Seduta n.66 del 18/02/2015
LXVI SEDUTA
(ANTIMERIDIANA)
Mercoledì 18 febbraio 2015
Presidenza del Presidente Gianfranco GANAU
La seduta è aperta alle ore 10 e 48.
FORMA DANIELA, Segretaria, dà lettura del processo verbale della seduta del 20 dicembre 2013 (448), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Salvatore Demontis, Valter Piscedda, Gavino Sale e Paolo Flavio Zedda hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 18 febbraio 2015.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la seduta congiunta del Consiglio regionale con il Consiglio delle autonomie locali sullo stato del sistema delle autonomie in Sardegna.
Comunico che l'ordine degli interventi prevede l'intervento del Presidente del Consiglio, successivamente l'intervento del Presidente del CAL, quindi gli interventi di cinque sindaci in rappresentanza del Consiglio delle autonomie locali e a seguire gli interventi dei consiglieri di maggioranza e di minoranza. Ricordo che il tempo a disposizione per gli interventi dei sindaci e dei consiglieri è di dieci minuti. Concluderà il Presidente della Regione.
Signor Presidente del Consiglio delle autonomie locali della Sardegna, signori sindaci, onorevole Presidente della Regione, signori Assessori, onorevoli colleghe e colleghi del Consiglio, é con vero piacere che apro questo incontro tra il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie della Sardegna, incontro che cade a dieci anni dalla legge istitutiva del Secondo organo costituzionale della nostra Regione.
Lo faccio con l'orgoglio di aver avuto l'onore di presiedere il massimo organo di rappresentanza delle autonomie locali della Sardegna, prima che questo Parlamento dei sardi, in questa giornata che rappresenta un momento obbligatorio di incontro; un incontro che, come ho avuto modo di dire più volte, deve uscire da ogni ritualità e formalità per assumere sempre di più il carattere di riflessione e di confronto vero sui tanti temi che riguardano la Sardegna, i territori e i cittadini.
In questa legislatura abbiamo avuto già momenti di incontro congiunto in occasione della manovra di assestamento del bilancio, ma il confronto vero è quello che si svolge e deve continuare a svolgersi quotidianamente, e che è sempre più stringente e necessario per affrontare i numerosi problemi e le difficoltà che riguardano le vostre comunità, gli enti locali e più in generale l'intera Sardegna.
In tutti noi vi è la coscienza della gravissima crisi che stiamo attraversando e che comporta difficoltà sempre maggiori nella capacità di rispondere alle necessità dei cittadini, a causa della diminuzione delle risorse disponibili neanche minimamente compensate da un incremento, anche improprio, della tassazione locale (che, come è noto, ha superato i limiti della sostenibilità) che solo in parte resta nelle disponibilità degli enti locali, condizione che comporta una sempre più seria difficoltà a erogare i servizi e anche a mantenerne i livelli minimi, a stare vicini alle crescenti difficoltà dei cittadini; una crisi economica e sociale drammatica con segnali di malessere progressivo che non possono essere sottovalutati e che devono trovare le migliori risposte possibili.
Questo è compito della politica, quella buona, che tutti vogliamo rappresentare. Ma questa situazione di oggettiva difficoltà non può in alcun modo giustificare azioni criminali, aggressioni, attentati e minacce che sempre con maggiore frequenza si rivolgono contro i sindaci e gli amministratori. I sindaci non possono essere il capro espiatorio della crisi, ma rappresentano l'ultimo baluardo contro di essa, quello più vicino ai problemi dei cittadini e, anche per questo, non possono essere lasciati soli.
Colgo l'occasione per ribadire, a nome dell'intero Consiglio regionale, la piena solidarietà al sindaco di Bultei e con lui a tutti, i troppi sindaci vittime di attentati, aggressioni e minacce. Ma oggi la solidarietà non basta. È necessario stare al fianco dei sindaci, come ho detto, vero baluardo del sistema democratico, ma è ora che arrivino quei segnali di attenzione da parte degli organi preposti e si concretizzino in quelle azioni più volte sollecitate di prevenzione e tutela da parte delle forze dell'ordine, che consentano il pieno e libero esercizio delle funzioni amministrative, la tutela degli amministratori e delle loro famiglie e che siano in grado di assicurare alla giustizia i criminali.
Oggi siamo chiamati a definire il miglior utilizzo delle risorse e a programmarle per l'anno in corso. Il confronto è in atto sulla legge finanziaria. Abbiamo il compito, non semplice, di correggere e reimpostare politiche non adeguate o superate, con altre innovative e sostenibili, nei diversi settori della società sarda. Dobbiamo rispondere alle esigenze di un sistema formativo moderno e di qualità, alle richieste di una risposta sanitaria omogeneamente diffusa sul territorio e vicina ai cittadini, a moderne politiche sociali innovative, al sostegno strategico ai settori produttivi, a un sistema di viabilità e trasporti pubblici moderni. Per citare solo alcune delle sfide che abbiamo davanti.
Contemporaneamente dobbiamo affrontare le numerose crisi, a iniziare da quelle industriali, senza alcuno sconto per chi ha sfruttato e prodotto danni ambientali, avendo il coraggio di non guardare con nostalgia a un passato oggi non proponibile, ma guardando avanti per cogliere e creare le condizioni per uno sviluppo produttivo che tenga conto dei mutati quadri di mercato e delle produzioni innovative.
Molte sono le criticità, ormai storiche, che ci trasciniamo irrisolte da decenni. Siamo arrivati a un punto in cui non esistono ulteriori margini di tempo. Il futuro della nostra Regione, il futuro nostro e dei nostri figli, le possibilità di sviluppo, occupazione e crescita sono legate alla nostra capacità di dare risposte rapide e adeguate a questi problemi. Non abbiamo più tempo e non possiamo sbagliare.
In questo quadro dobbiamo sfuggire alle tentazioni centralistiche come scorciatoia facile a una contingenza così difficile, a scelte che privilegino l'accentramento delle funzioni piuttosto che un più diffuso esercizio alla base. Personalmente sono convinto che la conquista del Fondo unico vada sostenuta anche in momenti come questo dove i comuni sono chiamati a dimostrare, ancora una volta, tutta la responsabilità nell'uso delle risorse, sia pure procedendo a una rivisitazione dei criteri di ripartizione. Credo anche che a questo strumento debba essere affiancato un attento utilizzo delle risorse aggiuntive che la Regione sta decidendo di mettere in campo mediante la contrazione di significativi mutui. Utilizzo che deve richiedere un forte lavoro di condivisione indirizzato alla realizzazione di opere di carattere strategico, a iniziare da quelle di mitigazione del rischio idrogeologico e quelle relative al miglioramento della viabilità.
Il confronto tra noi dovrà procedere nei prossimi giorni per definire una riforma degli enti locali che risponda alle esigenze di efficienza e sostenibilità ma che sia rispettosa dei territori e della loro storia, individuando le migliori soluzioni di coordinamento sovracomunale e soprattutto la collocazione delle funzioni che vi debbono essere esercitate, evitando appunto quelle scorciatoie, citate prima, che potrebbero ulteriormente rafforzare il deleterio centralismo regionale.
Così pure all'interno della discussione sulla legge statutaria che ridefinisce i rapporti tra i diversi livelli e organi di governo della Regione, oppure con apposita legge, dovrà trovare spazio l'aggiornamento della legge regionale numero 1 del 2005 istitutiva del Consiglio delle autonomie locali della Sardegna, aggiornando la composizione dello stesso sulla base delle novità istituzionali caratterizzate dal superamento delle Province e - soprattutto - attribuendo al CAL funzioni più incisive sui provvedimenti che riguardano direttamente gli enti locali. Io non credo che sia un torto di lesa maestà consentire che quando arriva un parere negativo del Consiglio delle autonomie su un provvedimento di legge, che riguarda direttamente gli enti locali, il Consiglio abbia l'obbligo di rivedersi e di confrontarsi col Consiglio delle autonomie su quel tema e poi, liberamente e con l'autorità che nessuno gli mette in discussione, decidere sul provvedimento di legge.
Abbiamo davanti un anno difficile, ricco di sfide per il raggiungimento di obiettivi ambiziosi, in una contingenza difficilissima. Obiettivi però irrinunciabili che possono essere raggiunti solo con il faticoso esercizio del confronto, a tutti i livelli, che porta alla condivisione e alle migliori soluzioni.
Purtroppo quello che è successo in questi giorni al Parlamento sulle riforme non è un bell'esempio. Il mio augurio è che proprio qui in Sardegna, nel prossimo confronto sulla legge finanziaria, sapremo dare un esempio di esercizio alto di buona politica, sviluppando la migliore dialettica e capacità reciproca di ascolto.
A questo non possiamo sottrarci, pena un progressivo e ulteriore allontanamento tra i cittadini e le istituzioni, anche quelle a loro oggi più vicine.
Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio delle autonomie locali, Giuseppe Casti.
CASTI GIUSEPPE, Presidente del Consiglio delle autonomie locali. Signor Presidente, signor Governatore, onorevoli consiglieri, Assessori, rappresentanti delle province e colleghi sindaci, quello di oggi è un importante momento di confronto e di discussione tra le diverse istituzioni della Sardegna e arriva in un periodo particolarmente difficile e delicato. In un momento così complesso per le istituzioni e la finanza pubblica e per il ciclo economico, dobbiamo basare la nostra azione di rappresentanza del sistema locale, insieme ad ANCI e alle altre associazioni, sul forte senso di cooperazione istituzionale. La necessità di far fronte a una situazione economica, che per la gravità e durata della crisi ha pochi precedenti, deve indurci ad agire con celerità, evitando di attardarci in conflitti di ruolo per dare, ciascuno nel campo delle proprie competenze, il meglio di noi stessi.
Questi ultimi anni sono stati per noi tutti molto duri, non esiste settore economico che sia stato risparmiato dalla crisi e la nostra Isola ha pagato un peso maggiore rispetto a tanti altri territori della Nazione. Una crisi che da economica, non poteva essere altrimenti, è diventata una crisi sociale, accompagnata, oserei dire, da una crisi del sistema politico italiano.
Come amministratore locale, e in qualità di Presidente del Consiglio delle autonomie della Sardegna, vorrei, però, focalizzare la mia attenzione prima di tutto sulla finanza locale. Gli enti locali sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto in questi anni per il risanamento economico dello Stato. Anche quest'anno, ancora una volta, anche nella legge di stabilità nazionale, c'è stato un taglio importantissimo delle risorse destinate ai comuni e alle province.
Per un'applicazione, che personalmente ritengo distorta, del principio di sussidiarietà, nel corso degli ultimi vent'anni le competenze in capo agli enti locali si sono dilatate ma, nel contempo, le finanze si sono drasticamente prosciugate. Siamo chiamati, in qualità di amministratori locali, a dare, spesso senza averne i mezzi, risposte ai cittadini che si rivolgono a noi per qualsiasi loro problema, perché gli stessi comuni sono diventati una sorta di front office del Governo nazionale. Le richieste dei cittadini, d'altra parte, anche a causa del contesto economico, sono diventate più numerose e pressanti. Situazioni che i sindaci, tanto nelle grandi città quanto nei piccoli centri, conoscono benissimo e fronteggiano ogni giorno.
Per chi amministra, accade anche nei nostri comuni, fare i conti con chi ha perso il lavoro e bussa alla porta del Municipio alla ricerca disperata di un aiuto, non è un fatto straordinario ma rientra, purtroppo, nell'emergenza quotidiana. Giorno dopo giorno ci stiamo trasformando nella trincea della disperazione e della rassegnazione. Anzi forse sarebbe meglio dire che, a causa dei continui tagli che gli enti locali stanno subendo, il nostro ruolo si avvicina sempre più a quello di un centro di ascolto, che ascolta ma non può trovare soluzioni.
Sappiamo tutti che i cittadini vedono nei comuni l'istituzione a loro più vicina, il luogo chiamato alla risoluzione di tutti i problemi, anche quando questi non dipendono dall'amministrazione comunale, ma da livelli istituzionali diversi. La crisi economica di questi anni conferma questo fenomeno. I dati sulle persone assistite da ammortizzatori sociali, così come quelli di coloro che hanno perso il lavoro, sono tutt'altro che consolanti.
Non minore attenzione merita, come diceva il Presidente del Consiglio, l'aspetto legato alle tensioni sociali. Le cronache raccontano fenomeni che non devono essere sottovalutati. Non meno trascurabile deve essere l'aspetto relativo alla violenza sugli amministratori comunali. Non ultimo l'episodio di Bultei, ma anche quello che stiamo vivendo in questi giorni, vedi Villacidro, Bolotana, Siniscola e tanti altri centri. In questi casi le amministrazioni comunali pagano, con i propri amministratori, il fatto di trovarsi in prima linea nel garantire il funzionamento delle istituzioni. Molto spesso questi stessi amministratori, vittime di attentati, vivono nella condizione di chi si sente completamente solo e quasi abbandonato dallo Stato. Sensazione che viene avvalorata da diversi fatti come la chiusura dei tribunali e i tagli alle risorse destinate alla sicurezza. Ribadisco che, sino a quando non si comprenderà a pieno la funzione centrale dei comuni nella gestione del rapporto tra cittadini e istituzioni, continueremo ad allontanarci da quelle che sono le giuste richieste della popolazione.
Comprendere il ruolo dei comuni non significa però - lasciatemelo dire - fornire loro un attestato di merito, ma molto più concretamente fornire agli stessi enti locali mezzi reali, individuabili e immediatamente spendibili.
E' anche a causa dei continui tagli alle risorse trasferite agli enti locali che si avverte una certa difficoltà di chi sia disposto a rappresentare i cittadini all'interno delle istituzioni locali, limitando di fatto la partecipazione democratica. Perché quando viene a mancare la competizione elettorale e quando non c'è una rappresentanza democraticamente eletta, si delinea una forte limitazione della democrazia, che è poi ciò che gli episodi di violenza perpetrati ai danni degli amministratori comunali vogliono ottenere.
Parlare di crescita e di sviluppo e prospettiva significa avviare tutti insieme un processo di cambiamento e di rinnovamento che deve riguardare assolutamente tutti. Sia chiaro, non si tratta di avviare un programma che preveda un finanziamento a pioggia fine a se stesso ma, al contrario, è necessario dare il via libera a interventi condivisi che pongano le basi per un percorso di ripresa economica e produttiva.
Giusto per fare qualche esempio siamo d'accordo sui mutui, i mutui e i finanziamenti vanno bene se finalizzati alla realizzazione di infrastrutture propedeutiche allo sviluppo delle attività produttive, come le reti stradali o portuali, meno bene se, invece, le risorse sono vincolate semplicemente alla realizzazione di nuove piazze, ossia per cantierare opere pubbliche che non migliorano e non creano le precondizioni necessarie per lo sviluppo e l'insediamento delle imprese, le ricadute occupazionali e l'effettiva ripresa economica. Naturalmente, in questo contesto, diventa indispensabile il coinvolgimento delle Amministrazioni locali che hanno una conoscenza più precisa delle esigenze, dei punti di forza e di debolezza dei territori.
Le infrastrutture auspicate sono fondamentali per quel processo di crescita che deve vedere viaggiare su binari, paralleli e complementari, da una parte lo sviluppo turistico, combinato con la valorizzazione delle ricchezze ed eccellenze culturali, ambientali e agroalimentari delle diverse realtà, dall'altra la conservazione del comparto industriale, che non può mai essere inteso come sfruttamento e consumo selvaggio dell'ambiente, ma lavoro produttivo all'interno di un contesto chiaro fatto di regole da rispettare nell'interesse della salute di tutti.
A fronte di tutto ciò la legge di stabilità nazionale, confermando una tendenza consolidata negli ultimi anni, non ha mancato di tagliare anche per il 2015 il "fondo Solidarietà", che perderà in Italia un miliardo e mezzo di euro. Mi pare quasi certo, anche se spero di venire corretto, magari oggi stesso in questa sede, che il legislatore regionale si accinga, purtroppo, a seguire la stessa strada tracciata da quello nazionale.
Recentemente sia il Consiglio delle autonomie locali, sia l'ANCI hanno preso posizione sulla finanziaria regionale lamentando tagli, uno su tutti quello sul Fondo unico, risorsa spesso indispensabile nei comuni per l'attuazione delle politiche sociali, per lo sviluppo, l'occupazione, il diritto allo studio. In sintesi solamente per garantire i servizi essenziali.
Nello specifico, sulla legge finanziaria regionale, abbiamo sollevato sia nel confronto con la Giunta sia nel confronto con la Commissione competente, una serie di questioni, che non hanno portato a oggi a modifiche della proposta. Il cambio di toni e di atteggiamento da parte nostra, in uno sforzo di rilanciare la collaborazione istituzionale, non sembra avere prodotto risultati.
Registriamo novità positive sul Capo II (opere pubbliche e infrastrutture) per la disponibilità a riscrivere la norma sul Fondo per la progettazione e per l'istituzione di un tavolo tecnico sul rapporto tra nuove regole di contabilità; per quanto riguarda il Capo VI, nuovo tema sulle risorse agli enti locali, non vediamo nessuna novità. Per quello ribadiamo le nostre proposte: il ripristino del Fondo unico, la copertura del patto verticale incentivato e soprattutto un segnale in questo momento importante, che ha una valenza politica e che va anche aldilà delle cifre, che è l'incremento delle risorse per il fondo sulle povertà estreme.
Guardando all'insieme degli strumenti della programmazione: Programma regionale di sviluppo, programmi operativi dei fondi di legge per la legge finanziaria, fatichiamo a vedere un omogeneo disegno di sviluppo per l'Isola. Programmare non è qualcosa in cui inserire un po' di tutto.
A nostro giudizio deve essere fatta chiarezza su quali siano le priorità e le direttrici di fondo, evidenziando quali siano le risorse da destinare per singoli programmi e interventi.
Anche il negoziato con Bruxelles, con le osservazioni pesantemente critiche della Commissione, richiama tutti noi a una riflessione sull'uso delle risorse della programmazione 2014-2020. Ci sembrano ineludibili l'esigenza e l'urgenza di affrontare i nodi delle autorità di gestione e del Centro di programmazione. In particolare, per noi è prioritario rivedere profondamente la collocazione delle problematiche all'interno delle aree interne, sia come risorse sia come strumenti, ora presenti in modo marginale, mentre devono essere assunte come questione centrale della competitività complessiva del sistema Sardegna. L'intervento sulle aree urbane, un'altra cosa fondamentale, inoltre, non può essere assolutamente limitato ai centri di Cagliari, Sassari e Olbia.
La legge di stabilità ha un essenziale elemento di novità: prevede una forte riduzione dell'obiettivo nominale del Patto di stabilità per il 2015. Ciò consentirà nel breve periodo di incrementare il volume degli investimenti pubblici, questi potranno, così, soprattutto se concentrati in un breve lasso di tempo, trasformarsi in volano per l'economia, capace di concorrere e rianimare un mercato che in questo momento è completamente fermo.
Questa misura, a livello regionale, è da coordinare col cosiddetto mutuo regionale per le infrastrutture. CAL e ANCI hanno, sul tema, contribuito ad aprire e animare un forte dibattito, che deve ora pervenire a una sintesi soddisfacente tra piano regionale delle infrastrutture e coinvolgimento dei comuni in investimenti che diano risposte immediate alle necessità di crescita e di nuova occupazione. Nel mutuo uno spazio importante deve essere riservato, secondo noi, agli investimenti infrastrutturali e a supporto dei progetti territoriali di sviluppo, per i quali non vediamo allo stato attuale risorse dedicate.
Sulla sanità vorrei dire che la revisione della spesa in questo settore, nel senso di una razionalizzazione ed eliminazione degli sprechi, deve essere il vero strumento di recupero di mezzi finanziari per agire su altri settori su cui si sono abbattuti i tagli lineari dello Stato e della Regione.
Ricordo che la diminuzione dei costi, anche di un solo punto percentuale, libererebbe importanti somme da impiegare in altri settori.
Sul piano degli interventi strutturali e di investimento per lo sviluppo, mi permetto di fare un passaggio sulle riforme, in particolare ci tengo su AREA ed Ente foreste. Tali riforme richiedono il pieno coinvolgimento delle istituzioni locali e devono essere finalizzate alla trasformazione della gestione del territorio e dell'edilizia residenziale, settori fondamentali per le politiche urbane e rurali e per la soluzione del problema della carenza delle abitazioni.
Come è avvenuto nel recente passato, vado a concludere, la finanziaria 2015 sembra andare in direzione opposta. Ebbene, questa finanziaria dovrebbe, invece, puntare sul coinvolgimento delle istituzioni locali: gli investimenti e gli interventi devono essere diretti a valorizzare le pubbliche amministrazioni, alla crescita di tutto il settore pubblico locale e al dialogo costante con aziende regionali e con i territori. Aziende che devono essere messe nuovamente in grado di operare, cominciando a garantire le strutture societarie e iniziando a sostituire i diversi commissari che spesso operano come feudatari.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Mario Floris per il Gruppo Sardegna.
FLORIS MARIO (Sardegna). Signori sindaci, colleghi del Consiglio, la riunione di oggi, aldilà della formalità delle norme che la collocano in un contesto di rilevanza strategica nel rapporto ordinario tra Consiglio ed enti locali, perché stiamo programmando la spesa delle risorse disponibili, potrebbe assurgere a dignità storica perché potrebbe essere l'ultima con una tale dimensione e significato dovendo avere il prossimo anno, quando esamineremo la manovra finanziaria del 2016, un quadro istituzionale del tutto diverso per le riforme in corso quindi con un Consiglio delle autonomie non più nella formazione attuale.
La legge regionale numero 1 del 2005, che ha istituito il Consiglio delle autonomie locali e ha conferito dignità giuridica alla Conferenza permanente Regione-enti locali, già istituita (ero io allora Presidente) nel lontano 1993, ha esaurito la sua funzione. Ha perso per strada tutta la sua carica propositiva di sostegno e stimolo alla politica regionale non certo per sua colpa ma perché la stessa Regione e le forze politiche non hanno creduto nel suo potenziale.
I due organismi hanno avuto origine avendo di mira una Regione soggetto di programmazione e di indirizzo sia come Consiglio sia come Giunta regionale. Gli enti locali sarebbero dovuti essere non solo i soggetti attuatori ma avrebbero dovuto concorrere, come diciamo sempre in queste circostanze, a promuovere dal basso le scelte più idonee al progresso del popolo sardo; una missione sostanzialmente fallita principalmente per colpa nostra, perché non siamo stati capaci di amalgamare il sistema e non abbiamo fatto squadra: Regione ed enti locali. Anzi siamo in continuo palese conflitto con le rappresentanze degli enti locali, con gli organismi di compartecipazione ai progetti e ai programmi di sviluppo e di crescita civile, quali sono appunto il Consiglio delle autonomie e la Conferenza permanente, chiamati solo a ratificare scelte promosse dall'alto, così a livello nazionale, così a livello regionale: prendere o lasciare.
A me in questa circostanza non interessa tanto parlare o analizzare la legge finanziaria e di bilancio in senso stretto (esamineremo in questi prossimi giorni la manovra finanziaria nel suo complesso), interessa parlare invece, perché è materia più appropriata, del rapporto Regione - enti locali oggi affinché non ci siano infingimenti. Ci assumiamo le nostre responsabilità di fronte ai rappresentanti dei poteri locali e dell'intera opinione pubblica, che da noi attendono proposte chiare e fatti concreti.
In rapporto alla legge finanziaria e al bilancio mi sento solo di fare due brevi affermazioni, che riguardano il sostegno economico al Consiglio delle autonomie locali e alle rappresentanze degli enti locali almeno per il 2015, posto che per il 2016 dovremo affrontare una puntuale rivisitazione della legge numero 1 del 2005, per adeguarla alla nuova conformazione del sistema degli enti locali in corso d'opera. Oggi ci troviamo con gli enti locali sul piede di guerra, non solo oggi per la verità, è dall'inizio della legislatura che è stata fatta una scelta di conflittualità e di non coerente condivisione, forse mutuando inconsciamente o per scelta meditata l'andazzo nazionale.
Dall'IMU agricola alla legge di stabilità, che sottraggono importanti risorse alle Regioni e ai comuni, al Patto di stabilità che soffoca i comuni nonostante la Giunta regionale elevi a osanna il pareggio di bilancio, al dimensionamento scolastico che toglie un servizio essenziale primario ai piccoli e medi comuni, come accade per le poste, per le banche, e così potremmo andare avanti all'infinito in un progress di contenziosi, lamentele e proteste che ci danno un quadro desolante del rapporto Regione - enti locali. Con le politiche del territorio e della casa andiamo dal mancato rispetto degli impegni assunti alla mitologia applicativa del Piano paesaggistico.
Su questi temi, come su altri, che sarebbe lungo citare, ma dei quali è piena la cronaca politica nei nostri quotidiani, si è agito come guastatori, cioè come demolitori di quanto costruito, lasciando macerie. Con il Piano casa i sardi hanno dovuto purtroppo registrare il blocco improvviso di ogni possibilità di proroga degli effetti positivi che il Piano ha generato, e non lo dico io, ma lo dicono i rappresentanti delle amministrazioni locali, gli operatori del settore, un settore trainante della nostra economia e del nostro mondo del lavoro.
Era stata data assicurazione, in sede di votazione dell'ordine del giorno sul tema, che se entro il 29 novembre scorso, termine di scadenza del Piano casa, non fosse stata approvata una nuova legge di settore avremmo acconsentito a una proroga delle norme vigenti; non è stato mantenuto tale impegno e me ne rammarico perché anch'io avevo avuto fiducia dell'impegno assunto, dando il mio voto favorevole all'approvazione dell'ordine del giorno. A oggi, 18 febbraio 2015, a tre mesi dalla scadenza e decadenza del Piano casa, della nuova legge urbanistica manco l'ombra, se n'è parlato nei salotti buoni ma nulla è stato fatto per venire incontro alle esigenze di questo fondamentale comparto della nostra economia.
Con il Piano paesaggistico è stato raso al suolo, senza fornire alternative, un lavoro portato avanti per anni e con il coinvolgimento pieno di tutti i soggetti pubblici e privati, culturali, economici e sociali, che nel Piano regionale trovavano e trovano risposta alle loro istanze, in primo luogo i comuni e tutte le amministrazioni pubbliche, dalle università sarde, alla sovrintendenza per i beni culturali. La revisione del Piano paesaggistico regionale degli ambiti costieri e la redazione di quello delle aree interne, iniziato nel 2009 con il progetto "Nuove idee", ha visto il coinvolgimento di tutti i comuni della Sardegna, attraverso l'affidamento all'ANCI, ossia l'associazione dei comuni sardi, del coordinamento di tutte le attività di studio e istruttoria, così come i protocolli allegati alla delibera che approva il nuovo Piano attestano, con il coinvolgimento delle università sarde, delle sovraintendenze e di importanti professionisti.
La Giunta regionale, un mese dopo il proprio insediamento, non sospende, sarebbe stato un provvedimento comprensibile, ma annulla la delibera di approvazione del Piano paesaggistico sardo, e l'assessore Erriu ha dovuto con tale atto disconoscere il lavoro fatto per conto dei comuni sardi come Presidente dell'ANCI, e lo dico con molto dispiacere per la stima personale che ho per lui. A oggi anche su questo fronte, a un anno circa dall'annullamento del Piano, la Giunta e la maggioranza non hanno ancora prodotto uno straccio di provvedimento alternativo. A chi giova un tale modello di governo della Regione, signor Presidente?
La riforma del sistema degli enti locali, conseguente alla legge numero 26 del 2014, che va sotto il nome del sottosegretario Delrio, è anch'essa al palo. La Giunta ha licenziato un testo abbastanza complesso e problematico, il termine di un anno dato alle Regioni a statuto speciale sta per scadere, scadrà il prossimo 8 aprile, mancano appena 45 giorni ai 365 assegnati per adeguare i propri ordinamenti interni e qui in Consiglio non abbiamo ancora iniziato il necessario e doveroso confronto tra le forze politiche, tra il Consiglio e le rappresentanze degli enti locali. A meno che non si voglia adottare anche in questo Consiglio regionale il metodo adottato da Renzi in Parlamento.
Mi chiedo, e chiedo, se è questo il metodo di confronto democratico con il quale la Giunta regionale ritiene di tutelare l'autonomia regionale, i poteri costituzionalmente garantiti sull'ordinamento degli enti locali e il complessivo interesse della Sardegna a determinare con le proprie istituzioni lo sviluppo e la crescita civile del popolo sardo. È evidente che ci troviamo di fronte a un quadro desolante, mai così conflittuale, ed è preoccupante perché facendo mio il monito del Presidente dell'ANCI Sardegna, dell'ex Assessore della programmazione, Piersandro Scano, dico che i comuni garantiscono la tenuta del tessuto sociale, se viene meno questa funzione crolla il sistema Sardegna. Penso che contro questo pericolo dobbiamo mettere in campo le nostre migliori energie.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sindaco del Comune di Sassari, Nicola Sanna.
SANNA NICOLA, Sindaco del Comune di Sassari. Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, signore consigliere e signori consiglieri, colleghi sindaci, io credo che sia giusto e necessario sottolineare il carattere unitario di questa riunione, rappresentativo del popolo sardo in un frangente economico e sociale della storia della nostra Regione assolutamente inedito, mai conosciuto nelle caratteristiche proprie di una società che si è evoluta in questi ultimi cinquant'anni; una società forte cresciuta su programmi di sviluppo nazionali e regionali, e che oggi si trova di fronte a una necessità urgente di proporre uno schema, uno sviluppo nuovo che sia altrettanto capace di dare prosperità e reddito alle nostre popolazioni.
Avete già detto come i sindaci della Sardegna, i sindaci d'Italia, ma parliamo di noi, sono "sindaci in trincea", e il termine ahimè, come è stato ricordato anche rispetto agli ultimi attentati, e anche in particolare a quello del sindaco di Bultei, non è un termine che esagera la situazione. Chi di noi, come me, è stato a trovare quel sindaco ha visto la violenza esplosiva che veniva indirizzata verso chi come noi, come tutti noi, è impegnato quotidianamente per la salvaguardia dei livelli produttivi, per la salvaguardia del sistema di garanzie di cittadinanza del nostro popolo.
Negli ultimi anni i comuni hanno dovuto subire numerosi e profondi tagli, e sono tra quelle amministrazioni pubbliche che più di altre hanno garantito gli equilibri di finanza pubblica. In questi giorni, anche in attesa dell'esito della finanziaria regionale, stiamo cercando di elaborare i nostri bilanci di previsione; un dato non deve sfuggire, se fino a circa 4, 5 anni fa eravamo in grado di autofinanziare i nostri bilanci con appena il 20 per cento dalla tassazione locale, oggi siamo di fronte alla necessità di autofinanziare l'intera macchina comunale fino al 50, 60 per cento delle risorse necessarie, tutto questo avviene e non può che avvenire purtroppo facendo leva naturalmente sulla fiscalità locale che investe una popolazione in sofferenza, senza lavoro e con una enorme disoccupazione.
Noi dobbiamo recuperare, credo, quella procedura cosiddetta incrementale del Fondo unico per gli enti locali che era stata messa a punto proprio a seguito della vertenza sulle entrate con lo Stato; nella misura in cui dalla vertenza Stato-Regione sarebbe dovuto venir fuori, come è possibile ed è stato possibile, e il lavoro di questi mesi lo dimostra, un incremento di trasferimento che significa una maggiore agibilità, noi riteniamo come sindaci che questo incremento debba essere riversato in questo Fondo; un Fondo che sottolinea l'autonomia degli enti locali, sottolinea quel processo di riforma, partecipato, paritario che è stato avviato proprio con la legge o, meglio, con l'articolo istitutivo di quel fondo.
Ma ci sono ancora altri elementi inespressi nella nostra Regione relativamente a un processo di riforma che, sapete bene, deve coinvolgere l'intera pubblica amministrazione regionale, non solo gli enti locali certamente ma anche la Regione. E ci sono ancora leggi, come la legge numero 9, che non hanno espresso completamente la loro potenzialità, che richiamano la necessità di fare in modo che gli enti locali, i comuni certamente, ma poi l'ente che sarà rappresentativo di aree più vaste, portino quel processo di trasferimento di competenze e di gestione, anche su livello probatorio, nei territori.
Io credo che oggi, rispetto ad altri momenti, questo dilemma tra sviluppo di aree urbane e sviluppo di aree interne sia ancora più attuale proprio per la crisi che stiamo vivendo e per i caratteri inediti della stessa. Io non credo che noi dobbiamo ragionare sulle aree urbane considerandole come ulteriore elemento attrattore di nuova popolazione, perché questo non può che andare a scapito delle zone interne; dobbiamo fissare alcuni elementi di compartecipazione, le aree urbane sono un grande attrattore, certo, ma soprattutto sono aree di servizi per il resto della popolazione sarda. Allora dobbiamo riconoscere alle aree interne e a quelle popolazioni la funzione fondamentale di salvaguardia del nostro ambiente, di salvaguardia delle zone interne e di uno sviluppo sostenibile che è sempre sostenuto e sostenibile anche in relazione alle attività, in particolare mi riferisco alle attività agro-zootecniche, agropastorali.
Questa funzione di salvaguardia ambientale deve essere pertanto preservata destinando a queste aree non solo risorse ma anche funzioni che riguardano non solo la nostra Regione ma anche l'intero patrimonio nazionale e comunitario. In questo reciproco scambio di servizi tra aree urbane e aree interne noi dobbiamo fondare un nuovo asse di solidarietà tra il popolo sardo e le sue istituzioni; e le riforme istituzionali non sono ininfluenti sui processi di sviluppo della nostra Isola, le riforme istituzionali devono riguardare l'intera pubblica amministrazione regionale.
Dobbiamo quindi rifuggire, dalle tentazioni centralistiche, può apparire forse più semplice o semplicistico, potrebbe apparire più efficace, più economicamente valido accentrare alcune funzioni piuttosto che destinarle in periferia, ma in realtà più poteri e più deleghe gestionali, maggiore autonomia, anche in termini di programmazione, rispetto all'uso delle risorse per lo sviluppo locale, ad esempio, garantiscono un processo e un livello moltiplicatore di risorse che è utile perseguire.
Gli enti locali, i comuni in prima persona, del resto sono lì a dimostrare la loro efficacia nel trasferire e spendere i denari; se non ci sono altri lacci e lacciuoli, che non dipendono dalle stesse amministrazioni locali, sono in grado di trasferire questo moltiplicatore e trasferire queste risorse rendendole effettive nel loro risultato. Riforme che dovranno vedere protagonista anche il CAL, nella sua conformazione.
Il CAL ha già elaborato un articolato testo che esalta il ruolo e il protagonismo delle autonomie, delle diverse autonomie, quindi non solo dei comuni ma, ad esempio, anche delle autonomie universitarie sarde, anche del sistema scolastico, che deve entrare in un rapporto continuo di rappresentatività ma, allo stesso tempo, di cogestione. Sulla finanziaria e sul bilancio regionale riteniamo, lo diceva prima il Presidente del CAL, Casti, che si possa ancora fare qualcosa di più nell'individuare gli enti locali, i comuni in particolare, quali terminali efficaci ed efficienti per la spesa per lo sviluppo locale, per il sostegno a infiniti bisogni ma spesso ripetitivi e che possono essere ricondotti a fattori comuni quali l'istruzione, il lavoro, la casa.
Da questa seduta congiunta ci attendiamo risposte strutturali al bisogno del popolo sardo; sono certo che ciascuno di noi, nell'ambito delle rispettive competenze, è impegnato al massimo livello con un impegno totale, corale, che dobbiamo essere in grado di trasferire alla nostra comunità.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Nuoro, Alessandro Bianchi.
BIANCHI ALESSANDRO, Sindaco del Comune di Nuoro. Signor Presidente, saluto il Presidente della Giunta regionale, gli Assessori presenti e gli onorevoli consiglieri, vi ringrazio per la sensibile partecipazione a questa seduta congiunta. Presidente io parlerò, l'ha già fatto efficacemente il Presidente del CAL, avendo rappresentato una serie di criticità che interessano gli enti locali, di un altro tema che al Consiglio delle autonomie locali sta molto a cuore: il tema dell'acqua e del nuovo ente di governo dell'ambito della Sardegna, la cui legge relativa è stata licenziata da questo Consiglio regionale il 4 febbraio scorso; un organismo nel quale gli enti locali esercitano funzioni e competenze su un servizio essenziale, su un bene pubblico universale.
Credo che giovi ricordare la Risoluzione del luglio 2010 dell'Onu che definisce il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale, quindi è materia su cui evidentemente c'è grande interesse. La legge numero 4 del 4 febbraio scorso ha istituito, come ho già detto, l'Ente di governo dell'ambito della Sardegna; si tratta di una legge di cui avevamo bisogno e a cui arriviamo anche con un certo ritardo, ed è evidentemente una norma utile per dare piena funzionalità a questo organismo anche alla luce dei recente aggiornamenti legislativi nazionali, penso in particolare alla legge numero 164 del novembre scorso.
Grandi ritardi e questo, evidentemente, ha portato anche a licenziare un po' di fretta questa legge che presenta evidentemente delle criticità, costruttivamente ne vorrei brevissimamente elencare qualcuna. In primo luogo dal primo gennaio del 2015 l'ex autorità d'ambito fino al 14 febbraio scorso, mi verrebbe da dire da qualche giorno prima del momento in cui la nuova legge è stata pubblicata sul Buras, ha funzionato sotto il regime della prorogatio con un Commissario che gestiva di fatto soltanto l'ordinaria amministrazione.
Evidentemente questo ha comportato, ad esempio, la mancata approvazione di qualsiasi progetto; quindi, sottolineo un altro aspetto, se era nell'obiettivo comune quello di accelerare invece i processi decisionali, approvare dei progetti e quindi muovere anche tutta quell'economia che sta dietro l'infrastrutturazione del servizio pubblico integrato, nei fatti dal 31 dicembre del 2014 questo Ente cura solo ed esclusivamente l'ordinaria amministrazione. È bene anche ricordare che attualmente presso l'Autorità d'ambito non esiste alcun dirigente, né dirigenti amministrativi né tecnici, e quindi di fatto è una struttura acefala nella quale non esiste la possibilità di acquisire alcun parere di legittimità e di regolarità tecnica. È il motivo per cui nessun progetto dal primo gennaio 2015 è giunto ad approvazione.
Questa legge, quindi, risolve il problema di cui parlo? No, non lo risolve nell'immediato e probabilmente non potrà risolverlo neanche nel breve termine e spiegherò perché. Cosa prevede la legge? Intanto prevede che nelle more dell'insediamento dei nuovi organismi, parlo del Comitato istituzionale d'ambito, l'Ente di governo dell'ambito debba essere governato, sempre per l'ordinaria amministrazione, da un commissario.
Nella giornata odierna il Consiglio delle Autonomie fornirà alla Giunta regionale il nome di un nuovo commissario, lo farà stamattina, entro quindici giorni la legge prevede che il Consiglio delle Autonomie debba anche individuare i dieci sindaci che faranno parte del Comitato istituzionale d'ambito e anche questo adempimento verrà svolto dal Consiglio delle autonomie nei tempi previsti dalla legge. Ed è previsto poi che entro quarantacinque giorni il Presidente della Giunta regionale insedi e convochi per la prima volta il Comitato istituzionale d'ambito.
Come funziona questo Comitato istituzionale d'ambito? Funziona attraverso uno statuto, e lo statuto deve essere proposto dalla Giunta, inviato per il parere alla Commissione entro sessanta giorni dall'approvazione della legge. Dopodiché deve passare all'approvazione dei Consigli comunali e deve essere approvato per lo meno dalla maggioranza dei consiglieri comunali quindi dei comuni rappresentati all'interno del Comitato d'ambito. Perché è importante questo? Perché il direttore del nuovo Ente di governo dell'ambito deve essere nominato ai sensi dello statuto.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che questo Ente di governo dell'ambito avrà un direttore generale, che poi è quello che materialmente cura tutte le istruttorie dei processi, le autorizzazioni, la firma dei progetti, cosa assolutamente importante, che rischia di essere nella piena funzionalità del proprio ruolo in tempi non brevi, pensate semplicemente ai passaggi nei consigli comunali.
Allora, il senso del mio intervento è quello di chiedere agli onorevoli consiglieri e alla Giunta regionale di sanare questo che è un vulnus di funzionalità del nuovo organismo, in maniera tale da garantire per lo meno in tempi molto rapidi, che l'organismo possa funzionare ed essere assolutamente funzionante in tempi brevi. Perché la vacatio per tempi lunghi è assolutamente da ritenersi un rischio concreto.
Chiudo, Presidente, facendo due brevissime segnalazioni. Questo Consiglio regionale era sembrato disponibile a raccogliere un'indicazione avanzata dal Consiglio delle autonomie locali di sanare un altro vulnus: mi riferisco alla restituzione delle quote della nostra società, parlo ovviamente di Abbanoa, perché ancora ci viene detto che è la società dei comuni, nella quale la Regione ha oggi oltre l'80 per cento delle quote azionarie.
Uno degli emendamenti proposti dal Consiglio delle autonomie prevedeva la restituzione ai comuni delle quote, oggi in possesso della Regione, quindi il ripristino della condizione precedente alla capitalizzazione in cui la Regione aveva circa 14 per cento delle quote. La legge proposta prevede che invece questa restituzione debba avvenire entro cinque anni, ma col socio Regione che può mantenere fino al 49 per cento delle quote azionarie.
In tempi in cui parliamo di decentramento, di trasferimento di funzioni agli enti locali, occorrerebbe che dalle parole si passasse ai fatti e l'approvazione di questa legge diciamo che consentirebbe di intervenire anche in questo senso. Un'ultima considerazione, all'interno dell'Ente di governo dell'ambito si partecipa pagando delle quote. Io non so se qualcuno si è accorto che nella legge approvata le quote vengono pagate soltanto dai comuni non dalla Regione, che vi partecipa senza che sia stata disciplinata in alcuna maniera la partecipazione attraverso il pagamento di quote. Ad esempio, poteva essere previsto che la Regione si facesse carico delle quote delle Province che scompariranno. Insomma, partecipare senza pagare la quota permettetemi di dire che fa un po' sorridere, però lo dico in termini costruttivi perché credo che insieme alla possibilità di nominare una direzione generale in tempi rapidi, possa essere previsto anche questo aspetto.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Bortigiadas, Emiliano Deiana.
DEIANA EMILIANO, Sindaco del Comune di Bortigiadas. Presidente Ganau, onorevoli consiglieri, signori della Giunta, colleghi sindaci, noi tutti ci auguriamo che l'annuale seduta congiunta tra il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie non sia il consueto rito tra chi fa finta di ascoltarsi, un dialogo tra sordi incapaci quasi di dirsi con franchezza lo stato dei rapporti tra Regione ed enti locali. Io proverò a dare il mio contributo con franchezza, anche a costo di sembrare duro.
A me pare che a ogni livello, dal nazionale al regionale, ci sia una costante che attraversa i partiti di destra, di sinistra e di centro: l'avversione contro il piccolo, il multiforme, il periferico. Si sta affermando un'ideologia pericolosissima che vede nella democrazia di prossimità non solo un fastidio, ma qualcosa da abbattere da sconfiggere, da cancellare. Pare che a ogni costo vada razionalizzata in maniera ragionieristica la forma democratica più vicina al cittadino, la si indebolisce delegittimandola, considerandola semplice portatrice di interessi. La si indebolisce privandola di risorse per poi mostrarla alla pubblica opinione come inefficiente. Si affoga questa forma democratica nella brodaglia di assurdi vincoli di bilancio e, dopo averla uccisa, la si accusa di non sapere neanche nuotare.
Dal 2009 al 2013, i dati sono della Corte dei conti, lo Stato ha tagliato 31 miliardi di euro al sistema delle autonomie locali, una cifra questa che se fosse stata applicata con eguale determinazione ad altri settori dello Stato ora, nel 2015, italiani e sardi pasteggerebbero ogni giorno a caviale e champagne. Nessuno ha fatto rilevare che a seguito di un taglio così colossale i dati dei conti pubblici e dell'economia siano rimasti sostanzialmente invariati, e sono rimasti invariati perché la polpa è altrove, è a livello centrale, nei Ministeri, a Roma. Fatto 100 la spesa pubblica italiana il 92,5 per cento è prodotto a livello centrale e solo il 7,5 è prodotto a livello periferico. Fatto 100 il debito pubblico italiano il 97,5 per cento è prodotto a livello centrale e solo il 2,5 per cento è prodotto a livello periferico. Ma ancora si sbandiera che il vero nemico da abbattere si chiama, ahimè, campanilismo. Non la corruzione, non la criminalità organizzata, non l'evasione fiscale, non il centralismo, ma il campanilismo. Una cosa ridicola!
Io credo che questa seduta congiunta debba servire, fondamentalmente, per chiarire in maniera definitiva un dilemma che se ne trascina dietro un altro. Si vorrebbe capire, non a parole ma con atti formali, amministrativi e normativi, se i comuni rappresentano per questa Regione un fastidio o se ne sono invece uno degli elementi costituzionali costitutivi fondamentali. Perché a parole ci si affanna a dire che i comuni sono una risorsa, ma nella realtà dei fatti, dalla lettura combinata del programma di governo e del Piano regionale di sviluppo della programmazione comunitaria, dell'ipotesi di riforma degli enti locali, della legge finanziaria, quella risorsa si trasforma definitivamente in fastidio.
Un fastidio chiamato portatore di interesse come se i comuni e le loro rappresentanze democratiche agissero perseguendo interessi privati e non, come è, interessi pubblici e collettivi. Se siamo un fastidio dovevate chiuderci ieri, se siamo un fastidio dovevate accorpare tutto in un unico comune sardo ieri. In Sardegna quel fastidio si esplicita in una ulteriore complicazione che questa seduta dovrebbe contribuire a sciogliere, ovvero se si pensa che 1.600.000 sardi debbano vivere concentrati in tre grandi aree urbane oppure possano vivere avendo pari opportunità nelle 377 comunità della Sardegna. Pari opportunità nell'accesso ai servizi, alla possibilità di trovare o creare lavoro, alla possibilità di pensare a un futuro possibile nei luoghi di origine. Luoghi nei quali un infartuato di Bultei abbia possibilità simili a un infartuato di is Mirrionis di tirarne fuori la pelle quando c'è una crisi acuta che lo riguarda nel fisico.
Non sono tra coloro che pensano che la presenza di servizi nelle aree rurali della Sardegna sia una condizione sufficiente per lo sviluppo. Io penso però che la permanenza di una scuola, di una caserma, di un ufficio postale, di una banca sia condizione necessaria per lo sviluppo dei nostri paesi, e parlare di spopolamento senza declinarlo con le parole giuste oggi nella Sardegna del 2015 non ha più senso. Spopolamento significato denatalità, spopolamento significa invecchiamento della popolazione, spopolamento significa immigrazione, spopolamento significa assenza di varie opportunità tra chi è nato in un paese o chi è nato in una città.
Noi pensiamo a una Sardegna che cresca in maniera armonica nei paesi, nelle città, in campagna e sulla costa. Noi pensiamo sia un errore ritenere che tutto si risolva accentrando in pochi luoghi decisionali tutta la politica di prossimità. Noi pensiamo che sia una posizione ideologica dire, in continente e in Sardegna, che ogni cosa si possa risolvere con le Unioni dei comuni. Le Unioni dei comuni possono fare molto bene alcune cose, i servizi in particolare e le politiche di sviluppo, ma non possono fare tutto. Le Unioni dei comuni non possono detenere al proprio interno tutte e dieci le funzioni fondamentali di tutti i comuni aderenti e le funzioni di derivazione ex provinciale. Le Unioni comunali con l'elezione di secondo livello, con il meccanismo di una testa un voto, con la obbligatorietà di tutte e dieci le funzioni non garantiscono i livelli minimi di democrazia, violano la qualità democratica dei cittadini poiché depotenziano, a seconda di come ci si organizza a livello locale in maggioranza o in minoranza, i rappresentanti degli organismi sovracomunali, violano in maniera sistematica le previsioni della Carta europea delle autonomie.
La sfida dello sviluppo, Presidente, non richiede meno democrazia, la sfida del progresso della Sardegna richiede più democrazia, richiede l'esaltazione delle differenze, richiede la valorizzazione del multiforme, richiede la sfida della competizione tra istituzioni e territori.
L'errore mortale che compiono le tecnocrazie è quello di considerare la Sardegna come un corpo unico. Qui c'è bisogno di elaborare micro modelli di progresso economico, culturale, civile, democratico; dal punto di vista istituzionale bisogna valorizzare le differenze, dal punto di vista delle riforme bisogna "ridemocratizzare" i processi con l'obbligatorietà, sì, di aderire a una forma associativa, unione o convenzione, e la facoltà di relegarvi quanti più servizi possibili con il meccanismo dell'incentivo e del disincentivo.
Termino. Signori consiglieri a voi la scelta: considerare il sistema locale un fastidio o il fattore decisivo per il progresso della Sardegna. Nel caso scegliate, come noi auspichiamo, la seconda opzione avrete tutto il nostro incondizionato appoggio ma per far questo non bastano più le parole, servono fatti conseguenti.
Aldo Moro diceva che il decentramento nella gestione degli interessi comuni, la determinazione di centri più vicini e controllabili, la fiducia riposta nei direttamente interessati sono altrettanti strumenti dell'avvicinamento del potere agli amministrati e alla umanizzazione di esso come garanzia del suo retto fine.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Modolo, Omar Aly Kamel Hassan.
HASSAN OMAR ALY KAMEL, Sindaco del Comune di Modolo. Buongiorno Presidente, buongiorno onorevoli consiglieri, buongiorno Presidente della Regione, professor Pigliaru, buongiorno a tutti quanti gli Assessori che lo affiancano e soprattutto buon giorno, cari colleghi sindaci. Il mio intervento sarà molto breve perché sposo tutte le considerazioni che sono state esposte dai colleghi poc'anzi e spero, francamente, che arrivino alle orecchie di chi può decidere, di chi può far qualcosa rispetto alle problematiche che sono emerse, veramente questa è la speranza principale che io auspico possa accadere in modo tale che veramente a qualcosa possa servire la riunione di quest'oggi.
Io toccherò principalmente cinque punti, il primo riguarda il rapporto che deve esserci tra i comuni e la Regione. A oggi il rapporto che ci vede confrontarci non è un rapporto equiordinato, nonostante la nostra Carta costituzionale dica chiaramente che i livelli di governo siano equiparati, ci troviamo spesso mortificati da un'azione da parte della Regione che vuole in qualche modo comprimere l'autonomia e le prerogative dei comuni. Io invece vorrei che veramente si iniziasse una stagione nuova sulla base di un rapporto di leale costruzione che parta da un confronto che veda i comuni effettivamente protagonisti, effettivamente attori delle riforme che si vogliono portare avanti altrimenti non si riuscirà effettivamente nel risultato, non si riuscirà se i comuni non saranno ascoltati, non saranno messi nelle condizioni di poter dare il loro contributo.
Non vogliamo più essere mortificati, la mortificazione passa attraverso azioni che talvolta possono sembrare degli aiuti. Parlo, ad esempio, dell'intervento che l'Assessorato dei lavori pubblici ha messo in atto con un bando per le opere di immediata cantierabilità che ha visto i comuni mettersi gli uni contro gli altri, che ha visto i comuni concorrere per tagliare per primi il traguardo nel tentativo di portare a casa qualche spicciolo, di un bando che non era affatto chiaro, che partiva da 20 milioni di euro per poi arrivare a 40, poi 60, poi 70, adesso forse 71 milioni di euro e, in ogni caso, non c'era assoluta chiarezza sulla destinazione e la ripartizione delle risorse su tutte le linee, su tutti i progetti ai quali si poteva partecipare.
Questo è un problema, è un problema quando ci mettete nelle condizioni di confrontarci e di scontrarci tra comuni piccoli e comuni grandi, là dove il Fondo unico, anziché diventare un diritto oramai acquisito e una certezza per l'amministrazione e la programmazione di un anno, diventa un problema perché i grandi comuni, a ragione, chiedono più risorse e chiedono più risorse perché giustamente danno servizi anche alle aree meno popolate della Sardegna. Ma questo deve essere un argomento che prescinde dal Fondo unico e dalle risorse che, attraverso quella destinazione, permettono a tutti i nostri comuni di poter operare tutti i giorni.
Quindi l'invito che vi rivolgo è questo: ragionate in termini di politiche che non mortifichino i comuni. La mortificazione dei comuni, specialmente quelli piccoli, passa attraverso il taglio delle scuole, attraverso il taglio degli uffici postali, su questo mi piacerebbe che il Presidente della Regione, che il Presidente del Consiglio regionale, che l'intera Assemblea eletta da noi sardi prendesse una posizione chiara e univoca a tutela dei piccoli comuni. Gli uffici postali rappresentano ben di più di quello che è semplicemente l'operazione contabile che si fa davanti allo sportello, rappresentano per gli anziani specialmente un punto di riferimento fiduciario cui affidarsi nel momento nel quale hanno problemi di varia natura. Chiuderli o depotenziarli significa creare un danno che va oltre la comunità in cui il danno si verifica, perché diventa anche un disservizio per il territorio; laddove gli uffici postali sono oberati di lavoro nelle città spesso ci si riferisce ai piccoli comuni e si va lì a fare le pratiche, ridimensionarli diventa un problema anche da questo punto di vista.
Lo stesso discorso vale per le scuole. Io capisco che ci sia qualcuno che dice che studiare in una pluriclasse non dia competenze, non dia formazione. Ma io sono l'esempio di una persona che ha studiato in una pluriclasse composta da sette bambini, due maestre, una bidella che faceva anche la cuoca e avevamo strumenti, avevamo possibilità che i miei compagni delle altre scuole limitrofe non hanno avuto. Là dove io ho iniziato a studiare in una scuola composta da 27-28 bambini mia madre ha pensato di ritirarmi e di portarmi nella scuola del paese dove la formazione era più attenta, più umana, avevo un'ora di tempo al giorno dedicata soltanto a me, alla mia persona, una formazione che un bambino in una classe composita non avrà mai, nonostante probabilmente gli standard dicano altro, ma la verità è un'altra cosa.
Queste sono le cose che bisogna prendere in considerazione quando si pensa a una riforma. Se volete veramente fare una riforma della formazione dovete avere il coraggio, e parlo dei tecnici, parlo delle persone che sanno di cosa sto parlando, di riformare l'università, di riformare l'organizzazione universitaria dicendo che università è ricerca, se non c'è ricerca non c'è università, e pensare di fare università dappertutto non è qualcosa che serve alla formazione, e su quello dobbiamo ragionare, anziché invece inseguire logiche sbagliate da quel punto di vista, che negli anni hanno dato delle illusioni nei territori. Su questo dobbiamo confrontarci e avere il coraggio di tornare indietro sui passi che abbiamo fatto, ma non tocchiamo le piccole scuole, non tocchiamo i presidi di civiltà, non tocchiamo il diritto alla cittadinanza delle persone.
Ancora, visto che stiamo parlando di mortificazione dei comuni, il CAL, e parlo al Presidente del Consiglio regionale che fino all'anno scorso era il nostro Presidente e adesso si trova a rappresentare la massima Assemblea regionale, e quindi sa di che cosa sto parlando, ha necessità di avere un ruolo che sia veramente di rappresentanza degli enti locali. La legge di riforma del CAL, che so essere una delle priorità che il Presidente del Consiglio ha in animo di portare avanti, deve comunque centrare l'obiettivo di dare al Consiglio un ruolo importante anche nella determinazione delle scelte del Consiglio regionale, laddove il parere non è quello conforme alle scelte della Regione se ne deve tenere conto in qualche modo, bisogna cercare di aggravare il procedimento di formazione delle leggi, o comunque motivare in maniera più importante le scelte che vanno in difformità con gli interessi dei comuni che il CAL rappresenta.
Stesso discorso sulla sede, Presidente, lei è stato il primo a voler dare dignità al CAL, chiedendo che il CAL avesse sede all'interno del Consiglio regionale. Qualcosa l'ha già fatta, perché ci ha dato una sede, di questo le do atto e la ringrazio, ci ha dato già una stanza all'interno di questi uffici, ma sarebbe bene comunque che il CAL potesse lavorare tutti i giorni all'interno di questo palazzo in collaborazione con chi ci rappresenta negli organismi regionali.
Concludo, perché tantissime cose sono state dette e quindi non ci voglio ritornare, è molto importante, è fondamentale, è strategico, è necessario che un piano energetico una volta per tutte sia adottato, sia portato avanti da questa Giunta regionale, è improponibile pensare che la nostra Regione (leggo i dati che sono stati pubblicati ne L'Unione Sarda di ieri, dati nell'inserto economia), nonostante produca il 42 per cento di energia in più rispetto al proprio fabbisogno, faccia pagare alle proprie imprese il 50 per cento in più dei costi sostenuti dal resto delle imprese europee, e il 30 per cento in più delle altre imprese italiane.
In Sardegna, Presidente - sono dati che sto estrapolando da uno studio che è stato pubblicato - questo non può più andare avanti, bisogna fare in modo che il Piano energetico sia fatto, bisogna fare in modo che non ci sia più disordine nella produzione di fotovoltaico o di energie rinnovabili in genere che non danno beneficio ai sardi e che comunque poi si riverberano in costi ulteriori nelle bollette dei cittadini, che poi sono quegli stessi cittadini che si lamentano perché il carico di tributi che devono sopportare è altissimo.
Cercare di fare qualcosa che vada verso un alleggerimento dei costi che i cittadini sostengono non sarebbe affatto sbagliato, così come non sarebbe sbagliato una volta per tutte individuare una tariffa unica regionale per il conferimento dei rifiuti in discarica. Non si può far gravare su cittadini della stessa Regione costi diversi, questa è un'ingiustizia che io penso che il Presidente della Regione, che la Giunta regionale possano affrontare con immediatezza, con convinzione e risolvere una volta per tutte, per dar modo ai cittadini di sentirsi una volta per tutte uguali fino in fondo.
Infine, un Piano straordinario per il lavoro, siamo in una fase di crisi che ci sta praticamente distruggendo. Nei piccoli comuni questa condizione la si vive con maggiore gravità perché oramai l'unica impresa che sta ancora operando, e rischia addirittura di chiudere, è il comune; e il comune, laddove creava occupazione con i cantieri occupazionali, ora non è più in grado di farlo, perché da un lato ha dei vincoli normativi che lo legano e dall'altro lato le risorse che vengono trasferite non sono adeguate. La Regione deve avere il coraggio di fare un programma straordinario per il lavoro che, anche in questo caso, coinvolga i comuni e che valuti l'attività che il comune del territorio svolge in primo piano per poter risolvere i problemi della nostra Isola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Cagliari, Massimo Zedda.
ZEDDA MASSIMO, Sindaco del Comune di Cagliari. Presidente, un saluto a lei, al Presidente della Giunta, agli Assessori del bilancio e degli enti locali presenti, agli onorevoli consiglieri e agli altri amministratori colleghi sindaci presenti in Aula.
Mi unisco ovviamente, Presidente, alle sue parole in relazione agli attentati che hanno colpito diversi amministratori locali nella nostra isola, non ultimo quello che avrebbe potuto uccidere, avvenuto nel paese di Bultei, non nella sede del comune, in un ufficio, ma presso l'abitazione del sindaco di Bultei, e ricordo che solo pochi anni prima morì un'altra persona proprio per un ordigno posizionato davanti all'ingresso di un'abitazione che sembrerebbe, dopo aver suonato il campanello, sia stato azionato, e quindi volutamente quell'ordigno venne posizionato per uccidere.
Quello che emerge da questi fatti criminali è indubbiamente che non possono essere giustificati con l'elemento della tassazione che sale, non è la tassa che arma la mano di un criminale di quel tipo, è però indubbiamente il clima che si è creato attorno agli amministratori locali che consente quasi che ci sia una percezione di impunità nel commettere fatti di questo tipo da parte di coloro che hanno intenzione e interesse a mettere in difficoltà gli amministratori.
E l'altro elemento che emerge è che vengono sempre e sistematicamente colpiti non gli amministratori che hanno devastato il territorio, assunto parenti, amici degli amici o conoscenti, ma gli amministratori che sono in prima fila nella tutela degli usi civici dei territori, coloro che si dedicano alla cura dell'interesse pubblico più generale a beneficio dei loro cittadini e non al perseguimento di interessi privati. Quindi è un attacco diretto e mirato a persone che sono il baluardo delle istituzioni dello Stato nelle realtà più periferiche della nostra isola. Se a questo poi aggiungiamo che sono atti molto probabilmente scollegati da un disegno criminoso che riguarda tutta la Sardegna, da un lato ovviamente tiriamo un sospiro di sollievo rispetto all'ipotesi di una criminalità organizzata e presente in modo capillare su tutto il territorio, però dall'altro lato preoccupa perché il gesto del folle, del pazzo, del criminale singolo è molto più difficile che possa essere arginato, controllato anche con operazioni di intelligence rispetto al disarticolare fenomeni criminali complessi presenti sul territorio, per cui ovviamente pongono qualche preoccupazione in più sull'incolumità dei nostri colleghi amministratori o colleghi sindaci.
Detto questo, ho letto con attenzione il Piano regionale di sviluppo, Presidente, e ne condivido i contenuti, lo spirito, le idee e l'orizzonte che per fortuna cerca di far uscire la Sardegna, almeno nelle parole scritte, dal porto delle nebbie nel quale era piombata nell'ultimo periodo, nel recente passato. Mi preoccupa ovviamente l'astensionismo, e come noi tutti possiamo arginarlo perché quello che mi ha preoccupato l'anno scorso è stato il dato dell'Emilia-Romagna. Se in una regione come la Emilia-Romagna, che è indubbiamente un modello dal punto di vista dei servizi erogati al cittadino, e in comuni come Reggio Emilia, che ha, a titolo di esempio, una società proprietaria di una settantina di farmacie tra Reggio e l'hinterland, i cui introiti coprono totalmente il pagamento dei servizi sociali del Comune di Reggio Emilia, se in quelle realtà dove la disoccupazione è al 4,5 per cento, cresciuta con la crisi, cioè è passata dal 3 al 4,5, e che ha una presenza di immigrazione inserita in ambito lavorativo del 20 per cento, si raggiungono tassi di astensionismo che sono paragonabili al tasso di affluenza alle urne degli anni '60 e '70, con una percentuale di affluenza del 37 per cento, qualche problema in più sulla nostra testa legata alla crisi che morde la Sardegna e i sardi dovremmo porcelo.
Quindi i tempi e il ritmo devono essere molto più incalzanti in termini anche di lavoro e produzione di norme, di un adeguamento di queste, di quel che forse possono permettersi altre regioni al netto del fatto che qualcuno si possa permettere, in questa situazione drammatica per l'intero Paese, di segnare il passo. Sullo spopolamento penso che non possa reggere una capitale della Sardegna, Cagliari è la città metropolitana con attorno a sé il deserto, la desertificazione colpirà e raggiungerà anche la Città di Cagliari, perché l'intera Sardegna è a rischio spopolamento.
Coloro che forse oggi si stanno spostando per cercare un'occasione in più nelle realtà cittadine della nostra Isola domani, se le cose non dovessero cambiare, lasceranno anche le realtà cittadine per raggiungere, come già sta avvenendo, altre realtà d'Italia o d'Europa. Siano controllati e verificati, è strumento di lavoro per tutti, i dati dell'Ogliastra per quanto riguarda gli studenti fuori sede. Come sa bene il mio amico Presidente della Commissione bilancio, Sabatini, la maggior parte degli studenti fuori sede che abbandona l'Isola, ovviamente in termini percentuali, proporzionati rispetto alla presenza del numero di giovani nei nostri territori, e si reca altrove è proprio composta da ragazzi ogliastrini.
Cioè, se sono periferico e vivo nella periferia, e devo scegliere di spostarmi, spostamento per spostamento, se ne ho le capacità economiche, e anche la volontà di volermi spostare, se devo scegliere non scelgo né Sassari, né Cagliari, scelgo architettura a Firenze, filosofia a Venezia, criminologia e le specializzazioni a Trieste, eccetera, eccetera, eccetera, cioè non individuano neanche le città sarde quegli studenti come punto di riferimento per poter proseguire e affermare se stessi nell'ambito degli studi, o un domani nell'ambito del lavoro.
E allora quella desertificazione preoccupa anche me, come preoccupa il Sindaco di Sassari, il Sindaco di Nuoro e il Sindaco di Olbia, e non sarà indubbiamente sufficiente uno sportello postale in più. Lo sportello postale, la scuola è l'ancora di salvezza, è come se fosse il miraggio al quale agganciarsi perché ormai è stato sottratto tutto e quella è l'unica presenza dello Stato, e a quella ci si aggancia, e si aggancia a quella non solo il sindaco e l'amministratore, ma un'intera comunità. Ma ovviamente ciò che manca sono le occasioni di lavoro per quei giovani; solo così riusciremo a trattenere quei giovani e la popolazione in quei comuni. Se no non si capirebbe perché e come in altre realtà d'Italia, penso alle colline del Chianti, che pure sono realtà indubbiamente periferiche, che hanno a poca distanza città d'arte bellissime, capitali mondiali a livello culturale, crocevia nella storia di personaggi, cultura, tradizioni, si scelga di rimanere. Credo che in quelle realtà, in quei piccoli borghi si scelga di rimanere non perché c'è l'ufficio postale, ma perché sono state create nel corso degli anni occasioni di lavoro in relazione proprio alle capacità di sviluppo.
E su questo mi ricollego a ciò che diceva l'onorevole Floris, perché un dibattito deve essere anche un confronto tra i diversi interventi, se così non fosse il mio sembrerebbe un intervento totalmente scollegato dalla realtà (avrei anche potuto mandare via mail l'intervento), però io appartengo a un partito, ma non mi ritengo "partito", come si dice a Cagliari, per indicare coloro che sono totalmente scollegati dalla realtà.
Avendo stima del presidente Floris, sottolineo però che mentre nel mondo si organizzava, e nella nostra realtà, l'Expo 2015 sul tema dell'agroalimentare, della qualità del cibo, del consumo del suolo, della qualità di questo, del riuso, del recupero, noi quotidianamente abbiamo tentato per anni di smantellare il Piano paesaggistico regionale, e cioè invece di disegnare il quadro, dipingere proprio il quadro normativo, la riforma che doveva essere la nuova legge urbanistica, abbiamo continuato a smontare la cornice non avendo il quadro che avrebbe dato certezza, regole certe, possibilità di investimenti, celerità di questi, e anche sintonia rispetto a un quadro normativo nazionale ed europeo che questo richiedeva.
In quella direzione si deve andare sulla legge urbanistica, sulla riscrittura dell'architettura istituzionale in Sardegna e, per quanto riguarda la legge sull'istruzione, credo che ciò che manchi in Sardegna non sia il ripetere quotidianamente dei grandi contenuti di idee, di principi e di valori all'interno dello Statuto sardo, rivolgendoci sempre ai padri costituenti, ma sia invece l'esercizio quotidiano delle possibilità e dei contenuti dati dallo statuto. Giace da undici anni la legge regionale sull'istruzione nell'ottava Commissione; forse è ora che la Giunta, indubbiamente dando il supporto tecnico, ma anche il Consiglio regionale approvi una legge regionale sull'istruzione, smontando quei parametri nazionali che sono quella follia che non consente a noi di poter pensare e immaginare le soluzioni sul territorio, calate realmente nel contesto del nostro territorio isolano.
Su questo ci troverete al vostro fianco, Presidente, tenendo conto che nessuno vuole caricare su di voi le responsabilità del passato, però voi siete indubbiamente responsabili del futuro. Chiudo ricollegandomi a ciò che si diceva prima; è intervenuta la Corte dei conti sul livello di risorse tagliate ai comuni, come è stato detto negli interventi precedenti, eppure, nonostante questo, la Corte dei conti dice che quell'operazione fatta dallo Stato è stata un'operazione che ha di fatto sottratto servizi ai cittadini, e che lo Stato non ha fatto la stessa cosa, e così con lo Stato le Regioni, sui propri bilanci e la propria spesa, e i comuni hanno coperto solo per la metà i tagli avvenuti con nuove tasse.
Anche su questo tema delle tasse, Presidente, potete intervenire, nel senso che il livello di costo del conferimento dei rifiuti, secco e umido in Sardegna, è argomento che indubbiamente attiene al decoro delle nostre città, a una maggiore pulizia, a un'educazione civica maggiore dei nostri cittadini, a una maggiore capacità delle nostre amministrazioni di produrre differenziata, ma attiene anche a investimenti nei consorzi industriali e in quelle zone dove l'umido e il secco devono essere lavorati, perché avere tariffe che sono doppie rispetto al resto d'Italia è indubbiamente una cosa che mette in seria difficoltà i comuni, e con i comuni i cittadini che vivono nelle nostre comunità. Si pensi che sull'umido a Cagliari e in tutto l'hinterland si pagano 125 euro, altrove, in altre realtà, l'umido o è a saldo zero, oppure addirittura viene pagato; il secco 175 euro a tonnellata, a Ottana 220 euro a tonnellata.
Questo sta determinando addirittura una vanificazione degli interventi educativi sulla collettività in relazione allo smaltimento dei rifiuti e alla differenziata; non si vede un beneficio rispetto all'operazione di differenziazione, anche all'interno della propria abitazione, dell'immondezza, perché sale sempre la tassa in relazione al costo dello smaltimento che aumenta ogni anno. E per fortuna quest'anno, per la prima volta, la Regione, e di questo vi ringraziamo, ha bloccato la richiesta dei diversi consorzi di aumentare ulteriormente le tariffe.
Grazie, grazie Presidente, grazie onorevoli colleghi, grazie Assessori, grazie ai colleghi Sindaci, ovviamente non si esaurisce in questa occasione il dibattito tra noi e il rapporto che si sta costruendo; la vostra stessa presenza, Presidente e Assessori, nei diversi incontri che si sono tenuti più e più volte con il CAL, con l'ANCI, anche in sedute congiunte CAL e ANCI, dimostra un senso di attenzione e di disponibilità al confronto con noi, che è cosa nuova e che, indubbiamente, al di là delle posizioni e delle contrapposizioni, comunque è gradita e rende onore a chi agisce in questa direzione nel rapporto con le Amministrazioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Daniele Cocco, Presidente del Gruppo SEL.
COCCO DANIELE (SEL). Presidente, innanzitutto ringrazio tutti i rappresentanti del CAL qui presenti. Sono parzialmente soddisfatto per come stanno procedendo i lavori, perché finalmente si supera quell'aspetto liturgico, che sino a oggi ha contraddistinto questi incontri. Mi ha fatto piacere sentire gli interventi dei sindaci di Bortigiadas e di Modolo (senza nulla togliere agli altri sindaci), che bene hanno rappresentato le criticità in questo momento dei comuni della Sardegna, però mi ha fatto piacere sentire questi due sindaci perché nei loro interventi hanno rappresentato davvero il sentire diffuso di tutti i 377 comuni della Sardegna: quella oggi è la verità, e la verità sta nella richiesta che hanno fatto di superare la fase liturgica di questo incontro e di cercare di proporre soluzioni non più a parole ma con atti concreti.
E questa ritengo che sia la nostra funzione, questo credo che sia l'impegno che noi dobbiamo assumere: un impegno non più prorogabile. Io proposi qualche giorno fa, prima di convocare questa assemblea, al Presidente del Consiglio, di tenere la stessa in quel di Bultei, ma volevo che si tenesse l'incontro lì a Bultei per mandare un segnale forte e non solo simbolico rispetto a tutti quegli amministratori locali che quotidianamente, ripeto, quotidianamente, vivono ostaggi di atti riprovevoli ed esecrabili. Un momento di confronto in quel paese avrebbe dato una rappresentazione forte delle emergenze soprattutto dei comuni delle zone interne della Sardegna. Parliamo sempre della "sindrome della ciambella e del suo buco" e vediamo che questo buco tende solo ad aumentare, e noi di questo dobbiamo veramente cercare di farne argomento di una grande riflessione, perché su questo tutti abbiamo probabilmente delle grandi responsabilità e, di conseguenza, penso che sia arrivato il momento in cui dobbiamo davvero, per la nostra funzione e per il silenzio che "non" c'è dall'altra parte, cercare di dare quelle risposte a cui mi riferivo prima.
Lo Stato, rispetto all'atto gravissimo di cui parlava Massimo Zedda, riservato al sindaco di Bultei, ha risposto immediatamente chiudendo la caserma dei carabinieri di Burgos, a qualche chilometro di distanza, cercando di chiudere l'ufficio postale del comune di Esporlatu, dismettendo la scuola di polizia interforze a cavallo di Foresta di Burgos. Questa è la risposta dello Stato e credo che noi tutti insieme dovremmo rispondere invece diversamente, tenere altissima la tensione rispetto a queste problematiche e dire che noi esistiamo e vogliamo esistere, e vogliamo esistere come singole comunità, vogliamo esistere come comuni e, perché no, anche come unioni di comuni, però partendo dal cittadino, che deve essere il cittadino di Bottidda, o di Esporlatu, o di Modolo, o di Bortigiadas, e credo che su questo la pensiamo sicuramente tutti alla stessa maniera.
Io credo che la riunione di oggi davvero sia importante perché, rispetto a quello che faremo, anche da qui a qualche ora, con la legge finanziaria, noi non potremo darvi tutte le risposte, ma a una parte di quelle che ci avete chiesto abbiamo il dovere di rispondere per cercare davvero di proporre quelle soluzioni a cui accennavamo prima.
Quando il sindaco ha detto che l'unica impresa rimasta in questo momento, l'unico strumento in grado di dare occupazione o lavoro è il Comune ha detto una cosa verissima. Io mi sono scontrato diverse volte sul discorso del precariato perché quando mi si dice che i cantieri producono ulteriore precariato, io dico che se non c'è altro ben venga anche quel precariato: noi non possiamo rinunciare anche a quello. Questo lo dico perché credo che l'amministrazione regionale, nella sua Giunta e con il suo Presidente, abbia da subito capito che non si può rinunciare ai cantieri verdi, ad esempio - questo credo che l'abbiano capito - perché davvero sono stati uno dei pochi strumenti che ci ha consentito di far lavorare, per tre, per quattro o anche solo per due mesi, persone che altrimenti non avrebbero lavorato neanche per un giorno e purtroppo, nella situazione di grande emergenza che abbiamo, questa deve essere ancora una linea da seguire.
E quindi noi non rinunceremo a questo e credo che metteremo in condizione i comuni di avere questi ulteriori trasferimenti, però dobbiamo stare attenti perché quando il Sindaco di Nuoro ci rappresenta un problema legato a una legge che probabilmente non potrà dare le risposte che noi volevamo e che speravamo, credo che l'intelligenza ci debba portare a tornare poi a rivedere le norme che evidentemente potrebbero anche non dare quelle risposte auspicate e credo che questo sia il nostro dovere, che sia la nostra funzione e da delegati di tutti quei cittadini di tutti quei comuni in questo Consiglio dobbiamo fare nostra con forza questa funzione e assumerci per intero quella responsabilità che ci deve portare comunque subito a fare quello che ci state chiedendo: dare risposte non a parole, ma con i fatti.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Pietro Cocco, Presidente del Gruppo PD.
COCCO PIETRO (PD). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori, colleghi, sindaci, l'occasione è gradita per portare a voi tutti i saluti miei personali e quelli dei consiglieri che ho l'onore di rappresentare durante questo intervento. Ho ascoltato gli intervenuti; le osservazioni e le considerazioni fatte da tutti ci raccontano una situazione drammatica, difficile per la nostra isola, per la Sardegna. Non sono novità, le conosciamo. Chi amministra i comuni sa bene che cosa c'è da amministrare, così come lo sa chi amministra la Regione, naturalmente con una differenza, che chi amministra i comuni in frontiera si trova ogni giorno a fronteggiare le emergenze, qualsiasi esse siano, siano di competenza dei sindaci, siano di competenza di altri enti o di altre istituzioni.
Non è un caso, e i dati che abbiamo potuto vedere e che leggiamo ogni giorno ci raccontano che anche quest'anno si preannuncia molto difficile e complicato, e non è un caso neanche questo, è stato ribadito e voglio dirlo anch'io, che gli attentati intimidatori nei confronti dei sindaci, in ordine di tempo l'ultimo è quello di Bultei, rappresentano una situazione complicata su cui naturalmente non si può soprassedere e non si può soltanto intervenire attraverso riunioni che fanno parte non dico della ritualità, ma certo sono previste nel rapporto tra Regione ed enti locali. E proprio perché la ritualità deve essere superata, io credo che oggi il dibattito sia uscito un po' fuori dalle righe, e questo è molto positivo, perché ci siamo raccontati un po' di cose delle quali è bene ed è utile prendere nota per il prosieguo dei lavori e della finanziaria.
Quando il CAL è nato, nel 2005, nasceva come strumento per vigilare soprattutto nel momento nel quale si discute di finanziaria, quindi nel periodo della discussione della finanziaria fare un po' il punto con il Consiglio delle autonomie locali. Naturalmente gli strumenti vanno adeguati ai tempi e quando ci sono occasioni di incontro, come quella odierna, io credo che valga la pena di cogliere l'occasione fino in fondo e capire la voce che arriva dal profondo della Sardegna in tutte le sue sfaccettature, perché non sia un grido di allarme che rimanga inascoltato. E quindi è un nostro dovere, dei consiglieri regionali, e io per quanto mi riguarda farò la mia parte fino in fondo e non ho dubbi che la faranno il Presidente della Regione e la sua Giunta, fare in modo che questo segnale venga colto fino in fondo e trasformato in azioni concrete.
Detto questo, questa riunione si tiene dopo un anno, più o meno, dall'inizio della legislatura. Un anno è un tempo nel quale in qualche modo si può fare un bilancio delle cose che sono state messe in piedi sia dal Consiglio regionale che dall'Esecutivo, cioè da questa maggioranza, ognuno con il suo grado di responsabilità, e alcune questioni importanti ci sono. Questo tema del superamento del Patto di stabilità che ricorre fortemente, che delle volte viene vissuto come un elemento positivo e in altre come un elemento negativo, io credo che invece sia uno strumento straordinario che consentirebbe alla Regione di avere in mano tutti i denari a disposizione da mettere in conto nella spesa, e questo fino a poco tempo fa non accadeva.
Anche come amministratori locali sappiamo che il Patto di stabilità per i comuni è una mannaia talmente feroce che impedisce di svolgere qualsiasi cosa, insieme alla burocrazia dico io, perché la burocrazia è un altro elemento su cui bisogna intervenire, e questo riguarda la Regione ma riguarda lo Stato, perché delle volte (non dico quello che penso fino in fondo perché forse è bene non dirlo), la burocrazia rallenta tantissimo il lavoro che deve essere messo in piedi. Prima di mettere una firma per qualsiasi cosa ci passa un sacco di tempo e su questo naturalmente bisogna dare la possibilità di avere gli strumenti migliori a chi amministra per dare risposte veloci.
Sul Patto di stabilità e sulla questione delle compartecipazioni, sulla possibilità di gestire la materia fiscale con una propria specificità da parte della Sardegna noi dobbiamo lavorare sino in fondo, e l'obiettivo deve essere quello di arrivare a un Patto di stabilità superato anche per i comuni perché gestito all'interno della Regione. Questo deve essere un obiettivo sul quale la Giunta regionale deve lavorare perché io credo che, oltre la Regione nei confronti dello Stato, anche i comuni nei confronti della Regione debbano superare questo aspetto.
L'altra questione riguarda le servitù militari. Anche questo è un tema attuale perché proprio stasera discuteremo una mozione per dare mandato al Presidente della Regione per trattare sulla questione di Santo Stefano. Voi sapete bene che la zona di Guardia del Moro a Santo Stefano è una servitù importante dello Stato ricca di cunicoli straordinari contenenti munizioni e armamenti vari depositati negli anni; la convenzione con lo Stato è scaduta, il Ministero della difesa naturalmente chiede che venga reiterata, io credo che noi dovremmo dire invece che la convenzione non deve essere reiterata, ma è argomento di stasera.
Sulle servitù militari, al di là degli slogan e delle cose che si dicono soltanto per comunicarle e per rappresentarle in un pezzo di carta, il Presidente della Regione e questo Consiglio regionale hanno messo in piedi la seconda Conferenza nazionale sulle servitù militari a distanza di trent'anni dalla prima, anche questo credo sia un risultato straordinario, nel corso della quale il Presidente della Regione ha battuto i pugni per non firmare un accordo che non si condivideva, accordo che non condivideva il Presidente, che non condivideva quest'Aula, nel suo insieme, che aveva dato mandato al Presidente di difendere quella linea.
Queste sono sfide rilevanti che riguardano i diritti e le condizioni di specialità. Una specialità che sta subendo attacchi da più parti, a cominciare dal Governo. La specialità costituisce il patto con lo Stato, è descritta per garantire peculiarità sociali, culturali oltre che politiche della nostra Isola. Lo scontro con i diversi Governi centrali su questioni determinanti come le entrate fiscali, la continuità territoriale, le questioni industriali, è una cosa che si ripete negli anni aldilà dei Governi che compongono la guida dello Stato. Ecco, noi dovremmo intervenire perché probabilmente anche la questione dello Statuto speciale va rivista perché possa essere davvero uno strumento in grado, con quello che accade oggi, di rappresentare la Sardegna fin modo più completo.
È un tema che vale un impegno profondo da parte di quest'Aula, da parte di noi tutti, perché deve essere riscritta la base anche di quello che è il tema ricorrente in molti interventi. Allora la questione periferie, democrazia, diritti, cittadini di serie A, cittadini di serie B, questo è lo Statuto che naturalmente ha bisogno di essere aggiornato.
In che cosa si inquadra tutto questo ragionamento? Noi abbiamo vissuto nei primi anni '90 una condizione di grande fiducia verso il federalismo, verso la devoluzione, anche spinti da partiti che si sono costituiti cavalcando quest'onda, cosa su cui noi abbiamo centrato l'attenzione anche dopo, questo va detto, i partiti cosiddetti tradizionali, e tuttavia è diventato patrimonio collettivo questo della devoluzione, del federalismo, di dare alle periferie, di dare agli enti locali, di dare alle province strumenti per guidare il percorso di crescita delle comunità. Questo tentativo è fallito, naufragato di fronte agli scandali, alle ruberie e a tutta una serie di questioni che hanno travolto intere classi politiche dirigenti, che hanno travolto le istituzioni, le province, i costi eccessivi delle province, i costi eccessivi della Regione, con giustezza perché naturalmente molte volte le questioni degli uomini superano gli interessi generali e questo per lo Stato è stata come una manna dal cielo perché ha ripreso corpo e forza il neocentralismo.
Questa è la vera questione, e noi ci troviamo a vivere un periodo contrassegnato da questa idea al quale non dobbiamo contrapporre una reazione fine a se stessa, non dobbiamo fare battaglie di retroguardia, dobbiamo pensare a un modo nuovo di guidare gli enti locali perché la Sardegna è un'isola di 377 comuni ai quali dobbiamo dare risposta e le nostre non devono essere battaglie di retroguardia, devono essere battaglie di prospettiva.
In quest'ottica riprendo il discorso sulle pluriclassi, su cui ognuno ha un giudizio frutto della sua esperienza di vita. E nella mia esperienza di vita (sono anche un amministratore locale perchè faccio ancora il sindaco oltre che il consigliere regionale) anni fa, diversi anni fa, in una frazione del mio comune che conta settecento abitanti, più abitanti di alcuni comuni della Sardegna, ricordo che si era deciso di procedere con la chiusura delle pluriclassi, e ricordo anche allora le battaglie soprattutto dei genitori che dovevano consentire di far viaggiare i figli.
Si era fatta anche in quegli anni una discussione approfondita sul tema e si era deciso alla fine di far andare i bambini nelle classi non pluriclassi. Questo dopo aver previsto delle misure di compensazione naturalmente, dopo aver dialogato con tutti, fatto molte assemblee e poi una decisione andava presa e si è presa quella direzione. Tenete conto che c'erano edifici per le scuole elementari, le scuole medie per tenere corsi serali, tantissimi edifici realizzati negli anni nei quali i finanziamenti arrivavano per realizzare le cose. A questi bambini è stato dato il trasporto - me ne sono occupato come Comune, anche se non era una competenza del Comune - si è dato il rimborso pasto, si è dato il rimborso spese ai genitori che accompagnavano i figli piuttosto che utilizzare il servizio di trasporto, cose che facciamo un po' tutti e che aiutano a gravare meno.
Naturalmente si sono potenziati i servizi biblioteca, per consentire l'aggregazione, magari per tenere anche corsi serali per aiutare i bambini soprattutto nella prima fase. A distanza di anni in questi giorni ho riparlato con i genitori che allora erano contrari a una scelta di questo tipo e loro adesso erano assolutamente favorevoli al fatto che avessimo fatto una scelta così, per cui non ci sono mai verità fino in fondo, ci sono delle cose che dobbiamo studiare tutti insieme e siccome io sono convinto che le pluriclassi possono non essere uno strumento adeguato di studio per i bambini, però non ho competenze in materia, lo dico sulla base di un'esperienza, sulla base di un'esigenza e ponendomi io con gli occhi di bambino a guardare le questioni, che cosa avrei gradito di più, io non ho fatto le pluriclassi quando ero alle elementari, però questa è la strada.
Il tema vero dello spopolamento io credo che non sia questo, certo, anche questo. Sono le poste? No, forse sì, certo, anche questo contribuisce. A parte che la questione delle poste è una questione che riguarda lo Stato, non la Regione, noi ci dobbiamo fare parte attiva per difendere, e lo stiamo facendo anche nel Sulcis Iglesiente, una battaglia di questo tipo. Cortoghiana, una frazione del comune di Carbonia che ha 3 mila abitanti e sta subendo la chiusura delle poste, quindi sono temi attuali...
PRESIDENTE. Onorevole Cocco, il tempo sua disposizione è terminato.
Ha facoltà di parlare il consigliere Michele Cossa, Presidente del Gruppo Riformatori Sardi. Ne ha facoltà.
COSSA MICHELE (Riformatori Sardi). Presidente, io credo che opportunamente sia l'onorevole Floris che l'onorevole Cocco abbiano dedicato una parte importante del loro intervento al fatto che oggi l'autonomia regionale, ma più in generale il sistema regionalista, sia sottoposta a un attacco così forte da far pensare che probabilmente ha i giorni contati. Per decenni l'autonomia regionale, ma soprattutto per noi l'autonomia, anzi da noi addirittura ci sono delle frange che si spingono ancora a coltivare il sogno dell'indipendentismo, ha rappresentato uno degli obiettivi più ambiziosi. Bene, questo oggi è diventato il capro espiatorio e il paradigma di quanto di più negativo si è sviluppato a livello costituzionale italiano.
Bene, noi come abbiamo reagito? Abbiamo reagito con dichiarazioni roboanti, con grida manzoniane estrinsecate soprattutto con ordini del giorno e con una sostanziale indifferenza rispetto a un processo che forse dentro di noi riteniamo ineluttabile. Infatti oggi siamo davanti a un bivio: o facciamo finta che non stia accadendo nulla e cerchiamo di salvare il salvabile, oppure esercitiamo la nostra autonomia e la esercitiamo per fare le scelte che oggi sono necessarie per rendere il sistema sostenibile e per renderlo sostenibile sotto il triplice profilo economico, democratico e della propria legittimazione e credibilità.
Il sistema degli enti locali è una parte fondamentale di questo ragionamento. Un sistema che vive il momento più difficile della propria storia, stretto tra una devastante crisi economica che porta migliaia di famiglie non alla difficoltà ma alla disperazione, a difficoltà di bilancio che rendono impossibile a moltissimi comuni garantire anche i servizi essenziali, non quelli che possono fornire, ma quelli che sono obbligati dalla legge a fornire, e che li costringono a portare l'imposizione locale a livelli che ormai sono intollerabili per le famiglie.
È stata evocata la TARI e io credo che abbia fatto bene il sindaco di Cagliari a parlarne; a mio avviso dobbiamo incominciare a parlare di tariffa unica perché non si capisce o, meglio, si capiscono anche troppo bene le cose che stanno accadendo in determinati comuni ma che, è prevedibile, accadranno in tutti o quasi i comuni. Penso all'IMU, pagata su terreni inutilizzati che casualmente sono classificati come industriali o artigianali e che rappresenta una vera e propria vessazione per pensionati che hanno 500 euro di pensione ma devono pagare migliaia di euro di IMU su terreni di cui non sanno cosa fare; e a questo si aggiunge adesso anche l'IMU sui terreni agricoli.
Assessore Paci, io approfitto della sua presenza perché credo che noi, su questo punto, nella legge finanziaria dovremmo fare un ragionamento per tentare di evitare l'impatto devastante di una nuova imposizione. L'autonomia impositiva dei comuni, che in un certo momento è stata un valore, che doveva equivalere alla piena autonomia gestionale, è diventata imposizione aggiuntiva rispetto a quella dello Stato e questa è la situazione che oggi si è determinata.
Se poi, a questi problemi aggiungiamo i conguagli di Abbanoa, le spese dei consorzi di bonifica, tanti altri piccoli e grandi balzelli che si sommano contribuendo a impoverire ulteriormente le famiglie, ci rendiamo conto del perché le tensioni sociali esplodono e si scaricano sulle amministrazioni locali. I cittadini a chi si rivolgono, chi vanno a cercare se non il sindaco che il più delle volte è il loro vicino di casa e che è quello che con maggiore facilità possono raggiungere? E tutto questo, è evidente, mina alla radice valori importanti nei quali noi abbiamo sempre creduto e per i quali ci siamo sempre battuti: il decentramento del potere, il principio di sussidiarietà, la valorizzazione della capacità e della voglia di autodeterminazione dei gruppi dirigenti locali e infine, last but not least, la possibilità di fare crescere e maturare a livello locale una classe dirigente degna di tal nome.
Oggi il risultato di tutto questo, lo conosce chi sta preparando le liste per le prossime elezioni amministrative, è la fuga: la fuga dei cittadini anche dalla politica, una cosa che sembrava impensabile fino a pochi anni fa, anche dal governo, dalla possibilità di candidarsi a governare le amministrazioni locali. Per cui oggi questo ruolo diventa appannaggio di qualche cireneo, oppure di qualche pensionato, oppure di persone che vivono di rendita e che non hanno di meglio da fare. Questa purtroppo è oggi la situazione.
Si cercò di sopperire a questo stato di cose istituendo nel 1993, quando il neocentralismo regionale minacciava di attivare un rapporto clientelare tra amministrazioni e Regione, il Fondo unico che doveva essere la garanzia per i comuni di utilizzare con piena discrezionalità le risorse provenienti dalla Regione perché prima le risorse venivano distribuite ai comuni a seconda del rapporto politico, di simpatia personale, di comparaggio che c'era tra il sindaco e l'Assessore regionale di turno.
Oggi questo Fondo è diventato largamente insufficiente e non soltanto dal punto di vista quantitativo; le risorse infatti possono anche essere uguali rispetto all'anno scorso o due anni fa, tre anni fa, ma quello che è aumentato è il bisogno, sono aumentate le esigenze delle amministrazioni locali sulle quali come dicevo si scaricano tutte le tensioni. Ma, a proposito di rapporto clientelare tra Regione e amministrazioni locali, ma non è che stiamo tornando a quello? Non è che quando si fanno bandi per la distribuzione delle risorse si costruiscono meccanismi che ripristinano quel rapporto di dipendenza tra comune e Giunta, tra comune e Assessore di turno? Io starei molto attento a questo, io starei molto attento a inserire meccanismi che non siano di totale trasparenza rispetto alla distribuzione delle risorse regionali perché, se ci si incammina su questa strada, ci si incammina su una strada che è molto pericolosa e che concorre ad accentuare quei fenomeni di cui parlavo prima.
Quindi dicevo, il discorso del sistema degli enti locali è centrale in tutto il meccanismo, ha fatto bene l'onorevole Cocco a descrivere il problema in questi termini. Perché è centrale nel discorso della riforma della Regione e del rapporto tra la Regione e lo Stato. Perché oggi la riforma degli enti locali è indispensabile non solo per il noto problema del referendum ma perché la coesione sociale in Sardegna non è mai stata così a rischio; il problema non è l'abolizione delle province, il problema è creare un sistema che sia più semplice, più efficiente, più snello, meno oneroso per dare un segnale forte ai cittadini e alle imprese tale da alleggerire la tensione che si è venuta a creare.
Occorre quindi una razionalizzazione del sistema, una ottimizzazione della spesa perché comunque i quattrini sono quelli e su quelli bisogna far leva, la riforma però va nella direzione opposta, avremo modo di approfondire questo ragionamento ma se si va nella strada di una eccessiva articolazione del sistema, di una eccessiva frammentazione della responsabilità, di una scarsa possibilità di valutare l'impatto economico dell'apparato non ha senso smantellare le province se dobbiamo approdare a un assetto che è peggiore rispetto al precedente.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.
PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. Signor Presidente del Consiglio, grazie signor Presidente del Consiglio delle autonomie locali in Sardegna, signori componenti, cortesi amministratori e amministratrici, colleghe e colleghi, lasciatemi dire subito una cosa che ho detto in occasioni precedenti e che è giusto ripetere ogni volta che siamo qui in un'occasione così utile a confrontarci e a discutere dei problemi della nostra Regione. Direi che siamo tutti insieme parte del governo della cosa pubblica per il bene dei nostri cittadini, qualche volta ognuno di noi cade nella tentazione di spostare la responsabilità su un livello diverso di governo, ma la verità è che siamo un governo multilivello e che abbiamo tutti il dovere di un'assunzione di responsabilità collettiva.
È vero che i sindaci sono più vicini ai cittadini e, quindi, più vicini a sentire i problemi e a vivere anche emotivamente i problemi dei cittadini, ma vi assicuro che questo è vero anche per questo livello del governo come è vero per qualunque livello del governo, quindi più ci convinciamo che siamo in un'importante partita nella quale l'assunzione di responsabilità di tutti collettivamente è l'elemento giusto che ci consente di mettere sul piano più proprio il dialogo fra noi, e meglio sarà.
Credo che oggi ci sia stato da questo punto di vista un buon clima, un passo avanti, per me è stato molto interessante ascoltare gli interventi e discutere dei problemi. Faccio un esempio. E' stato citato come uno dei problemi fondamentali quello delle tariffe che riguardano i rifiuti, giusto, naturalmente è molto importante ricordarci che questo è un problema che questa Giunta eredita, che non ha causato e che, anzi, sta correndo nella direzione da voi auspicata per risolverlo, e questo vale per tantissime altre cose.
Ci rimbocchiamo le maniche, ci ascoltiamo, ragioniamo e facciamo insieme le cose che riteniamo essenziali per i nostri cittadini, il che non vuol dire che siamo d'accordo su ogni virgola perché naturalmente non è così, significa che dobbiamo discutere, confrontarci, trovare sintesi e operare sulle questioni principali, su quelle che davvero contano per i nostri cittadini. Su questo avrò un tema principale da prospettare oggi, almeno a livello di confronto, perché credo che nel confrontarci, livello regionale di governo e livello comunale di governo, ci siano alcune cose sulle quali dobbiamo avere la massima chiarezza fra noi, e ci arrivo fra pochissimo.
Prima di tutto consentitemi di dire che, con l'adozione della prima manovra finanziaria della quindicesima legislatura, iniziamo insieme un percorso politico nuovo, che ci vedrà impegnati nei prossimi anni per affrontare, assieme appunto, i più importanti nodi critici presenti nel territorio. Innanzitutto un ringraziamento al Consiglio delle autonomie locali, al suo Presidente e ai componenti per il continuo e autorevole supporto che forniscono all'Assemblea legislativa regionale, ispirando la propria attività a un clima rinnovato di leale collaborazione istituzionale.
Queste sedute congiunte con il Consiglio delle autonomie locali della Sardegna rappresentano un momento effettivamente alto del confronto politico istituzionale, un momento che è irrinunciabile, attraverso il quale esaminare insieme le maggiori criticità, condividere le soluzioni, in particolare, in quest'ultimo anno di grandi progetti di riforme istituzionali che interessano in modo particolare il sistema degli enti locali.
Su questo punto lasciatemi dire quanto segue. La Regione si propone da anni un grande obiettivo di riforma del sistema delle autonomie locali della Sardegna, quale momento propulsivo di modernizzazione dell'amministrazione pubblica che deve essere il più possibile vicino ai cittadini, deve essere semplice e in grado di dare risposte efficaci. La riforma infatti è urgente e indifferibile per dare una risposta anche agli esiti referendari del 6 maggio del 2012, abrogativi delle leggi istitutive delle Province di Carbonia e Iglesias, Medio-Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio. Inoltre è necessario rispondere alle sfide poste dalla legge Delrio che, poiché contiene alcuni principi di grande riforma economica e sociale applicabili anche alla Sardegna, ci spinge ancora una volta a una riflessione tenendo conto della peculiarità della nostra Regione.
La Giunta regionale, come è noto, ha di recente approvato un disegno di legge di riforma del sistema delle autonomie locali della Sardegna con il quale disegno viene colta la richiesta di cambiamento e semplificazione dei livelli istituzionali che arriva, sempre più pressante, dalla nostra società. La Regione avverte l'istanza riformatrice della società, che oggi è l'istanza quotidiana a causa della grave crisi economica e sociale.
Il disegno della Giunta è indirizzato nel solco del processo riformatore del Paese in atto e individua una nuova e più razionale organizzazione delle autonomie locali sarde finalizzata auna gestione, più efficiente, delle funzioni e dei servizi da esse svolte. Senza tralasciare però le giuste esigenze di rappresentanza democratica, di cui si è ampiamente parlato, delle istanze territoriali, anche di quelle demograficamente più piccole e isolate.
La riforma istituzionale per noi si fonda sull'idea che i livelli di governo e di rappresentatività democratica diretta siano i comuni e la Regione, in questa nuova prospettiva i comuni in forma singola e in forma associata sono i veri protagonisti del cambiamento in atto. La Regione è chiamata a svolgere soprattutto funzioni di indirizzo, programmazione e controllo, questo è un punto che ci è chiaro dal primo giorno in cui siamo entrati in quest'Aula. I comuni svolgono invece le funzioni di amministrazione attiva, privilegiando la forma associativa per assicurare l'esercizio più conforme al principio costituzionale di adeguatezza e, conseguentemente, per assicurare criteri di economicità ed efficienza gestionale.
Questa è la riforma, queste le linee di una riforma che è dunque imperniata sulla distribuzione razionale delle funzioni, evitando il più possibile la duplicazione di ruoli istituzionali, di costi e di centri decisionali. È necessario ribadire che i comuni sono i veri protagonisti del cambiamento, perché il comune è l'unico ente locale che rappresenta la propria comunità in approccio di prossimità, ne cura gli interessi, ne promuove lo sviluppo e continua a essere, per ragioni storico-politiche, il punto di riferimento insostituibile per i cittadini. Ma è nella prospettiva futura della forma associativa, delle unioni di comuni in particolare, che tale ruolo centrale per la società sarda può essere svolto ancora più efficacemente.
La Giunta regionale ritiene che nel rispetto delle scelte territoriali, e partendo da un assetto delle regioni storiche, solo il rafforzamento e la valorizzazione delle gestioni associate può garantire il miglioramento della qualità dei servizi per i cittadini e l'aumento della specializzazione degli addetti. In particolare la condivisione delle migliori esperienze amministrative e l'unione delle forze sono gli unici strumenti in grado di garantire in futuro l'esistenza stessa dei piccoli comuni, in particolare di quelli che soffrono di condizioni crescenti di spopolamento e di isolamento.
L'idea che abbiamo messo in campo parte dal presupposto che ai comuni debbano essere garantite modalità estremamente flessibili di aggregazione ma, al contempo, l'associazionismo dovrà essere la modalità organizzativa privilegiata, tant'è che la prevista adesione obbligatoria all'unione, da parte di tutti i comuni della Sardegna, esprime la chiara volontà di eliminare i divari qualitativi nell'offerta dei servizi e di garantire lo sviluppo e l'equilibrio socioeconomico delle comunità locali.
Tale scelta peraltro è anche quella privilegiata, a livello nazionale, nella gestione delle centrali di committenza introdotte proprio per ridurre il numero dei centri di spesa, migliorare la specializzazione della gestione delle gare, ridurre i contenziosi e contrastare il fenomeno della corruzione. La parità di accesso ai servizi, indipendentemente dal luogo di residenza, è infatti il principio ispiratore della riforma degli enti locali della Sardegna, prima ancora della costruzione dell'assetto istituzionale e della governance.
Ora fatemi tornare ancora su questo punto. Abbiamo parlato molto anche oggi di spopolamento, abbiamo parlato di democrazia, abbiamo parlato di piccoli comuni, abbiamo parlato di uffici postali, abbiamo parlato di scuole ridotte al livello di pluriclassi. E su questi punti io credo che sia molto utile iniziare un confronto serrato. Noi, come Giunta regionale, siamo profondamente convinti dell'importanza del livello territoriale del governo e dell'azione. Siamo così convinti che stiamo per adottare una delibera sulla programmazione territoriale che chiarirà, con la massima precisione e dettaglio, quali sono i meccanismi attraverso i quali possiamo avere interlocuzioni utili, operative, capaci di definire e poi di sostenere progetti di sviluppo.
Ma il punto fondamentale io credo che sia esattamente questo. Il punto fondamentale è che dobbiamo parlare di sviluppo. E' stato detto bene in quest'Aula qualche minuto fa, l'ha detto il Sindaco di Cagliari con molta chiarezza, facendosi carico del problema dello spopolamento, che non è il problema solo dei singoli paesi che vedono la popolazione andare via, lo spopolamento non è causato dalla chiusura di una scuola che è ridotta a offrire un'istruzione attraverso delle pluriclassi, lo spopolamento nasce dall'assenza di lavoro, dall'assenza di prospettive di sviluppo, questo è il punto cruciale. Ed è nostra profondissima convinzione che lo sviluppo è qualcosa che si definisce a livello di territorio, non a livello di singoli comuni pensati in isolamento.
Ogni comune conta moltissimo, ma ogni comune deve pensarsi come territorio. Si citava prima il Chianti, quando pensiamo al Chianti, una zona ricca dell'Italia, una zona rurale ricca dell'Italia, pensiamo a un territorio, poi sappiamo che questo territorio è declinato in moltissimi luoghi, in moltissimi villaggi, in moltissimi paesi che sono fondamentali per definire quel territorio, ma intanto sono una parte di un territorio. Lo sviluppo oggi è uno sviluppo globale e locale, e noi dobbiamo stare dentro questa declinazione dello sviluppo, insieme globale e locale. Ma oggi anche il locale ha bisogno di una visibilità nel globale, altrimenti lo sviluppo non arriverà.
Questo è il punto assolutamente essenziale, questo è il punto sul quale noi vogliamo giocare interamente la nostra riforma e la nostra scommessa di sviluppo, e ci stiamo attrezzando con gli strumenti per la programmazione nel territorio. Verremo prestissimo nei territori. Non vogliamo parlare a uno a uno con i singoli comuni in isolamento, perché non avrebbe senso (questo sarà fatto attraverso altri strumenti), ma se parliamo di sviluppo, che è la cosa cruciale, fondamentale ed essenziale per combattere lo spopolamento, per garantire pari opportunità, per garantire diffusione del benessere, allora dobbiamo parlare con i territori e ci aspettiamo su questo di trovare il vostro profondo e convinto consenso.
Inoltre abbiamo inserito nella Finanziaria anche l'ipotesi, la proposta di attivare un mutuo importante; è chiaro che una parte importante di quel mutuo deve essere pensata per i territori, sarà pensata per i territori, darà gambe all'infrastrutturazione. Infrastrutturazione sia di un livello che è gestito dalla regia regionale, perché per esempio nel rischio idrogeologico abbiamo delle priorità che sono definite chiaramente a livello regionale, anche se hanno articolazioni territoriali molto chiare, sia infrastrutturazione per lo sviluppo dei territori; e queste infrastrutture si vedono nei territori non nelle richieste dei singoli comuni. Cioè saranno comuni che insieme diranno che è assurdo chiudere una pluriclasse qui se poi ne ho una a pochi chilometri ma la strada che mi collega alla nuova scuola è una strada disastrosa. Allora quel territorio spero ci chieda non di non chiudere la pluriclasse ma di avere, giustamente, un migliore collegamento per avere una scuola baricentrica che alla fine aiuterà a combattere lo spopolamento.
Questa, scusatemi per l'esempio, è però la filosofia sulla quale noi proponiamo di confrontarci, questo è il nostro punto di vista, siamo pronti naturalmente a confrontarlo e a renderlo il più operativo possibile con una piattaforma chiara nella quale si capisce come si fa, quali sono gli strumenti per rendere operativa la programmazione territoriale, con le risorse che anche nella componente del mutuo saranno messe a disposizione. Questa credo che sia la sfida più importante e su questo preferisco soffermarmi ancora un attimo perché mi pare il punto cruciale.
Il dibattito in corso in questi giorni sul nostro intervento per limitare il fenomeno delle pluriclassi dimostra che dobbiamo discutere molto, nel profondo, essere molto aperti, essere molto disposti a ragionare sullo sviluppo perché se l'ipotesi fosse quella di stare in una logica in cui si tiene aperto tutto ciò che sta pian piano chiudendo io credo che non staremmo facendo niente di importante, non staremmo facendo la cosa giusta per il territorio. La cosa giusta per i territori è trovare un sistema di incentivi, un contesto nel quale tutti capiscano che l'unione fa la forza e la divisione fa la debolezza di tutti e questo è il grande argomento che noi abbiamo di fronte.
Comunque all'insegna della condivisione di questi principi, in questa dimensione politica e amministrativa vorremmo concretizzare, insieme agli amministratori degli enti locali della Sardegna, questi principi, di cui stiamo parlando, di adeguatezza, unicità e sussidiarietà affinchè siano appunto garanzia di pari dignità di ogni cittadino, dovunque ogni cittadino viva. Noi siamo convintissimi infatti che la Sardegna debba uscire da questa crisi anche con un'idea di sviluppo nel territorio che deve evitare il declino delle zone interne a vantaggio effimero delle aree costiere.
Sviluppo in Sardegna significa uno sviluppo diffuso ed è anche molto ovvio capire perché; perché uno dei canali fondamentali, uno degli strumenti fondamentali del nostro sviluppo è molto legato all'agroalimentare; l'agroalimentare, le nostre campagne sono per natura "diffuse" nel nostro territorio e questa è la chiave per la nostra diffusione dello sviluppo, su questo naturalmente dobbiamo lavorare molto e lavoreremo insieme.
Lasciatemi dire che siamo perfettamente consapevoli di quale sia lo scenario economico e finanziario nel quale ci stiamo tutti muovendo, ci sono problemi enormi per gli enti locali dal punto di vista dei bilanci, ci sono dei tagli statali molto importanti, ci sono naturalmente le difficoltà che anche noi nel nostro bilancio come Regione abbiamo e che poi naturalmente rischiano di essere ribaltate su di voi. È inutile elencare tutti i problemi che hanno a che fare con l'enorme crisi di un Paese, quello nel quale viviamo noi, che da oltre quindici anni non cresce, non da ieri o avantieri, ma da oltre quindici anni non cresce.
La produttività non è cresciuta in alcun modo, la tecnologia non ci ha aiutati a diventare più ricchi, da quindici anni siamo fermi e abbiamo compensato questo con spese spesso di improbabile qualità che hanno generato un debito pubblico con il quale stiamo facendo tutti i conti attraverso pessime definizioni di disciplina fiscale (che si chiamano un certo modo di pensare al Patto di stabilità), attraverso il peso stesso del debito su ognuno di noi individualmente e come amministratori. Quindi siamo in una situazione certamente di grande difficoltà e di nuovo dobbiamo avere una assunzione di responsabilità tutti insieme.
Noi sappiamo cosa succede nei comuni, sappiamo quante difficoltà ci sono, sappiamo soprattutto che il Governo italiano ha tendenzialmente pensato di ridurre i trasferimenti a favore di un'aumentata tassazione locale, e anche sappiamo quanto sia difficile aumentare la tassazione locale nel pieno della crisi in aree che sono particolarmente colpite dalla crisi; infatti questa compensazione tra aumentata tassazione e riduzione dei trasferimenti spesso non è stato possibile realizzarla appunto per le condizioni economiche generali.
Un'ultima dimostrazione è data dalla forte e giusta opposizione dei comuni sardi all'istituzione della cosiddetta IMU agricola, e ho qualche numero da dare in merito. Una rilettura degli indicatori economico strutturali delle amministrazioni comunali sarde mostra questa difficoltà, mostra come la scelta di ridurre il livello dei trasferimenti e aumentare la leva impositiva locale non abbia sortito gli effetti sperati. Nei nostri dati il grado di autonomia impositiva (le entrate tributarie sono entrate correnti) nei comuni sardi è pari al 33 per cento contro la media nazionale del 61 per cento, il grado di autonomia finanziaria, entrate tributarie più quelle extra tributarie sulle entrate correnti è del 44 per cento, contro la media nazionale dell'83 per cento, stiamo parlando dei dati del 2012.
Un altro dato significativo è che l'incidenza della spesa per il personale è del 21 per cento in Sardegna, ben inferiore alla media nazionale, che è del 25 per cento, e di molto inferiore a quella delle regioni del sud d'Italia, in Sicilia, caso tipicamente di riferimento per questi numeri, è del 35,3 per cento. Da questo si capisce che i comuni non sono enti che sperperano risorse facilmente, tuttavia nonostante non siano spendaccioni hanno una grande difficoltà, come voi sapete molto meglio di me, a fare quadrare i conti, più sono piccoli più hanno difficoltà a garantire servizi adeguati anche per i motivi che dicevo prima.
Va, forse, anche detto che la Regione in questo momento svolge un ruolo fondamentale nella tenuta finanziaria dei comuni sardi, fatemelo dire con un pochino di enfasi, perché questo punto sia per una volta detto. Il volume dei contributi e trasferimenti ai comuni, cioè il titolo secondo dei bilanci comunali, è in assoluto il più alto fra le regioni italiane; il valore pro capite dei trasferimenti in Sardegna è pari a 700 euro, la media nazionale è di 171 euro, in Toscana è di 71 euro, in Veneto di 81, in Abruzzo di 204, in Sicilia di 448, in Basilicata di 200. Questa però è una scelta condivisa fra noi e voi, sia chiaro.
Il valore pro capite delle entrate tributarie e di quelle extra tributarie nei comuni sardi è viceversa, come ho detto, inferiore di circa un terzo al resto d'Italia; la Regione poi nelle difficoltà di bilancio, che essendo in crisi sono anche difficoltà crescenti, svolge tuttavia per scelta comune, per assunzione comune di responsabilità, una funzione perequativa molto importante, ma questo chiaramente non è oggi sufficiente alla tenuta del sistema.
Ci sono tante altre cose che posso dire, ma ho l'impressione che ormai il tempo sia fortemente ridotto; ci sono alcuni temi che avrei voluto affrontare ma che certamente avremo modo di affrontare in altre situazioni, come affrontare nello specifico le difficoltà dei comuni citando anche la necessità di incentivare interventi di partenariato, per esempio pubblico-privato, quali la finanza di progetto, strumenti complessi che spesso sono molto complessi per i piccoli comuni; ed è nella consapevolezza di questa complessità che è naturalmente del tutto possibile e ragionevole che la Regione dia una mano come assistenza tecnica e come aiuto qualora ce ne fosse bisogno.
C'è il problema dell'armonizzazione dei bilanci, altro argomento sul quale dobbiamo confrontarci e avere una forte collaborazione per gestire questa transizione verso un nuovo sistema contabile che renderà però più trasparenti e più chiare le relazioni tra noi. Tutti questi obiettivi possono essere quindi fortemente perseguiti, si può lavorare molto insieme su delle cose che possiamo fare per aiutarci reciprocamente; è quindi importante che tutti ci rimbocchiamo le maniche e, decisi quali sono i punti sui quali possiamo darci una mano, questa mano darcela davvero.
È una sorta di programmazione integrata nella quale si misurerà la nostra capacità di realizzare un'autonomia forte, una nuova stagione di sviluppo, nella quale Regione e Autonomie locali potranno dimostrare di saper collaborare con lealtà e pari dignità istituzionale, per il migliore futuro dei nostri cittadini.
Fatemi concludere dicendo che la Regione è interessata naturalmente a proseguire in modo costante il nostro rapporto, la nostra collaborazione, anche per lavorare insieme ed eliminare tutte le sacche di malessere sociale che ancora oggi si manifestano anche attraverso l'attacco agli amministratori locali, ai quali è andata e andrà tutta la nostra solidarietà e attenzione; e contro questo clima, per aiutare gli amministratori locali a essere difesi da questi attacchi, abbiamo chiesto allo Stato di garantire il presidio delle normali garanzie di tutela.
Ho visto pochi giorni fa il ministro Alfano, a cui ho confermato l'urgenza di un incontro in Sardegna con lui per affrontare questo importante aspetto. Continuiamo quindi insieme alle rappresentanze delle Autonomie locali a pretendere questa tutela attraverso atti più concreti, che finora hanno faticato a emergere. Questo è parte dell'impegno comune, non la parte meno importante, una parte importante del più complessivo impegno comune che, a partire da quest'Aula, proseguirà nei prossimi giorni e nei prossimi mesi.
PRESIDENTE. Mi ha fatto piacere vedere che molti sindaci non hanno perso la verve e la voglia di intervenire su questi temi in un momento che è difficile, è difficile soprattutto per chi dirige gli enti locali. Io credo che, come tutti abbiamo detto, questo sia soltanto un momento formale di incontro, più formale del solito, e che il confronto debba proseguire tra Consiglio, Giunta, enti locali su tantissimi temi che abbiamo all'ordine del giorno. Ringrazio tutti per la giornata e per il contributo dato.
Il Consiglio è convocato per questo pomeriggio alle ore 16. Convoco la Conferenza dei Presidenti di Gruppo.
La seduta è tolta alle ore 13 e 08.