si sottolineava ancora una volta la necessità di un'educazione che guardi al rispetto dell'altro, che insegna a gestire i conflitti, che non li faccia esplodere aumentandone la portata e le dimensioni, sì perché ci sono tante forme di violenza che non fanno notizia, o la fanno soltanto quando diventano eclatanti, quando un omosessuale è costretto, viene indotto al suicidio per gli insulti, per le contumelie che riceve su internet, o quando ci sono tanti meccanismi più silenziosi di prevaricazione verbale, di gelosia eccessiva, di controllo o sulla propria compagna o sui figli che vengono messi in atto nel quotidiano, anche senza per questo balzare alle cronache. Allora occorre intervenire per eliminare atteggiamenti stereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia, nella società e nell'ambiente di lavoro, le donne anche in Italia vengono definite le centrocampiste del welfare, pilastri portanti del welfare appunto, caregiver familiari non riconosciute schiacciate dalla fatica a conciliare lavoro e famiglia con un carico di lavoro casalingo per il 77 per cento sulle spalle. Allora, non sembri fuori luogo, cari colleghi e colleghe, il legame tra la violenza verso le donne e l'incapacità di riconoscere alle donne posizioni e ruoli pari agli uomini, il legame sta tutto nell'orizzonte culturale in cui donne e uomini, l'essere umano in generale, voglio dire, a prescindere dai suoi orientamenti sessuali, venga riconosciuto come tale e non discriminato. Per tornare al tema della Sardegna, in Sardegna abbiamo una buona legge, un'ottima legge resa ancora più attuale dai provvedimenti di cui parla la mozione, e che non sto a richiamare, ma l'applicazione va migliorata, permettetemi di dirlo, i tempi di erogazione delle risorse che consentano ai gestori dei centri antiviolenza di programmare senza affanno le attività devono essere certi; soprattutto devono essere potenziate le attività legate alla prevenzione della violenza che, come dicevo, non può prescindere dall'educazione alla parità di genere. Intendo, riprendendo i temi affrontati dal collega Pizzuto, un'educazione al rispetto delle diversità, un'educazione ai sentimenti, agli affetti e non di certo contro la famiglia come strumentalmente intesa dalle parti più reazionarie della società italiana, ma contro gli stereotipi, i pregiudizi, il bullismo omofobico e la violenza di genere. Dobbiamo investire sulle nuove generazioni affinché le nostre figlie non abbiano più bisogno di una giornata contro la violenza sulle donne. Allora permettetemi di concludere invitando la Giunta e contribuendo ad integrare, se il Consiglio me lo permette, anche alcuni punti, sono quattro, integrare intendevo la mozione. Mettere in atto, d'intesa col mondo della scuola, azioni tese a integrare l'offerta formativa di ogni ordine e grado con un insegnamento a carattere interdisciplinare dell'educazione di genere, finalizzato alla crescita educativa, culturale ed emotiva per la realizzazione dei principi di uguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza. Due, ad adottare misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali, al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socioculturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano, di fatto, la complementarietà tra i sessi nella società. A promuovere e sostenere tutte quelle attività formative e culturali legate ai temi dell'uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, contro ogni forma di razzismo, bullismo, omofobia e per la tutela e il diritto all'integrità personale. A includere, nel piano Iscola, la possibilità di attivare corsi di formazione rivolti al personale che opera nelle varie agenzie educative, scuola, associazioni sportive, e culturali. Cambiare orizzonte culturale è l'unica strada possibile ed è una grande sfida, solo così potremo garantire i diritti nella loro interezza e non solo a metà.

PRESIDENTE. Chiedo se questa integrazione deve essere intesa come emendamento orale?

PINNA ROSSELLA (PD). Sì.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, per la Giunta, il Presidente della Regione.

PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. Sarò brevissimo perché ho già fatto un intervento stamattina, naturalmente, che dimostra la assoluta sensibilità e disponibilità della Giunta ai temi che stiamo qui affrontando. Per essere molto concreti c'è certamente un problema di risorse, il dibattito che inizierà fra poco sulla finanziaria del 2018 sarà anche l'occasione per fare una valutazione della congruità, o meno, delle risorse che in realtà sono un po' più ampie di quelle generali, di quelle che ha citato il consigliere Usula, perché ci sono le risorse regionali e ci sono anche le risorse nazionali. Ma quando arriverà il momento della finanziaria è esattamente il momento in cui si fanno scelte, le scelte devono essere basate su valutazioni di quanto ha funzionato e di quanto non ha funzionato, quanto di quello che non ha funzionato dipende da esiguità eventuale di risorse e questa è l'Aula nella quale si deciderà quali allocazioni più congrue devono essere attribuite a un tema al quale stiamo dedicando, giustamente, queste ore di un importante dibattito. Quindi, è una responsabilità collettiva, che prendo per quanto riguarda la Giunta, che naturalmente riguarderà anche soprattutto le decisioni di questo Consiglio. Se è un problema di risorse lo affronteremo, abbiamo anche però sottolineato molto che oltre un problema di risorse è anche un problema di cogliere le opportunità che abbiamo, si citava anche, nell'ultimo intervento di Rosella Pinna, l'importanza del programma Iscola, per esempio, che è una piattaforma straordinariamente utile per fare interventi nei quali si lavora per fare investimenti nella cultura, nei valori che sono quelli di cui abbiamo bisogno e che dobbiamo far passare sempre di più nella nostra società. Forse, soprattutto, nella parte maschile della società, ma come si sa la cultura dei valori passano, entrano nelle persone molto più facilmente se si inizia molto presto, è per questo che la scuola è così importante. Voglio ricordare, nei giorni in cui la scuola ha aperto, a tutti, ai consiglieri regionali che hanno un forte rapporto con il territorio, che dobbiamo fare una grande azione verso le scuole perché le scuole siano consapevoli di questa opportunità. Non ho citato il numero, l'anno scorso nei laboratori B1, così si chiamano, è una tipologia di laboratori in cui si possono fare molte attività del programma Iscola, ci sono stati nove progetti che hanno riguardato esplicitamente bullismo, cyber bullismo e il problema della parità di genere. Questi nove progetti possono diventare 90, o ancora di più, se tutti rendiamo consapevoli anche le scuole, i genitori che c'è questa possibilità. I bandi sono aperti, cogliamola. Perché lì ci sono risorse, solo che quelle risorse dobbiamo usarle nel migliore dei modi. La giornata di oggi deve forse servire anche a questo: animare la consapevolezza che ci sono strumenti importanti soprattutto sul lato della educazione e quindi su quello veramente cruciale per prevenire, piuttosto che poi essere obbligati a reprimere. Quindi, risorse in più se ci sono discuteremo come allocarle, come definirle, ma ci sono risorse oggi che sono già disponibili e che possono essere usate per il canale più interessante e più importante nella direzione di cui abbiamo parlato oggi, per raggiungere un obiettivo che è fondamentale, che è quello appunto di avere una società in cui queste cose non tanto vengono represse, perché devono essere represse, ma soprattutto non capitano, non vengono generate da una cultura che dobbiamo assolutamente sconfiggere.

PRESIDENTE. Chiedo se ci sono opposizioni all'accoglimento dell'emendamento orale così come formulato dall'onorevole Pinna? Nessuna opposizione.

Metto in votazione la mozione come emendata dalla onorevole Pinna. Chi la approva alzi la mano. Chi non la approva alzi la mano.

(E' approvata)

La seduta è tolta, il Consiglio sarà convocato giovedì 21 alle ore 10.

La seduta è tolta alle ore 12 e 16.



Allegati seduta

Resoconto integrale dell'incontro con il Prefetto Franco Gabrielli, Capo della polizia di Stato.

PRESIDENTE. Buongiorno a tutte e a tutti. Ringrazio il prefetto Franco Gabrielli per la sua disponibilità, il questore di Cagliari, Pierluigi D'Angelo, per averci dato l'occasione di riflettere su un fenomeno, quello della violenza di genere, che ha assunto oggi in Italia le dimensioni di una vera e propria emergenza sociale, sintomo di un problema strutturale e culturale che per la complessità delle sue ragioni e la pluralità delle manifestazioni può essere combattuto solo con una strategia condivisa e coordinata. La ratifica della Convenzione di Istanbul da parte del nostro Parlamento è stato un passo avanti fondamentale, perché stabilisce che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani, non è un fatto privato da gestire in silenzio in casa, in solitudine, è un fatto che riguarda tutti, che riguarda in primo luogo lo Stato, il che ci obbliga come istituzione a farcene carico. Non esiste tolleranza né giustificazione alcuna per le condotte che ledono i diritti delle donne, dal sessismo di affermazioni considerate leggere, alle offese, alle minacce, agli stupri, al femminicidio. Molto si è fatto sul fronte delle misure repressive con la legge sul femminicidio, ma ciò che ancora dobbiamo portare avanti con maggiore convinzione e determinazione è un lavoro di prevenzione, perseguendo quel cambiamento culturale necessario. La consapevolezza condivisa della gravità del problema è il presupposto indispensabile per avviare un reale processo di cambiamento. E allora, ad esempio, dobbiamo opporci a qualsiasi strumentalizzazione quando si parla di educazione di genere nelle scuole, perché, guardate bene, in mancanza di un mutamento anche nel modo di parlare e di guardare non vi sarà un reale cambiamento, finché non si capirà che la sottorappresentazione e la rappresentazione offensiva della donna riguarda in primo luogo gli uomini che vanno educati da bambini al rispetto non ci saranno progressi. I dati ci portano una realtà che è un bollettino di guerra, e che dice che il 31,5 per cento delle donne nel corso della loro vita hanno subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, che ci dice che il 62,7 per cento degli stupri viene commesso dal partner attuale o precedente, ossia in famiglia. Ma il nostro è un mondo al contrario, dove ad essere biasimate sono le donne che subiscono violenza, dove uno spregevole pensiero sullo stupro fa notizia solo perché pronunciato da un mediatore culturale e non per l'estrema gravità del suo contenuto. Siamo un Paese dove i riflettori sulla violenza maschile contro le donne si riaccendono improvvisamente per fomentare l'odio nei confronti degli stranieri, e improvvisamente ciò che conta non è il fatto terribile che ogni giorno in Italia undici donne vengano stuprate, spesso in famiglia, ma quanti di questi stupratori siano stranieri, arrivando persino a distinguere le vittime in italiane e straniere, come se le vittime non fossero sempre vittime e gli stupratori sempre stupratori. La questione è politica e culturale. Noi uomini non violenti non possiamo permettere che la violenza venga fatta a nostro nome, dobbiamo fare in modo che questa battaglia di civiltà diventi prioritaria nella nostra agenda politica. E allora dobbiamo affrontare con serietà le proposte sull'educazione sentimentale che giacciono in Parlamento, fondamentale è insegnare il rispetto perché l'amore non è sopraffazione, ma è saper vivere insieme in armonia. Dobbiamo combattere la violenza mascherata d'amore di cui ha parlato la presidente Boldrini nel suo primo discorso alla Camera, e non cito a caso la presidente Boldrini, perché a lei, come istituzione e come donna, va tutta la mia solidarietà per gli attacchi e le minacce brutali e sessiste che riceve ogni giorno esclusivamente perché donna delle istituzioni o forse, meglio dire, donna nelle istituzioni. Abbiamo il dovere di denunciare e combattere il fenomeno sempre più diffuso dell'utilizzo dei social network di volgarità, espressioni violente e di minacce nella quasi totalità a sfondo sessuale. Non è accettabile che anche uno strumento nato per dare più opportunità si trasformi in un ulteriore mezzo di violenza nei confronti delle donne. Sono profondamente convinto che la violenza sulle donne riguardi tutti, se colpisce le donne è un problema degli uomini, una società che non rispetta le donne è una società che colpisce i diritti di tutti. Noi uomini dovremmo occuparci di più di questa battaglia che non possiamo delegare solo alle donne, il più delle volte sminuendone o deridendone le rivendicazioni, perché, badate bene, non si tratta solo di violenza e lesioni gravi da parte di partner o ex, ogni condotta che mira ad annientare la donna nella sua identità e libertà non solo fisicamente, ma anche nella sua dimensione sociale, psicologica e lavorativa, è una violenza di genere. Certo, oggi la situazione è migliorata, basti pensare che un terzo delle parlamentari è donna, abbiamo ministre e sottosegretarie, ma non possiamo negare che la diffidenza e i pregiudizi esistono in ogni ambito della società. Siamo il Paese in cui soltanto il 47 per cento delle donne lavora, contro una media europea del 60 per cento, e quando lavora spesso ha retribuzioni più basse, eppure è dimostrato che se le donne lavorano il Pil aumenta, è dimostrato che quando le donne conquistano nuovi diritti è tutta la società che va avanti. E allora dobbiamo interrogarci sul perché di questa situazione. E guardate, anche il linguaggio di genere non è una quisquiglia, è sostanza. Perché se dico infermiera, Segretaria, non devo dire avocata, magistrata o Sindaca? Prima esisteva solo il genere maschile perché erano lavori riservati agli uomini, ma la nostra è una lingua neolatina che declina il genere, per cui dobbiamo declinare, dobbiamo correggere ed adattare il linguaggio al cambiamento della società; declinare al femminile è sostanza, è riconoscere un percorso. E' tutto connesse: norme sulla rappresentanza; incentivi per il lavoro femminile, lotta contro la violenza e la mercificazione del corpo della donna; il linguaggio di genere. E allora, colleghe e colleghi, è da qui che dobbiamo partire, da questo Palazzo, da quest'Aula, che oggi è lo specchio di una società non equilibrata. Abbiamo il dovere di introdurre nella nostra legge elettorale la norma antidiscriminatoria della doppia preferenza di genere, perché di questo si tratta, di norma antidiscriminatoria, non di quote rosa; dobbiamo risolvere il problema della sottorappresentatività della metà del genere umano in questo organo politico. Questo tema non riguarda solo le donne, c'è molto di più in ballo, perché se la metà del genere umano è tagliata fuori o compressa nella rappresentanza, è la democrazia a soffrirne prima ancora che le stesse donne, perché la democrazia è meno rappresentativa, è meno inclusiva, meno capace di interloquire con le istanze della società. E allora forse oggi possiamo prendere pochi altri impegni, ma di questo certo possiamo farci carico. La scorsa legislatura viene ricordata per il vergognoso vuoto segreto che ha bocciato la doppia preferenza di genere; non permettiamo che questa sia ricordata per non aver avuto neanche il coraggio di portarla in Aula.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.

PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. I dati più recenti sul fenomeno del femminicidio in Italia provocano sdegno e angoscia. Stiamo parlando di più di cento donne assassinate nel 2016, di 20 donne assassinate fino a luglio di quest'anno. Donne spesso uccise da uomini che dicevano di amarle. E' il bollettino di una guerra. Una guerra che fa migliaia di vittime.

Perché dietro ogni donna uccisa non c'è soltanto una vita dissolta, ma altre esistenze spezzate: distrutte per sempre. Un padre e una madre. Un fratello o una sorella. Una comunità di amici. Bambini di cui troppo poco si parla: i reduci di cui nessuno cura le ferite.

E' quindi una tragedia sociale, una situazione eccezionale che esige di essere fronteggiata con risorse adeguate. Risorse che sono morali intellettuali, finanziarie.

E' preciso dovere della politica programmare interventi concreti, mettere in campo strumenti di prevenzione, finanziare azioni di supporto e di sostegno contro questa inaccettabile situazione.

Noi non possiamo perdere questa sfida. Noi abbiamo il dovere, contro questo nemico, di tenere il campo. Sul piano delle politiche generali di settore, l'incriminazione del reato di stalking e l'inasprimento delle pene previste in caso di femminicidio sono un primo passo, certo non sufficiente. Occorre compiere significativi passi in avanti sul fronte della definizione accelerata dei procedimenti e sulla effettività delle pene. Occorre che chi è chiamato al delicato compito di accertare e reprimere i reati, in via amministrativa e giudiziaria, abbia non solo una sensibilità specifica, ma una preparazione culturale e operativa adeguata. Occorre che abbia la capacità di calibrare gli interventi cautelari e sanzionatori in modo appropriato, perché la nostra storia insegna che spesso anche lo strumento più efficace rischia di restare mortificato da una inadeguata cultura applicativa. Ed è esattamente quello che è accaduto spesso in questi anni. La sfida più importante però è nel terreno delle politiche attive di prevenzione e di sostegno alle vittime e alle possibili vittime. Occorre innanzitutto prevenzione. Presidio del territorio, specie nelle realtà più a rischio. Centri anti-violenza e centri d'ascolto per intervenire là dove ancora intervenire si può: quando ancora la mano del carnefice non è armata e la possibile vittima può essere salvata dal rischio concreto di un epilogo tragico. La Regione ha messo in campo strumenti importanti per far fronte a questa tragedia quasi sempre annunciata, attraverso interventi specifici nelle scuole, nel finanziamento dei centri antiviolenza, nelle politiche attive per il lavoro delle donne e la conciliazione con la famiglia. La scuola, prima di tutto, in quanto luogo deputato alla crescita culturale e civica dell'individuo, rappresenta il luogo chiave per combattere e vincere la lotta alla violenza di genere. Questa Giunta ha investito ingenti risorse per potenziare e migliorare la qualità della scuola in Sardegna. Ci sono alcune linee del programma Iscol@ che hanno sviluppato l'anno scorso progetti per contrastare bullismo, cyber bullismo e differenza di genere. L'esperienza collettiva dei laboratori è stata molto positiva e ha sviluppato empatia tra gli allievi, superando fenomeni negativi di diffidenza, incomprensione, emarginazione e violenza. E in questi giorni in cui stanno riaprendo le scuole è giusto sottolineare che proprio nelle scuole molto, moltissimo si può fare. Voglio ricordare in questa occasione, ed è un appello a tutte le scuole, che il bando Iscol@ è aperto e che progetti così importanti per il nostro futuro come quelli fatti l'anno scorso possono essere replicati e moltiplicati anche quest'anno e ci auguriamo che la partecipazione delle autonomie scolastiche sia ancora molto più numerosa di quella degli anni passati, perché questa è una grande opportunità. Un'altra importante politica regionale riguarda il sostegno ai centri antiviolenza e alle case rifugio. La Regione Sardegna ha avviato e assicurato continuità agli interventi a sostegno delle donne vittime di violenza e dei loro figli: abbiamo finanziato con risorse pari a 1 milione di euro per il 2016 e abbiamo stanziato complessivamente 1,8 milioni per il 2017. Sono cifre spesso insufficienti e certamente ci impegniamo a fare di più come i dati che ho citato all'inizio ci impongono di fare. Ma ci siamo concentrati anche sulle politiche attive che combattano lo scoraggiamento delle donne rispetto alla possibilità non solo di trovare un lavoro, ma anche di riuscire a conciliarlo con i propri carichi di cura familiare. E' ancora una goccia nel mare rispetto alla vastità del fenomeno, ma è un inizio, forse un buon inizio, che ci induce a fare sempre di più.

Renderei poi torto a questa Assemblea se non sottolineassi e se non valorizzassi adeguatamente l'enorme, preziosissimo, continuo lavoro svolto dalle consigliere Busia, Forma, Pinna e Zedda per diffondere una maggiore sensibilità sul delicato tema della violenza di genere non solo all'interno di quest'Aula ma nell'ambito di tutta la società sarda. Il vostro lavoro è innanzitutto una coraggiosa forma di testimonianza civile, è un contributo autentico al progresso complessivo della nostra comunità e, in questo senso, rappresenta una pagina importante nella storia del Consiglio Regionale della Sardegna e della nostra autonomia regionale. Sono inoltre profondamente convinto che la buona politica passi anche da una corretta distribuzione dei seggi a garanzia della parità di genere. L'equilibrio di genere nelle assemblee legislative è un fatto di civiltà e il dibattito avviato da quest'Aula e gli impegni assunti in questa legislatura dalle forze politiche qui rappresentate e dai vari livelli istituzionali auspico che vengano trasformati al più presto in azione concreta. Per concludere, così come alla crisi della democrazia si risponde con più democrazia, alla violenza di genere si può rispondere in un modo soltanto: incrementando i livelli di partecipazione femminile nel mondo della scuola, del lavoro, dell'impresa e delle istituzioni. Perché non ci può essere alcuna autentica uguaglianza senza la piena condivisione e la compartecipazione più estesa e radicale di tutti - uomini e donne - al governo di tutti i settori della società.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza.

GABRIELLI FRANCO, Capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza.

Saluto ovviamente anche il Presidente della Regione, gli illustri consiglieri, i signori Assessori, il pubblico che vedo numeroso e caratterizzato se mi consentite non solo da una presenza significativa di genere ma anche dalle divise che contraddistinguono la mia Amministrazione a cui rivolgo un caloroso e un affettuoso abbraccio. Ovviamente per me è un motivo di grande orgoglio essere qua, essere stato invitato da un Consesso così importante, così significativo della vita democratica di questo territorio a cui ogni sincero italiano è sempre particolarmente affezionato. Ovviamente con la franchezza, la schiettezza, a volte la ruvidità che mi contraddistingue è ovvio che non posso non parteciparvi la mia personale amarezza per il fatto che la presenza di un rappresentante delle Istituzioni diventi motivo di scontro politico. Appartengo alla categoria di chi sostiene che le Istituzioni debbano essere sempre e comunque salvaguardate, io non sono un funzionario del governo, sono un funzionario dello Stato non fosse altro perché la mia nomina è firmata in un decreto del Presidente della Repubblica e non in un DPCM e la mia amarezza ovviamente si allarga al fatto che il mio desiderio, il mio sogno non solo di funzionario dello Stato ma anche di italiano è che questo Paese impari a trattare temi così importanti come la violenza di genere ma in genere i temi della sicurezza come patrimonio comune e non come argomenti sui quali impostare o ipoteticamente immaginare di vincere campagne elettorali. Ovviamente perché sono stato educato ad essere garbato preterisco ogni riferimento ad affermazioni per le quali sarei invitato a curare più della tutela dei miei uomini che della violenza delle donne che ovviamente respingo al mittente con la forza e lo sdegno che solo una persona che dedica il suo tempo, le sue energie e le sue forze non solo all'interesse dei cittadini ma soprattutto consentitemi anche alla salvaguardia delle donne e degli uomini che gli sono state affidate, ovviamente non può vivere frasi di questo genere come frasi assolutamente oltraggiose.

Detto questo perché credo Presidente che a questo abbiamo dedicato anche troppo tempo, ma non me ne vorrete, io sono fatto così, sono nato in Toscana sono un Apuo-Versiliese, sono figlio di una terra anche di come dire di marmi e di anarchici quindi a volte sono un po' out of the box come direbbero gli anglosassoni e quindi questa è una mia cifra distintiva. Oggi invece siamo chiamati qua ripeto in questo Consesso così importante, così significativo della vita democratica di questo territorio per trattare di un argomento serio, la violenza di genere e la violenza sulle donne, le forme di sopraffazione che si realizzano molto spesso in ambiti e in ambienti dove paradossalmente si immagina essere il luogo privilegiato della tutela e della protezione. E guardate, questa vicenda, questa problematicità raccoglie in sé alcuni aspetti che purtroppo io riscontro in tante altre vicende che caratterizzano non solo l'analisi dei fenomeni criminali ma anche un po' il dibattito che su questi come su altri temi siamo soliti affrontare in questo Paese. Intanto il fatto di parlare di queste cose troppo spesso in coincidenza di eventi che richiamano l'attenzione dell'opinione pubblica, sembra quasi che queste vicende abbiano una sorta di andamento carsico che si svolgano e si realizzino e si consumino nella più assoluta indifferenza e poi improvvisamente con il clamore che molto spesso solo la strumentalizzazione per un verso, ce lo ricordava anche prima il Presidente, si distinguono a volte questi eventi a seconda dell'interesse per sottolinearne la negatività o comunque il tentativo di giustificarli a seconda di chi sono gli autori, a seconda di chi sono i contesti nei quali maturano queste vicende e questo guardate dal mio punto di vista è già un elemento di grandissima criticità e per certi aspetti sottolinea l'importanza dell'iniziativa che il Consiglio regionale della Sardegna intraprende. Queste sono vicende che non possono essere relegate alle pagine della cronaca ma devono in qualche modo essere una costante e imperitura e mai attenuata attenzione perché queste vicende sono primariamente vicende che attengono a profili culturali, e questo è il secondo aspetto. Io credo che nessuna vicenda chiamiamola criminale o chiamiamola delinquenziale o chiamiamola legata alla illegalità ha e intrattiene con gli aspetti culturali un rapporto così interdipendente. E' ovvio che i reati di genere affondino le loro ragioni, le loro radici in subculture, in una cultura che reifica la donna, che la rende cosa e quindi rendendola cosa la depriva della sua libertà e della sua autonomia e in questo guardate io trovo molto spesso da un punto di vista subculturale un forte legame a quelle che poi erano le vicende che mi hanno intrattenuto per qualche anno nella mia esperienza in Protezione civile, il concetto proprietario di quello che è intorno a noi. Noi siamo padroni del territorio a prescindere da quelle che poi sono in qualche modo le implicazioni che quel territorio ha su altre persone, su altre comunità e quindi concepiamo l'azione che noi rivolgiamo a quel territorio soltanto in una logica di interesse, un interesse molto utilitaristico e come dicevo prima molto proprietario. Ricordo una delle ultime vicende che hanno caratterizzato la mia permanenza nel Dipartimento della Protezione civile di un paesino nel quale un cittadino siccome aveva un problema di vista a mare decise di sbancare parte della collina che gli occludeva il guardo verso un paesaggio ameno, peccato che poco sopra passava la strada che collegava la città all'ospedale, questa operazione che rispondeva a questa concezione proprietaria del territorio avesse una pesante ricaduta sulla stessa collettività. E così è il rapporto che troppo spesso si vive nell'ambito dei rapporti familiari, nell'ambito dei rapporti di relazione e non è un caso, come dicevo prima, che i luoghi che l'Organizzazione Mondiale della Sanità qualche anno fa individuò come i luoghi maggiormente critici sotto questo profilo nella famiglia, nel posto di lavoro, nei luoghi di relazione ordinaria. Se pensate l'abisso di contraddittorietà apparente che esiste tra il fatto di essere questi luoghi che ognuno di noi vive normalmente come i luoghi più protetti, perché qual è il luogo più protetto se non della famiglia, e che invece in molte circostanze diventano i luoghi più pericolosi. E allora se è vero che non dobbiamo vivere questi fenomeni come fenomeni occasionali, fenomeni più in qualche modo che favoriscono la polemica, o l'interpretazione interessata delle cose. Se è vero che sono fenomeni che in qualche modo interrogano aspetti di natura culturale, ecco da questo deriva la mia prima sottolineatura, il mio primo warning, che i dati debbano essere letti con estrema intelligenza, perché i dati molto spesso, come tutti i dati, come tutte le statistiche, possono presentare delle insidie. Io poi parlerò anche dei dati e parlerò anche dei dati che ovviamente si riferiscono specificamente alla Regione Sardegna, perché è vero che il dato complessivo è importante, ma trovandoci in Sardegna, e trovandoci nel luogo del consesso regionale, mi sembrava significativo che si puntasse l'attenzione anche per capire se la Sardegna è un territorio che in qualche modo si mantiene coerente a quelle che sono le tendenze nazionali, oppure se ci sono delle particolarità sulle quali anche questo Consiglio è chiamato a riflettere. Ma dicevo i dati devono essere maneggiati con cura. A me ad esempio ha colpito, ma mi ha colpito nel senso che mi ha confortato nella sottolineatura che vi ho proposto, il rapporto che l'agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, in un rapporto del 2014, al di là dei dati diciamo crudi riferiti ai 28 Paesi dell'Unione, allora 28 Paesi dell'Unione, ci indicava come il 22 per cento delle donne avessero subìto episodi di violenza dal partner, o dall'ex partner, e il 43 per cento avessero subìto delle pressioni psicologiche, delle violenze psicologiche. Qual era il dato che mi aveva colpito? E' che le percentuali più alte facevano riferimento a Paesi che notoriamente hanno una maggiore sensibilità su questo tema. E in questo senso introduco un altro tema importante che è quello del "numero oscuro", cioè io quando parlo di dati, salvo ovviamente quando si parla di omicidi, perché gli omicidi in qualche modo sono un po' meno camuffabili, o in qualche modo meno subiscono l'incidenza del numero oscuro, ma quando si parla di violenza di genere il tema del numero oscuro, il tema della resistenza, della resilienza delle vittime a denunciare, in qualche modo a rendere manifesta la condizione di violenza, è un elemento che fortemente condiziona l'analisi e fortemente ci impone di non adagiarci anche a facili letture, o a facili interpretazioni. Ma siccome i dati poi devono in qualche modo essere un benchmark importante, perché comunque dai dati bisogna partire, e ripeto con la precisazione e con il doveroso invito a farne sempre un utilizzo estremamente cauto, e soprattutto un utilizzo che tenga in considerazione questo aspetto del numero oscuro, che cosa ci consegna la statistica? Intanto noi la statistica abbiamo cominciato a focalizzarla a partire dal 2014, anche perché voi sapete che queste problematiche sono assurte all'attenzione e agli onori molto recentemente. I neologismi del "femminicidio", o addirittura adesso l'ultimo neologismo il "femmicidio", che mentre il femminicidio è il termine con il quale indichiamo tutti gli atti di sopraffazione, di violenza dell'uomo sulla donna, il femmicidio invece è quando l'atto di violenza si concretizza in un omicidio. Ma sono termini che sono entrati nel lessico praticamente nel terzo millennio. La stessa produzione normativa nel nostro Paese ha avuto una significativa accelerazione solo a partire dal 2009, con il famoso decreto legge sullo stalking, e poi nel 2013 con il Decreto Legge 93 che ha recepito la Convenzione di Istanbul del 2011, che prima non a caso correttamente ricordava il Presidente, e che è un atto fondamentale in questo processo di sensibilizzazione sul tema, perché è la prima convenzione internazionale che in qualche modo, se così si può utilizzare il verbo, costringe gli stati membri a fare azioni concrete, sia da un punto di vista legislativo, sia dal punto di vista amministrativo, per contrastare la violenza di genere. E non a caso, a valle di questa convenzione del 2011, il nostro Paese con il decreto legge 93 del 2013 recepisce, recupera alcuni istituti già introdotti nel 2009, li approfondisce, li allarga e soprattutto approccia, come vedremo, il problema non solo da un punto di vista repressivo, ma anche e soprattutto da un punto di vista preventivo, anche nelle forme con le quali le stesse istituzioni che sono preposte comunque alla tutela dei soggetti vittima di queste violenze possono approcciarsi correttamente alla tutela delle persone stesse, oltre a quello che come ricordavo prima è l'aspetto culturale, l'aspetto di una crescita su la comprensione, ma soprattutto sul vivere l'altro genere non come un qualcosa di proprio, ma come un qualcosa di primariamente paritario.

E allora se noi prestiamo l'attenzione alle statistiche dal 2014 ad oggi, noi vediamo che sul versante degli omicidi registriamo sostanzialmente un andamento in decrescenza, perché abbiamo nel 2014 a fronte di 487 omicidi commessi, 153 avevano vittime di sesso femminile, ma il dato che ci interessa di più, perché non ha importanza il fatto che ci sia una vittima femminile, l'importante è se l'essere donna è causa della condizione poi dell'esito dell'atto delittuoso, e quindi è ovvio che ci interessa di più il dato degli omicidi che avvengono nell'ambito familiare affettivo, che nel 2014 sono stati 191, di cui 117 con vittime di sesso femminile. Questo dato si è progressivamente attenuato e oggi, se noi confrontiamo i primi nove mesi del 2016 con i primi nove mesi del 2017, vediamo che abbiamo avuto nei primi nove mesi del 2016 209 omicidi commessi, di cui 105 con vittime di sesso femminile, 109 omicidi in ambito familiare, di cui 79 di sesso femminile, mentre per quanto riguarda i primi mesi di quest'anno siamo passati da 109 omicidi a 78 omicidi, di cui 56 con vittime di sesso femminile. Ora se questo dato, e non me ne vogliate, perché noi non possiamo mai parlare di dato confortante, perché il dato confortante sarà il giorno in cui la cifra sarà zero, perché fino a che ci sarà una vittima non possiamo parlare di dato confortante, possiamo parlare di dato che in qualche modo recepisce un trend positivo, ma non certamente confortante. Il trend è positivo perché gli omicidi diminuiscono, perché gli omicidi nell'ambito familiare diminuiscono, ma a questo dato apparentemente confortante noi registriamo che la percentuale delle donne è un dato costante, se non in lieve crescita. Quindi questi dati, se noi li leggiamo in maniera acritica sotto il profilo del confronto numerico, abbiamo meno persone che sono oggetto di azione omicidiaria, ma il dato ci consegna come la donna è comunque il soggetto prevalente. Poi vi darò alcune percentuali che sono semplicemente preoccupanti perché sia per gli omicidi, sia per gli atti persecutori, sia per le violenze sessuali, sia per le percosse che noi riteniamo essere un reato spia, un reato sentinella, perché molto spesso sono reati che ci consentono anche in qualche modo, e poi dirò su questo alcune cose, di indirizzare la nostra azione anche sul versante repressivo. Quindi diminuzione del dato, incidenza degli omicidi volontari di donne nell'ambito familiare costante se non in leggero aumento. Analogamente, per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia, registriamo un progressivo aumento nel 2014, fino al 2016, e un decremento nel periodo dei primi otto mesi del 2017, purtroppo anche in questo tipo di reato l'80 per cento delle vittime sono donne, nel periodo che va dal 2014 ad oggi. Analogamente sulle violenze sessuali registriamo un andamento ondivago per cui abbiamo un leggero aumento nel 2016, rispetto al 2015, mentre nel 2017 rispetto al 2016 abbiamo un leggero decremento, questo anche a significare quello che dicevo prima, molto spesso c'è un'amplificazione, una lettura molto parziale di determinate vicende, su questo ancora più sconfortante la percentuale delle vittime femminile, in questi reati il 90 per cento sono donne. Per quanto riguarda gli atti persecutori, quelli che ormai con linguaggio anglofono chiamiamo stalking, anche qui registriamo un andamento più o meno ondivago, ma anche qui il 70 per cento delle vittime sono donne. Analogamente per quanto riguarda le percosse registriamo un andamento costante o in leggera flessione, invece la percentuale delle vittime delle donne rimane sempre superiore al 45 per cento. Tenete conto che le percosse, al contrario ad esempio della violenza sessuale, hanno uno spettro molto più ampio e quindi riguardano anche contesti molto più ampi e quindi il fatto che si passi da un 90 per cento nelle violenze sessuali ad un 45 per cento non è un dato confortante, è perché lo spettro delle azioni che possono essere ricondotte a questa fattispecie di reato è molto più vasta. In Sardegna registriamo anche qui un andamento che è abbastanza corrispondente all'andamento nazionale, nel 2014 abbiamo avuto 24 omicidi, di cui cinque con vittime di sesso femminile e cinque omicidi sono avvenuti nell'ambito familiare e in questo tre hanno riguardato donne. Nel 2015 abbiamo un leggero decremento, nel 2016 invece abbiamo un andamento in controtendenza, perché abbiamo sì una diminuzione degli omicidi generali, perché passiamo dai 24 omicidi del 2014 ai 15 omicidi del 2016, ma gli omicidi in ambito familiare passano dai cinque del 2014, ai tre del 2015, ai sette del 2016, quindi da questo punto di vista c'è per quanto riguarda il territorio sardo una leggera controtendenza rispetto all'andamento nazionale. Andamento che purtroppo sembra in qualche modo confermato anche per il 2017 perché se noi prendiamo i dati fino all'11 settembre, quindi il dato è molto recente, nel 2016 che come abbiamo visto è il dato di controtendenza sul versante degli omicidi in ambito familiare, abbiamo 11 omicidi commessi per quanto riguarda il 2016 e 12 nel 2017 nel 2016 abbiamo sei omicidi in ambito familiare affettivo, con quattro che hanno avuto come destinatarie delle donne, mentre per quanto riguarda nel 2017 abbiamo avuto cinque omicidi e tutti e cinque hanno riguardato vittime di sesso femminile. Per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia anche qui registriamo un andamento in qualche modo, ripeto, decrescente sui numeri, perché passiamo dai 517 episodi del 2014, ai 336 del 2015, poi c'è un'impennata nel 2016 a 392, se confrontiamo i primi otto mesi del 2016 ai primi otto mesi del 2017, abbiamo 262 nei primi otto mesi del 2016, 227 nei primi otto mesi del 2017, in questo caso il 70 per cento delle vittime sono donne. Per quanto riguarda la violenza sessuale il dato è assolutamente sovrapponibile al dato nazionale, perché il 90 per cento delle violenze sessuali riguardano le donne anche nel territorio di questa Regione, nello specifico abbiamo avuto 99 violenze nel 2014, 109 nel 2015, 97 nel 2016 e, assoluto numero di parità, nei primi otto mesi del 2016 abbiamo avuto 62 violenze sessuali al pari dei primi otto mesi del 2017. Per gli atti persecutori anche qui un trend abbastanza in calo con un andamento nel 2016 è un anno abbastanza come dire di ripresa di alcuni fenomeni e anche in questo caso il 70 per cento ha riguardato anche sul territorio della Sardegna persone di sesso femminile. Per quanto riguarda le percosse anche qui l'andamento è assolutamente sovrapponibile a quello che è l'andamento nazionale. Quindi, come dicevo, quando diamo i numeri dobbiamo prenderli come punto di partenza, dobbiamo ricavarne degli indicatori che possono essere utili, ritengo soprattutto per tenere alta l'attenzione sul fenomeno e non fare l'errore che un apparente decremento, che poi abbiamo visto non necessariamente si ripete costante negli anni, sia l'indice che in qualche modo il fenomeno si è attenuato o il fenomeno deve essere destinatario di minore attenzione. Guai! Credo mai come su questa forma di reato la statistica è estremamente fallace, è fallace perché, come abbiamo visto purtroppo l'unica cosa costante è che le vittime sono prevalentemente donne, mentre gli andamenti più o meno ondivaghi molto spesso rispondono anche a situazioni, a contingenze, e soprattutto il tempo di rilevamento non particolarmente lungo non può in ogni caso rappresentare una linea di tendenza che necessariamente si mantiene nel tempo. Quali sono gli strumenti di cui noi disponiamo rispetto a questo fenomeno? Intanto continuo a sostenere il tema culturale, non a caso il Presidente della Giunta regionale sottolineava questo aspetto sul quale concordo in maniera assoluta, dell'insistere sull'aspetto formativo, sulla scuola, sull'educazione al rispetto. Anche l'ultimissima vicenda di cronaca ci consegna un'aberrazione perché vedete negli studi che sono stati fatti non è stato individuata una particolare classe sociale, una caratterizzazione anche antropologica dell'aggressore o della vittima, questi sono fenomeni purtroppo che attraversano trasversalmente le classi sociali, ovviamente magari possono modificarsi le modalità ma la sostanza rimane assolutamente la stessa, l'ultima vicenda di cronaca ci consegna un femminicidio compiuto da un ragazzo di 17 anni nei confronti di una ragazzina di 16. Quindi questo ci interroga doppiamente sul tema della formazione, sul tema del non stancarci mai rispetto a queste problematiche. Poi perché, come dicevo prima, c'è un tema di resistenza della vittima, c'è un tema di difficoltà della vittima molto spesso a manifestare la condizione di sofferenza e di violenza patita, perché sono innumerevoli le cause che condizionano la vittima. Molto spesso lo stesso contesto familiare, molto spesso la paura di perdere i figli, molto spesso cose che magari nel 2017 potrebbero sembrare anacronistiche: la vergogna. Ma in determinati contesti che, ripeto non sono solo quelli riferiti alle classi sociali meno abbienti, a volte la vergogna è un sentimento che può pervadere, può allignare, può albergare anche in classi sociali più elevate; perché nella società nella quale è più importante apparire che essere, a volte, la rappresentazione della famiglia del Mulino Bianco può essere in qualche modo una difesa, una modalità di mantenere uno status. Quindi noi dobbiamo combattere una battaglia nella quale le persone che dovrebbero essere le prime destinatarie della nostra attenzione, della nostra cura e della nostra protezione sono anche le nostre prime nemiche. Ecco l'importanza della rete, peraltro debbo sottolineare come questa Regione, per fortuna da tempo, ha sostenuto e sta sostenendo la rete dei centri antiviolenza, dei centri di ascolto. Guardate, da questo punto di vista noi, come Forza di Polizia, abbiamo molto lavorato sulla capacità di ascolto, ma anche sulla capacità di andare incontro alla vittima, perché vedete un altro tema che allontana la vittima è la cosiddetta vittimizzazione secondaria. Anche in questi giorni ho letto cose aberranti sui giornali. Chi subisce una violenza, a parte che anche qui forse magari dovremmo interrogarci, a volte io rimango annichilito quando le principali accusatrici delle donne sono le donne, provo un sentimento di assoluta, non solo, repulsione ma di forte preoccupazione. Quindi noi stessi ci siamo posti il problema di come gestire questo rischio di questa vittimizzazione secondaria, perché chi ha subito una violenza teme di subirne un'altra, teme di essere posto nuovamente sul banco degli imputati, in una paradossale perversione. Io vedo facce giovani ma vedo facce un po' meno giovani, io ricordo un'agghiacciante trasmissione "un giorno in pretura" su un processo per stupro, nel quale poi alla fin fine la vittima diventa in qualche modo se non il carnefice, comunque il soggetto che in qualche modo è, nella migliore delle ipotesi, addirittura istigatore di colui il quale ha posto in essere un atto di violenza. Però questo è, e allora noi è ovvio che, ad esempio con iniziative come quelli dei camper, perché vedete molto spesso c'è anche la difficoltà delle vittime a varcare la soglia di un ufficio di Polizia. Questo è anche un elemento culturale di resistenza un po' in generale, io ricordo quando ero giovane poliziotto che quando incontravo le persone mi dicevano: ah io è la prima volta che ho a che fare con la Polizia. Come se avere a che fare con la Polizia, come con i Carabinieri, fosse una cosa negativa. Questo è un elemento culturale con il quale il nostro Paese ancora per un certo tempo avrà a che fare, perché se noi viviamo la Polizia, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, cioè coloro i quali sono preposti a garantire la sicurezza e la protezione dei cittadini, come soggetti con i quali meno si tratta meglio si vive, è ovvio che rappresenta un elemento culturale di grande resistenza, se a tutto questo ci unite il carico da undici di colui il quale, o di colei la quale deve varcare la soglia di un ufficio di Polizia per mettere a nudo una sua sofferenza, una sua criticità, un qualche cosa che purtroppo molto spesso vive con un profondo senso di colpa, è ovvio che si devono creare dei meccanismi per evitare, per garantire che tutto questo non si abbia. Allora fondamentali sono i centri di ascolto, fondamentali sono i centri di antiviolenza, ma fondamentale è anche l'atteggiamento dell'operatore delle Forze di Polizia, noi lo stiamo facendo con queste iniziative per cui portiamo fuori dalle mura dei nostri uffici il luogo di ascolto, in questi anni abbiamo investito molto nella formazione dei nostri operatori che trattano specificamente questo tipo di violenza. Perché proprio le ragioni per le quali, dicevo, esiste questa forte resistenza da parte delle vittime a collaborare perché intanto la condizione di sofferenza e di violenza non abbia più in qualche modo a ripetersi, ma anche perché molto spesso questo coincide necessariamente con rendere colui il quale pone in essere questi comportamenti inoffensivo, e allora bisogna creare queste condizioni. Addirittura, recentemente, proprio perché molto spesso questi sono reati, come si usa dire, a condotta plurima perché per realizzarsi la fattispecie di reato bisogna mettere in fila una serie di episodi e, purtroppo, molto spesso non sempre gli atti di violenza si consumano in un determinato luogo, per cui l'intervento di una Forza di Polizia può essere in qualche modo anche nella condizione di ricostruire un percorso di violenza. Recentemente, con il protocollo EVA noi abbiamo addestrato i nostri operatori con una check list di modalità di intervento ma, soprattutto, abbiamo inserito nello SDI, che è la nostra banca dati, l'episodio. Perché magari la volante interviene a Cagliari, in una lite in famiglia, la cosa si esaurisce tutto sommato, come si usa dire col linguaggio del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, con una bonaria composizione di privati dissidi, la volante torna; poi quel coniuge, quel partner, quel membro della famiglia va in un'altra località della stessa provincia di Cagliari, o di un'altra provincia, e commette un altro… è ovvio che la volante, l'operatore di Polizia che si reca in quel determinato contesto vive quella vicenda come un unicum, mentre da qui in avanti non sarà più un unicum, perché all'interno della banca dati, nel momento in cui ci sarà l'identificazione delle persone, ci sarà un warning, un flag, un richiamo che dica attenzione Franco Gabrielli è già stato protagonista di un atto di violenza nei confronti del suo partner in una località, e questo consente di strutturare e anche di indirizzare. Anche perché, guardate, io ho molto apprezzato, da umile lavoratore della vigna del diritto, l'impostazione con la quale il nostro legislatore sta affrontando questi temi, lo ha fatto prima nello stalking, lo ha ripetuto saggiamente nella recente legge sul cyber bullismo, e cioè l'approccio non deve essere solo eminentemente repressivo e solo eminentemente riferito a interventi di natura penale. L'istituto dell'ammonimento, che è stato introdotto nel decreto legge del 2009, che poi è stato allargato nel 2013, che è stato recepito anche nel cyber bullismo, è uno strumento eminentemente amministrativo, è uno strumento pre-giudiziario perché anticipa l'eventuale denuncia. Perché magari, come dicevo prima, la vittima si interroga non solo sulla sua condizione, ma si interroga molto spesso sulle conseguenze che un determinato suo comportamento può avere: l'allontanamento dei figli, un'ulteriore criticità nel rapporto. E allora è importante lavorare anche in una fase pre giudiziaria in una fase pre penale, e l'ammonimento in qualche modo è uno strumento con il quale uno dice "guarda, ti stiamo tenendo d'occhio", non ci sono al momento ancora conseguenze, poi l'ammonimento può dar luogo anche a tutta una serie di interventi di altro genere, perché con l'ulteriore definizione del decreto legge del 2013 si può arrivare anche a togliere la patente, eccetera, l'importante è che questi strumenti vengano vissuti come un progress, cioè come una modalità con la quale la vittima non si trovi subito nella condizione di dover scegliere di essere a un bivio tra conseguenze estremamente critiche nei confronti di una persona che molto spesso, anche se noi diciamo spesso "non è amore", ma può avere connotazioni perverse di amore, e allora, proprio per vincere queste resistenze, dobbiamo avere strumenti che in qualche modo ci consentano di avere un approccio anche di questo tipo, e poi ovviamente arriviamo a strumenti molto più penetranti come sono l'allontanamento dal contesto familiare, il divieto di avvicinamento, ovviamente mentre l'ammonimento è una misura amministrativa che è in capo all'autorità di pubblica sicurezza gli altri due le altre due azioni sono azioni che riguardano e coinvolgono pesantemente l'autorità giudiziaria. Poi ovviamente noi non possiamo non favorire tutte quelle iniziative virtuose che per fortuna nel nostro Paese ormai stanno fiorendo, penso al codice rosa che è un codice che viene attuato in molte aziende ospedaliere per far fare alle donne un percorso che non è solo un percorso tutelato ma è anche un percorso che consenta di fare emergere quella parte oscura, oppure, sempre in ambito sanitario, il percorso tutela della donna.

Guardate, mai come in questo settore la battaglia la si fa e la si vince insieme, e ci sono alcuni dati che io ritengo sconfortanti per un verso ma molto confortanti per l'altro, proprio per quel problema che molto spesso stabilisce un confine labile tra la violenza e la capacità di rendere in qualche modo manifesta la violenza, e allora qual è il dato paradossalmente confortante in un numero che potrebbe essere invece preoccupante? E' che dal 2011 al 2016 sono aumentate in maniera significativa le denunce per maltrattamenti in famiglia, addirittura dal 2011 al 2016 sono aumentate del 33 per cento, e questo che cosa significa? Significa necessariamente che si è più violenti? Io, guardate, invece questo dato lo interpreto in maniera molto più confortante, questo sì, cioè si è creato un contesto, un sentiment nel quale la vittima comincia ad avere fiducia nel rendere manifesta la sua condizione; è ovvio che è un percorso ma soprattutto una condizione estremamente labile e estremamente soggetta a essere incrinata, e quindi se tutto il sistema, e quando parlo del sistema parlo delle forze di polizia perché ovviamente noi abbiamo la responsabilità di intervenire, di reprimere di capire meglio e più degli altri determinate situazioni, ma la scuola, la società civile attraverso queste iniziative che dicevo prima dei centri di ascolto e dei centri di accoglienza, le istituzioni regionali, comunali, provinciali si coalizzano e quindi fanno comprendere che queste cose non hanno solo l'attenzione nei momenti in cui un evento particolarmente negativo attira l'interesse a volte anche un po' morboso al caso di cronaca, ma è una costante attenzione, una costante capacità di percepire tutti i segnali che in qualche modo possono consentire non tanto di reprimere ma soprattutto di creare condizioni tali che questi fenomeni siano in qualche modo portati a essere ostracizzati rispetto al vivere civile, al vivere la vita di tutti i giorni.

E allora insieme dobbiamo stare vicini alle persone, dobbiamo, consentitemi, riappropriarci da questo punto di vista anche del territorio, dell'essere in qualche modo protagonisti del pezzo di territorio che ognuno di noi ogni giorno è chiamato a vivere, non a vivere in maniera sempre molto preoccupata che il non interessarsi delle vicende degli altri in qualche modo ci metta sempre e comunque al riparo da noie e da problemi. Peraltro, guardate, la stessa evoluzione normativa, pur salvaguardando il fatto che non si possa dare seguito agli anonimi, perché gli anonimi poi alla fin fine hanno sempre un atteggiamento molto perverso, però sta sempre più strutturandosi per salvaguardare l'identità delle persone che in qualche modo concorrono a consentire un percorso virtuoso, e questa è una cosa che non solo ci deve interrogare ma ci deve impegnare a che questa sensibilità, ripeto, non appartenga ai momenti che sono immediatamente successivi a qualche evento di cronaca particolarmente eclatante, ma sia una costante di vita. E in questo senso consentitemi di chiudere il mio intervento con una frase che appartiene un po' anche al nostro slogan: Noi ci siamo e ci saremo, e quindi è importante che la comunità ci viva non soltanto come un momento di repressione ma soprattutto come un baluardo di legalità, e soprattutto come un'occasione, come un'opportunità per far sì, non solo e non tanto che le persone che commettono i reati vengano legittimamente e puntualmente individuate e punite, ma soprattutto le persone che sono oggetto di sopraffazione, di violenza, di sofferenza abbiano una condizione di vita che non è certamente quella che vivono nella condizione in cui la violenza li costringe a vivere. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, prefetto Gabrielli, per questo importante intervento.

Do la parola all'onorevole Busia per l'esposizione della mozione presentata, insieme a lei, dalle consigliere regionali Rosella Pinna, Daniela Forma e Alessandra Zedda, e sottoscritta successivamente da tutti i Capigruppo consiliari. Consentitemi però prima di fare un ringraziamento particolare all'onorevole Busia per l'opera di mediazione che ha svolto e che ha consentito la realizzazione di questo incontro.

BUSIA ANNA MARIA (Gruppo Misto). Grazie Presidente e grazie Prefetto per la sua presenza, per la competenza e anche per la sensibilità che ha mostrato nella relazione di oggi e per i numeri allarmanti che ha portato all'attenzione in questo consesso; numeri che vanno interpretati come bene ha ricordato e su cui brevemente dopo tornerò. So che gli impegni la chiamano altrove e quindi cercherò di essere breve.

Una nota professoressa sarda, Nereide Rudas, nel suo ultimo lavoro prima di lasciarci, intitolato: "donne morte senza riposo - indagine sul muliericidio" scrive: in un'epoca definita moderna, se non post moderna, segnata da strutturali modificazioni del costume dall'emancipazione femminile, dalla rivoluzione sessuale, dall'introduzione del divorzio e dalla accresciuta possibilità espressiva per i soggetti, sussistono ancora degli uomini che sono rimasti indietro e talmente arroccati sulla propria posizione di dominio e di potere tanto da non accettare tutto ciò. E chi sono questi dominanti a tutti i costi che si trasformano in assassini, stupratori, maltrattanti. Non sono nati e cresciuti in contesti culturali familiari e sociali vuoti, al contrario, dice la studiosa, sono il prodotto di un humus radicato e diffuso che afferma la superiorità maschile sulle donne. E ancora poiché è evidente la dimensione massiva del fenomeno, poiché non si può parlare di pandemia, di persone affette da disturbi mentali, latenti o manifesti che siano, le cause vanno ricercate altrove. Non è certamente questa la sede per discutere del fenomeno in tutta la sua complessità, perché richiederebbe certamente un approfondimento multidisciplinare, noi qui oggi siamo chiamati nei nostri diversi ruoli, con le nostre diverse competenze ed esperienze a trovare soluzioni per il futuro, a individuare gli strumenti più efficaci per contrastare la violenza contro le donne, che sembra, nelle sue dimensioni, non dare tregua.

È questo un tema, come ricordavano tutti coloro che mi hanno preceduto, il tema del contrasto alla violenza sessuale e di genere, da tempo di interesse sia a livello internazionale e comunitario ma soprattutto resa attuale dalla insopportabile costanza dei suoi numeri. Io non voglio tornare sui numeri tra l'altro aggiornati e sulle statistiche che bene, Prefetto, lei ha riferito in questa giornata. Ricordo soltanto alcune cifre per anticipare quello che è il contenuto della mozione che io insieme alle colleghe abbiamo presentato e firmato; 6.788.000 le donne tra i 16 e 70 anni che hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica o sessuale, il 62,7 per cento degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente con tutte le letture che sono state date da lei, Prefetto, e dai presidenti. Il 10,6 per cento delle donne ha subito violenza prima dei 16 anni. Questa percentuale aumenta e arriva fino al 65,2 per cento ove si consideri la violenza assistita e cioè i casi in cui i minori assistono a episodi di violenza nei confronti della propria madre. La cosa incredibile è che le donne separate e divorziate hanno subito violenze fisiche o sessuali in percentuali maggiori rispetto alle donne che non sono legate ad un rapporto sentimentale, così come maggiore è la percentuale delle donne che sono affette da disabilità o con problemi di salute.

Come ricordava da una lettura non attenta sembra che ci siano dei miglioramenti, questi non devono illuderci perché è vero che per certi versi, e se io faccio riferimento ovviamente ad una ricerca Istat che sicuramente è datata rispetto ai dati che riferiva, ma c'è un calo della violenza sia fisica che sessuale, perché si è passati rispetto ai dati precedenti, al quinquennio precedente da quella commessa dagli ex partner, giusto per fare un esempio, dal 5,1 per cento al 4 per cento per la violenza fisica e dal 2,8 per cento al 2 per quella sessuale. C'è sicuramente una maggiore consapevolezza, sempre di più le donne considerano la violenza subita come un reato e sempre di più cercano aiuto presso i centri antiviolenza. C'è da rilevare anche che sempre di più le donne sono soddisfatte del lavoro delle forze dell'ordine. Ma è ancora troppo poco; la strada, forse quella giusta è quella individuata, ma serve più vigore nell'azione, perché ancora troppi sono i segnali negativi. Non si intacca purtroppo lo zoccolo duro. Oggi i dati parlano di quasi 11 stupri al giorno, 4000 ogni anno più di un milione di donne corpi colpite in Italia. La rilevazione peraltro è difficile, perché come veniva ricordato, in gran parte il fenomeno è sommerso, specie se riguarda fatti commessi all'interno del nucleo familiare.

Le violenze comunque sono sicuramente più gravi perché aumentano sia quelle che hanno causato ferite, che passano dal 26,3 per cento al 40,2 per cento, sempre relativamente ai dati Istat di cui parlavo. Così come aumenta il numero delle donne che hanno temuto per la propria vita e che passa dal 18,8 per cento al 34,5 per cento. Ma preoccupa il dato soprattutto dei femminicidi o muliericidi, come li ha definiti la professoressa Rudas, perché comunque la nonostante la diminuzione degli omicidi in assoluto in Italia costante invece è la percentuale che riguarda le donne, così come lei bene ha ricordato.

Importantissimi lo vogliamo dire gli interventi legislativi su questi temi la legge numero 119 del 2013 di conversione del decreto numero 93 del 2013 che contiene tutte le disposizioni volte a prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere. Ancora legge numero 77 del 27 giugno 2013 con la quale l'Italia è stata tra i primi Paesi a ratificare la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica e cioè la Convenzione di Istanbul. Ancora importantissimo il piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere approvato con DPCM 7 luglio del 2015, che prevede importanti stanziamenti per l'assistenza e il sostegno alle donne vittime di violenza e i loro figli.

Su questo punto è importante, e poi noi lo riferiremo insomma l'abbiamo posto nella mozione, sarà importante anche il ruolo che chiediamo venga svolto dalla Regione Sardegna con il presidente Pigliaru, ma su questo punto tornerò. Sicuramente importante lo stanziamento di risorse che è stato disposto anche con l'ultima legge di stabilità.

E poi un inciso, Prefetto, mi permetta di ricordare che attualmente si trova all'attenzione del Senato una legge che è stata votata all'unanimità dalla Camera che riguarda la tutela degli orfani dei crimini domestici. È una legge, mi consenta di ricordare, che è nata in Sardegna a seguito di un caso che ha suscitato grande clamore e che nasceva a seguito della richiesta dell'uxoricida di vedersi assegnata la pensione di reversibilità della donna che aveva ucciso, sottraendola così alla figlia. Quella legge è in attesa di approvazione del Senato sembrava che la strada fosse tutta in discesa e invece ahimè è stata bloccata per ragioni che riguardano molto anche l'assenza di una parte politica oggi qui in Aula, e quindi ci permettiamo di ricordare l'importanza di quella legge, che si faccia parte per ciò che le è consentito di sollecitare la sua rapida approvazione.

Ancora io vorrei concludere con quella che è la sollecitazione che noi abbiamo inteso dare al presidente Pigliaru perché possa senza indugio chiedere la maggiore velocizzazione e la gestione delle risorse. Perché solleciti e chieda un continuo e costante contatto con le due articolazioni previste e istituite in seno alla Presidenza del Consiglio dal Piano di azione straordinaria contro la violenza sessuale di genere e cioè l'osservatorio e la cabina di regia; le quali unitamente al Dipartimento per le pari opportunità procedano nel perseguire gli obiettivi del piano e più precisamente la promozione delle attività propedeutiche alla realizzazione del sistema integrato di raccolta e di elaborazione dei dati. La predisposizione degli strumenti necessari a instaurare un collegamento con i tavoli di coordinamento che devono essere presenti in tutti gli ambiti territoriali cui è intestata la governance territoriale. La sollecita adozione della quota da destinare alle Regioni e alle Province autonome in modo complementare alle risorse proprie per le iniziative di diverso genere. Solleciti altresì una maggiore attenzione al rispetto sostanziale, non solo formale delle modalità di leale collaborazione così come individuate dal DPCM 24 luglio del 2014, tra tutti i soggetti interessati, Dipartimento pari opportunità, Segreteria della Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza delle Regioni, che consentirà una reale e concreta attuazione della legge e una sua applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale. Consentitemi ancora di ringraziare il presidente Pigliaru, il presidente Ganau e tutti gli ospiti presenti. Un ringraziamento particolare va al Questore di Cagliari e al Vicario, e grazie ancora, prefetto Gabrielli. Noi sardi di solito siamo più ospitali, questo incidente lascia anche a noi una grande amarezza, ma avrà capito. Grazie.

PRESIDENTE. La seduta è sospesa per dieci minuti, ringrazio anche io il prefetto Gabrielli. Riprendiamo in seduta formale tra dieci minuti, grazie.