Seduta n.1000 del 05/10/2010 

ASSEMBLEA STRAORDINARIA

(Stati Generali)

Martedì 5 ottobre 2010

Presidenza della Presidente LOMBARDO

La seduta è aperta alle ore 12 e 14.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti i presenti, dal Presidente della Regione, ai parlamentari, i colleghi del Consiglio, dai rappresentanti delle Autonomie locali agli esponenti del mondo sindacale di tutte le associazioni di categoria, i Rettori, e tutte le autorità, per aver accolto l'invito a partecipare a quest'Assemblea straordinaria. Consentitemi inoltre di rivolgere, da questa platea istituzionale, idealmente un pensiero e un saluto a tutto il popolo sardo, che noi oggi qui rappresentiamo, e la cui tutela e salvaguardia rientra tra i nostri massimi interessi. Quest'Assemblea straordinaria oggi si celebra per un'espressa volontà unanime del Consiglio regionale, contenuta in un ordine del giorno che è stato approvato lo scorso 28 settembre, al fine di iniziare il percorso di coinvolgimento di tutte le rappresentanze del popolo sardo nel procedimento di revisione del nostro Statuto speciale di Autonomia. I sessantadue anni di vita dello Statuto sono un arco di tempo lunghissimo, durante il quale sono molti gli avvenimenti e le modificazioni che hanno inciso profondamente sul nostro tessuto economico, sociale, culturale e politico, ed è chiaro che il naturale deperimento giuridico delle norme in esso contenute, così come la sua limitata capacità competenziale, che tra l'altro è stata riconosciuta fin dalla sua genesi, rendono non più procrastinabile l'urgente necessità di provvedere alla riscrittura di questa norma in chiave moderna, per regolare le fondamenta del nostro essere "Popolo" e "Nazione" all'interno della Repubblica italiana, ed è proprio da qui che occorre partire per ripensare allo Statuto. Anzi è tutto il cammino autonomistico che deve essere ripensato e rivisitato, anche perché non dobbiamo mai dimenticare che la nostra è un'Autonomia che nasce zoppa, depotenziata, che ha deluso gli stessi Padri dell'Autonomia. Tant'è vero che, ancora oggi, purtroppo, rimane del tutto insuperata la felice metafora di Emilio Lussu, che anche in questi giorni di dibattito in Consiglio è riecheggiata in quest'Aula, proprio perché Lussu ha avuto la capacità di fotografare esattamente quello che era lo stato d'animo dei Sardi, quando a proposito dello Statuto disse che ci si aspettava un "leone", e che invece c'era stato dato un "gatto", appartiene sempre alla famiglia dei felini, ma con quali differenze. E proprio sulla insufficienza del nostro Istituto autonomistico si sono spesi in tutti questi anni fiumi di parole. Tutti i più grandi politici della nostra Isola si sono confrontati su questo tema ma purtroppo senza successo, perché in sostanza lo Statuto tale era, e tale è rimasto, proprio perché è mancato un favorevole clima unitario che, superati gli schematismi e gli schieramenti della politica faziosa e di parte, agevolasse la riforma.

Oggi qui, nel Parlamento dei Sardi, non dimentichiamocelo mai, è il simbolo della sovranità popolare, è rappresentata tutta la Sardegna. Tutta la Sardegna che deve discutere attraverso confacenti ragionamenti giuridici sulla nostra natura istituzionale, su che cosa siamo, su che cosa vogliamo essere, e dove vogliamo andare attraverso una norma che regoli il nostro vivere interno, e i nostri rapporti con l'Italia e con l'Europa.

Un'Assemblea straordinaria quella di oggi, l'ho già detto ma ci tengo a sottolinearlo ancora, che è stata fortemente voluta e ricercata da tutte le forze politiche presenti in questo Consiglio regionale, cui va riconosciuto il merito di questa iniziativa, per fare sì che il momento legislativo, necessario per la riscrittura della nostra Carta costituzionale, sia il più ampio e partecipato possibile. Ma la giornata di oggi vuole essere anche un doveroso e convinto riconoscimento a tutte le componenti sociali, sindacali, economiche, culturali e politiche, che formano la nostra società, per il contributo che è stato sempre fornito per la crescita e il progresso civile della Sardegna. E noi oggi, ancora una volta, come classe politica, dopo le recenti positive esperienze, ricorriamo al vostro prezioso apporto, ponendoci all'ascolto con spirito costruttivo, con grande attenzione, per recepire ogni suggerimento, ogni proposta, e perché no anche critica, che ci possa coadiuvare nell'impegno per la definizione del processo che deve portare alla redazione del nuovo testo della Carta costituzionale dei Sardi. Ed è nostra ferma intenzione, in quanto legislatori regionali, recepire i sentimenti più reconditi, le proposizioni, i consigli, che possono provenire dalla giornata odierna, che ci vede tutti protagonisti di un evento che, se vogliamo rientri davvero appieno nel contesto delle iniziative che sono in atto in tutta la Penisola per la riforma della nostra Costituzione in senso federale, deve necessariamente operare in una prospettiva immediata, se vogliamo davvero inserirci nel filone delle modifiche costituzionali da soggetti attuatori e coprotagonisti del processo in atto.

Infatti il pericolo che è stato rilevato da quasi tutti i relatori che sono intervenuti nel dibattito, nella sessione dedicata alle riforme e del quale oggi mi faccio interprete, è che ancora una volta, a causa della nostra inerzia, ci possa essere inopinatamente calata dall'alto una riforma che non ci appartiene e nella quale non ci riconosciamo affatto.

L'opera di riscrittura dello Statuto di autonomia non è certo un compito che possiamo lasciare al legislatore statale, in quanto è una funzione primaria dei legittimi rappresentanti del popolo sardo, anche perché dobbiamo tenere presenti le ricadute, le implicazioni che questa opera riformatrice comporta per le nostre sorti future.

Quindi, noi vogliamo e dobbiamo intervenire nel processo in atto con un progetto originale, che sia fondato sui nostri caratteri storici ma che, soprattutto, delinei il percorso di una via sarda al federalismo, un federalismo solidaristico, che rappresenti la piena e concreta espressione democratica della volontà del popolo sardo, della sua identità, della sua peculiarità culturale e geografica.

Non sta di certo a me indicare come questa volontà possa, o debba essere declinata, perché sarà il Consiglio ad esprimersi in merito, tuttavia, in qualità di Presidente della massima Assemblea regionale, non posso esimermi dal rivolgere un accorato, quanto appassionato appello affinché, su un tema di immensa rilevanza come questo, si crei un clima di sostanziale e positiva unità che superi tutti i particolarismi. Perché, sopra di ogni appartenenza, dobbiamo mettere sempre gli interessi primari del Popolo sardo. E' indispensabile che mettiamo, nelle nostre teste e nei nostri cuori, al primo posto la Sardegna, con la convinzione che il nuovo Statuto sia essenziale per lo sviluppo moderno dell'Isola, per il benessere e per il lavoro dei sardi, e anche con la consapevolezza che l'autonoma determinazione è l'unico strumento che oggi può creare, all'interno del nostro ordinamento statale, le migliori condizioni affinché una regione insulare, come la nostra, possa recuperare ritardi infrastrutturali derivanti dalla sua particolare condizione geografica.

Io sono convinta che un nuovo sistema Sardegna debba e possa essere realizzato, questo per dare ai sardi certezza nel futuro ma, soprattutto, consapevolezza di se stessi.

Nell'avviarmi alla conclusione, voglio ricordare che il processo di riforma non si esaurisce certo con l'approvazione del testo di un nuovo Statuto speciale di autonomia, questo rappresenta la tappa fondamentale di un percorso legislativo che contestualmente si deve integrare di ulteriori riforme strutturali che sono indispensabili per completare la riorganizzazione complessiva della Regione.

In primo luogo, ci attende la riforma del Titolo terzo, per adeguare la parte decostituzionalizzata dello Statuto al nuovo testo, anche per perseguire gli obiettivi sul federalismo fiscale che dovranno essere emanati dal Governo e la cui scadenza, come sappiamo tutti, è prevista per il maggio del 2011. Questa data - è emerso con grande forza nel corso del dibattito - desta in ciascuno di noi fondati timori e grandi preoccupazioni.

A quest'adempimento dovranno poi accompagnarsi anche altre due riforme di sistema, mi riferisco in particolare all'approvazione di una legge statutaria che ridisegni la forma di governo, che detti norme in materia elettorale, poi alla modifica della legge regionale numero 1 del 1977, che riguarda il modello organizzativo della Regione che in primo luogo dovrà conferire un nuovo assetto agli assessorati. Sono convinta che soltanto al termine di questa impegnativa, ma anche appassionante, opera di rivisitazione di tutto il nostro sistema socio-economico, istituzionale e politico, potremo vedere per la nostra Isola la luce di una nuova alba, ma soprattutto assicurare tutti quegli strumenti necessari per garantire un autorevole, reale e soddisfacente governo della nostra Regione.

Sono perfettamente consapevole del difficile e impegnativo compito che ci attende ed è un grazie convinto quello che oggi porgo a tutti voi, il mio personale e dell'intera Assemblea che rappresento, è un grazie unito alla certezza che tanti altri momenti, come quello odierno di ascolto e di confronto, dovranno caratterizzare il lungo, faticoso ma anche esaltante cammino delle riforme e questo per il bene della Sardegna e dei sardi. Grazie.

Vorrei comunicare a tutti presenti che molti parlamentari si scusano per non essere presenti perché la concomitanza dei lavori a Roma non ha consentito la partecipazione alla giornata odierna, era doveroso che venisse comunicato a tutti gli intervenuti.

Ha facoltà di parlare il segretario generale della CGIL, Costa.

COSTA, segretario generale della CGIL. Intanto apro ringraziando il Presidente del Consiglio regionale, il Presidente della Giunta e il Consiglio regionale tutto, per aver voluto aprire i lavori del Consiglio regionale alle parti sociali. La considero una cosa importante, una cosa che accade nell'ultimo anno per la seconda volta, una cosa che accade in un momento straordinario. Il momento che la Sardegna sta vivendo è un momento realmente straordinario, è un momento in cui una crisi che si sa quando è iniziata ma non si capisce ancora quando finirà e come finirà, sta rischiando in tempi brevissimi di cancellare sessant'anni di sviluppo socio economico dell'intera Isola. Sono troppi i posti di lavoro che giornalmente vengono cancellati, sono troppi i posti di lavoro che mancano ai cittadini sardi, a partire dai giovani che scontano il 44, 7 per cento di tasso di disoccupazione. E' triste vedere che in una fase in cui avremmo dovuto registrare, non dico il massimo ma lo sviluppo della nostra Isola, riparte invece l'immigrazione. Riparte proprio con i giovani, con i giovani che hanno un titolo di studio, con le forze migliori della nostra Isola, è triste vedere la povertà che avanza e l'economia che perde in un solo anno quanto siamo in grado di costruire in cinque anni di lavoro. Questo scenario impone a tutti noi, non solo alla classe politica ma a tutti i sardi e a tutte le rappresentanze dei sardi di mettere in campo le risposte più forti e all'altezza della situazione che stiamo vivendo. Ecco perché questo Consiglio regionale oggi per me è importante, ecco perché è importante che ognuno di noi esprima le sue preoccupazioni ma anche le sue proposte, lo facciamo in un momento caratterizzato - lo voglio dire, non è polemica, dico sempre quello che penso - da un vuoto di Giunta che sicuramente è ingombrante.

Io avrei preferito questo primo banco del Consiglio regionale pieno, con gli undici assessori, perché la situazione che stiamo vivendo credo che non ci consenta di aggiungere difficoltà alle difficoltà che abbiamo. Come organizzazioni sindacali abbiamo vissuto quest'ultimo periodo di crisi, quest'anno e mezzo, questi due anni stando pesantemente in campo, voglio ricordare solo velocemente le cose che abbiamo fatto, l'abbiamo fatto fino ad oggi cercando di unire mai di dividere. L'abbiamo fatto fino ad oggi cercando di attaccare la crisi e cercando di proporre e di presentare delle proposte di contrasto alla crisi. Non l'abbiamo fatto nel ruolo quasi storico di protesta, per dar voce alla protesta e basta, l'abbiamo fatto dichiarando un primo sciopero generale delle attività produttive che sono le prime che sono state toccate da questa crisi, il 7 luglio del 2009; abbiamo proseguito con lo sciopero generale del 5 di febbraio con 50 mila persone in piazza per dare voce e forza ai bisogni della Sardegna; abbiamo poi portato i problemi della Sardegna a Bruxelles nel marzo del 2010; abbiamo siglato - l'ho detto prima, l'abbiamo fatto con la protesta e con la proposta - un accordo col Presidente della Giunta proprio sulla proposta, il 4 di giugno del 2010. Abbiamo poi messo in piedi seminari, aperti anche quelli a tutti, sulle riforme, sul federalismo, un seminario sulle povertà; l'ultima manifestazione l'abbiamo fatta insieme agli enti locali, ad Oristano il 25 di settembre. Abbiamo mantenuto viva l'idea di una Sardegna che non si rassegna, voglio usare la parola rassegnazione nel prosieguo del mio intervento perché credo che ci sia bisogno oggi, in un sistema che ci vede sempre di più - ed è drammaticamente vero - arretrare, che non prevalga a questo sistema il sentimento della rassegnazione. Cioè l'obiettivo è che da oggi riparta un qualcosa che faccia rima con orgoglio, orgoglio di essere sardi, orgoglio di sapere che dentro la nostra isola abbiamo delle risorse che sono delle risorse spendibili, e che possiamo riprendere il cammino dello sviluppo partendo da noi.

Il filo comune di tutte le nostre iniziative sono stati tre punti fondamentali: il primo era quello delle riforme istituzionali - le riforme istituzionali sono un passo obbligato perché dobbiamo prendere atto che l'autonomia conquistata nel'48 è finita e va aperta una nuova pagina; è finita con la riforma del Titolo V, lo ricordava anche il Presidente del Consiglio nell'apertura dei lavori odierni -, gli altri due punti erano un confronto obbligatorio con lo Stato (per cui Regione-Stato) e il terzo un confronto obbligatorio con l'Europa. Allora io sono fermamente convinto che noi possiamo costruire qualsiasi strumento per riscrivere il miglior statuto del mondo, e anche il più adeguato, ma se questo non è accompagnato con un vero confronto con lo Stato, sostenuto da una forte volontà popolare, tutto quello che scriviamo rimarrà solo ed esclusivamente un puro esercizio didattico. Perché? Perché viviamo una fase storica davvero pericolosa e strana: noi stiamo discutendo nazionalmente, e anche qui oggi stiamo discutendo, di federalismo fiscale, e ne stiamo discutendo con una rivendicazione che è partita dalle Regioni più ricche di questo Paese. Badate, normalmente avviene il contrario, normalmente chi chiede uno Stato federato, chi chiede un federalismo fiscale di tipo solidale sono le regioni povere, non sono quasi mai le regioni ricche, quando sono le regioni ricche vuol dire che qualcosa nei fenomeni di coesione sociale di questo Paese si sta rompendo, per non dire che si è già rotto, perché le cose vanno dette come devono essere dette.

E allora io credo che noi dobbiamo decidere, e dobbiamo decidere in fretta perché non possiamo più aspettare i tempi della diplomazia. Quando iniziamo la discussione per riscrivere il nostro Statuto e quindi tutte le riforme istituzionali - perché può essere riscritto anche attraverso una legge statutaria che sfronda in parte tanti articoli della riscrittura dello Statuto - dobbiamo decidere contemporaneamente come e quando apriamo un vero confronto con lo Stato. Il Sindacato ha tentato di proporre questo, partendo da quella che io continuo a chiamare vertenza delle entrate - perché le entrate rimarranno una vertenza fino a quando rimarranno negate e fino a quando non saranno un atto compiuto -, e Dio sa quanto abbiamo bisogno di risorse in una fase come questa. Ho visto la prima bozza di finanziaria e ho visto ancora una volta una finanziaria che annuncia lacrime e sangue, annuncia meno risorse rispetto a quelle dell'anno precedente, e annuncia meno risorse in una fase in cui i bisogni aumentano, perché quando c'è più disoccupazione e quando viviamo in una società che invecchia e quindi c'è bisogno di più Stato sociale, i bisogni aumentano, quello che sta succedendo anche con la sanità privata in questi giorni è una pura testimonianza.

E allora, io credo che noi dovremmo cercare di diventare un soggetto unico che ha come unico obbiettivo quello di essere soggetto che decide della nostra sorte, dovremmo iniziare a riprenderci il nostro destino; per cui il tema di oggi secondo me è: dobbiamo aspettare che lo Stato ci conceda un nuovo Statuto, o se lo dobbiamo decidere noi? Io credo che lo dobbiamo decidere noi, dobbiamo smetterla - uso un altro termine molto usato in questi anni - con la politica dei piccoli passi e dobbiamo tentare di pensare in grande; dobbiamo tentare di pensare che possiamo davvero essere noi gli artefici di una nuova fase di sviluppo, possiamo esserlo oggi e dobbiamo esserlo dentro uno Stato nazionale, dentro una Costituzione che rimane la nostra Costituzione - lo dico con estrema chiarezza - ma con la nostra autonomia e, con un termine che sta facendo molto discutere, con la nostra sovranità, intendendo per sovranità quella del popolo sardo (l'unica sovranità che io riconosco è quella del popolo). Dobbiamo farlo aprendo questo palazzo e la discussione in questo palazzo - mi auguro che oggi sia proprio questo lo spirito - alle rappresentanze del popolo sardo. E dobbiamo proseguire questa strada con una Giunta autorevole che ci guida, con un Consiglio regionale autorevole che ci guida e con dietro davvero la forza del popolo sardo: se facciamo questo, e se torniamo a Roma a rivendicare il nostro diritto a stare dentro un Paese a pari condizioni, con la stessa competitività di tutte le altre Regioni, forse riusciremo a invertire una tendenza che davvero sta facendo pagare una crisi globale - che riguarda tutti - ai territori più poveri e più deboli, e noi siamo tra quelli.

L'ultima cosa, e poi davvero ho finito. Non ci dobbiamo dimenticare che al rapporto storico con lo Stato si è aggiunto il rapporto con l'Europa che esercita un potere attuato attraverso i vincoli nei confronti dello Stato, e quindi anche nei confronti delle Regioni e delle stesse imprese, per cui la terza strada che dobbiamo percorrere e riprendere un dialogo con l'Europa; dobbiamo farci riconoscere la nostra condizione d'insularità: è una condizione che deve riconoscere lo Stato ma è una condizione che deve riconoscere anche l'Europa. Questi sono argomenti che non possono dividerci, sono argomenti che possono parlare la stessa lingua, come non può dividerci constatare che oggi non solo va in crisi in questa regione il lavoro cosiddetto moderno - quello industriale, quello del Piano di rinascita -, ma sta andando in crisi ed è pesantemente in crisi anche il lavoro arcaico, quello delle nostre radici, l'agricoltura e la pastorizia. Ecco perché abbiamo bisogno di reinventarci un nuovo modello di sviluppo. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. Ha facoltà di parlare il presidente dell'UPS, Deriu.

DERIU, presidente dell'UPS. Grazie, signora Presidente, le Province più di una volta l'hanno sentita pronunciare discorsi come quello di stamani, e sempre li abbiamo apprezzati perché riteniamo che questa Assemblea debba farsi luogo della sintesi dei bisogni dell'insieme del popolo sardo, e il suffragio universale che sta alla base della determinazione della composizione di questo Consiglio ne è certo la garanzia, come uguale garanzia darà la saggezza del legislatore regionale nel suo insieme nel momento in cui si accinge a valutare una nuova stagione dell'autonomia.

Da parte delle Province non possiamo non ricordare la necessità di valutare con attenzione da parte del legislatore regionale la possibilità di un reale confronto con l'insieme della società sarda non soltanto col mondo istituzionale ma con tutto quel mondo che oggi è qua convocato per segnalare le proprie posizioni e per segnalare i bisogni dei quali ognuna di queste istanze è rappresentativa.

In Sardegna il legislatore regionale ha previsto l'esistenza di otto province, tutta l'Italia ha discusso di questo assetto, poco si è valutato rispetto all'adeguatezza di questa scelta che è un principio costituzionale che deve riformare la stessa potestà legislativa quindi anche quella del Consiglio regionale. E' evidente che vi sono delle ragioni storiche e sociali, demografiche dei territori che hanno portato il legislatore regionale ad assumere questa decisione e far assumere alla stessa autonomia questa conformazione. Nel momento in cui il dibattito su questo livello di governo è acceso ed è anche improntato a volte ad una vena populista e sommaria che ne vorrebbe la liquidazione, senza però dirci quali delle competenze che oggi vengono esercitate da quel livello di governo debbano essere trasferite verso l'alto o verso il basso, o da quali enti debbano essere sostituite le province, in questo momento in Sardegna si assiste ad un'accresciuta presenza di questo ente nel quadro dei governi locali e nel quadro dell'insieme dell'autonomia.

Le province hanno, in piedi, dalla nascita delle otto, un contenzioso con la Regione, noi denunciamo la violazione della legge regionale nonché la violazione della doverosità costituzionale di lealtà e collaborazione da parte della Regione nel non corrispondere le risorse adeguate alle competenze che sono state trasferite e messe in capo all'ente provincia; noi stimiamo questa negligenza in 46 milioni di euro annui. Sono calcoli che abbiamo presentato a tutti i governi regionali dalla nascita delle province non ci sono mai stati confutati, semplicemente si è trascurato di provvedere.

E' una situazione che noi, autorizzati dalla Presidente che ha invitato anche alla critica, vogliamo qua denunciare, non per uno spirito di particolarismo ma per la doverosità che abbiamo nei confronti di interessi che dobbiamo presidiare e riteniamo nell'ambito della più generale autonomia e quindi nel rispetto del giuramento che anche noi abbiamo prestato.

E' un tema non soltanto amministrativo, credo che non possa sfuggire alla saggezza di questa Aula il fatto che l'articolazione dell'autonomia nei livelli di governo, la distribuzione delle competenze, delle risorse alla fin fine del potere non possa essere considerato un fatto marginale. Per questo se il Consiglio deciderà come pare o come alcuni auspicano e noi siamo tra quelli, di valutare la riforma non soltanto all'interno di se stesso ma aprendo una grande discussione nell'insieme della nostra comunità e volendo valutare separandoli i temi di principio che hanno vita lunga e lunga durata dai temi congiunturali e soprattutto da quegli interessi di parte: quelli sì negativi particolarismi, signora Presidente, interessi di parte che sono interessi ad esempio dei grossi enti regionali, delle grosse strutture burocratiche che sembrano dover fungere da punti di riferimento di una riforma che invece deve partire dai principi e dispiegare principi ordinando conseguentemente l'amministrazione regionale, i suoi enti, le burocrazie, sottomettendole a principi di adeguatezza, di sussidiarietà, di differenziazione secondo il dettato costituzionale. Se cioè il legislatore regionale non avrà fretta nel suo mestiere di costituente dell'autonomia la società sarda riuscirà a godere per lunghi anni di scelte razionali basate su una valutazione più scientifica, più oggettiva dei problemi e soprattutto sull'applicazione di quei principi che sono scolpiti nella carta costituzionale e sono dentro il cuore democratico di tutti i sardi. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale della CISL, Medde.

MEDDE, segretario generale della CISL. Il dibattito sulle riforme istituzionali rappresenta un fatto importantissimo per la nostra Isola ed è per questo motivo parlando di istituzioni che il sindacato confederale ribadisce in questa Aula, che è rappresentativa del popolo sardo, la solidarietà al sindaco di Ottana e a quanti sono stati oggetto di attentati terroristici negli ultimi tempi. E ribadisce altresì l'esigenza che in queste occasioni a proposito di istituzioni lo Stato non parli solo allo Stato ma colga l'opportunità di rapportarsi al territorio e in un rapporto diretto possa rassicurare i cittadini e coloro che rappresentano i cittadini che sono stati oggetto di attentati terroristici. Se lo Stato parla solo allo Stato, il rischio è che lo smottamento nella credibilità delle istituzioni possa continuare e danneggiare ulteriormente non solo il rapporto tra le istituzioni e cittadini ma il rapporto tra la politica e gli elettori, tra la politica e le rappresentanze sociali ed economiche.

Questo dibattito si svolge anche in un momento, lo ricordava il collega della CGIL, difficilissimo per la Sardegna; tutti gli indicatori volgono al peggio, quelli economici, quelli sociali, l'ultimo dato in ordine di tempo è la variazione annuale del prodotto interno lordo meno 3,5 per cento nel 2009; tasso di disoccupazione che è da tutti voi conosciuto, abbiamo battuto il record in negativo rispetto anche alle altre regioni del meridione e del resto del Paese.

In questa situazione drammatica per la Sardegna, la convocazione del Consiglio regionale aperto al contributo delle rappresentanze sociali ed economiche è un fatto di straordinaria rilevanza non solo per il Consiglio regionale ma anche per tutte le rappresentanze economiche e sociali degli enti locali, per l'intera Sardegna, perché in una fase tra le più difficili della storia autonomistica ci interroghiamo tutti, non solo gli addetti ai lavori, su che cos'è all'ordine del giorno della politica, delle istituzioni sarde ma dell'intera Isola, quale idea e progetto ha la Sardegna su se stessa, non solo il Consiglio regionale, e senza intaccare le prerogative del Consiglio regionale ci si interroga su qual è il modello, il nuovo modello di democrazia, che la Sardegna intende darsi per i prossimi anni, per il prossimo decennio.

E' possibile, noi riteniamo auspicabile, che al di là delle logiche di schieramento sia possibile trovare unitaria determinazione sulle direttive da dare alla Sardegna per riformare lo Statuto e riscrivere il nuovo modello di democrazia nella nostra Regione. Si tratta di contribuire ad avviare un processo che, attraverso un nuovo patto costituzionale, trovi le modalità per riscrivere un nuovo Statuto, che riconosca all'Isola i poteri, le risorse finanziarie necessarie a un vero autogoverno, e che realizzi un federalismo rispettoso dei diritti, della storia, dell'identità dei sardi, perché l'epicentro della discussione che noi stiamo svolgendo in quest'Aula nella nostra Regione sono sas libertades, cioè i diritti inalienabili del popolo sardo, che hanno il loro epicentro nel diritto al lavoro e nel diritto del lavoro. Da qui, muovono infatti oggi le preoccupazioni dei sardi, non su discussioni astratte, ma su preoccupazioni che riguardano la vita quotidiana delle nostre famiglie, dei nostri lavoratori e dei nostri pensionati. Se lo Statuto e se le nuove istituzioni non sono queste, il nuovo Statuto e le nuove istituzioni potranno rispondere in modo egregio alla razionalità della norma, ma certamente non riusciranno a interpretare i bisogni dei sardi. Perché è proprio su questo versante, sul lavoro e sui diritti, che è più evidente la rottura del patto costituzionale, non tra questo Governo e questa Giunta, ma tra lo Stato e la Regione è evidente la rottura storica del patto costituzionale, a partire dalle inadempienze sullo Statuto che stiamo tentando di riscrivere, a partire da un Piano di rinascita che è stato rimosso, non dalla Costituzione, ma dal dibattito politico, e talvolta anche della nostra coscienza. Il rischio che dobbiamo evitare è che si operi una sorta di effetto di trascinamento nella crisi, che, oltre a frantumare la coesione sociale, può anche indebolire la tenuta civile e morale di un popolo, con quello che significa per il futuro della nostra Regione e anche per il futuro delle nostre istituzioni, perché senza istituzioni forti, come voi ben sapete, anche le rappresentanze economiche e sociali, di cui noi oggi stiamo portando la voce, finiranno con l'indebolirsi ulteriormente e perdere il loro ruolo fondamentale nella società.

Si decida, dunque, visto che viviamo in una fase costituente, di avviare un processo costituente. Si trovi un comune denominatore tra le forze politiche e istituzionali, con il coinvolgimento di quelle sociali. In questa direzione, per non essere generico, sono tre le questioni che vanno attentamente valutate: i tempi di attuazione, per le riforme, la Statutaria per prima; i contenuti e gli strumenti.

Sui tempi. I tempi sono quelli che i sardi ritengono necessari per portare a compimento il patto costituzionale Stato-Regione, il nuovo Statuto della Sardegna. Se noi non saremo padroni del nostro tempo, difficilmente si riuscirà a esserlo sul nuovo modello di democrazia e sui destini dell'isola. D'altronde, la riscrittura dello Statuto e la sua approvazione definitiva necessitano di un lasso temporale non inferiore ai tre, quattro anni. Quindi, il rapporto che arbitrariamente si instaura tra il dibattito sulla riforma dello Statuto, i vincoli e il percorso nazionale sul federalismo fiscale, è un rapporto inesistente.

Altra cosa, è il rilancio, invece, del confronto Stato-Regione per un nuovo patto costituzionale che, invece del federalismo fiscale, porti a rinegoziare poteri, funzioni e risorse innanzitutto partendo dall'articolo 8 e 9 del nostro Statuto, così come anche sono stati rivisitati. E' dalla metà degli anni 90 che, per giustificare il rifiuto di essere noi i padroni del nostro tempo, si inseguono scorciatoie, inseguiamo scorciatoie che non approdano da nessuna parte. Ricordo per tutti l'esito della Commissione speciale a metà degli anni '90.

Sui contenuti. Il primo principio riguarda il riconoscimento della soggettività del popolo sardo e del suo essere una nazione, una nazione senza Stato ma pur sempre una nazione, cioè un'entità collettiva, un popolo che trova nella storia, nella lingua, nelle tradizioni, nel suo status geo-territoriale non solo la vocazione, ma la fonte della titolarità all'autogoverno. Il secondo principio è quello del federalismo politico e istituzionale, a cui noi andiamo attraverso il patto costituzionale che dovrebbe legare la Sardegna e l'Italia. Conseguentemente, lo ricordava il Presidente dell'UPS, il federalismo interno, cooperativo e solidale, che rappresenta la scelta indispensabile per costruire nell'isola un nuovo modello di democrazia, è un nuovo sistema dell'istituzione sarda.

Circa gli strumenti da individuare per il nuovo Statuto e il nuovo modello di democrazia, si discute sulla Commissione consiliare aperta ai tecnici e agli esperti, su una Commissione speciale nominata dal Consiglio regionale, su una convenzione, cioè un'assemblea di rappresentanza di interessi e degli enti locali, di consiglieri regionali, su una Costituente sarda, istituita con una specifica norma di legge ed eletta dal popolo, che non intaccherebbe la prerogativa del Consiglio in fatto di approvazione conclusiva dello Statuto. Storicamente, da anni, si propende per la Costituente sarda. Appare un processo complesso, la fatica della democrazia richiede però passaggi e scelte che portano a risultati condivisi, efficaci e duraturi. Inoltre, anche se complesse, esistono necessità che generano nuove libertà, e sono quelle a cui noi aspiriamo. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente dell'ANCI, Cherchi.

CHERCHI, presidente dell'ANCI. Signor Presidente dell'Assemblea, signor Presidente della Regione, onorevoli consiglieri, autorità tutte, intervengo a nome dell'associazione che, ancora per un tempo molto breve, ho l'onore di presiedere, in attesa che altri assuma questo incarico di particolare rilevanza politica e istituzionale. Intervengo dopo l'incontro che si è svolto un'ora fa, nella sede della Regione, fra il Presidente della Regione sarda, il Ministro dell'interno e noi, rappresentanti dell'ANCI, a seguito dei fatti gravi che hanno determinato le dimissioni del Sindaco di Ottana e del Sindaco di Illorai, dimissioni intervenute non per cedimento, ma per protesta contro la persistenza di una subcultura della violenza, e per rinnovare l'appello al dovere delle autorità preposte perché garantiscano la sicurezza di tutti. Ho fatto riferimento ai due Sindaci di Ottana e Illorai, non solo per sentimenti di solidarietà e vicinanza, ma anche e soprattutto perché solo se si considerano queste vicende, il contesto nel quale maturano e i protagonisti, si coglie per un verso la sussistenza nella società sarda dei disvalori e di profondo malessere sociale - sono trecento le famiglie che sono coinvolte nella crisi conseguente ai fatti della Legler, nel solo paese di Ottana - ma insieme con questi disvalori e malessere ci sono tante energie positive nella società sarda, fatte di comunità e di persone che hanno volontà, voglia di battersi e di contribuire al progresso della nostra isola. E' con questa volontà positiva che la politica deve entrare in sintonia anche nel dibattito odierno.

Signor Presidente, noi siamo stati invitati ad un dibattito importante, che riguarda le aspirazioni essenziali del popolo sardo, e su quale sia il progetto che può corrispondervi nel migliore dei modi. Questo dibattito, giustamente, si interroga sulle opzioni di fondo, e le considera tutte, comprese quelle più radicali. In verità, è quindi giusto fare un riferimento a questo dibattito. In verità, se guardiamo alla storia della formazione della moderna coscienza nazionale dei sardi e la interpretiamo per ciò che ha consolidato e consegnato alla Sardegna contemporanea, dobbiamo constatare che caduto il Giudicato di Arborea, autentico Stato sovrano e che ha costituito il più complesso sforzo di auto organizzazione dei sardi secondo il proprio genio, l'aspirazione all'autogoverno dei sardi si è espressa inscindibilmente coniugata con la volontà di unità con più ampie formazioni statuali. E' da qui che dobbiamo partire. Questo lascito politico è presente nel pensiero e nell'azione dei più fecondi intellettuali e dei recenti politici sardi di matrice federalista. Si può dire che se la coscienza nazionale è specifica volontà di essere nazione e se l'aspirazione di un popolo ad essere soggetto della propria storia è prima di tutto un atto di volontà politica, questa volontà è stata tradotta dai sardi nel nesso inscindibile di aspirazione all'autogoverno e all'autonomia integrale e di volontà di unità. Nella Sardegna di oggi l'aspirazione all'autogoverno integrale si realizza nel federalismo, assunto come principio per la ridefinizione delle istituzioni democratiche repubblicane e per la costruzione dell'Unione europea federale, dei popoli e delle regioni. Più in generale è il principio federale nel mondo di oggi a essere cardine della ristrutturazione della convivenza umana, di disintegrazione degli stati e delle potenze centralistiche e di riaggregazione dei grandi paesi continentali, di emancipazione dei gruppi sociali e dei gruppi territoriali subalterni. Se assumiamo questo come stella polare del dibattito presente della stagione di riforme, si inquadra meglio e si può produrre qualcosa di utile anche in tema di riforma dello Statuto. Ora, la conquista dello Statuto di autonomia speciale, con tutti i limiti e le mutilazioni che sono state ricordate, è però il fatto più importante della storia sarda, dopo la caduta dei giudicati. Lo Statuto, con tutti i limiti, riconosce le peculiarità storiche, politiche e territoriali di un popolo distinto. E' peraltro vero che almeno dalla conclusione del secolo breve, cioè dalla fine degli anni 80, è nella consapevolezza diffusa che una fase della storia dell'autonomia, per molteplici ragioni, è definitivamente esaurita e che occorre rinnovare l'autonomia nella sua architettura, non solo nella sua architettura istituzionale ma, come ci hanno ricordato i sindacati, nei contenuti culturali, sociali ed economici. Si è entrati negli ultimi vent'anni però in una fase di transizione senza approdi solidi, questo è il bilancio degli ultimi vent'anni. Sono stati posti in essere molteplici tentativi di riforma dello Statuto. In qualche caso e su parti sostanziali - penso agli enti locali, alla legge elettorale e alla forma di governo - le riforme sono intervenute senza un sostanziale apporto del Consiglio regionale. Sul campo, con una forte iniziativa politica istituzionale delle istituzioni regionali e del popolo sardo, è stata conquistata la sostanziale riforma fiscale con la riforma del Titolo III dello Statuto. Ora sarebbe davvero paradossale che nel mentre si prospetta una grande stagione di riforme, possa essere vanificata, svuotata quella riforma sostanziale e quella conquista; e perciò è nostro dovere, tutti insieme e uniti, nel mentre si svolge questo dibattito sulle riforme, difendere ciò che abbiamo già conquistato e difenderlo, se necessario, anche sul campo, in modo che quella riforma non sia svuotata. La speciale autonomia e i poteri in materia di ordinamento degli enti locali avrebbero potuto essere usati, aggiungo potrebbero essere usati, come leva per costruire un più democratico e più efficiente federalismo interno. Negli ultimi vent'anni, se si eccettuano ristrette stagioni nelle quali si è posto mano a parziali riforme del regime finanziario degli enti locali e della loro organizzazione nel territorio, la specialità più che una opportunità - e peso le parole - ha spesso rappresentato una causa di ritardo. Così è stato nell'applicazione della riforma Bassanini, con sei anni di ritardo; così si prospetta per la carta delle autonomie in approvazione dal Parlamento, che non troverà immediata applicazione in Sardegna determinandosi ancora una volta una grave situazione di disparità fra i nostri enti locali, comuni e province e quelli delle regioni di diritto speciale. Così è, se si vuole, anche per la città di Cagliari, che trova compresse le sue aspirazioni a essere città metropolitana, proprio in forza del modo nel quale è vissuta e tradotta la specialità della nostra autonomia: non un'opportunità ma spesso, appunto, una barriera. Quanto al regime finanziario o più in concreto alla redistribuzione del gettito fiscale in una regione che riscuote la più gran parte dei tributi versati dai cittadini e imprese sarde, prevale spesso una visione concessoria, quasi padronale, delle risorse fiscali, ben lontana dalla lettera e dallo spirito dell'articolo 119 della Costituzione.

Si ponga, dunque, mano alle riforme; alcune, e sostanziali, possono essere realizzate anche con lo Statuto vigente. Nell'immediato si dovrebbe decidere che tutti i maggiori margini di autonomia riconosciuti da leggi della Repubblica agli enti locali sono immediatamente estesi anche agli enti locali sardi e che il più vantaggioso sistema di federalismo fiscale per comuni e province vi trova applicazione in attesa che la Regione definisca più avanzate riforme. E' necessaria e urgente la riforma degli enti locali e della loro organizzazione del territorio, dove prevale una costruzione indubbiamente ridondante e per molti aspetti barocca e inefficiente. L'associazione dei comuni riconosce che l'unione dei comuni è essenziale ai fini dell'esercizio in modo efficiente ed economico delle funzioni fondamentali. L'ANCI ha formulato la propria proposta anche in tema di riforme delle province, proposta che rilanceremo su una scala più vasta nel nostro prossimo congresso nazionale di Torino, con l'obiettivo di semplificare e rendere più produttivo il governo del territorio.

Signor Presidente e signori consiglieri, la nostra associazione ritiene necessaria una stagione di riforme per la crescita civile e il progresso sociale della Sardegna. In questo comune sentire ci ritroviamo amministratori eletti dalle diverse formazioni politiche, però uniti in questo comune sentire. Devo rappresentare al Consiglio regionale il sentimento diffuso nei nostri comuni che sono troppo spesso non rispettati nel ruolo che la Costituzione repubblicana loro attribuisce. Non di meno al Consiglio regionale e alle rappresentanze sociali, e nel mezzo di una temperie politica delicata, l'associazione dei comuni ribadisce che non solo non si sottrae al dovere di dare un contributo migliore, ma che intende dare questo contributo con spirito costruttivo, cioè orientato a determinare progressi anche parziali. Le riforme strutturali di cui la Sardegna ha bisogno registrano già un grave ritardo. Non perdere ulteriore tempo è un nostro dovere comune. A questo dovere, nella distinzione dei ruoli e quindi delle responsabilità rispettive, tutti dobbiamo corrispondere. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Uggias, parlamentare europeo.

UGGIAS, parlamentare europeo. Grazie Presidente, Presidente della Regione, direi Sardegna tutta, istituzioni e rappresentanti del popolo a tutti i livelli, riflettevo sul fatto - mentre ascoltavo gli interventi che mi hanno preceduto - che nel dibattito regionale sul tema delle riforme vediamo molto interesse da parte degli addetti ai lavori, un'Aula molto attenta, anche le organizzazioni di categoria, tutte le associazioni sono molto attente, ma l'immagine che rischiamo di dare all'esterno è l'immagine di una discussione esclusivamente tra addetti ai lavori. Lo dico anche riflettendo, tornando volentieri in quest'Aula, ma riflettendo sul fatto che cinque anni fa si stava sviluppando in quest'Aula la stessa discussione che si è sviluppata negli scorsi giorni e che in parte si sta sviluppando anche stasera. Cinque anni fa, come in tanti interventi che si sono sviluppati, vedo il Presidente della prima Commissione, allora all'opposizione, che sta portando avanti un determinato lavoro, le parole d'ordine sono sempre le stesse: intesa al di là delle parti, buon senso, terreno di confronto tra maggioranza e opposizione, massima partecipazione di tutte le forze politiche, di tutte le forze sociali, condividere e individuare gli stessi obiettivi, non avere atteggiamenti pregiudiziali, mettere insieme le migliori intelligenze presenti nell'Assemblea e nella Regione, coinvolgere le istituzioni, il sistema delle imprese, il mondo del lavoro, in maniera tale che si possa arrivare ad un risultato frutto di una responsabilità condivisa. Queste sono le parole che io pronunciai cinque anni fa in quest'Aula e che leggevo nelle cronache di questi giorni, in interventi che arrivavano da destra e da sinistra, passando per il doveroso centro. Non che abbiano perso significato, hanno tutto il significato, ma se noi non siamo consapevoli che nel frattempo è cambiato il mondo, c'è stata una crisi economica mondiale, che l'Europa sta vivendo una fase di recessione economica, sociale, politica e noi siamo ancora fermi a discutere di queste cose, la gente saprà che stiamo parlando di questioni interne, non di questioni che la riguardano loro. La gente vuole pane, prima ancora dello Statuto, e noi a questo dobbiamo richiamarci.

Che cosa distingue questo dibattito rispetto a quello di cinque anni fa, rispetto a quello di dieci anni fa? Il quadro istituzionale? No, non importa se il Governo nazionale è di centrodestra o di centrosinistra. Il federalismo? No, già nel '94, mentre il Consiglio parlava di federalismo, il Parlamento nazionale procedeva sulla strada del federalismo. E' cambiato il quadro economico mondiale, europeo e nazionale e questo quadro economico impone un limite alla politica delle istituzioni. Noi dobbiamo partire da questa consapevolezza. Dobbiamo accettare l'idea, purtroppo, che l'Europa sta vivendo una stagione di declino politico ed economico e che questa condizione si riflette in un crollo graduale del sostegno alle politiche economiche e sociali. Che questo declino economico sta distruggendo i diritti sociali, sindacali e anche costituzionali, per cui si pone in primo luogo l'esigenza di attuare una forma di resistenza rispetto a ciò che abbiamo, a quel diritto che nel '48 con la legge costituzionale numero 3 ha sancito il patto tra la Sardegna e lo Stato unitario che oggi viene intaccata dalle politiche xenofobe, dalle politiche localistiche che pone in essere una forza come la Lega o in Europa altre forze politiche e che noi invece dobbiamo difendere. Lo diceva poc'anzi il rappresentante dell'ANCI, dobbiamo partire innanzitutto dal difendere quegli impegni e poi possiamo vedere, dobbiamo vedere che cosa possiamo fare. Noi abbiamo già la possibilità di porre in esercizio alcune nostre facoltà. Dal 2001 noi abbiamo, sulla base di una legge costituzionale, la possibilità di darci la nostra legge elettorale, sono dieci anni che non siamo riusciti a darci una legge elettorale, da dieci anni non siamo riusciti a darci la legge statutaria! E' possibile che questo patto tra le forze politiche si trasformi oggi in impegno a dire: "in questa legislatura, qualunque sia la durata, portiamo avanti questi due obiettivi" e aggiungerei ci diamo un modello di sviluppo economico condiviso che valga per i prossimi dieci anni? Io credo che su questo ci potrà essere l'accordo in maniera forte, rimandando poi alla prossima campagna elettorale e al confronto tra le forze politiche una contrapposizione tra i diversi modelli e contenuti di Statuto, da confrontare in campagna elettorale e da attuare nella prossima legislatura, perché altrimenti se non ci diamo obiettivi che siano percorribili rimangono soltanto parole, rimangono soltanto chiacchiere e diamo l'immagine di una politica assente.

Presidente, absit iniuria verbis. E' un'immagine desolante, patetica l'assenza della Giunta, un organismo forte, lei è eletto direttamente dal popolo, ma poi da lei promanano i componenti dell'Esecutivo, suscita pathos, suscita un sentimento forte, noi abbiamo bisogno in questo momento di forza, di fare agire nella società e nelle istituzioni a tutti i livelli. Mentre in Europa si stanno disegnando i corridoi dei grandi trasporti, tutte le forze politiche, in un modo o nell'altro, quasi tutte, non voglio in questo momento fare una questione, quasi tutte stanno dando il via libera al grande corridoio Berlino-Palermo di trasporti (dove c'è dentro questa fantasmagorica opera del ponte di Messina che non verrà mai realizzato, ma che porta via tanti soldi) e da noi mancano i collegamenti per collegare l'isola nei confronti del continente d'Italia! Ma non mi riferisco soltanto al fatto che non ci sia la Tirrenia, che stia andando a fondo la Tirrenia, mi riferisco al fatto che la Regione non abbia un proprio piano dei trasporti. E' inconcepibile che noi possiamo usare uno strumento e non ce l'abbiamo. Si sta discutendo in questo momento la modifica del Patto di stabilità e la Regione, il Consiglio, non prende una posizione per ricordare al nostro Governo che quello strumento si chiama Patto di stabilità e sviluppo e che accedendo a quelle che sono le pressioni tedesche ci stiamo impantanando solo sulla stabilità, noi che abbiamo bisogno invece di sviluppo, di ripresa economica. Questo è il silenzio della politica che non possiamo accettare.

Allora, e concludo, io credo che dovremmo difendere quello che abbiamo però vedo grosse difficoltà anche in questo. La politica, chiamiamola federalista spinta, secessionista, comunque di minaccia che sta attuando il Nord del Paese ci impone una sfida, io l'ho scritto in un intervento e lo voglio ridire in questa sede: non escludiamo ipotesi clamorose di coinvolgimento della popolazione, del popolo, anche per rivendicare un'idea di indipendenza. Guardate, il 1° dicembre è entrato in vigore il trattato di Lisbona che in maniera rivoluzionaria consente agli Stati europei di uscire dall'Unione europea. Allora, se questo è possibile, se questo è vero pur essendoci stati determinati passaggi costituzionali, può essere che un popolo che viene calpestato, che viene oppresso, al quale non vengono riconosciuti i diritti per i quali ha combattuto (perché tutti insieme noi siamo andati a sfilare per le strade di Roma per avere la nostra percentuale delle entrate e le abbiamo ottenute tutti insieme, tutte le forze politiche qui sono presenti qua), è possibile che se questo non ci viene dato noi possiamo accettare con rassegnazione che non ci venga dato il nostro pane quotidiano? La gente ci chiede questo, Presidente. Allora, è una estrema ratio però noi non possiamo non avere strumenti. Il nostro strumento innanzitutto è quello di far valere le garanzie costituzionali che sono poste dai nostri padri costituenti. Iniziamo a esercitare quelle e io sono convinto che esercitando già le competenze del Consiglio regionale non ci sarà bisogno di ricorrere ad altri strumenti ancora.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale della UIL, Ticca.

TICCA, segretario generale della UIL. La scelta di oggi, il Consiglio regionale in seduta straordinaria in un momento in cui si discute di riforme, è senz'altro utile a riflettere su questo periodo per tutti particolarmente difficile.

Abbiamo condiviso questo approccio, Presidente, nella convinzione che il cambiamento sempre più veloce che ormai si manifesta anche nella società sarda insieme alla vera e propria mutazione che con tutta probabilità sarà indotta dalla crisi, consigliano di fare il punto sulla situazione attuale. Non mi dilungo sui mali della Sardegna che i miei colleghi hanno ben elencato e che questa Assemblea ben conosce, ma voglio dare un contributo con delle riflessioni molto veloci. La Sardegna deve senz'altro saper approfittare di questa crisi dal punto di vista delle condizioni economico-produttive generali e delle opportunità competitive, ma anche negli equilibri più equi e più funzionali che deve saper esprimere non solo nella società e tra i territori a cominciare dal superamento della precarietà infrastrutturale e dei servizi, non solo nella qualità dello sviluppo che va rafforzato con un maggiore apporto della conoscenza e della ricerca premiando il merito, ma anche nelle dinamiche di governo e nella dialettica civile. Senz'altro vanno realizzati nuovi equilibri tra politica ed istituzioni da un lato e tra cittadinanza, responsabilità e diritti dall'altro. Dobbiamo senz'altro uscire dalla crisi che viviamo con una Sardegna che nel complesso abbia consolidato più ampie e sicure fondamenta, perché se ciò non fosse i ritardi storici del nostro sistema sociale ed economico diverrebbero irrecuperabili relegandoci ad un ruolo pericolosamente secondario. Abbiamo assolutamente bisogno di andare oltre, anzi, per essere più precisi di guardare indietro allo sviluppo mancato in questi anni, capire perché la Sardegna cresceva troppo poco o comunque cresceva molto meno delle altre Regioni. In questo percorso il punto di partenza non può che essere il deficit della politica sarda che non è stata e forse non è in grado di agire in tempi utili per fare le riforme necessarie, non è stata in grado di risolvere almeno i più gravi problemi che in qualche modo condizionano lo sviluppo della nostra Regione, la vita delle sue imprese, il benessere dei suoi lavoratori, il benessere dei suoi cittadini. Il primo obiettivo per noi è mettere la politica in condizione di poter agire con tempestività e concretezza per attuare quelle riforme e realizzare quegli interventi nelle strutture e nelle infrastrutture tali da mettere senza affanno la Sardegna al passo con i Paesi più avanzati sapendo che il confronto è destinato a diventare sempre più ampio oltre che più difficile e competitivo. La distanza tra palazzo e paese reale, come si usava dire una volta, è una conseguenza della scarsa efficacia della politica che finisce con la sequenza causa-effetto, col provocare un circolo vizioso in cui tutto diviene oggetto di continuo negoziato ed in ogni fase si perde un pezzo, così i provvedimenti necessari arrivano incompiuti e tardivi. Voglio dire che da noi il governo, la cui prima funzione dovrebbe essere quella di governare, finisce con l'essere il luogo permanente della mediazione, ciò non per i tanto conclamati vizi della politica che pure ci sono e hanno le loro colpe gravi, ma già direttamente per il dettato costituzionale che non prevede un mandato chiaro e autonomo per nessun potere istituzionale, così si finisce con il creare un circolo vizioso in cui ogni livello condiziona pesantemente tutti gli altri, e allora alla fine nessuno riesce a decidere tempestivamente. Oggi i sardi, oggi il popolo sardo ha necessità di un governo che avrebbe dovuto esprimere un'iniziativa operativa efficace e tempestiva, ha finito invece con il diventare il luogo istituzionalizzato della mediazione possibile, non quella più opportuna e necessaria, perché deve rispondere ad un sistema eccessivo di pesi e contrappesi non derogabile e di fatto paralizzante. La riforma di questo sistema è sempre più necessaria e urgente ma i fallimenti maturati sino ad oggi e il clima politico che proprio non si può definire positivo ne fanno una meta ben difficile da raggiungere almeno con un coinvolgimento, quello che noi chiediamo, accettabile delle varie parti. Chiediamo che si riapra un tavolo per riscrivere il patto Stato-Regione, lo chiediamo per garantire pari opportunità di movimentazione di cose e di persone sarde, chiediamo un patto di riscrittura nuova Stato-Regione per l'istruzione e per la formazione. Il sindacato vuole discutere delle varie proposte avanzate, certamente avendo coscienza dei riferimenti valoriali dei soggetti che si confrontano valutando scelte e proposte sulla base dei risultati concretamente raggiungibili, riferimento credibile per un'azione che non sia meramente retorica e non si perda nelle ombre dell'ideologia. Oggi si cerca di realizzare il federalismo ma il federalismo per essere utile dovrebbe basarsi su iter decisionali con strumenti di verifica dei redditi, dove il rapporto con il territorio passa per gli interessi reali e non per le burocrazie. Ma risultati significativi e tempestivi non si raggiungono passando per deleghe e rinvii continui e la politica dovrà pur valutare adeguatamente l'efficacia del proprio agire se vuole superare la disaffezione sempre maggiore dei cittadini, di tutti i cittadini sardi, quando una qualunque cosa non va, sono sempre in molti a pensare che serva solo ed esclusivamente una nuova legge ancora più articolata e puntuale della precedente e queste, spesso, per complicare ulteriormente le cose, resta pure in vigore. Abbiamo perso l'abitudine di verificare se le norme esistenti sono applicate correttamente e se ci sono strumenti e controlli adeguati per assicurarne un facile e sostanziale rispetto. Ecco perché lasciando da parte costruzioni teoriche è necessario rivisitare e riscrivere lo Statuto sardo, la Costituzione del popolo sardo con iniziative concrete e un'esigenza primaria di una forte semplificazione normativa, penso alla nostra burocrazia, che frequentemente con i suoi eccessi e con la sua inefficienza non solo diviene ostacolo alle attività economiche ma anche al pieno esercizio dei diritti di cittadinanza che dovrebbero facilitare e non rendere pesante ed oneroso, è necessario che la Sardegna, Presidente, si liberi delle sue incrostazioni e delle sue burocrazie, bisogna che verifichi i suoi obiettivi e ripensi le sue metodologie, riveda la sua struttura organizzativa e la sua articolazione decisionale perché deve garantirsi percorsi di democrazia più snelli, più rapidi e più facilmente praticabili. In questo contesto socioeconomico è urgente correggere la realtà con progressivi miglioramenti, dotandosi di strumenti di controllo efficaci e riconosciuti. Con la mutazione della società, con la mutazione del lavoro che si è manifestata negli ultimi anni, dobbiamo riuscire a rinnovarci mettendo in campo tutti i saperi acquisiti. Ecco perché, come Cgil-Cisl-Uil, vogliamo indicare un laboratorio partecipato: una dimensione in cui si possano intrecciare le idee e le esperienze di tutti, di tutti i Sardi, così che il risultato finale sia frutto del contributo positivo di ognuno, e chiunque possa sentire sua la soluzione finale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Delogu.

DELOGU, parlamentare. Signora Presidente, quando si prende la parola dopo che sono intervenuti tanti autorevoli oratori è sempre piuttosto complicato, perché ci si rende conto che gli appunti che sono stati presi, se fossero seguiti, non porterebbero ad altro che a ripetere male quello che, molto bene, è stato detto fin qui in quest'Aula. Tuttavia io credo che sia indispensabile dire che la riforma dello Statuto, e non solo dello Statuto, ma anche della legge statutaria, della legge regionale numero 1 del '77, e di tutti i provvedimenti conseguenti, è un qualche cosa che la Sardegna attende, che la Sardegna ha diritto di vedere realizzato, specie ora che si parla di federalismo, e soprattutto di federalismo fiscale. Perché queste sono delle parole che possono sembrare, così, vaghe, e facilmente comprensibili, però è necessario che nella sostanza di queste riforme, nella sostanza di queste nuove leggi, che stanno per essere approvate, e che in parte sono già state approvate, occorre che la Sardegna sia presente, che la Sardegna faccia sentire la sua voce, che la Sardegna abbia dei diritti conclamati e certificati da leggi, come quelle dello Statuto, che sono leggi costituzionali. Quindi è un problema importante, non è un discorso vacuo quello dello Statuto, le leggi statutarie, è un qualcosa di concreto, qualcosa che incide in modo decisivo sull'entità delle risorse, delle quali la Sardegna ha diritto, e che alla Sardegna devono essere erogate. Perché di questo si tratta, non sono affermazioni di principio, sono tutte molto giuste, molto belle, molto importanti, la Sardegna è un'isola, ha una sua peculiarità, ha una sua origine che si distingue magari anche in parte dall'origine dal resto dell'Italia, però quello che importa è che con queste leggi, con questo Statuto, si deve ottenere il risultato di fare in modo che i diritti della Sardegna, e soprattutto i diritti dei Sardi, vengano soddisfatti. Perché qui si è verificato un qualcosa di molto singolare: sta accadendo che le Regioni che nacquero come Regioni autonome, come la Sardegna appunto, adesso con tutta una serie di riforme, che vengono approvate a favore un po' dell'uno un po' dell'altro, molto al Nord e un po' al Sud, le Regioni con lo Statuto speciale finiscono per avere un'importanza, un rilievo, assai minore di quello che avevano prima. Quindi, questo è il senso. Sì alla Sardegna, sì alla sardità, sì alla nostra importanza, però siccome i cittadini attendono da noi dei risultati concreti, attendono che si trovi il modo di affrontare i loro problemi, di risolvere i loro problemi della quotidianità, ebbene dobbiamo sapere che anche lo Statuto, la riforma dello Statuto, la riforma delle leggi conseguenti allo Statuto avranno questo risultato. Non solo affermazioni di principio, non solo volare alto, ma anche affrontare i problemi che interessano tutti noi.

E non vorrei che, in questo dibattito sullo Statuto, tutti ci incentrassimo sulla forma con la quale raggiungere questi risultati, chi è per la Costituente, chi è per le Commissioni consiliari più o meno allargate, chi giustamente afferma la centralità del Consiglio: non è questo il problema, è inutile entrare in queste diatribe. Noi dobbiamo, voi dovete, tutti quelli che hanno l'obbligo di occuparsi di questi problemi, scegliere la via che abbia due caratteristiche principali: che sia una via rapida e decisiva, e che abbia costi contenuti. Perché non si può fare in modo che queste decisioni sullo Statuto durino chissà quanto, non si può fare in modo che queste riforme costino molto.

Nella scorsa legislatura - e ho praticamente finito - un gruppo di amici stesero questa, che io leggo con piacere, Sa Carta de Logu (ma che non ha niente a che vedere con me) noa pro sa Natzione sarda. E' un lavoro importante che hanno fatto tante persone che si sono dedicate a lungo a questo compito, e hanno ottenuto un risultato. Questo risultato non è il Vangelo, però è la dimostrazione che qualche cosa di concreto si è fatta, che qualcosa di concreto si può fare. Si potrà discutere, sarà giusto discuterne, sarà giusto valutarlo, ma ecco che a questo risultato siamo giunti. E' un risultato anche che ha un suo rilievo importante, perché grazie all'intervento in Senato del senatore Piergiorgio Massidda questa legge è stata presentata in Senato. Perché come tutti voi sapete lo Statuto è una legge di carattere costituzionale, per cui deve fare il passaggio duplice alla Camera e al Senato. E quindi un primo passo si è fatto presentando questo, come disegno di legge. Lo ha fatto il senatore Massidda. Sulla base di questo naturalmente si discuterà, si vedrà, si farà, ma insomma quello che è importante è sapere che lo Statuto non è una cosa filosofica, ma una è cosa concreta, e siccome è una cosa concreta bisogna risolverla in tempi il più possibile brevi. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale della CSS, Meloni.

MELONI, segretario generale della CSS. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevole Presidente della Giunta, senatori e deputati sardi, onorevoli consiglieri regionali, signore e signori, "Se un Popolo non conquista la sua indipendenza politica non può essere soggetto della sua storia, ma resterà ai margini della storia di quella Nazione che l'avrà vinto e dominato. E se un Popolo dovrà risorgere dal limbo nel quale si trova, dovrà avere il suo Stato. Con la conquista dell'indipendenza il popolo sardo potrà costituire il suo Stato, che avrà i poteri per promuovere il processo di riscatto e di evoluzione economica sociale, oggi impossibile in quanto soggetto ad altra potenza, che non mostra alcun interesse, né alcuna buona volontà per dare alla Sardegna il posto che le compete per ragioni storiche, geografiche, etniche, nel consorzio dei popoli liberi".

Ho scelto di iniziare questo mio breve intervento citando un brano di un lunghissimo discorso, tenuto in Ollolai, il 10 giugno 1967 dal grande Antonio Simon Mossa, Sardista illustre, convinto patriota, lucidissimo ingegno e studioso pluridisciplinare, conosciuto in tutta Europa e in tutto il mondo mediterraneo, ma soprattutto padre del sindacato dei lavoratori sardi, a cui si è ispirata fin dalla sua origine la Confederazione sindacale sarda. A queste fonti ci siamo ispirati, a questi radici e a questi ideali, fatti di pensiero, cultura, sofferenza, errori e conquiste, che hanno però volti, e sono persone che hanno tracciato la nostra storia di Sardi: sono i Puggioni, i Bellieni, i Lussu, gli Zucca, gli Oggiano, i Soggiu, i Columbu, i Melis, i Giacobbe, ma anche i Cocco Ortu, i Crespellani, i Segni, i Berlinguer, i Dessanay, i Pili, i Fadda, i Dettori, i Corrias, i Pirastu, i Cardia, i Cossiga e lo stesso Endrich e Pazzaglia. Un fiume di'idee e forze, di battaglie vere, di valori, ora impetuoso come un torrente di montagna, ora limpido e sereno nella sua corsa a valle, il più delle volte carsico nella profondità della terra e ora risorgente nella sua freschezza e purezza. Non spetta al Sindacato né tanto meno ad un Sindacato come la CSS, dare indicazioni politiche, ma ci rivolgiamo da qui all'intera classe politica sarda, in un momento di straordinarie trasformazioni sociali, di tragedie, di crisi economico-finanziarie, di crisi di valori per dirvi: attingete a larghe mani da questo patrimonio, aprite i forzieri di questo immenso tesoro, non sperperatelo ancora, non fatevene unici interpreti e paladini!

Abbiate umiltà e coraggio!

La strada intrapresa nella discussione di questi giorni in Consiglio regionale è la strada maestra, le otto mozioni, lungi dall'essere segno di debolezza e di divisione sono ricchezze e pluralismo di idee tutte preziose che hanno un unico denominatore comune che è quello di considerare ormai conclusa e superata la fase dell'autonomia.

Così lo stesso Presidente della Giunta a conclusione del dibattito in aula, quando afferma che l'autonomia ormai è datata e non è più sufficiente a dare risposte in una Sardegna, in un mondo completamente diverso di quello di 62 anni fa e che quindi sia necessario puntare verso uno Stato federale. Credo, così concludeva il Presidente, che solo dentro questo processo di riforma federale sia possibile porre con forza in termini nuovi anche il concetto di sovranità e indipendenza della Sardegna come è stato chiesto in quest'Aula.

I nostri padri avrebbero sicuramente gioito oggi nel vedere questa solenne Assemblea confermare la strada intrapresa del federalismo e dell'indipendenza. Sono certo che attorno a questi concetti non ci sia più né retorica né propaganda ideologica, oggi indipendenza, in termini moderni, non può che essere rivendicata in un quadro europeo dell'Europa dei popoli e delle nazioni, dove la sovranità è esercitata nel rispetto delle regole comuni alla cui base c'è l'assunzione dei principi della libertà, della pace, della non violenza, della democrazia, della solidarietà, della sussidiarietà e fratellanza, principi che esaltano il diritto allo sviluppo e al lavoro, al reciproco rispetto, alla felicità. Il diritto non solo alla non discriminazione che postula l'accettazione del pluralismo delle idee, dei popoli e delle nazioni, ma la diversità dei soggetti plurimi e diversi con le loro culture e lingue ma anche il diritto alla non assimilazione che protegge da tutte le tentazioni centraliste e all'appiattimento delle specificità e peculiarità. A noi sardi serve questa certezza, perché la nostra identità fatta di cultura, limba, tradizioni, odori e sapori è un valore insopprimibile e come tale deve essere garantita abbiamo urgente bisogno di un nuovo Statuto sardo, di una nuova Carta Delogu che rimette al centro la Sardegna e i sardi come sono ora, capaci di rapporti con l'Europa e il resto del mondo, dentro una concezione federalista che traduco con un rapporto da adulti con lo stesso Stato italiano. E' giusto rivedere la nostra storia e considerare politicamente conclusa la vicenda conseguente alla rinuncia di sardi alle proprie sovranità istituzionali, avvenuta tra l'altro da parte di una minoranza di famiglie il 29 novembre 1847, così come allora, sciaguratamente, rinunciammo alla nostra sovranità attratti dall'illusione che la Sardegna così avrebbe avuto più possibilità di sviluppo, ora possiamo, avendo sperimentato e pagato sulla nostra pelle quella illusione di parziale progresso, riprenderci la libertà di decidere per il nostro futuro. Certo in questi anni la Sardegna è cambiata ma la crisi attuale si evidenzia sempre più come una crisi di sistema, la pastorizia e l'agricoltura sono settori in crisi totale, le Università sono state costrette a rinviare l'apertura dell'anno accademico per i pesanti tagli che hanno messo fuori ricercatori e precari, così la scuola che in Sardegna poteva avere risposte diverse se fosse stata approvata la legge regionale come avvenuto in Valle d'Aosta, dove si sono tutelate le classi dei paesi di montagna anche con cinque alunni i trasporti sono nuovamente nel caos e l'industria è in coma profondo. Il tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2010 ha raggiunto il 16,1 per cento, in due anni abbiamo perso 24 mila posti di lavoro nella sola industria, più di 100 mila sardi usufruiscono di ammortizzatori sociali e i giovani senza lavoro superano il 44 per cento, il 21,4 per cento delle famiglie sarde versa in condizioni di assoluta povertà, la Sardegna così non ce la può fare anche perché gli ammortizzatori sociali vanno a termine dopo di che ci sarà il disastro. Non di meno, non ci faremo impaurire da chi dice che la Sardegna non ha la forza finanziaria per uscire dalla crisi. Ormai più fonti autorevoli ci confermano che la Sardegna se avrà indietro dallo Stato, come un suo diritto, i soldi maltolti dalle entrate per cui abbiamo recentemente manifestato unitariamente in piazza Eleonora ad Oristano, e se si svilupperà un rapporto diverso in materia di accise e zone franche, la Sardegna non potrà aver paura del federalismo fiscale, anzi, si farà chiarezze e si potrà dimostrare che le nostre entrate sono quasi sufficienti al nostro fabbisogno perché la sovranità esercitata su tutto il territorio metterà fine al patto di stabilità - vero imbroglio e gabbia per le nostre comunità locali - e porterà chiarezza sui costi di tutte le schiavitù militari e industriali finora sopportate da noi sardi senza adeguati benefici e ricadute economiche. Noi, sia chiaro, siamo contro tutti poligoni militari e contro il nucleare civile e militare, considerati fonte di molte malattie, per cui sollecitiamo il Consiglio regionale perché la Sardegna venga dichiarata regione denuclearizzata. Ma non possiamo essere così sprovveduti da sopportare, come oggi, gli svantaggi a beneficio di chi specula ed incassa enormi vantaggi, anche economici, da questa servitù.

La CSS, insieme alla maggior parte delle forze sindacali e sociali in un nuovo corso della politica accetta la sfida! Non vuole che prevalga l'immagine dell'Isola che per disperazione pianta croci simboliche davanti alla torre aragonese o si imprigiona nelle carceri dell'Asinara. Quella battaglia sacrosanta è servita per rompere l'isolamento ed il silenzio. Ora però occorre rompere quella bolla mediatica che potrebbe diventare un ulteriore e più pericolosa prigione. C'è necessità di un forte balzo in avanti, credere e puntare sulle proprie forze, sane della società sarda per intraprendere il cammino della sovranità, sapendo che nessuno ci tirerà fuori dalle nostre difficoltà, se non noi stessi. Possiamo farcela guardando all'Europa e al contesto di popoli che si affacciano nel mar Mediterraneo, compreso il Popolo italiano, con i quali è possibile ritessere la trama della nostra storia da veri sovrani protagonisti del nostro futuro. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Cabras.

CABRAS, parlamentare. Signora Presidente, Signor Presidente della Regione, permettetemi di dire colleghi, o ex colleghi consiglieri regionali, signori rappresentanti delle forze sociali. Lo dico in apertura, ho avuto un attimo di esitazione nel condividere la procedura che la Conferenza dei Capigruppo ha stabilito per questa seduta, in particolare per il ruolo assegnato ai parlamentari che, come sapete, a Costituzione vigente sullo Statuto speciale della Regione Sarda, come per le altre regioni speciali, hanno l'ultima parola, nel senso che oltre ad avere potere di iniziativa legislativa partecipano alla decisione finale che sancisce lo Statuto revisionato. Mi sono trovato in una situazione un po' imbarazzante ad essere audito su questo tema, ecco, io vorrei sollevare questo interrogativo perché trovo francamente un po' contraddittorio che possa essere audito chi poi alla fine decide.

Credo che la strada più corretta nel rapporto istituzionale che ci deve essere fra la delegazione parlamentare sarda e il Consiglio regionale sia quello di trovare un luogo nel quale, visto che si discute di questo, si interagisca più direttamente maniera equiordinata perché la Costituzione assegna al Consiglio regionale e ai singoli parlamentari il potere di iniziativa. Considerate questo come un suggerimento perché il processo che abbiamo appena avviato possa essere rapidamente concluso - come ci richiamava alla tempistica il collega Delogu - e al fine di evitare che, una volta che il Consiglio regionale decide, ciascuno di noi si avvalga della cosiddetta prerogativa che non esiste un limite di mandato, e quindi decida in Parlamento come meglio ritiene. Credo che questa sia una riflessione che in premessa mi sembrava opportuno proporvi, in particolare proporla a quella sede che ha avviato questo percorso con questo momento di consultazione.

Per venire rapidamente al merito, io penso che dopo tutti i tentativi non andati in porto che si sono sviluppati nel corso degli anni che lasciamo alle spalle - parlo anche per la responsabilità che direttamente ho avuto di presiedere la Regione in una fase nella quale anche allora si parlò di revisione dello Statuto -, credo che dovremmo fare tutti uno sforzo, e mi pare che questo sia lo spirito anche dei contributi che ho sentito finora - ho letto il dibattito che si è sviluppato in Consiglio regionale nella discussione che ha preceduto questa nostra riunione, sulle diverse mozioni presentate -, dobbiamo ovviamente fare tesoro degli errori che abbiamo commesso nelle precedenti circostanze per evitare di riattraversarli, anche se sono cambiate le persone, sono cambiati i ruoli, sono cambiate tante cose nel sistema politico regionale. Tuttavia c'è un punto sul quale a me pare oggi ci sia una convergenza larga, direi quasi unanime, se non ho inteso male il dibattito così come si è sviluppato finora, che il ciclo dell'autonomia speciale del '48 si è concluso. Ovviamente, ognuno di noi nel dire che si è concluso, traccia un bilancio differente di questo ciclo, questo sta nell'ordine della dialettica che si sviluppa, ma io considero fondamentale che il Consiglio regionale possa pronunziare, anche prima di entrare nel merito dei singoli articoli e delle singole proposte di revisione dello Statuto, questo punto fondamentale, perché una decisione di questo tipo obbliga lo Stato a confrontarsi con la Regione per costruire una revisione, un nuovo Statuto. Finora questo non era mai accaduto, e io penso che questo punto politico sia un punto che può essere accolto anche nel breve tempo, se ho inteso il livello di consapevolezza e ho inteso quello che è stato scritto nelle mozioni e quello che è stato sviluppato nel corso del dibattito. Ovviamente ciascuno arriva a questa conclusione partendo da un'analisi della storia di questi sessantadue anni che, dobbiamo tutti considerare, è diversa, tuttavia c'è una consapevolezza che i cambiamenti intervenuti sono così importanti nella dimensione statuale della Repubblica italiana, così come nella dimensione europea e, permettetemi di dire, così come nel mondo, che caratterizzano la vita di oggi anche della più piccola realtà istituzionale, non solo delle grandi. Io penso che questi cambiamenti siano all'origine di questa consapevolezza che noi affermiamo unitariamente; e i cambiamenti che sono intervenuti non possono assolutamente farci utilizzare il linguaggio di una volta. Quando parliamo nella dialettica interna della Lega, non ci dobbiamo mai dimenticare che le istanze della Lega hanno un consenso popolare importantissimo, e siccome viviamo in un regime di democrazia, abbiamo il dovere di domandarci perché quelle istanze sono così sostenute dal popolo di quelle Regioni. Se dovessimo votare domani, come sapete, molti sostengono che la Lega in quelle Regioni sarebbe il primo partito, e quelle Regioni, se stiamo in ambito europeo, rappresentano, se fossero uno Stato autonomo, uno degli Stati più progrediti e più sviluppati d'Europa, che sceglie in quella forza politica il primo partito. Basta questo per non banalizzare, cioè per approfondire e interrogarci sulle ragioni: qualunque istanza, anche quella che a noi appaia la più strana, quando viene sanzionata dal voto di cittadini che liberamente la scelgono, è un'istanza che merita da parte nostra la più grande attenzione e il più grande rispetto. Detto questo, che io considero uno dei cambiamenti sui quali, da destra e da sinistra, poco ci siamo soffermati in questi anni che ci lasciamo alle spalle, penso che noi dobbiamo prendere atto che il nuovo Statuto non può che partire dalle profonde differenze che caratterizzano la Repubblica italiana, dal nord, al centro, al sud.

L'illusione del '48 - io la chiamo così perché poi non si è realizzata - era che lo Stato centrale potesse colmare il divario: lo Stato centrale ha fallito in questa missione, perché il divario tra la parte più sviluppata del Paese e la parte meno sviluppata, non solo non si è ridotto, ma se lo fotografiamo, oggi forse è anche aumentato. L'interrogativo: dobbiamo insistere su quella strada? Io penso di no, dobbiamo cercare altre strade. Per fotografare una differenza tra il '48 e oggi, noi nella prima fase dell'autonomia speciale avevamo una Regione protesa a chiedere allo Stato che facesse interventi nell'economia per favorire lo sviluppo (tema delle grandi fabbriche, delle partecipazioni statali); i Presidente della Regione di quel tempo contestavano lo Stato - parlo della fase della cosiddetta autonomia contestativa - perché lo Stato non sviluppava interventi per favorire lo sviluppo in Sardegna. Se oggi noi assumessimo questa stessa linea politica, ci sentiremmo dire che lo Stato non fa più interventi in economia, non interviene più direttamente, salvo che per salvare le banche com'è accaduto in occasione della recente crisi. Non si può intervenire in economia, per cui l'Eni chiude le fabbriche e lo Stato non può fare niente pur essendo il principale azionista di quell'azienda, e la Regione è ancora più impotente.

Allora, dire che i cambiamenti che sono intervenuti impongono a noi una revisione profonda del rapporto con lo Stato, significa prendere atto del fatto che certo che lo Stato centrale lavora per il benessere e la coesione di tutta la Repubblica, ma non ha le stesse priorità che abbiamo noi sardi, perché ci sono le differenze. E allora, chi è che può meglio di tutti scegliere la priorità che va bene per i sardi? Il Governo della Regione sarda, i rappresentanti della Regione sarda, perché le priorità non sono mai le stesse. Si potrebbero fare tanti esempi, ma nell'economia di dieci minuti non si può fare: sono stati citati dagli autorevoli rappresentanti del sindacato che hanno parlato prima di me.

Allora, noi abbiamo bisogno non solo di rinegoziare, ma abbiamo bisogno di definire dove si ferma lo Stato e dove comincia la Regione, e non con la logica del '48 ma con una logica completamente diversa, che fotografa la situazione di oggi, dell'economia di oggi, dei rapporti di oggi. Ha fatto bene chi ha fatto quell'esempio dei Comuni di montagna della Valle d'Aosta dove sono rimaste le classi anche con cinque allievi; ma dimentichiamo che c'è una differenza profonda tra la nostra Regione e le altre che sta proprio nella sua struttura demografica, nella dimensione dei Comuni che sono piccoli, oppure ci dobbiamo rassegnare inesorabilmente a fare i ragionieri e a chiudere tutto? Io penso di no: la Regione cresce, si sviluppa, si evolve, o deve mantenere le caratteristiche sociali, economiche e strutturali come l'hanno conosciuta quelli che venivano prima di noi? Noi dobbiamo aiutare il progresso ma non facendo diventare la Sardegna una ciambella, passatemi questo esempio, cioè spopolando la parte interna della nostra Regione. Per questo abbiamo bisogno di uno Statuto che ridefinisca i rapporti fra lo Stato e la Regione, e questa secondo me non è indipendenza - e concludo con questo -, questo significa assumersi ciascuno la responsabilità per fare nel modo migliore gli interessi dei sardi. Quindi io sono per uno Statuto non basato sui poteri e basta, ma su uno Statuto che colleghi i poteri con gli interessi che possono essere meglio difesi nella dimensione regionale.

Credo che ci siano elementi di consapevolezza sufficiente, non so se per essere rapidissimi come auspicava, e io sono d'accordo con lui, il collega Delogu, ma sicuramente facendo tesoro del passato forse potremo costruire molto di più di quanto non siamo riusciti a fare finora. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale dell'UGL, Piu.

PIU, segretario generale dell'UGL. L'UGL ringrazia la Presidente onorevole Lombardo e tutta l'Assemblea per l'opportunità concessaci. La UGL si è fatta carico negli ultimi mesi delle lamentele, delle sofferenze e delle sollecitazioni che i lavoratori sardi ci esprimono. Abbiamo evidenziato come la Sardegna stia assistendo da mesi ad un carosello interno alla politica che trascura l'esigenza primaria e quindi quelli che erano i problemi, i programmi di una Giunta attenta a risolvere lo sviluppo, lavoro, infrastrutture, continuità territoriale e quant'altro interessa all'Isola.

E' chiaro che la situazione relativa all'articolo 8 dello Statuto dove si parla di percentuale di calcolo per il rientro delle imposte ai sardi vede che al punto interessante, l'imposta sul valore aggiunto, non si fa menzione di una quota di calcolo come invece è stabilito per la Regione siciliana e le altre Regioni autonome. Se la Regione siciliana percepisce i 10 decimi di tale quota non si capisce per quale motivo da sempre la Sardegna non abbia rivendicato un analogo trattamento inserito in Statuto.

La nostra grande preoccupazione quando si parla di delegare eventualmente alla prima Commissione o qualsiasi altra Commissione ad hoc costituita, il compito di esaminare e riscrivere lo Statuto nel tempo che potrebbe essere ipotizzato o meglio che è stato ipotizzato, da qualcuno in quattro mesi, e con la situazione che ancora ci vede con una crisi in atto e qualcuno lo ha evidenziato, dispiace anche a noi verificare in questa giornata che gli Assessori non sono qui in Giunta a fianco al Presidente a dar man forte a questa Giunta, a questo Presidente che chiaramente in questa fase si trovano un po' tirato per la giacchetta diremmo noi. Io direi al Presidente che abbia il coraggio di fare, il coraggio di andare avanti e che passi anche sopra a determinate esigenze personalistiche che possono esserci all'interno di questa Giunta. Noi siamo convinti comunque, come affermato dall'Assessore della programmazione La Spisa in diverse occasioni, che il contenzioso con tutte le preoccupazioni di questo mondo possa trovare soluzioni in un Governo, non in un Governo amico ma in un Governo attento alle specificità che la Regione sarda in quanto isola in mezzo al Mediterraneo subisce per infrastrutturazioni da anni trascurate, per problematiche relative al trasporto delle merci e delle persone, per i problemi che qualcuno ha evidenziato nel settore della scuola. E' cosa che forse dobbiamo anche considerare e mettere sul tavolo è che siamo appena un milione e mezzo di abitanti, insufficienti forse a garantire servizi adeguati con risorse inadeguate. Si continua ultimamente a dibattere con insistenza di quelli che sono stati gli accordi precedenti con voci relative ai rimborsi che dovevamo aspettarci: 7 miliardi nell'accordo Soru - Prodi, 4,5 miliardi diventati con la legge di assestamento dello Stato, 1,4 miliardi per quanto riguarda, si dice, il 2010. Un balletto di cifre, una serie di notizie che chiaramente lascia indifferenti i lavoratori sempre più preoccupati del quotidiano.

Riteniamo che l'apertura del tavolo paritetico Regione - Stato che risulta essere già in attività seguito con attenzione dai parlamentari sardi trovi le soluzioni idonee. Concordiamo in ultima analisi anche a ricorrere presso la Corte costituzionale per la risoluzione di una vera vertenza se non dovesse essere risolta; una sollecitazione ci permettiamo di avanzare agli onorevoli consiglieri: meno litigiosità, più impegno e fatti dimostrando ai sardi che l'interesse collettivo è preminente su quello degli interessi individuali. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Massidda.

MASSIDDA, parlamentare. Presidente, Presidente della Regione, autorità, consiglieri regionali grazie per l'onore di poter partecipare di poter contribuire anch'io a ciò che se avrà un seguito come tutti crediamo e come tutti stiamo prendendo impegno, mi darà l'onore di partecipare ad un momento storico per la nostra Regione.

E mi pare che dal dibattito di questi giorni che ho seguito attentamente leggendo tutte le mozioni e gli interventi, tutti i consiglieri abbia decretato un qualcosa: è ormai improrogabile una trattativa con lo Stato, rivedere il patto con lo Stato che abbia però una direttrice alla quale noi non possiamo rinunciare che è la rivendicazione della sovranità della Sardegna. Come gentilmente ha avuto modo di ricordare il collega assegnandomi un ruolo che non è mio, io ho portato avanti una legge, una proposta che è stata elaborata o meglio l'ha detto il senatore, che è stata elaborata da un comitato che abbiamo sostenuto indirettamente, di persone che probabilmente sarà bene anche coinvolgere in questo dibattito più attivamente, che ha messo nero su bianco una proposta. Perché in questi giorni abbiamo parlato di tante cose però poi alla fine se vogliamo concretizzare, vogliamo accelerare i tempi come è necessario, bisogna anche avere il coraggio di tradurre ciò che si afferma in qualcosa di scritto, e guarda caso al Senato esistono delle proposte: una presentata da me a nome del centrodestra; una presentata dal collega Cabras a nome del centrosinistra; e una della Lega, questo è il dibattito. Cioè abbiamo avuto il coraggio, la forza di presentare una proposta che può essere un canovaccio sul quale lavorare perché, state attenti, come ha ricordato Cabras non è una rivendicazione dei ruoli istituzionali, lo assegna la legge, la Costituzione, questa è una legge costituzionale quindi dovremo trasformarla noi senatori, quindi dobbiamo lavorare insieme a voi, noi senatori e voi deputati, dobbiamo creare questa sinergia è doveroso, non dobbiamo arrivare al punto che la Regione elabori una legge e poi per egoismo, non sentendoci coinvolti, i parlamentari la modifichino o permettano degli emendamenti che magari la stravolgano.

Quello che oggi è stato chiarito, mi pare che sia, oltre alla sovranità, che tutti noi guardiamo ad una scelta federale. Ho sentito gli amici Sardisti che hanno parlato di confederale, io non negherò mai questa proposta; so soltanto che quello che noi dobbiamo valutare, tutti assieme, è che cosa sia conveniente per la Sardegna, e per l'Italia. Perché io affermo che mi sento perfettamente, io sono per l'Italia per far parte dell'Italia, ma un'Italia federalista, con federalismo solidale dove convivano popoli e nazioni in perfetta armonia, popolo e nazione qual è la Sardegna.

Voi sapete bene che cosa in questi mesi, diceva Uggias, che cosa sia cambiato in questi giorni, qualcosa è cambiato; è cambiato il fatto che ormai nessuno nega che la Sardegna internazionalmente ha la potestà di poter rivendicare l'indipendentismo ed è stato anche confermato dalla sentenza dell'Aia che in occasione della dichiarazione unilaterale del Kosovo ha detto: sì voi avete il diritto perché l'unico diritto della nazione è quella di difendersi, e quindi io credo che l'interesse della Sardegna sia quello di rivendicare un federalismo dove venga data la sovranità e come dicono tutti gli stati federali abbia l'opportunità di avere tutte le potestà.

Io ne assegno di meno allo Stato di quanto ha detto il mio amico Cabras, nella nostra legge ne assegniamo di meno, noi diciamo che la Sardegna deve avere tutte le potestà, tutte le potenzialità ad eccezione di ciò che uno Stato federale deve mantenere se no non avrebbe ragione d'essere: difesa militare del territorio e dello Stato, moneta, amministrazione della giustizia, permettendoci anche lì di poterla adattare alla realtà, alla storia, alla cultura sarda e poi rapporti diplomatici verso terzi. Fatto salvo questo, noi dobbiamo, in armonia con la Costituzione italiana che noi speriamo si adatti alla nuova scelta federalista, rivendicare questo. Allora, qual è il punto che noi dovremmo porci oggi? E, come diceva chi mi ha preceduto, i limiti, che cosa intendiamo per sovranità, dove valichiamo la sovranità nostra e andiamo a inficiare, invece, uno Stato, sul quale noi crediamo, che abbiamo contribuito a crescere, abbiamo contribuito a formare, l'Italia, ma che oggi sta cambiando e quindi deve essere permesso anche a noi di cambiare, esattamente come recita il diritto internazionale, che dice: "Noi desideriamo un regime politico interno ed esterno senza ingerenza esterna, e proseguire come desideriamo il nostro sviluppo politico, economico, sociale e culturale". E' una scelta decisiva quella che stiamo per praticare, e io mi rivolgo quindi non soltanto ai rappresentanti politici, ma ai rappresentanti dell'economia, ai rappresentanti delle associazioni. Tutti voi dovrete essere protagonisti, ma se vogliamo andare avanti dobbiamo mettere da parte gli schieramenti politici, gli ideologismi, quello statalismo che ancora permea alcune delle nostre organizzazioni. Noi abbiamo bisogno di due cose fondamentali, che molto spesso abbiamo dimenticato, dobbiamo cercare di difendere, raggiungere e mantenere unità, e, se mi permettete, coraggio. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rettore dell'Università di Sassari, Mastino.

MASTINO, rettore dell'Università di Sassari. Porto anche il saluto del Rettore dell'Università di Cagliari, professor Giovanni Melis. Le due Università della Sardegna apprezzano l'invito rivolto dalla Presidente, onorevole Claudia Lombardo, e colgono l'occasione per ricordare che gli Atenei costituiscono una risorsa per la Sardegna, e sentono forte una responsabilità, quella di concorrere ai processi di innovazione, di internazionalizzazione e di sviluppo della nostra Isola, soprattutto in un momento di crisi e di difficoltà che impone un percorso di riforma profondo in quella che appare una fase nuova, costituente, della nostra storia, fondata sulla diversità, sull'identità, sulla differenza. E ciò anche all'indomani dell'adozione, da parte del Governo, di severe misure per il risanamento del bilancio dello Stato, che hanno avuto come conseguenza il trasferimento consistente di risorse dalle Università del Mezzogiorno e delle isole alle Università del Settentrione, sulla base di indicatori che non tengono conto degli specifici svantaggi legati all'insularità, all'isolamento, alla bassa densità demografica, alla desertificazione del territorio, alla povertà del tessuto produttivo, sostanzialmente ai problemi che si sviluppano in questi giorni, tra Porto Torres, Ottana, Carbonia.

In questo quadro di federalismo fiscale distorto, abbiamo trovato la solidarietà della Regione sarda. Le Università vogliono aprire e non chiudere la Sardegna, richiamano però le radici e le esperienze dei padri dell'autonomia, ai quali riconosciamo una profondità e un rigore che vanno ben oltre la superficialità di alcune teorie federalistiche oggi praticate e fondate su egoismi e sull'incapacità di farsi carico dei problemi degli altri. L'Università sente profondamente di essere al servizio dell'isola, con idee, ricerche, tecnologie, responsabilità, valorizzando l'identità locale, contribuendo alla crescita delle strutture produttive all'interno del circuito virtuoso della nuova economia della conoscenza, con attenzione al capitale fisico, al capitale sociale, al capitale umano, in particolare nell'ambito di quella che ormai è diventata, accanto alla formazione, accanto alla ricerca, la terza missione a favore del territorio, sul piano tecnologico, sanitario, economico, sociale e culturale, che deve convergere in un'azione unitaria. Vorremmo costruire due Atenei europei di qualità, capaci di misurarsi in un confronto internazionale, fortemente radicati in una Sardegna che non tradisca la propria originale identità.

Non vogliamo, peraltro, mancare di intervenire sul tema che il Consiglio regionale ha posto oggi all'ordine del giorno. In proposito, crediamo opportuno impiegare il breve tempo a disposizione, in questo primo incontro tra rappresentanti delle istituzioni civili sarde, per concorrere, non tanto a un lamento giusto, ma risaputo, per le inadempienze o le ingiustizie dello Stato italiano, il cui elenco è noto, vorremmo invece contribuire alla riflessione sulla riforma statutaria, iniziata in Sardegna ormai da lungo tempo, con alcune considerazioni su tre aspetti essenziali di un dibattito costruttivo: la necessità della chiarezza terminologica, politica e scientifica sulle soluzioni istituzionali, la cui insufficienza ha talora inficiato il dibattito collettivo. I due Atenei confermano l'interesse per accompagnare la discussione sui temi statutari, a sessantadue anni dallo Statuto dell'autonomia, in questa nuova fase del dibattito federale nella quale la Sardegna entra con la sua storia, la sua dignità, la sua dimensione nazionale, riconosciuta non soltanto in età preistorica, in età antica e in età medievale, ma ancora oggi. Il primo aspetto essenziale concerne dunque la chiarezza del lessico politico-scientifico. Sono almeno due decadi che, in Sardegna, la riforma dello Statuto è stata posta al centro del dibattito politico come snodo imprescindibile e prioritario di tutta la vita politica regionale. Eppure, proprio l'espressione "riforma dello Statuto regionale" è stata oggetto di equivoco. Sia gli esponenti delle istituzioni sia i giuristi universitari parlano di riforma dello Statuto sardo, intendendo piuttosto riforma della Costituzione italiana. Propongono, pertanto, non la riforma della forma di governo della Regione sarda, ma la riforma della forma di governo dello Stato italiano, la quale rischia di travalicare la responsabilità regionale, in quanto su di essa i sardi potrebbero avere soltanto un potere di formulare proposte. Noi non rinunciamo a farlo, certamente come cittadini, perché siamo certi che non bisogna aspettare concessioni dall'alto. Contestualmente e corrispondentemente, la riforma della forma di governo regionale è chiamata, non riforma dello Statuto, ma, con espressione assolutamente riduttiva, riforma della legge statutaria. Di fatto, però, la questione di come si autogoverna la Sardegna è quella sulla quale abbiamo il potere e il dovere, ossia l'autonomia, e quindi la responsabilità di decidere. La prima conseguenza della chiarezza terminologica sarebbe dunque quella che noi cittadini sardi ci mobilitassimo, non tanto sulla riforma costituzionale della forma di governo statale, ma sulla riforma statutaria, ossia sulla riforma della forma di governo regionale, che costituisce l'essenza e l'esercizio fondamentale della nostra autonomia, più solida e radicale.

Le due riforme, quella che chiamiamo "riforma dello Statuto sardo", che è una riforma della Costituzione italiana, e quella che chiamiamo "riforma della legge statutaria", che è la riforma dello Statuto, debbono comunque costituire le parti di un disegno riformatore unico, ispirato a un progetto comune che presieda a entrambe e al complesso delle azioni riformatrici. Ma è soprattutto su quest'ultima che dovrebbe concentrarsi la nostra attenzione, applicando innanzitutto nel governo regionale un federalismo opposto a ogni centralismo esasperato, e, anzi, tale da restituire al popolo sardo ogni potere nella sua propria regione, nella sua propria casa. E' in tal senso che la riforma della legge statutaria non può essere un'occasione mancata.

Il terzo aspetto essenziale concerne la necessità, reclamata da tempo dalla dottrina giuridica, di ricordare la dialettica che è alla radice del costituzionalismo contemporaneo, che pertanto investe anche la "riforma dello Statuto", ossia il federalismo. Questa nozione non coincide con la sola concezione di ascendenza nordamericana, che risale alla Convenzione di Filadelfia del 1787: entro tale prospettiva il federalismo consiste essenzialmente nella divisione delle competenze, sul piano verticale, e nella divisione delle comunità locali, sul piano orizzontale. Si tratta di una concezione - definita criticamente riproduttiva, ad esempio da un'ala consistente degli autonomisti della Corsica - che in Italia è stata rilanciata soprattutto dal partito leghista, che ne è diventato il massimo propositore. Può darsi che, in tempi brevi, le regioni del nord-Italia possano lucrare vantaggi da tale specifico federalismo divisionista, certamente a scapito delle altre regioni, tra le quali la Sardegna. Comunque, se nelle rivendicazioni nordiste di questo federalismo può essere ravvisata una convenienza, sia pure discutibile e di fiato corto, noi ne saremmo invece esclusivamente le vittime. Eppure, esiste un'altra tradizione federativa, che è stata definita "societaria", molto più consistente e articolata di quella inventata nella colonia anglosassone d'America, sia sul piano delle esperienze applicative, sia sul piano dell'elaborazione teorica. Si tratta, in questo caso, di una tradizione federativa di ascendenza mediterranea, prima di divenire europea-continentale, che è come tale a noi più congeniale. Penso ai koiná della tradizione greca, penso alla societas di societates civium romanorum romana in una prospettiva municipale e penso alle rispettive dottrine politiche e giuridiche. Prosegue con l'esperienza medievale e moderna delle leghe intercomunali, con la dottrina di Tommaso e di Althusius; è fondamentale nelle proposizioni del diciottesimo secolo, come nel Projet de constitution pour la Corse del Rousseau, che costituiscono l'anima democratica della grande rivoluzione; giunge a innervare parte del pensiero socialista europeo, in particolare del Risorgimento. Su di essa si innesta o di essa è parte la dottrina sociale della chiesa, di cui è espressione significativa il principio di sussidiarietà, principio recentemente riscoperto ma che rischiamo già di storpiare o di annullare proprio inserendolo dentro la logica estranea e anzi opposta del federalismo centralista e divisionista.

Inoltre, sempre recentemente, la dottrina economica ha scoperto che questa tradizione federativa ha una grande forza di sviluppo socio-economico perché ricca di un capitale sociale consistente nelle specifiche relazioni interpersonali proprie delle autonomie locali (si veda Robert Putnam, La tradizione civica delle regioni italiane, Milano 2000, e Capitale sociale e individualismo. Crisi e crescita della cultura civica in America). E' questa tradizione che ci offre la possibilità di una riforma federativa autenticamente iscritta nella nostra storia. Concludo. La legittima aspirazione a una riforma...

Veramente concludo ringraziando e ricordando la disponibilità delle due Università sarde a confrontarsi su questi temi con viva speranza. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della Confindustria, Putzu.

PUTZU, presidente della Confindustria. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevole Presidente della Regione, onorevoli consiglieri, autorità, signore e signori, ringrazio innanzitutto per l'invito a intervenire a questa riunione degli "stati generali". Essa costituisce sicuramente un'occasione preziosa per portare il punto di vista del mondo economico e sociale direttamente all'interno del Consiglio regionale, ma è anche l'occasione per esprimere il sentimento che in questo momento percorre il corpo sociale e le associazioni che ne interpretano e ne rappresentano gli interessi. Accade raramente e credo sia importante che ciò avvenga in un passaggio particolarmente delicato della vita politica della nostra regione, e se anche oggi si sancisce l'avvio del procedimento di revisione dello Statuto speciale di autonomia spero non sfuggano a nessuno di noi le implicazioni e l'influenza che l'attuale situazione della politica sarda ha nel determinare il percorso che intendiamo seguire e gli obiettivi da perseguire. Dico questo perché abbiamo ripetutamente manifestato la stanchezza delle imprese e dei cittadini di fronte a una politica che non sembra in grado di affrontare e risolvere i problemi veri della nostra regione. Di una politica che appare lontana dai bisogni reali, in difficoltà nel governare le incognite del presente, di fare riforme vere, volte a dare competitività al nostro sistema economico e sociale, di mettere a punto politiche, programmi e attuare interventi concreti ed efficaci per lo sviluppo della nostra isola, di ottenere dal Governo nazionale quanto dovuto, di realizzare infrastrutture, migliorare i servizi pubblici, semplificare la vita di tutti noi. Non sappiamo se la colpa sia da ricercare in uno Statuto ormai sorpassato o inadeguato ai cambiamenti intervenuti nel nostro Paese e nel mondo o nella necessità di dare un nuovo assetto istituzionale alla nostra Regione all'interno di uno Stato federale come si sta configurando attualmente. Abbiamo piuttosto l'impressione che si stia cercando di curare la malattia intervenendo sui sintomi. Lo provano i molti studi, da quello de Il Sole 24 Ore a quelli della Commissione europea, che in questi mesi hanno collocato la nostra regione agli ultimi posti tra le regioni europee per quanto riguarda i progressi socioeconomici dell'ultimo decennio e la competitività regionale, per non parlare poi delle nostre risibili performance nel campo dell'istruzione e delle infrastrutture, come è testimoniato dalle statistiche Eurostat, dai risultati dei test INVALSI e OCSE-PISA, e dai dati dell'Istituto Tagliacarne e del Centro studi della Confindustria. Tutte cose che hanno poco o niente a che fare con il nostro assetto istituzionale, con vecchi o nuovi patti con lo Stato, con le regole che intendiamo porre alla base del nostro essere sardi, ma che hanno molto a che fare con le politiche perseguite in quest'ultimo decennio e la capacità della politica di saper dare risposte ai problemi presenti e futuri, di essere efficienti, efficaci e responsabili nell'azione di governo. Lo dico con chiarezza e franchezza, anche a costo di sembrare poco politically correct, perché siamo giunti a un passaggio troppo importante della nostra storia e ogni errore che compiremo graverà come un macigno sulle spalle delle generazioni future. Il rischio che intravediamo come imprenditori è che in questa situazione di confusione si perseguano scelte antistoriche, si stia dietro ad alternative perdenti, cavalcando prospettive federalistiche e nazionalitarie del tutto slegate da un contesto in cui lo sviluppo globale dell'economia, la sua dimensione sovra statuale, come sta dimostrando la gestione della crisi attuale, comportano il declino del modello tradizionale degli Stati. In un momento in cui la Germania ripropone con forza a livello europeo la sovranità ridotta, consapevole che con le sole proprie virtù non si salva né in Europa, né nel mondo, noi qui, in questa piccola isola, pensiamo di poter fare da soli giungendo persino a invocare l'indipendenza. Nessuno mette in dubbio che qualche decisione possa e vada assunta per trovare la nostra collocazione in uno Stato federale e che questo riguardi non solo i nostri rapporti con lo Stato, ma anche la responsabilità interna delle nostre istituzioni regionali e locali per quanto attiene le funzioni e i servizi pubblici loro attribuiti, come anche le regole nelle quali ci dobbiamo riconoscere come popolo. Resta da vedere però se nell'attuale situazione di grande crisi economica, alla quale a nostro parere si è aggiunta anche una emergente difficoltà politica, la modifica dello Statuto costituisca una priorità per questo Consiglio e per questa Giunta, e soprattutto in questo scenario se si sia in grado di portare avanti adeguatamente e compiutamente un compito così impegnativo. Noi pensiamo che in questo momento vi siano emergenze che richiederebbero tutta l'attenzione, le competenze e gli sforzi di cui la nostra classe politica, la nostra società è capace. Forse non sono problemi così alti come la modifica dello Statuto, ma per cittadini e imprese sono molto più urgenti. Mi riferisco, per esempio, alla riduzione della spesa pubblica regionale improduttiva, degli sprechi degli enti inutili legandola a maggiore responsabilità e promuovendo l'uso efficace, efficiente e responsabile delle risorse disponibili, al miglioramento della spesa sanitaria e al suo riequilibrio secondo però principi di equità, produttività e qualificazione del servizio, al potenziamento della ricerca e dell'innovazione, al potenziamento di scuola, università e formazione al fine di accrescere i livelli di istruzione e le competenze di giovani e lavoratori, all'adeguamento delle infrastrutture e al miglioramento nella disponibilità e qualità dei servizi pubblici, al taglio della burocrazia, alla semplificazione e alla riduzione degli oneri burocratici per le imprese, alla promozione di maggiore equità e mobilità sociale.

La Confindustria sarda ha sempre ritenuto che è importante pervenire a un adeguamento dello Statuto, ma come punto di arrivo di un processo di riforme orientate alla crescita e alla competitività del nostro sistema economico sociale. Come imprese riteniamo prioritarie queste riforme, lo ribadisco con forza qui oggi. Esse costituiscono la base fondamentale per essere parte di uno Stato nel quale l'opzione federale non si traduca in un onere e in un ulteriore svantaggio per la nostra regione. Siamo fermamente convinti che solo dopo aver fatto queste riforme e aver finalmente lavorato per dare ai nostri figli una Sardegna nuova e più moderna dovremo riscrivere le regole che serviranno alle generazioni future per continuare ad essere orgogliosi di essere sardi. Hegel, nella fenomenologia dello spirito, affermava che l'impazienza esige l'impossibile, cioè il raggiungimento del fine ma senza i mezzi. Cerchiamo di non farci guidare dall'impazienza, di non fare un nuovo Statuto, una nuova Sardegna, senza avergli dato prima i mezzi per esistere. Grazie.

PRESIDENTE. I lavori si concludono qui, riprenderanno alle ore 16. Il primo iscritto a parlare è il presidente della Api Sarda Italo Senes.

(La seduta, sospesa alle ore 14 e 30, viene ripresa alle ore 16 e 23.)

PRESIDENTE. Prego i colleghi di prendere posto, riprendiamo i nostri lavori.

Ha facoltà di parlare il presidente dell'API Sarda, Senes.

SENES, presidente dell'API Sarda. Gentile Presidente, onorevole Lombardo, onorevoli consiglieri presenti e gentili signori, porto il saluto dell'Associazione delle piccole e medie industrie della Sardegna e il ringraziamento per l'invito a partecipare attivamente in una così importante occasione di confronto e crescita della comunità regionale. La riforma dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna, infatti, è un momento centrale che deve coinvolgere tutta la comunità, in particolare attraverso le sue rappresentanze, ma anche mediante l'attivazione di un dibattito che, in un tempo dato, coinvolga davvero tutta la società sarda. Non mancano oggi le tecnologie per favorire appunto questo confronto, con il quale si potrà favorire anche il raggiungimento di una maggiore coesione sociale della nostra comunità sia al suo interno che in riferimento al contesto nazionale ed europeo.

Ci sono alcune domande dalle quali partire in questo nostro confronto. Innanzitutto, occorre chiedersi perché uno Statuto speciale. La risposta non è scontata, non lo è in particolare per coloro i quali pensano ad una riforma dello Stato in chiave federalista a discapito di ogni forma di specialità o specificità. Diciamo subito che lo Statuto speciale della Sardegna deve essere, come forse non è stato finora appieno, lo strumento di sviluppo dell'identità particolare della Sardegna, del suo popolo, della sua cultura, anche in virtù e a causa della sua insularità, dell'insularità della nostra terra e del conseguente isolamento delle sue comunità. Insularità e isolamento che, attraverso lo Statuto speciale, devono essere superati al fine di favorire una maggior grado di integrazione nella comunità nazionale e nel contesto europeo comunque. In termini molto pratici, tipici degli uomini d'impresa, vogliamo sottolineare che non c'è oggi nel nostro Statuto speciale alcuna norma che preveda una qualche forma di compensazione degli svantaggi strutturali che la Sardegna deve subire sul piano della mobilità, ma anche delle occasioni di confronto e approfondimento culturale, dell'incontro e dell'inclusione sociale, dell'allargamento delle opportunità di scambio commerciale, di integrazione tecnologica, di accesso al mercato finanziario, di formazione delle competenze tecniche e manageriali. In tal senso, si tratta di costruire uno Statuto che trasformi tali svantaggi derivanti dall'insularità in un fattore di sviluppo, riprendendo e approfondendo le motivazioni che sono alla base della dichiarazione relativa alle regioni insulari, allegata al Trattato di Amsterdam del 1997, di cui lo Stato italiano è evidentemente parte contraente. In tale Dichiarazione, infatti, si riconosce che le regioni insulari, a prescindere dalla loro collocazione ultraperiferica e dal livello di popolamento, "soffrono di handicap strutturali", tali da giustificare l'adozione di misure specifiche volte a compensare i condizionamenti che da tali svantaggi derivano. La prospettiva da cui guardare alla riforma dello Statuto speciale, in ogni caso, non deve essere di tipo rivendicativo, bensì sistemico, capace di favorire un processo identitario dinamico. L'autonomia speciale, nel nuovo Stato federale, deve essere strumento di sviluppo economico-sociale e dell'espressione della nostra particolare identità collettiva nell'ambito di un sistema nazionale e europeo.

Una seconda domanda che occorre porsi riguarda la prospettiva di sviluppo da perseguire con il nuovo Statuto speciale della Sardegna. Il contesto in cui vige la nostra magna carta regionale è profondamente mutato, soprattutto negli ultimi dieci anni. In generale, è profondamente mutato il rapporto tra istituzioni e cittadini, divenuto sempre più paritario. La riforma del Titolo V della Costituzione italiana e il sia pur lento procedere dell'unione politica dell'Europa, con il varo del nuovo Trattato dell'Unione, hanno determinato un nuovo ruolo delle Regioni, che sono articolazioni dell'ordinamento giuridico italiano e più in generale europeo, non solo livelli istituzionali a cui decentrare specifiche funzioni amministrative. Il nuovo Statuto speciale deve portare al definitivo varo sostanziale e formale dell'Europa delle regioni. Ciò comporta evidentemente una nuova partecipazione della Regione e della comunità sarda alla vita nazionale ed europea. Si tratta di una partecipazione che deve portare un maggior sviluppo della democrazia in Europa, anche attraverso la tutela e la valorizzazione delle specificità all'interno della nuova Unione a venticinque Stati, e deve determinare lo sviluppo della capacità della Regione sarda nell'attuare la programmazione europea, in particolare nel contesto mediterraneo. A tal proposito, è importante ricordare il nodo critico della partecipazione della Sardegna alla vita delle istituzioni europee: la specificità della nostra comunità deve essere garantita attraverso il riconoscimento dell'Isola quale collegio elettorale europeo. Lo Statuto speciale deve evidentemente orientare in tal senso l'impegno unitario di tutte le forze politiche, economiche, sociali e culturali della comunità regionale.

Una terza domanda riguarda la scelta del tipo di forma di governo della Sardegna, con la conseguente individuazione dei meccanismi elettorali e degli equilibri tra i tre organi: Presidente, Giunta e Consiglio regionale. In termini generali, l'API Sarda considera un valore assoluto la governabilità quale naturale risultato della rappresentatività degli orientamenti ideali e politici di una comunità. Governabilità e rappresentatività sono conciliabili, al di là del tipo di sistema elettorale, nella possibilità di una Giunta e del Presidente di operare in modo snello, trasparente e possibilmente risparmiando risorse da un lato, e nella possibilità per il Consiglio regionale di indirizzare oltre che di controllare e valutare.

La governabilità e la rappresentatività, inoltre, va anche costruita con un rapporto profondo e continuo con chi, fuori dal palazzo, organizza e rappresenta interessi economici, sociali, culturali. E' importante che, come l'Unione europea riconosce necessario, la Regione sarda preveda di concertare con le parti economiche e sociali le politiche economiche e sociali per garantire la più efficace attuazione. Si potrebbero prevedere meccanismi automatici di consultazione, come quelli richiesti dalla programmazione economica unitaria dei livelli comunitario e nazionale. Inoltre, al fine di favorire lo sviluppo della partecipazione trasparente di tutti i cittadini oltre che delle rappresentanze, si dovrebbero prevedere meccanismi di accesso agli atti legislativi e amministrativi in fase di definizione e non solo quando sono stati formalizzati.

Sul piano dei rapporti con le istituzioni locali, lo Statuto dovrebbe prevedere un concreto federalismo interno, con l'individuazione di meccanismi di co-responsabilizzazione degli enti locali rispetto alla attuazione delle politiche nei territori, anche con riferimento alle funzioni di controllo, il Consiglio delle autonomie locali potrebbe avere in tal senso un ruolo consultivo importante al fine di rafforzare l'azione del Consiglio.

A proposito di forma di governo, è importante sottolineare che la trasparenza e l'efficienza dell'azione legislativa ed esecutiva sono assicurate solo dalla attuazione di una precisa normativa inerente l'incompatibilità delle cariche di vario livello istituzionale: è una questione di etica della politica e di apertura alla più ampia partecipazione alla vita istituzionale delle persone provenienti da ogni forma organizzata della vita sociale. Inoltre, sul conflitto di interessi, tema delicatissimo, appare opportuno approfondire il meccanismo di controllo. In generale, per le stesse motivazioni etiche citate a proposito del tema delle incompatibilità, l'API Sarda sostiene che chi assume cariche politiche dovrebbe essere completamente libero da posizioni che potrebbero generare situazioni poco trasparenti. Infine, l'ultima domanda da porsi riguarda gli obiettivi di sviluppo che lo Statuto speciale deve consentire di raggiungere. In altri termini, è necessario chiedersi quale Sardegna vogliamo nei prossimi decenni e quindi quali risorse finanziarie avranno a disposizione la Regione e gli Enti locali per incidere positivamente sulle dinamiche economiche, sociali, culturali, ambientali che caratterizzano e caratterizzeranno la comunità sarda.

Su questo punto, più che su altri, è evidente quanto la riforma dello Statuto sardo si intreccia con la prossima istituzione del federalismo fiscale in Italia e sugli effetti che ciò avrà sulle entrate.

Ebbene, l'API sottolinea quanto sia importante difendere strenuamente quanto conquistato da tutta la comunità regionale a partire dal 2006. Appare incredibile che oggi ciò venga messo in discussione, in particolare perché si tratta di un sostanziale riequilibrio rispetto a quanto da molto tempo ottenuto da altre Regioni a Statuto speciale.

Al tempo stesso, questa deve essere la stagione del rilancio della capacità amministrativa da parte della Regione e degli Enti locali in Sardegna, sia sul versante della programmazione che soprattutto della gestione delle politiche per lo sviluppo. Accanto al confronto nazionale, anche aspro, circa gli standard di spesa per il servizio ci deve essere un concreto investimento nella direzione della responsabilizzazione e della maggiore produttività di tutti gli organi e degli uffici pubblici. La correlazione diretta tra la raccolta del gettito tributario e fiscale da un lato e la gestione delle risorse pubbliche dall'altro, che l'API Sarda valuta positivamente, contribuirà certamente a rendere più trasparente ed efficiente la spesa delle risorse finanziarie. In tal senso il federalismo fiscale è da considerarsi una opportunità. Tuttavia, è decisivo - sto per finire, grazie - il rispetto dell'articolo 8 dello Statuto speciale della Sardegna da parte del Governo nazionale per quanto riguarda il passato ed è altrettanto fondamentale per il futuro che la raccolta tributaria e fiscale siano effettuate direttamente da organismi regionali o almeno in parte locali, attraverso la cui operatività sarà anche possibile limitare l'evasione fiscale, uno dei cancri dell'economia regionale e nazionale. Queste sono le riflessioni che porto alla vostra attenzione. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare per il Consiglio delle Autonomie locali il sindaco di Cagliari, Floris.

FLORIS, sindaco di Cagliari. Per il sindaco della città capoluogo intervenire per conto del Consiglio delle autonomie locali è un po' arduo, vedrò di cimentarmi in questo esercizio. Un saluto al Presidente del Consiglio, l'avrei voluto fare anche al Presidente della Giunta ma evidentemente è occupato, ai consiglieri e ai sindaci, alle autorità locali e alle forze sociali presenti. Prendiamo parte a questi lavori sapendo che una priorità assoluta esiste ed è quella di recuperare il tempo perduto. Il percorso verso una riorganizzazione dello Stato italiano in chiave federalista è avviato e vanno trasformandosi radicalmente i rapporti tra Regione e Stato e tra enti locali, Regione e Stato. In questo contesto, in un movimento veramente rapido, purtroppo dobbiamo constatare che la Sardegna stenta tuttora ad inserirsi nei processi di riforma continuando a segnare il passo. Lo Statuto autonomistico è rimasto pressoché immutato nei suoi 62 anni di vita a fronte di cambiamenti epocali, cito solamente la globalizzazione dell'economia, l'accorciamento delle distanze da un capo all'altro del pianeta reso possibile anche dall'avvento di Internet e dalle moderne tecnologie. Per contro non abbiamo del tutto superato alcuni gravi gap infrastrutturali mentre la nostra economia continua ad essere fortemente condizionata dalla condizione di insularità alimentando una ormai storica questione sarda. Pochi in questi anni gli esempi di spinte verso l'innovazione, tra questi figura senz'altro la nascita cinque anni or sono del Consiglio delle autonomie locali, uno strumento fortemente voluto da molti sindaci, Presidenti di provincia e amministratori locali che hanno ottenuto di essere coinvolti e di poter partecipare concretamente alla stesura dei procedimenti legislativi e amministrativi che riguardano i territori da loro governati, consapevoli di dover insistere su questa strada. Tutte le forze politiche concordano sulla necessità di mettere mano alle riforme che risultano propedeutiche alla soluzione della stragrande maggioranza delle questioni più urgenti della Sardegna, emergenza economica, emergenza dell'occupazione, servizi e tutela sociale. E' dunque giunto il momento di passare dall'enunciazione alla concretezza, dal metodo che deve essere ormai impostato sulla concertazione, e ringrazio per questo la convocazione degli "stati generali" della Sardegna, e immagino, auspico e spero che non sia l'unico incontro con chi dovrà poi scrivere il nuovo Statuto, alla massima partecipazione popolare come metodo, al contenuto se non vogliamo restare ancorati a poteri e funzioni datate. Dobbiamo riformulare lo Statuto di autonomia con l'impegno della società regionale nel suo complesso indicando le motivazioni della riscrittura, le esperienze e i risultati conseguiti, le lacune esistenti e le speranze future. Ci agevola il fatto che la legge costituzionale numero 2 del 2001 è intervenuta ad estendere alle Regioni a Statuto speciale la riforma varata per quelle ordinarie, legge numero 1 del 1999 che ha devoluto a queste la potestà statutaria. Essa ha abrogato parte dello Statuto concernente la formula di governo e l'elezione del Consiglio ed ampliato le competenze in materia di potestà legislativa. Inoltre ha sancito che in attesa di modifica degli Statuti speciali le Regioni a Statuto speciale possano usufruire della più ampia autonomia riservata alle Regioni a Statuto ordinario, perciò se pure non fossimo convinti della necessità di modificare il nostro Statuto, la nuova legislazione nazionale ci costringerebbe comunque a farlo. Tuttavia ritengo che prima di sederci al tavolo della trattativa per il federalismo fiscale dobbiamo sostenere con forza che accanto al nuovo rapporto tra Stato e Regioni devono essere tenuti nel dovuto conto i compiti, le funzioni e le competenze degli enti locali: Province, Comuni, Città metropolitane, che grazie alle modifiche del titolo V della Costituzione sono state sottratte ad un ruolo di subalternità e consegnate ad un sistema di istituzioni equiordinate, alle quali è riconosciuta pari dignità istituzionale, vera autonomia di gestione, reale autosufficienza finanziaria, in definitiva pari rango rispetto alle Regioni e allo stesso Stato centrale. Dobbiamo quindi metterci al lavoro con convinzione, auspicando assoluta considerazione per i principi cardine della sussidiarietà e della solidarietà. Da una parte quindi il principio di sussidiarietà, che avvicina il livello decisionale al cittadino, primo destinatario dei servizi e dei risultati della gestione della cosa pubblica, imponendo che laddove le energie vitali della società provvedano alla propria organizzazione e alla soluzione dei problemi non ci sia sovrapposizione o concorrenza da parte delle pubbliche istituzioni. E dall'altro lato, accanto alla sussidiarietà, l'irrinunciabile criterio della solidarietà che può garantire una crescita armonica, equilibrata, giusta ed equa della società italiana in tutte le sue espressioni e in tutte le sue realtà. Se pienamente riconosciute, sussidiarietà e solidarietà, sono in grado di restituire il pieno significato di diritto di cittadinanza di tutti gli italiani, di cui parlava stamattina la dottoressa Ticca. Credo che questi principi possano essere facilmente coniugati ed inseriti a pieno titolo nella nuova Carta costituzionale, nel nuovo Statuto della Sardegna, che mi auguro possa vedere la luce in tempi brevi. E se è vero che la Sardegna si appella alla solidarietà per non soccombere dinanzi a realtà regionali più agguerrite, è altrettanto vero che al suo interno le aree più forti, che coincidono con quelle costiere, devono solidarizzare e armonizzare i propri interessi a quelli delle aree interne. Dal '48 ad oggi la realtà della nostra Isola è notevolmente cambiata, esistono nuove realtà, nuovi processi sociali, nuovi problemi, che hanno la necessità di essere affrontati con metodi nuovi. Penso innanzitutto alle realtà metropolitane, quali quella in cui opero, ai processi di inurbamento, alla mobilità di grandi masse di cittadini, alla gestione di servizi che non si limitano alla popolazione residente, alla sempre più evidente carenza di infrastrutture adeguate. Penso alla necessità di mettere a fuoco, una volta per tutte, che la competitività non interessa alle singole città in quanto tali, piuttosto alle realtà metropolitane, ovvero anche all'unione dei comuni. Perciò la governance deve riguardare da un lato l'accorpamento delle aree che così facendo possono sviluppare e difendere meglio gli interessi comuni, e dall'altro il confronto con le realtà direttamente concorrenti, sia in campo nazionale, sia in ambito internazionale. Per questo credo importante ed opportuno prevedere che nel nuovo ordinamento il riconoscimento delle realtà metropolitane, dell'unione dei comuni, ed un rapporto nuovo tra Assemblee consiliari e Governi della città della nostra Regione siano assolutamente imprescindibili: la piena attuazione del principio di autonomia finanziaria degli enti locali e territoriali, pur all'interno di un equilibrato quadro di unione, determinato da regole comuni; l'istituzione di un fondo di perequazione, o solidarietà, comunque lo si voglia chiamare, capace di fronteggiare e porre rimedio alle diseguaglianze di situazioni e realtà territoriali oggi presenti nella nostra Isola. Infine occorrono regole, meccanismi di maggiore chiarezza e trasparenza del ruolo delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei cittadini ed elettori, che devono essere messi nella condizione di vedere, capire, intervenire attivamente nella gestione della cosa pubblica, avere a che fare con una legislazione chiara e trasparente. Dobbiamo farlo avendo cura di difendere e valorizzare al meglio le nostre peculiarità, facendo della nostra lingua, della nostra cultura, del nostro ambiente, i motivi e gli artefici fondamentali del nostro successo. Mi rendo conto che la riscrittura dello Statuto sarà un lavoro delicato e difficile, e che c'è l'esigenza di fare presto e bene, ma dobbiamo far sì che la Regione, a cui questo delicato compito è affidato, tenga conto di tutte le componenti istituzionali della Sardegna in modo da poter accogliere e valutare tutte le proposte, per trasformarle in un articolato di legge fortemente condiviso. Grazie Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente dell'Unioncamere, Sini.

SINI, presidente dell'Unioncamere. Signora Presidente, signori consiglieri, nel ringraziare per questa occasione, e pur sapendo che molte cose che verranno dette adesso, anche da me, saranno magari ripetitive rispetto a tante altre che abbiamo sentito prima, e molto importanti, voglio subito sgombrare il campo, e dire che sicuramente anche se noi non riteniamo una priorità eccezionale il discorso riguardante lo Statuto, però è una delle priorità. Se questo non fosse stato non sarei stato qui oggi a portare il pensiero del sistema camerale. Riteniamo che sia una priorità perché, nel momento in cui si stanno riscrivendo le regole dello stare insieme, di un mondo che ha sempre più difficoltà anche a riconoscersi e ad adeguarsi nei suoi mutamenti, non possiamo noi stare fermi con lo Statuto del '48. E' anche vero però che riteniamo fondamentale che le altre priorità non siano messe da parte, e quindi esistono due organi fondamentali. Il Consiglio può tranquillamente lavorare, pensiamo, su un argomento importante come quello dello Statuto. E' indubbio che la Giunta, che ci auguriamo riempia in fretta queste sedie, ma soprattutto le riempia di contenuti e di un'azione più incisiva e più forte in un momento difficile come questo, può lavorare a tutte le priorità, che anche in interventi precedenti abbiamo sentito, e che quindi oggi non sto qui a ripetere.

L'unica cosa che voglio dire è che io ultimamente sento il peso sulle mie spalle di una responsabilità sempre più grande, sono convinto che tutti quelli che sono in questa sala lo sentono sempre più pesante, ognuno con il suo diverso ruolo, che sia un amministratore di un ente locale, che sia un amministratore di autonomia funzionale, che sia un Presidente di autonomia sociale, che sia un consigliere, ci auguriamo a breve che sia un componente di Giunta, io penso che il peso stia sempre diventando più pesante, l'unico sistema per riuscire a renderlo più leggero è fare in modo che finalmente questo possa essere veramente suddiviso su più spalle. Però molto spesso i giochi, anche dei protagonismi, o i giochi degli ostacoli, sono quelli che poi ci riportano forse a leggere invece un paese che non si è distaccato molto dal "Paese d'ombre" di Dessì. Le luci che stiamo vedendo in questo periodo non sappiamo se sono luci dell'alba o del tramonto, purtroppo qualche volta sembrano più del crepuscolo, però qualche volta ci confondono, siamo convinti che quello sia un inizio, invece molto probabilmente è una fine. E allora abbiamo bisogno di chiarire, e chiarirci soprattutto sulle carte che danno il via a tanti altri comportamenti e tanti atti. E allora, brevemente, prima dei contenuti vorrei parlare del valore di questo Statuto, del valore che ha avuto. Anche oggi si è sentito, è uno Statuto che era molto più debole rispetto a quello che ci si aspettava, e forse non è stato lo Statuto giusto per consentirci una crescita adeguata, uno sviluppo adeguato. È indubbio però forse che se lo strumento non era eccezionale, magari anche noi, nelle sue parti in cui era buono, non siamo stati bravi ad utilizzarlo. Allora anche un'analisi critica dell'utilizzo, perché poi potremmo anche avere una macchina migliore, ma se non sappiamo guidarla diventerà sempre una corsa di 3ª o 4ª fila. Lo Statuto dev'essere una dichiarazione di principi, ma una dichiarazione di principi che indirizzi tutti i nostri atti, quindi poi anche gli altri atti susseguenti che si faranno anche all'interno di questo Consiglio, e che assegni una meta comune, deve essere la trasposizione in lettere di un idem sentire, che è anche difficile da trovare in questo periodo, dove ci contrapponiamo politicamente, territorialmente, economicamente e qualche volta anche associativamente. Allora lo Statuto deve anche aiutarci a far venire fuori questo idem sentire per riuscire ad eliminare le contrapposizioni e farle vedere come un unicum invece. E quindi, anche se ne vedo i rischi e le difficoltà, io penso che ci voglia un momento costituente allargato. Un momento costituente allargato che chieda a tutti noi di recuperare il cuore che c'era nel '48, perché mi sembra che a questo momento costituente ci stiamo avvicinando più col cervello che con il cuore. Allora, che recuperi anche il cuore del '48 aggiungendo sicuramente alcune componenti di razionalità che adesso sono assolutamente imprescindibili. Se questo figlio deve nascere io vorrei che fosse un figlio frutto d'amore, un figlio voluto, un figlio desiderato e non che venga fuori invece da un semplice dovere coniugale. Forse sbaglio, non lo so, però io sono convinto che di fronte ad un mondo che si sta disgregando e riaggregando con velocità disarmanti, dove i confini territoriali stanno perdendo significato a favore dei distretti e degli interessi, dove le ripartizioni burocratiche o amministrative vengono superate invece da quelle di tipo funzionale, allora bisogna che noi su questo cerchiamo di valorizzare le funzioni, che sono la cosa più importante per la soluzione degli interessi e la partecipazione alla governance della nostra vita del sistema regionale. Uno Statuto che sappia integrarsi con l'Europa delle regioni, con l'Europa delle nazioni, ma anche con l'Europa delle funzioni e delle autonomie. Chiediamo che in questo Statuto venga sancito sicuramente con un affrancamento dal centralismo statale ma, sicuramente anche da qualsiasi altro tipo di centralismo, quindi anche un affrancamento interno da qualsiasi altro tipo di centralismo.

I punti che sono di nostro interesse: prevedere e anche finalmente trovare un senso europeo all'interno di questo Statuto, ma anche questa è una cosa che io ribadisco, ma è stata detta più volte, anche perché noi dobbiamo ragionare forse in termini di regioni europee, penso forse ad una Sardegna che può guardare ad una regione come la Catalogna in maniera più semplice di quanto possa guardare insieme al Molise. Quindi, anche rispetto all'interlocuzione del futuro noi dovremo guardare ad un senso più europeo che non statale. Prevedere quali saranno le conseguenze del federalismo, questo deve essere presente nello Statuto, puntare alla centralità dell'individuo nella sua crescita singola e associata, centralità del lavoro e dell'impresa perché per noi il lavoro e l'impresa sono un elemento inscindibile, lavora chi lavora dentro un'impresa ma lavora anche l'imprenditore che in quell'impresa - perché da noi è soprattutto micro impresa - presta la sua opera. Per esempio: se prendiamo lo Small Business Act, dentro lo Small Business Act noi troviamo dei principi che potrebbero essere sanciti, soprattutto nel rapporto con la Pubblica Amministrazione all'interno della Carta statutaria, soprattutto in direzione di quelle micro imprese di cui noi siamo portatori. Identità e peculiarità insulare devono diventare un valore aggiunto, ma su questo bisogna fare una riflessione seria perché purtroppo molto spesso le subiamo invece che renderle valore aggiunto. Guardare alla nostra centralità mediterranea, com'è vero che dobbiamo guardare verso l'Europa, dobbiamo però anche recuperare il nostro ruolo importante dovuto alla logistica e al posizionamento nel Mediterraneo. Devono riconoscersi dei corpi intermedi nei processi di governance e obbligarsi, attraverso norma statutaria, a momenti di ascolto e di azione comune. Oggi è una bella giornata, è sicuramente una giornata bella ma forse ce ne vorrebbero di più per provare a dividerci meglio quel carico sulle spalle. Il nemico di uno Statuto fatto bene non è più quella oligarchia federata di cui parlava Lussu, purtroppo il nemico adesso possono diventare le autarchie impazzite dei tanti indipendentismi che stanno scoppiando un po' dappertutto. Solo se noi interpreteremo le nostre reali ragioni storiche, culturali, geografiche e le interpreteremo però anche in chiave futura, in chiave moderna e in chiave anche dei nuovi interlocutori che sicuramente non è più solo lo Stato, in sintonia con tutti i processi mondiali, solo così potremo evitare di indossare, come è successo precedentemente, un panno che forse era del fratello maggiore, se la volta precedente era la Sicilia non vorremmo dovere indossare magari un panno costruito sull'autonomia degli altri territori come ad esempio la Padania.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della Lega cooperative, Carta.

CARTA, presidente della Lega cooperative. Presidente, noi crediamo che il coinvolgimento delle parti sociali, che avviene attraverso questi "stati generali" sia un buon inizio per avviare una discussione approfondita sul cambiamento per le modifiche che è necessario apportare allo Statuto.

E' un buon inizio perché credo che una discussione di questa natura, una modifica così importante non possa che vedere coinvolte in maniera fortemente unitaria il popolo sardo attraverso le sue rappresentanze. Le sue rappresentanze che sono quelle politiche, il Consiglio regionale ma anche quelle che rappresentano le forze sociali, i sindacati e le associazioni di categoria ecco, io credo che il punto vero sia quello che dobbiamo decidere noi, il nostro destino. Dobbiamo essere noi cioè a scrivere lo Statuto, al di là delle considerazioni che comunque bisogna tenere presenti e vanno fatte rispetto a meccanismi legislativi che prevedono appunto la scrittura dello Statuto e il confronto con lo Stato. Io dico subito, per entrare nel merito.

Mi voglio soffermare su tre questioni: la prima questione che riguarda i principi, uno dei principi sui quali bisognerà lavorare, perché lo accennava ora Gavino Sini che mi ha appena preceduto, la questione della collocazione della Sardegna nel Mediterraneo, io credo che sia una di quelle questioni ovviamente che mancava quando lo Statuto fu scritto ma che oggi è diventata una questione centrale. Non è un caso per esempio che la Regione Sardegna sia diventata l'autorità di gestione dei fondi di riempimento per i rapporti tra le imprese del nord dell'Europa e le imprese del sud dell'Europa, cioè del Mediterraneo. Quindi questo ruolo di cerniera all'interno del Mediterraneo, la possibilità che abbiamo di guardare ad un continente che poi può diventare anche per noi, anche per le nostre imprese, un luogo di crescita e di sviluppo e può essere un motore per lo sviluppo, credo che vada collocato all'interno dei principi, come uno degli scopi per i quale noi ci impegniamo a lavorare.

Seconda questione, molto rapidamente. Io credo che il problema dei problemi con il quale oggi dobbiamo fare i conti sia la profondità della crisi che stiamo attraversando (veniva accennato da tanti interventi stamattina); non starò a citare tutti i dati di questa crisi che credo siano ben noti a tutti, una crisi che ormai colpisce tutti i settori, dall'industria alle costruzioni, all'agricoltura, al terziario il risultato che migliaia di lavoratori si trova a fare i conti con il sussidio della cassa integrazione e il tasso di disoccupazione ci colloca al penultimo posto delle regioni italiane. Aggiungo, quasi un giovane su due è senza lavoro e quel che è peggio sono giovani che non hanno neanche la prospettiva di trovare a breve un'attività lavorativa. Alla lunga io credo che questo stato di cose non potrà che produrre un precipitoso salto all'indietro delle condizioni di vita di una parte consistente della popolazione, cosa che peraltro sta già avvenendo. Non c'è bisogno di essere profeti per capire che quando questo avviene, purtroppo sta avvenendo, e quando avviene è duramente colpita la stessa dignità di una persona, la reazione di quella persona non può essere sempre la rassegnazione, il rischio è che si vada incontro a tensioni sociali sempre più forti ed insostenibili. Con questo contesto noi dobbiamo tutti fare i conti e a questa situazione dobbiamo dare risposte efficaci ed urgenti. Occorre quindi, a nostro giudizio, un impegno forte e unitario di tutte le forze sociali della Sardegna e un impegno ancora più forte del Consiglio regionale che è la massima espressione del popolo sardo. Oggi ripensare ed attuare un nuovo modello di sviluppo dell'Isola, sostenibile, in grado di rimettere in piedi il futuro dell'economia dell'Isola. Non c'è futuro se non si programma e sostiene l'economia, anche con incentivi economici mirati allo sviluppo dell'imprenditoria sarda, perché poi è l'imprenditoria che assicura l'occupazione. Qui viene la grande questione, la seconda questione che volevo affrontare, che va immediatamente sciolta, e cioè quella delle disponibilità economiche, delle disponibilità autonome della Regione per sostenere la ripresa. Il nodo delle disponibilità delle risorse sarà una delle principali questioni, se non la principale addirittura, che noi dobbiamo affrontare. Il confronto con lo Stato si intreccia, è del tutto evidente, in maniera forte con gli atti legislativi conseguenti sul federalismo fiscale. La riscrittura dell'articolo 8 dello Statuto che dovrà fissare i paletti della certezza delle entrate della Regione, potrà definire la quantità delle risorse disponibili autonomamente per intervenire a sostegno della ripresa e dello sviluppo imprenditoriale, non è e non sarà un obiettivo che si può raggiungere con incontri tra Ministri del Governo e Assessori regionali, né tantomeno con più o meno credibili scambi epistolari. Deve essere un obiettivo da conseguire con il sostegno unitario delle forze sociali ed economiche e con le rappresentanze politiche del popolo sardo perché ne va del nostro futuro. Non si fanno le nozze con i fichi secchi, senza soldi non si fa né programmazione, né sviluppo, si tratta quindi di ridisegnare un assetto federale dello Stato e fare questo comporta l'esigenza di un rapporto perequato e solidaristico tra Stato e Regioni e tra le singole Regioni. Tuttavia il livello attuale di discussione sulla riforma federalista dello Stato non è privo di contraddizioni né di tentazioni contrarie ai principi di perequazione e solidarietà, e per questo la riscrittura dello Statuto, la ridefinizione dell'articolo 8, l'attuazione del federalismo deve essere frutto di un lavoro fortemente unitario, al cui capo si deve porre il Consiglio regionale per affermare una autonomia più ampia e più forte della Sardegna. Il movimento cooperativo, la mia organizzazione, noi insomma, siamo pronti a fare la nostra parte, vogliamo contribuire attivamente all'interno di questo disegno, e tuttavia - e qui vengo all'ultima questione e chiudo rapidamente l'intervento - io voglio sottolineare che nella scrittura dello Statuto la cooperazione deve finalmente trovare una collocazione adeguata, e la Regione autonoma della Sardegna può e deve rivendicare le competenze primarie delle funzioni di vigilanza del sistema cooperativo, né più e né meno come hanno fatto altre Regioni, sia a Statuto speciale che a Statuto ordinario. Noi lo chiediamo per quello che rappresentiamo in Sardegna, utilizzo questa tribuna per ricordarlo a tutto il Consiglio: 4000 cooperative, 280 mila soci, 35.000 lavoratori tra soci e dipendenti e un volume d'affari complessivo di oltre 3 miliardi; ebbene, tutto questo si traduce anche in interi settori produttivi e nel terziario che stanno in piedi perché sta in piedi il sistema cooperativo, dall'agroindustria alla pesca, ai servizi sociosanitari e via di questo passo. Però, anche in presenza di una crisi profonda, come quella che ho descritto prima, il sistema cooperativo finora ha sostanzialmente retto, con un ricorso limitatissimo alla cassa integrazione in deroga, e nessuna cooperativa, dico nessuna, è scappata, nessuna a delocalizzato, come si usa fare oggi; in ogni cooperativa che ha dovuto fare i conti con questa crisi ogni socio ha rinunciato a parte più o meno consistente della propria retribuzione per poter comunque continuare a garantire il lavoro ai propri soci e ai propri dipendenti. Allo stesso modo, oltre a rappresentare una realtà economica, noi rappresentiamo anche un pezzo significativo della società: io voglio ricordare che non c'è Comune della Sardegna in cui non operi una cooperativa e ci sono Comuni della Sardegna in cui la cooperativa oltre ad essere l'unica realtà produttiva e anche l'unico momento di aggregazione sociale. Lo sottolineo tutto questo perché noi rivendichiamo con forza il diritto ad essere presenti all'interno dello Statuto e di trovare lì dentro il riconoscimento della nostra forza e della nostra capacità, peraltro tutto questo ci è già riconosciuto dalla Costituzione italiana all'articolo 45, e credo che noi arriviamo buoni ultimi a scrivere cose di questo tipo e siamo fra le ultime Regioni d'Italia che ancora non ha provveduto a una legge quadro sulla cooperazione. E aggiungo ancora - e finisco -, lo dicevo anche prima, che riconoscere nello Statuto la cooperazione può trasformarsi per la Regione Sardegna in titolarità del servizio di revisioni e vigilanza, che può assicurare due cose essenzialmente: una lotta efficace al fenomeno della cooperazione spuria, che arreca danni a tutta l'economia per la concorrenza sleale che produce e anche la cattiva immagine che spesso viene data della cooperazione, quando la cooperazione è largamente sana, infine può assicurare alla Regione autonoma entrate che poi possono essere utilizzate ai fini dello sviluppo della cooperazione.

Chiudendo, signor Presidente, a conclusione io mi sento di sottolineare un altro aspetto e cioè che, al di là delle cose che ho detto finora, noi siamo disponibili a discutere tutte le questioni che si dovranno affrontare all'interno di un problema così complesso come quello della riscrittura dello Statuto. Abbiamo l'interesse e la volontà di discutere e di confrontarci con il Consiglio regionale e assicurare a tutte le componenti sociali ed economiche dell'Isola su tutte le questioni che possono in qualunque modo assicurare, attraverso la riscrittura dello Statuto autonomistico, il progresso della società sarda e dell'economia, ivi compresa ad esempio la riforma dell'architettura istituzionale per gli effetti pratici che può avere nello sviluppo della vita democratica della Sardegna. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della Confartigianato, Murgianu.

MURGIANU, presidente di Confartigianato. Presidente Lombardo, io, prima di iniziare, voglio approfittare del fatto probabilmente di essere il più giovane a intervenire oggi, nel dire una cosa che magari un po' tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di dire, e cioè che, per essere l'occasione degli "stati generali", a dire il vero ci aspettavamo una platea un pochino più numerosa. Ovviamente ci rendiamo conto del momento critico che tutti stiamo vivendo - sono minuti molto concitati e attendiamo tutti delle buone notizie, si spera - però ci attendiamo che oggi, ok, è stato il primo momento per la convocazione di questi "stati generali", ci aspettiamo che comunque non sia un evento spot e quindi in futuro di poter partecipare, portando il nostro contributo (che sempre ci sarà quando sarà richiesta in maniera tale però che ci si possa confrontare con una platea un pochino più numerosa e un pochino più attenta.

Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Commissione autonomia, signori consiglieri regionali, signori parlamentari, cari colleghi, la convocazione di oggi per poter discutere di un rinnovato patto di autonomia e delle prospettive del federalismo per la nostra Regione giunge inaspettata, anche se non per questo meno gradita. Di questo ringraziamo il Consiglio regionale che ha compreso come il governo delle istituzioni, nella società complessa ed interdipendente, non può trovare linfa esclusivamente dal passaggio elettorale ma, pur ricevendo da esso la giusta legittimazione democratica, deve nutrirsi giornalmente di un rapporto attivo con la società, cogliendo da essa gli spunti per una migliore gestione di tutte le relazioni. Questo è ciò che correntemente viene individuato con il termine inglese governance. Il rapporto delle istituzioni regionali con la società civile organizzata negli ultimi anni tuttavia ha conosciuto fasi alterne, e non sempre si è percepita da parte delle stesse istituzioni, e più in generale da parte della politica, la convinta necessità di utilizzare il metodo della governance al posto del semplice governo delle cose. Se, alla partenza del dibattito su una rinnovata forma di autonomia, questo è il segnale per scegliere definitivamente e preliminarmente un nuovo modello di partecipazione democratica nella giusta divisione dei ruoli, accogliamo con soddisfazione tale volontà e ci rendiamo fin d'ora disponibili affinché al più presto ciò si possa tramutare in un'idea di autonomia nella quale il popolo nelle sue articolazioni è il centro dell'interesse della politica e soprattutto diventa anche motore attivo e consapevole delle riforme così come dell'azione di governo.

E' con questo spirito e con queste aspettative che il mondo dell'artigianato e della micro e piccola impresa e l'associazione che ho l'onore di rappresentare si affacciano ai prossimi passaggi istituzionali. Il mondo degli artigiani che, oltre a rappresentare una parte rilevante dell'impresa e dell'occupazione regionale - il 28 per cento delle imprese regionali e il 13 per cento degli occupati -, di fatto rappresenta una spina dorsale della società sarda perché generalmente ad ogni impresa artigiana corrisponde un consolidato nucleo familiare, che si sostiene, genera reddito, genera sviluppo ma anche cultura, tradizione ed innovazione: collante territoriale e troppo spesso vero ammortizzatore sociale. E' un processo che tocca direttamente più di 150.000 cittadini sardi che si affacciano con fiducia e qualche preoccupazione alle sfide prossime che attendono la nostra comunità.

Signor Presidente, la concretezza che ci viene richiesta dai nostri imprenditori artigiani ci porta immediatamente a chiederci qual è l'obiettivo di un dibattito su una nuova Carta di autonomia, a cosa e a chi serve questo dibattito. Cogliamo infatti nei documenti presentati finora in Consiglio e nella nutrita discussione degli ultimi giorni numerosi accenni che, anziché spingere ad una riflessione su come una rinnovata autonomia possa portare ad una prospettiva di maggiore sviluppo economico, sociale e culturale della Sardegna, utilizzano parole d'ordine tanto rumorose quanto indefinite. Si è sentito spesso parlare infatti di indipendenza e sovranità, slegate da un concetto di sostenibilità effettiva e di realistica relazione con il sistema istituzionale che ci trova irreversibilmente legati ad un patto di lealtà con la Repubblica italiana e con l'Unione europea. Noi non crediamo che oggi esista un problema di collocazione della Sardegna in questo patto ma piuttosto di un migliore equilibrio dei poteri e delle relative sovranità che in esso sono contenute, affinché la nostra regione possa trarre da esso le migliori occasioni in termini di sviluppo sociale e crescita economica. Non si tratta quindi di avere una supposta indipendenza ma di essere capaci di contrattare una proposta nel contesto nazionale ed europeo e soprattutto di avere opportunità che finora ci sono state negate.

Il popolo della Sardegna - quello attuale e non quello mitologico - attende di poter collaborare ad un'autonomia prima di tutto sostenibile, un'autonomia che abbia le risorse sufficienti per recuperare gli svantaggi. Da questo punto di vista la consapevolezza che oggi la Sardegna spende in servizi pubblici primari il 43,65 per cento in più di quanto produce in termini di entrate erariali ci fa capire che non possiamo vagheggiare d'indipendenza se non inneschiamo processi di sviluppo che ci affranchino dalla dipendenza economica verso Regioni più ricche che di fatto producono le entrate erariali che in parte utilizziamo anche noi.

Il popolo della Sardegna attende di poter collaborare ad una forma di autonomia che sia efficiente ed efficace, un'autonomia dove la prima preoccupazione sia quella di dare la migliore attuazione alle opportunità che già oggi si presentano, un'autonomia che faccia dell'efficienza della pubblica amministrazione il fiore all'occhiello di questa Regione e che intenda la sussidiarietà non tanto in senso verticale come guerra di sovranità tra pubbliche istituzioni, quanto come distribuzione orizzontale delle responsabilità tra pubblico e privato con una partecipazione democratica che stia alla base di qualsiasi processo di sviluppo.

Il popolo e le imprese della Sardegna chiedono di collaborare ad una nuova forma di autonomia dove la Sardegna sia dignitosamente isola sapendo collaborare attivamente nel contesto nazionale ed europeo, una Sardegna che sappia finalmente usare al meglio le copiose risorse dell'Unione europea: 4 miliardi di euro in sette anni e risolva definitivamente i problemi strutturali in termini di infrastrutture, scuola e innovazione che impediscono alle nostre attività di essere competitive.

Il popolo e le imprese della Sardegna chiedono infine che una volta stipulati patti sulle attuali entrate così come sulla prospettiva del nuovo sistema federale, un Governo regionale competente e autorevole che cerca e trova il sostegno della società civile faccia valere le proprie prerogative ai tavoli dove si garantisce il rispetto dei patti stessi. Su quest'idea di autonomia siamo disposti sin d'ora a generare un dibattito e a offrire un sostegno da parte del mondo artigiano e della micro e piccola impresa che comunque come sempre farà la sua concreta parte per lo sviluppo della nostra Isola.

Questa occasione mi sembra appropriata per andare a ricordare una frase ormai celebre di un sardo italiano tra i più eccellenti, Francesco Cossiga che una volta disse: "Sono italiano per volontà come lo sono tutti i sardi, volontà che partendo da uno spirito identitario forte sceglie ed è in grado di decidere, identità che è l'orgoglio di ognuno di noi". Ed è su questa forza che dobbiamo basare la rinascita della nostra economia per rispetto per le nostre famiglie e per il futuro dei nostri giovani. A tutti buon lavoro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente del CREL, Piludu.

PILUDU, presidente del CREL. Devo prima di tutto ringraziare il Presidente del Consiglio regionale per il riconoscimento che ha offerto al consiglio che ho l'onore di presiedere dandoci la possibilità di intervenire. Credo che sia la prima volta e per noi è un intervento importante. Il CREL per la natura specifica che lo contraddistingue e per le funzioni che gli ha attribuito la legge istitutiva è un organismo molto particolare, noi riteniamo che possa fornire un contributo utile sia a questa discussione che a tutte le altre nelle quali il governo della Regione e il Consiglio regionale riterranno di volerci coinvolgere.

Il CREL è l'unico luogo nel quale rappresentanti del sistema datoriale, rappresentanti dei lavoratori, del terzo settore ed esperti nominati dal Consiglio regionale possono confrontarsi e discutere temi di interesse generale senza limitarsi a rappresentare posizioni di organizzazione ma ricercando sempre una sintesi più avanzata, soluzioni più innovative nell'interesse del governo regionale, delle assemblee legislative e in definitiva nell'interesse della Sardegna.

Certo ogni componente del CREL partecipa a quelle riunioni portando la propria esperienza, portando la propria cultura ma il tentativo che nella legislatura precedente e in quella attuale stiamo cercando di porre in essere è quello che ciascuno di noi discute liberamente per cercare le soluzioni migliori nell'interesse della Regione.

E' per questo che pur non avendo ancora certezza di un coinvolgimento da parte Consiglio regionale su questa tematica, il CREL aveva già deciso di inserire il tema del federalismo, della revisione dello Statuto speciale della Sardegna e del federalismo interno tra quelli da affrontare in maniera prioritaria assegnandolo per competenza alla seconda Commissione.

Il CREL si è insediato a luglio del 2009 in tempi brevi quindi non hanno consentito un approfondimento adeguato del tema che è oggi in discussione ed è costume del CREL che il Presidente quando interviene lo faccia riportando pareri, opinioni che sono patrimonio del CREL. Quindi io non posso che intervenire oggi sugli esiti dell'unica e prima riunione che abbiamo tenuto su questa materia il 29 di settembre.

Alcune indicazioni sono scaturite da questa nostra prima discussione: la prima, il CREL non intende invadere il terreno politico del confronto, noi siamo un organo consultivo che si occupa specificamente di temi legati all'economia e al lavoro, riteniamo quindi che sia opportuno, anche per evitare di dividerci in una discussione che invece ci deve vedere sempre uniti, di privilegiare le questioni che sono strettamente attinenti alle nostre competenze e quindi non invadiamo il terreno politico imbarcandoci in ragionamenti sulla natura dell'autonomia, la sovranità, gli eventuali percorsi indipendentisti.

Riteniamo anche, questo è un elemento che è uscito con forza dalla nostra discussione, riteniamo anche di dover richiamare senza alcuna supponenza, senza spirito censorio ma con molta umiltà, le forze politiche e le istituzioni a uno sforzo di grande concretezza e di realismo.

Il lavoro da compiere secondo noi dovrà muovere da una rilettura della storia autonomistica che consenta di capire perché gli spazi di autogoverno e le notevoli risorse che sono giunte in Sardegna sia dallo Stato che dalla Comunità europea non sono stati capaci di innestare processi di sviluppo tali da permetterci di colmare o almeno di ridurre sensibilmente lo svantaggio infrastrutturale, lo svantaggio occupazionale e quello economico che esiste nei confronti di altre regioni nazionali ed europee. Noi siamo convinti che non si tratta solo di ritardi riconducibili a limiti statutari. Ci sono problemi che sono legati anche alla nostra capacità di praticare gli spazi di autogoverno che abbiamo avuto in passato e dei quali stiamo oggi rivendicando l'estensione.

Quindi il processo di revisione dello Statuto, che pure è necessario, dovrà essere legato ad un processo di revisione del nostro modo di esercitare le quote di autogoverno di cui già abbiamo avuto a disposizione in modo tale da essere capaci di superare tutti i limiti che abbiamo richiamato. Io credo che sia opportuno anche richiamare l'attenzione sulla necessità di una riflessione critica, severa sulla nostra esperienza di governo negli anni dell'autonomia, dobbiamo essere consapevoli infatti che nessuno Statuto sarà capace, se non lo saremo noi, di farci superare i nostri limiti nella capacità di governo e di legiferazione.

Indico solo alcuni limiti emersi nella nostra prima discussione: un primo limite che noi richiamiamo in continuazione quello della inadeguatezza della macchina amministrativa complessiva della pubblica ammirazione nella nostra Regione con particolare attenzione all'amministrazione regionale e a quella degli enti locali. La seconda; ritardo infrastrutturale materiale e immateriale; l'inadeguatezza del sistema istruzione e formazione compresa l'istruzione universitaria, la disponibilità di risorse finanziarie adeguate e anche la possibilità di poterle spendere, cioè tutte le problematiche legate al patto di stabilità. Alcuni di questi punti hanno certamente a che fare con la nostra capacità di governo, avrebbero potuto essere affrontati con maggiore decisione e concretezza anche nei limiti dell'attuale Statuto. Non c'è dubbio però che una revisione dello Statuto intelligente, contrattata in maniera decisa con lo Stato, può consentirci di acquisire maggiori spazi di manovra e di risolvere alcune di queste criticità. Facendo leva sull'oggettiva condizione di svantaggio, non colmabile, connessa alla nostra insularità, si potrebbe intervenire intanto sulle risorse finanziarie e sulle questioni legate alla possibilità di spesa, cioè tutte le questioni legate al patto di stabilità. Il CREL salutò in maniera positiva l'accordo che portò alla modifica dell'articolo 8, venne ritenuto un risultato importante e da difendere. Quindi è evidente che il CREL ritenga che ne vada chiesta piena attuazione, crede anche il CREL che, nell'attuazione del federalismo fiscale, nel momento in cui la Regione dovrà contrattare con il Governo nazionale l'applicazione del federalismo fiscale in Sardegna, quella dovrà essere considerata una base dalla quale non potrà essere consentito alcun arretramento.

Un altro punto sul quale si dovrà intervenire è il sistema complessivo dell'istruzione. E' già stato detto stamattina, lo richiamo solo con poche parole, il nostro sistema scolastico e dell'istruzione complessiva non può essere paragonato a quello di regioni che hanno densità di popolazione e distanze da percorrere completamente diverse dalle nostre.

Dovremmo rivendicare maggiori competenze in materia di ambiente e di beni culturali, dovremmo rivendicare la possibilità di instaurare relazioni internazionali per mettere a frutto la posizione strategica che la Sardegna ha all'interno del Mediterraneo.

Infine, dovremmo intervenire sulla pubblica amministrazione, per cercare di colmare l'inadeguatezza drammatica che oggi è un autentico freno allo sviluppo. Questi sono titoli sui quali noi ci proponiamo di lavorare per precisare meglio le nostre posizioni. Non faremo mancare il nostro contributo propositivo nel merito della discussione, che il Consiglio riterrà di avviare, e nelle forme in cui riterrà di volerci coinvolgere. Resta fermo, però, che il contributo del CREL in alcun modo può assumere veste sostitutiva dell'apporto che ognuna delle organizzazioni componenti del CREL ritiene autonomamente di voler esprimere, così, con la ricchezza e i contenuti che sono emersi nella discussione di stamattina.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante dell'UNCEM, Marceddu.

MARCEDDU, rappresentante dell'UNCEM. Un caro saluto a tutti, porgo i saluti anche da parte del presidente Oppus, che è impegnato oggi a Bruxelles, e non ha potuto presenziare a questa importante riunione. Ringrazio a nome di tutta l'UNCEM per l'occasione che ci è data di intervenire a un dibattito così importante, dove noi non interveniamo con lo spirito naturalmente di fornire delle ricette miracolose, ma, assolutamente, con lo scopo di fornire un piccolo contributo in termini di idee e di spunti di riflessione a un dibattito importantissimo per la nostra Isola.

La Costituzione italiana prevede la tutela delle zone di montagna, sia direttamente all'articolo 44, che tutti noi ricordiamo, che recita: "La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane", sia indirettamente all'articolo 3: "Laddove si dispone l'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che possono limitare l'eguaglianza dei cittadini". Purtroppo, il legislatore nazionale, e anche quello regionale, ha spesso ignorato il dettato costituzionale. La montagna è sempre stata intesa dal legislatore come un luogo di fragilità, emarginazione, svantaggio, da assistere e sostenere per recuperarne o attenuarne il divario rispetto alle altre realtà territoriali. Una lettura che si è dimostrata perdente e che ha impedito lo sviluppo delle terre alte, indirizzate impropriamente verso modelli e traguardi che non le potevano appartenere; invece noi riteniamo che la montagna, compresa la montagna sarda, abbia una notevole potenzialità di sviluppo, insita proprio nelle ricchezze della sua diversità, fatta di risorse, di prodotti, di servizi e di stile di vita sani che offre a chi la abita. Essa può costituire un asse portante dello sviluppo sostenibile del nostro Paese, e una terra d'elezione per un'ipotesi di green economy. Le potenzialità che esprime sarebbero di tale portata da consentire di trasformare le criticità in opportunità, anche in un contesto di crisi economica globale come l'attuale, che tocca da molto vicino anche la nostra Isola. Il tema dei costi della politica, purtroppo, grazie ad un accanimento incessante anche da parte dei mass media, nonché da parte di alcuni esponenti politici e governativi, ha trovato spesso, negli ultimi dieci anni, ingiustamente, nelle comunità montane un facile capro espiatorio che ha consentito in realtà di mascherare degli sprechi che sono tuttora presenti e contro i quali bisognerebbe effettivamente agire. Certo, occorreva una riduzione del numero delle comunità montane, spesso includenti territori addirittura costieri, dazio peraltro pagato con la massima disponibilità da parte della montagna, ma non si è mai riusciti a porre in essere una vera riforma a vantaggio della montagna. E' stato e c'è tuttora un perpetuarsi di atteggiamenti punitivi che mirano alla cancellazione totale di questi enti, e quindi al mancato riconoscimento dell'articolo 44 della suprema Carta costituzionale. Anziché adeguate modifiche normative, è una rivisitazione delle funzioni loro attribuite dalla legge, con un profondo cambiamento, nel modello, da ente distributore di risorse e di finanza derivata a motore dello sviluppo locale. Anche la Sardegna non è sfuggita a quest'accanimento con la nuova legge numero 12 del 2005. Oggi sappiamo che sopravvivono solo cinque comunità montane, e sul versante finanziario, se tocchiamo anche questo tasto, se prima arrivavano alla montagna sarda 11 milioni di euro con il fondo ordinario, 4 milioni 500 mila euro dalla legge numero 25, 4 milioni 750 mila euro come fondo investimento, oggi, con la riduzione del fondo ordinario nazionale, se la Regione sarda non interviene, si pongono seri problemi anche per il funzionamento delle cinque comunità montane. Va rammentato come la Corte costituzionale recentemente abbia riconosciuto alla comunità montana la natura di ente autonomo, quale proiezione dei comuni che ad essa fanno capo, e ha altresì evidenziato l'autonomia dei comuni anche in virtù della loro potestà regolamentare statutaria. La Corte, soprattutto, ha sancito come la competenza delle comunità montane sia regionale, non più statale. Pertanto, vista la situazione sarda, preso atto anche della sentenza appena citata, considerato che la Regione sarda è l'unica regione d'Italia a non avere mai recepito la legge numero 4 nazionale, la numero 97 del '94, meglio conosciuta come legge della montagna, riteniamo urga la necessità di avere in Sardegna una legge nazionale sulla montagna, una programmazione organica per lo sviluppo delle terre alte, e risorse adeguate da destinare ad esse. E la legge numero 12 fa confusione, perché tende a volere omologare le comunità montane ad altre forme associative, definite impropriamente unioni, ma esse sono un'altra cosa, perché ambiscono ad assurgere al ruolo di soggetto propulsore dello sviluppo dei comuni montani, le comunità montane. Ma, anche alla luce delle recenti sentenze della Suprema Corte, si ritiene che la Regione debba fare chiarezza sul ruolo di queste comunità montane e assumersi la responsabilità di esprimere o meno anche in Sardegna ciò che altre regioni più sensibili ed evolute, parlo del Piemonte e dalla Valle d'Aosta, del Trentino Alto Adige, dell'Abruzzo, per rimanere negli Appennini, una concreta politica promontagna. Serve, cioè, da un lato pronunciarsi in merito alle funzioni e al riconoscimento di una condizione giuridica differente rispetto alle unioni, e alle condizioni economiche finanziarie e organizzative, dall'altro emulando l'esempio di altre regioni più sensibili, e attribuire anche, perché no, a uno degli Assessori regionali apposita delega per le problematiche della montagna. Non pretendiamo di fare quello che ha fatto il Piemonte, che addirittura istituì un Assessorato specifico per la problematica della montagna, ma almeno che ci sia un minimo di sensibilità da parte anche della nostra Regione. Il Piemonte, poi, addirittura è andato oltre, e ha attribuito alla comunità montana proprio quel ruolo che noi pensiamo sia un ruolo importante per lo sviluppo della nostra Isola, il ruolo di motore dello sviluppo montano, trasformando questi enti, effettivamente in termini di terminologia abbastanza obsoleti, in agenzia per lo sviluppo del territorio montano. In parole povere, occorre che anche la Sardegna metta i nuovi enti, comunque si chiamino, in condizione di funzionare, e preso atto del fallimento del modello di sostegno alle terre montane, non li concepisca più come meri distributori di risorsa per territori da assistere, ma come soggetti proattivi capaci di svolgere una funzione a valore aggiunto, in un modello di sviluppo socioeconomico e industriale sempre più green, e dove le terre alte, nell'ambito della pianificazione regionale e sub-provinciale, esprimano quella grande potenzialità che è insita per le risorse naturali ad esse connesse, essenziale per contribuire al superamento concreto della grave crisi che assilla la nostra Isola, e che è alla portata dei sardi proprio tramite un'intelligente interrelazione della montagna con le zone costiere e grandi hinterland urbani.

UNCEM è pronta a confrontarsi con tutti, ma occorre assolutamente non perdere tempo. Ci si rimbocchi quindi le maniche tutti insieme, si lavori nell'esclusivo interesse della Sardegna e dei sardi che hanno diritto ad avere risposte e una speranza per un futuro migliore, in un'isola ove le future generazioni si possono finalmente fermare anziché emigrare. Sulle problematiche della montagna ci sono state, e confortano in questo senso, le aperture e le sensibilità dimostrate fino alla scorsa primavera dalla Giunta regionale presieduta dall'onorevole Cappellacci, con i quali gli amministratori di montagna si stavano positivamente confrontando. Vennero individuati i principali obiettivi da perseguire nel breve periodo, e sui quali, nell'interesse della Sardegna e delle nostre genti, tutti dovremmo cercare di convergere. Il primo, superamento delle emergenze legate alla nascita dei nuovi soggetti, previsti dalla legge numero 12, quali trasferimenti patrimoniali, personale, risorse finanziarie per il funzionamento e l'avvio (ci sono addirittura dipendenti che non percepiscono lo stipendio da mesi), rivisitazione della legge numero 12, sia in base all'auspicato riordino degli ambiti territoriali da concordare con le autonomie locali, sia in base alla necessità dell'approvazione di una legge specifica della montagna sarda, anche in relazione all'improcrastinabile recepimento della legge quadro nazionale numero 97 del 1994. Terzo: individuazione di una nuova forma di rappresentanza delle terre alte che consenta l'evoluzione dal modello "comunità montana" a quello di "soggetto per lo sviluppo del territorio montano". Quarto: riconoscimento del diritto alle terre alte di dotarsi di un piano organico di sviluppo fortemente incentrato sulla green economy, nell'ambito della pianificazione regionale e senza confliggere con altri soggetti titolari di analoga funzione, al fine di perseguire l'obiettivo dell'autosostentamento almeno parziale del sistema montagna e di superare in prospettiva l'attuale concezione assistenzialistica. Quinto: ricostituzione di un adeguato fondo per la montagna da destinare ai nuovi soggetti rappresentativi delle terre alte. Noi pensiamo, caro Presidente, che la montagna sarda possa rappresentare non una realtà da assistere, ma una vera e propria risorsa al servizio di tutta la comunità sarda. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della Confagricoltura, Picciau.

PICCIAU, presidente della Confagricoltura. Ho passato tutto il pomeriggio a non sentire le voci. Forse con i microfoni così può andar meglio? Grazie, presidente Lombardo, grazie dell'opportunità che ci dà di dire la nostra in questo importante momento. L'importanza di questo momento che segna la revisione del nostro rapporto con lo Stato, che io credo necessaria e improcrastinabile. La parola autonomia, che io ho sentito da bambino con tanta importanza, con tanta enfasi, con tante speranze, io credo che oggi sia diventata un'enunciazione della carta intestata della Regione sarda: Regione autonoma della Sardegna. Cosa significa "autonoma della Sardegna"? Autonomia credo che significhi, faccio da me, posso fare da me, però mi dovete spiegare in quale momento oggi della nostra vita quotidiana troviamo una possibilità di poter fare delle cose che riteniamo necessarie da noi. Veniamo immediatamente senza dubbio bloccati dallo Stato o dall'Europa. Immancabilmente ogni volta non si riesce a fare un'altra cosa del genere. Quindi certamente bisogna porre mano a questo nostro rapporto con lo Stato. Con il contributo di tutti, è stato detto, con il contributo dei politici, delle parti sociali, degli intellettuali che, grazie a Dio, non ne avremo tanti quanti pastori, ma ne abbiamo. Io credo che la Sardegna, i sardi e quindi dovrei trovare nello Statuto della Sardegna, nel rapporto con lo Stato la prima cosa fondamentale, che è la dignità. Io credo che noi dobbiamo sapere quello che possiamo avere, quello che dobbiamo avere, quello che dobbiamo dare e come dobbiamo vivere e organizzarci durante la nostra vita quotidiana. Essere pochi, perché pochi siamo, non vuol dire contare di meno. Il potere elettorale esiguo a livello nazionale non può essere determinante - non è corretto, non è educato - e il federalismo non può essere caratterizzato dal creare regioni di serie A e di serie B, e vi faccio un esempio. E' possibile pensare che quando si è trattato di sforare le quote latte vaccino sia intervenuto il Nord - e quando dico Nord sto dicendo Lega - per dire che dovevano essere requisiti i fondi FAS, che per la gran parte erano meridionali, per pagare le quote latte e invece non si riesca oggi a tirare fuori 4 lire in più per sistemare un comparto, che è quello ovicaprino, prevalentemente della Sardegna? E allora danno fastidio queste cose. Perché allora l'autonomia dov'è? Se non posso fare, se non posso dire, se non posso dare perché poi nasce subito la messa in mora da parte dell'Europa... La verità è una: è che noi la nostra autonomia ce la siamo venduta! Ce la siamo venduta e chi ci ha portato in Europa ci ha portato senza dire che c'era una regione che aveva autonomia e che l'autonomia significava che potesse fare tante cose senza andare a richiedere il parere dello Stato o, peggio ancora, dell'Europa. Essere rappresentati, secondo me, non significa prendere quello che ti danno, significa che devo sapere a chi andare a chiedere delle cose, che questo le sostenga così come fa un avvocato in tribunale e che questo poi mi porti le doverose risposte su quello che ho chiesto, che non è detto che deve essere sempre accettato, ma lo vorrei vedere fatto però!

Noi abbiamo dei grossi problemi. Non siamo competitivi, non lo siamo in agricoltura ma non lo siamo, credo, anche in tante altre cose. Siamo compressi tra i paesi ricchi e i paesi poveri, abbiamo i costi dei primi e la produttività dei secondi. Per questo siamo particolari. Abbiamo grossi limiti strutturali. Non abbiamo saputo rimediare tempestivamente con una valida programmazione e poi l'Europa ci ha sovrastato. Oggi abbiamo un mare di queste cose, sulle quali non voglio proseguire per non tediarvi perché mi rendo conto che dopo una giornata di notizie bisogna cercare di farla breve, però credo che potremmo avere una sburocratizzazione del sistema Sardegna importante, forte, in maniera che l'imprenditore possa pensare a produrre. Un dato che mi ha girato nel mio telefonino Agra Press in questi giorni scorsi dice, guarda caso, che il presidente Vecchioni della Confagricoltura ha fatto uno studio e ha recepito che nel mondo agricolo ci sono 1 milione e 300 mila burocrati per seguire 1 milione e 400 mila operatori! E allora questa non è un'Italia, e la Sardegna è anche peggio.

Fiscalità, due parole e poi concludo. Esistono studi economici che valutano il gap della Sardegna in circa il 25 per cento. Non lo dico io, lo dice uno studio, che ho letto qualche anno fa, del professor Usai. Può essere condiviso? Può non essere condiviso? E' sbagliato? Benissimo, rivediamolo, ma arriviamo a un riconoscimento corretto e obiettivo. Una volta che abbiamo stabilito quanto è, credo che abbiamo diritto, in tema di fiscalità, di chiedere una fiscalità di vantaggio che almeno compensi il gap se non vogliamo pensare che siamo delle isole e che quindi abbiamo dei grossi problemi che derivano dal nostro essere isola. In più le aziende che operano in Sardegna ogni tanto si dice, ogni tanto si legge, si vuole scrivere che debbono avere la sede legale e fiscale in Sardegna? Vogliamo arrivare a determinare che chiunque paghi le imposte in Sardegna le paghi alla Regione e sia poi la Regione a regolare il rapporto con lo Stato e non viceversa perché se no i soldi non tornano più? Le chiedo scusa. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della CNA, Marras.

MARRAS, presidente della CNA. La ringrazio, Presidente, per l'opportunità che ci è data di portare all'attenzione del Consiglio regionale, a cui non può che andare il mio saluto personale e quello dell'organizzazione che rappresento, il punto di vista della CNA sarda sulla via di un percorso ambizioso e, ritengo, di importanza capitale per il futuro della Sardegna, ridisegnare cioè in una dimensione aggiornata ed attuale un nuovo assetto statutario e un nuovo autonomismo regionale nel solco di un federalismo solidale che promuova l'emancipazione della società sarda in un quadro unitario di modernizzazione dell'Italia nell'ambito di un'Europa sempre più integrata. A nostro avviso è questo l'orizzonte a cui guardare, attenti però a non sviare le riflessioni su come riempire di contenuti e declinare nuova specialità e nuovo autonomismo nel quadro di una vera riforma dello Stato che non può essere quella del federalismo fiscale che si profila all'orizzonte.

La Sardegna ha bisogno di una profonda rivoluzione nella ridefinizione di un progetto di crescita e di sviluppo regionale che non può non avvenire dentro un analogo e parallelo progetto di rilancio dell'intero Paese Italia. Conosciamo tutti la complessità architettonica costituita da 10 mila amministrazioni, dentro c'è un po' tutto, dalle amministrazioni centrali, alle regioni, alle province, ai comuni, alle comunità montane, allora deve rientrare a pieno titolo tutto ciò nel processo di riforma. Da questo necessario processo di semplificazione e di efficientamento dei livelli istituzionali ed amministrativi dipendono attuazione e qualità delle politiche pubbliche, dei servizi resi ai cittadini, al sistema sociale e a quello produttivo. Un percorso necessitato per riposizionare in termini reali e competitivi il nostro mondo, un mondo che deve applicare il principio di specializzazione stabilendo cioè "chi fa che cosa" e attribuendo al livello titolare di una funzione istituzionale o amministrativa tutte le competenze e le risorse per svolgere quelle funzioni. Il sistema delle imprese questo lo chiede da tempo, beninteso, non si tratta di un'esigenza del solo mondo produttivo, ma dell'intero Paese che, afflitto da un grave e profondo deficit di competitività, non può permettersi il lusso di altri moltiplicatori di spesa, di burocrazia, di tasse.

Questo purtroppo non è il contesto che ci propone la fase che si apre. La spinta al federalismo solo fiscale nasce non come occasione per rivedere l'architettura dei diversi livelli istituzionali (Stato, regioni, comuni), non per addivenire a una chiara attribuzione delle funzioni, dei compiti, dei servizi e delle prestazioni che nessun ente di governo deve assicurare per garantire i servizi ai cittadini, non come risposta ad un diverso, più funzionale ed efficiente assetto dello Stato, ma secondo un modello attraverso cui negoziare le richieste e i flussi finanziari che dal Nord prendono l'avvio verso un Sud assistito e spendaccione. Per questa via, attraverso un populismo strumentale e irresponsabile che eleva il territorio ad entità identitaria assoluta, si tenta di disarticolare l'idea stessa dell'unità nazionale, nella convinzione miope che questa possa andare ad egoistico beneficio di poche regioni padane. Una deriva pericolosa che salda la lunga e non compiuta transizione italiana con una crisi economica pesantissima, destinata col riemergere di tentazioni localistiche al Nord come al Meridione, vedi la nascita dei partiti del Sud a lacerare la tela faticosamente costruita nell'idea stessa di nazione. E' irresponsabilità pura, inganno e raggiro far pensare che la paura, le insicurezze e gli effetti proposti dai processi di globalizzazione possano trovare risposte nell'autosufficienza della dimensione regionale. Non è così, neppure per le regioni e le macroregioni più forti, anche per queste la tutela del proprio benessere passa attraverso l'adesione al processo necessitato che porti al superamento dei confini dei vecchi Stati nazione che dovranno cedere, questi sì, sovranità e potere agli Stati d'Europa.

E' in questo contesto, onorevole Presidente, che va riscritto con responsabilità ed equilibrio il processo di revisione statutario, atteso ad un approdo che ridefinisca e rinsaldi il rapporto con lo Stato nella dimensione necessaria ad assicurare alla Sardegna un nuovo autonomismo utile e necessario solo se capace di indicare idee e progetti forti per una nuova strategia di sviluppo e di ammodernamento della società sarda. Una discussione sui contenuti per una nuova idea di sviluppo che ponga al centro del confronto la valorizzazione della straordinaria opportunità di cui la Sardegna dispone se guardiamo ai grandi driver del cambiamento che segneranno questo nuovo millennio (energia, ambiente ed economia, verde) o ai punti di forza che ci assegna la centralità mediterranea. Un confronto alto che coinvolga e renda partecipi le forze vive della società sarda (istituzioni, politica, forze sociali) che guardando all'esperienza del passato ne recuperino le pagine migliori e trovino l'ispirazione giusta per farsi finalmente tutte classi dirigenti.

E' questo il vuoto che occorre colmare per costruire un'idea di futuro nella nostra Sardegna e della nostra Sardegna partecipata e condivisa in cui le prerogative dell'autonomia regionale si sostanzino con la difesa attiva dei diritti sociali e di cittadinanza piena delle nostre genti. Questo chiedono i tanti sardi senza speranza, i molti giovani dal futuro incerto. Sono sicuro che il Consiglio regionale saprà indicare sedi, forme e modi per la definizione di un compiuto processo di riforma che risponda con responsabilità a queste attese. Noi ci siamo, siamo presenti come organizzazione, le forze sociali oggi hanno dimostrato davanti a tutto il Consiglio regionale la loro disponibilità e la loro predisposizione con voi a far sì che si maturi questo percorso e che finalmente diventi un percorso definitivo che vada a beneficio dei giovani e dei nostri figli, soprattutto, perché è un nostro dovere soprattutto quello di salvaguardare i nostri figli. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il direttore provinciale della Confesercenti di Cagliari, Bolognese.

BOLOGNESE, direttore provinciale della Confesercenti di Cagliari. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli consiglieri, autorità tutte, a nome della Confesercenti regionale che oggi ho l'onore di rappresentare nella massima Assemblea sarda, vi ringrazio per l'invito a questo alto momento di riflessione e di confronto su un tema, quello delle riforme, di vitale importanza per il futuro economico, politico e sociale della nostra terra. Aver convocato oggi nel Consiglio regionale tutte le forze politiche, culturali, economiche e sindacali è un gesto di alta responsabilità e di pari consapevolezza. Solo con l'unità di intenti faremo il bene della nostra terra e di chi la abita. Quindi, diciamo "sì" con convinzione e con passione al dialogo e al confronto, diciamo un netto e chiaro "no", invece, a tentazioni egemoniche, a protagonismi inutili e a sterili egoismi.

Il nostro Statuto, frutto di un lavoro collettivo e illuminato in un momento storico delicatissimo, si è dimostrato straordinariamente capace di creare una cornice di presupposti normativi e morali di grande spessore, frutto dell'apporto delle migliori forze di allora presenti nell'Isola, reggendo per oltre sessant'anni le diverse sfide che la nostra terra, la nostra gente fino ad oggi ha affrontato con profondo orgoglio. Da qui noi diciamo che bisogna partire dal "noi" e non dall'"io", dal collettivo e non da una prospettiva individuale. Questo è il metodo da tenere, la bussola con la quale orientarsi. Il confronto di oggi avrà un senso e un'utilità se saprà essere il primo fondamentale passo, la pietra con cui costruire il cammino del cambiamento con il concorso di tutti. Come Confesercenti siamo pronti a dare con generosità e responsabilità e nell'interesse collettivo, tutto il nostro contributo, una terra con localismi, egoismi, che vive di piccolo cabotaggio è destinata ad essere sempre più marginale nei processi globali di cambiamento che ormai si sovrappongono a ritmi incalzanti. I cittadini sardi, le nostre imprese attraversano una fase delicatissima, la desertificazione produttiva. Ma abbiamo e ci sono risorse, qualità e capacità per invertire energeticamente la rotta, però non abbiamo molto tempo a disposizione, è finito del tutto il tempo dei tentennamenti, delle finte riforme, degli pseudo cambiamenti, i sardi non ce lo perdonerebbero mai. Servono le migliori intelligenze tanto di chi riveste o ha rivestito ruoli di responsabilità, quanto di forze fresche per elaborare il progetto credibile e duraturo nel tempo chiamando a raccolta tutti, iniziando dai giovani cittadini che sono impegnati con profitto e successo nella cultura, nell'economia, nel sindacato, nelle istituzioni, ma anche e soprattutto nei giovani, i tanti che sentono e sono esclusi dalla vita sociale. Se non partiamo da loro falliremo, elaboreremo un progetto a metà. Partiamo dalle imprese, quelle di successo che investono in innovazione e ricerca, in cultura in senso ampio che poi è anche cultura d'impresa, da quelle che sono impantanate nella palude di una crisi che non è finita e che ci vede ancora invischiati. Partiamo dalla scuola, quella di qualità, che forma eccellenze e quella umiliata da risorse sempre più esigue. Partiamo dall'industria, da quella propositiva e positiva e da quella ferma ai blocchi di partenza e paralizzata dal ciclone economico e finanziario mondiale. Partiamo dall'agricoltura che si reinventa continuamente e da quella che è stremata dai debiti. Partiamo dalla pastorizia, da quella che è diventata col tempo coraggiosa imprenditorialità senza perdere il contatto con la tradizione e da quella che non ce la fa più a sopravvivere.

Partiamo dai nostri centri, dal patrimonio di sapori e di saperi, quelli valorizzati e i tanti sottovalutati e ancora colpevolmente emarginati. Partiamo dal commercio, architrave della nostra economia, da quello costituito da migliaia di operatori professionali e preparati che scommettono quotidianamente sulla loro creatura e da quelli sfiduciati che hanno chiuso perché travolti dalle difficoltà e che sono sempre di più. E qui come associazione che ci si onora di rappresentare gli interessi e le istanze del commercio, lanciamo quest'oggi in quest'Aula un allarme: il settore è in sofferenza e tenere viva un'attività è sempre più complicato, migliaia di piccole attività muoiono nel silenzio generale, piccoli numeri per volta che diventano un esercito nel tempo e i tanti che cercano di andare avanti finiscono nel circuito dell'usura con frequenza sempre maggiore. Per questo non dobbiamo parlare solo e tanto di poteri, importante è definirne quantità e qualità ma anche con pari attenzione di risorse. Senza dotazioni finanziarie adeguate tutto il discorso sulle riforme rischia di limitarsi a un esercizio di pura teoria. Se rivendichiamo, se rivendichiamo più poteri, se chiediamo di poter decidere su più materie dobbiamo avere i fondi adeguati ad assecondare e a tradurre in atti concreti e tangibili le nostre aspirazioni. Tra le tante notizie di questi ultimi tempi merita un rilievo particolare il dato, se verificato, preoccupante e spaventoso, sui soldi che sinora siamo stati incapaci di spendere per ragioni che non discute chi come noi fa impresa, ma gli oltre 7 miliardi di euro che la Regione incassa sono un punto da cui partire. Individuiamo procedure più veloci per imprimere accelerazioni significative sul fronte della spesa, ma chiediamo anche decisioni più celeri, iter meno cervellotici, vogliamo più libertà, che non vuol dire anarchia, allergia alle regole, vogliamo solo leggi eque e chiare che ci aiutino nel nostro lavoro giornaliero. Rivendichiamo maggiori investimenti sul nostro comparto, non soldi a pioggia bensì sostegni mirati su formazione del personale e sull'ammodernamento tecnologico. Più attenzione ai problemi concreti del quotidiano, dai rapporti con la pubblica amministrazione all'accesso al credito passando per la lotta alla concorrenza sleale che sta mietendo vittime silenziose soprattutto nel comparto dell'abbigliamento e delle calzature, poi contrattiamo con lo Stato, contrattiamo con lo Stato un regime vantaggioso che ci consenta di ottenere entrate aggiuntive che ci permettano di assicurare servizi adeguati a cittadini e imprese così da liberarci da un regime impositivo che rappresenta alle volte un ostacolo alla crescita dell'impresa. Un sistema che favorisce errori, omissioni e che non è equo. Tuttavia una visione ampia e completa non può tralasciare gli ambiti del commercio che vivono un momento positivo. Il turismo rappresenta una voce importante nella nostra economia, sosteniamolo con investimenti e formazione e lavoro, esaltiamo la capacità di attrarre ricchezza nella nostra Isola, ne trarremmo beneficio tutti. Anche qui occorre uno sforzo innovativo. Dobbiamo avere un sistema di trasporti interno ed esterno moderno e affidabile il che significa aeroporti, porti, strade al passo coi tempi e per fare questo ci servono oltre alle idee chiare soldi in quantità adeguate e tempi rapidi per decidere ed appaltare le opere. Teniamo ciò che di buono abbiamo, potenziamolo adeguandolo ai tempi e alle circostanze consci che il rapporto con lo Stato centrale è destinato a cambiare molto rapidamente, poi aggiungiamo regole nuove in grado di intercettare e soddisfare le necessità dell'oggi e di prevedere quelle del domani. Facciamolo in tempi certi e senza inutili e gratuite lungaggini. Vorremmo gioco forza rivedere molte cose dell'attuale assetto, non pensiamo di ricontrattare però altre rendite di posizione, quel tempo è definitivamente finito, non guardiamo solo al nostro interesse singolo o di categoria che sia, guardiamo all'interesse dei sardi e della Sardegna, al bene comune che è il solo in grado di ricomprendere compiutamente tutte le istanze. La stagione delle incertezze è alle spalle. Ora ci viene chiesta una prova di responsabilità, di maturità.

Noi per primi, che abbiamo l'onore di essere qui oggi nella massima Assise dell'isola, dobbiamo pretenderlo a noi stessi. Serve uno sforzo innovativo, propositivo che coinvolga il sistema politico, economico e sociale della Sardegna nel suo complesso, un cambiamento che coinvolga tutti, non lasci nessuno indietro, un solo cittadino, una sola impresa esclusi da questo processo rappresenteranno un fallimento che non ci perdoneremo e che non ci sarà perdonato dalla Sardegna e dai sardi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della Confcooperative, Tedde.

TEDDE, presidente della Confcooperative. Presidente, innanzitutto grazie per la pazienza e la voglia di ascoltare tutti quanti noi in questa giornata. Così, stando qua in questa giornata intera mi sembra che non facciamo altro che rappresentare quello che è una regione che è inclusa nel problema dello sviluppo dell'Occidente.

Veramente quello che sembra che sia il problema dei sardi ci fa dimenticare quando 62 anni fa, usciti dalla guerra certamente non con le ricchezze che oggi la Sardegna si porta dietro e con il coraggio che è stato richiamato di un gruppo di politici illuminati, hanno istituito la Regione autonoma della Sardegna. Come allora anche oggi non esisteva ancora la Giunta, però ha prodotto degli effetti importantissimi sulla nostra Regione e mi piace partire da questo perché mi sembra che la giornata è stata dedicata amppiamente a raccontare le nostre difficoltà, i problemi della crisi e forse un po' meno a ricordarci qual è lo stato non tanto di benessere, perché non è certamente uno stato di benessere migliore di quello di 62 anni fa. Forse dal punto di vista della felicità e della voglia di vivere che c'era 62 anni fa sicuramente si stava meglio, dal punto di vista economico oggi non possiamo neanche provare a fare dei paragoni con quello che aveva mio padre, il quale per poter andare a scuola era obbligato a usare una camicia dove aveva solo i polsini, e non aveva le maniche però, per riuscire ad essere dignitoso a scuola. Quindi mi sembra che sia importante che ci ricordiamo la nostra storia, e oggi è veramente questo quello che manca, la cultura dell'Occidente tende ad addormentarci. Tende ad addormentarci, ma addormentarci nelle relazioni soprattutto, per cui io quello che sento oggi, e sento che manca, e non sono preoccupato, perché è un effetto naturale di quello che è stato lo sviluppo di tutto l'Occidente. Credo che un po' oggi è stato richiamato, il cuore, il cuore dei sardi. Io dovunque vada fuori dall'Italia, sento parlare della generosità dei sardi, e credo che da quella bisogna ripartire, e da quel coraggio che ha fatto grande il popolo della Sardegna, non certo dalle ricchezze che abbiamo avuto in questo tempo. Quando si richiama l'autonomia, si richiama il rilancio dell'autonomia in un mondo moderno, dove senza l'interdipendenza non è possibile pensare di avere sviluppo. E quando parlo di interdipendenza mi viene in mente un'immagine, ho provato a salire con la testa, forse anche frutto delle visioni, però ho provato a guardare la Sardegna salendo su. Noi siamo qua, siamo qui a cercare di rappresentare la Sardegna, la Sardegna è un'isola nel Mediterraneo, dove da un lato ci sono le nazioni come la Spagna, la Francia, e dall'altro lato ci sono centinaia di milioni di africani che si affacciano alla nostra sponda. L'ISTAT dice che, in base a queste statistiche terribili, nel 2050 saremo 350 mila persone in meno di oggi, cioè anziché 1 milione e 650, 1 milione e 300 mila. Allora anche qua, veramente, al di là del ruolo di logistica, al di là del ruolo di capacità di attrarre in qualche modo opportunità di sviluppo, credo che quella generosità dei sardi dovrebbe riportarci a metterci al servizio di questo Mediterraneo, di questo pezzo di terra che noi rappresentiamo. Al servizio degli altri, perché con la generosità riavremo in cambio, come è stato in questi 62 anni, uno sviluppo più forte, sicuramente anche uno sviluppo che ridarà quella dignità che incomincia a mancarci per la troppa ricchezza, dico io, o forse per l'incapacità di vivere bene questo benessere.

Mi veniva in mente, si è parlato moltissimo di diritti, si continua a parlare di diritti, ma siamo in un momento dove penso che ognuno di noi debba ricominciare, dico noi, parlo della cooperazione, a parlare dei doveri. Quali sono i doveri della cooperazione? Il primo dovere della cooperazione è quello di non essere autoreferenziale, perché la cooperazione nasce attraverso l'unione di tanti, spessissimo, di tante imprese individuali: penso alla pastorizia, ma penso anche al settore vitivinicolo, dove tanti si mettono insieme per dimostrare che è possibile avere uno sviluppo più importante. Quindi questo mi pare che sia importante, cioè dove la cooperazione è solo un modo, e un "come" raggiungiamo poi dopo lo sviluppo. Quindi in questo senso noi ci mettiamo a disposizione per provare a ridare questa capacità di come riportare lo sviluppo, che non è una cosa che viene dall'alto, ma è qualcosa che viene dal basso, e oggi noi siamo qui per riprovarci.

L'impresa. L'impresa è un'attività che nasce per dare opportunità di sviluppo alla comunità, quando non fa questo ci sono due possibilità: o si fallisce oppure l'altra possibilità è che si specula. Noi siamo non per la cooperazione per forza, noi siamo per questo tipo di impresa, che dà opportunità di sviluppo alla comunità contro la speculazione. Quindi in questo senso, anche qua, la cooperazione si mette a disposizione, perché spesso si possono fare cooperative di artigiani, come è stato fatto, anche di altre attività. In questo senso noi vogliamo rimetterci a disposizione, e riteniamo che sia importantissimo parlare di un rilancio, di un rilancio in questo momento della Regione autonoma della Sardegna attraverso un nuovo Statuto. Quello che è stato detto sul ruolo della cooperazione, che non è citata nello Statuto, ma appunto è citata in altri statuti, ribadisce questa opportunità. Ci mettiamo a disposizione.

In ultimo, così finisco, in cooperativa è difficile andare avanti, anche quando alcuni di noi, alcuni soggetti che partecipano alla cooperativa, diventano dei nemici. Allora anche qua è importante che ci rendiamo conto che dobbiamo continuare, perché l'abbiamo fatto e lo possiamo continuare a fare, a pensare "Non posso fare del male a te che sei un socio, senza ferirmi io stesso". Non sono parole mie, sono parole di Gandhi, che ha permesso e ha fatto quella differenza, e in questo senso io credo che dobbiamo riprovare a partire da qui, dove il professore è bravissimo a insegnare le conoscenze che ha dentro, mentre invece il maestro fa la differenza, perché il maestro dall'incontro con l'allievo riesce a insegnare quello che non conosce. Quindi noi oggi siamo qua, e io sono un allievo, e voglio incontrarmi con i maestri che ci sono qua dentro, per imparare quello che non conoscono, perché non sappiamo quale sarà la strada, però so che se il "come" è frutto della cooperazione sarà sicuramente un importantissimo progetto di sviluppo per la Sardegna.

Ecco, poi volevo ringraziare perché la cosa più importante per me è stata che questa giornata ha un valore, al di là delle presenze, per il fatto che è venuta fuori dall'unanimità, e le auguro, Presidente, di avere sempre l'unanimità nelle sue votazioni.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consulente dell'AICCRE, Gallus.

GALLUS, consulente dell'AICCRE. Signora Presidente del Consiglio, consiglieri, autorità, rappresentanti e intervenuti, è veramente un onore intervenire in questo consesso per la federazione regionale dell'AICCRE, l'Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa, anche perché in questi "stati generali" si ritrova tutto lo spirito di confronto e di dialogo, che è tipico dell'approccio Malthus e Kaldor, che ormai è diventato il tratto distintivo, e anzi caratterizzante del governo delle nuove interdipendenze sovrannazionali, le interdipendenze che sono già state richiamate nel dibattito in quest'Aula. Gli obiettivi dell'AICCRE, e del CCRE tra gli obiettivi c'è quello di plasmare il futuro dell'Europa mediante proprio la valorizzazione della contribuzione regionale e locale, per influenzare la politica e la normativa europea, e per l'interscambio di esperienze a livello locale e regionale, per cooperare con i partner anche di altre parti del mondo. Ecco perché è importante questo momento di discussione, e fondamentale il dibattito sulla futura forma di governo della Sardegna. E questo dibattito è importantissimo anche in un momento di crisi profonda come questa. Perché dall'affermazione forte e condivisa di un'identità, e delle aspirazioni del popolo sardo, che si proiettano sulla forma di Governo, può certamente nascere una spinta fortissima, anche a livello economico, non solo sociale. Basti pensare all'esempio, certo più volte abusato ma significativo, della Catalogna. Qualche tempo fa Josè Montilla ricordava, in un convegno tenutosi qui a Cagliari, che la nazione catalana 31 anni fa ha recuperato le sue condizioni di governo dopo 40 anni di dittatura militare, e oggi in Spagna ci sono 17 comunità e 2 città autonome, che hanno contribuito enormemente al processo di ammodernamento del Paese, e dal quale non si può più tornare indietro. E negli ultimi anni sono state approvate tante riforme statutarie, dopo un intenso dibattito che ha coinvolto le istituzioni e la popolazione. Ecco quindi un collegamento diretto tra l'ammodernamento e il contributo alla modifica del Paese, che passa attraverso le riforme statutarie, che possono essere considerate la base dello sviluppo, che però anche in Catalogna ha subito delle battute d'arresto. Ma dobbiamo imparare non solo dalla storia autonomistica sarda ma dalla storia autonomistica di tante altre regioni e macro regioni. Sotto questo profilo il progetto di revisione dello Statuto speciale deve essere quindi l'occasione per fornire alle istituzioni regionali il fondamento costituzionale, ideale e politico, per sostenere e promuovere concretamente, più in generale, i diritti del popolo sardo.

Il contributo che l'AICCRE intende apportare alla discussione, che certamente è una discussione molto approfondita - che ho avuto la fortuna di seguire per tutta la mattina, così come ho seguito anche i lavori consiliari, seppure in differita - è legato alla dimensione europea e sovrannazionale, dimensione che peraltro è apparsa nel dibattito odierno, appare nelle mozioni presentate. Quindi è certamente difficile mettere in dubbio che la questione Europa si riveli di fondamentale importanza nei processi di revisione dello Statuto, tanto più che siamo in un anno di cambiamenti, preceduto di poco dalla entrata in vigore del trattato di Lisbona, che è già stato più volte ricordato, con la profonda modifica degli organismi di governo comunitario. Ecco che in questo quadro fondamentale entra nella discussione dello Statuto e dalle forme di governo un rafforzamento del ruolo e della contribuzione della Sardegna alla governance a livello europeo, questo è un punto decisamente importante.

Il trattato di Lisbona infatti, almeno idealmente, forma la base di un approccio più decentrato e trasparente all'attuazione delle politiche dell'Unione europea e lo scopo di quell'approccio è proprio che le decisioni vengano prese a livello più vicino ai cittadini e noi dobbiamo cogliere le opportunità dell'integrazione della dimensione locale e regionale nel quadro dell'Unione europea proprio per cogliere l'affermazione che l'Unione è tenuta, non solo a rispettare le identità nazionali degli Stati membri, ma il sistema delle autonomie locali e regionali. Io ritengo che in questo processo il popolo sardo, come popolo dell'Europa, deve inserirsi come protagonista superando i confini di un'autonomia che, come è stata definita oggi dalla Presidente, è un'autonomia che è nata forse zoppa, che comunque è cresciuta come depotenziata.

Sotto questo profilo dobbiamo cogliere un'occasione e dobbiamo affermare e inserire nella nostra Carta fondamentale, nella Carta fondamentale dei sardi, il riconoscimento dell'appartenenza all'Unione europea. Proprio perché questo riconoscimento possa essere un utilissimo strumento per sostenere la propria soggettività politica e rompere il dualismo Stato-Regione in un modello federale, un modello di federalismo compiuto e solidale, che è stato richiamato più volte oggi in quest'aula. In questo contesto ritornano prepotenti anche i termini, che sono già stati ribaditi oggi, di autodeterminazione e di sovranità. Sovranità che è un termine di cui non bisogna avere paura, neanche dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2007, ma dobbiamo declinare questa sovranità in maniera profondamente diversa, adattarla ai tempi, altrimenti il rischio è, per citare Barber che rischiamo di affrontare la realtà del ventunesimo secolo, che è quella dell'interdipendenza come abbiamo sottolineato, con istituzioni sovrane indipendenti di tipo settecentesco. Non è questa la sovranità di cui dobbiamo parlare, dobbiamo parlare di reale sovranità che riguardi le questioni… di affrontare le sovranità che ci dà il diritto, per citare (…) il potere di negoziare le interdipendenze. Quindi sovranità come partecipazione al processo decisionale. Sotto questo profilo mi pare assai interessante la suggestione che Paolo Fois, in un recente articolo apparso sulla stampa questi giorni, ha sollevato: quella di inserire fra le nuove competenze che verrebbero trasferite, quella di poter concorrere in sede comunitaria all'assunzione di decisioni suscettibili di limitare l'esercizio del potere riconosciuto alla Sardegna dal patto costituzionale con lo Stato. Quindi una norma che non contrasterebbe con il trattato, che consentirebbe e sfrutterebbe la possibilità che nel Consiglio dell'Unione uno Stato sia rappresentato da un organo abilitato ad impegnare il Governo. Questo è un punto importante che potrebbe essere esplicitamente richiamato nel patto costituzionale tra la Sardegna e lo Stato, ma in questo patto, in questa nuova Carta costituzionale l'AICCRE ritiene che debbano trovare posto anche diritti fondamentali, debba trovare posto l'innovazione, debba trovare posto, perché no, anche un nuovo diritto all'accesso alla rete, come diritto fondamentale dei sardi, l'accesso alla connessione, il diritto all'accesso ai dati pubblici. I nuovi diritti che si stanno costruendo nella sfera europea e che riteniamo che dovrebbero essere affermati anche nella nostra Carta costituzionale per dare una spinta anche ai profili di approvazione e di inserimento di questi diritti nell'assetto costituzionale sostanziale italiano. Quindi, sotto questo profilo e mi avvio alla conclusione, si può auspicare, per riprendere il modello catalano e per citare una rappresentazione plastica che non mi è capitato di leggere, si può arrivare ad un federalismo che sia paragonabile all'arte del grande architetto Gaudì, rivolta al dinamismo delle strutture, che mantengono la loro autonoma fisicità ma sono caratterizzate dalla comunicazione e dalla interrelazione tra i vari corpi e costituiscono un tutto armonico. Ecco, quest'immagine plastica potrebbe essere utile a descrivere i fenomeni del federalismo. Ci auguriamo che da questa sessione, dal dibattito che è il più allargato possibile, certamente è un punto importante che ha coinvolto tutte le forze sociali, da cui scaturirà certamente un'idea di Governo e di autogoverno della Sardegna, un nuovo patto costituzionale federalista per proiettarsi verso l'era della interdipendenza globale. Concludo parafrasando Alterio Spinelli nel Manifesto di Ventotene, per dire che la via da percorrere non è né facile, né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà per il bene di tutti sardi. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente dell'AGCI.

CARDIA, presidente dell'AGCI. Signor Presidente, onorevoli consiglieri regionali, signori rappresentanti di istituzioni e associazioni sindacali e enti imprenditoriali. Io devo dire che, dopo questa discussione di una giornata, sono diventato un po' più pessimista rispetto al tema e all'argomento. Lo sono diventato -aggiungo qualcosa, qualche considerazione a ciò che mi ero scritto - lo sono diventato perché mi rendo conto, per le cose che ho sentito e per le cose che abbiamo in mente tutti quanti, per le cose che andrebbero modificate nei rapporti con lo Stato, occorre davvero l'ultima parola che il senatore Massidda ha detto stamattina: "Coraggio!" Ma ce ne vuole tanto! Ce ne vuole tanto perché se ripercorriamo rapidamente la storia di sessanta anni di autonomia della Sardegna, non possiamo certamente dire che siamo riusciti in questi sessant'anni ad utilizzare al meglio le possibilità che lo Statuto straordinario per la Sardegna ci offriva. Sessant'anni che sono stati sostanzialmente marcati da una sudditanza politica a governi nazionali, a partiti nazionali, dove poi le aspirazioni del popolo sardo sono state un po' troppo messe in secondo ordine.

Lo Stato oggi modifica la sua Carta costituzionale e la modifica in una direzione che, vista così e per come si prefigura il federalismo fiscale, non dice nulla di buono. Per cui se oggi è giusto, e dobbiamo tutti quanti impegnarci per cambiare lo stato attuale, credo che la prima domanda che dobbiamo porci sia: di quello che abbiamo cosa dobbiamo cambiare e per farne che cosa?

E' importante la riunione di oggi, gli "stati generali" della Sardegna, è importante quello che tutti quanti hanno detto, che tutti quanti pensiamo, che un impegno di questo tipo non può che vedere un coinvolgimento totale e pieno del popolo sardo. Ma può essere che il popolo sardo in questo momento si stia interrogando su una cosa semplice ed elementare: al palazzo si discute di ingegneria istituzionale però intanto io devo combattere per pagare la rata di un mutuo, intanto io devo pagare per far quadrare i conti di fine mese, intanto ho difficoltà a mantenere i figli a scuola, tutto quello di cui si discute oggi, concretamente, nella vita del cittadino sardo, nella vita della famiglia sarda, concretamente che incidenza potrà dare? Questo popolo sardo quali elementi ha per mobilitarsi, per scendere al fianco dei consiglieri regionali, dei Comuni, delle rappresentanze sindacali? Su che cosa, se la rivisitazione dello Statuto e la ridefinizione del nostro stato di autonomia (poi la possiamo chiamare indipendenza o come vogliamo), se tutto questo non è accompagnato da un altro paio di cose, che non sono né facili e né semplici, se tutto questo non è accompagnato con delle riforme sostanziali e radicali del come funziona oggi la Regione sarda, del come funzionano oggi molti enti pubblici, se tutto questo non è accompagnato da riforme che danno segnali precisi di credibilità a quel popolo sardo, per esempio sulla riduzione dei consiglieri regionali, sulla riduzione degli emolumenti dei consiglieri regionali, sullo scioglimento di Province che non servono a nulla, sulla cessazione di spesa che non produce nulla per il popolo sardo, e ne vediamo e ne leggiamo tutti i giorni sui giornali? Se non c'è questo intervento, perché il popolo sardo dovrebbe appassionarsi alla discussione sull'autonomia, se non vede che costa e in che tempi tutto questo deve arrivare? Per cui io credo che, per fare in modo che davvero ci sia questa mobilitazione del popolo sardo… adesso non ricordo chi stamattina ha detto che, quando la Lega Nord pone dei problemi, li pone perché ha anche la consapevolezza e la forza delle popolazioni del nord che sostengono concretamente quelle rivendicazioni e quelle richieste, e abbiamo visto quante di quelle rivendicazioni e quante di quelle richieste poi arrivano anche a buon fine se è vero che la regia del federalismo fiscale è sostanzialmente affidata ad un Ministro della Lega Nord. Allora credo che questa passione che noi oggi mettiamo - spero che ne metteremo altra nel prossimo periodo e che questo non sia un episodio e un momento unico ma che ci si ritorni - , se riteniamo che l'autonomia necessita della passione e dell'impegno che stiamo mettendo oggi, credo che la stessa passione e lo stesso impegno occorra metterlo per modificare radicalmente le cose che non funzionano e che in parte ho citato. Quindi, autonomia deve coincidere con una grande stagione di riforme, perché in questo modo davvero riusciamo a diventare padroni del nostro destino, e davvero gli slogan possono diventare cose concrete.

Ma noi in Europa come facciamo a farci riconoscere, come facciamo in Europa a farci accettare, se non riusciamo a farci riconoscere e a farci accettare anche in Italia? Ma che rivendicazioni possiamo fare noi in Europa quando la Sardegna ancora non riesce ad avere una sua rappresentanza nel Parlamento europeo perché non riusciamo a modificare una legge elettorale per il Parlamento europeo che dia dignità anche al popolo sardo? Cosa possiamo aspettarci da una riforma fiscale, come dicevo prima, ispirata da un Ministro del nord che guarda a difendere gli interessi del nord Italia? Dovremo aspettarci solo che la differenza tra il nord e il sud, tra il nord e la Sardegna, aumenti più di quanto non sia già oggi preoccupante. E allora, prima ancora che si chiuda la battaglia sul federalismo fiscale, io credo che sia indispensabile che noi chiudiamo un'altra partita con il Governo nazionale: la partita delle entrate deve essere chiusa e chiusa rapidamente, e questa è una prima occasione dove il popolo sardo e le istituzioni della Sardegna riescono a portare a casa, non un regalo, non una concessione, ma qualcosa che è nostro, che ci spetta di diritto, e abbiamo il diritto di rivendicare e abbiamo il dovere di spendere bene quelle risorse. E 'stato detto a più voci stamattina di quanto l'economia sarda abbia bisogno di risorse e almeno sulle nostre dobbiamo poter contare. Io provo a immaginare cosa vorrebbe dire oggi, a fine 2010, poter contare su risorse nuove da mettere nel bilancio regionale; risorse nuove da gestire per modificare gli effetti perversi del Patto di stabilità che sta ormai strangolando la vita di Comuni e di Province e che sta bloccando la stessa Regione sarda. Quelle nuove risorse per esempio potrebbero essere utilizzate per un patto di stabilità interno alla Regione sarda che permetta di liberare risorse che pure sono presenti nel sistema delle autonomie locali, che potrebbero essere importanti per riaprire cantieri, per dare lavoro, per creare reddito, per mettere in giro moneta.

Come Associazione generale delle cooperative italiane auspichiamo pertanto che questo primo appuntamento sia davvero il primo di tanti appuntamenti e per questo noi diamo la nostra disponibilità, nella specificità del movimento cooperativo sardo, quindi di una forma di impresa particolare che guarda alla persona prima di tutto e guarda ai principi della solidarietà ma che è capace di creare occupazione, come abbiamo dimostrato in tanti anni della nostra storia, così com'è stato detto dai miei colleghi, riteniamo intanto che nella riscrittura dello Statuto sardo, così come previsto nella Costituzione italiana, ci debba essere un riconoscimento preciso dei valori e del ruolo della cooperazione e l'impegno alla sua promozione e a sostenere lo sviluppo. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il vicepresidente vicario dell'ASEL, Cancedda.

CANCEDDA, vicepresidente vicario dell'ASEL. Ringrazio a nome del presidente dell'ASEL, l'onorevole Michele Cossa, assente per altri impegni istituzionali, del direttivo dell'associazione, di tutti i Comuni associati e mio personale per questo momento importante che ci viene dato di primo contatto e confronto sul tema delle riforme e in particolare del nuovo Statuto di autonomia.

La presenza qui oggi dell'ASEL, l'Associazione sarda enti locali, insieme alle altre associazioni autonomistiche, testimonia l'interesse e la volontà degli enti locali sardi che noi rappresentiamo di partecipare e concorrere alle scelte e alle decisioni per realizzare le riforme nel loro complesso, non solo alla riscrittura dello Statuto, strumenti necessari e fondamentali per lo sviluppo e il progresso della nostra isola.

L'ASEL, come tutti sanno, è una delle più antiche associazioni di enti locali organizzati operante in Sardegna, originariamente con il nome di APEL, da oltre quarant'anni presente nelle tradizionali Province sarde, antesignana delle battaglie delle autonomie locali a fianco di Stato e Regione per la crescita civile delle singole comunità, per lo sviluppo e il progresso della Sardegna, per il lavoro e l'occupazione. L'Associazione degli enti locali, sin dagli anni '80, ha privilegiato con la Regione il metodo del confronto, del dialogo, della disponibilità, della proposta, ottenendo significativi riconoscimenti e risultati. E' da ricordare in questa sede la prima costituzione della Conferenza permanente Regione-Enti locali, nel lontano 1993, sede istituzionale e di confronto sui problemi e gli interessi dei nostri Comuni e delle nostre Province, precorritrice del Consiglio regionale delle autonomie locali e della Conferenza che sono state disciplinate poi con la legge numero 1 del 2005. Oggi come allora ribadiamo un concetto che è alla base del nostro rapporto con la Regione e che legittima la nostra presenza in quest'aula: gli enti locali - Comuni, città, Province - non sono controparte della Regione ma con la Regione e lo Stato sono organi della Repubblica, con pari dignità istituzionale, ruolo che l'ASEL, Associazione sarda enti locali, rivendica debba essere esercitato in primo luogo, anzi direi sempre, nelle sedi istituzionali proprie, perché anche agli enti locali è attribuito l'onere e la responsabilità di governare il Paese, per il tramite delle singole comunità da amministrare, secondo i compiti e le funzioni ad essi attribuite dalla Carta costituzionale. Anche per queste ragioni, riteniamo che al giorno d'oggi possa e debba segnare una svolta nei rapporti tra Regione ed enti locali per costruire un progetto ed un fronte unitario sulla strada delle riforme e dello sviluppo.

Come ho avuto già modo di evidenziare non siamo, ripeto, una controparte della Regione, siamo istituzioni che devono sedere l'una a fianco all'altra al tavolo del confronto e delle decisioni sulle riforme che toccano sia la Regione che gli enti locali, dobbiamo costruire insieme il progetto e la proposta di crescita e di sviluppo da presentare ai cittadini e alla società civile con il concorso della società civile, realizzarlo per il bene dell'intera comunità. E' altresì evidente che per conseguire questo obiettivo dev'essere riconosciuto e ulteriormente valorizzato il ruolo di tutte le rappresentanze istituzionali così come avviene per le rappresentanze sociali direi soprattutto e maggiormente per quelle degli enti locali di cui l'ASEL, come ho detto, è parte importante sin dalle origini dell'autonomia regionale senza distinzioni o privilegi.

Nel quadro delle riforme (anche di quelle della riscrittura e quindi dei contenuti del nuovo Statuto sardo) questo ruolo e questa funzione devono trovare ulteriori e più adeguati compiti e contenuti non essendo congrui quelli disegnati e attribuiti con la legge regionale numero 1 del 2005 al Consiglio regionale delle autonomie e dalla Conferenza permanente Regione-enti locali. Organismi che si sono dimostrati finora insufficienti sia sotto il profilo organizzativo sia soprattutto sotto il profilo della capacità di incidere nel processo legislativo che in quello di governo.

Oggi non è certo il momento per fare analisi e proposte, l'augurio e l'auspicio è che alla sede del confronto e delle proposte vengano date gambe per camminare, per conseguire gli obiettivi che noi tutti affermiamo di voler realizzare nell'interesse e per il bene dei cittadini. In quella sede l'ASEL darà certamente il suo originale contributo di idee e di proposte nell'interesse esclusivo della Sardegna.

PRESIDENTE. Si conclude qui l'Assemblea straordinaria che come ho detto nell'intervento di apertura rappresenta la prima tappa del percorso di coinvolgimento di tutte le rappresentanze del popolo sardo nel procedimento di revisione del nostro Statuto speciale di autonomia. E' un ringraziamento non formale quello che rivolgo a tutti voi che oggi avete partecipato a questa seduta straordinaria, a coloro che sono intervenuti e in particolare a coloro i quali hanno avuto la pazienza di rimanere sino alla fine e di ascoltare tutti gli interventi.

Un dibattito, quello del Consiglio, che oggi si è arricchito di ulteriori riflessioni, di ulteriori valutazioni che consentiranno al Consiglio regionale una più compiuta determinazione con il voto che questo giovedì chiuderà la sessione dedicata alle riforme.

Nella giornata odierna è emerso con grande evidenza che una fase dell'autonomia si è conclusa e che se ne deve aprire un'altra; un'altra che ci deve vedere protagonisti, attori principali e non comprimari di un processo di riforma che deve portare al riconoscimento per la Sardegna della massima sovranità possibile.

Tutti hanno evidenziato che i tempi sono maturi, bisogna fare in fretta si è detto, non ci è concesso altro tempo; e sono profondamente convinta che in questo momento sia necessario uno scatto d'orgoglio, quell'orgoglio che è nel DNA dei sardi, che è indispensabile per superare tutti i particolarismi che in questo momento potrebbero impedire a questa legislatura di essere nei fatti la legislatura costituente e non soltanto a parole.

Voglio concludere dicendo sentitamente e convintamente che lo spirito costituente deve imporre a tutti noi di sentirci uniti sotto l'unica bandiera che tutti i sardi portano indistintamente nel cuore e questa bandiera è quella dei quattro mori. Grazie a tutti.

La seduta è tolta alle ore 18 e 35.