Seduta n.142 del 28/09/2010
CXLII Seduta
Martedi' 28 settembre 2010
(ANTIMERIDIANA)
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 10 e 01.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 13 settembre 2010 (135), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Pier Luigi Caria, Domenico Gallus, Matteo Sanna e Paolo Terzo Sanna hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 28 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Annunzio di presentazione di proposta di legge
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta di legge:
Cappai:
"Norme in materia di ricerca, raccolta e coltivazione dei tartufi". (197)
(pervenuta il 24 settembre 2010 e assegnata alla quinta Commissione)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Interrogazione Cocco Daniele Secondo, con richiesta di risposta scritta, sul mancato perfezionamento della gara d'appalto per l'affidamento del servizio di vigilanza, portierato, custodia e lavaggio autoveicoli della Regione autonoma della Sardegna". (410)
"Interrogazione Meloni Valerio - Caria - Espa - Manca - Lotto - Bruno, con richiesta di risposta scritta, sulla drammatica situazione della sanità di Sassari e del suo territorio". (411)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interpellanze pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Interpellanza Diana Giampaolo - Caria - Espa- Lotto - Manca sul progetto di recupero del vecchio Ospedale Marino di Cagliari". (145)
"Interpellanza Sanna Gian Valerio - Sabatini - Cuccu - Bruno - Barracciu - Moriconi - Soru - Espa - Agus - Lotto - Porcu - Cocco Pietro - Manca - Diana Giampaolo - Solinas Antonio sul mancato finanziamento dei progetti relativi al Bando Biddas, legge regionale n. 29 del 1998". (146)
"Interpellanza Sanna Gian Valerio - Solinas Antonio sulle iniziative che la Giunta regionale intende adottare per rafforzare e consolidare la permanenza delle popolazioni della Planargia nella Provincia di Oristano". (147)
"Interpellanza Bruno - Porcu - Caria sulla mancata erogazione dei finanziamenti alle società di gestione aeroportuale di Cagliari, Alghero e Olbia per la promozione dei voli low cost". (148)
"Interpellanza Diana Giampaolo - Bruno - Agus - Cocco Pietro - Meloni Marco - Espa - Sanna Gian Valerio sul riavvio dell'attività estrattiva di fluorite nella miniera di Genna Tres Montis nel Comune di Silius". (149)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle mozioni pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Mozione Uras - Diana Mario - Bruno - Milia - Vargiu - Sanna Giacomo - Salis - Cuccureddu sulla situazione delle aziende in crisi nel settore dell'informazione in Sardegna". (89)
"Mozione Cuccu - Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla privatizzazione dell'acqua e dei servizi idrici introdotta dall'articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (90)
"Mozione Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla deliberazione della Giunta regionale n. 32/76 del 15 settembre 2010 relativa all'approvazione del disegno di legge concernente "Norme in materia di consorzi industriali provinciali", con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (91)
PRESIDENTE. Considerata la scarsa presenza di consiglieri in aula sospendo la seduta sino alle ore 10 e 30.
(La seduta, sospesa alle ore 10 e 05, viene ripresa alle ore 10 e 42.)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87, 88.
E' iscritto a parlare il consigliere Cuccureddu. Ne ha facoltà.
CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Presidente, dal ricco dibattito sviluppatisi in questi giorni sono arrivati diversi spunti interessanti ed è emersa una capacità di elaborazione di proposte, da parte di questo Consiglio, che non si era finora del tutto palesata. Forse è stata enfatizzata in qualche intervento in questa sessione sulle riforme, da me e dal mio Gruppo insistentemente richiesta da oltre un anno. Ma, sicuramente, è stata una discussione importante, svincolata da logiche di coalizione e, a volte, anche da logiche di gruppo, come è giusto che sia in questi casi. Sono convinto che questo dibattito, se avremo la capacità di trovare una sintesi unitaria, potrà consentirci di uscire dallo stallo nel quale ci stiamo impantanati da almeno 20 anni a questa parte.
Fra i tanti spunti emersi voglio cogliere quello sulla felicità che la riforma statutaria e la Regione dovrebbero poter assicurare ai cittadini. Se ne parla nella mozione Porcu e più, al secondo punto. Ne ha parlato, citando Sergio Atzeni, anche l'onorevole Oscar Cherchi. Debbo far notare che non sono stati i primi ad azzardare la correlazione fra la felicità, Statuti e Costituzioni, ma, fra i tantissimi che hanno discusso su questo argomento, mi limito a citare Simón Bolívar perché mi consente di introdurre la tesi che più avanti cercherò di illustrare sul ruolo delle città.
Simón Bolívar nel discorso al Congresso costituente della Bolivia del 1826 così si esprimeva: "Tenete presente che le nazioni sono composte da città e da villaggi e che solo col benessere di queste si ottiene la felicità dello Stato". L'esigenza di una profonda riforma è emersa in maniera pressoché unanime, e non poteva essere diversamente, perché il mondo in questi ultimi sessant'anni si è trasformato. L'Italia è cambiata radicalmente e, certamente, non si può dire che la Sardegna sia rimasta immobile. Le trasformazioni sociali, culturali, politiche ed economiche sono state ovunque impetuose. Semmai, in alcuni momenti, mi è sembrato che ci siamo attardati su un dibattito vecchio, che poteva aver senso sessant'anni fa ma certo non ne ha più oggi; un dibattito riciclato (anche se con qualche mano di vernice nuova) sull'alternativa (a mio avviso puramente verbale) fra indipendenza e separazione. Non voglio dedicare molto spazio a questo argomento perché ritengo che la vera riforma, di sostanza, sia un'altra e passi per il ruolo centrale che deve essere attribuito ai Comuni, entità politiche originarie e sedi della sovranità, come avrò modo di dire più avanti.
Il tumultuoso sviluppo tecnologico, l'evoluzione dei costumi registratasi nell'ultimo mezzo secolo ha messo in discussione anche il concetto di Stato e di statualità; quelli che erano considerati elementi essenziali per poter definire uno Stato, oltre al territorio, ad un popolo, alla sovranità finanziaria (il battere moneta), alla politica fiscale, alla politica di difesa, alla politica estera, ormai sono stati o vengono progressivamente devoluti dall'Italia all'Unione Europea - a proposito, credo che sia importante per noi sardi sottolineare che l'unico ambasciatore italiano nominato dall'Unione Europea sia un sardo, Ettore Sequi, l'ex ambasciatore italiano in Afganistan, destinato all'ambasciata non certo prestigiosissima di Tirana - mentre altre importanti competenze, dalla sanità all'istruzione, dall'ambiente alla sicurezza, vengono o verranno progressivamente devolute alle Regioni.
Anche se non ce n'è traccia nel nostro Statuto - e non poteva essere diversamente, essendo nata nove anni dopo - l'Unione Europea di fatto esiste ed è oggi il nostro vero stato federale; l'Unione Europea incide ormai profondamente nella quotidianità dei sardi ed è il nostro principale interlocutore già oggi su molte vertenze e in futuro lo sarà sempre di più, basti pensare alla vertenza sull'Alcoa o anche semplicemente a quella sui pastori, dove si poneva un problema di compatibilità degli interventi con la normativa comunitaria in materia di concorrenza. Dallo Stato italiano abbiamo ben pochi poteri o risorse da pretendere, visto che sia poteri sia risorse gliene restano sempre meno.
A questo punto, aldilà del fascino evocativo di una definizione quale "Repubblica di Sardegna" o "Repubblica federata di Sardegna", in luogo della più stantia "Regione autonoma della Sardegna", dobbiamo porci il problema di come potremmo incidere in concreto per migliorare le condizioni di vita dei sardi. Le istituzioni, la loro forma, la loro riforma, per quanto incisiva (ricordiamolo sempre) sono solo lo strumento e mai il fine dell'azione politica e di governo; per affrontare un mondo che si è evoluto nell'ultimo mezzo secolo con una rapidità che non ha eguali nella storia, per affrontare un mondo che ci propone problemi nuovi - basti pensare alla globalizzazione - non possiamo utilizzare strumenti istituzionali, schemi mentali e politici del passato remoto (penso al mero rivendicazionismo nei confronti dello Stato o alle dettoriane politiche contestative) che hanno avuto un senso e sono state efficaci nel passato ma che oggi, in questa fase de iure condendo del federalismo, risulterebbero anacronistici. E quindi, per affrontare problemi nuovi, dovremmo essere capaci di proporre modelli nuovi, soluzioni innovative, anche di architettura istituzionale; dobbiamo cercare di guardare al futuro e non di rivolgere lo sguardo solo indietro.
La Sardegna non può permettersi, come peraltro le altre Regioni a Statuto speciale, di non avere proposte forti e convincenti sui temi dell'autonomia e del federalismo, non può permettersi di fare da spettatore in questo processo, o al più da attore non protagonista. Non possiamo farci scavalcare dallo Stato, da Tremonti, da Calderoli, che viaggiano a velocità supersoniche rispetto a noi in tema di riforme: ho qui la bozza del decreto sul federalismo municipale, che verrà approvato forse già la prossima settimana dal Consiglio dei ministri, a fronte del quale il nostro Fondo unico per gli enti locali appare archeologia legislativa. Questo federalismo, questi decreti attuativi ci porteranno, nei prossimi mesi, a uno scontro politico e istituzionale che sarà sempre meno fra centrodestra e centrosinistra e sempre più fra centro nord e centro sud d'Italia; le fibrillazioni all'interno dei partiti sembrano proprio funzionali ad organizzare le truppe in vista di questa battaglia, dalla quale verrà fuori comunque un'Italia diversa da quella attuale.
Riflettevo in questi giorni sul fatto che realtà con una forte identità storica e culturale, vere Nazioni, in Europa rimangano legate a Stati che forse non gli appartengono (penso alla Baviera, alla Catalogna o anche semplicemente all'Alto Adige). Perché non si staccano, perché non percorrono la strada dell'indipendenza? Semplicemente perché non gli conviene. Tutte queste realtà presentano però una differenza sostanziale rispetto alla Sardegna, hanno una particolarità: hanno partiti forti che le rappresentano e hanno rappresentanti nei Parlamenti nazionali che perseguono gli interessi dei territori che li hanno espressi. Se i nostri parlamentari, pur restando italiani al cento per cento - come diceva Vargiu - si dimostrassero sardi al centodieci per cento, in questa fase delicata, al pari di ciò che fanno gli altoatesini della Sudtiroler Volkspartei o l'Union Valdotaine, potrebbero condizionare il loro voto di fiducia ad esempio allo sblocco dei fondi FAS, come hanno fatto diversi deputati e senatori siciliani della maggioranza, o all'esenzione dal Patto di stabilità, come hanno fatto ad ottenere i diversi parlamentari romani ex A.N., presupposto necessario, la deroga al Patto di stabilità, per poter spendere le maggiori risorse che otterranno con la norma su Roma capitale. Purtroppo non mi pare che abbiamo parlamentari molto coraggiosi, e d'altronde questo sistema elettorale non è proprio di stimolo per questa virtù.
Guardando poi in casa nostra dobbiamo riflettere sul fatto che, pur avendo competenza primaria in moltissime materie, non la esercitiamo, ci lasciamo scavalcare dallo Stato e anche dalle Regioni a statuto ordinario. Di questo passo è probabile che subiremo il federalismo municipale come stiamo subendo il federalismo fiscale, come stiamo subendo il federalismo demaniale, come abbiamo subito l'elezione diretta del Presidente della Regione e la legge elettorale per l'elezione di questo Consiglio, listino compreso, come abbiamo subito il Patto di stabilità, come abbiamo subito le norme, anche di recente, in materia di ordinamento e finanza degli enti locali.
Rispetto alle Regioni ordinarie, la nostra specialità - dobbiamo dircelo - sta rappresentando oggi un freno e non un acceleratore verso lo sviluppo. Per questo ho convintamente condiviso e sottoscritto la mozione presentata e illustrata dall'onorevole Mario Floris che lega le riforme allo sviluppo, il contenuto delle proposte statutarie al modello strategico di sviluppo che ci daremo, che ci dovremmo dare. Voglio fare un solo esempio: è del tutto evidente che, seppure nell'ambito di un modello pluribusiness, dovessimo puntare con forza a sviluppare il turismo, l'insularità sarà un punto di forza e non un punto di debolezza, come avviene in tutte le isole che hanno vocazione turistica, delle Maldive alle Mauritius alla Polinesia, piuttosto che, per citare esempi più vicini a noi, alle Baleari, alle Canarie, a Capri o alle Eolie. Viceversa, se la scelta sarà quella di puntare ancora essenzialmente sulle produzioni agricole, sull'industria di base e su quella estrattiva, è del tutto evidente che nel mercato globalizzato l'insularità rappresenta e rappresenterà sempre un handicap forte che dovrà avere rilevanza statutaria e che dovrà trovare delle compensazioni.
E allora, per quanto attiene più specificamente al tema della riforma statutaria, abbiamo sviluppato alcune riflessioni all'interno dell'M.P.A. con diversi amministratori locali ed alcuni studiosi, fra i quali voglio citare il professor Lobrano, preside della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Sassari. La problematica della riforma statutaria è evidentemente complessa ed è necessario dotarsi di un quadro analitico per affrontare i singoli problemi in una visione d'insieme e nel giusto ordine. Tale problematica si biforca in due macroproblemi: del metodo (chi deve scrivere la riforma) e del contenuto (cosa deve scriversi nella riforma). Il macroproblema del contenuto è l'autonomia. Mi vorrei limitare a quest'ambito ma non posso fare a meno di soffermarmi ulteriormente sulle tesi, peraltro ampiamente argomentate nel dibattito, relative all'indipendenza: progetto, aspirazione e obiettivo che non ritengo tecnicamente impercorribile, onorevole Mario Diana.
La recente sentenza della Corte internazionale dell'Aia sull'autodeterminazione del Kosovo dimostra che non è vero che in Europa non possano nascere nuovi Stati, il problema da porci è allora: indipendenza da chi? Dall'Italia o anche dall'Europa? Sgombriamo subito il campo dicendo che non potranno aderire all'Unione Europea parti di Stati che sono membri dell'Unione Europea, e comunque è sempre necessaria per ogni nuovo ingresso l'unanimità dei 27 Paesi. E allora che cosa significa "lo Stato in Sardegna dobbiamo essere noi", quali sono gli effetti che questa affermazione può produrre? Che i sardi non dovranno più riconoscersi nell'esercito italiano, o nel sistema giudiziario italiano, o nella politica estera italiana? La Sardegna dovrà avere un proprio esercito, una propria rete di ambasciate, un proprio sistema giudiziario magari con tanto di CSM? Oppure dovremo stringere accordi tra stati diseguali per avvalerci delle istituzioni militari, diplomatiche, giudiziarie italiane come avviene per esempio tra l'Italia e lo Stato di San Marino o fra l'Italia e la Città del Vaticano e non tra istituzioni oggi pari ordinate come la Costituzione le definisce e le considera all'articolo 114: Stato, regioni e comuni tutti sullo stesso livello? Riteniamo questa prospettiva per i sardi e per la Sardegna sia vantaggiosa?
Anche in Corsica, onorevole Pitea, i movimenti dei partiti indipendentisti raramente raccolgono più del 20 per cento dei consensi; l'80 per cento dei Corsi vuol restare saldamente all'interno della Repubblica francese, magari alcuni aspirano ad avere forme di autonomia simile a quella della Sardegna. Jean Jacques Rousseau nel 1764, o meglio a cavallo tra 1764 e il 1765, teorizzava nel "Projet de constitution pour la Corse" un contratto sociale che doveva avere quali attori i rappresentanti delle piccole comunità (poiché sono queste città e i villaggi le identità politiche originarie nelle quali risiede la sovranità) con una connaturata attenzione alla federazione continuamente crescente. Questo è il modello di Stato ancora attuale a cui dovremmo pensare ancora oggi, un modello che si è sviluppato in oltre 1000 anni di relazioni tra città soprattutto nell'area mediterranea. Ma il modello attuale, sebbene in crisi in Italia e non solo, è ancora quello risorgimentale che ha subito l'influenza dei modelli del Nord Europa ed è basato sul concetto di dipartimenti di un insieme determinato e dipendente da un unico centro di potere.
Attualmente le vorticose dinamiche politiche potrebbero orientarsi verso la concessione dell'indipendenza. Le recenti dichiarazioni dei Ministri anche non leghisti e di autorevoli leader politici (ad esempio sul fatto che senza la Calabria e parte della Campania l'Italia sarebbe la locomotiva economica d'Europa) sembrano preparare il terreno, creare l'humus giusto per accogliere senza grandi resistenze istanze separatiste che dovessero giungere dal sud o dalle isole, perché l'accoglimento di tali istanze giustificherebbe la richiesta di secessione di una parte ampia e crescente della popolazione del nord Italia, del resto - ricordiamolo - questo è anche l'obiettivo strategico della Lega, è inserito nell'articolo 1 del suo statuto). Insomma, a differenza di ciò che è accaduto sino a qualche anno fa, ora potrebbero non essere necessarie delle dure battaglie politiche per ottenere l'indipendenza. Forse in molti non aspettano altro, sono pronti a regalarcela, semmai ci accolleranno una quota parte del debito pubblico, che per inciso dovrebbe corrispondere a circa 3 miliardi l'anno dei 100 comprensivi, se la Sardegna rappresenta il 3 per cento della popolazione, per i soli interessi.
Andando al di là delle acrobazie linguistiche e concettuali (indipendenza o non dipendenza, separazione), la domanda che ci dobbiamo porre è un'altra: ma i sardi vogliono realmente l'indipendenza, oppure la maggioranza di coloro che vivono in Sardegna si sente sarda nella stessa misura nella quale si sente italiana, come diceva l'onorevole Vargiu, e vuole far parte a pieno titolo della Repubblica italiana? C'è un solo modo per risolvere definitivamente la questione, per evitare speculazioni, per non trascinare la questione in eterno e per scongiurarne la ciclica riproposizione, ed è quello di conoscere la reale volontà dei sardi, di conoscerla attraverso un referendum consultivo con una domanda secca: autonomia o indipendenza.
Sorvolo sui concetti di autonomia, di legge statutaria, perché non avrò il tempo per svilupparli, e arrivo al metodo. Io sono favorevole al più ampio coinvolgimento dei cittadini sardi e dell'Assemblea costituente, sia per l'elaborazione della proposta di modifica dello Statuto, sia naturalmente per lo studio della legge statutaria. E' l'opzione principe perché è storicamente dimostrato che i poteri non si autoriformano e non si autolimitano. Anche la semplice riduzione del numero dei consiglieri regionali - riforma apparentemente condivisa da tutte le forze politiche - sarà difficilmente attuabile se la decisione sarà lasciata al solo Consiglio regionale.
Sono comunque disponibile a percorrere strade più agevoli, meno irte di ostacoli e più celeri, se questo sarà l'orientamento maggioritario del Consiglio, anche secondo lo schema proposto dall'onorevole Chicco Porcu, ma con una differenza, a mio avviso fondamentale: il coinvolgimento dei sardi sulle scelte di fondo deve precedere il lavoro della Commissione e del Consiglio. Un referendum confermativo su un testo definito (prendere o lasciare) corre il rischio di non appassionare, di non coinvolgere i sardi, corre il rischio di diventare un mero passaggio formale, corre il rischio di svolgersi nella indifferenza dei cittadini, magari con qualche forza politica anche furbescamente orientata a ricercare il disinteresse, così come accadde in occasione del referendum sulla legge statutaria.
Quindi il percorso dovrà essere quello del referendum consultivo (peraltro l'unica forma referendaria alla quale si accenna, se pur prevedendo un caso molto specifico, nell'articolo 54 dello Statuto) su autonomia (e quindi sul nuovo patto nell'ambito della Costituzione italiana) o indipendenza, i cui contorni e contenuti andranno delineati non solo con delle suggestioni. La successiva elaborazione sulla base delle indicazioni popolari di fondo dovrà essere affidata alla prima Commissione, a mio avviso allargata in maniera paritetica ad esperti e rappresentanti qualificati della società sarda, magari scelti attraverso una elezione al loro interno tra i sindaci, nel sindacato, tra le forze produttive, nell'università.
Quanto al contenuto io spero che il prossimo Statuto disegni una Regione sarda generosa, in grado da un lato di rivendicare nuovi poteri dallo Stato e dall'Unione Europea ma poi capace di devolverli ai comuni; una Regione che non si ponga più come soggetto risolutore di tutti i problemi, la "mamma Regione" di cui ha parlato l'onorevole Capelli (problemi che peraltro poi corrono il rischio di soffocarla) ma come soggetto che svolga il ruolo di regolatore e di coordinatore delle dinamiche dello sviluppo e soprattutto dello sviluppo locale.
L'elaborazione del nuovo Statuto dovrà prevedere una forte cura dimagrante per la Regione sarda e per il suo elefantiaco apparato burocratico gestionale. La riforma dovrà valorizzare il ruolo dei comuni. Giorgio La Pira cinquant'anni fa disse che stavamo per entrare nell'epoca delle città: lo Stato non riesce più a dare risposte ai crescenti bisogni dei cittadini e le regioni potrebbero risultare dei surrogati in scala ridotta dei vizi e delle inefficienze statali.
Taglio per arrivare alla conclusione e dire che, così come penso che dovranno essere ridotti i dipendenti a non più di 1000, così come dovranno essere abolite le province e, semmai, prevista la libera aggregazione dei comuni, credo che senza l'evoluzione dei poteri (se preferite senza il federalismo interno) non sarà meno opprimente, non sarà meno asfissiante per i sardi la mera sostituzione del centralismo statale col centralismo, peraltro già assai forte, regionale. Non potrà essere percepita dai sardi come una conquista…
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato.
E' iscritto a parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, onorevoli colleghi, oggi non voglio mettere in dubbio che questa sia una discussione importante, una sessione straordinaria voluta fortemente per discutere di temi fondamentali per la nostra autonomia, ma se devo essere completamente sincero mi sembra che cade in un momento in cui l'interesse per questi temi pare esclusivamente riferibile a quest'Aula e alle forze politiche, oltretutto in maniera abbastanza distratta. Ma noi di questo dobbiamo tenere conto.
Porto un esempio personale. Stamattina per prepararmi a questa riunione di Consiglio mi sono alzato più presto del solito, e mi sono recato alle sei e mezza al bar, che frequento abitualmente, un bar frequentato da quello che io chiamo "il popolo delle borse frigo" cioè da lavoratori dell'edilizia che partono verso Cagliari, verso l'hinterland e si distribuiscono all'alba nei vari cantieri. Ebbene in quell'occasione ho potuto riscontrare che nelle chiacchierate che si fanno normalmente con queste persone (che sono il nostro popolo di riferimento, perché il nostro popolo di riferimento non possono essere solo gli intellettuali o i convegnisti di professione) non si avverte assolutamente l'importanza di questo dibattito. Di questo dobbiamo essere tutti estremamente consapevoli. Io non voglio fare la figura dei musicanti del Titanic, signora Presidente e signor Presidente della Giunta, che continuavano a suonare la loro musica incuranti del fatto che la nave stesse affondando.
Io ho avuto la sventura di avere un fine settimana abbastanza significativo. Sabato ho partecipato alla manifestazione di Oristano, in cui è stata urlata, con tutta la forza che sindacati, ANCI, MPS, e associazioni varie avevano in gola, la disperazione del popolo sardo. Domenica poi, per farla breve, ho partecipato alla manifestazione di solidarietà ad Ottana, insieme alla Presidente del Consiglio regionale e ad alcuni altri nostri colleghi (pochi per la verità) nei confronti del Sindaco di quel Comune, che è stato fatto oggetto di un pesantissimo e inqualificabile gesto di violenza. E i segnali che vengono dalla nostra società ci chiedono (per questo lo abbiamo chiesto in Conferenza dei Capigruppo, signora Presidente, accettando chiaramente democraticamente che venisse respinta la nostra proposta) di poter discutere, prima delle riforme statutarie e istituzionali, il punto tre all'ordine del giorno, cioè la posizione della Sardegna nei confronti delle norme di attuazione del federalismo fiscale.
Occorre parlare di risorse, ascoltare il Presidente della Regione, che deve comunicarci quali sono le conclusioni a cui sta pervenendo la Commissione paritetica sull'applicazione dell'articolo 8 novellato dello Statuto, cioè sapere quali sono le risorse certe su cui noi possiamo contare, anche per basare su queste una vera riforma e innovazione dell'autonomia regionale.
Cari colleghi, non ci deve sfuggire il fatto che è dalla terza legislatura, dal 1958, che il Consiglio regionale della Sardegna va avanti nella costituzione di Commissioni di modifica e di adeguamento dello Statuto regionale (la prima Commissione, nominata ad hoc, venne istituita nel '58). Ebbene, siamo andati avanti con una serie di nulla di fatto che non portano ad un eccessivo ottimismo, anche in questa situazione. E, se ho il tempo, dirò anche perché io sono molto pessimista sulla possibilità che questo nostro anelito di federalismo, addirittura di indipendenza, possa conseguire dei risultati. Anche perché vedo che ci sono delle fughe in avanti rispetto alla necessità di fare in fretta, di fare presto e di fare bene.
Quando infatti sento il collega Cuccureddu, che con me è stato messo in minoranza su quella proposta sul federalismo fiscale in Conferenza dei Capigruppo. Affermare che si rimette in discussione l'ipotesi della Costituente, parlare di un referendum consultivo che chiami i sardi a dire se si vuole o meno, non posso che essere pessimista. Io, anche durante la scorsa legislatura - e il mio partito si è sempre attestato su questa posizione - ho sempre affermato che questo Consiglio regionale è abilitato al potere e alla dignità, e deve avere la forza e la convinzione di portare avanti le riforme. Io non accetto che si pensi che questo Consiglio regionale discuta di delegare ad un altro Consiglio regionale - eletto poi sempre dagli stessi partiti che hanno eletto questo - una decisione che è nostra responsabilità precisa assumere.
Noi disponiamo di alcuni strumenti di cui si è già parlato in questo dibattito: c'è il ruolo importante della prima Commissione, della Commissione autonomia, che può essere integrata, rafforzata, che può essere anche affiancata, come è stato detto, per un ruolo tecnico propositivo, da esperti che potrebbero essere quelli che tutti i partiti pensano di inserire nelle liste di un'eventuale elezione per la Costituente. Se c'è questa volontà, andiamo in fretta. Il presidente Maninchedda, nell'illustrare la sua mozione, ha posto il termine di un anno. Un anno, badate, può andare bene per la riforma dello Statuto, ma non può andare bene per altre posizioni che il Consiglio regionale deve assumere relativamente al federalismo fiscale.
Noi a maggio ci troveremo di fronte, volenti o nolenti, alla probabile approvazione di un tipo di federalismo che a noi non va bene. Perché, quando si parla di federalismo, dobbiamo essere coscienti che di federalismi ce ne sono di vari tipi, e c'è in atto uno scontro micidiale tra le forze politiche ancora sotterraneo. Noi dobbiamo essere capaci di fare emergere questo elemento, questa differenza, perché io non so, nella Commissione dei trenta, istituita dal Ministero sulla legge numero 42 (la Commissione paritetica, composta da quindici rappresentanti del Governo e quindici delle Regioni) quanti siano, per esempio, i rappresentanti delle regioni meridionali, e quanti di questi siano portatori di una politica meridionalista. Ecco perché pensiamo che sia importante, quanto il punto due dell'ordine del giorno odierno, il punto tre: la discussione sul federalismo fiscale, e su quale tipo di federalismo debba essere realizzato.
Io sono d'accordo sull'ordine del giorno, voto che è stato proposto - se non ricordo male - nella mozione numero 81, che abbiamo sottoscritto, perché quella è la strada: un impegno per il Parlamento, un impegno possibilmente unitario. A questo richiamo e richiamiamo quest'Aula: possibilmente un impegno unitario che vincoli il Parlamento a rivedere uno Statuto che ormai, per alcune parti, è superato, perché è cambiato il mondo. Addirittura non avrebbe senso, dicono alcuni studiosi, parlare di autonomia in un mondo ormai interdipendente, complesso, in cui tutte le attività (pensiamo all'agricoltura e alla pastorizia) che pensavamo potessero essere assolutamente indenni dagli influssi esterni, oggi come oggi sono assolutamente vincolate a rapporti con l'esterno, non solo con l'Italia ma anche con l'Europa. E così vale per tutti i settori. Qualcuno afferma che adesso si dovrebbe parlare di eteronomia.
Il problema invece è: qual è la nostra potestà? Quale peso abbiamo nelle situazioni e nei luoghi dove si decide l'uso delle risorse? Noi siamo una regione che è ancora fuori dall'Unione Europea, siamo fuori dal Parlamento europeo. L'Italia dei Valori ha dovuto far dimettere due siciliani, un molisano e un campano, per poter portare un sardo al Parlamento europeo a Bruxelles. E ancora non abbiamo una legge elettorale che, a differenza di Malta, a differenza di altre piccolissime isole dell'Europa, ci garantisca la presenza di un rappresentante a Bruxelles; dobbiamo ancora ricorrere a questi piaceri che ci vengono fatti, o a livello di partito o nei rapporti con la Sicilia.
Io direi, collega Cuccureddu - mi rivolgo a lei anche perché è vicesegretario nazionale di un partito - che in questo momento è importante, quello che Paolo Dettori definiva il livello di contestazione e accettazione che ci deve essere in uno Stato federale, nei rapporti tra Regioni e Stato nazionale. Nel momento in cui c'è un attacco drammatico alle condizioni di vita dei sardi, in questo livello di contestazione e accettazione l'ago della bilancia deve spostarsi più verso la contestazione.
Io avanzo una proposta. Ieri ho sentito in una trasmissione il suo Segretario nazionale che diceva testualmente: "Non vorremmo che fosse la Lega Nord a definire le politiche per il Sud". Sottoscrivo integralmente questa preoccupazione. Allora, siccome domani è previsto il voto di fiducia su un Governo che dovrebbe definire gli impegni per i prossimi tre anni, perché i parlamentari sardi, i 9 parlamentari sardi del P.D. L., onorevole Mario Diana, perché i 5 parlamentari dell'M.P.A., onorevole Cuccureddu, non decidono di utilizzare per la Sardegna quello strumento che è stato utilizzato molte volte per altre realtà?
Lei ha citato il decreto attuativo sul federalismo cittadino. Bene, non le sarà sfuggito che il secondo decreto attuativo per Roma Capitale è stato approvato dal Governo. Non è un caso che ci sia forse l'ex Ministro Alemanno di mezzo? Che ci sia la necessità per il Governo Berlusconi di un bilanciamento tra le fughe in avanti (spesso ridicole, come le ultime battute del Ministro delle riforme Bossi, su Roma e sui romani) e la necessità di un riequilibrio sul versante della coalizione di centrodestra? Io sono pessimista per questo, perché so quale è il peso che ormai la lega ha nelle politiche nazionali, e la lega non è disposta a modificare la sua concezione di federalismo egoista, non è disposta! E se non c'è una determinazione, una contestazione, per usare ancora le parole di Paolo Dettori, una contestazione dei parlamentari sardi nei momenti in cui essi contano, allora noi possiamo fare decine e decine di dibattiti, con dotte citazioni e riferimenti aulici (non eolici) aulici a tutte le nazioni federaliste del mondo, però sappiamo che rischiamo di fare la stessa fine delle decine di tentativi di modifiche statutarie e istituzionali che questo Consiglio regionale ha registrato dal '58 ad oggi, ed io, cari colleghi, caro presidente Cappellacci, cara presidente Lombardo, io, questa figura non la vorrei fare, anche perché da consigliere regionale uscente ho avuto la soddisfazione, dopo quarant'anni e più, di poter quantomeno far approvare da questo Consiglio una riforma vera, quale era la riforma statutaria. Peraltro, se vediamo la questione dal punto di vista istituzionale, riforme istituzionali che definiscono una Regione diversa ne abbiamo approvato anche altre: abbiamo approvato il fondo unico per gli enti locali, abbiamo approvato la proposta di devoluzione di poteri dalla Regione agli enti locali; alcune intuizioni importanti del Piano paesaggistico regionale erano legate ad un uso diverso delle nostre risorse, la riforma dei Consorzi (che ancora adesso è in alto mare) la soppressione delle Comunità montane. Un riassetto istituzionale preciso può arrivare anche dalla soppressione delle province; il mio partito, a livello nazionale, sta proponendo da anni questo processo di affinamento, di ristrutturazione e di semplificazione anche istituzionale che riduce i costi, che aumenta la velocità di decisione, che attribuisce competenze maggiori in ossequio al principio di sussidiarietà ai comuni, a chi detiene il potere dalla base eccetera eccetera eccetera.
Alcune riforme le abbiamo fatte, ma poi siamo stati capaci, dentro questo stesso Consiglio (non voglio riaprire vecchie ferite) di tentare di affossare anche l'unica riforma (legge statutaria) che poteva anche presentare alcuni punti opinabili, ma che era una riforma vera, al punto che la scorsa legislatura abbiamo dovuto delegare di nuovo i tribunali dello Stato (noi Regione autonoma, che aneliamo addirittura all'indipendenza) per definire un problema di incompatibilità all'interno di questo Consiglio regionale.
Parliamoci chiaro, la realtà è diversa da quello che spesso siamo abituati a raccontarci qua, e io vorrei fare un richiamo alla realtà. La realtà è che è necessario uno scatto di reni da parte di questo Consiglio regionale, perché in breve tempo, definisca subito un percorso veloce, che possa poter definire una serie di modifiche che inseriscano la Sardegna in un processo di trasformazione in ambito federalista dello Stato italiano.
Io non voglio entrare completamente nei contenuti, non è questo il momento, anche perché stiamo ancora parlando di procedure, di come arrivare a discutere noi e a far discutere soprattutto i sardi di queste proposte, e soprattutto di come far capire ai sardi che c'è un legame strettissimo tra riforme e sviluppo. Cosa vuole dire riforma dei rapporti tra lo Stato e la Sardegna? Vuol dire anche capacità della Regione di autoriformarsi, di non essere più un potere più centralista dello stato centralista, come spesso è stata. Dobbiamo cercare di fare questo.
E allora, io sono perché si proceda - proprio perché pensiamo che sia indispensabile arrivare ad un voto unitario del Consiglio - ad una sospensione subito dopo la replica del Presidente, in modo da poter definire un percorso unitario e, soprattutto, veloce, scadenzando i tempi delle riforme che vogliamo portare avanti, altrimenti, badate, i sardi continueranno a non interessarsi dell', tant'è che i risultati del referendum sulla statutaria…
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Salis. E' iscritto a parlare il consigliere Giacomo Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Presidente, colleghe e colleghi, è chiaro a tutti che tutti gli scribi dell'unitarismo ad ogni costo non hanno ancora capito, o mostrano di non aver capito nulla, del Partito Sardo d'Azione. Signor Presidente, i sardi si sentono anche italiani. Noi ci siamo serbati italiani anche quando fummo abbandonati a noi stessi, anche quando il resto dell'Italia serviva, e non sempre malvolentieri, i tedeschi, oppure i francesi, o anche gli inglesi. Sono tre affermazioni pronunciate da tre padri del sardismo. Nell'ordine: Bellieni, Lussu, Tuveri. Tre frasi, che a quasi un secolo di distanza, bastano da sole a sfatare la stupida leggenda sull'unitarismo e quella, stucchevole e strumentale, sul separatismo.
A noi piace constatare, però, che dopo 100 anni soltanto chi è sardo all'anagrafe, fa da sempre e soltanto il politico romano, commettere gli stessi errori e lancia i medesimi anatemi senza costrutto. A costoro nel 2010 domando ciò che Bellieni chiedeva nel 1921, e cioè se il concetto di unità nazionale può non essere accompagnato da un'equa valutazione degli interessi, dei bisogni, delle tradizioni, dei costumi, dei diritti e delle aspirazioni delle Regioni che compongono lo Stato. Oppure domando, a quanti ci accusano di velleità separatiste, se la Sardegna debba restare per sempre incatenata al carro delle attuali istituzioni, se debba cioè rimanere immutato quel regime di accentramento che inceppa le attività produttive e lo sviluppo delle nostre migliori energie, sottoponendole a vincoli ingiusti e a formalismi ingombranti. Se così fosse, non esiterei a rispondere come Bellieni rispondeva un secolo fa: "Beh, allora continuate pure a dirci separatisti".
(Interruzione)
Il concetto infatti non cambia se invece che alla monarchia del '21 ci si riferisce allo Statuto sardo del '48. Per intenderci: lo stesso attualmente in vigore, quello mai modificato nonostante i diversi tentativi del Consiglio regionale, perché mummificato dal centralismo politico e imbalsamato dal Parlamento italiano. Quello Statuto nato nell'immediato dopoguerra, in un contesto di contrapposizioni ideologiche, sia in Italia sia in Europa, caratterizzato dalle dispute fra i filoamericani e i filorussi. Uno scontro così violento che anche in Sardegna attenuò il dibattito sulla riforma federalista dello Stato postfascista. Infatti, lo Statuto conquistato in sede di Assemblea costituente era già allora lontano non solo dal progetto sardista, ma soprattutto dalle aspirazioni e dai più elementari bisogni dei sardi, mentre il progetto sardista, vecchio più di ottant'anni, sembra oggi la vittoria profetica dei nostri giovani dei primi anni '20.
Oggi, infatti, tutte le forze politiche, in Italia e in Europa, di maggioranza o di opposizione, di sinistra o di destra, parlano di federalismo e di europeismo, e tutti voi in quest'Aula vi riferite di continuo al popolo sardo e nessuno di voi può permettersi di negare i temi dell'identità. Non soltanto all'inizio del secolo, ma anche nell'era del partitismo continentale della prima Repubblica, in quest'Aula come nei comizi, affermare l'esistenza del popolo e della nazione sarda era motivo di divisione profonda tra noi sardisti e i rappresentanti sardi delle forze politiche italiane. Oggi è un'altra musica ed è evidente che a sbagliare non erano i sardisti, così come è evidente, però, che la maggior parte dei partiti ha puntato ad impossessarsi dei linguaggi del sardismo piuttosto che dei suoi profondi valori.
Forse per queste ragioni alcuni ancora oggi si mostrano tiepidi nel dibattere nel Parlamento dei sardi il tema dell'indipendenza, mentre altri si ostinano a trattare l'argomento con slogan vecchi di cent'anni e pregiudizi smentiti dai fatti, dalla politica e dalla storia. Noi sardisti, oggi come allora, tiriamo dritti per la nostra strada. Abbiamo di fronte un cammino lungo, per certi versi tortuoso e certamente difficile, ma abbiamo un orizzonte politico certo, quello che è scritto nell'articolo 1 dello Statuto del Partito Sardo d'Azione e che si chiama indipendenza della Sardegna. E' così dal 1981, dal Congresso nazionale di Porto Torres, da quando cioè il Partito Sardo d'Azione ha scelto con nettezza l'opzione strategica dell'indipendenza e ha superato quella dell'autonomia, corrispondente a una stagione politica che non rinneghiamo affatto e che giudichiamo comunque importante.
E' vero, infatti, che l'autonomia per oltre mezzo secolo ha regalato ai sardisti e alla Sardegna momenti di alta dignità in difesa del nostro popolo, dei nostri valori e della nostra democrazia, ma è altrettanto vero il fatto che l'opzione politica dei sardisti è soltanto quella scritta e certificata nella carta dello stare insieme dei sardisti. E' così ormai da trent'anni e non c'è alcuna intenzione di rinunciare al sogno dell'autogoverno dei sardi e alla speranza di costruire una Sardegna più libera, più uguale e più giusta. Giudico pertanto superfluo rimarcare che l'opzione indipendentista del Partito Sardo d'Azione è ben nota da tempo a tutte le forze politiche che a partire dagli anni '80 hanno dato vita alle alleanze col Partito Sardo d'Azione, e che i sardisti hanno governato e in molti caso governano nei Comuni, nelle Province e alla Regione. La precisazione è d'obbligo per quanti fanno confusione fra il contingente momento politico e il nostro orizzonte politico di sardisti convinti.
Noi oggi chiediamo a tutte le forze politiche sarde di rivelare con chiarezza, nel Parlamento dei sardi, quale sia il loro orizzonte politico, quale Sardegna immaginano e qual è la stella polare che seguono nel difficile cammino sulla strada delle riforme. Un passaggio che giudichiamo un momento di politica alta, oltre che un chiarimento necessario per avviare insieme un programma di riforme profonde. Non ci spaventano né i toni patriottardi, né scoprire gli anti-autonomisti, ma ci interessa, invece, aprire un confronto serio perché vogliamo rimettere al centro della politica sarda la Sardegna e i bisogni del suo popolo. Non ci piace, infatti, subire le riforme del Parlamento italiano e vogliamo che la politica sarda ritrovi un ruolo da protagonista nella stagione dei grandi cambiamenti costituzionali.
Troviamo paradossale vedere la politica sarda ai margini del dibattito sul federalismo dopo che nella nostra terra il pensiero sardista ha per primo tratteggiato la trasformazione in senso federale della Repubblica italiana. Non ci piace, dunque, l'agenda delle consultazioni del ministro Calderoli, che ha inserito la Sardegna in fondo al calendario degli incontri per far posto, in cima, alle regioni a Statuto speciale del Nord Italia. Allo stesso modo riteniamo che non sia rinviabile il varo del nuovo Statuto. Quello vecchio - lo ricordo a quanti continuano ad agitarlo come un totem nell'arena del dibattito politico - non parla di Europa e non ha saputo garantire alla Sardegna gli strumenti necessari per uscire dal sottosviluppo.
E' vero che il Consiglio regionale ha, fin dal suo primo insediamento, tentato di riformare lo Statuto sardo, ma è altrettanto vero che tutte le commissioni consiliari appositamente istituite con tale finalità hanno sempre fallito questo compito, ad eccezione di quella speciale, presieduta dal compianto Salvatore Bonesu, nell'undicesima legislatura, che è riuscita invece ad approvare un documento finale sulla materia. Purtroppo, però, considerazioni di mera contingenza politica, da parte dei due principali partiti di maggioranza e opposizione, ne hanno impedito la discussione in Aula.
Il superamento delle prerogative dell'autonomia è dunque nei fatti e non è un caso che mai una proposta di legge costituzionale approvata dal Consiglio regionale abbia trovato accoglimento nel Parlamento italiano. E' stato così anche per quella che istituiva l'Assemblea costituente del popolo sardo, arenata nella Commissione affari costituzionali senza aver avuto neppure l'onore dell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori parlamentari. E per certi versi una sorte ancora peggiore è stata riservata all'iniziativa del centrosinistra nella scorsa legislatura.
Dalla discutibile convinzione che "lo Statuto sardo non è da riscrivere ma da applicare", è nata la così detta Statutaria. Graziata dal quorum al referendum, è stata stroncata senza appello dalla Consulta il 4 maggio dello scorso anno. Al di là delle differenti valutazioni è certo un fatto: noi non vogliamo arrenderci. Vogliamo riscrivere lo Statuto insieme ai sardi e vogliamo restituire alla Sardegna un ruolo da protagonista nel dibattito delle riforme. Offriamo il nostro patrimonio storico e la nostra credibilità politica sul tema del federalismo e riaffermiamo il diritto dei sardi all'autogoverno e all'indipendenza. Auspichiamo altrettanta franchezza e analoga disponibilità al confronto da parte di tutte le altre forze politiche, a incominciare da quelle a noi alleate.
Il nostro obiettivo politico è chiaro: condividere nel Consiglio regionale un progetto di libertà che precisi come la Sardegna dovrà affrontare la partita decisiva sul tema della sovranità dei sardi e dell'indipendenza. Vogliamo farlo all'interno di un sistema federalista o, se si preferisce, di interdipendenze, così come è stato già detto, dell'Italia e dell'Europa. Ma sappiamo bene che insieme all'indicazione dell'obiettivo strategico serve un percorso possibile in Consiglio regionale, e per questo diciamo che siamo pronti ad affrontarlo perché separatamente sia definito nei dettagli il percorso legislativo possibile per il nuovo Statuto e per quelle riforme che questo Consiglio può realizzare.
Il Partito Sardo d'Azione vorrebbe farlo con tutto il popolo sardo, e per questo ribadiamo il sostegno convinto all'Assemblea costituente, ma come sempre abbiamo fatto e come sempre faremo siamo pronti ad ascoltare tutti, anche coloro che ancora oggi tentano di deridere o annacquare la spinta dell'indipendenza. Nel passato medesima sorte era spettata alla questione della lingua, all'idea stessa del federalismo, alla zona franca o alla continuità territoriale. Il tempo e i fatti hanno rivelato chi stava dalla parte del giusto e soprattutto dalla parte dei sardi e oggi i fatti dicono che il tempo è quello, e cioè il tempo dell'indipendenza. Fortza Paris.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Luciano Uras. Ne ha facoltà.
URAS LUCIANO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, Presidente della Giunta, colleghi, noi siamo chiamati qua a discutere su diversi documenti che sono stati presentati da diversi Gruppi politici e in molte circostanze anche in modo diverso dagli stessi Gruppi politici. Sostanzialmente i documenti presentati si differenziano in ragione dell'obiettivo: alcuni (la maggior parte) ipotizzano un percorso di modificazione, di revisione dello Statuto speciale, altri invece propongono percorsi, procedure di rottura con l'attuale sistema istituzionale e anche quindi con la dimensione repubblicana. Percorsi quindi che non approdano a passi procedurali già definiti all'interno dell'ordinamento, ma che suggeriscono la definizione di norme specifiche che consentano questa rottura, io immagino in modo pacifico.
Voglio ricordare che in quest'Europa (ma è di questi giorni, è di pochi mesi, è di pochi anni fa) i conflitti sulle esigenze di indipendenza, di autogoverno, di sovranità dei popoli sono stati conflitti sanguinosi, sanguinosissimi, e i morti si sono contati a migliaia e non molto distanti da qui. Cosa dire dei Balcani? Cosa dire delle repubbliche socialiste sovietiche all'indomani della caduta del muro di Berlino, delle tragedie che ancora si consumano, dei terrorismi che nascono, delle denominazioni e delle prevaricazioni che si consumano, cioè dello stato di guerra permanente di quest'Europa incapace di decollare nella sua dimensione di Stato federale, ancora governata dai governi dove i cittadini sono relegati ad una partecipazione minima?
Questa è la realtà che abbiamo di fronte, per cui vale anche osservare che non accettiamo la banalizzazione di questo discorso, di questa discussione, di questo confronto, come pure hanno tentato alcuni noti giornalisti lombardi dalle pagine di giornali lombardi. Come dire: "I sardi hanno l'ardire di discutere della loro realtà, di proporre soluzioni e percorsi che riguardano la riscrittura del patto costituzionale con lo Stato, definire forme più avanzate di autogoverno, tratteggiare possibilità di sovranità" e vanno a cercare uno di noi, un grande riformatore del secondo novecento, vanno a cercare uno di noi per farci dire, ma con un'ottica un po' più verso il centrosinistra, con un occhio un po' più malizioso verso questa parte, che siamo dei pazzi, che siamo dei pazzi! E siamo dei pazzi perché sosterremo con le nostre pretese i processi politici che sono stati attivati al Nord, in Lombardia, partendo da presupposti totalmente diversi, costruendo identità che non ci sono mai state per sostenere posizioni di prevaricazione nei confronti degli altri, coloro che sono stati gli artefici delle guerre di dominazione.
Io non sono un appassionato del Risorgimento, una guerra di occupazione che ha depredato il Mezzogiorno, che ha diviso questo Paese e ha diviso anche coloro che vivono in questo Paese, gli italiani. Noi siamo - ce l'ha dimostrato Carlo Sechi - un Paese pieno di nazioni diverse, solo in Sardegna ce ne sono alcune, nazioni che hanno lingua, cultura, radici che si riferiscono a popolazioni diverse, siamo una terra che ha subito dominazioni, dove si sono radicati ceppi differenti, dove le etnie le più disparate, più diverse si sono mischiate, si sono contaminate!
Per tornare a noi, abbiamo di fronte nove documenti, alcuni parlano di sovranità, di rottura, di procedure di rottura con l'attuale sistema istituzionale, altri parlano più semplicemente di revisione dello Statuto. Io non trovo una grande differenza, devo dire, sulle modalità di iniziativa legislativa della Regione, articolo 51 o articolo 54 dello Statuto. L'articolo 51 mi sembra un po' più prostrato verso il potere nazionale perché fa voti prevalentemente al Parlamento cioè ad una sede dove solo alcuni - neppure tutti coloro che sono qua - sono rappresentati: non ci sono i sardisti, non ci siamo noi, non ci sono i Rosso Mori, non c'è la Federazione dei comunisti. Quindi, sono più propenso ad utilizzare l'articolo 54 dello Statuto, cioè il potere di questo Consiglio regionale di approvare una legge costituzionale o meglio di approvare una legge costituzionale di iniziativa regionale e trasmetterla al Parlamento.
Si può fare come con l'articolo 51, non facendo voti, perché io non sono molto convinto che fare voti al Parlamento serva a qualcosa, tanto meno a questo Parlamento. Abbiamo molte difficoltà noi ad essere degni di una rappresentanza che c'è stata affidata, ma il Parlamento italiano è veramente pietoso. Non risolve i problemi, è pieno di gente di cui ci raccontano cose orribili, sta lì a litigare su chi è più malversatore, su chi è quello che ha malversato privatamente piuttosto che pubblicamente. Cioè è una classe politica deteriorata che dà un'immagine di sé stessa totalmente deteriore. Ecco perché fare voti al Parlamento mi sembrerebbe azzardato. Un po' azzardato è anche pensare che il percorso di revisione dello Statuto possa essere iniziato e concluso da questo Consiglio regionale da solo. Deve essere coinvolto il popolo sardo, ma soprattutto deve essere convinto il popolo sardo che c'è bisogno di revisionare lo Statuto e che revisionare lo Statuto porterà una risposta ai problemi di questo popolo.
Se non porterà risposte sarà un ulteriore fallimento, determinerà un ulteriore deterioramento dell'immagine e della sostanza di questa classe politica, di questa classe dirigente, perché la classe dirigente di questo Paese e di questa Regione sono sotto processo. Sono sotto processo gli imprenditori, troppo egoisti, troppo profittatori, troppo sfruttatori, troppo accumulatori e le professioni, troppo servili e anche i lavoratori, troppo poco combattivi nel rivendicare i propri diritti e nel difenderli fino in fondo anche attraverso le proprie rappresentanze. C'è un'accettazione e una rassegnazione intollerabile di una situazione che non funziona, che garantisce alcuni e discrimina i più, e quindi la revisione di questo Statuto deve essere una revisione che dia risposte ai problemi.
Noi non ci metteremo d'accordo sul merito, ma del resto non sarebbe neppure giusto. Noi non dobbiamo tirare fuori un ordine del giorno per rivendicare: indipendenza e sovranità oppure per metterci d'accordo con lo Stato, per raccattare qualche potere in più. No, noi dobbiamo attivare un percorso, una procedura, e dobbiamo lasciare ai sardi il diritto di definire il contenuto, il merito della proposta.
Io non so se la soluzione migliore sia la Commissione speciale o la prima Commissione opportunamente integrata, se si debba o non si debba accompagnare questo processo con presenze tecniche e tecnico-politiche di livello che ci aiutino nella scrittura della proposta, nell'analisi dei problemi, so solo che il lavoro che dobbiamo fare anche come Presidenti di Gruppo ma anche come singoli consiglieri è quello di una stesura di un documento di metodo che faccia uscire questo Consiglio regionale da questa discussione con un percorso tracciato che deve essere unitario. Unitario non perché non ci siano differenze tra noi anche sostanziali anche su questo argomento, e non perché meriti la vostra maggioranza una particolare attenzione.
Siamo al disastro, siete impegnati in una crisi senza fine, la Giunta è improduttiva, il Consiglio è improduttivo, noi abbiamo approvato quattro leggine, ma i problemi, quelli veri, non li abbiamo aggrediti, non abbiamo compiuto un passo vero verso la soluzione dei problemi della disoccupazione, della disgregazione sociale, del rilancio produttivo, del rilancio economico delle nostre imprese, dell'agricoltura, della pastorizia. Siamo lì, fermi, imballati, ma vogliamo intraprendere ugualmente questo percorso unitario ma perché pensiamo che questo sia un metodo, un terreno su cui, attivando il confronto, forse potremmo anche rendere produttivo quel che rimane di questa legislatura. Occorre per essere concreti, concreti per tirare fuori i nostri documenti (parte dei documenti sono già contenuti nelle mozioni che stiamo discutendo) per arrivare ad un documento che ci vincoli con tempi, prevedendo modalità e soggetti. Poi affronteremo anche il problema del federalismo fiscale e lì probabilmente ci divideremo anche di più, ma dobbiamo fare uno sforzo per capire.
Io ho apprezzato molto alcune osservazioni espresse dal presidente Soddu in diversi dibattiti, non lo dico per polemica nei confronti di Paolo, ma alcune di queste personalità che hanno vissuto per tanti anni le vicende politiche di questa Regione riescono a racchiudere una proposta anche in una frase sintetica quale quella: "più libertà, più sviluppo". Io sono convinto che questo sia un binomio positivo. Più libertà vuol dire anche più sovranità e più sovranità vuol dire anche più strumenti. La revisione dello Statuto deve quindi essere orientata al recupero di poteri più significativi, soprattutto dal punto di vista della gestione economica, soprattutto dal punto di vista della relazione internazionale anche con l'Unione Europea che è il nuovo Stato federale, quello che esiste perché l'altro non esiste.
L'altro Stato federale, infatti è un'ipotesi pensata per dividere. L'Unione Europea è stata fatta per unire i Paesi europei rispetto ad un benessere generale, ad obiettivi di crescita complessiva dell'Europa, mentre l'altro Stato federale che si vuole realizzare rappresenta una visione degenerata del federalismo, cioè il federalismo pensato per dividere, per rompere l'unità, per rompere la solidarietà tra le Nazioni, per prevaricare con la forza acquisita anche con le braccia dei sardi e dei meridionali, i sardi e i meridionali.
Quei pseudo governanti con la puzza sotto il naso si ergono, a giudicare, come fanno i pseudo giornalisti democratici, e con lo slogan "Roma ladrona" lavorano per sequestrare i diritti di una parte di questo Paese. Noi non siamo lo sgabellino della Lega perché parliamo di autonomia, di sovranità e di indipendenza, e neppure lo vogliamo essere. Non lo saremo perché il loro messaggio è un messaggio perdente, è un messaggio fatto di cattiverie, di discriminazione verso le persone, di emarginazione mirata, finalizzata all'esaltazione dell'egoismo. Loro sono coloro che dominano, anche questo Paese, anche questa Regione e la rendono più povera perché è nel loro animo, nel loro pensiero sviluppare l'egoismo piuttosto che la solidarietà. Per noi invece il ragionamento è diverso, perché partiamo da una base diversa che è quella della sofferenza, una sofferenza che paghiamo giorno dopo giorno attraverso i nostri giovani, attraverso il 44 per cento di disoccupati.
Noi non abbiamo i tassi fisiologici dell'area di Milano, abbiamo una terra desertificata, devastata sotto il profilo sociale ed economico. Ed è per questo che ragioniamo in termini di sovranità per noi ma anche per gli altri, in termini di incontro di sovranità, in termini di espansione dei diritti, perché questo mondo si salverà solo così. Se qualcuno pensa che basti accumulare ricchezza nella propria tasca per salvarsi dal disastro, deve fare di nuovo i propri conti, perché sembra così, ma poi piano piano desertifica il territorio in cui vive e si sposta in un'altro con tutto il suo bagaglio di miliardi, e successivamente anch'esso si desertificherà e farà così, di volta in volta, fino a quando non sarà solo in un mondo distrutto dalla sua cupidigia.
Ecco perché noi pensiamo di costruire insieme qualcosa che parta dai diritti, da riconoscere, da salvaguardare e da sviluppare. E' questo il nostro federalismo.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Vargiu. Ne ha facoltà.
VARGIU (Riformatori Sardi). Signori Presidenti, colleghi del Consiglio, io proverò, nel pronunciare l'intervento conclusivo di questo dibattito a nome dei Riformatori, a partire dalle domande formulate in quest'Aula dal Capogruppo del Partito Sardo d'Azione, che ci ha chiesto in maniera chiara quale idea abbiamo della Sardegna, e quale orizzonte. Ecco, io credo che al termine di questo dibattito a ciascuna forza politica spetti il compito di dirlo con chiarezza, e per i Riformatori io cercherò di farlo, cercherò di essere chiaro, in maniera tale che possano esserci differenze, ma non dubbi su ciò che ciascuno di noi pensa.
Devo dire che il dibattito che si è svolto in Consiglio questi giorni personalmente mi ha arricchito molto, e mi ha educato alla cultura dell'ascolto, che non è la cultura sempre dominante in quest'Aula. Credo che su alcuni ounti siamo stati sostanzialmente d'accordo, sulla parte diagnostica.
Fuori dal palazzo. Beh, io sentendo gli interventi dei colleghi del Consiglio sono convinto che la percezione del dramma, della disperazione, della gravità della situazione che c'è fuori dal palazzo (i pastori, Vinyls, Vol2, precari, l'industria pesante in crisi) sia nella testa dei consiglieri regionali. Ed è anche nella testa dei consiglieri regionali la consapevolezza che abbiamo scadenze nazionali vicine, quelle del federalismo, con i decreti del maggio 2011, che viene declinato in questo momento attraverso il modo che noi conosciamo, che è quello dei livelli essenziali delle prestazioni, ed è quello dei costi standard. E sappiamo perfettamente cosa consegue a questo modo di declinare il federalismo: consegue il concetto che chi ha i servizi peggiori li paga di più. E' quello che stiamo vedendo nel Lazio, con i piani di rientro della Sanità, nella Campania, e via dicendo.
Bene, di fronte ad una diagnosi che è comune, quali sono le terapie di cui si è ragionato in questo Consiglio regionale? Io provo anche qui ad essere schematico. Sono risuonate negli interventi dei consiglieri regionali delle parole comuni: sovranità, autodeterminazione, autonomia e indipendenza. Devo dire che ognuno le ha declinate in modo diverso, ma queste sono le parole che principalmente sono risuonate. Io l'ho detto chiaramente anche nel primo intervento che ho pronunciato per conto dei Riformatori: "Se l'indipendenza è un progetto politico noi Riformatori non siamo interessati, la pensiamo diversamente".
Non siamo interessati a discutere se manchino 2 miliardi e mezzo, o 5 miliardi al nostro saldo per poter essere indipendenti. Non siamo interessati neanche a sapere quanta parte del debito nazionale, che oggi è il 136 percento del PIL, quindi 35 miliardi di euro per la quota parte della Sardegna, si riverberebbe sulla nostra Isola. Non ci interessa questo ragionamento. Ci interessa - l'ha detto un consigliere Sardista, il collega Solinas - che il sangue dei soldati sardi è stato speso per l'Unità d'Italia, ci interessa che i valori della Costituzione repubblicana - lo ha detto il presidente Soru - sono i valori in cui ci riconosciamo.
Quindi noi vorremmo che la parola "indipendenza" venisse usata come la usano i Sardisti, cioè che nessuno la usasse in quest'Aula come una scorciatoia, quella che affascina sempre le classi politiche nei momenti di difficoltà: "La colpa è di Roma". La colpa è di Roma e allora noi cerchiamo di intercettare un sentimento che è vero, è presente in Sardegna: quello dell'indipendentismo. Cerchiamo di dare un sogno ai Sardi perché si dimentichino della fame che oggi c'è in Sardegna. Li facciamo sognare e così hanno meno appetito, lo stomaco si restringe. Non vorremmo che questo fosse il modo di declinare il sentimento dell'indipendenza.
Maninchedda dice una cosa diversa. Maninchedda dice: "L'indipendenza può voler dire efficienza, perché chi viene buttato in mare, o nuota, o affoga". Maninchedda dice: "Impariamo a nuotare". Noi sottolineiamo invece che non vorremmo affogare. Però anche sulla base di una riflessione che mi hai aiutato a sviluppare il collega Capelli, che mi ha fatto avere una lettera riportata dai giornali su ciò che oggi in Sardegna non va bene, vorrei riflettere con voi, su quanta parte lo Stato ha di colpe in alcune delle situazioni che vi cito.
Sembra che il Consiglio regionale in resipiscenza si sia pentito delle otto Province sarde. Ce le ha fatte Roma? Sembra che ci pentiamo del fatto che non usiamo bene le risorse della Sanità. Beh, la riforma sanitaria è un anno e mezzo ferma in Commissione perché Roma non la fa andare avanti? Abbanoa: i buchi di Abbanoa nelle condotte li ha fatti Roma? La legge elettorale che non siamo riusciti mai a fare in questo Consiglio, ci ha impedito Roma di approvarle? I Consorzi industriali, i Consorzi di bonifica, il Porto canale che ha richiesto trent'anni, è tutta colpa di Roma? La zona franca, prevista nel nostro Statuto, che oggi tutti dicono che se l'avessimo realizzata a suo tempo sarebbe stata uno straordinario volano di sviluppo per la Sardegna, è stata ostacolata da Roma?
Badate, i livelli essenziali delle prestazioni e i costi standard porteranno un giorno qualcuno a dirci: "In Lombardia per mille licenze di pesca ci sono quattro impiegati amministrativi, da voi ce ne sono dodici, perché?". Noi potremmo dire: "Perché in Lombardia c'è un sistema informatico perfetto che ha pagato lo Stato, e che in Sardegna non c'è". Ma poi dovremmo anche dire: "Perché noi avevamo problemi di ammortizzatori sociali, i dodici amministrativi per mille licenze di pesca rappresentano il gap, … l'inefficienza supplementare della Sardegna rispetto alla Lombardia.
Ancora una volta, col collega Uras, troviamo un sentimento di condivisione sui problemi concreti. Noi Riformatori crediamo che il problema fondamentale della Sardegna oggi sia quello del deficit della classe dirigente, e della classe politica, e lo sottolineammo tre volte, ed è questo il punto di partenza di questo Consiglio regionale. Vi rivolgo una domanda: la gente, secondo voi, quella che c'era a Oristano sabato, vuole cambiare il governo di Centrodestra col Centrosinistra? Vi do io la risposta: "Esattamente come prima voleva cambiare quello di Centrosinistra, con quello di Centrodestra". In realtà la gente non ha fiducia in questa classe dirigente, in questa classe politica, e l'idea di cambiare serve semplicemente a sostanziare la mancanza di fiducia, che se abbiamo intelligenza dobbiamo cercare di ricostruire.
Quando andavo in giro, immediatamente dopo le elezioni, una richiesta frequente era quella di cambiare i Direttori generali delle AA.SS.LL.. Io ho sempre risposto: "Metteremo direttori generali, o commissari, simili a quelli che vanno via", perché non ci sono due classi dirigenti straordinarie da spendere, una di centrodestra e una di centrosinistra, e non c'è un pilota scarso da sostituire con uno bravo, c'è complessivamente un deficit a cui noi dobbiamo far fronte, ma a cui possiamo far fronte solo se siamo consapevoli che questo deficit c'è, in primo luogo in noi stessi.
Il problema della classe, guardate colleghi, non nasce oggi. Come voi mi sono andato a rileggere la storia dello Statuto, la Consulta, mi sono andato a leggere le discussioni tra Lussu e Laconi, quelle discussioni durante le quali Lussu ha tentato di far approvare anche per la Sardegna lo Statuto della Sicilia. La risposta fu: "No, manco per sogno, lo facciamo noi consultori sardi, perché sicuramente siamo più bravi di quelli siciliani! Alla fine Lussu votò nella Costituente il nuovo Statuto esclusivamente perché aveva paura che non passasse neppure quello, non perché fosse convinto che fosse davvero lo Statuto che serviva alla Sardegna.
Ancora, io vi chiedo: quando si operò in Sardegna la scelta dell'industria pesante - di cui oggi noi sembriamo essere amaramente pentiti - quali furono le forze politiche sarde che si opposero? Quali furono i grandi padri della patria, quelli che citiamo sempre, i costituenti, la grande classe politica che ci ha preceduto mentre noi siamo scarsi, quali furono quelli che si opposero? Ditemi i nomi, i cognomi, le paternità!
Allora, se abbiamo in testa che il problema è quello della classe dirigente fermiamoci un attimo. E non è un problema di età, perché se in questo Consiglio regionale verranno consiglieri con vent'anni meno di noi ma che ragionano come noi, con gli stessi ritmi nostri, con gli stessi pregiudizi nostri, con le stesse mentalità nostre, con le stesse educazioni limitative nostre, beh…, insomma, non avremmo risolto niente!
Voi dite, e io ascolto: "La Sardegna è una nazione, la Sardegna è uno Stato". Se è uno Stato, lo ripeto, ha bisogno di "statisti", non di "politicanti". Sinché la Sardegna avrà politicanti nella sua classe dirigente non sarà uno Stato, perché gli mancheranno gli statisti che fanno politica. Lo dico anche qui, sperando di non essere frainteso: la Sardegna ha bisogno di discontinuità. Sapete qual è il Governo regionale che meglio di tutti ha incarnato la necessità di discontinuità? Il Governo del presidente Renato Soru! Lo ha fatto in maniera contraddittoria, noi Riformatori gli siamo stati avversari leali dal primo all'ultimo giorno, ma ha incarnato il senso, il bisogno di discontinuità di cui questa Regione ha necessità più che di ogni altra cosa.
Allora, concludo, colleghi del Consiglio regionale - a noi Riformatori prendeva sempre in giro l'onorevole Cugini che era un simpatico linguacciuto - sulle riforme parliamo o le facciamo? Perché ci sono alcune questioni che sono di competenza statutaria, ma, tutto il resto, passa per questo Consiglio regionale! Non si può puntare il dito contro la luna! Siamo noi che dobbiamo fare le riforme. Allora, ci mettiamo d'accordo e facciamo in modo che la prima legge che passi in Consiglio regionale sia una legge di buon senso che ci riporti verso la sensibilità dei sardi? Che sia una legge che riduca il numero dei consiglieri regionali? Ci mettiamo d'accordo su questo? In questo modo faremo una cosa gradita ai sardi e utile alla funzionalità di questo Consiglio regionale, cioè dare finalmente alla nostra Assemblea una dimensione umana, simile a quella di altre regioni italiane, che hanno un rapporto ben diverso dal nostro fra il numero dei consiglieri regionali e la popolazione?
Lavoriamo su un filone che è fondamentale per la nostra crescita e per dare discontinuità al nostro rapporto con le cose. Mi riferisco al filone della crescita culturale, il filone che ha avuto il Master and Back come elemento di inizio, e che sicuramente va rivisto. Mi riferisco al filone del nostro rapporto con le università, con l'istruzione in Sardegna, del nostro rapporto con la burocrazia. In Irlanda il passo in avanti decisivo è stato compiuto quando hanno delegificato, quando a chi voleva investire è stato detto: in 3 giorni ti diciamo sì o no, non in 3 anni.
I Fast Truck della Pubblica Amministrazione, la riforma della democrazia: questo è il nostro modo di manifestare discontinuità, e non serve lo Stato italiano per poter andare avanti in questo.
Sul nuovo Statuto - e concludo - guardate: io non sono affatto convinto che ci serva domani un nuovo Statuto. Io credo che quando andremo, nell'immediato, a trattare con Roma sul problema delle entrate fiscali e sul problema del federalismo, l'articolo 8 dello Statuto vigente sarà più che sufficiente per iniziare la difesa e la garanzia dei diritti dei sardi. Se affideremo all'ennesima Commissione l'idea di discutere, di scrivere eccetera..., comunque abbiamo un percorso di 3 anni tra il lavoro della Commissione, l'approvazione in Aula, il passaggio come legge costituzionale nei 2 rami del Parlamento e la correzione che potrebbe essere apportata nuovamente interpellando la Sardegna. E' un percorso lungo, quindi lo Statuto non è un feticcio, non è un'idea che ci deve perseguitare domani e dopodomani, lo Statuto deve essere uno strumento che utilizziamo sul serio nell'interesse dei sardi, della Sardegna (e su questo è stato lucidissimo Luciano Uras).
Per questo noi Riformatori vi diciamo che siamo stati e siamo per la Costituente, che non voteremo nessun ordine del giorno che non abbia chiara idea di che cosa serva ai sardi: ai sardi serve uno Statuto ma non uno Statuto qualsiasi, scritto da bravissimi giuristi, che sia anche molto avanzato sui temi dell'autonomia, della sovranità e di quello che si vuole. Serve uno Statuto in cui credono loro! In cui sardi siano convinti che attraverso quello strumento potrà cambiare la vita della Sardegna! E' questo quello che deve essere inserito nello Statuto, lo Statuto diventa più importante come strumento che non come obiettivo stesso. Deve essere uno strumento di consapevolezza, di nuova mentalità, di nuovo rapporto con la gente, tra la politica e la gente, tra la classe dirigente e la gente, deve essere il modo di selezionare la nuova classe dirigente, deve essere il modo, Presidente Cappellacci, con cui noi andiamo a dire allo Stato italiano che quando parliamo di nuova specialità della Sardegna e abbiamo in mente i livelli essenziali delle prestazioni e abbiamo in mente i costi standard, i costi standard della sanità in Sardegna sono diversi da quelli della Lombardia! I costi standard della scuola a Esterzili sono diversi da quelli di Milano! I costi standard delle Poste, della Giustizia e della sicurezza e dei trasporti interni nostri sono diversi! E poiché noi siamo cittadini italiani, cittadini dello Stato italiano, abbiamo diritto ad avere gli stessi servizi che hanno gli altri nostri connazionali e non li chiediamo perché altrimenti minacciamo l'indipendenza: li chiediamo, perché è un nostro diritto!
Abbiamo diritto ad avere una classe politica sarda con la "schiena dritta", che questo abbia ben chiaro in testa e sappia che è l'unica bussola, l'unica stella polare - per rispondere al collega Giacomo Sanna - che deve orientare questa classe politica sarda.
Anche noi Riformatori abbiamo, come Sardisti, una strategia-sogno, un'illusione, ed è quella del partito dei sardi. Non siamo convinti che debba diventare la Sudtiroler Volkspartei o l'Union Valdôtaine, un partito che mira al 51 per cento. Siamo convinti che sia un sentimento che può crescere anche in tutti i partiti sardi che pure rimangono incardinati nei partiti nazionali, un sentimento che ci aiuta, se crediamo che serva, a dare risposte vere a chi aspetta fuori da quest'Aula.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare consigliere Milia. Ne ha facoltà.
MILIA (U.D.C.). Presidente del Consiglio, Presidente della Giunta, colleghi, in una delle fasi più critiche dai tempi della sua costituzione questo Consiglio regionale si trova a dibattere sulla necessità di darsi, e di dare alla regione Sardegna, un nuovo assetto istituzionale e regolamentare. Da tutti i colleghi intervenuti in questo dibattito (e non solo dai colleghi ma anche dagli interventi che si sono seguiti sugli organi di stampa) è emersa l'inadeguatezza, anche alla luce delle importanti riforme nazionali, di questa autonomia, della nostra attuale autonomia, che a detta di molti non sarebbe più capace di affermare la nostra specialità. L'autonomia è diventata uno strumento inadeguato e desueto, non garantisce più la necessità di autogoverno e di autodeterminazione.
Noi siamo ben consci che il nostro obiettivo è quello di costruire e di elaborare un patto costituzionale che porti a un nuovo Statuto capace di riconoscere ai sardi e alla nostra terra quei poteri e quelle risorse economiche e finanziarie necessarie per dar luogo ad un effettivo autogoverno. Uno Statuto che si fondi sulle peculiarità insulari e sia in grado di garantire il massimo potere contrattuale della Regione sarda nei rapporti con lo Stato italiano. Questo in linea di principio; tuttavia, in questa occasione di confronto - così come nell'opportuno e variopinto dibattito che si è sviluppato - è scaturita una serie di situazioni difficilmente conciliabili sia con la vigenza dei tempi sia con il buon senso che sempre dovrebbe informare chi esercita responsabilità non solo politiche e istituzionali come le nostre ma anche, fuori di quest'Aula, funzioni come quelle esercitate dalle parti sociali, delle autonomie e dalla società civile.
Abbiamo assistito a qualche esaltazione di matrice isolazionista, alle più consuete rivendicazioni separatiste e indipendentiste che francamente ci sembrano fuori luogo oggi, nel contesto storico culturale, anche quando si spara a palle incatenate contro l'Italia matrigna che non ci vuole bene, forse spinti da un riverbero contro il vento del nord che in questo momento sta conculcando la volontà non solo dell'Italia ma anche del Governo italiano.
E' riecheggiato anche qualche strano riferimento a quella forma di autonomia siciliana che, per il vero, ha origini e tradizioni assai diverse dalle nostre e ha avuto un esito differente per motivazioni così lontane dettate dalla contingenza degli eventi. Ricordo infatti che, mentre i nostri padri costituenti, come Renzo Laconi, Emilio Lussu o lo stesso Antonio Segni, hanno tentato di ottenere per la Sardegna un progetto identitario e autonomista, mentre costoro contribuivano nell'immediato dopoguerra a scrivere la legge delle leggi, in Sicilia, all'indomani della dittatura, esisteva una forte vena separatista alimentata, per ragioni geopolitiche, dall'intelligence statunitense; questa vena autonomista sfociò nel movimento governato da Andrea Finocchiaro Aprile che riscosse circa mezzo milione di iscrizioni che servirono poi a contrattare quelle guarentigie costituzionali largamente elargite al Parlamento siciliano. Quindi situazioni completamente diverse da quelle di cui noi discutiamo.
Oggi però, in questa discussione, non possiamo far finta di non accorgersi degli avvenimenti legislativi nazionali, primo fra tutti il decreto attuativo del federalismo fiscale che deve andare all'esame della Conferenza Stato-Regioni. L'U.D.C. ha votato contro questo decreto. Questo federalismo, di cui parleremo e che è stato più volte sbandierato come una panacea non ci convince (l'abbiamo definito falso e pericoloso) non serve né a razionalizzare la spesa né a contenerla, non è possibile valutarne l'impatto economico (perché i conti si fanno dopo e non prima di affidare alle Regioni e agli enti locali gli ampi poteri e di spendere e tassare) non risponde alla domanda su chi deve farsi carico del debito pubblico, attribuisce alle Regioni e agli enti locali patrimonio immobiliare statale dimenticando di averlo già ipotecato a garanzia del debito pubblico e moltiplica in maniera esponenziale centri di spesa. Federalismo a orologeria, scandito da decreti delegati attuativi, che non è altro che un'arma pericolosa di ricatto politico della Lega nei confronti del Governo del Paese.
L'Unione di Centro codificava e auspicava una riforma diversa, con competenze e funzioni chiare e nette dello Stato, delle Regioni e delle autonomie, con piena corrispondenza fra autonomia e decentramento delle funzioni amministrative da un lato, e autonomia ed entrata di spesa dall'altro, soprattutto a garanzia - questo lo chiediamo e lo abbiamo sempre chiesto - del ruolo insostituibile dello Stato nella perequazione e nelle politiche di sviluppo economico e di coesione sociale. Noi non ci crediamo e speriamo solo che questo federalismo voluto da Bossi non abbia effetti deleteri nei confronti della Sardegna.
Non mi tranquillizzano nemmeno le parole del collega Maninchedda che dice "noi non temiamo l'idea che ogni regione viva della ricchezza che produce perché abbiamo fatto i conti". Il problema è, caro onorevole Maninchedda, che questa riforma fiscale è proprio lo strumento per l'attuazione di un'egemonia culturale, politica e anche burocratica di governo, delle ricche regioni del Nord su tutta l'Italia, isole comprese: un vero e proprio disegno politico alternativo rispetto a quanto sancito dalla nostra Costituzione. Questo non ci sta bene, e non sta bene a quella U.D.C. sarda - cito ancora, mi perdonerà, il collega Maninchedda ma ci ha in qualche modo stuzzicati -che va oltre i perimetri culturali di Casini. Noi crediamo che questa sia una locuzione dettata forse dal fatto che, mentre altri in pieno agosto disquisivano di questioni immobiliari, noi dell'Unione di Centro eravamo impegnati nella prima fase costitutiva del nostro soggetto politico che si chiamerà, guarda caso, Partito della Nazione. Il riferimento è alla nazione e a quella italiana di cui noi sardi, fino a prova contraria e con buona pace di tutti, facciamo ancora parte. Non mi pare, colleghi, che un giovane sardo che si affaccia oggi nel terzo millennio abbia più cose in comune con un sardo pellito, nostro vetusto e illustre antenato, piuttosto che con un coetaneo della Provincia di Varese. E non possiamo imitare nemmeno i movimenti isolazionistici e indipendentisti europei - come quelli svedesi, come quelli finnici, che con il Partito dei veri finlandesi vogliono rincorrere le tradizioni silvane - ma dobbiamo guardare all'Europa; e l'Europa e la comunità europea è il luogo a cui noi crediamo che la Sardegna debba ispirarsi naturalmente.
Siamo ben consci che sussiste forte la necessità di assicurare che le istanze locali e regionali vengano adeguatamente canalizzate a Strasburgo e a Bruxelles; sappiamo che questa è una necessità propria di tutti quei popoli, di tutte quelle comunità che non si sentono adeguatamente tutelate e rappresentate all'interno dei Parlamenti nazionali. Questo è il caso dei parlamentari di origine basca e catalana che, pur facendo parte della delegazione nazionale, sono diventati punti di riferimento insostituibile per le comunità locali, anche perché l'Unione Europea continua a offrire grandi possibilità di sviluppo per tutti i Paesi membri e per le aree territoriali che presentano specifiche peculiarità.
Purtroppo però - come tutti sappiamo e come ha già detto anticipandomi l'onorevole Salis - abbiamo un grave e dannoso handicap: a Bruxelles e a Strasburgo non siamo rappresentati; la nostra politica sembra non aver ancora compreso, a differenza di altre Regioni d'Italia, che l'Unione Europea è molto più che un generoso erogatore di finanziamenti, in quanto offre delle vere e proprie opportunità di sviluppo, anche di carattere straordinario, alle quali, in virtù di adeguati e congrui progetti, dobbiamo essere in grado di attingere, dai temi della tutela paesistica ed ambientale al recupero di antiche tradizioni linguistiche e artigianali fino alle vitali questioni dei trasporti e della comunicazione.
E allora, sia pure trattandosi di un tema non inedito, rientra ancora in maniera più pressante di prima l'esigenza della promozione di una nuova proposta di legge di iniziativa popolare al fine di garantire che la Sardegna, alle prossime elezioni europee, costituisca circoscrizione elettorale autonoma. Già in un recente passato le iniziative sono state ingiustamente cassate. Nel 2004 questo Consiglio regionale ha votato all'unanimità l'ordine del giorno che impegnava il Presidente della Regione a intraprendere azioni nei confronti dello Stato per l'incostituzionalità di una legge elettorale che mancava di riconoscere alla minoranza linguistica sarda i benefici previsti per le altre minoranze; i cittadini sardi devono pretendere che tutti i deputati e i senatori sardi considerino la questione della rappresentanza sarda nel Parlamento europeo come priorità assoluta del mandato che in questo momento rivestono.
Ben vengano quindi i riferimenti forti alle grandi tradizioni linguistiche, culturali, morali e ambientali della nostra terra, ma auspichiamo sempre in un contesto sociopolitico europeo ed europeistico in cui albergano moderne Nazioni che guardano al futuro con spirito costruttivo e dialettico e che sanno salvaguardare e valorizzare le identità locali che vi insistono.
La nostra riflessione, assolutamente non preconcetta ma comunque salda su alcuni valori imprescindibili, verte sulla necessità di dirimere il rapporto tra dimensione locale e dimensione globale, quindi sull'opportunità di scegliere fra un localismo egoista e fine a se stesso e l'alternativa, diremo sturziana, che guarda ai temi dell'identità partendo dal concetto stesso di persona umana, ovvero: dalla dimensione nazionale dei problemi si risponda con la consapevolezza delle specifiche diversità locali. Come ha ben scritto Mario Segni - la cui opinione, espressa sulle pagine della Nuova Sardegna, ha suscitato molte polemiche - la Lega ha vinto una battaglia culturale, poiché ha convinto buona parte dell'opinione pubblica nel Nord che il sud sia un peso insopportabile e che il futuro del settentrione sarebbe assai migliore se ci fosse la secessione. E chiaro che quando la spinta regionalistica si sarà esaurita perché avrà raggiunto il suo acme, l'emotività si tradurrà in una vera e propria richiesta politica alla quale il Governo del momento, così come sta succedendo, dovrà dare gradita risposta.
Il pericolo è quello identico di quando, magari da ragazzi, giocavamo a pallone nei campetti di periferia; se il padrone del pallone veniva in qualche modo contrariato se ne andava portandolo via. Questo è: minacciate, minacciate e qualcosa succederà. Invece è opportuno che queste grandi questioni siano dibattute anche soprattutto in questa Aula in termini costruttivi, culturali e non a colpi di slogan, perché si tratta non di una semplice questione lessicale ma di una grande questione politica e culturale.
La coesione nazionale che tanti riteniamo essenziale soprattutto in questa drammatica stagione di crisi economica e finanziaria e di valori non può essere perseguita da chi ragiona esclusivamente in termini egoistici ma deve essere affrontata in termini identitari, realistici, non lasciando alla pancia quello che è il ruolo del cervello. L'identità di un popolo è la sua cultura, la storia, le tradizioni, la lingua e il territorio e anche le sue istituzioni politiche. Ricordo che proprio sui concetti di identità in Occidente si sono costruite le nazioni prima e lo Stato poi, e alla base di questi concetti insistono le naturali rivendicazioni di un territorio minore rispetto al resto del mondo.
Quindi la nostra ultima rivendicazione politica si inserisce in un contesto più ampio e non può assumere le misere caratteristiche di una timorosa quanto sterile opposizione ad un processo di globalizzazione già in atto per impedire che questo approdi nelle nostre contrade. Vi è invece da condividere il superamento di un concetto di nazione sarda fondato prevalentemente su una comunanza di sangue. Ciò che serve è una comunanza di progetto, e questo concetto, sia pure con accenti diversi, è emerso da questo dibattito.
Da questo progetto, che l'onorevole Floris ha coraggiosamente definito "progetto Sardegna" o "progetto per la Sardegna", deve nascere un nuovo patto costituzionale per garantire la piena sovranità sarda. Tutti siamo d'accordo sul fatto che l'autonomia che sino ad oggi abbiamo sperimentato sia uno strumento consunto e inadeguato rispetto alle necessità di autodeterminazione del nostro popolo. Ecco che il concetto di identità che non può più essere rifugio contro la tigre della modernità, diventa valore inestimabile e irrinunciabile per rinegoziare il nostro rapporto con lo Stato, che sia non unicamente di subalternità ma che riconosca ai sardi la potestà di decidere sul proprio futuro identitario.
Questo non può certamente accadere in un'isola in controtendenza col resto del mondo; quindi niente isolazionismo. Ricordo che il grande exploit della Catalogna degli ultimi 25-30 anni è certamente da ascrivere alle concessioni legislative da parte dello Stato spagnolo ma anche, soprattutto, alla grande capacità dei politici locali come Jordi Pujol che per 23 anni Presidente della Generalitat di Catalogna ha saputo realizzare in connubio e, talvolta, in conflitto con lo Stato centrale, un modello politico, culturale ed economico moderno autoreferenziale sfruttando sapientemente, ad esempio, il ruolo strategico di Barcellona e della sua costa nel bacino del Mediterraneo. Per questi ed altri motivi, e soprattutto per la doverosa necessità di non riscrivere a pregiudizio dei sardi un nuovo libro dei sogni, riteniamo che quanto delineato dall'onorevole Contu e dall'onorevole Steri siano contributi molto importanti dai quali ripartire per scrivere una nuova pagina di storia della Sardegna.
L'adozione del nuovo Statuto pone problemi procedimentali e anche problemi di contenuto. Sotto l'aspetto del procedimento in aula si è parlato di costituente, di Commissione speciale e della Commissione prima. Per l'U.D.C. la stella cometa rimane la costituente - l'abbiamo sostenuta e continueremo a sostenerla - quale migliore espressione della volontà popolare, quale miglior espressione della sovranità del popolo sardo, parola che riecheggia a più riprese in questa Aula. Proprio per questo abbiamo proposto una soluzione in parte divergente da quella fatta propria dal Consiglio nel 2001: abbiamo chiesto di elaborare e studiare una proposta legge costituzionale che attribuisca alla costituente il potere di elaborare direttamente il nuovo Statuto e non già una mera proposta che dovrà poi essere esaminata dal Parlamento. A questo Parlamento e alla Corte costituzionale dovrebbe essere attribuito solo un potere di controllo di legalità.
In via meramente subordinata - per usare una espressione propria del lessico forense - restano in campo le altre due alternative: la Commissione speciale o la prima Commissione. Noi propendiamo, sempre subordinatamente, per la prima soluzione perché è un modo per sottolineare l'eccezionalità e l'unicità del momento dell'attività che deve essere svolta, problemi di coordinamento segnalati dall'onorevole Floris sono recessivi rispetto a questa finalità.
Se questo è il procedimento che pare preferito all'Aula o sarà preferito dall'Aula bisogna parlare di contenuti. Diciamo subito che il nuovo Statuto andrebbe ad inquadrarsi in un nuovo mutato assetto costituzionale e di questi mutamenti dobbiamo cogliere al massimo la portata espansiva dei poteri riconoscibili alle regioni cosiddette speciali. Ho parlato di poteri e non di autonomia e sovranità di stati federati; le etichette non ci entusiasmano, spesso restano formalismi sterili. Si può parlare di indipendenza in uno stato confederato, ma con questo non s'è detto nulla, bisogna vedere quali sono i poteri effettivamente conferiti. In primo luogo bisogna individuare i principi che vogliamo porre a fondamento del nuovo Statuto e su questa base dovranno poi essere individuati i correlativi poteri necessari per raggiungere questi obiettivi nonché le risorse finanziarie occorrenti allo scopo e come acquisirle.
Concludendo. Dato per appurato che l'attuale regime di autonomia non ha realizzato completamente gli obiettivi di autogoverno e di sviluppo economico della Sardegna, anche alla luce dei grossi cambiamenti epocali determinati dalla globalizzazione (se è vero com'è vero che in un rapporto sempre più conflittuale tra Stato e Regione ci è impedito, per un evidente riequilibrio dei poteri di attuare scelte, adottare decisioni che consentono di garantire alla nostra Isola quella prosperità e quello sviluppo tanto desiderato) abbiamo il dovere di riscrivere le nostre, regole. E' infatti crescente nella coscienza del popolo sardo la necessità di innescare un processo di sviluppo che elevi la potestà decisionale delle istituzioni sarde nell'esclusivo interesse della Sardegna e dei suoi cittadini.
Sussiste quindi l'opportunità, il bisogno vitale di chiedere con forza al Parlamento italiano la stipula di un nuovo patto costituzionale, consentendo alla Regione sarda, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto che attribuisce il diritto-dovere del Consiglio regionale di rappresentare il popolo sardo, la concreta possibilità di partecipare come parte attiva al processo di riforma e revisione della Costituzione. Ma soprattutto dobbiamo essere noi consiglieri regionali, politici addetti ai lavori, a sentire il dovere in quest'Assemblea, fuori insieme alle parti sociali e alla società civile e alle autonomie locali, di compiere ogni passo necessario per predisporre quel percorso legislativo necessario per la riscrittura di un nuovo Statuto regionale che sia adeguato ai tempi, alle necessità del popolo sardo, alle riforme nazionali di carattere istituzionale che determineranno il nuovo assetto della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.
DIANA MARIO (P.d.L.). Presidente, colleghi, occorre quasi un obbligo oggi, che è quello di riuscire, nei limiti delle mie capacità e possibilità, a esprimere un pensiero che sia il più possibile condiviso, quanto meno dal Gruppo che rappresento. Spero peraltro che ci sia la possibilità di trovare all'interno di questo Consiglio regionale ulteriori condivisioni.
Io ho sentito di tutto, ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi e, quando non li ho ascoltati, me li sono letti, per cui mi sono fatto un quadro abbastanza chiaro della situazione. L'altro giorno mentre navigavo sugli svariati siti Internet e sui blog della Sardegna me ne è capitato uno di una nostra conterranea che è stata da poco premiata in maniera esemplare avendo vinto il premio Campiello (conterranea anche nel senso che è di Oristano, di Cabras) e che quindi ha destato la mia attenzione. Sono stato molto attento non per ciò che ha detto ma per ciò che ha riferito aver detto un altro cittadino sardo. Ho letto l'articolo che faceva riferimento ad un uccello, al cuculo, ho letto l'articolo e non mi è affatto piaciuto, non l'ho condiviso, non lo condivido ancora.
Però ascoltando tutti gli interventi mi sono fatto l'idea che probabilmente ciò che pensavo relativamente al cuculo e cioè che facesse un solo uovo e lo deponesse nel nido di un altro uccello, era sbagliata. Ho scoperto, infatti, che il cuculo fa diverse di uova, dieci, quindici, e si sceglie dieci, quindici partner diversi, e questo ovviamente ne limita di molto l'estinzione. Mi sono fatto quest'idea perché, dai ragionamenti che ci sono stati, per gli impegni che abbiamo assunto in sede di Conferenza dei Capigruppo, ma anche nelle mozioni, sembrava che ci fosse la volontà di arrivare a un percorso il più possibile condiviso, e naturalmente abbiamo concordato tutti che era arrivato il momento della stagione delle riforme.
E' stato detto di tutto in questo dibattito: si è passati dalla critica alla Giunta regionale, alla critica al Governo nazionale, dalla Lega alla Sicilia, ai padri spirituali della Sardegna, a coloro che hanno fatto o non hanno fatto lo Statuto, così come io qualche volta ho ricordato, sbagliando, non uniformandosi allo Statuto della Sicilia. E' stato detto di tutto. Allora, o facciamo una discussione che ci porti verso le riforme o facciamo una discussione in cui ognuno prende le proprie difese. Ovviamente le mie difese sono quelle della maggioranza, della Giunta regionale e del presidente Cappellacci, ma se vogliamo addebitare allo Statuto vigente, piuttosto che a quello nuovo la soluzione di tutti i problemi - e qui mi trovo d'accordo con l'onorevole Vargiu - è veramente una cosa sulla quale bisogna stare molto attenti.
Se noi, infatti dicessimo che tutti i guai della Sardegna sono imputabili allo Statuto vigente, staremmo sanando una serie di incapacità che si sono alternate negli ultimi venticinque anni in Sardegna. Dice l'onorevole Vargiu: "Ma qui è un problema di classe dirigente". Certo, è anche un problema di classe dirigente: prima i partiti avevano un ruolo diverso e faceva scuola di politica, oggi non si fa questa scuola, si fa però un'altra scuola. Ma questo non è successo solo in Sardegna, è successo con la nascita di nuove formazioni politiche, importantissime, che non avevano una storia e una tradizione di partito. Forza Italia è nata così, dal nulla, ed è un partito che oggi (assieme ad Alleanza Nazionale, oggi nel P.d.L.) costituisce un partito di grossissime dimensioni, quasi più grosse di quelle della vecchia Democrazia Cristiana.
E' nata l'Italia dei Valori, è nata la Lega: partiti senza tradizione, senza storia. Perché sono nati? Forse perché hanno interpretato al meglio le esigenze dei cittadini, o forse perché è stato definitivamente sancito che la forma partito di una volta non è più quella che serve per governare l'Italia o per governare la Sardegna, in questo caso. Esistono poi partiti che hanno una loro tradizione storica consolidata nel territorio sardo, come il Partito Sardo d'Azione, i Riformatori, il Movimento per le Autonomie, il movimento ispirato dal Presidente Floris; sono tutti partiti che hanno tradizioni e radicamento in questo territorio regionale. Però, esistono anche partiti che invece hanno respiri più ampi e dei quali bisogna tener conto, credo. Se non se ne volesse tener conto, lo si dica, però qui il P.d.L. rappresenta trentuno consiglieri regionali, il Partito Democratico credo che ne rappresenti diciassette o diciotto, non so quanti siano…
BRUNO (P.D.). Diciannove.
DIANA MARIO (P.d.L.). Diciannove, benissimo. Pensate un po', cinquanta consiglieri regionali sono rappresentati da due partiti che sono comunque partiti di carattere nazionale. Ritengo che sia opportuno che qualche ragionamento tra di noi lo si faccia. Ovviamente a questi va aggiunto l'U.D.C., e così si arriva a rappresentare il 70 per cento di questo Consiglio regionale. Non vogliamo andare avanti con i numeri, non ci teniamo affatto, e quindi abbiamo ascoltato con attenzione.
I nodi: indipendentismo. Noi siamo contrari anche al termine indipendentismo, non lo condividiamo. Sarà anche un obiettivo in quel famoso orizzonte di cui ha parlato, credo, l'onorevole Soru, l'orizzonte, ma l'orizzonte è sempre all'orizzonte, è irraggiungibile, si allontana sempre. Questo vuol dire, onorevole Sanna, che la predisposizione naturale dell'uomo è quella di crescere, è quella di andare sempre più in là, di guardare sempre oltre. E' una predisposizione naturale, e guai se non fosse così, però da qui a individuare un percorso compiuto e mettere un fermo ce ne fosse. No, non c'è il semaforo, dobbiamo cercare di andare sempre oltre.
De Gasperi - non lo cito mai ma in questo caso il richiamo mi viene naturale - parlando delle regioni, disse: "La Regione non è contro lo Stato, ma lavora per lo Stato come un'articolazione dello stesso Stato". Provate a pensare cosa significhino è stato detto con queste pochissime parole. Io mi ci riconosco molto, perché? Perché io credo che la Costituzione italiana vada cambiata col sostegno degli Statuti delle regioni, e ancora di più col sostegno di una Regione a Statuto speciale che ha tutte le caratteristiche per avere una Carta costituzionale sua, che dipende da che cosa? Dipende dalla forza che noi abbiamo nel modificare anche la Costituzione italiana.
Perché, guardate, la Costituzione italiana presenta grossissimi limiti. Ci sono limiti di fatto e limiti di diritto. I limiti di fatto sono semplicissimi: lo Stato non riesce più a governare e a controllare tutte le articolazioni delle regioni, delle province e dei comuni, non ce la fa più, e quindi sempre di più deve delegare. Poi c'è un limite di diritto: l'Unione Europea. Ci sono infatti alcuni principi che non possono essere toccati, né da noi né dallo Stato italiano, e se non ci crediamo dobbiamo attuare iniziative che probabilmente non sono quelle che stiamo attuando. Dobbiamo fare ciò che è stato fatto in Irlanda, ciò che hanno cercato di fare i baschi, ciò che ha cercato di fare l'ETA. Noi però non ci troviamo in quelle situazioni. Per cui io dico che, se siamo d'accordo, chi ci impedisce di rivendicare tutti i poteri (esclusi quelli che in base alla normativa comunitaria e alla Costituzione italiana non possono essere comunque delegati alle regioni) tutte le competenze previste nell'articolo 117 della Costituzione (ma con riferimenti anche al 114 e al 115) chi ci impedisce, al di là di una presunta indipendenza, di lavorare tutti assieme, con le modalità che poi sono emerse nel modo più svariato (poi su questo ci tornerò) ma chi ci impedisce di fare ragionamenti forti e di misurarci con lo Stato? Perché abbiamo paura?
Sembra quasi che ciascuno di voi sia stato preso da questa sorta di paura di voler affrontare col Governo, con lo Stato e con il Parlamento, tutta una serie di iniziative che riteniamo utili per la nostra Sardegna. Ma non utili perché fino ad ora non abbiamo avuto niente, utili perché per il futuro non ci basta più quello che abbiamo avuto, posto che ci abbiano dato tutto quello che ci spettava. Quindi, in questa direzione dobbiamo lavorare. E' il metodo, è l'approccio al problema che dobbiamo cercare di studiare meglio, perché altrimenti si finisce per fare come fa l'onorevole Uras: un mero elenco della spesa. E l'elenco della spesa che ha fatto lei lo ha fatto anche l'onorevole Maninchedda l'altro giorno; velatamente, ma con grande garbo, lo ha fatto anche l'onorevole Vargiu oggi.
Se tutti quanti ci lasciamo andare a fare l'elenco della spesa delle cose non fatte, delle cose che dobbiamo fare, ci allontaniamo dall'approccio giusto per arrivare ad un metodo che ci conduca verso la realizzazione (che può essere anche quella di un sogno, visto che sono passati sessant'anni e ne abbiamo parlato tante volte) di un nuovo Statuto. Ecco, io questo dico, perché altrimenti poi, con le forme di coinvolgimento, e non solo le forme di coinvolgimento, ognuno di noi sta cercando di pararsi le spalle all'esterno di quest'Aula, e tutti quanti stiamo cercando un modo per garantirci comunque una sorta di consenso.
Allora, c'è chi deve tutelare l'IRS, e lo sta facendo, certo, perché l'IRS è una realtà. C'è chi deve tutelare una bandiera che ormai vive da oltre 80 anni, il Partito Sardo d'Azione, ci sono i sindacati, ci sono le organizzazioni, c'è il mondo universitario, ci sono i lavoratori; noi non riusciamo, da qui dentro, a mantenere un rapporto continuo e costante con tutti questi soggetti, e non è responsabilità loro, è responsabilità nostra.
Io, personalmente, non voglio assolutamente privarmi dalla possibilità di essere uno di coloro che partecipa alla scrittura dello Statuto, è un compito nostro, è un dovere nostro. Io leggo le pagine dei giornali, leggo ciò che dicono gli esponenti della cultura sarda, se ne dicono di cotte e di crude, non c'è la possibilità di mettere assieme il mondo universitario e il mondo accademico perché la pensano tutti in modo diverso. Noi siamo stati deputati e siamo stati votati per essere coloro che possono traghettare la Sardegna verso un mondo migliore; o ce ne assumiamo la responsabilità, o altrimenti rinunciamo. Ma siccome credo che nessuno dei miei colleghi voglia rinunciare a questa possibilità, noi diciamo subito no all'Assemblea costituente.
Io lo dico per tradizione storica, perché lo dicevo già da prima, continuo a dirlo adesso, credo che non sia la strada giusta oggi, poteva essere una strada percorribile 10 anni fa quando è stata individuata, ma oggi non c'è più il tempo. Oggi dobbiamo correre perché la politica ha tempi diversi, i Governi si alternano, i parlamenti cambiano, noi dobbiamo essere pronti, e questo mi pare sia un momento estremamente favorevole. Siamo contrari anche alla Consulta, l'abbiamo detto anche durante il mandato del presidente Soru, l'abbiamo detto, l'abbiamo ribadito, non siamo d'accordo, noi riteniamo che esistano altri strumenti che possono essere la prima Commissione, può essere la Commissione speciale che noi sosteniamo, può essere il coinvolgimento sulla base dello Statuto e dell'articolo 42 di una Commissione tecnica che sostenga e aiuti, soprattutto dal punto di vista giuridico, chi deve scrivere questa riforma. I Partiti e i Gruppi consiliari devono farsi parte importante nel coinvolgimento della società sarda. O dobbiamo coinvolgerla solo quando andiamo a chiedere il voto? Non possiamo coinvolgerla in altre manifestazioni? Ognuno di noi dovrebbe fare questo sforzo, e non necessariamente nominare una Commissione, l'Assemblea costituente piuttosto che la Consulta, non è quello il tipo di coinvolgimento che serve, il tipo di coinvolgimento che serve ai consiglieri regionali e a questo Parlamento è conoscere esattamente come la pensa la gente, e non lo possiamo sapere per interposta persona. Gli interlocutori del popolo non possono essere la Costituente, non può essere la Consulta, gli interlocutori del popolo siamo noi, se ci crediamo, e se non ci crediamo decidiamo tutti assieme che non siamo d'accordo.
Noi non chiudiamo le porte a nessuno, l'ho già detto nella presentazione della nostra mozione, che è stata, per certi versi, citata da tutti e menzionata da nessuno. Almeno la nostra mozione aveva un senso, noi abbiamo già detto che cosa vogliamo nella nostra mozione, ci sono già i presupposti per lavorare, l'abbiamo detto anche in altre mozioni, certamente, quindi sediamoci a tavolino, discutiamone, ascoltiamo. Io ho necessità di ascoltare anche ciò che il Presidente della Regione vorrà dire a questo Consiglio regionale, forse qualcuno si è dimenticato che esiste il Presidente della Regione. Il Presidente della Regione esiste, e credo che abbia un suo ruolo, importantissimo, fondamentale, sia in Sardegna sia fuori dalla Sardegna.
Mi risulta che siano stati già presentati degli ordini del giorno, noi non abbiamo presentato ancora nessun ordine del giorno, siamo sempre del parere che tutto il Consiglio regionale debba essere coinvolto in un ordine del giorno unitario, se è possibile. Mi pare che siano già stati posti dei paletti, se non ho capito male il Presidente del Gruppo dei Riformatori ha detto che non è disponibile a votare nessun altro documento se non quello che prevede l'Assemblea costituente. Se è così - ma spero di aver sbagliato, di non aver compreso - c'è già un punto fermo.
L'apertura che era stata offerta nelle sedute precedenti era quella di trovare un largo coinvolgimento, poi, sul metodo, ma soprattutto sul contenuto dello Statuto (perché credo che quello sarà il vero problema, è ciò che mettiamo dentro questo Statuto) si sarebbe optato il confronto.
Io, del resto, una volta, parlando con l'onorevole Uras dissi che forse avremmo anche potuto fare a meno di cambiare lo Statuto, posto che ci sono delle Nazioni, come gli Stati Uniti, che la Carta costituzionale non la cambiano dal primo giorno che esiste. Però, siccome tutti quanti riteniamo che sia una cosa buona e giusta, bene, lavoriamo sullo Statuto e cerchiamo di capire i punti fondamentali sui quali intervenire. Nei rapporti con lo Stato, ciò che possiamo ottenere, è una materia in continua evoluzione, non mettiamo limiti, lì l'orizzonte serve veramente. Noi siamo sicuri di poter ottenere molto nei rapporti con lo Stato e col Parlamento (continuiamo a dire con lo Stato, ma probabilmente è molto meglio dire con il Parlamento, solo il Parlamento può porre dei veti) e abbiamo le carte in regola in questo momento per far capire quale sia il nostro grado di specialità, quale sia il nostro grado di sovranità, quali siano le materie nelle quali possiamo essere veramente artefici del nostro futuro.
Se noi la pensiamo in questo modo, lavoriamo in questa direzione, non dividiamoci in questo momento e non perdiamo tempo ad accusare Tizio o Caio o a indicare quali sono le inefficienze della pubblica amministrazione, che non riguardano solo la Sardegna. E' un mondo fatto di inefficienza; è una burocrazia, quella italiana, che si trascina da oltre 2000 anni, e che ha come sede Roma…
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori e colleghi, se giriamo per le strade delle nostre città, dei nostri paesi (l'abbiamo ripetuto in tanti in questo dibattito) le domande dirette che i cittadini ci rivolgono sono altre, non riguardano questo dibattito: ci chiedono lavoro, ci chiedono sviluppo, ci chiedono come fare ad arrivare alla fine del mese, e questo dibattito è visto come un'astrazione. E allora bisogna riconoscere che, senza la dignità del lavoro, senza la libertà dal bisogno, anche parole pregnanti come autonomia, specialità, autogoverno, perdono di significato, sono fuori dal sentire comune. Ci chiedono: "di cosa state parlando?". Ed è vero che senza un obiettivo politico e sociale le riforme rischiano di essere un esercizio retorico; senza un progetto politico, sociale, le riforme non hanno senso, le riforme sono funzionali a un progetto politico economico e sociale.
E allora oggi il Consiglio regionale si assume questa responsabilità al termine di un dibattito, di una prima fase di una sessione straordinaria, se la assume, però - io devo dirlo con chiarezza - in assenza di un progetto politico del Governo regionale. Io non dimentico le parole, l'atteggiamento del Presidente Berlusconi in campagna elettorale: "Alla Sardegna ci penso io". Oggi noi stiamo dicendo: "Alla Sardegna ci pensiamo noi, ci pensa il Consiglio regionale". E non mi sfugge neanche il momento politico che viviamo: siamo in attesa delle parole del presidente Cappellacci, che dovranno affrontare la contingenza, la difesa delle entrate, la difesa dall'articolo 8 dello Statuto. Dovrà dirci se si è svolta la riunione della Commissione paritetica, com'è andata, qual è il percorso individuato, insomma, se quel miliardo e 600 milioni in più all'anno (che tra l'altro, anno per anno, quel differenziale positivo sta diminuendo, ho visto i primi dati sintetici della finanziaria, mi pare che il differenziale rispetto al 2009 sia sceso a 1 miliardo, correggetemi se non è così) vi verrà riconosciuto.
Insomma, abbiamo la capacità, l'autorevolezza per difendere lo Statuto, la Carta fondamentale che abbiamo, di rivendicare con forza i fondi FAS, di difendere i risultati ottenuti nella scorsa legislatura in materia di demanio (di servitù militari non ne parla più nessuno, presidente Cappellacci) di governo dei beni culturali nella nostra Regione. Altrimenti tutto è in salita, altrimenti si comprendono anche le differenze esistenti anche all'interno della maggioranza. Indicativa era anche la manifestazione di sabato a Oristano in cui il Governo regionale non era presente, a mio avviso sbagliando. Seimila persone hanno detto una cosa sola - mi dispiace, sta diventando un tormentone, Presidente - hanno detto: "Basta alla subalternità nei confronti dello Stato". Se pensiamo che è dovuto intervenire l'ex ministro Pisanu per consentire agli operai della Vinyls, non so da quanti mesi all'Asinara, di ottenere un colloquio di qualche minuto con il presidente Berlusconi, un colloquio che non so fino a che punto sarà portatore di frutti, questo la dice lunga sul ruolo della Regione.
Mancava il Governo regionale, non so se sia stato invitato, però a quel tavolo non c'era. Questo la dice lunga sull'autorevolezza di questo Governo regionale. E allora, io lo dico nel momento in cui affrontiamo una fase alta, straordinaria, delicata: il Consiglio regionale si assume una responsabilità, ma lo fa in un momento di crisi, forse il più grave della vita istituzionale della Regione, e pertanto bisogna dire basta a questo atteggiamento. Presidente Cappellacci, bisogna dire basta, bisogna cambiare registro.
Un nuovo patto costituzionale serve - io così lo spiegherei ai miei figli - per tentare di dare risposte proprio a quelle domande di sviluppo, di lavoro, di crescita delle famiglie e delle imprese, per farlo in modo più efficace, in modo più efficiente rispetto a come lo abbiamo fatto in passato. Ma in questa fase vi è qualcosa in più. Vi è un deficit della democrazia e c'è un distacco incolmabile, se non interveniamo nel modo giusto, tra cittadini e istituzioni, tra il locale e il globale, tra come si prendono le decisioni, come incidono le decisioni che prendiamo qui, che prendiamo nei nostri comuni, in una dimensione globale e come, viceversa, altre decisioni hanno influenza nei nostri territori, nella nostra Regione.
Vi è una domanda crescente, che non riusciamo a contenere, di più governo, di miglior governo, capace di armonizzare la partecipazione democratica con il governo stesso delle nostre istituzioni. La scarsa affluenza alle urne in occasione delle ultime amministrative è il termometro di questa situazione. Aveva ragione l'onorevole Vargiu: o noi siamo credibili, o le istituzioni e la politica, chi la pratica, risulta credibile con atti concreti, presidente Cappellacci, oppure veramente diventa, il nostro, un esercizio retorico; facciamo palestra verbale, facciamo allenamento, ma non risolviamo i problemi.
Allora, questo luogo della democrazia è la Regione, però è la Regione intesa come un sistema rete in cui - lo diceva l'onorevole Cuccureddu - i comuni, che nella riforma del Titolo V della Costituzione hanno pari dignità con le altre articolazioni (con le province, con le regioni, con lo Stato nella Repubblica) abbiano un governo che tenga conto di una logica di sussidiarietà, di partecipazione, di solidarietà, di pari dignità. La Sardegna è stata un terreno fertile di autonomia e quando noi diciamo: "è finita una fase dell'autonomia" non vogliamo pronunciare un giudizio negativo su questi sessant'anni, perché sono stati sessant'anni ricchi di autonomia, che hanno espresso personalità importanti e che ancora le esprimono in Sardegna.
La specificità autonomistica della Sardegna ha dato sapore, ha dato valore all'impegno politico, anche all'impegno politico che viviamo in quest'Aula. E allora dobbiamo dire grazie a quell'esperienza autonomistica che ci ha consentito di prendere coscienza di essere un popolo, di prendere coscienza dei nostri diritti, della nostra dignità di comunità regionale. Abbiamo maturato sicuramente dei diritti che ci appartengono, che sono nostri e che sono una ricchezza per noi e nei confronti dell'Italia e dell'Europa, che rendono importante e riconoscibile la nostra specificità. Siamo una regione insulare ma non vediamo nell'insularità un handicap, abbiamo però la consapevolezza della necessità del riconoscimento dei diritti e delle specificità che ci appartengono. Siamo stati una risorsa per il Paese, il Paese che a noi ha guardato, anche in un passato recente, con molta attenzione.
E allora, di fronte a una tendenza sempre più crescente all'omologazione, che ha massificato anche le regioni ordinarie, la nostra tradizione autonomistica, la nostra specialità rischia di perdere valore, di perdere interesse, di perdere attrazione. Questa è la sfida. Noi dobbiamo essere capaci di essere una regione trasparente, responsabile, in grado di governare bene il nostro territorio, di svolgere tutte le funzioni che, con pienezza e responsabilità, devono servire il nostro popolo, a questo serve la sussidiarietà. Noi possiamo fare meglio dello Stato italiano in molte materie, possiamo essere incisivi nelle scelte che riguardano la Sardegna ma anche nelle scelte globali dell'Italia, dell'Europa, e le riforme (quelle di cui stiamo parlando) a mio avviso hanno questa valenza, niente di meno.
Alcuni punti credo siano stati condivisi dai gruppi nel corso del dibattito. Mi rendo conto che ci sono ancora differenze. Io cerco di elencarle.
Primo: l'autonomia, quella del 1948, di cui non diamo un giudizio negativo, ha esaurito il suo corso, è finita così come l'abbiamo conosciuta. Vogliamo superarla, vogliamo essere protagonisti del nostro destino, vogliamo un nuovo patto costituzionale con lo Stato che ci consenta di avere l'ultima parola sulle questioni che ci riguardano alla pari con lo Stato italiano, ma sicuramente capaci di dire l'ultima parola e di averne, anche dal punto di vista giuridico, quindi avere i poteri e le funzioni.
Secondo: vogliamo che questo rapporto, che abbiamo chiamato di interdipendenza nell'ambito della Costituzione italiana - noi vogliamo rimanere nell'ambito della Costituzione italiana - non crei steccati. Noi non vogliamo creare steccati, noi vogliamo creare dei ponti, però ponti moderni, diversi da quelli del 1948 che non sono più in grado di ridurre le distanze, di valorizzare la nostra identità.
Terzo: vogliamo contribuire attivamente al processo di revisione in senso federale della nostra Repubblica. Insomma vogliamo dire la nostra sul processo in atto e vogliamo dirla subito perché altri stanno scrivendo per noi, e abbiamo visto che non sempre, anzi quasi mai, all'esterno di quest'Isola perseguono gli interessi della Sardegna. E allora questo è il valore dell'articolo 51 che stabilisce che la Regione può fare voti al Parlamento su questioni che riguardano la Sardegna. Noi vogliamo incontrare la Camera, il Senato, magari gli uffici di presidenza, le commissioni e esprimere il nostro pensiero. E' sotto gli occhi di tutti che se non lo facciamo noi, altri non lo faranno per noi, governi amici o no.
Quarto: vogliamo un nuovo patto con lo Stato, cioè vogliamo partecipare a riscrivere la Costituzione in senso federale. Per dire che cosa? Che vogliamo un federalismo solidale capace certamente di rendere i diversi (le regioni) uguali (quindi capacità impositiva, livelli essenziali, costi standard, flussi perequativi) ma vogliamo saper declinare le ragioni della nostra specialità oggi, le vogliamo elencare in un nuovo patto costituzionale che contenga il principio dell'unità nazionale, ma nello stesso tempo il valore della diversità; vogliamo rendere le regioni, fatte uguali, diverse, valorizzare la nostra specificità.
Non partiamo da zero. Partiamo anche da una conquista storica che riguarda, per esempio, il nuovo quadro delle entrate. Io credo che la nostra specialità sia da vedere come una dote che noi portiamo all'Italia, all'Europa, come un dono che noi facciamo. C'è una ricchezza, una ricchezza che vogliamo mettere a disposizione. Non è un handicap che vogliamo in qualche modo venga colmato. E la stessa condizione di insularità presuppone un eguale trattamento di diritti (penso alla scuola, alla sanità, ai trasporti) almeno in linea con il resto del Paese, perché qui ci giochiamo il principio di uguaglianza.
Ci sono alcune cose che noi avremmo fatto meglio dello Stato. Io penso, per esempio, al ruolo dell'ENI, presidente Cappellacci, io penso che al posto del Governo la Sardegna avrebbe potuto, in quella situazione... avere un atteggiamento diverso, un atteggiamento che venisse incontro alle esigenze del lavoro nella nostra Isola, che prendesse in considerazione le ragioni di un popolo, non soltanto di alcuni operai. Io penso ai soldi spesi malissimo per il G8 dallo Stato, penso al trasferimento del G8; noi ci saremmo comportati in maniera diversa. Penso al demanio, alle servitù militari, ai trasporti, alla Tirrenia. Certo, noi dobbiamo dare l'esempio perché se non saremo in grado di fare nei confronti dei comuni quello che noi vorremmo lo Stato facesse nei nostri confronti non saremmo ugualmente credibili, a cominciare dal federalismo interno.
Ecco allora l'importanza di un Consiglio chiamato ad avere un ruolo essenziale di rappresentanza e di garanzia di tutti i soggetti della comunità regionale (i cittadini, le autonomie locali, le formazioni sociali) di un Consiglio chiamato a discutere e a definire insieme le regole, gli obiettivi di fondo dell'azione politica, i diritti e i ruoli di ciascuno in un sistema reticolare in cui le autonomie abbiano pari dignità. Non si possono, presidente Cappellacci, in un momento in cui cerchiamo l'unità del Consiglio regionale, cerchiamo di parlare di sussidiarietà, per esempio, commissariare i consorzi industriali, non si può esautorare il ruolo degli enti locali; è la fotocopia di quello che avete fatto con l'autorità d'ambito: non è credibile, non è permesso! Credo che dobbiamo, da questo punto di vista, essere consapevoli che se vogliamo avviare un processo di riscrittura delle regole in maniera unitaria dobbiamo ripartire dalle azioni di dettaglio che il Governo regionale mette in campo.
Fondo unico degli enti locali: è una novità che guardano anche all'esterno della nostra Regione. E' uno strumento di responsabilità, di autonomia, accresce la responsabilità insieme alla discrezionalità, insieme al necessario ruolo di protagonista delle amministrazioni locali. Noi non chieediamo conto di quelle risorse, ma nello stesso tempo vogliamo che quelle risorse siano spese bene in un progetto che tenga conto naturalmente della complessità della comunità regionale e delle specificità dei comuni. Noi vogliamo - così c'è scritto in legge - che le risorse del fondo unico aumentino in ragione proporzionale alle entrate tributarie. Questo non è avvenuto, non è avvenuto lo scorso anno, noi riteniamo che, per essere coerenti, per essere credibili, dobbiamo adoperarci per aumentarle perché non possiamo pretendere dagli altri quello che noi non facciamo nei confronti delle nostre articolazioni territoriali che hanno pari dignità.
Il patto di stabilità. Il DAPEF dello scorso anno prevedeva un termine (gennaio 2010) per la revisione di quei vincoli in un confronto, si diceva, attivo, aperto con lo Stato a livello tecnico, politico. Ecco, finora non abbiamo visto niente. Avremo tra poco un nuovo DAPEF ma non abbiamo passi avanti da registrare.
Allora, per ritornare al tema specifico, io non vorrei che questo Consiglio regionale si bloccasse sui "contenitori". Ne abbiamo parlato per decenni: un'assemblea costituente, la consulta, una Commissione speciale, il Consiglio regionale, la Commissione autonomia. Io credo che dobbiamo dare alla Commissione autonomia allargata, ridefinita, resa speciale anche con l'ausilio di un comitato tecnico scientifico formato da esperti, la possibilità di riscrivere un nuovo patto costituzionale con lo Stato in tempo breve, in quattro mesi. Lo dobbiamo fare contemporaneamente col massimo coinvolgimento possibile della società, uscendo dalle stanze di questo palazzo per rendere l'autonomia, il rapporto con lo Stato e con l'Europa un diritto dei sardi che sia in grado di appassionare i cittadini, che sia in grado di appassionare le forze sociali, politiche e culturali.
Occorrono sicuramente momenti sistematici, penso al CREL, ma a tutte le rappresentanze economiche, sindacali, sociali, culturali, accademiche, penso al Consiglio delle autonomie locali, penso agli enti locali della Sardegna. Io credo che dobbiamo trovare il modo per riconoscere centralità al Consiglio regionale e contemporaneamente consentire la massima apertura possibile alla società. Per esempio (è una proposta già avanzata nella scorsa legislatura) i consigli comunali, i consigli provinciali potrebbero riunirsi anche in una stessa data, contemporaneamente, per discutere dello Statuto della Regione Sardegna e di ciò che emerge prendere attenta nota affinché poi trovi traccia nei nostri documenti.
Il Consiglio regionale è chiamato a riscrivere questo nuovo patto, a proporlo, un patto che successivamente dovrà essere sottoposto a referendum popolare. Io credo che dobbiamo fare in modo che - lo diceva il collega Vargiu - soprattutto le nuove generazioni, in un momento di crisi della classe dirigente sarda, ma non solo, vengano incluse in questo processo, perché i giovani oggi sono spesso organizzati in associazioni sportive, culturali, di volontariato, ma sono distanti dalle istituzioni, e dobbiamo trovare il modo per avvicinarli, nelle scuole, nelle università, per far uscire questo dibattito dal Palazzo.
Ma non dobbiamo fermarci qui; c'è una legge statutaria che possiamo velocemente approvare in quest'Aula, e tutto ciò che non dipende dal patto con lo Stato (una legge statutaria, una nuova legge elettorale, una nuova legge di organizzazione della Regione) abbiamo il dovere di deciderlo noi. Allora, facciamo in modo che, a conclusione di questa prima sessione di dibattito, ci possa essere un orientamento unitario espresso in un ordine del giorno. Io credo che non sia possibile, non sia accettabile fermarci sul contenitore, credo che, partendo da quanto abbiamo condiviso in questi giorni, sia possibile arrivare ad un documento che sintetizzi il volere della massima Assemblea dei sardi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, per la Giunta, il Presidente della Regione.
CAPPELLACCI (P.d.L.), Presidente della Regione. Presidente, considerata l'ora chiederei di svolgere l'intervento direttamente alla ripresa dei lavori nel pomeriggio.
PRESIDENTE. I lavori del Consiglio riprenderanno questo pomeriggio alle ore 16 e 30. Convoco la Conferenza dei Presidenti di Gruppo.
La seduta è tolta alle ore 13 e 12.
Allegati seduta
CXLII Seduta
Martedi' 28 settembre 2010
(ANTIMERIDIANA)
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 10 e 01.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 13 settembre 2010 (135), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Pier Luigi Caria, Domenico Gallus, Matteo Sanna e Paolo Terzo Sanna hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 28 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Annunzio di presentazione di proposta di legge
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta di legge:
Cappai:
"Norme in materia di ricerca, raccolta e coltivazione dei tartufi". (197)
(pervenuta il 24 settembre 2010 e assegnata alla quinta Commissione)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Interrogazione Cocco Daniele Secondo, con richiesta di risposta scritta, sul mancato perfezionamento della gara d'appalto per l'affidamento del servizio di vigilanza, portierato, custodia e lavaggio autoveicoli della Regione autonoma della Sardegna". (410)
"Interrogazione Meloni Valerio - Caria - Espa - Manca - Lotto - Bruno, con richiesta di risposta scritta, sulla drammatica situazione della sanità di Sassari e del suo territorio". (411)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interpellanze pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Interpellanza Diana Giampaolo - Caria - Espa- Lotto - Manca sul progetto di recupero del vecchio Ospedale Marino di Cagliari". (145)
"Interpellanza Sanna Gian Valerio - Sabatini - Cuccu - Bruno - Barracciu - Moriconi - Soru - Espa - Agus - Lotto - Porcu - Cocco Pietro - Manca - Diana Giampaolo - Solinas Antonio sul mancato finanziamento dei progetti relativi al Bando Biddas, legge regionale n. 29 del 1998". (146)
"Interpellanza Sanna Gian Valerio - Solinas Antonio sulle iniziative che la Giunta regionale intende adottare per rafforzare e consolidare la permanenza delle popolazioni della Planargia nella Provincia di Oristano". (147)
"Interpellanza Bruno - Porcu - Caria sulla mancata erogazione dei finanziamenti alle società di gestione aeroportuale di Cagliari, Alghero e Olbia per la promozione dei voli low cost". (148)
"Interpellanza Diana Giampaolo - Bruno - Agus - Cocco Pietro - Meloni Marco - Espa - Sanna Gian Valerio sul riavvio dell'attività estrattiva di fluorite nella miniera di Genna Tres Montis nel Comune di Silius". (149)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle mozioni pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Mozione Uras - Diana Mario - Bruno - Milia - Vargiu - Sanna Giacomo - Salis - Cuccureddu sulla situazione delle aziende in crisi nel settore dell'informazione in Sardegna". (89)
"Mozione Cuccu - Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla privatizzazione dell'acqua e dei servizi idrici introdotta dall'articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (90)
"Mozione Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla deliberazione della Giunta regionale n. 32/76 del 15 settembre 2010 relativa all'approvazione del disegno di legge concernente "Norme in materia di consorzi industriali provinciali", con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (91)
PRESIDENTE. Considerata la scarsa presenza di consiglieri in aula sospendo la seduta sino alle ore 10 e 30.
(La seduta, sospesa alle ore 10 e 05, viene ripresa alle ore 10 e 42.)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87, 88.
E' iscritto a parlare il consigliere Cuccureddu. Ne ha facoltà.
CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Presidente, dal ricco dibattito sviluppatisi in questi giorni sono arrivati diversi spunti interessanti ed è emersa una capacità di elaborazione di proposte, da parte di questo Consiglio, che non si era finora del tutto palesata. Forse è stata enfatizzata in qualche intervento in questa sessione sulle riforme, da me e dal mio Gruppo insistentemente richiesta da oltre un anno. Ma, sicuramente, è stata una discussione importante, svincolata da logiche di coalizione e, a volte, anche da logiche di gruppo, come è giusto che sia in questi casi. Sono convinto che questo dibattito, se avremo la capacità di trovare una sintesi unitaria, potrà consentirci di uscire dallo stallo nel quale ci stiamo impantanati da almeno 20 anni a questa parte.
Fra i tanti spunti emersi voglio cogliere quello sulla felicità che la riforma statutaria e la Regione dovrebbero poter assicurare ai cittadini. Se ne parla nella mozione Porcu e più, al secondo punto. Ne ha parlato, citando Sergio Atzeni, anche l'onorevole Oscar Cherchi. Debbo far notare che non sono stati i primi ad azzardare la correlazione fra la felicità, Statuti e Costituzioni, ma, fra i tantissimi che hanno discusso su questo argomento, mi limito a citare Simón Bolívar perché mi consente di introdurre la tesi che più avanti cercherò di illustrare sul ruolo delle città.
Simón Bolívar nel discorso al Congresso costituente della Bolivia del 1826 così si esprimeva: "Tenete presente che le nazioni sono composte da città e da villaggi e che solo col benessere di queste si ottiene la felicità dello Stato". L'esigenza di una profonda riforma è emersa in maniera pressoché unanime, e non poteva essere diversamente, perché il mondo in questi ultimi sessant'anni si è trasformato. L'Italia è cambiata radicalmente e, certamente, non si può dire che la Sardegna sia rimasta immobile. Le trasformazioni sociali, culturali, politiche ed economiche sono state ovunque impetuose. Semmai, in alcuni momenti, mi è sembrato che ci siamo attardati su un dibattito vecchio, che poteva aver senso sessant'anni fa ma certo non ne ha più oggi; un dibattito riciclato (anche se con qualche mano di vernice nuova) sull'alternativa (a mio avviso puramente verbale) fra indipendenza e separazione. Non voglio dedicare molto spazio a questo argomento perché ritengo che la vera riforma, di sostanza, sia un'altra e passi per il ruolo centrale che deve essere attribuito ai Comuni, entità politiche originarie e sedi della sovranità, come avrò modo di dire più avanti.
Il tumultuoso sviluppo tecnologico, l'evoluzione dei costumi registratasi nell'ultimo mezzo secolo ha messo in discussione anche il concetto di Stato e di statualità; quelli che erano considerati elementi essenziali per poter definire uno Stato, oltre al territorio, ad un popolo, alla sovranità finanziaria (il battere moneta), alla politica fiscale, alla politica di difesa, alla politica estera, ormai sono stati o vengono progressivamente devoluti dall'Italia all'Unione Europea - a proposito, credo che sia importante per noi sardi sottolineare che l'unico ambasciatore italiano nominato dall'Unione Europea sia un sardo, Ettore Sequi, l'ex ambasciatore italiano in Afganistan, destinato all'ambasciata non certo prestigiosissima di Tirana - mentre altre importanti competenze, dalla sanità all'istruzione, dall'ambiente alla sicurezza, vengono o verranno progressivamente devolute alle Regioni.
Anche se non ce n'è traccia nel nostro Statuto - e non poteva essere diversamente, essendo nata nove anni dopo - l'Unione Europea di fatto esiste ed è oggi il nostro vero stato federale; l'Unione Europea incide ormai profondamente nella quotidianità dei sardi ed è il nostro principale interlocutore già oggi su molte vertenze e in futuro lo sarà sempre di più, basti pensare alla vertenza sull'Alcoa o anche semplicemente a quella sui pastori, dove si poneva un problema di compatibilità degli interventi con la normativa comunitaria in materia di concorrenza. Dallo Stato italiano abbiamo ben pochi poteri o risorse da pretendere, visto che sia poteri sia risorse gliene restano sempre meno.
A questo punto, aldilà del fascino evocativo di una definizione quale "Repubblica di Sardegna" o "Repubblica federata di Sardegna", in luogo della più stantia "Regione autonoma della Sardegna", dobbiamo porci il problema di come potremmo incidere in concreto per migliorare le condizioni di vita dei sardi. Le istituzioni, la loro forma, la loro riforma, per quanto incisiva (ricordiamolo sempre) sono solo lo strumento e mai il fine dell'azione politica e di governo; per affrontare un mondo che si è evoluto nell'ultimo mezzo secolo con una rapidità che non ha eguali nella storia, per affrontare un mondo che ci propone problemi nuovi - basti pensare alla globalizzazione - non possiamo utilizzare strumenti istituzionali, schemi mentali e politici del passato remoto (penso al mero rivendicazionismo nei confronti dello Stato o alle dettoriane politiche contestative) che hanno avuto un senso e sono state efficaci nel passato ma che oggi, in questa fase de iure condendo del federalismo, risulterebbero anacronistici. E quindi, per affrontare problemi nuovi, dovremmo essere capaci di proporre modelli nuovi, soluzioni innovative, anche di architettura istituzionale; dobbiamo cercare di guardare al futuro e non di rivolgere lo sguardo solo indietro.
La Sardegna non può permettersi, come peraltro le altre Regioni a Statuto speciale, di non avere proposte forti e convincenti sui temi dell'autonomia e del federalismo, non può permettersi di fare da spettatore in questo processo, o al più da attore non protagonista. Non possiamo farci scavalcare dallo Stato, da Tremonti, da Calderoli, che viaggiano a velocità supersoniche rispetto a noi in tema di riforme: ho qui la bozza del decreto sul federalismo municipale, che verrà approvato forse già la prossima settimana dal Consiglio dei ministri, a fronte del quale il nostro Fondo unico per gli enti locali appare archeologia legislativa. Questo federalismo, questi decreti attuativi ci porteranno, nei prossimi mesi, a uno scontro politico e istituzionale che sarà sempre meno fra centrodestra e centrosinistra e sempre più fra centro nord e centro sud d'Italia; le fibrillazioni all'interno dei partiti sembrano proprio funzionali ad organizzare le truppe in vista di questa battaglia, dalla quale verrà fuori comunque un'Italia diversa da quella attuale.
Riflettevo in questi giorni sul fatto che realtà con una forte identità storica e culturale, vere Nazioni, in Europa rimangano legate a Stati che forse non gli appartengono (penso alla Baviera, alla Catalogna o anche semplicemente all'Alto Adige). Perché non si staccano, perché non percorrono la strada dell'indipendenza? Semplicemente perché non gli conviene. Tutte queste realtà presentano però una differenza sostanziale rispetto alla Sardegna, hanno una particolarità: hanno partiti forti che le rappresentano e hanno rappresentanti nei Parlamenti nazionali che perseguono gli interessi dei territori che li hanno espressi. Se i nostri parlamentari, pur restando italiani al cento per cento - come diceva Vargiu - si dimostrassero sardi al centodieci per cento, in questa fase delicata, al pari di ciò che fanno gli altoatesini della Sudtiroler Volkspartei o l'Union Valdotaine, potrebbero condizionare il loro voto di fiducia ad esempio allo sblocco dei fondi FAS, come hanno fatto diversi deputati e senatori siciliani della maggioranza, o all'esenzione dal Patto di stabilità, come hanno fatto ad ottenere i diversi parlamentari romani ex A.N., presupposto necessario, la deroga al Patto di stabilità, per poter spendere le maggiori risorse che otterranno con la norma su Roma capitale. Purtroppo non mi pare che abbiamo parlamentari molto coraggiosi, e d'altronde questo sistema elettorale non è proprio di stimolo per questa virtù.
Guardando poi in casa nostra dobbiamo riflettere sul fatto che, pur avendo competenza primaria in moltissime materie, non la esercitiamo, ci lasciamo scavalcare dallo Stato e anche dalle Regioni a statuto ordinario. Di questo passo è probabile che subiremo il federalismo municipale come stiamo subendo il federalismo fiscale, come stiamo subendo il federalismo demaniale, come abbiamo subito l'elezione diretta del Presidente della Regione e la legge elettorale per l'elezione di questo Consiglio, listino compreso, come abbiamo subito il Patto di stabilità, come abbiamo subito le norme, anche di recente, in materia di ordinamento e finanza degli enti locali.
Rispetto alle Regioni ordinarie, la nostra specialità - dobbiamo dircelo - sta rappresentando oggi un freno e non un acceleratore verso lo sviluppo. Per questo ho convintamente condiviso e sottoscritto la mozione presentata e illustrata dall'onorevole Mario Floris che lega le riforme allo sviluppo, il contenuto delle proposte statutarie al modello strategico di sviluppo che ci daremo, che ci dovremmo dare. Voglio fare un solo esempio: è del tutto evidente che, seppure nell'ambito di un modello pluribusiness, dovessimo puntare con forza a sviluppare il turismo, l'insularità sarà un punto di forza e non un punto di debolezza, come avviene in tutte le isole che hanno vocazione turistica, delle Maldive alle Mauritius alla Polinesia, piuttosto che, per citare esempi più vicini a noi, alle Baleari, alle Canarie, a Capri o alle Eolie. Viceversa, se la scelta sarà quella di puntare ancora essenzialmente sulle produzioni agricole, sull'industria di base e su quella estrattiva, è del tutto evidente che nel mercato globalizzato l'insularità rappresenta e rappresenterà sempre un handicap forte che dovrà avere rilevanza statutaria e che dovrà trovare delle compensazioni.
E allora, per quanto attiene più specificamente al tema della riforma statutaria, abbiamo sviluppato alcune riflessioni all'interno dell'M.P.A. con diversi amministratori locali ed alcuni studiosi, fra i quali voglio citare il professor Lobrano, preside della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Sassari. La problematica della riforma statutaria è evidentemente complessa ed è necessario dotarsi di un quadro analitico per affrontare i singoli problemi in una visione d'insieme e nel giusto ordine. Tale problematica si biforca in due macroproblemi: del metodo (chi deve scrivere la riforma) e del contenuto (cosa deve scriversi nella riforma). Il macroproblema del contenuto è l'autonomia. Mi vorrei limitare a quest'ambito ma non posso fare a meno di soffermarmi ulteriormente sulle tesi, peraltro ampiamente argomentate nel dibattito, relative all'indipendenza: progetto, aspirazione e obiettivo che non ritengo tecnicamente impercorribile, onorevole Mario Diana.
La recente sentenza della Corte internazionale dell'Aia sull'autodeterminazione del Kosovo dimostra che non è vero che in Europa non possano nascere nuovi Stati, il problema da porci è allora: indipendenza da chi? Dall'Italia o anche dall'Europa? Sgombriamo subito il campo dicendo che non potranno aderire all'Unione Europea parti di Stati che sono membri dell'Unione Europea, e comunque è sempre necessaria per ogni nuovo ingresso l'unanimità dei 27 Paesi. E allora che cosa significa "lo Stato in Sardegna dobbiamo essere noi", quali sono gli effetti che questa affermazione può produrre? Che i sardi non dovranno più riconoscersi nell'esercito italiano, o nel sistema giudiziario italiano, o nella politica estera italiana? La Sardegna dovrà avere un proprio esercito, una propria rete di ambasciate, un proprio sistema giudiziario magari con tanto di CSM? Oppure dovremo stringere accordi tra stati diseguali per avvalerci delle istituzioni militari, diplomatiche, giudiziarie italiane come avviene per esempio tra l'Italia e lo Stato di San Marino o fra l'Italia e la Città del Vaticano e non tra istituzioni oggi pari ordinate come la Costituzione le definisce e le considera all'articolo 114: Stato, regioni e comuni tutti sullo stesso livello? Riteniamo questa prospettiva per i sardi e per la Sardegna sia vantaggiosa?
Anche in Corsica, onorevole Pitea, i movimenti dei partiti indipendentisti raramente raccolgono più del 20 per cento dei consensi; l'80 per cento dei Corsi vuol restare saldamente all'interno della Repubblica francese, magari alcuni aspirano ad avere forme di autonomia simile a quella della Sardegna. Jean Jacques Rousseau nel 1764, o meglio a cavallo tra 1764 e il 1765, teorizzava nel "Projet de constitution pour la Corse" un contratto sociale che doveva avere quali attori i rappresentanti delle piccole comunità (poiché sono queste città e i villaggi le identità politiche originarie nelle quali risiede la sovranità) con una connaturata attenzione alla federazione continuamente crescente. Questo è il modello di Stato ancora attuale a cui dovremmo pensare ancora oggi, un modello che si è sviluppato in oltre 1000 anni di relazioni tra città soprattutto nell'area mediterranea. Ma il modello attuale, sebbene in crisi in Italia e non solo, è ancora quello risorgimentale che ha subito l'influenza dei modelli del Nord Europa ed è basato sul concetto di dipartimenti di un insieme determinato e dipendente da un unico centro di potere.
Attualmente le vorticose dinamiche politiche potrebbero orientarsi verso la concessione dell'indipendenza. Le recenti dichiarazioni dei Ministri anche non leghisti e di autorevoli leader politici (ad esempio sul fatto che senza la Calabria e parte della Campania l'Italia sarebbe la locomotiva economica d'Europa) sembrano preparare il terreno, creare l'humus giusto per accogliere senza grandi resistenze istanze separatiste che dovessero giungere dal sud o dalle isole, perché l'accoglimento di tali istanze giustificherebbe la richiesta di secessione di una parte ampia e crescente della popolazione del nord Italia, del resto - ricordiamolo - questo è anche l'obiettivo strategico della Lega, è inserito nell'articolo 1 del suo statuto). Insomma, a differenza di ciò che è accaduto sino a qualche anno fa, ora potrebbero non essere necessarie delle dure battaglie politiche per ottenere l'indipendenza. Forse in molti non aspettano altro, sono pronti a regalarcela, semmai ci accolleranno una quota parte del debito pubblico, che per inciso dovrebbe corrispondere a circa 3 miliardi l'anno dei 100 comprensivi, se la Sardegna rappresenta il 3 per cento della popolazione, per i soli interessi.
Andando al di là delle acrobazie linguistiche e concettuali (indipendenza o non dipendenza, separazione), la domanda che ci dobbiamo porre è un'altra: ma i sardi vogliono realmente l'indipendenza, oppure la maggioranza di coloro che vivono in Sardegna si sente sarda nella stessa misura nella quale si sente italiana, come diceva l'onorevole Vargiu, e vuole far parte a pieno titolo della Repubblica italiana? C'è un solo modo per risolvere definitivamente la questione, per evitare speculazioni, per non trascinare la questione in eterno e per scongiurarne la ciclica riproposizione, ed è quello di conoscere la reale volontà dei sardi, di conoscerla attraverso un referendum consultivo con una domanda secca: autonomia o indipendenza.
Sorvolo sui concetti di autonomia, di legge statutaria, perché non avrò il tempo per svilupparli, e arrivo al metodo. Io sono favorevole al più ampio coinvolgimento dei cittadini sardi e dell'Assemblea costituente, sia per l'elaborazione della proposta di modifica dello Statuto, sia naturalmente per lo studio della legge statutaria. E' l'opzione principe perché è storicamente dimostrato che i poteri non si autoriformano e non si autolimitano. Anche la semplice riduzione del numero dei consiglieri regionali - riforma apparentemente condivisa da tutte le forze politiche - sarà difficilmente attuabile se la decisione sarà lasciata al solo Consiglio regionale.
Sono comunque disponibile a percorrere strade più agevoli, meno irte di ostacoli e più celeri, se questo sarà l'orientamento maggioritario del Consiglio, anche secondo lo schema proposto dall'onorevole Chicco Porcu, ma con una differenza, a mio avviso fondamentale: il coinvolgimento dei sardi sulle scelte di fondo deve precedere il lavoro della Commissione e del Consiglio. Un referendum confermativo su un testo definito (prendere o lasciare) corre il rischio di non appassionare, di non coinvolgere i sardi, corre il rischio di diventare un mero passaggio formale, corre il rischio di svolgersi nella indifferenza dei cittadini, magari con qualche forza politica anche furbescamente orientata a ricercare il disinteresse, così come accadde in occasione del referendum sulla legge statutaria.
Quindi il percorso dovrà essere quello del referendum consultivo (peraltro l'unica forma referendaria alla quale si accenna, se pur prevedendo un caso molto specifico, nell'articolo 54 dello Statuto) su autonomia (e quindi sul nuovo patto nell'ambito della Costituzione italiana) o indipendenza, i cui contorni e contenuti andranno delineati non solo con delle suggestioni. La successiva elaborazione sulla base delle indicazioni popolari di fondo dovrà essere affidata alla prima Commissione, a mio avviso allargata in maniera paritetica ad esperti e rappresentanti qualificati della società sarda, magari scelti attraverso una elezione al loro interno tra i sindaci, nel sindacato, tra le forze produttive, nell'università.
Quanto al contenuto io spero che il prossimo Statuto disegni una Regione sarda generosa, in grado da un lato di rivendicare nuovi poteri dallo Stato e dall'Unione Europea ma poi capace di devolverli ai comuni; una Regione che non si ponga più come soggetto risolutore di tutti i problemi, la "mamma Regione" di cui ha parlato l'onorevole Capelli (problemi che peraltro poi corrono il rischio di soffocarla) ma come soggetto che svolga il ruolo di regolatore e di coordinatore delle dinamiche dello sviluppo e soprattutto dello sviluppo locale.
L'elaborazione del nuovo Statuto dovrà prevedere una forte cura dimagrante per la Regione sarda e per il suo elefantiaco apparato burocratico gestionale. La riforma dovrà valorizzare il ruolo dei comuni. Giorgio La Pira cinquant'anni fa disse che stavamo per entrare nell'epoca delle città: lo Stato non riesce più a dare risposte ai crescenti bisogni dei cittadini e le regioni potrebbero risultare dei surrogati in scala ridotta dei vizi e delle inefficienze statali.
Taglio per arrivare alla conclusione e dire che, così come penso che dovranno essere ridotti i dipendenti a non più di 1000, così come dovranno essere abolite le province e, semmai, prevista la libera aggregazione dei comuni, credo che senza l'evoluzione dei poteri (se preferite senza il federalismo interno) non sarà meno opprimente, non sarà meno asfissiante per i sardi la mera sostituzione del centralismo statale col centralismo, peraltro già assai forte, regionale. Non potrà essere percepita dai sardi come una conquista…
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato.
E' iscritto a parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, onorevoli colleghi, oggi non voglio mettere in dubbio che questa sia una discussione importante, una sessione straordinaria voluta fortemente per discutere di temi fondamentali per la nostra autonomia, ma se devo essere completamente sincero mi sembra che cade in un momento in cui l'interesse per questi temi pare esclusivamente riferibile a quest'Aula e alle forze politiche, oltretutto in maniera abbastanza distratta. Ma noi di questo dobbiamo tenere conto.
Porto un esempio personale. Stamattina per prepararmi a questa riunione di Consiglio mi sono alzato più presto del solito, e mi sono recato alle sei e mezza al bar, che frequento abitualmente, un bar frequentato da quello che io chiamo "il popolo delle borse frigo" cioè da lavoratori dell'edilizia che partono verso Cagliari, verso l'hinterland e si distribuiscono all'alba nei vari cantieri. Ebbene in quell'occasione ho potuto riscontrare che nelle chiacchierate che si fanno normalmente con queste persone (che sono il nostro popolo di riferimento, perché il nostro popolo di riferimento non possono essere solo gli intellettuali o i convegnisti di professione) non si avverte assolutamente l'importanza di questo dibattito. Di questo dobbiamo essere tutti estremamente consapevoli. Io non voglio fare la figura dei musicanti del Titanic, signora Presidente e signor Presidente della Giunta, che continuavano a suonare la loro musica incuranti del fatto che la nave stesse affondando.
Io ho avuto la sventura di avere un fine settimana abbastanza significativo. Sabato ho partecipato alla manifestazione di Oristano, in cui è stata urlata, con tutta la forza che sindacati, ANCI, MPS, e associazioni varie avevano in gola, la disperazione del popolo sardo. Domenica poi, per farla breve, ho partecipato alla manifestazione di solidarietà ad Ottana, insieme alla Presidente del Consiglio regionale e ad alcuni altri nostri colleghi (pochi per la verità) nei confronti del Sindaco di quel Comune, che è stato fatto oggetto di un pesantissimo e inqualificabile gesto di violenza. E i segnali che vengono dalla nostra società ci chiedono (per questo lo abbiamo chiesto in Conferenza dei Capigruppo, signora Presidente, accettando chiaramente democraticamente che venisse respinta la nostra proposta) di poter discutere, prima delle riforme statutarie e istituzionali, il punto tre all'ordine del giorno, cioè la posizione della Sardegna nei confronti delle norme di attuazione del federalismo fiscale.
Occorre parlare di risorse, ascoltare il Presidente della Regione, che deve comunicarci quali sono le conclusioni a cui sta pervenendo la Commissione paritetica sull'applicazione dell'articolo 8 novellato dello Statuto, cioè sapere quali sono le risorse certe su cui noi possiamo contare, anche per basare su queste una vera riforma e innovazione dell'autonomia regionale.
Cari colleghi, non ci deve sfuggire il fatto che è dalla terza legislatura, dal 1958, che il Consiglio regionale della Sardegna va avanti nella costituzione di Commissioni di modifica e di adeguamento dello Statuto regionale (la prima Commissione, nominata ad hoc, venne istituita nel '58). Ebbene, siamo andati avanti con una serie di nulla di fatto che non portano ad un eccessivo ottimismo, anche in questa situazione. E, se ho il tempo, dirò anche perché io sono molto pessimista sulla possibilità che questo nostro anelito di federalismo, addirittura di indipendenza, possa conseguire dei risultati. Anche perché vedo che ci sono delle fughe in avanti rispetto alla necessità di fare in fretta, di fare presto e di fare bene.
Quando infatti sento il collega Cuccureddu, che con me è stato messo in minoranza su quella proposta sul federalismo fiscale in Conferenza dei Capigruppo. Affermare che si rimette in discussione l'ipotesi della Costituente, parlare di un referendum consultivo che chiami i sardi a dire se si vuole o meno, non posso che essere pessimista. Io, anche durante la scorsa legislatura - e il mio partito si è sempre attestato su questa posizione - ho sempre affermato che questo Consiglio regionale è abilitato al potere e alla dignità, e deve avere la forza e la convinzione di portare avanti le riforme. Io non accetto che si pensi che questo Consiglio regionale discuta di delegare ad un altro Consiglio regionale - eletto poi sempre dagli stessi partiti che hanno eletto questo - una decisione che è nostra responsabilità precisa assumere.
Noi disponiamo di alcuni strumenti di cui si è già parlato in questo dibattito: c'è il ruolo importante della prima Commissione, della Commissione autonomia, che può essere integrata, rafforzata, che può essere anche affiancata, come è stato detto, per un ruolo tecnico propositivo, da esperti che potrebbero essere quelli che tutti i partiti pensano di inserire nelle liste di un'eventuale elezione per la Costituente. Se c'è questa volontà, andiamo in fretta. Il presidente Maninchedda, nell'illustrare la sua mozione, ha posto il termine di un anno. Un anno, badate, può andare bene per la riforma dello Statuto, ma non può andare bene per altre posizioni che il Consiglio regionale deve assumere relativamente al federalismo fiscale.
Noi a maggio ci troveremo di fronte, volenti o nolenti, alla probabile approvazione di un tipo di federalismo che a noi non va bene. Perché, quando si parla di federalismo, dobbiamo essere coscienti che di federalismi ce ne sono di vari tipi, e c'è in atto uno scontro micidiale tra le forze politiche ancora sotterraneo. Noi dobbiamo essere capaci di fare emergere questo elemento, questa differenza, perché io non so, nella Commissione dei trenta, istituita dal Ministero sulla legge numero 42 (la Commissione paritetica, composta da quindici rappresentanti del Governo e quindici delle Regioni) quanti siano, per esempio, i rappresentanti delle regioni meridionali, e quanti di questi siano portatori di una politica meridionalista. Ecco perché pensiamo che sia importante, quanto il punto due dell'ordine del giorno odierno, il punto tre: la discussione sul federalismo fiscale, e su quale tipo di federalismo debba essere realizzato.
Io sono d'accordo sull'ordine del giorno, voto che è stato proposto - se non ricordo male - nella mozione numero 81, che abbiamo sottoscritto, perché quella è la strada: un impegno per il Parlamento, un impegno possibilmente unitario. A questo richiamo e richiamiamo quest'Aula: possibilmente un impegno unitario che vincoli il Parlamento a rivedere uno Statuto che ormai, per alcune parti, è superato, perché è cambiato il mondo. Addirittura non avrebbe senso, dicono alcuni studiosi, parlare di autonomia in un mondo ormai interdipendente, complesso, in cui tutte le attività (pensiamo all'agricoltura e alla pastorizia) che pensavamo potessero essere assolutamente indenni dagli influssi esterni, oggi come oggi sono assolutamente vincolate a rapporti con l'esterno, non solo con l'Italia ma anche con l'Europa. E così vale per tutti i settori. Qualcuno afferma che adesso si dovrebbe parlare di eteronomia.
Il problema invece è: qual è la nostra potestà? Quale peso abbiamo nelle situazioni e nei luoghi dove si decide l'uso delle risorse? Noi siamo una regione che è ancora fuori dall'Unione Europea, siamo fuori dal Parlamento europeo. L'Italia dei Valori ha dovuto far dimettere due siciliani, un molisano e un campano, per poter portare un sardo al Parlamento europeo a Bruxelles. E ancora non abbiamo una legge elettorale che, a differenza di Malta, a differenza di altre piccolissime isole dell'Europa, ci garantisca la presenza di un rappresentante a Bruxelles; dobbiamo ancora ricorrere a questi piaceri che ci vengono fatti, o a livello di partito o nei rapporti con la Sicilia.
Io direi, collega Cuccureddu - mi rivolgo a lei anche perché è vicesegretario nazionale di un partito - che in questo momento è importante, quello che Paolo Dettori definiva il livello di contestazione e accettazione che ci deve essere in uno Stato federale, nei rapporti tra Regioni e Stato nazionale. Nel momento in cui c'è un attacco drammatico alle condizioni di vita dei sardi, in questo livello di contestazione e accettazione l'ago della bilancia deve spostarsi più verso la contestazione.
Io avanzo una proposta. Ieri ho sentito in una trasmissione il suo Segretario nazionale che diceva testualmente: "Non vorremmo che fosse la Lega Nord a definire le politiche per il Sud". Sottoscrivo integralmente questa preoccupazione. Allora, siccome domani è previsto il voto di fiducia su un Governo che dovrebbe definire gli impegni per i prossimi tre anni, perché i parlamentari sardi, i 9 parlamentari sardi del P.D. L., onorevole Mario Diana, perché i 5 parlamentari dell'M.P.A., onorevole Cuccureddu, non decidono di utilizzare per la Sardegna quello strumento che è stato utilizzato molte volte per altre realtà?
Lei ha citato il decreto attuativo sul federalismo cittadino. Bene, non le sarà sfuggito che il secondo decreto attuativo per Roma Capitale è stato approvato dal Governo. Non è un caso che ci sia forse l'ex Ministro Alemanno di mezzo? Che ci sia la necessità per il Governo Berlusconi di un bilanciamento tra le fughe in avanti (spesso ridicole, come le ultime battute del Ministro delle riforme Bossi, su Roma e sui romani) e la necessità di un riequilibrio sul versante della coalizione di centrodestra? Io sono pessimista per questo, perché so quale è il peso che ormai la lega ha nelle politiche nazionali, e la lega non è disposta a modificare la sua concezione di federalismo egoista, non è disposta! E se non c'è una determinazione, una contestazione, per usare ancora le parole di Paolo Dettori, una contestazione dei parlamentari sardi nei momenti in cui essi contano, allora noi possiamo fare decine e decine di dibattiti, con dotte citazioni e riferimenti aulici (non eolici) aulici a tutte le nazioni federaliste del mondo, però sappiamo che rischiamo di fare la stessa fine delle decine di tentativi di modifiche statutarie e istituzionali che questo Consiglio regionale ha registrato dal '58 ad oggi, ed io, cari colleghi, caro presidente Cappellacci, cara presidente Lombardo, io, questa figura non la vorrei fare, anche perché da consigliere regionale uscente ho avuto la soddisfazione, dopo quarant'anni e più, di poter quantomeno far approvare da questo Consiglio una riforma vera, quale era la riforma statutaria. Peraltro, se vediamo la questione dal punto di vista istituzionale, riforme istituzionali che definiscono una Regione diversa ne abbiamo approvato anche altre: abbiamo approvato il fondo unico per gli enti locali, abbiamo approvato la proposta di devoluzione di poteri dalla Regione agli enti locali; alcune intuizioni importanti del Piano paesaggistico regionale erano legate ad un uso diverso delle nostre risorse, la riforma dei Consorzi (che ancora adesso è in alto mare) la soppressione delle Comunità montane. Un riassetto istituzionale preciso può arrivare anche dalla soppressione delle province; il mio partito, a livello nazionale, sta proponendo da anni questo processo di affinamento, di ristrutturazione e di semplificazione anche istituzionale che riduce i costi, che aumenta la velocità di decisione, che attribuisce competenze maggiori in ossequio al principio di sussidiarietà ai comuni, a chi detiene il potere dalla base eccetera eccetera eccetera.
Alcune riforme le abbiamo fatte, ma poi siamo stati capaci, dentro questo stesso Consiglio (non voglio riaprire vecchie ferite) di tentare di affossare anche l'unica riforma (legge statutaria) che poteva anche presentare alcuni punti opinabili, ma che era una riforma vera, al punto che la scorsa legislatura abbiamo dovuto delegare di nuovo i tribunali dello Stato (noi Regione autonoma, che aneliamo addirittura all'indipendenza) per definire un problema di incompatibilità all'interno di questo Consiglio regionale.
Parliamoci chiaro, la realtà è diversa da quello che spesso siamo abituati a raccontarci qua, e io vorrei fare un richiamo alla realtà. La realtà è che è necessario uno scatto di reni da parte di questo Consiglio regionale, perché in breve tempo, definisca subito un percorso veloce, che possa poter definire una serie di modifiche che inseriscano la Sardegna in un processo di trasformazione in ambito federalista dello Stato italiano.
Io non voglio entrare completamente nei contenuti, non è questo il momento, anche perché stiamo ancora parlando di procedure, di come arrivare a discutere noi e a far discutere soprattutto i sardi di queste proposte, e soprattutto di come far capire ai sardi che c'è un legame strettissimo tra riforme e sviluppo. Cosa vuole dire riforma dei rapporti tra lo Stato e la Sardegna? Vuol dire anche capacità della Regione di autoriformarsi, di non essere più un potere più centralista dello stato centralista, come spesso è stata. Dobbiamo cercare di fare questo.
E allora, io sono perché si proceda - proprio perché pensiamo che sia indispensabile arrivare ad un voto unitario del Consiglio - ad una sospensione subito dopo la replica del Presidente, in modo da poter definire un percorso unitario e, soprattutto, veloce, scadenzando i tempi delle riforme che vogliamo portare avanti, altrimenti, badate, i sardi continueranno a non interessarsi dell', tant'è che i risultati del referendum sulla statutaria…
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Salis. E' iscritto a parlare il consigliere Giacomo Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Presidente, colleghe e colleghi, è chiaro a tutti che tutti gli scribi dell'unitarismo ad ogni costo non hanno ancora capito, o mostrano di non aver capito nulla, del Partito Sardo d'Azione. Signor Presidente, i sardi si sentono anche italiani. Noi ci siamo serbati italiani anche quando fummo abbandonati a noi stessi, anche quando il resto dell'Italia serviva, e non sempre malvolentieri, i tedeschi, oppure i francesi, o anche gli inglesi. Sono tre affermazioni pronunciate da tre padri del sardismo. Nell'ordine: Bellieni, Lussu, Tuveri. Tre frasi, che a quasi un secolo di distanza, bastano da sole a sfatare la stupida leggenda sull'unitarismo e quella, stucchevole e strumentale, sul separatismo.
A noi piace constatare, però, che dopo 100 anni soltanto chi è sardo all'anagrafe, fa da sempre e soltanto il politico romano, commettere gli stessi errori e lancia i medesimi anatemi senza costrutto. A costoro nel 2010 domando ciò che Bellieni chiedeva nel 1921, e cioè se il concetto di unità nazionale può non essere accompagnato da un'equa valutazione degli interessi, dei bisogni, delle tradizioni, dei costumi, dei diritti e delle aspirazioni delle Regioni che compongono lo Stato. Oppure domando, a quanti ci accusano di velleità separatiste, se la Sardegna debba restare per sempre incatenata al carro delle attuali istituzioni, se debba cioè rimanere immutato quel regime di accentramento che inceppa le attività produttive e lo sviluppo delle nostre migliori energie, sottoponendole a vincoli ingiusti e a formalismi ingombranti. Se così fosse, non esiterei a rispondere come Bellieni rispondeva un secolo fa: "Beh, allora continuate pure a dirci separatisti".
(Interruzione)
Il concetto infatti non cambia se invece che alla monarchia del '21 ci si riferisce allo Statuto sardo del '48. Per intenderci: lo stesso attualmente in vigore, quello mai modificato nonostante i diversi tentativi del Consiglio regionale, perché mummificato dal centralismo politico e imbalsamato dal Parlamento italiano. Quello Statuto nato nell'immediato dopoguerra, in un contesto di contrapposizioni ideologiche, sia in Italia sia in Europa, caratterizzato dalle dispute fra i filoamericani e i filorussi. Uno scontro così violento che anche in Sardegna attenuò il dibattito sulla riforma federalista dello Stato postfascista. Infatti, lo Statuto conquistato in sede di Assemblea costituente era già allora lontano non solo dal progetto sardista, ma soprattutto dalle aspirazioni e dai più elementari bisogni dei sardi, mentre il progetto sardista, vecchio più di ottant'anni, sembra oggi la vittoria profetica dei nostri giovani dei primi anni '20.
Oggi, infatti, tutte le forze politiche, in Italia e in Europa, di maggioranza o di opposizione, di sinistra o di destra, parlano di federalismo e di europeismo, e tutti voi in quest'Aula vi riferite di continuo al popolo sardo e nessuno di voi può permettersi di negare i temi dell'identità. Non soltanto all'inizio del secolo, ma anche nell'era del partitismo continentale della prima Repubblica, in quest'Aula come nei comizi, affermare l'esistenza del popolo e della nazione sarda era motivo di divisione profonda tra noi sardisti e i rappresentanti sardi delle forze politiche italiane. Oggi è un'altra musica ed è evidente che a sbagliare non erano i sardisti, così come è evidente, però, che la maggior parte dei partiti ha puntato ad impossessarsi dei linguaggi del sardismo piuttosto che dei suoi profondi valori.
Forse per queste ragioni alcuni ancora oggi si mostrano tiepidi nel dibattere nel Parlamento dei sardi il tema dell'indipendenza, mentre altri si ostinano a trattare l'argomento con slogan vecchi di cent'anni e pregiudizi smentiti dai fatti, dalla politica e dalla storia. Noi sardisti, oggi come allora, tiriamo dritti per la nostra strada. Abbiamo di fronte un cammino lungo, per certi versi tortuoso e certamente difficile, ma abbiamo un orizzonte politico certo, quello che è scritto nell'articolo 1 dello Statuto del Partito Sardo d'Azione e che si chiama indipendenza della Sardegna. E' così dal 1981, dal Congresso nazionale di Porto Torres, da quando cioè il Partito Sardo d'Azione ha scelto con nettezza l'opzione strategica dell'indipendenza e ha superato quella dell'autonomia, corrispondente a una stagione politica che non rinneghiamo affatto e che giudichiamo comunque importante.
E' vero, infatti, che l'autonomia per oltre mezzo secolo ha regalato ai sardisti e alla Sardegna momenti di alta dignità in difesa del nostro popolo, dei nostri valori e della nostra democrazia, ma è altrettanto vero il fatto che l'opzione politica dei sardisti è soltanto quella scritta e certificata nella carta dello stare insieme dei sardisti. E' così ormai da trent'anni e non c'è alcuna intenzione di rinunciare al sogno dell'autogoverno dei sardi e alla speranza di costruire una Sardegna più libera, più uguale e più giusta. Giudico pertanto superfluo rimarcare che l'opzione indipendentista del Partito Sardo d'Azione è ben nota da tempo a tutte le forze politiche che a partire dagli anni '80 hanno dato vita alle alleanze col Partito Sardo d'Azione, e che i sardisti hanno governato e in molti caso governano nei Comuni, nelle Province e alla Regione. La precisazione è d'obbligo per quanti fanno confusione fra il contingente momento politico e il nostro orizzonte politico di sardisti convinti.
Noi oggi chiediamo a tutte le forze politiche sarde di rivelare con chiarezza, nel Parlamento dei sardi, quale sia il loro orizzonte politico, quale Sardegna immaginano e qual è la stella polare che seguono nel difficile cammino sulla strada delle riforme. Un passaggio che giudichiamo un momento di politica alta, oltre che un chiarimento necessario per avviare insieme un programma di riforme profonde. Non ci spaventano né i toni patriottardi, né scoprire gli anti-autonomisti, ma ci interessa, invece, aprire un confronto serio perché vogliamo rimettere al centro della politica sarda la Sardegna e i bisogni del suo popolo. Non ci piace, infatti, subire le riforme del Parlamento italiano e vogliamo che la politica sarda ritrovi un ruolo da protagonista nella stagione dei grandi cambiamenti costituzionali.
Troviamo paradossale vedere la politica sarda ai margini del dibattito sul federalismo dopo che nella nostra terra il pensiero sardista ha per primo tratteggiato la trasformazione in senso federale della Repubblica italiana. Non ci piace, dunque, l'agenda delle consultazioni del ministro Calderoli, che ha inserito la Sardegna in fondo al calendario degli incontri per far posto, in cima, alle regioni a Statuto speciale del Nord Italia. Allo stesso modo riteniamo che non sia rinviabile il varo del nuovo Statuto. Quello vecchio - lo ricordo a quanti continuano ad agitarlo come un totem nell'arena del dibattito politico - non parla di Europa e non ha saputo garantire alla Sardegna gli strumenti necessari per uscire dal sottosviluppo.
E' vero che il Consiglio regionale ha, fin dal suo primo insediamento, tentato di riformare lo Statuto sardo, ma è altrettanto vero che tutte le commissioni consiliari appositamente istituite con tale finalità hanno sempre fallito questo compito, ad eccezione di quella speciale, presieduta dal compianto Salvatore Bonesu, nell'undicesima legislatura, che è riuscita invece ad approvare un documento finale sulla materia. Purtroppo, però, considerazioni di mera contingenza politica, da parte dei due principali partiti di maggioranza e opposizione, ne hanno impedito la discussione in Aula.
Il superamento delle prerogative dell'autonomia è dunque nei fatti e non è un caso che mai una proposta di legge costituzionale approvata dal Consiglio regionale abbia trovato accoglimento nel Parlamento italiano. E' stato così anche per quella che istituiva l'Assemblea costituente del popolo sardo, arenata nella Commissione affari costituzionali senza aver avuto neppure l'onore dell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori parlamentari. E per certi versi una sorte ancora peggiore è stata riservata all'iniziativa del centrosinistra nella scorsa legislatura.
Dalla discutibile convinzione che "lo Statuto sardo non è da riscrivere ma da applicare", è nata la così detta Statutaria. Graziata dal quorum al referendum, è stata stroncata senza appello dalla Consulta il 4 maggio dello scorso anno. Al di là delle differenti valutazioni è certo un fatto: noi non vogliamo arrenderci. Vogliamo riscrivere lo Statuto insieme ai sardi e vogliamo restituire alla Sardegna un ruolo da protagonista nel dibattito delle riforme. Offriamo il nostro patrimonio storico e la nostra credibilità politica sul tema del federalismo e riaffermiamo il diritto dei sardi all'autogoverno e all'indipendenza. Auspichiamo altrettanta franchezza e analoga disponibilità al confronto da parte di tutte le altre forze politiche, a incominciare da quelle a noi alleate.
Il nostro obiettivo politico è chiaro: condividere nel Consiglio regionale un progetto di libertà che precisi come la Sardegna dovrà affrontare la partita decisiva sul tema della sovranità dei sardi e dell'indipendenza. Vogliamo farlo all'interno di un sistema federalista o, se si preferisce, di interdipendenze, così come è stato già detto, dell'Italia e dell'Europa. Ma sappiamo bene che insieme all'indicazione dell'obiettivo strategico serve un percorso possibile in Consiglio regionale, e per questo diciamo che siamo pronti ad affrontarlo perché separatamente sia definito nei dettagli il percorso legislativo possibile per il nuovo Statuto e per quelle riforme che questo Consiglio può realizzare.
Il Partito Sardo d'Azione vorrebbe farlo con tutto il popolo sardo, e per questo ribadiamo il sostegno convinto all'Assemblea costituente, ma come sempre abbiamo fatto e come sempre faremo siamo pronti ad ascoltare tutti, anche coloro che ancora oggi tentano di deridere o annacquare la spinta dell'indipendenza. Nel passato medesima sorte era spettata alla questione della lingua, all'idea stessa del federalismo, alla zona franca o alla continuità territoriale. Il tempo e i fatti hanno rivelato chi stava dalla parte del giusto e soprattutto dalla parte dei sardi e oggi i fatti dicono che il tempo è quello, e cioè il tempo dell'indipendenza. Fortza Paris.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Luciano Uras. Ne ha facoltà.
URAS LUCIANO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, Presidente della Giunta, colleghi, noi siamo chiamati qua a discutere su diversi documenti che sono stati presentati da diversi Gruppi politici e in molte circostanze anche in modo diverso dagli stessi Gruppi politici. Sostanzialmente i documenti presentati si differenziano in ragione dell'obiettivo: alcuni (la maggior parte) ipotizzano un percorso di modificazione, di revisione dello Statuto speciale, altri invece propongono percorsi, procedure di rottura con l'attuale sistema istituzionale e anche quindi con la dimensione repubblicana. Percorsi quindi che non approdano a passi procedurali già definiti all'interno dell'ordinamento, ma che suggeriscono la definizione di norme specifiche che consentano questa rottura, io immagino in modo pacifico.
Voglio ricordare che in quest'Europa (ma è di questi giorni, è di pochi mesi, è di pochi anni fa) i conflitti sulle esigenze di indipendenza, di autogoverno, di sovranità dei popoli sono stati conflitti sanguinosi, sanguinosissimi, e i morti si sono contati a migliaia e non molto distanti da qui. Cosa dire dei Balcani? Cosa dire delle repubbliche socialiste sovietiche all'indomani della caduta del muro di Berlino, delle tragedie che ancora si consumano, dei terrorismi che nascono, delle denominazioni e delle prevaricazioni che si consumano, cioè dello stato di guerra permanente di quest'Europa incapace di decollare nella sua dimensione di Stato federale, ancora governata dai governi dove i cittadini sono relegati ad una partecipazione minima?
Questa è la realtà che abbiamo di fronte, per cui vale anche osservare che non accettiamo la banalizzazione di questo discorso, di questa discussione, di questo confronto, come pure hanno tentato alcuni noti giornalisti lombardi dalle pagine di giornali lombardi. Come dire: "I sardi hanno l'ardire di discutere della loro realtà, di proporre soluzioni e percorsi che riguardano la riscrittura del patto costituzionale con lo Stato, definire forme più avanzate di autogoverno, tratteggiare possibilità di sovranità" e vanno a cercare uno di noi, un grande riformatore del secondo novecento, vanno a cercare uno di noi per farci dire, ma con un'ottica un po' più verso il centrosinistra, con un occhio un po' più malizioso verso questa parte, che siamo dei pazzi, che siamo dei pazzi! E siamo dei pazzi perché sosterremo con le nostre pretese i processi politici che sono stati attivati al Nord, in Lombardia, partendo da presupposti totalmente diversi, costruendo identità che non ci sono mai state per sostenere posizioni di prevaricazione nei confronti degli altri, coloro che sono stati gli artefici delle guerre di dominazione.
Io non sono un appassionato del Risorgimento, una guerra di occupazione che ha depredato il Mezzogiorno, che ha diviso questo Paese e ha diviso anche coloro che vivono in questo Paese, gli italiani. Noi siamo - ce l'ha dimostrato Carlo Sechi - un Paese pieno di nazioni diverse, solo in Sardegna ce ne sono alcune, nazioni che hanno lingua, cultura, radici che si riferiscono a popolazioni diverse, siamo una terra che ha subito dominazioni, dove si sono radicati ceppi differenti, dove le etnie le più disparate, più diverse si sono mischiate, si sono contaminate!
Per tornare a noi, abbiamo di fronte nove documenti, alcuni parlano di sovranità, di rottura, di procedure di rottura con l'attuale sistema istituzionale, altri parlano più semplicemente di revisione dello Statuto. Io non trovo una grande differenza, devo dire, sulle modalità di iniziativa legislativa della Regione, articolo 51 o articolo 54 dello Statuto. L'articolo 51 mi sembra un po' più prostrato verso il potere nazionale perché fa voti prevalentemente al Parlamento cioè ad una sede dove solo alcuni - neppure tutti coloro che sono qua - sono rappresentati: non ci sono i sardisti, non ci siamo noi, non ci sono i Rosso Mori, non c'è la Federazione dei comunisti. Quindi, sono più propenso ad utilizzare l'articolo 54 dello Statuto, cioè il potere di questo Consiglio regionale di approvare una legge costituzionale o meglio di approvare una legge costituzionale di iniziativa regionale e trasmetterla al Parlamento.
Si può fare come con l'articolo 51, non facendo voti, perché io non sono molto convinto che fare voti al Parlamento serva a qualcosa, tanto meno a questo Parlamento. Abbiamo molte difficoltà noi ad essere degni di una rappresentanza che c'è stata affidata, ma il Parlamento italiano è veramente pietoso. Non risolve i problemi, è pieno di gente di cui ci raccontano cose orribili, sta lì a litigare su chi è più malversatore, su chi è quello che ha malversato privatamente piuttosto che pubblicamente. Cioè è una classe politica deteriorata che dà un'immagine di sé stessa totalmente deteriore. Ecco perché fare voti al Parlamento mi sembrerebbe azzardato. Un po' azzardato è anche pensare che il percorso di revisione dello Statuto possa essere iniziato e concluso da questo Consiglio regionale da solo. Deve essere coinvolto il popolo sardo, ma soprattutto deve essere convinto il popolo sardo che c'è bisogno di revisionare lo Statuto e che revisionare lo Statuto porterà una risposta ai problemi di questo popolo.
Se non porterà risposte sarà un ulteriore fallimento, determinerà un ulteriore deterioramento dell'immagine e della sostanza di questa classe politica, di questa classe dirigente, perché la classe dirigente di questo Paese e di questa Regione sono sotto processo. Sono sotto processo gli imprenditori, troppo egoisti, troppo profittatori, troppo sfruttatori, troppo accumulatori e le professioni, troppo servili e anche i lavoratori, troppo poco combattivi nel rivendicare i propri diritti e nel difenderli fino in fondo anche attraverso le proprie rappresentanze. C'è un'accettazione e una rassegnazione intollerabile di una situazione che non funziona, che garantisce alcuni e discrimina i più, e quindi la revisione di questo Statuto deve essere una revisione che dia risposte ai problemi.
Noi non ci metteremo d'accordo sul merito, ma del resto non sarebbe neppure giusto. Noi non dobbiamo tirare fuori un ordine del giorno per rivendicare: indipendenza e sovranità oppure per metterci d'accordo con lo Stato, per raccattare qualche potere in più. No, noi dobbiamo attivare un percorso, una procedura, e dobbiamo lasciare ai sardi il diritto di definire il contenuto, il merito della proposta.
Io non so se la soluzione migliore sia la Commissione speciale o la prima Commissione opportunamente integrata, se si debba o non si debba accompagnare questo processo con presenze tecniche e tecnico-politiche di livello che ci aiutino nella scrittura della proposta, nell'analisi dei problemi, so solo che il lavoro che dobbiamo fare anche come Presidenti di Gruppo ma anche come singoli consiglieri è quello di una stesura di un documento di metodo che faccia uscire questo Consiglio regionale da questa discussione con un percorso tracciato che deve essere unitario. Unitario non perché non ci siano differenze tra noi anche sostanziali anche su questo argomento, e non perché meriti la vostra maggioranza una particolare attenzione.
Siamo al disastro, siete impegnati in una crisi senza fine, la Giunta è improduttiva, il Consiglio è improduttivo, noi abbiamo approvato quattro leggine, ma i problemi, quelli veri, non li abbiamo aggrediti, non abbiamo compiuto un passo vero verso la soluzione dei problemi della disoccupazione, della disgregazione sociale, del rilancio produttivo, del rilancio economico delle nostre imprese, dell'agricoltura, della pastorizia. Siamo lì, fermi, imballati, ma vogliamo intraprendere ugualmente questo percorso unitario ma perché pensiamo che questo sia un metodo, un terreno su cui, attivando il confronto, forse potremmo anche rendere produttivo quel che rimane di questa legislatura. Occorre per essere concreti, concreti per tirare fuori i nostri documenti (parte dei documenti sono già contenuti nelle mozioni che stiamo discutendo) per arrivare ad un documento che ci vincoli con tempi, prevedendo modalità e soggetti. Poi affronteremo anche il problema del federalismo fiscale e lì probabilmente ci divideremo anche di più, ma dobbiamo fare uno sforzo per capire.
Io ho apprezzato molto alcune osservazioni espresse dal presidente Soddu in diversi dibattiti, non lo dico per polemica nei confronti di Paolo, ma alcune di queste personalità che hanno vissuto per tanti anni le vicende politiche di questa Regione riescono a racchiudere una proposta anche in una frase sintetica quale quella: "più libertà, più sviluppo". Io sono convinto che questo sia un binomio positivo. Più libertà vuol dire anche più sovranità e più sovranità vuol dire anche più strumenti. La revisione dello Statuto deve quindi essere orientata al recupero di poteri più significativi, soprattutto dal punto di vista della gestione economica, soprattutto dal punto di vista della relazione internazionale anche con l'Unione Europea che è il nuovo Stato federale, quello che esiste perché l'altro non esiste.
L'altro Stato federale, infatti è un'ipotesi pensata per dividere. L'Unione Europea è stata fatta per unire i Paesi europei rispetto ad un benessere generale, ad obiettivi di crescita complessiva dell'Europa, mentre l'altro Stato federale che si vuole realizzare rappresenta una visione degenerata del federalismo, cioè il federalismo pensato per dividere, per rompere l'unità, per rompere la solidarietà tra le Nazioni, per prevaricare con la forza acquisita anche con le braccia dei sardi e dei meridionali, i sardi e i meridionali.
Quei pseudo governanti con la puzza sotto il naso si ergono, a giudicare, come fanno i pseudo giornalisti democratici, e con lo slogan "Roma ladrona" lavorano per sequestrare i diritti di una parte di questo Paese. Noi non siamo lo sgabellino della Lega perché parliamo di autonomia, di sovranità e di indipendenza, e neppure lo vogliamo essere. Non lo saremo perché il loro messaggio è un messaggio perdente, è un messaggio fatto di cattiverie, di discriminazione verso le persone, di emarginazione mirata, finalizzata all'esaltazione dell'egoismo. Loro sono coloro che dominano, anche questo Paese, anche questa Regione e la rendono più povera perché è nel loro animo, nel loro pensiero sviluppare l'egoismo piuttosto che la solidarietà. Per noi invece il ragionamento è diverso, perché partiamo da una base diversa che è quella della sofferenza, una sofferenza che paghiamo giorno dopo giorno attraverso i nostri giovani, attraverso il 44 per cento di disoccupati.
Noi non abbiamo i tassi fisiologici dell'area di Milano, abbiamo una terra desertificata, devastata sotto il profilo sociale ed economico. Ed è per questo che ragioniamo in termini di sovranità per noi ma anche per gli altri, in termini di incontro di sovranità, in termini di espansione dei diritti, perché questo mondo si salverà solo così. Se qualcuno pensa che basti accumulare ricchezza nella propria tasca per salvarsi dal disastro, deve fare di nuovo i propri conti, perché sembra così, ma poi piano piano desertifica il territorio in cui vive e si sposta in un'altro con tutto il suo bagaglio di miliardi, e successivamente anch'esso si desertificherà e farà così, di volta in volta, fino a quando non sarà solo in un mondo distrutto dalla sua cupidigia.
Ecco perché noi pensiamo di costruire insieme qualcosa che parta dai diritti, da riconoscere, da salvaguardare e da sviluppare. E' questo il nostro federalismo.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Vargiu. Ne ha facoltà.
VARGIU (Riformatori Sardi). Signori Presidenti, colleghi del Consiglio, io proverò, nel pronunciare l'intervento conclusivo di questo dibattito a nome dei Riformatori, a partire dalle domande formulate in quest'Aula dal Capogruppo del Partito Sardo d'Azione, che ci ha chiesto in maniera chiara quale idea abbiamo della Sardegna, e quale orizzonte. Ecco, io credo che al termine di questo dibattito a ciascuna forza politica spetti il compito di dirlo con chiarezza, e per i Riformatori io cercherò di farlo, cercherò di essere chiaro, in maniera tale che possano esserci differenze, ma non dubbi su ciò che ciascuno di noi pensa.
Devo dire che il dibattito che si è svolto in Consiglio questi giorni personalmente mi ha arricchito molto, e mi ha educato alla cultura dell'ascolto, che non è la cultura sempre dominante in quest'Aula. Credo che su alcuni ounti siamo stati sostanzialmente d'accordo, sulla parte diagnostica.
Fuori dal palazzo. Beh, io sentendo gli interventi dei colleghi del Consiglio sono convinto che la percezione del dramma, della disperazione, della gravità della situazione che c'è fuori dal palazzo (i pastori, Vinyls, Vol2, precari, l'industria pesante in crisi) sia nella testa dei consiglieri regionali. Ed è anche nella testa dei consiglieri regionali la consapevolezza che abbiamo scadenze nazionali vicine, quelle del federalismo, con i decreti del maggio 2011, che viene declinato in questo momento attraverso il modo che noi conosciamo, che è quello dei livelli essenziali delle prestazioni, ed è quello dei costi standard. E sappiamo perfettamente cosa consegue a questo modo di declinare il federalismo: consegue il concetto che chi ha i servizi peggiori li paga di più. E' quello che stiamo vedendo nel Lazio, con i piani di rientro della Sanità, nella Campania, e via dicendo.
Bene, di fronte ad una diagnosi che è comune, quali sono le terapie di cui si è ragionato in questo Consiglio regionale? Io provo anche qui ad essere schematico. Sono risuonate negli interventi dei consiglieri regionali delle parole comuni: sovranità, autodeterminazione, autonomia e indipendenza. Devo dire che ognuno le ha declinate in modo diverso, ma queste sono le parole che principalmente sono risuonate. Io l'ho detto chiaramente anche nel primo intervento che ho pronunciato per conto dei Riformatori: "Se l'indipendenza è un progetto politico noi Riformatori non siamo interessati, la pensiamo diversamente".
Non siamo interessati a discutere se manchino 2 miliardi e mezzo, o 5 miliardi al nostro saldo per poter essere indipendenti. Non siamo interessati neanche a sapere quanta parte del debito nazionale, che oggi è il 136 percento del PIL, quindi 35 miliardi di euro per la quota parte della Sardegna, si riverberebbe sulla nostra Isola. Non ci interessa questo ragionamento. Ci interessa - l'ha detto un consigliere Sardista, il collega Solinas - che il sangue dei soldati sardi è stato speso per l'Unità d'Italia, ci interessa che i valori della Costituzione repubblicana - lo ha detto il presidente Soru - sono i valori in cui ci riconosciamo.
Quindi noi vorremmo che la parola "indipendenza" venisse usata come la usano i Sardisti, cioè che nessuno la usasse in quest'Aula come una scorciatoia, quella che affascina sempre le classi politiche nei momenti di difficoltà: "La colpa è di Roma". La colpa è di Roma e allora noi cerchiamo di intercettare un sentimento che è vero, è presente in Sardegna: quello dell'indipendentismo. Cerchiamo di dare un sogno ai Sardi perché si dimentichino della fame che oggi c'è in Sardegna. Li facciamo sognare e così hanno meno appetito, lo stomaco si restringe. Non vorremmo che questo fosse il modo di declinare il sentimento dell'indipendenza.
Maninchedda dice una cosa diversa. Maninchedda dice: "L'indipendenza può voler dire efficienza, perché chi viene buttato in mare, o nuota, o affoga". Maninchedda dice: "Impariamo a nuotare". Noi sottolineiamo invece che non vorremmo affogare. Però anche sulla base di una riflessione che mi hai aiutato a sviluppare il collega Capelli, che mi ha fatto avere una lettera riportata dai giornali su ciò che oggi in Sardegna non va bene, vorrei riflettere con voi, su quanta parte lo Stato ha di colpe in alcune delle situazioni che vi cito.
Sembra che il Consiglio regionale in resipiscenza si sia pentito delle otto Province sarde. Ce le ha fatte Roma? Sembra che ci pentiamo del fatto che non usiamo bene le risorse della Sanità. Beh, la riforma sanitaria è un anno e mezzo ferma in Commissione perché Roma non la fa andare avanti? Abbanoa: i buchi di Abbanoa nelle condotte li ha fatti Roma? La legge elettorale che non siamo riusciti mai a fare in questo Consiglio, ci ha impedito Roma di approvarle? I Consorzi industriali, i Consorzi di bonifica, il Porto canale che ha richiesto trent'anni, è tutta colpa di Roma? La zona franca, prevista nel nostro Statuto, che oggi tutti dicono che se l'avessimo realizzata a suo tempo sarebbe stata uno straordinario volano di sviluppo per la Sardegna, è stata ostacolata da Roma?
Badate, i livelli essenziali delle prestazioni e i costi standard porteranno un giorno qualcuno a dirci: "In Lombardia per mille licenze di pesca ci sono quattro impiegati amministrativi, da voi ce ne sono dodici, perché?". Noi potremmo dire: "Perché in Lombardia c'è un sistema informatico perfetto che ha pagato lo Stato, e che in Sardegna non c'è". Ma poi dovremmo anche dire: "Perché noi avevamo problemi di ammortizzatori sociali, i dodici amministrativi per mille licenze di pesca rappresentano il gap, … l'inefficienza supplementare della Sardegna rispetto alla Lombardia.
Ancora una volta, col collega Uras, troviamo un sentimento di condivisione sui problemi concreti. Noi Riformatori crediamo che il problema fondamentale della Sardegna oggi sia quello del deficit della classe dirigente, e della classe politica, e lo sottolineammo tre volte, ed è questo il punto di partenza di questo Consiglio regionale. Vi rivolgo una domanda: la gente, secondo voi, quella che c'era a Oristano sabato, vuole cambiare il governo di Centrodestra col Centrosinistra? Vi do io la risposta: "Esattamente come prima voleva cambiare quello di Centrosinistra, con quello di Centrodestra". In realtà la gente non ha fiducia in questa classe dirigente, in questa classe politica, e l'idea di cambiare serve semplicemente a sostanziare la mancanza di fiducia, che se abbiamo intelligenza dobbiamo cercare di ricostruire.
Quando andavo in giro, immediatamente dopo le elezioni, una richiesta frequente era quella di cambiare i Direttori generali delle AA.SS.LL.. Io ho sempre risposto: "Metteremo direttori generali, o commissari, simili a quelli che vanno via", perché non ci sono due classi dirigenti straordinarie da spendere, una di centrodestra e una di centrosinistra, e non c'è un pilota scarso da sostituire con uno bravo, c'è complessivamente un deficit a cui noi dobbiamo far fronte, ma a cui possiamo far fronte solo se siamo consapevoli che questo deficit c'è, in primo luogo in noi stessi.
Il problema della classe, guardate colleghi, non nasce oggi. Come voi mi sono andato a rileggere la storia dello Statuto, la Consulta, mi sono andato a leggere le discussioni tra Lussu e Laconi, quelle discussioni durante le quali Lussu ha tentato di far approvare anche per la Sardegna lo Statuto della Sicilia. La risposta fu: "No, manco per sogno, lo facciamo noi consultori sardi, perché sicuramente siamo più bravi di quelli siciliani! Alla fine Lussu votò nella Costituente il nuovo Statuto esclusivamente perché aveva paura che non passasse neppure quello, non perché fosse convinto che fosse davvero lo Statuto che serviva alla Sardegna.
Ancora, io vi chiedo: quando si operò in Sardegna la scelta dell'industria pesante - di cui oggi noi sembriamo essere amaramente pentiti - quali furono le forze politiche sarde che si opposero? Quali furono i grandi padri della patria, quelli che citiamo sempre, i costituenti, la grande classe politica che ci ha preceduto mentre noi siamo scarsi, quali furono quelli che si opposero? Ditemi i nomi, i cognomi, le paternità!
Allora, se abbiamo in testa che il problema è quello della classe dirigente fermiamoci un attimo. E non è un problema di età, perché se in questo Consiglio regionale verranno consiglieri con vent'anni meno di noi ma che ragionano come noi, con gli stessi ritmi nostri, con gli stessi pregiudizi nostri, con le stesse mentalità nostre, con le stesse educazioni limitative nostre, beh…, insomma, non avremmo risolto niente!
Voi dite, e io ascolto: "La Sardegna è una nazione, la Sardegna è uno Stato". Se è uno Stato, lo ripeto, ha bisogno di "statisti", non di "politicanti". Sinché la Sardegna avrà politicanti nella sua classe dirigente non sarà uno Stato, perché gli mancheranno gli statisti che fanno politica. Lo dico anche qui, sperando di non essere frainteso: la Sardegna ha bisogno di discontinuità. Sapete qual è il Governo regionale che meglio di tutti ha incarnato la necessità di discontinuità? Il Governo del presidente Renato Soru! Lo ha fatto in maniera contraddittoria, noi Riformatori gli siamo stati avversari leali dal primo all'ultimo giorno, ma ha incarnato il senso, il bisogno di discontinuità di cui questa Regione ha necessità più che di ogni altra cosa.
Allora, concludo, colleghi del Consiglio regionale - a noi Riformatori prendeva sempre in giro l'onorevole Cugini che era un simpatico linguacciuto - sulle riforme parliamo o le facciamo? Perché ci sono alcune questioni che sono di competenza statutaria, ma, tutto il resto, passa per questo Consiglio regionale! Non si può puntare il dito contro la luna! Siamo noi che dobbiamo fare le riforme. Allora, ci mettiamo d'accordo e facciamo in modo che la prima legge che passi in Consiglio regionale sia una legge di buon senso che ci riporti verso la sensibilità dei sardi? Che sia una legge che riduca il numero dei consiglieri regionali? Ci mettiamo d'accordo su questo? In questo modo faremo una cosa gradita ai sardi e utile alla funzionalità di questo Consiglio regionale, cioè dare finalmente alla nostra Assemblea una dimensione umana, simile a quella di altre regioni italiane, che hanno un rapporto ben diverso dal nostro fra il numero dei consiglieri regionali e la popolazione?
Lavoriamo su un filone che è fondamentale per la nostra crescita e per dare discontinuità al nostro rapporto con le cose. Mi riferisco al filone della crescita culturale, il filone che ha avuto il Master and Back come elemento di inizio, e che sicuramente va rivisto. Mi riferisco al filone del nostro rapporto con le università, con l'istruzione in Sardegna, del nostro rapporto con la burocrazia. In Irlanda il passo in avanti decisivo è stato compiuto quando hanno delegificato, quando a chi voleva investire è stato detto: in 3 giorni ti diciamo sì o no, non in 3 anni.
I Fast Truck della Pubblica Amministrazione, la riforma della democrazia: questo è il nostro modo di manifestare discontinuità, e non serve lo Stato italiano per poter andare avanti in questo.
Sul nuovo Statuto - e concludo - guardate: io non sono affatto convinto che ci serva domani un nuovo Statuto. Io credo che quando andremo, nell'immediato, a trattare con Roma sul problema delle entrate fiscali e sul problema del federalismo, l'articolo 8 dello Statuto vigente sarà più che sufficiente per iniziare la difesa e la garanzia dei diritti dei sardi. Se affideremo all'ennesima Commissione l'idea di discutere, di scrivere eccetera..., comunque abbiamo un percorso di 3 anni tra il lavoro della Commissione, l'approvazione in Aula, il passaggio come legge costituzionale nei 2 rami del Parlamento e la correzione che potrebbe essere apportata nuovamente interpellando la Sardegna. E' un percorso lungo, quindi lo Statuto non è un feticcio, non è un'idea che ci deve perseguitare domani e dopodomani, lo Statuto deve essere uno strumento che utilizziamo sul serio nell'interesse dei sardi, della Sardegna (e su questo è stato lucidissimo Luciano Uras).
Per questo noi Riformatori vi diciamo che siamo stati e siamo per la Costituente, che non voteremo nessun ordine del giorno che non abbia chiara idea di che cosa serva ai sardi: ai sardi serve uno Statuto ma non uno Statuto qualsiasi, scritto da bravissimi giuristi, che sia anche molto avanzato sui temi dell'autonomia, della sovranità e di quello che si vuole. Serve uno Statuto in cui credono loro! In cui sardi siano convinti che attraverso quello strumento potrà cambiare la vita della Sardegna! E' questo quello che deve essere inserito nello Statuto, lo Statuto diventa più importante come strumento che non come obiettivo stesso. Deve essere uno strumento di consapevolezza, di nuova mentalità, di nuovo rapporto con la gente, tra la politica e la gente, tra la classe dirigente e la gente, deve essere il modo di selezionare la nuova classe dirigente, deve essere il modo, Presidente Cappellacci, con cui noi andiamo a dire allo Stato italiano che quando parliamo di nuova specialità della Sardegna e abbiamo in mente i livelli essenziali delle prestazioni e abbiamo in mente i costi standard, i costi standard della sanità in Sardegna sono diversi da quelli della Lombardia! I costi standard della scuola a Esterzili sono diversi da quelli di Milano! I costi standard delle Poste, della Giustizia e della sicurezza e dei trasporti interni nostri sono diversi! E poiché noi siamo cittadini italiani, cittadini dello Stato italiano, abbiamo diritto ad avere gli stessi servizi che hanno gli altri nostri connazionali e non li chiediamo perché altrimenti minacciamo l'indipendenza: li chiediamo, perché è un nostro diritto!
Abbiamo diritto ad avere una classe politica sarda con la "schiena dritta", che questo abbia ben chiaro in testa e sappia che è l'unica bussola, l'unica stella polare - per rispondere al collega Giacomo Sanna - che deve orientare questa classe politica sarda.
Anche noi Riformatori abbiamo, come Sardisti, una strategia-sogno, un'illusione, ed è quella del partito dei sardi. Non siamo convinti che debba diventare la Sudtiroler Volkspartei o l'Union Valdôtaine, un partito che mira al 51 per cento. Siamo convinti che sia un sentimento che può crescere anche in tutti i partiti sardi che pure rimangono incardinati nei partiti nazionali, un sentimento che ci aiuta, se crediamo che serva, a dare risposte vere a chi aspetta fuori da quest'Aula.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare consigliere Milia. Ne ha facoltà.
MILIA (U.D.C.). Presidente del Consiglio, Presidente della Giunta, colleghi, in una delle fasi più critiche dai tempi della sua costituzione questo Consiglio regionale si trova a dibattere sulla necessità di darsi, e di dare alla regione Sardegna, un nuovo assetto istituzionale e regolamentare. Da tutti i colleghi intervenuti in questo dibattito (e non solo dai colleghi ma anche dagli interventi che si sono seguiti sugli organi di stampa) è emersa l'inadeguatezza, anche alla luce delle importanti riforme nazionali, di questa autonomia, della nostra attuale autonomia, che a detta di molti non sarebbe più capace di affermare la nostra specialità. L'autonomia è diventata uno strumento inadeguato e desueto, non garantisce più la necessità di autogoverno e di autodeterminazione.
Noi siamo ben consci che il nostro obiettivo è quello di costruire e di elaborare un patto costituzionale che porti a un nuovo Statuto capace di riconoscere ai sardi e alla nostra terra quei poteri e quelle risorse economiche e finanziarie necessarie per dar luogo ad un effettivo autogoverno. Uno Statuto che si fondi sulle peculiarità insulari e sia in grado di garantire il massimo potere contrattuale della Regione sarda nei rapporti con lo Stato italiano. Questo in linea di principio; tuttavia, in questa occasione di confronto - così come nell'opportuno e variopinto dibattito che si è sviluppato - è scaturita una serie di situazioni difficilmente conciliabili sia con la vigenza dei tempi sia con il buon senso che sempre dovrebbe informare chi esercita responsabilità non solo politiche e istituzionali come le nostre ma anche, fuori di quest'Aula, funzioni come quelle esercitate dalle parti sociali, delle autonomie e dalla società civile.
Abbiamo assistito a qualche esaltazione di matrice isolazionista, alle più consuete rivendicazioni separatiste e indipendentiste che francamente ci sembrano fuori luogo oggi, nel contesto storico culturale, anche quando si spara a palle incatenate contro l'Italia matrigna che non ci vuole bene, forse spinti da un riverbero contro il vento del nord che in questo momento sta conculcando la volontà non solo dell'Italia ma anche del Governo italiano.
E' riecheggiato anche qualche strano riferimento a quella forma di autonomia siciliana che, per il vero, ha origini e tradizioni assai diverse dalle nostre e ha avuto un esito differente per motivazioni così lontane dettate dalla contingenza degli eventi. Ricordo infatti che, mentre i nostri padri costituenti, come Renzo Laconi, Emilio Lussu o lo stesso Antonio Segni, hanno tentato di ottenere per la Sardegna un progetto identitario e autonomista, mentre costoro contribuivano nell'immediato dopoguerra a scrivere la legge delle leggi, in Sicilia, all'indomani della dittatura, esisteva una forte vena separatista alimentata, per ragioni geopolitiche, dall'intelligence statunitense; questa vena autonomista sfociò nel movimento governato da Andrea Finocchiaro Aprile che riscosse circa mezzo milione di iscrizioni che servirono poi a contrattare quelle guarentigie costituzionali largamente elargite al Parlamento siciliano. Quindi situazioni completamente diverse da quelle di cui noi discutiamo.
Oggi però, in questa discussione, non possiamo far finta di non accorgersi degli avvenimenti legislativi nazionali, primo fra tutti il decreto attuativo del federalismo fiscale che deve andare all'esame della Conferenza Stato-Regioni. L'U.D.C. ha votato contro questo decreto. Questo federalismo, di cui parleremo e che è stato più volte sbandierato come una panacea non ci convince (l'abbiamo definito falso e pericoloso) non serve né a razionalizzare la spesa né a contenerla, non è possibile valutarne l'impatto economico (perché i conti si fanno dopo e non prima di affidare alle Regioni e agli enti locali gli ampi poteri e di spendere e tassare) non risponde alla domanda su chi deve farsi carico del debito pubblico, attribuisce alle Regioni e agli enti locali patrimonio immobiliare statale dimenticando di averlo già ipotecato a garanzia del debito pubblico e moltiplica in maniera esponenziale centri di spesa. Federalismo a orologeria, scandito da decreti delegati attuativi, che non è altro che un'arma pericolosa di ricatto politico della Lega nei confronti del Governo del Paese.
L'Unione di Centro codificava e auspicava una riforma diversa, con competenze e funzioni chiare e nette dello Stato, delle Regioni e delle autonomie, con piena corrispondenza fra autonomia e decentramento delle funzioni amministrative da un lato, e autonomia ed entrata di spesa dall'altro, soprattutto a garanzia - questo lo chiediamo e lo abbiamo sempre chiesto - del ruolo insostituibile dello Stato nella perequazione e nelle politiche di sviluppo economico e di coesione sociale. Noi non ci crediamo e speriamo solo che questo federalismo voluto da Bossi non abbia effetti deleteri nei confronti della Sardegna.
Non mi tranquillizzano nemmeno le parole del collega Maninchedda che dice "noi non temiamo l'idea che ogni regione viva della ricchezza che produce perché abbiamo fatto i conti". Il problema è, caro onorevole Maninchedda, che questa riforma fiscale è proprio lo strumento per l'attuazione di un'egemonia culturale, politica e anche burocratica di governo, delle ricche regioni del Nord su tutta l'Italia, isole comprese: un vero e proprio disegno politico alternativo rispetto a quanto sancito dalla nostra Costituzione. Questo non ci sta bene, e non sta bene a quella U.D.C. sarda - cito ancora, mi perdonerà, il collega Maninchedda ma ci ha in qualche modo stuzzicati -che va oltre i perimetri culturali di Casini. Noi crediamo che questa sia una locuzione dettata forse dal fatto che, mentre altri in pieno agosto disquisivano di questioni immobiliari, noi dell'Unione di Centro eravamo impegnati nella prima fase costitutiva del nostro soggetto politico che si chiamerà, guarda caso, Partito della Nazione. Il riferimento è alla nazione e a quella italiana di cui noi sardi, fino a prova contraria e con buona pace di tutti, facciamo ancora parte. Non mi pare, colleghi, che un giovane sardo che si affaccia oggi nel terzo millennio abbia più cose in comune con un sardo pellito, nostro vetusto e illustre antenato, piuttosto che con un coetaneo della Provincia di Varese. E non possiamo imitare nemmeno i movimenti isolazionistici e indipendentisti europei - come quelli svedesi, come quelli finnici, che con il Partito dei veri finlandesi vogliono rincorrere le tradizioni silvane - ma dobbiamo guardare all'Europa; e l'Europa e la comunità europea è il luogo a cui noi crediamo che la Sardegna debba ispirarsi naturalmente.
Siamo ben consci che sussiste forte la necessità di assicurare che le istanze locali e regionali vengano adeguatamente canalizzate a Strasburgo e a Bruxelles; sappiamo che questa è una necessità propria di tutti quei popoli, di tutte quelle comunità che non si sentono adeguatamente tutelate e rappresentate all'interno dei Parlamenti nazionali. Questo è il caso dei parlamentari di origine basca e catalana che, pur facendo parte della delegazione nazionale, sono diventati punti di riferimento insostituibile per le comunità locali, anche perché l'Unione Europea continua a offrire grandi possibilità di sviluppo per tutti i Paesi membri e per le aree territoriali che presentano specifiche peculiarità.
Purtroppo però - come tutti sappiamo e come ha già detto anticipandomi l'onorevole Salis - abbiamo un grave e dannoso handicap: a Bruxelles e a Strasburgo non siamo rappresentati; la nostra politica sembra non aver ancora compreso, a differenza di altre Regioni d'Italia, che l'Unione Europea è molto più che un generoso erogatore di finanziamenti, in quanto offre delle vere e proprie opportunità di sviluppo, anche di carattere straordinario, alle quali, in virtù di adeguati e congrui progetti, dobbiamo essere in grado di attingere, dai temi della tutela paesistica ed ambientale al recupero di antiche tradizioni linguistiche e artigianali fino alle vitali questioni dei trasporti e della comunicazione.
E allora, sia pure trattandosi di un tema non inedito, rientra ancora in maniera più pressante di prima l'esigenza della promozione di una nuova proposta di legge di iniziativa popolare al fine di garantire che la Sardegna, alle prossime elezioni europee, costituisca circoscrizione elettorale autonoma. Già in un recente passato le iniziative sono state ingiustamente cassate. Nel 2004 questo Consiglio regionale ha votato all'unanimità l'ordine del giorno che impegnava il Presidente della Regione a intraprendere azioni nei confronti dello Stato per l'incostituzionalità di una legge elettorale che mancava di riconoscere alla minoranza linguistica sarda i benefici previsti per le altre minoranze; i cittadini sardi devono pretendere che tutti i deputati e i senatori sardi considerino la questione della rappresentanza sarda nel Parlamento europeo come priorità assoluta del mandato che in questo momento rivestono.
Ben vengano quindi i riferimenti forti alle grandi tradizioni linguistiche, culturali, morali e ambientali della nostra terra, ma auspichiamo sempre in un contesto sociopolitico europeo ed europeistico in cui albergano moderne Nazioni che guardano al futuro con spirito costruttivo e dialettico e che sanno salvaguardare e valorizzare le identità locali che vi insistono.
La nostra riflessione, assolutamente non preconcetta ma comunque salda su alcuni valori imprescindibili, verte sulla necessità di dirimere il rapporto tra dimensione locale e dimensione globale, quindi sull'opportunità di scegliere fra un localismo egoista e fine a se stesso e l'alternativa, diremo sturziana, che guarda ai temi dell'identità partendo dal concetto stesso di persona umana, ovvero: dalla dimensione nazionale dei problemi si risponda con la consapevolezza delle specifiche diversità locali. Come ha ben scritto Mario Segni - la cui opinione, espressa sulle pagine della Nuova Sardegna, ha suscitato molte polemiche - la Lega ha vinto una battaglia culturale, poiché ha convinto buona parte dell'opinione pubblica nel Nord che il sud sia un peso insopportabile e che il futuro del settentrione sarebbe assai migliore se ci fosse la secessione. E chiaro che quando la spinta regionalistica si sarà esaurita perché avrà raggiunto il suo acme, l'emotività si tradurrà in una vera e propria richiesta politica alla quale il Governo del momento, così come sta succedendo, dovrà dare gradita risposta.
Il pericolo è quello identico di quando, magari da ragazzi, giocavamo a pallone nei campetti di periferia; se il padrone del pallone veniva in qualche modo contrariato se ne andava portandolo via. Questo è: minacciate, minacciate e qualcosa succederà. Invece è opportuno che queste grandi questioni siano dibattute anche soprattutto in questa Aula in termini costruttivi, culturali e non a colpi di slogan, perché si tratta non di una semplice questione lessicale ma di una grande questione politica e culturale.
La coesione nazionale che tanti riteniamo essenziale soprattutto in questa drammatica stagione di crisi economica e finanziaria e di valori non può essere perseguita da chi ragiona esclusivamente in termini egoistici ma deve essere affrontata in termini identitari, realistici, non lasciando alla pancia quello che è il ruolo del cervello. L'identità di un popolo è la sua cultura, la storia, le tradizioni, la lingua e il territorio e anche le sue istituzioni politiche. Ricordo che proprio sui concetti di identità in Occidente si sono costruite le nazioni prima e lo Stato poi, e alla base di questi concetti insistono le naturali rivendicazioni di un territorio minore rispetto al resto del mondo.
Quindi la nostra ultima rivendicazione politica si inserisce in un contesto più ampio e non può assumere le misere caratteristiche di una timorosa quanto sterile opposizione ad un processo di globalizzazione già in atto per impedire che questo approdi nelle nostre contrade. Vi è invece da condividere il superamento di un concetto di nazione sarda fondato prevalentemente su una comunanza di sangue. Ciò che serve è una comunanza di progetto, e questo concetto, sia pure con accenti diversi, è emerso da questo dibattito.
Da questo progetto, che l'onorevole Floris ha coraggiosamente definito "progetto Sardegna" o "progetto per la Sardegna", deve nascere un nuovo patto costituzionale per garantire la piena sovranità sarda. Tutti siamo d'accordo sul fatto che l'autonomia che sino ad oggi abbiamo sperimentato sia uno strumento consunto e inadeguato rispetto alle necessità di autodeterminazione del nostro popolo. Ecco che il concetto di identità che non può più essere rifugio contro la tigre della modernità, diventa valore inestimabile e irrinunciabile per rinegoziare il nostro rapporto con lo Stato, che sia non unicamente di subalternità ma che riconosca ai sardi la potestà di decidere sul proprio futuro identitario.
Questo non può certamente accadere in un'isola in controtendenza col resto del mondo; quindi niente isolazionismo. Ricordo che il grande exploit della Catalogna degli ultimi 25-30 anni è certamente da ascrivere alle concessioni legislative da parte dello Stato spagnolo ma anche, soprattutto, alla grande capacità dei politici locali come Jordi Pujol che per 23 anni Presidente della Generalitat di Catalogna ha saputo realizzare in connubio e, talvolta, in conflitto con lo Stato centrale, un modello politico, culturale ed economico moderno autoreferenziale sfruttando sapientemente, ad esempio, il ruolo strategico di Barcellona e della sua costa nel bacino del Mediterraneo. Per questi ed altri motivi, e soprattutto per la doverosa necessità di non riscrivere a pregiudizio dei sardi un nuovo libro dei sogni, riteniamo che quanto delineato dall'onorevole Contu e dall'onorevole Steri siano contributi molto importanti dai quali ripartire per scrivere una nuova pagina di storia della Sardegna.
L'adozione del nuovo Statuto pone problemi procedimentali e anche problemi di contenuto. Sotto l'aspetto del procedimento in aula si è parlato di costituente, di Commissione speciale e della Commissione prima. Per l'U.D.C. la stella cometa rimane la costituente - l'abbiamo sostenuta e continueremo a sostenerla - quale migliore espressione della volontà popolare, quale miglior espressione della sovranità del popolo sardo, parola che riecheggia a più riprese in questa Aula. Proprio per questo abbiamo proposto una soluzione in parte divergente da quella fatta propria dal Consiglio nel 2001: abbiamo chiesto di elaborare e studiare una proposta legge costituzionale che attribuisca alla costituente il potere di elaborare direttamente il nuovo Statuto e non già una mera proposta che dovrà poi essere esaminata dal Parlamento. A questo Parlamento e alla Corte costituzionale dovrebbe essere attribuito solo un potere di controllo di legalità.
In via meramente subordinata - per usare una espressione propria del lessico forense - restano in campo le altre due alternative: la Commissione speciale o la prima Commissione. Noi propendiamo, sempre subordinatamente, per la prima soluzione perché è un modo per sottolineare l'eccezionalità e l'unicità del momento dell'attività che deve essere svolta, problemi di coordinamento segnalati dall'onorevole Floris sono recessivi rispetto a questa finalità.
Se questo è il procedimento che pare preferito all'Aula o sarà preferito dall'Aula bisogna parlare di contenuti. Diciamo subito che il nuovo Statuto andrebbe ad inquadrarsi in un nuovo mutato assetto costituzionale e di questi mutamenti dobbiamo cogliere al massimo la portata espansiva dei poteri riconoscibili alle regioni cosiddette speciali. Ho parlato di poteri e non di autonomia e sovranità di stati federati; le etichette non ci entusiasmano, spesso restano formalismi sterili. Si può parlare di indipendenza in uno stato confederato, ma con questo non s'è detto nulla, bisogna vedere quali sono i poteri effettivamente conferiti. In primo luogo bisogna individuare i principi che vogliamo porre a fondamento del nuovo Statuto e su questa base dovranno poi essere individuati i correlativi poteri necessari per raggiungere questi obiettivi nonché le risorse finanziarie occorrenti allo scopo e come acquisirle.
Concludendo. Dato per appurato che l'attuale regime di autonomia non ha realizzato completamente gli obiettivi di autogoverno e di sviluppo economico della Sardegna, anche alla luce dei grossi cambiamenti epocali determinati dalla globalizzazione (se è vero com'è vero che in un rapporto sempre più conflittuale tra Stato e Regione ci è impedito, per un evidente riequilibrio dei poteri di attuare scelte, adottare decisioni che consentono di garantire alla nostra Isola quella prosperità e quello sviluppo tanto desiderato) abbiamo il dovere di riscrivere le nostre, regole. E' infatti crescente nella coscienza del popolo sardo la necessità di innescare un processo di sviluppo che elevi la potestà decisionale delle istituzioni sarde nell'esclusivo interesse della Sardegna e dei suoi cittadini.
Sussiste quindi l'opportunità, il bisogno vitale di chiedere con forza al Parlamento italiano la stipula di un nuovo patto costituzionale, consentendo alla Regione sarda, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto che attribuisce il diritto-dovere del Consiglio regionale di rappresentare il popolo sardo, la concreta possibilità di partecipare come parte attiva al processo di riforma e revisione della Costituzione. Ma soprattutto dobbiamo essere noi consiglieri regionali, politici addetti ai lavori, a sentire il dovere in quest'Assemblea, fuori insieme alle parti sociali e alla società civile e alle autonomie locali, di compiere ogni passo necessario per predisporre quel percorso legislativo necessario per la riscrittura di un nuovo Statuto regionale che sia adeguato ai tempi, alle necessità del popolo sardo, alle riforme nazionali di carattere istituzionale che determineranno il nuovo assetto della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.
DIANA MARIO (P.d.L.). Presidente, colleghi, occorre quasi un obbligo oggi, che è quello di riuscire, nei limiti delle mie capacità e possibilità, a esprimere un pensiero che sia il più possibile condiviso, quanto meno dal Gruppo che rappresento. Spero peraltro che ci sia la possibilità di trovare all'interno di questo Consiglio regionale ulteriori condivisioni.
Io ho sentito di tutto, ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi e, quando non li ho ascoltati, me li sono letti, per cui mi sono fatto un quadro abbastanza chiaro della situazione. L'altro giorno mentre navigavo sugli svariati siti Internet e sui blog della Sardegna me ne è capitato uno di una nostra conterranea che è stata da poco premiata in maniera esemplare avendo vinto il premio Campiello (conterranea anche nel senso che è di Oristano, di Cabras) e che quindi ha destato la mia attenzione. Sono stato molto attento non per ciò che ha detto ma per ciò che ha riferito aver detto un altro cittadino sardo. Ho letto l'articolo che faceva riferimento ad un uccello, al cuculo, ho letto l'articolo e non mi è affatto piaciuto, non l'ho condiviso, non lo condivido ancora.
Però ascoltando tutti gli interventi mi sono fatto l'idea che probabilmente ciò che pensavo relativamente al cuculo e cioè che facesse un solo uovo e lo deponesse nel nido di un altro uccello, era sbagliata. Ho scoperto, infatti, che il cuculo fa diverse di uova, dieci, quindici, e si sceglie dieci, quindici partner diversi, e questo ovviamente ne limita di molto l'estinzione. Mi sono fatto quest'idea perché, dai ragionamenti che ci sono stati, per gli impegni che abbiamo assunto in sede di Conferenza dei Capigruppo, ma anche nelle mozioni, sembrava che ci fosse la volontà di arrivare a un percorso il più possibile condiviso, e naturalmente abbiamo concordato tutti che era arrivato il momento della stagione delle riforme.
E' stato detto di tutto in questo dibattito: si è passati dalla critica alla Giunta regionale, alla critica al Governo nazionale, dalla Lega alla Sicilia, ai padri spirituali della Sardegna, a coloro che hanno fatto o non hanno fatto lo Statuto, così come io qualche volta ho ricordato, sbagliando, non uniformandosi allo Statuto della Sicilia. E' stato detto di tutto. Allora, o facciamo una discussione che ci porti verso le riforme o facciamo una discussione in cui ognuno prende le proprie difese. Ovviamente le mie difese sono quelle della maggioranza, della Giunta regionale e del presidente Cappellacci, ma se vogliamo addebitare allo Statuto vigente, piuttosto che a quello nuovo la soluzione di tutti i problemi - e qui mi trovo d'accordo con l'onorevole Vargiu - è veramente una cosa sulla quale bisogna stare molto attenti.
Se noi, infatti dicessimo che tutti i guai della Sardegna sono imputabili allo Statuto vigente, staremmo sanando una serie di incapacità che si sono alternate negli ultimi venticinque anni in Sardegna. Dice l'onorevole Vargiu: "Ma qui è un problema di classe dirigente". Certo, è anche un problema di classe dirigente: prima i partiti avevano un ruolo diverso e faceva scuola di politica, oggi non si fa questa scuola, si fa però un'altra scuola. Ma questo non è successo solo in Sardegna, è successo con la nascita di nuove formazioni politiche, importantissime, che non avevano una storia e una tradizione di partito. Forza Italia è nata così, dal nulla, ed è un partito che oggi (assieme ad Alleanza Nazionale, oggi nel P.d.L.) costituisce un partito di grossissime dimensioni, quasi più grosse di quelle della vecchia Democrazia Cristiana.
E' nata l'Italia dei Valori, è nata la Lega: partiti senza tradizione, senza storia. Perché sono nati? Forse perché hanno interpretato al meglio le esigenze dei cittadini, o forse perché è stato definitivamente sancito che la forma partito di una volta non è più quella che serve per governare l'Italia o per governare la Sardegna, in questo caso. Esistono poi partiti che hanno una loro tradizione storica consolidata nel territorio sardo, come il Partito Sardo d'Azione, i Riformatori, il Movimento per le Autonomie, il movimento ispirato dal Presidente Floris; sono tutti partiti che hanno tradizioni e radicamento in questo territorio regionale. Però, esistono anche partiti che invece hanno respiri più ampi e dei quali bisogna tener conto, credo. Se non se ne volesse tener conto, lo si dica, però qui il P.d.L. rappresenta trentuno consiglieri regionali, il Partito Democratico credo che ne rappresenti diciassette o diciotto, non so quanti siano…
BRUNO (P.D.). Diciannove.
DIANA MARIO (P.d.L.). Diciannove, benissimo. Pensate un po', cinquanta consiglieri regionali sono rappresentati da due partiti che sono comunque partiti di carattere nazionale. Ritengo che sia opportuno che qualche ragionamento tra di noi lo si faccia. Ovviamente a questi va aggiunto l'U.D.C., e così si arriva a rappresentare il 70 per cento di questo Consiglio regionale. Non vogliamo andare avanti con i numeri, non ci teniamo affatto, e quindi abbiamo ascoltato con attenzione.
I nodi: indipendentismo. Noi siamo contrari anche al termine indipendentismo, non lo condividiamo. Sarà anche un obiettivo in quel famoso orizzonte di cui ha parlato, credo, l'onorevole Soru, l'orizzonte, ma l'orizzonte è sempre all'orizzonte, è irraggiungibile, si allontana sempre. Questo vuol dire, onorevole Sanna, che la predisposizione naturale dell'uomo è quella di crescere, è quella di andare sempre più in là, di guardare sempre oltre. E' una predisposizione naturale, e guai se non fosse così, però da qui a individuare un percorso compiuto e mettere un fermo ce ne fosse. No, non c'è il semaforo, dobbiamo cercare di andare sempre oltre.
De Gasperi - non lo cito mai ma in questo caso il richiamo mi viene naturale - parlando delle regioni, disse: "La Regione non è contro lo Stato, ma lavora per lo Stato come un'articolazione dello stesso Stato". Provate a pensare cosa significhino è stato detto con queste pochissime parole. Io mi ci riconosco molto, perché? Perché io credo che la Costituzione italiana vada cambiata col sostegno degli Statuti delle regioni, e ancora di più col sostegno di una Regione a Statuto speciale che ha tutte le caratteristiche per avere una Carta costituzionale sua, che dipende da che cosa? Dipende dalla forza che noi abbiamo nel modificare anche la Costituzione italiana.
Perché, guardate, la Costituzione italiana presenta grossissimi limiti. Ci sono limiti di fatto e limiti di diritto. I limiti di fatto sono semplicissimi: lo Stato non riesce più a governare e a controllare tutte le articolazioni delle regioni, delle province e dei comuni, non ce la fa più, e quindi sempre di più deve delegare. Poi c'è un limite di diritto: l'Unione Europea. Ci sono infatti alcuni principi che non possono essere toccati, né da noi né dallo Stato italiano, e se non ci crediamo dobbiamo attuare iniziative che probabilmente non sono quelle che stiamo attuando. Dobbiamo fare ciò che è stato fatto in Irlanda, ciò che hanno cercato di fare i baschi, ciò che ha cercato di fare l'ETA. Noi però non ci troviamo in quelle situazioni. Per cui io dico che, se siamo d'accordo, chi ci impedisce di rivendicare tutti i poteri (esclusi quelli che in base alla normativa comunitaria e alla Costituzione italiana non possono essere comunque delegati alle regioni) tutte le competenze previste nell'articolo 117 della Costituzione (ma con riferimenti anche al 114 e al 115) chi ci impedisce, al di là di una presunta indipendenza, di lavorare tutti assieme, con le modalità che poi sono emerse nel modo più svariato (poi su questo ci tornerò) ma chi ci impedisce di fare ragionamenti forti e di misurarci con lo Stato? Perché abbiamo paura?
Sembra quasi che ciascuno di voi sia stato preso da questa sorta di paura di voler affrontare col Governo, con lo Stato e con il Parlamento, tutta una serie di iniziative che riteniamo utili per la nostra Sardegna. Ma non utili perché fino ad ora non abbiamo avuto niente, utili perché per il futuro non ci basta più quello che abbiamo avuto, posto che ci abbiano dato tutto quello che ci spettava. Quindi, in questa direzione dobbiamo lavorare. E' il metodo, è l'approccio al problema che dobbiamo cercare di studiare meglio, perché altrimenti si finisce per fare come fa l'onorevole Uras: un mero elenco della spesa. E l'elenco della spesa che ha fatto lei lo ha fatto anche l'onorevole Maninchedda l'altro giorno; velatamente, ma con grande garbo, lo ha fatto anche l'onorevole Vargiu oggi.
Se tutti quanti ci lasciamo andare a fare l'elenco della spesa delle cose non fatte, delle cose che dobbiamo fare, ci allontaniamo dall'approccio giusto per arrivare ad un metodo che ci conduca verso la realizzazione (che può essere anche quella di un sogno, visto che sono passati sessant'anni e ne abbiamo parlato tante volte) di un nuovo Statuto. Ecco, io questo dico, perché altrimenti poi, con le forme di coinvolgimento, e non solo le forme di coinvolgimento, ognuno di noi sta cercando di pararsi le spalle all'esterno di quest'Aula, e tutti quanti stiamo cercando un modo per garantirci comunque una sorta di consenso.
Allora, c'è chi deve tutelare l'IRS, e lo sta facendo, certo, perché l'IRS è una realtà. C'è chi deve tutelare una bandiera che ormai vive da oltre 80 anni, il Partito Sardo d'Azione, ci sono i sindacati, ci sono le organizzazioni, c'è il mondo universitario, ci sono i lavoratori; noi non riusciamo, da qui dentro, a mantenere un rapporto continuo e costante con tutti questi soggetti, e non è responsabilità loro, è responsabilità nostra.
Io, personalmente, non voglio assolutamente privarmi dalla possibilità di essere uno di coloro che partecipa alla scrittura dello Statuto, è un compito nostro, è un dovere nostro. Io leggo le pagine dei giornali, leggo ciò che dicono gli esponenti della cultura sarda, se ne dicono di cotte e di crude, non c'è la possibilità di mettere assieme il mondo universitario e il mondo accademico perché la pensano tutti in modo diverso. Noi siamo stati deputati e siamo stati votati per essere coloro che possono traghettare la Sardegna verso un mondo migliore; o ce ne assumiamo la responsabilità, o altrimenti rinunciamo. Ma siccome credo che nessuno dei miei colleghi voglia rinunciare a questa possibilità, noi diciamo subito no all'Assemblea costituente.
Io lo dico per tradizione storica, perché lo dicevo già da prima, continuo a dirlo adesso, credo che non sia la strada giusta oggi, poteva essere una strada percorribile 10 anni fa quando è stata individuata, ma oggi non c'è più il tempo. Oggi dobbiamo correre perché la politica ha tempi diversi, i Governi si alternano, i parlamenti cambiano, noi dobbiamo essere pronti, e questo mi pare sia un momento estremamente favorevole. Siamo contrari anche alla Consulta, l'abbiamo detto anche durante il mandato del presidente Soru, l'abbiamo detto, l'abbiamo ribadito, non siamo d'accordo, noi riteniamo che esistano altri strumenti che possono essere la prima Commissione, può essere la Commissione speciale che noi sosteniamo, può essere il coinvolgimento sulla base dello Statuto e dell'articolo 42 di una Commissione tecnica che sostenga e aiuti, soprattutto dal punto di vista giuridico, chi deve scrivere questa riforma. I Partiti e i Gruppi consiliari devono farsi parte importante nel coinvolgimento della società sarda. O dobbiamo coinvolgerla solo quando andiamo a chiedere il voto? Non possiamo coinvolgerla in altre manifestazioni? Ognuno di noi dovrebbe fare questo sforzo, e non necessariamente nominare una Commissione, l'Assemblea costituente piuttosto che la Consulta, non è quello il tipo di coinvolgimento che serve, il tipo di coinvolgimento che serve ai consiglieri regionali e a questo Parlamento è conoscere esattamente come la pensa la gente, e non lo possiamo sapere per interposta persona. Gli interlocutori del popolo non possono essere la Costituente, non può essere la Consulta, gli interlocutori del popolo siamo noi, se ci crediamo, e se non ci crediamo decidiamo tutti assieme che non siamo d'accordo.
Noi non chiudiamo le porte a nessuno, l'ho già detto nella presentazione della nostra mozione, che è stata, per certi versi, citata da tutti e menzionata da nessuno. Almeno la nostra mozione aveva un senso, noi abbiamo già detto che cosa vogliamo nella nostra mozione, ci sono già i presupposti per lavorare, l'abbiamo detto anche in altre mozioni, certamente, quindi sediamoci a tavolino, discutiamone, ascoltiamo. Io ho necessità di ascoltare anche ciò che il Presidente della Regione vorrà dire a questo Consiglio regionale, forse qualcuno si è dimenticato che esiste il Presidente della Regione. Il Presidente della Regione esiste, e credo che abbia un suo ruolo, importantissimo, fondamentale, sia in Sardegna sia fuori dalla Sardegna.
Mi risulta che siano stati già presentati degli ordini del giorno, noi non abbiamo presentato ancora nessun ordine del giorno, siamo sempre del parere che tutto il Consiglio regionale debba essere coinvolto in un ordine del giorno unitario, se è possibile. Mi pare che siano già stati posti dei paletti, se non ho capito male il Presidente del Gruppo dei Riformatori ha detto che non è disponibile a votare nessun altro documento se non quello che prevede l'Assemblea costituente. Se è così - ma spero di aver sbagliato, di non aver compreso - c'è già un punto fermo.
L'apertura che era stata offerta nelle sedute precedenti era quella di trovare un largo coinvolgimento, poi, sul metodo, ma soprattutto sul contenuto dello Statuto (perché credo che quello sarà il vero problema, è ciò che mettiamo dentro questo Statuto) si sarebbe optato il confronto.
Io, del resto, una volta, parlando con l'onorevole Uras dissi che forse avremmo anche potuto fare a meno di cambiare lo Statuto, posto che ci sono delle Nazioni, come gli Stati Uniti, che la Carta costituzionale non la cambiano dal primo giorno che esiste. Però, siccome tutti quanti riteniamo che sia una cosa buona e giusta, bene, lavoriamo sullo Statuto e cerchiamo di capire i punti fondamentali sui quali intervenire. Nei rapporti con lo Stato, ciò che possiamo ottenere, è una materia in continua evoluzione, non mettiamo limiti, lì l'orizzonte serve veramente. Noi siamo sicuri di poter ottenere molto nei rapporti con lo Stato e col Parlamento (continuiamo a dire con lo Stato, ma probabilmente è molto meglio dire con il Parlamento, solo il Parlamento può porre dei veti) e abbiamo le carte in regola in questo momento per far capire quale sia il nostro grado di specialità, quale sia il nostro grado di sovranità, quali siano le materie nelle quali possiamo essere veramente artefici del nostro futuro.
Se noi la pensiamo in questo modo, lavoriamo in questa direzione, non dividiamoci in questo momento e non perdiamo tempo ad accusare Tizio o Caio o a indicare quali sono le inefficienze della pubblica amministrazione, che non riguardano solo la Sardegna. E' un mondo fatto di inefficienza; è una burocrazia, quella italiana, che si trascina da oltre 2000 anni, e che ha come sede Roma…
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori e colleghi, se giriamo per le strade delle nostre città, dei nostri paesi (l'abbiamo ripetuto in tanti in questo dibattito) le domande dirette che i cittadini ci rivolgono sono altre, non riguardano questo dibattito: ci chiedono lavoro, ci chiedono sviluppo, ci chiedono come fare ad arrivare alla fine del mese, e questo dibattito è visto come un'astrazione. E allora bisogna riconoscere che, senza la dignità del lavoro, senza la libertà dal bisogno, anche parole pregnanti come autonomia, specialità, autogoverno, perdono di significato, sono fuori dal sentire comune. Ci chiedono: "di cosa state parlando?". Ed è vero che senza un obiettivo politico e sociale le riforme rischiano di essere un esercizio retorico; senza un progetto politico, sociale, le riforme non hanno senso, le riforme sono funzionali a un progetto politico economico e sociale.
E allora oggi il Consiglio regionale si assume questa responsabilità al termine di un dibattito, di una prima fase di una sessione straordinaria, se la assume, però - io devo dirlo con chiarezza - in assenza di un progetto politico del Governo regionale. Io non dimentico le parole, l'atteggiamento del Presidente Berlusconi in campagna elettorale: "Alla Sardegna ci penso io". Oggi noi stiamo dicendo: "Alla Sardegna ci pensiamo noi, ci pensa il Consiglio regionale". E non mi sfugge neanche il momento politico che viviamo: siamo in attesa delle parole del presidente Cappellacci, che dovranno affrontare la contingenza, la difesa delle entrate, la difesa dall'articolo 8 dello Statuto. Dovrà dirci se si è svolta la riunione della Commissione paritetica, com'è andata, qual è il percorso individuato, insomma, se quel miliardo e 600 milioni in più all'anno (che tra l'altro, anno per anno, quel differenziale positivo sta diminuendo, ho visto i primi dati sintetici della finanziaria, mi pare che il differenziale rispetto al 2009 sia sceso a 1 miliardo, correggetemi se non è così) vi verrà riconosciuto.
Insomma, abbiamo la capacità, l'autorevolezza per difendere lo Statuto, la Carta fondamentale che abbiamo, di rivendicare con forza i fondi FAS, di difendere i risultati ottenuti nella scorsa legislatura in materia di demanio (di servitù militari non ne parla più nessuno, presidente Cappellacci) di governo dei beni culturali nella nostra Regione. Altrimenti tutto è in salita, altrimenti si comprendono anche le differenze esistenti anche all'interno della maggioranza. Indicativa era anche la manifestazione di sabato a Oristano in cui il Governo regionale non era presente, a mio avviso sbagliando. Seimila persone hanno detto una cosa sola - mi dispiace, sta diventando un tormentone, Presidente - hanno detto: "Basta alla subalternità nei confronti dello Stato". Se pensiamo che è dovuto intervenire l'ex ministro Pisanu per consentire agli operai della Vinyls, non so da quanti mesi all'Asinara, di ottenere un colloquio di qualche minuto con il presidente Berlusconi, un colloquio che non so fino a che punto sarà portatore di frutti, questo la dice lunga sul ruolo della Regione.
Mancava il Governo regionale, non so se sia stato invitato, però a quel tavolo non c'era. Questo la dice lunga sull'autorevolezza di questo Governo regionale. E allora, io lo dico nel momento in cui affrontiamo una fase alta, straordinaria, delicata: il Consiglio regionale si assume una responsabilità, ma lo fa in un momento di crisi, forse il più grave della vita istituzionale della Regione, e pertanto bisogna dire basta a questo atteggiamento. Presidente Cappellacci, bisogna dire basta, bisogna cambiare registro.
Un nuovo patto costituzionale serve - io così lo spiegherei ai miei figli - per tentare di dare risposte proprio a quelle domande di sviluppo, di lavoro, di crescita delle famiglie e delle imprese, per farlo in modo più efficace, in modo più efficiente rispetto a come lo abbiamo fatto in passato. Ma in questa fase vi è qualcosa in più. Vi è un deficit della democrazia e c'è un distacco incolmabile, se non interveniamo nel modo giusto, tra cittadini e istituzioni, tra il locale e il globale, tra come si prendono le decisioni, come incidono le decisioni che prendiamo qui, che prendiamo nei nostri comuni, in una dimensione globale e come, viceversa, altre decisioni hanno influenza nei nostri territori, nella nostra Regione.
Vi è una domanda crescente, che non riusciamo a contenere, di più governo, di miglior governo, capace di armonizzare la partecipazione democratica con il governo stesso delle nostre istituzioni. La scarsa affluenza alle urne in occasione delle ultime amministrative è il termometro di questa situazione. Aveva ragione l'onorevole Vargiu: o noi siamo credibili, o le istituzioni e la politica, chi la pratica, risulta credibile con atti concreti, presidente Cappellacci, oppure veramente diventa, il nostro, un esercizio retorico; facciamo palestra verbale, facciamo allenamento, ma non risolviamo i problemi.
Allora, questo luogo della democrazia è la Regione, però è la Regione intesa come un sistema rete in cui - lo diceva l'onorevole Cuccureddu - i comuni, che nella riforma del Titolo V della Costituzione hanno pari dignità con le altre articolazioni (con le province, con le regioni, con lo Stato nella Repubblica) abbiano un governo che tenga conto di una logica di sussidiarietà, di partecipazione, di solidarietà, di pari dignità. La Sardegna è stata un terreno fertile di autonomia e quando noi diciamo: "è finita una fase dell'autonomia" non vogliamo pronunciare un giudizio negativo su questi sessant'anni, perché sono stati sessant'anni ricchi di autonomia, che hanno espresso personalità importanti e che ancora le esprimono in Sardegna.
La specificità autonomistica della Sardegna ha dato sapore, ha dato valore all'impegno politico, anche all'impegno politico che viviamo in quest'Aula. E allora dobbiamo dire grazie a quell'esperienza autonomistica che ci ha consentito di prendere coscienza di essere un popolo, di prendere coscienza dei nostri diritti, della nostra dignità di comunità regionale. Abbiamo maturato sicuramente dei diritti che ci appartengono, che sono nostri e che sono una ricchezza per noi e nei confronti dell'Italia e dell'Europa, che rendono importante e riconoscibile la nostra specificità. Siamo una regione insulare ma non vediamo nell'insularità un handicap, abbiamo però la consapevolezza della necessità del riconoscimento dei diritti e delle specificità che ci appartengono. Siamo stati una risorsa per il Paese, il Paese che a noi ha guardato, anche in un passato recente, con molta attenzione.
E allora, di fronte a una tendenza sempre più crescente all'omologazione, che ha massificato anche le regioni ordinarie, la nostra tradizione autonomistica, la nostra specialità rischia di perdere valore, di perdere interesse, di perdere attrazione. Questa è la sfida. Noi dobbiamo essere capaci di essere una regione trasparente, responsabile, in grado di governare bene il nostro territorio, di svolgere tutte le funzioni che, con pienezza e responsabilità, devono servire il nostro popolo, a questo serve la sussidiarietà. Noi possiamo fare meglio dello Stato italiano in molte materie, possiamo essere incisivi nelle scelte che riguardano la Sardegna ma anche nelle scelte globali dell'Italia, dell'Europa, e le riforme (quelle di cui stiamo parlando) a mio avviso hanno questa valenza, niente di meno.
Alcuni punti credo siano stati condivisi dai gruppi nel corso del dibattito. Mi rendo conto che ci sono ancora differenze. Io cerco di elencarle.
Primo: l'autonomia, quella del 1948, di cui non diamo un giudizio negativo, ha esaurito il suo corso, è finita così come l'abbiamo conosciuta. Vogliamo superarla, vogliamo essere protagonisti del nostro destino, vogliamo un nuovo patto costituzionale con lo Stato che ci consenta di avere l'ultima parola sulle questioni che ci riguardano alla pari con lo Stato italiano, ma sicuramente capaci di dire l'ultima parola e di averne, anche dal punto di vista giuridico, quindi avere i poteri e le funzioni.
Secondo: vogliamo che questo rapporto, che abbiamo chiamato di interdipendenza nell'ambito della Costituzione italiana - noi vogliamo rimanere nell'ambito della Costituzione italiana - non crei steccati. Noi non vogliamo creare steccati, noi vogliamo creare dei ponti, però ponti moderni, diversi da quelli del 1948 che non sono più in grado di ridurre le distanze, di valorizzare la nostra identità.
Terzo: vogliamo contribuire attivamente al processo di revisione in senso federale della nostra Repubblica. Insomma vogliamo dire la nostra sul processo in atto e vogliamo dirla subito perché altri stanno scrivendo per noi, e abbiamo visto che non sempre, anzi quasi mai, all'esterno di quest'Isola perseguono gli interessi della Sardegna. E allora questo è il valore dell'articolo 51 che stabilisce che la Regione può fare voti al Parlamento su questioni che riguardano la Sardegna. Noi vogliamo incontrare la Camera, il Senato, magari gli uffici di presidenza, le commissioni e esprimere il nostro pensiero. E' sotto gli occhi di tutti che se non lo facciamo noi, altri non lo faranno per noi, governi amici o no.
Quarto: vogliamo un nuovo patto con lo Stato, cioè vogliamo partecipare a riscrivere la Costituzione in senso federale. Per dire che cosa? Che vogliamo un federalismo solidale capace certamente di rendere i diversi (le regioni) uguali (quindi capacità impositiva, livelli essenziali, costi standard, flussi perequativi) ma vogliamo saper declinare le ragioni della nostra specialità oggi, le vogliamo elencare in un nuovo patto costituzionale che contenga il principio dell'unità nazionale, ma nello stesso tempo il valore della diversità; vogliamo rendere le regioni, fatte uguali, diverse, valorizzare la nostra specificità.
Non partiamo da zero. Partiamo anche da una conquista storica che riguarda, per esempio, il nuovo quadro delle entrate. Io credo che la nostra specialità sia da vedere come una dote che noi portiamo all'Italia, all'Europa, come un dono che noi facciamo. C'è una ricchezza, una ricchezza che vogliamo mettere a disposizione. Non è un handicap che vogliamo in qualche modo venga colmato. E la stessa condizione di insularità presuppone un eguale trattamento di diritti (penso alla scuola, alla sanità, ai trasporti) almeno in linea con il resto del Paese, perché qui ci giochiamo il principio di uguaglianza.
Ci sono alcune cose che noi avremmo fatto meglio dello Stato. Io penso, per esempio, al ruolo dell'ENI, presidente Cappellacci, io penso che al posto del Governo la Sardegna avrebbe potuto, in quella situazione... avere un atteggiamento diverso, un atteggiamento che venisse incontro alle esigenze del lavoro nella nostra Isola, che prendesse in considerazione le ragioni di un popolo, non soltanto di alcuni operai. Io penso ai soldi spesi malissimo per il G8 dallo Stato, penso al trasferimento del G8; noi ci saremmo comportati in maniera diversa. Penso al demanio, alle servitù militari, ai trasporti, alla Tirrenia. Certo, noi dobbiamo dare l'esempio perché se non saremo in grado di fare nei confronti dei comuni quello che noi vorremmo lo Stato facesse nei nostri confronti non saremmo ugualmente credibili, a cominciare dal federalismo interno.
Ecco allora l'importanza di un Consiglio chiamato ad avere un ruolo essenziale di rappresentanza e di garanzia di tutti i soggetti della comunità regionale (i cittadini, le autonomie locali, le formazioni sociali) di un Consiglio chiamato a discutere e a definire insieme le regole, gli obiettivi di fondo dell'azione politica, i diritti e i ruoli di ciascuno in un sistema reticolare in cui le autonomie abbiano pari dignità. Non si possono, presidente Cappellacci, in un momento in cui cerchiamo l'unità del Consiglio regionale, cerchiamo di parlare di sussidiarietà, per esempio, commissariare i consorzi industriali, non si può esautorare il ruolo degli enti locali; è la fotocopia di quello che avete fatto con l'autorità d'ambito: non è credibile, non è permesso! Credo che dobbiamo, da questo punto di vista, essere consapevoli che se vogliamo avviare un processo di riscrittura delle regole in maniera unitaria dobbiamo ripartire dalle azioni di dettaglio che il Governo regionale mette in campo.
Fondo unico degli enti locali: è una novità che guardano anche all'esterno della nostra Regione. E' uno strumento di responsabilità, di autonomia, accresce la responsabilità insieme alla discrezionalità, insieme al necessario ruolo di protagonista delle amministrazioni locali. Noi non chieediamo conto di quelle risorse, ma nello stesso tempo vogliamo che quelle risorse siano spese bene in un progetto che tenga conto naturalmente della complessità della comunità regionale e delle specificità dei comuni. Noi vogliamo - così c'è scritto in legge - che le risorse del fondo unico aumentino in ragione proporzionale alle entrate tributarie. Questo non è avvenuto, non è avvenuto lo scorso anno, noi riteniamo che, per essere coerenti, per essere credibili, dobbiamo adoperarci per aumentarle perché non possiamo pretendere dagli altri quello che noi non facciamo nei confronti delle nostre articolazioni territoriali che hanno pari dignità.
Il patto di stabilità. Il DAPEF dello scorso anno prevedeva un termine (gennaio 2010) per la revisione di quei vincoli in un confronto, si diceva, attivo, aperto con lo Stato a livello tecnico, politico. Ecco, finora non abbiamo visto niente. Avremo tra poco un nuovo DAPEF ma non abbiamo passi avanti da registrare.
Allora, per ritornare al tema specifico, io non vorrei che questo Consiglio regionale si bloccasse sui "contenitori". Ne abbiamo parlato per decenni: un'assemblea costituente, la consulta, una Commissione speciale, il Consiglio regionale, la Commissione autonomia. Io credo che dobbiamo dare alla Commissione autonomia allargata, ridefinita, resa speciale anche con l'ausilio di un comitato tecnico scientifico formato da esperti, la possibilità di riscrivere un nuovo patto costituzionale con lo Stato in tempo breve, in quattro mesi. Lo dobbiamo fare contemporaneamente col massimo coinvolgimento possibile della società, uscendo dalle stanze di questo palazzo per rendere l'autonomia, il rapporto con lo Stato e con l'Europa un diritto dei sardi che sia in grado di appassionare i cittadini, che sia in grado di appassionare le forze sociali, politiche e culturali.
Occorrono sicuramente momenti sistematici, penso al CREL, ma a tutte le rappresentanze economiche, sindacali, sociali, culturali, accademiche, penso al Consiglio delle autonomie locali, penso agli enti locali della Sardegna. Io credo che dobbiamo trovare il modo per riconoscere centralità al Consiglio regionale e contemporaneamente consentire la massima apertura possibile alla società. Per esempio (è una proposta già avanzata nella scorsa legislatura) i consigli comunali, i consigli provinciali potrebbero riunirsi anche in una stessa data, contemporaneamente, per discutere dello Statuto della Regione Sardegna e di ciò che emerge prendere attenta nota affinché poi trovi traccia nei nostri documenti.
Il Consiglio regionale è chiamato a riscrivere questo nuovo patto, a proporlo, un patto che successivamente dovrà essere sottoposto a referendum popolare. Io credo che dobbiamo fare in modo che - lo diceva il collega Vargiu - soprattutto le nuove generazioni, in un momento di crisi della classe dirigente sarda, ma non solo, vengano incluse in questo processo, perché i giovani oggi sono spesso organizzati in associazioni sportive, culturali, di volontariato, ma sono distanti dalle istituzioni, e dobbiamo trovare il modo per avvicinarli, nelle scuole, nelle università, per far uscire questo dibattito dal Palazzo.
Ma non dobbiamo fermarci qui; c'è una legge statutaria che possiamo velocemente approvare in quest'Aula, e tutto ciò che non dipende dal patto con lo Stato (una legge statutaria, una nuova legge elettorale, una nuova legge di organizzazione della Regione) abbiamo il dovere di deciderlo noi. Allora, facciamo in modo che, a conclusione di questa prima sessione di dibattito, ci possa essere un orientamento unitario espresso in un ordine del giorno. Io credo che non sia possibile, non sia accettabile fermarci sul contenitore, credo che, partendo da quanto abbiamo condiviso in questi giorni, sia possibile arrivare ad un documento che sintetizzi il volere della massima Assemblea dei sardi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, per la Giunta, il Presidente della Regione.
CAPPELLACCI (P.d.L.), Presidente della Regione. Presidente, considerata l'ora chiederei di svolgere l'intervento direttamente alla ripresa dei lavori nel pomeriggio.
PRESIDENTE. I lavori del Consiglio riprenderanno questo pomeriggio alle ore 16 e 30. Convoco la Conferenza dei Presidenti di Gruppo.
La seduta è tolta alle ore 13 e 12.