Seduta n.12 del 28/04/2009
XII Seduta
(ANTIMERIDIANA)
Martedì 28 aprile 2009
Presidenza della Presidente LOMBARDO
INDICE
La seduta è aperta alle ore 10 e 41.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 31 marzo 2009 (5), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Marco Espa, Renato Vittorio Lai e Marco Meloni hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 28 aprile 2009.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Annunzio di presentazione di proposte di legge
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti proposte di legge:
Rassu: "Ristrutturazione finanziaria, consolidamento esposizioni debitorie e agevolazioni per l'accesso al credito delle imprese agricole e agro-pastorali". (7)
(Pervenuta l'8 aprile 2009 e assegnata alla quinta Commissione.)
Cossa - Vargiu - Dedoni - Fois - Mula - Meloni Francesco: "Norme per la tutela e il sostegno delle attività con finalità sociali ed educative svolte dalle parrocchie e dalle comunità religiose mediante oratori". (8)
(Pervenuta il 10 aprile 2009 e assegnata alla settima Commissione.)
Maninchedda - Sanna Giacomo - Dessì - Planetta - Solinas Christian: "Norme per la promozione della qualità dei prodotti della Sardegna, della concorrenza e della tutela ambientale". (9)
(Pervenuta il 15 aprile 2009 e assegnata alla quinta Commissione.)
Rassu: "Provvidenze a favore dell'artigianato sardo". (10)
(Pervenuta il 15 aprile 2009 e assegnata alla sesta Commissione.)
Rassu: "Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del commercio". (11)
(Pervenuta il 15 aprile 2009 e assegnata alla sesta Commissione.)
Rassu - Petrini - Sanna Paolo Terzo: "Tutela e disciplina della raccolta dei funghi epigei e ipogei spontanei". (12)
(Pervenuta il 15 aprile 2009 e assegnata alla quinta Commissione.)
Cuccureddu: "Abrogazione del divieto di apertura degli esercizi commerciali nelle giornate festive". (13)
(Pervenuta il 14 aprile 2009 e assegnata alla sesta Commissione.)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
ZUNCHEDDU, Segretaria:
"Interrogazione Sanna Matteo - Diana Mario, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di adottare misure adeguate per la lotta al lepidottero defogliatore Lymantria dispar". (4)
"Interrogazione Amadu, con richiesta di risposta scritta, sui disagi causati dallo spostamento dell'orario di partenza dell'ultimo volo da Alghero a Milano-Linate". (5)
"Interrogazione Bruno - Lotto - Manca - Meloni Valerio - Sanna Gian Valerio, con richiesta di risposta scritta, sulla sospensione del bando di gara relativo al collegamento Porto Torres-Isola dell'Asinara". (6)
PRESIDENTE. Si dia annunzio della interpellanza pervenuta alla Presidenza.
ZUNCHEDDU, Segretaria:
"Interpellanza Lai - Diana Mario - Sanna Matteo sullo stato di attuazione del piano di intervento fitosanitario per la lotta microbiologica ai lepidotteri defogliatori che stanno compromettendo l'integrità del patrimonio boschivo della Sardegna". (4)
Celebrazione de "Sa Die de sa Sardinia"
PRESIDENTE. Presidente della Giunta, Assessori, colleghe e colleghi, oggi ricorre "Sa Die de sa Sardinia", la festa di noi sardi. Un giorno solenne, importante, commemorativo. Un giorno nel quale l'idem sentire di popolo, con propria lingua, propria storia, proprie tradizioni e proprio territorio deve trovare esaltazione nel celebrare i valori più alti della sua storia e rinsaldare le radici della sua unità.
"Sa Die" richiama alla memoria i fatti che culminarono con la cacciata dei piemontesi dall'Isola, il 28 aprile del 1794, considerati i Vespri della liberazione di un popolo e come tali festeggiati al rango di festa nazionale dei sardi. Ma più che i fatti specifici della storica giornata, questa festa tende a esaltare lo spirito identitario dei sardi che in questa occasione si rinnova perpetuandosi. Non una festa da strumentalizzare per usarla contro qualcosa o qualcuno, ma per ribadire il nostro essere un popolo che ha attraversato le varie epoche storiche mantenendo immutati i caratteri di una originalità, all'interno del panorama italiano ed europeo, riconosciutaci costituzionalmente con la specialità politica.
E', però, anche un giorno che ci invita a una riflessione profonda su chi siamo realmente, da dove veniamo, dove vogliamo andare, per migliorarci, per poter costruire un futuro meno incerto, più tranquillo e sereno per noi, per i nostri figli e per i nostri nipoti.
Se è vero che la storia ci ha bollato come pocos, locos y mal unidos, questo deve valere per il passato! Oggi la nuova classe dirigente si muove opportunamente verso una direzione che esalta i valori posti a cardine dell'unità di popolo, trasformandoli in una ricchezza che ci aiuti ad assumere un ruolo da protagonisti nel confronto con gli altri popoli in Italia e in Europa.
Le istituzioni regionali, da tempo, hanno acquisito la consapevolezza che le divisioni sono un disvalore che, se non rimosso, ci consegnerà alla storia come un popolo rassegnato a un destino di dipendenza. L'intera società sarda si è finalmente resa conto che prendere coscienza di questa realtà significa trovare le motivazioni per reagire a una spirale negativa, per rivolgerci al futuro con quella rinnovata certezza che solo un popolo unito e coeso può aspirare a vincere le difficili sfide che lo attendono.
La nostra situazione parla chiaro. Siamo poco più di 1 milione e 600 persone sparse in un territorio vastissimo di 24 mila chilometri quadrati, con una densità di 68 abitanti per chilometro quadrato, la più bassa d'Italia, tolta la Basilicata e la Valle d'Aosta. Abbiamo grandi potenzialità e un' immensa ricchezza che ci deriva da una eredità culturale, storica e di incomparabile bellezza ambientale.
Questo ci deve indurre a batterci con la necessaria energia per assicurare migliori e duraturi livelli occupazionali, utilizzare al meglio le risorse del territorio, migliorare le produzioni, eliminare il triste fenomeno della ripresa dell'emigrazione. E non mi riferisco solo all'emigrazione un tempo definita povera, ma pure agli studenti che vanno a specializzarsi all'estero e che non tornano, ai laureati e ai ricercatori che trovano lontano dalla Sardegna la possibilità di esprimersi, di mostrare i propri pregi, le proprie capacità intellettuali e attuative.
E se ancora ci stupisce vedere quanto questa gente, anche di seconda e terza generazione, rimanga attaccata alla terra d'origine ciò sta a significare che i legami di un popolo, fondato da comuni sofferenze, speranze, gioie e voglia di riscatto, sono vincoli indissolubili nel tempo. Per questo abbiamo sempre considerato gli emigrati parte integrate del popolo sardo, dei cittadini sardi non residenti, ma che con il loro sapere contribuiscono ad accrescere il livello culturale del nostro popolo con esperienze e conoscenze originali e innovative. Una ricchezza che dobbiamo custodire gelosamente.
Ed è in giornate come oggi, durante le celebrazioni di "Sa Die", che siamo chiamati a prendere coscienza di quanto sia opportuno approfondire l'apprendimento della nostra storia per continuare a crescere. Una storia che prende avvio da un lento processo di formazione del sentimento di unità del popolo sardo, che inizia a formarsi da quando genti provenienti dall'Etruria, dalla Spagna, dall'Africa, dall'Egeo cominciarono a sbarcare nelle nostre coste e a dare origine alle popolazioni sarde, diversissime le une dalle altre, ancora oggi ravvisabili nelle differenze fisiche e caratteriali dei campidanesi, degli ogliastrini, dei barbaricini, dei galluresi, dei logudoresi e di quant'altri formano la società odierna.
Una unità rafforzata dalla pax romana, che in realtà fu una vera e propria dominazione militare. Contro questa dominazione si oppose il primo eroe nazionale sardo, Amsicora, che tentò di unire il suo popolo in un anelito di libertà contro l'invasore, dando vita a un primo sussulto unitario dei sardi. La successiva sconfitta di Cornus, dove perì il figlio Josto, lasciato al comando delle operazioni belliche, pose fine al sogno unitario dell'eroe. Così entrammo nell'alveo universale della latinità, per lingua e modi di vita, fino alle soglie del passato millennio. Nel Medioevo, conquistata l'autonomia dall'Impero di Bisanzio, nel frattempo entrato in crisi, l'Isola acquisì una propria sovranità sotto forma di quattro regni giudicali: Càlari, Torres, Gallura e Arborea. Le ataviche rivalità posero i giudicati in continua guerra fra loro, fino all'autodistruzione e all'annichilimento delle potenziali e promettenti nazionalità che si andavano creando all'interno dei quattro Stati indigeni. A combattere contro queste divisioni emerse, in quegli anni di esperienza giudicale, una delle figure più luminose della nostra storia patria, Eleonora d'Arborea. Una donna che seppe battersi per l'unità del popolo sardo, cercando invano di unire sotto un'unica bandiera tutta la Sardegna. A lei dobbiamo lasciti quale un corpo di leggi scritte, il secondo codice dopo quello giustinianeo, la Carta de Logu, passata alla storia come uno dei primi fulgidi esempi di costituzione al mondo. Terminato il periodo giudicale, ci fu l'avvento dei Catalano-Aragonesi, che per realizzare una propria ambiziosa espansione commerciale mediterranea attraverso la cosiddetta "rotta delle isole", con lo scopo d'accaparrasi i ricchi mercati del Vicino Oriente, fecero nascere, il 19 giugno 1324, quel Regno di Sardegna il quale, per una strana sorte del destino, nel 1720 ha varcato il mare, si è ampliato nei confini inglobando il Piemonte, la Savoia, il Nizzardo e la Liguria, ha condotto per tredici anni il Risorgimento italiano, annettendosi per guerra o plebiscito tutti gli Stati peninsulari, ha cambiato il nome, nel 1861, in Regno d'Italia e, per mutamento costituzionale, dal 1946 si chiama Repubblica Italiana. Nasce proprio nel periodo Catalano-Aragonese la storia parlamentare della Sardegna. Per quanto inizialmente esplicò una funzione principalmente di recepimento della volontà del sovrano, ebbe nel tempo un'importanza crescente, fino a divenire sede di rappresentanza e di discussione delle politiche riguardanti il governo del territorio e il rispetto dei diritti del popolo. Un Parlamento, insediatosi a Cagliari nel 1355, e che sin dalla sua genesi si inserì nel filone delle poche realtà parlamentari che già operavano in paesi europei, potendo, a buon titolo, essere considerato una delle più antiche testimonianze di questa istituzione.
Alcuni secoli dopo, con la formazione degli stati nazionali, nel 1800, sull'onda di quanto sta avvenendo a livello europeo, si apre anche in Sardegna il dibattito sulla forma dello Stato, se a ordinamento centralista o federativo. Nel confronto fra gli intellettuali sardi prevalse la tendenza a conquistare una forma di governo autonoma, in uno Stato che già allora si ipotizzava federalista. Il ragionamento era fondato sulla specificità della questione sarda; specificità che allora si voleva all'interno o, per alcuni, distinta da quella meridionale. Nacque l'esigenza di creare, intorno al cenacolo di eminenti figure culturali e politiche dell'Isola, una coscienza di popolo che si era sopita o addirittura mancava nell'opinione pubblica sarda. Fra tutti emersero Giovanni Battista Tuveri e Giorgio Asproni, che costituirono la punta avanzata del pensiero federalista sardo, dando origine, con le loro opere, a una embrionale forma di sardismo che troverà riscontro politico nel secolo a venire.
In questo contesto, grande influenza nella formazione del pensiero federalista sardo ebbe la figura di Carlo Cattaneo, cui soprattutto l'Asproni faceva spesso riferimento. Ma fu in gran parte la produzione letteraria di Tuveri a far conoscere ai sardi il valore dei concetti di unità e autonomia se trasfusi in azione politica concreta. Tuveri, più di altri, contribuì a formare quella coscienza di sé stessi che sino ad allora i sardi sembravano aver dimenticato. Nel XX secolo alla Sardegna si aprono nuovi scenari. Dopo i fatti sanguinosi che all'inizio del secolo segnarono le lotte di contadini e operai nell'Isola, venne posto in discussione l'assetto unitaristico dello Stato per propugnare forme di decentramento autonomistico e federalista, che ebbe punte anche separatistiche. In questi anni difficili fu l'attivismo di figure come Attilio Deffenu e Angelo Corsi, entrambi di estrazione socialista, e dell'avvocato Umberto Cao di San Marco a tenere in vita il dibattito sui valori dell'autonomia e del federalismo per i sardi. Da un opuscolo del deputato, e indimenticabile sindaco di Iglesias, Angelo Corsi prese spunto il manifesto programmatico di Macomer del 1920, curato da Lussu e De Lisi, che creò i presupposti per la nascita del Partito Sardo d'Azione, avvenuta nell'aprile del 1921, e che passò alla storia per le notevoli assonanze con la Carta del Carnaro ispirata da Gabriele D'Annunzio dopo l'impresa di Fiume. Negli stessi anni Camillo Bellieni, ritenuto la mente più illuminata del pensiero sardista, propugnava la nascita degli Stati Uniti d'Europa, come entità formata da popoli e nazioni. Grazie ai suoi scritti il pensiero sardista ebbe respiro nazionale e internazionale, collocandosi in una cornice europea. Una coscienza di sé che durante lo sforzo bellico della prima guerra mondiale i sardi, la gente comune, accrebbero e consolidarono, acquisendo la consapevolezza di essere popolo e nazione, avendo in comune storia, lingua, territorio e tradizioni. Mai come durante la vita in trincea i sardi capirono l'importanza di essere uniti. Quando i fanti della mitica Brigata Sassari muovevano dalle loro postazioni verso il nemico, in difesa della Patria comune, erano un popolo che avanzava con tutto il proprio carico di consapevolezza che quell'unità, tradotta nel momento del bisogno, si trasformava in un valore assoluto e sempre in una vittoria. Uomini che prima della grande guerra non erano quasi mai usciti dal proprio contesto comunale con l'evento bellico scoprirono di abitare un universo, la Sardegna, fatto di tante piccole comunità come la loro; comunità che condividevano la stessa identica storia, fatta di sacrifici comuni e comune amore per la propria terra, famiglia e tradizioni. Al termine della seconda guerra mondiale, alla ripresa della vita democratica, si rinvigorì il movimento autonomistico sardo, che trovò uno dei momenti più esaltanti nella Consulta regionale per la scrittura dello Statuto di Autonomia, adottato nel febbraio del 1948, e che subì un'involuzione nel conferimento di prerogative autonomistiche, rispetto alle attese della vigilia, in quanto nel frattempo era mutato il clima di grandi aperture verso forme ordinamentali decentrate che aveva influenzato la precedente adozione dello Statuto siciliano. Emilio Lussu ebbe modo, fra i primi, di esprimere metaforicamente la sua delusione riferendosi alla famiglia dei felini: "Ci aspettavamo un leone, è arrivato un gatto." Sta forse in questa delusione dei padri della nostra autonomia, che avevano intuito da subito le ragione di uno Statuto contrassegnato da più ombre che luci, il giudizio su questo fondamentale strumento di governo della nostra terra. Nel successivo 1949, con l'elezione del primo Consiglio regionale della Sardegna, ebbe inizio il percorso delle nostre istituzioni autonomistiche. Una data fondamentale il 28 maggio prossimo, perché cade il sessantesimo anniversario dalla seduta inaugurale di insediamento del primo Consiglio regionale. Una tappa importante, che in questo inizio della XIV Legislatura consiliare vogliamo adeguatamente ricordare con una cerimonia significativa. Vogliamo cioè allacciare un filo conduttore tra le speranze e il trepidante clima di attesa che albergava negli animi dei primi legislatori regionali e del popolo sardo che guardava a loro con fiducia e la situazione odierna, con un Consiglio regionale pronto a ridisegnare, con un progetto originale, moderno e avanzato in senso autonomistico, la propria Carta di specialità. Questa fondamentale riforma rappresenta un'esigenza ineludibile, fortemente sentita dalla società sarda, per raggiungere nuovi traguardi di sviluppo e benessere sociale, alla quale questo parlamento non può e non vuole sottrarsi.
In sintesi, molto si è discusso e si discute se in questi oltre sessant'anni di autonomia lo Statuto di specialità abbia assolto in pieno la sua funzione di guidare il popolo sardo verso traguardi di prosperità e benessere. Dopo gli anni dell'entusiasmo per la ricostruzione, caratterizzati dai due Piani di Rinascita degli anni '50 e '60, che portarono alla nascita di un tessuto industriale con l'abbandono di attività storiche della pastorizia e dell'agricoltura, seguirono gli anni della recessione economica e di una ciclicità di crisi del comparto industriale e produttivo, queste ultime legate molto anche alla nostra particolare condizione geografica.
Molti hanno parlato di fallimento dell'esperienza autonomistica, ma forse il giudizio è ingeneroso. Quelli dell'esperienza autonomistica sono stati, infatti, anche anni di grandi progressi e conquiste civili, sociali e culturali per il nostro popolo. Sarebbe più corretto parlare di mancata realizzazione delle molte aspettative che si erano venute a creare intorno alla nascita dell'istituto autonomo. Certo è che nei nostri giorni prevale diffuso il sentimento che ci porta universalmente a condividere la necessità che la nostra specialità venga riscritta attraverso un novello patto con la Repubblica, soprattutto alla luce delle odierne riforme destinate a conferire un nuovo assetto costituzionale allo Stato in senso federale. E questa è storia attuale, quella che più direttamente ci riguarda e coinvolge. Siamo noi, oggi, che dobbiamo chiederci se la bellezza delle nostre tradizioni e l'importanza del nostro patrimonio artistico e culturale debbano essere i pilastri su cui poggiare la nuova specialità sarda. Dove vogliamo andare, quale avvenire ci vogliamo costruire al di là di una contingente legislatura, questi i temi di fondo sui quali confrontarci perché la presente sia, finalmente, la legislatura costituente. Il nostro lavoro dovrà essere aperto al contributo di tutti, per riscrivere assieme le regole del nostro essere popolo e nazione all'interno della Repubblica italiana. Quelle regole, per intenderci, che dovranno dare ai sardi uno Statuto di autonomia capace di guidare i destini del nostro popolo verso un futuro da protagonista delle proprie scelte in Italia e in Europa.
PRESIDENTE. Do la parola adesso al Presidente della Regione.
CAPPELLACCI (P.d.L.), Presidente della Regione. Presidente Lombardo, consigliere e consiglieri, Assessori e autorità, con lo spirito, le convinzioni, gli intenti che penso abbiano ispirato i legislatori che proposero, il 14 settembre del 1993, la legge che istituisce la festa del popolo sardo, e non senza emozione prendo la parola nel celebrare "Sa Die de sa Sardinia".
Parlo a voi, rappresentanti eletti del popolo sardo, nella nostra Assemblea legislativa, continuatrice dell'antica tradizione di autogoverno dei sardi.
Contemporaneamente mi rivolgo a tutti i sardi e agli amici della Sardegna per manifestare il mio rispetto per questa Assemblea e per riconfermarne la centralità nel mio modo di concepire l'autonomia e l'equilibrato rapporto tra potere legislativo ed esecutivo. Tutta la nostra storia, e in particolare quella autonomistica, che si voglia far coincidere con le vicende delle assemblee dei maggiorenti nuragici o con quelle giudicali o del Regno di Sardegna ci mostra la lotta dei sardi per l'autogoverno attraverso strutture che rappresentino tutto il popolo contro le forze centralistiche esterne, dominatrici, negatrici dei nostri diritti all'autodecisione, che hanno cercato di depotenziare, limitare, distorcere e anche eliminare le nostre istituzioni parlamentari.
Anche oggi, pur sconfitte, esistono tendenze tese a limitare i poteri legislativi e di controllo del nostro Consiglio regionale rispetto a una visione centralistica dell'Esecutivo regionale, a detrimento delle autonomie locali e del corpo sociale organizzato.
Noi tutti, all'inizio di questa legislatura, in un momento internazionale difficile per ognuno e più ancora per la nostra Isola, ci rendiamo conto che la crisi, oltre alle difficoltà, ci consente delle opportunità straordinarie di riforma e miglioramento delle nostre istituzioni autonomistiche centrali e periferiche. Una di queste opportunità, oltre che essere una necessità e un obbligo, consiste nel buon governare secondo i programmi sottoscritti con gli elettori e contemporaneamente provvedere alla riforma delle istituzioni autonomistiche, dotando la Sardegna di un nuovo Statuto di autonomia speciale, nel rispetto dei ruoli e delle necessità dei sardi di autogoverno e federalismo in un mondo in rapidissima trasformazione. Si tratta di applicare il principio di autodeterminazione e di autogoverno, secondo la nostra esperienza politica, la nostra storia, le nostre tradizioni e aspirazioni e la nostra identità di popolo e nazione.
Diverse occasioni come questa, che annualmente celebriamo come festa nazionale dei sardi, costituiscono un momento solenne e collettivo di riflessione per meglio operare e disegnare il nostro futuro. Ma "Sa Die de sa Sardinia" costituisce un'occasione particolarmente importante per i contenuti dei fatti che vi vengono ricordati e che sintetizzano i principali valori e obiettivi autonomistici utili per analizzare il presente e costruire il nostro futuro, e che brevemente rievocherò.
Concepita come festa nazionale dei sardi, essa rievoca l'insurrezione del popolo cagliaritano del 28 aprile 1794, che espulse dall'Isola il viceré Balbiano, i funzionari e i militari piemontesi e le loro truppe mercenarie. La sollevazione caratterizzò il triennio rivoluzionario sardo iniziato il 21
dicembre 1792, quando una grande flotta francese comparve davanti a
Cagliari. Il viceré Balbiano, intimorito dalla superiorità numerica dei francesi, non diresse la resistenza ed era disponibile alla resa. Accadde che, dopo tanti anni di sottomissione, i sardi di ogni ceto sociale, nobili, militari, ecclesiastici o popolani, presero nelle loro mani la responsabilità della resistenza a un'invasione e del mantenimento della libertà. Le milizie sarde di fanteria e cavalleria, composte da migliaia di cittadini occasionalmente armati, e non da militari di professione, resistettero ai francesi, contrattaccarono e li sconfissero. La coscienza di essere stati gli unici autori della vittoria contro i francesi, fece sì che rifiorisse lo spirito d'autodeterminazione dei sardi e la loro volontà di esercitare antichi diritti d'autogoverno, negati dai piemontesi, ma sempre presenti durante i secoli nelle aspirazioni popolari, malgrado covassero sotto la cenere della sconfitta dei Giudici d'Arborea. Nel clima euforico della vittoria, una delegazione di sei rappresentanti degli Stamenti sardi, confidando nel successo come riconoscimento del loro valore e per aver salvato la monarchia, chiese invano a Vittorio Amedeo III di riunire nuovamente i Parlamenti, di riconfermare gli antichi privilegi, di riservare ai sardi tutti gli impieghi civili e militari, di creare a Torino un ministero speciale per gli affari dell'Isola, di istituire a Cagliari un Consiglio di Stato. A Torino la delegazione degli Stamenti non fu presa in nessuna considerazione e il rifiuto del sovrano provocò, il 28 aprile 1794, un moto di ribellione a Cagliari, con la conseguente cacciata dall'Isola di tutti i funzionari piemontesi, savoiardi e nizzardi. Il governo venne assunto dai membri sardi della Reale Udienza e iniziò un ciclo di drammatici, ma anche esaltanti episodi della vita politica sarda.
La repressione piemontese fu terribile e crudelissima. Un'intera generazione fu arrestata, torturata e giustiziata. Con la "fusione perfetta" con gli Stati di terraferma del 1848, si concluse la perdita delle antiche autonomie politiche ed economiche della Sardegna. Da allora lo spirito autonomistico si è espresso con coerenza e continuità nel tempo attraverso l'opera dei suoi uomini migliori e il protagonismo dei sardi. Determinanti, dopo il dibattito autonomista ottocentesco e dei primi anni del secolo scorso, nei quali si elaborò un'idea iniziale di autonomia politica della Sardegna, sono stati il contributo d'idee e la matura richiesta di un'autonomia politica ed economica originata dall'esperienza della Brigata Sassari nella prima guerra mondiale e dal movimento sardista del quale il P.S.d'Az. è stato l'alfiere.
I padri dell'autonomia capirono molto prima di altri che la libertà dei sardi dovesse passare attraverso l'autogoverno di nostre istituzioni legislative,
attraverso un parlamento dei sardi col massimo d'autonomia compatibile con un sistema federalista che comprendesse l'Italia, l'Europa e il Mediterraneo.
Parole d'ordine che potevano apparire lontano all'inizio del secolo scorso e durante il suo tragico trascorrere con guerre europee e mondiali, quali autonomia, indipendenza, federalismo, Stati uniti d'Europa e Confederazione euromediterranea sono oggi prossime alla loro realizzazione.
La nascita dell'Unione Europea, lo svilupparsi al suo interno di un processo federalista vede la trasformazione degli Stati nazionali in entità statali dotate di un loro federalismo interno e l'emergere delle nazioni senza stato.
E' presente e attivo, con un'immagine vincente, il protagonismo di nazioni senza stato, come la Catalogna, l'Euskadi, la Scozia o la Repubblica d'Irlanda, alle quali i sardi, anche per le loro politiche identitarie e di fiscalità di vantaggio, guardano con attenzione nel progettare la loro evoluzione autonomistica all'interno del processo federalista italiano, ormai inarrestabile.
La condizione particolare della Sardegna, l'isola con la più grande estensione costiera e la più isolata del Mediterraneo, pone a tutti noi la questione della valorizzazione della nostra insularità, del compiuto riconoscimento e della sua costituzionalizzazione come fattore caratteristico della nostra autonomia e del nostro protagonismo mediterraneo. Già dal prossimo anno il Mediterraneo sarà trasformato in un'area di libero scambio nella quale la Sardegna dovrà trovare la sua collocazione come cerniera fra l'Europa continentale e i paesi della riva sud di questo mare.
Diviene, quindi, insopprimibile la necessità di un adeguamento della nostra autonomia con la riscrittura dello Statuto speciale, riconfermandone e attualizzandone la specialità, che tenga conto di tutti questi fattori e delle sfide che la modernità pone ai sardi.
Non dobbiamo permettere, all'interno della riforma federale dello Stato, che la nostra nuova autonomia sia frutto di elaborazioni esterne e di una concessione o imposizione da parte di poteri centrali, siano essi statali o comunitari.
Se il federalismo deve essere foedus, ovvero libero patto fra pari, occorre elaborare la proposta sarda, basata sulle nostra storia e sulle nostre esigenze nel solco della nostra tradizione autonomistica.
A queste sfide crediamo d'aver risposto con un'attenzione particolare nel nostro programma, che ha un valore strategico anche se orientato a risolvere nel contempo problemi urgenti e contingenti dell'oggi e del domani prossimo che interessano la vita di ogni giorno della nazione sarda, dei singoli cittadini e delle loro famiglie. Il nostro programma prevede un nuovo percorso basato su tre momenti, ordinati in senso logico e temporale, che segnino una netta discontinuità con la trascorsa esperienza di governo: il momento identitario, il nuovo piano di sviluppo,
la riscrittura delle regole con la riforma dello Statuto speciale e la riorganizzazione della Regione. Questi momenti sono stati previsti come contemporanei, ma il momento identitario, come riflessione sul comune sentire del popolo sardo e come riflessione su sé stessi, costituisce la fonte dalla quale far derivare l'economico e l'istituzionale.
Il tema dell'identità è vasto e complesso, ancora di più se riferito a una comunità etnica e nazionale caratteristica come quella sarda. Per emergere ha dovuto affrontare l'azione, perdente in definitiva, di una componente culturale presente nella nostra società, contraria all'autonomia sino a teorizzare l'adeguamento del nostro Statuto agli statuti ordinari e la fine della specialità.
Ha prevalso e deve prevalere invece il "movimento della "identità", trasversale e suscitato dalla critica all'autonomia realizzata e che individuava nell'assenza dell'analisi identitaria e della conseguente non costituzionalizzazione di elementi quali la lingua sarda e l'eredità storica e culturale peculiare del popolo sardo, il fattore di depotenziamento dello Statuto e il prevalere di un impianto economicista che favoriva la dipendenza e il sottosviluppo della Sardegna.
A distanza di tanti anni e con una realtà politica ed economica a livello europeo, mediterraneo e mondiale modificata in senso globalizzante e caratterizzata dall'emergere delle identità locali e dalla loro valorizzazione, questi temi sono diventati in gran parte comuni e diffusi in maniera trasversale nella società sarda.
Oggi la lingua sarda è riconosciuta e valorizzata da una legge dello Stato in applicazione della Costituzione e i sardi sono, anche se in maniera ulteriormente perfettibile, parte delle minoranze linguistiche italiane.
Il sardo, seconda lingua della Repubblica come numero di parlanti, dopo quella italiana, assieme al tabarchino, gallurese, sassarese e catalano di Alghero, è anche tutelata da una legge regionale, anch'essa ulteriormente migliorabile.
Questo fatto politico innovativo rispetto alla depotenziata realizzazione statutaria vigente originata dal progetto dei padri dell'autonomia, che comunque non prevedevano la componente identitaria, ha conseguentemente reso comune e diffusa la identificazione del popolo sardo con la nazione sarda.
In questo senso abbiamo programmaticamente privilegiato i temi della lingua, cultura ed eredità culturale dei sardi come "fattori di distintività" in quanto conferiscono un'importanza decisiva alle tematiche per il radicamento del senso d'appartenenza.
Esso si sviluppa nell'obiettivo generale della tutela, valorizzazione e sviluppo, accessibilità e messa in rete del patrimonio linguistico, artistico e storico e delle attività culturali e letterarie dei sardi e base per ogni progetto di progresso economico e istituzionale. Di conseguenza, e come asse innovativo e portante del nostro progetto di governo, abbiamo chiaramente affermato con forza e convinzione che la Sardegna è una "nazione" con proprio territorio, propria storia, identità e aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, e assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell'Isola dal prenuragico a oggi. Questa decisa e non ambigua affermazione programmatica di riferimento è stata determinante per realizzare un'ampia, pluralista, nazionalitaria e vincente coalizione che ha ricevuto il consenso della maggioranza dei sardi e che ora governa la Sardegna.
Oggi festeggiamo "Sa Die de sa Sardinia", la festa nazionale dei sardi, che simboleggia lo spirito d'unità del nostro popolo, il suo insopprimibile desiderio di libertà e autodeterminazione. Questa festa è anche occasione per una riflessione sulla incompiuta risposta delle sue istituzioni alle richieste, alle aspirazioni, alle necessità dei sardi. Questo giorno deve ricordarci i valori della solidarietà, del sentirsi componenti di una realtà e di un corpo sociale comune e di come su determinate questioni non bisogna dividersi per egoistiche e miopi scelte di parte.
Oggi non è solo il giorno della memoria dei nostri valori storici, politici e culturali, ma un giorno di lavoro da considerare come offerto sopratutto ai nostri giovani perché con la conoscenza storica rafforzino la loro identità di sardi e la speranza in un futuro migliore. Oggi è un giorno di ottimismo volto al passato, ma proiettato verso il futuro, composto di analisi ed elaborazioni, ma anche di festa, di gioia, di incontro sorridente della gente nella nostra amata Sardegna. Oggi, nel nostro parlamento, in "Sa Die de sa Sardinia", rinnoviamo durante la nostra festa nazionale un patto con i sardi, dai contenuti trasmessici dai nostri padri e dalle nostre madri come dai loro antenati nei secoli, il cui contenuto fondamentale consiste nell'impegno a non rinunciare mai ai nostri diritti naturali, storici, culturali, economici ed istituzionali di nazione e a lottare sempre per la nostra libertà e l'autogoverno.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ora sospendiamo la seduta formale per procedere, attraverso la lettura di brani tratti da "Storia della Sardegna" di Raimondo Carta Raspi, alla rievocazione degli avvenimenti del 28 aprile 1794. I brani verranno letti da Mauro Ferrari e Ilenia Cugis, allievi della Scuola di recitazione Santa Lucia, diretta da Enzo Parodo.
PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta formale del Consiglio.
Ha domandato di parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Vista la presenza del Presidente della Regione e considerato che stiamo parlando di autonomia, di autodeterminazione, eccetera, vorrei sapere se la Giunta regionale ha intenzione di rispondere, e in quali tempi, alla nostra richiesta di convocazione urgente del Consiglio, ai sensi dell'articolo 54 del Regolamento, per informare l'Assemblea dei sardi sullo scippo del G8 a La Maddalena.
DIANA (P.d.L.). Ma non dobbiamo cominciare?
SALIS (I.d.V.). Sì, dobbiamo cominciare e dovremmo anche cercare di finire, onorevole Diana, perché non credo che sia un argomento su cui il Consiglio regionale…
PRESIDENTE. Onorevole Salis, si rivolga alla Presidenza e non all'onorevole Diana.
SALIS (I.d.V.). Lei ha ragione, mi scusi. Noi chiediamo, con la sensibilità dovuta a questo argomento, se la Giunta regionale e il suo Presidente abbiano intenzione di avvalersi dell'articolo 120 o 121 del Regolamento consiliare per poter discutere questo tema che ha tutte le caratteristiche dell'urgenza. Grazie, signora Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Salis, come lei sa, è stata convocata per la fine della mattinata la Conferenza dei Capigruppo, proprio per esaminare la richiesta di convocazione urgente presentata dalle forze di minoranza. Lei, in questo momento, chiede l'inserimento di un nuovo punto all'ordine del giorno, per cui ci vorrebbe una votazione del Consiglio con la maggioranza dei quattro quinti dei votanti.
Io penso che, così come è stato concordato, si possa discutere questo punto in Conferenza Capigruppo e valutare insieme l'opportunità del momento in cui affrontare questo argomento altrimenti, a norma dell'articolo 55, dovremmo aprire una discussione con un intervento per Gruppo della durata di cinque minuti, per poi terminare con una votazione. Per cui io ritengo che sia più opportuno discuterne in Conferenza dei Capigruppo, se siete d'accordo.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Presidente, accedo alla sua richiesta e porrò il problema in sede di Conferenza dei Capigruppo, alla conclusione di questa discussione.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Salis.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del documento numero 2/A e dei disegni di legge numero 2/A e 3/A. Dichiaro aperta la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il consigliere Maninchedda, relatore di maggioranza.
MANINCHEDDA (P.S.d'Az), relatore di maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci sono diversi modi di affrontare l'esame di una legge finanziaria. Quello che mi accingo a proporre tiene conto del rilevante fatto politico avvenuto in Commissione con il voto di astensione dell'opposizione. Non sta certo a me illustrarne le ragioni, ma credo risieda in questo fatto un'opportunità da non trascurare, e cioè quella di dedicarsi alla natura dei problemi e delle soluzioni piuttosto che alle logiche della propaganda di schieramento.
Le elezioni e l'esercizio provvisorio, come loro sanno, hanno invertito il rapporto tra il primo bilancio della nuova amministrazione e il Piano regionale di sviluppo, che invece avrebbe dovuto precederlo. Questa innaturale inversione, unitamente alla grave emergenza sociale che viviamo, spiega la natura semplificata della manovra, che rinvia ad altri provvedimenti organici temi e problemi come le politiche sulla famiglia, sulla natalità, sulla scuola, sulla ricerca e l'impresa, come pure sul personale della Regione e sui tanti rapporti anomali di lavoro che la Regione sta producendo.
Se accettiamo di rinviare la discussione su questi temi a provvedimenti specifici, probabilmente riusciamo a focalizzare ciò che è di interesse comune in questo momento. In primo luogo il problema dell'equilibrio tra entrate e uscite, che è la premessa per qualsiasi politica di sviluppo. Qualcuno può essere tentato di derubricare questo tema al rango dei tecnicismi finanziari e contabili, cioè di sottrarlo a un interesse autenticamente politico. Invece è bene che il Consiglio regionale della Sardegna assegni a questo tema una rilevanza strategica. La legge sul federalismo fiscale, è bene che noi lo ricordiamo, ridisegnerà il modo in cui nella Repubblica italiana saranno vissuti e praticati i diritti e le opportunità; in una parola ridisegnerà come si sarà cittadini di questo Stato. Se si partecipa a questo processo, che si concretizzerà soprattutto nei decreti attuativi, con un perimetro concettuale confuso sul rapporto tra fiscalità generale ed entrate della Regione, si autocertificherà la propria consapevole collocazione nella periferia dei diritti e delle opportunità dell'Europa.
Il DAPEF, con un emendamento approvato in Commissione, afferma una cosa molto importante: è intenzione della Regione Sardegna difendere l'ammontare delle entrate previste per il 2010 con la riforma dell'articolo 8 dello Statuto, approvato con la finanziaria italiana del 2007. Si tratta di 1 miliardo e 600 milioni di euro annui, derivanti da compartecipazioni rilevanti all'IRPEF, all'IVA e ad altri tributi. Viceversa, e su questo richiamo l'attenzione dei colleghi, il Governo regionale e la maggioranza intendono sottoporre a valutazione, alla luce appunto dell'imminente federalismo fiscale, il quadro degli oneri derivanti alla Regione da quell'accordo e il quadro dell'accesso dei sardi ai fondi perequativi che dovrebbero garantire in tutte le regioni lo stesso standard qualitativo dei servizi. Infatti, più il quadro della finanza locale viene messo a fuoco dagli studi che stanno accompagnando il varo della legge sul federalismo fiscale, più appare chiaro che occorre ragionare in termini più ampi della sola compartecipazione ai tributi. Si pensi solo che la spesa per le amministrazioni locali in Italia si aggirava, nel 2007, intorno ai 230 miliardi di euro. Di questi, 100 miliardi circa sono rappresentati dalla sola spesa sanitaria.
Ebbene, l'enfasi con cui si sta parlando in questi mesi dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni nasconde un dato su cui noi dobbiamo riflettere, e cioè che l'Italia vuole ridurre la spesa pubblica accrescendone l'efficacia e l'efficienza, ma agendo sostanzialmente non sui due terzi della spesa gestiti centralmente, ma solo sul terzo decentrato, cioè sulla spesa degli enti locali. Se a questo si aggiunge che dagli anni Novanta lo stato ha cominciato a trasferire funzioni senza trasferire risorse e sostanzialmente imponendo di sostenere il sistema della finanza locale con tributi locali, cioè con tasse, si comprende facilmente con quale prudenza debba essere rinegoziato il patto fiscale con lo Stato. C'è un rischio serissimo, e cioè che la qualità e l'entità dei bilanci degli enti locali si realizzino in ragione di un forte aumento della pressione fiscale sui cittadini sardi. I sardi più di tutti gli altri sanno, dopo la tragica crisi economica seguita alla fusione perfetta del 1848, quale legame si instauri nella coscienza dei cittadini tra libertà e imposizione fiscale. Insomma, vorrei dire ai colleghi che sulle tasse e sulle entrate bisogna riaprire un tavolo di contrattazione profondamente innovativo, nel quale personalmente spero che l'introduzione nel disegno di legge sul federalismo fiscale dell'insularità come fattore di svantaggio consenta di poter prevedere, tra le altre cose, la defiscalizzazione totale dell'attività d'impresa in Sardegna. Ma occorrerà anche aver chiaro che saranno sempre più i sardi a dover sostenere i costi delle loro amministrazioni. Si deve scegliere e trovare un equilibrio tra l'efficienza dei servizi e l'urgenza di politiche di detassazione per favorire la capitalizzazione delle imprese.
Ovviamente, occorrerà affacciarsi a questi appuntamenti importanti con i conti in ordine. Il disavanzo al 31 dicembre 2008 è stimato in 1.413 milioni di euro e viene coperto riautorizzando i mutui per investimenti già autorizzati nel precedente esercizio. Inoltre, sempre per investimenti, la manovra prevede di contrarre un mutuo per ulteriori 500 milioni, in ragione della sentenza della Corte costituzionale sul rendiconto 2006, che ha imposto di portare a disavanzo gli accertamenti di entrate future iscritte a bilancio dal precedente Esecutivo. Se a ciò si aggiunge che anche gli accertamenti di entrata iscritti nei bilanci 2007 e 2008 per 500 milioni all'anno dovranno essere iscritti a disavanzo, in assenza di iniziative, egregi colleghi, che invece ci si augura di mettere in campo, potrebbe accadere che alla fine dell'esercizio 2009 il disavanzo si attesti su una cifra che sfiorerà i 3 miliardi di euro. Questi volumi devono essere valutati, però, contestualmente all'ammontare dei residui che, al 31 dicembre sono attestati sopra i 7 miliardi di euro. Senza un esame contestuale della natura della spesa reale, delle sue difficoltà e della capacità di indebitamento della Regione si rischia di commettere un grave errore: valutare le politiche di spesa sui bilanci di competenza e non sui consuntivi.
Anticipo una parte delle conclusioni: in Commissione è stato approvato all'unanimità un emendamento che promuove una seria indagine conoscitiva sulla natura di questa montagna di residui. E' evidente che tale indagine deve concludersi prima di settembre, cioè prima della presentazione della finanziaria e del bilancio 2010. Il fatto che nell'esercizio 2008 ci siano state variazioni di bilancio dai residui alla competenza per un ammontare complessivo di 500 milioni di euro, consente di essere fiduciosi nel ritenere che quei 7 miliardi non siano tutti realmente impegnati e che, quindi, se ne possa destinare una parte a copertura del disavanzo, in modo da iniziare il 2010 con una situazione finanziaria meno esposta che consenta di destinare più risorse ad aspetti strutturali più incidenti sullo sviluppo.
La domanda che tutti ci facciamo è chiara: che cosa frena la spesa? Io penso due fattori, che sottopongo alla vostra attenzione, uno esterno e l'altro interno. Il primo è il patto di stabilità. Il patto di stabilità è un abuso di Stato, bisogna dirlo, di uno Stato che da una parte teorizza di affermare che ogni Regione deve amministrare più o meno la ricchezza che produce e dall'altra pretende di ordinare a ciascuna Regione quanto spendere della sua ricchezza e di computare due volte - questo pretende oggi lo Stato -, per la Regione e per gli enti locali, un solo trasferimento. La Giunta ha comunicato di voler rinegoziare entro il 31 ottobre, come prevede la legge, il patto di stabilità. Non è un appuntamento amministrativo, ma è un appuntamento politico e il Consiglio regionale farebbe bene a dedicare a questo tema una propria seduta che fornisca indirizzi per il nuovo negoziato. Il fattore interno che frena la spesa è dato dai ritmi di approvazione e dalla qualità delle poste finanziarie iscritte nel bilancio di competenza. Deve essere chiaro a tutti noi che non approvare la finanziaria e il bilancio nell'anno precedente l'esercizio di riferimento, come peraltro prevede la legge, produce residui. L'esercizio provvisorio produce residui, perché riduce la finestra temporale della spesa e favorisce l'adozione di impegni di spesa fittizi dietro i quali sta solo la preoccupazione di non mandare in economia le risorse stanziate.
L'altra correzione consiste nell'usare correttamente il bilancio pluriennale e il bilancio di competenza: iscrivere interamente nell'anno le risorse di un programma o di una spesa inevitabilmente pluriennale, noi dobbiamo sapere produce residui. Non tener conto del patto di stabilità, che impone ogni anno una riduzione della spesa, produce residui. Insomma, esiste un problema di tempestività della programmazione finanziaria. La si può raggiungere in due modi: o, come già accade in Inghilterra, mantenendo la natura generalista della legge finanziaria, come legge omnibus dell'anno, ma riducendo la possibilità del Parlamento di emendarla in modo da approvarla o respingerla in blocco, ma soprattutto in fretta (strada questa che mi vede nettamente contrario), oppure facendo in modo che, come stiamo facendo quest'anno, la legge finanziaria sia sempre una legge essenziale, asciutta, di cornice, che favorisce e rinvia per i processi di riforma, alle leggi di settore. Sto affermando che, probabilmente, l'emergenza di quest'anno può diventare, con alcuni correttivi, un modello da rispettare anche negli anni successivi.
Mi avvio a concludere con un cenno alle misure per l'emergenza sociale e per il sistema produttivo. Nel primo caso si prevede di utilizzare prevalentemente gli enti locali e i cantieri comunali per immettere risorse di sostegno ai redditi delle famiglie povere e per produrre quel lavoro di pubblico interesse che consente agli interventi straordinari per il lavoro di non lasciare in eredità solo un incremento, seppur minimo, dei consumi, ma anche un vantaggio stabile ai luoghi delle comunità e all'organizzazione delle comunità. Di particolare rilievo, in questo senso, sebbene di poco rilievo economico, la posta di bilancio per incrementare il patrimonio boschivo in prossimità di aree che ospitino impianti di smaltimento rifiuti o di produzione di energia con combustione da carburanti fossili. Basta leggere, colleghi, i dati epidemiologici provenienti da quelle aree per comprendere la portata politica di questa scelta. Si tratta, tra le altre cose, e spero lo potremo fare tutti insieme, di inviare un messaggio di civiltà alla più grande raffineria d'Europa che sta in Sardegna; la stessa raffineria le cui alte performance di redditività e produttività hanno trascinato la Sardegna fuori dall'Obiettivo 1; la stessa raffineria che fa utili con i celebri certificati verdi alimentati da una tassa occulta, nascosta nella bolletta dei contribuenti. Ecco, il più delle volte le istituzioni impongono e sanzionano. Con i cantieri verdi di questa finanziaria la Regione dà un esempio di indennizzo ambientale che la più grande raffineria d'Europa farebbe benissimo a seguire.
C'è poi il capitolo della cassa integrazione, delle forme di precariato regionale in scadenza e della realizzazione dell'articolo 6 della legge finanziaria del 2008, come pure della formazione professionale. La scelta è non perdere un solo posto di lavoro e dotarsi di un piano della formazione professionale efficiente e che sia in grado di riqualificare anche le persone di mezza età espulse dal sistema produttivo. Sui singoli provvedimenti immagino che non mancheranno, in sede di discussione generale, distinzioni e critiche. Ma tutti abbiamo un grande, forse un grandissimo problema davanti, di cui dobbiamo essere consapevoli. Già nelle passate legislature la Regione ha varato provvedimenti integrativi degli ammortizzatori sociali nazionali, ma la direzione verso l'addebito in sede locale delle crisi generali è chiarissimo in tutto il mondo. Il welfare rischia di finire come la questione della bonifica dei siti industriali. Qui è lo Stato che ha inquinato, più di ogni altro, e oggi è lo Stato che non riesce a spalmare sulla fiscalità generale la bonifica, così come non riesce a governare equamente l'incidenza, o meglio la diversa incidenza, al Nord e al Sud, della crisi del manifatturiero e dell'industria. E' un problema che può renderci ipermetropi, capaci di vedere da vicino il bisogno immediato dei nostri concittadini senza lavoro, e ciechi da lontano nel prefigurare il nostro sviluppo e le risorse necessarie per costruirlo. Noi dobbiamo su questo tema aprire un confronto serio e preciso con i sindacati. Ma più di ogni altra cosa dobbiamo decidere di investire seriamente su quel sistema delle piccole imprese che in Sardegna rappresentano l'unica struttura stabile e durevole del nostro sistema economico. Questa finanziaria fa solo due operazioni in questa direzione: la prima è allentare la stretta creditizia che si sta abbattendo sulle imprese attraverso il rafforzamento del sistema di garanzie offerte dai consorzi fidi e dalla SFIRS, finalizzando gli stanziamenti secondo un sistema che verrà precisato con emendamenti che verranno presentati in Aula. Tutto si potrà dire drammaticamente inevitabile e tutto altrettanto insufficiente. Ma tutto, anche, positivamente rinviato, in un clima di dialogo quale quello che si è potuto sperimentare e si sta sperimentando, al Piano regionale di sviluppo per verificare se siamo capaci di coordinare le strategie per l'energia, per il mercato interno, per la scuola, per la formazione, per l'innovazione, orientando tutto non a ciò che dovremmo essere in astratto, ma partendo da ciò che siamo realmente. Dovrà animarci uno spirito combattivo e di resistenza, che è lo stesso che ha animato le tante minoranze della storia che con caparbietà hanno imparato a sapere più degli altri, perché questo è il nostro destino, a saper fare più e meglio degli altri, altrimenti non sopravviveremo, pur di durare nella storia nella condizione di libertà e di benessere che si addice a ogni uomo.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Porcu, relatore di minoranza.
PORCU (P.D.), relatore di minoranza. Signora Presidente, Assessori, Presidente della Regione e colleghi, il relatore di maggioranza, l'onorevole Maninchedda, ha fatto riferimento alla particolare posizione assunta dalla minoranza nel corso del dibattito in Commissione. La minoranza ha scelto di astenersi durante quel dibattito, e si è astenuta non perché non avesse proposte, suggerimenti, critiche da avanzare alla manovra presentata dalla Giunta e dalla maggioranza, ma perché ha ritenuto di inquadrare la propria posizione all'interno dell'emergenza, della crisi economica e sociale che vive l'Occidente, che vive l'Europa, che vive l'Italia e che vive, quindi, anche la nostra regione. Noi chiediamo che, come qualsiasi comunità, qualsiasi famiglia, in questi tempi di emergenza vada rinsaldato un patto che deve coinvolgere tutti i protagonisti della politica, tutte le persone che hanno una piena assunzione di responsabilità, e in questo senso noi, con il nostro voto di astensione, abbiamo voluto mettere alla prova quello che è stato anche uno dei temi della relazione del Presidente della Regione, la disponibilità della maggioranza a condividere alcuni emendamenti, alcune proposte che la minoranza ha fatto in Commissione e riformulerà nel corso del dibattito in Aula.
Voglio subito dire che per i Gruppi di minoranza è indispensabile che la manovra finanziaria 2009 rafforzi le misure capaci di dare sollievo alle famiglie, ai disoccupati, alle imprese, a chi ha perso il lavoro e si trova a non avere più nulla, perché magari aveva uno di quei contratti precari, a non avere uno di straccio di ammortizzatore sociale, per affrontare nel modo migliore una crisi finanziaria ed economica che la Commissione europea ha definito la più grave del dopoguerra. Credo che sia utile, per inquadrare il dibattito che avverrà in quest'Aula nei prossimi giorni, richiamare le stime dell'OCSE, che ci ricorda che la recessione nella zona dell'euro, quindi non lontano da casa nostra, ma nella zona dell'euro, comprese l'Italia e la Sardegna, toccherà il meno 4,1 per cento della ricchezza prodotta misurata secondo il PIL, e la Commissione europea ha stimato in 6 milioni di unità i posti di lavoro che verranno persi nel corso del 2009. In Italia, dall'inizio dell'anno, circa 400 mila persone hanno perso il lavoro e richiesto l'indennità di disoccupazione; questo è un dato a cui sfuggono tutte quelle persone che all'indennità di disoccupazione non hanno diritto e che quindi non avevano, per esempio, un'iscrizione all'INPS sufficientemente lunga.
La recessione colpisce anche la Sardegna. Certamente per il livello di investimenti pubblici in qualche modo la Sardegna ha un'inerzia e l'impatto della crisi tende a manifestarsi più lentamente, ciò nondimeno 22 mila persone, secondo l'ISTAT, hanno perso il lavoro nel corso dell'ultimo trimestre del 2008 e certamente molti altri lo hanno perso dall'inizio dell'anno.
Come si curano le recessioni? Le recessioni si curano con forti investimenti pubblici, con misure emergenziali. Da questo punto di vista tutte le economie occidentali hanno ripreso la ricetta di Keynes di investimenti pubblici. Negli Stati Uniti il presidente Obama ha preparato un programma di investimenti da 800 miliardi di dollari, circa il 6 per cento del PIL americano, e in Europa l'insieme dei 27 Paesi programma una spesa pubblica pari al 3,3 per cento del PIL. Ecco, da questo punto di vista credo che questa manovra finanziaria potesse fare di più, anche all'interno dei vincoli del patto di stabilità che ci ha ricordato il Presidente della terza Commissione, l'onorevole Maninchedda, riprogrammando le spese e dedicandone una quota maggiore alla situazione di emergenza.
E' vero che in questa cornice l'Italia, che è afflitta dal debito pubblico più alto in Europa, il 106 per cento del PIL, non ha programmato interventi sostanziosi come altri Paesi europei, ma è anche vero che ci sono Regioni in Italia virtuose, con i conti pubblici a posto, che hanno preparato programmi molto consistenti, fino al 5 per cento del PIL, come la Provincia autonoma di Trento, circa 800 milioni di euro per far fronte alle emergenze, al lavoro, al sostegno al reddito, a programmi emergenziali di sostegno alla domanda e di sostegno alle imprese.
Ecco, credo che un primo dato debba essere ricordato: stride l'ammontare complessivo delle misure del pacchetto anticrisi proposto dalla Giunta rispetto a questo quadro, a questo scenario. Complessivamente la Giunta regionale prevede misure straordinarie (anche tenendo conto degli incrementi e degli emendamenti che abbiamo condiviso in Commissione per aumentare i trasferimenti, per esempio, ai comuni per i cantieri lavoro) per 80 milioni di euro, appena lo 0,3 per cento del PIL regionale. Ci sono Regioni che investono il 5 per cento, la Regione sarda investe lo 0,3 per cento! E per di più, come ha ricordato la Commissione competente per materia del Consiglio regionale, non sono stati forniti in alcun modo dati previsionali sull'andamento dell'occupazione e sull'impatto, sull'utilizzo e sulla ricaduta di queste risorse per la nostra economia. Quindi questo credo che sia un primo tema di riflessione.
Certamente ci rendiamo conto della particolare situazione in cui è maturata questa legge finanziaria, che parte da un quadro, da un impianto che è quello della finanziaria presentata dalla Giunta precedente, alla quale sono state apportate alcune modifiche. Noi crediamo, comunque, che pur riconoscendo che sono state mantenute misure importanti, per esempio per l'edilizia agevolata, per l'estensione del tempo scolastico, a sostegno della formazione degli insegnanti, per le non autosufficienze, per l'Università e per gli studenti meritevoli, si potesse e si possa ancora, con il contributo del dibattito che si sta aprendo in Aula, fare di più e meglio.
Certamente la Sardegna affronta questo quadro di emergenza con il vantaggio di aver rimesso i conti in ordine. Lo dice, per esempio, la relazione sullo stato e sui costi dell'organizzazione regionale che ricorda un dato importante, come questa Regione abbia ridimensionato l'amministrazione centrale: i dipendenti sono passati da 3.055 del 2005 a 2.600 di fine 2007, e sono scesi ancora, così come le posizioni dirigenziali all'interno dell'amministrazione centrale sono passate da 250 a 180, quindi è stato fatto uno sforzo anche di ridimensionamento dei costi dell'amministrazione centrale.
E, poi, la vertenza entrate. Il presidente Maninchedda ricordava questo successo importante, importantissimo, che ha visto tutti protagonisti e ho avuto il piacere di ascoltare il richiamo all'impegno a difendere quella grande conquista, che non è la conquista di una parte politica, ma è la conquista di tutti. Certamente quell'accordo può portare benefici soltanto all'interno di una rivisitazione del patto di stabilità. Signor Presidente della Regione, il patto di stabilità è quel vincolo che ci impone il Governo nazionale e che non ci mette in condizioni di utilizzare pienamente il nuovo accordo sulle entrate. Sono trasferimenti che entreranno a regime dall'anno prossimo: 1.600 milioni di euro che, se viene rinegoziato il patto di stabilità, potranno essere messi pienamente a servizio delle politiche di sviluppo. E qui mi consenta di fare una critica: nel documento di programmazione allegato invece che richiamare quella grande conquista, a cui bisogna soltanto togliere il coperchio per consentire che quei trasferimenti, che avverranno materialmente a partire dal prossimo anno, possano essere spesi, la Giunta e la maggioranza richiamano soltanto e unicamente il nuovo quadro federale, che presenta esattamente tutti i rischi che ricordava il presidente MANINCHEDDA (un quadro federale che potrebbe avere anche un segno negativo per la nostra Regione) e il riconoscimento formale delle diseconomie da insularità per poter mettere in campo un programma vasto di investimenti infrastrutturali materiali e immateriali.
Noi suggeriamo di non appenderci a un albero a cui è stato segato un ramo. Noi proponiamo di partire dalle conquiste che abbiamo già fatto. Noi proponiamo di partire dalla rivendicazione di quella grande conquista delle entrate, dalla rinegoziazione del patto di stabilità, e non al 31 ottobre per via ordinaria, ma attraverso una norma in via definitiva, una norma di attuazione dello Statuto che riconosca che è cambiato sostanzialmente il quadro delle entrate della nostra Regione. In quell'accordo, Presidente e maggioranza, ci sono tutte le risorse per fare le cose che avete richiamato nelle vostre dichiarazioni in Aula, cioè investire sulla conoscenza, sulle infrastrutture, sulle imprese, sui sistemi territoriali, sul sociale, investire per dare sollievo a chi versa in condizioni di povertà. Non abbiamo bisogno di inventarci altre cornici, è sufficiente utilizzare bene e meglio quelle che abbiamo già. Noi su questo punto vi chiederemo un impegno in Aula, un impegno formale, e anche da questo impegno, dalla capacità di rinegoziare il patto di stabilità e rivendicare pienamente il quadro nuovo delle entrate, che non ha sorprese, presidente Maninchedda, non ha dietro oneri imprevisti. Possiamo aumentare gli imprevisti e metterci dentro i 100 o 130 milioni in più della bolletta sanitaria, ma rimangono 1.600 milioni di euro di maggiori entrate al netto di tutte le competenze trasferite.
Voglio toccare un altro argomento prima di avviarmi alla conclusione della mia relazione. La maggioranza aveva due strade rispettoo a questo bilancio: la prima era quella di confermare l'anticipazione delle entrate secondo quello che aveva fatto la Giunta Soru. Un'anticipazione delle entrate che aveva anche un valore rivendicativo verso lo Stato. Sostanzialmente noi dicevamo allo Stato: "Noi rivendichiamo quelle entrate e reclamiamo il diritto di utilizzarle da subito", così com'era nella sostanza dell'accordo che abbiamo siglato con lo Stato. La seconda strada per la maggioranza era quella di ridimensionare il bilancio; ha parlato di bilancio orientato allo stanziamento e non alla spesa. Poteva ridimensionare il bilancio allineandolo, magari in misura solo leggermente superiore, a quella che è la spesa disponibile per la nostra Regione, che è di circa 7 miliardi e 600 milioni. Se ci mettiamo il bilancio attuale di 8 miliardi e 300 milioni più il disavanzo andiamo a toccare una cifra pari a quasi 10 miliardi. Noi sappiamo già che questa manovra genererà residui così com'è stata impostata. Sappiamo già che questa manovra, così come è stata scritta, qualsiasi cosa noi potremo fare nei prossimi mesi, genererà oltre un miliardo di nuovi residui. Noi non abbiamo scelto né di ridimensionare il bilancio né di mantenere quel quadro di rivendicazione con lo Stato; abbiamo scelto di accendere 1 miliardo e 213 milioni di nuovi muti, quindi né di riportare il bilancio all'effettività capacità della spesa né di mantenere quel bilancio alto, in una forma rivendicativa con lo Stato. Devo dire che questa scelta ci preoccupa. Noi sappiamo che oggi la Ragioneria regionale sta verificando se la Regione abbia sforato il patto di stabilità. Mi scuso per un'imprecisione contenuta nella mia relazione quando dico che il patto di stabilità del 2008 è stato sforato; credo che ci sia un'analisi in corso e noi tutti ci auguriamo che non venga sforato. Ma l'Assessore sa bene che in questa situazione quei mutui attualizzati non verranno mai accesi, quindi sono mutui che gonfiano impropriamente gli stanziamenti e se non vengono ricondotti all'interno di una profonda rinegoziazione del patto di stabilità inevitabilmente genereranno nuovi residui.
Voglio richiamare un altro argomento, per poi chiudere. Il Presidente della Commissione bilancio sottolineava - e si augurava - come la manovra finanziaria possa e debba essere maggiormente asciutta. Ebbene, ci sono aspetti, anche in questa manovra, che andrebbero meglio articolati e che anche la Commissione richiama. Per esempio, proponete un piano straordinario per la formazione professionale che sembra saltare a piè pari il dibattito in Commissione sul varo di una legge sull'istruzione, sulla conoscenza e sulla formazione, che va assolutamente avviato in Commissione. Noi certamente siamo responsabili, per la parte che ci compete, per il ruolo che abbiamo svolto negli scorsi anni, per non aver approvato questa legge, ma riteniamo che voi dovreste cogliere questa sfida e piuttosto che proporre un piano i cui contorni sono tutti da definire, e che certamente stona in questo quadro di urgenza e di emergenza, dovreste proporre il riavvio rapido e immediato del confronto sulla legge sull'istruzione. Proponete un piano che, tra l'altro, prevede risorse che sono già stanziate dai precedenti capitoli di bilancio.
Avete fatto la scelta di spostare il superamento delle forme di precariato nella pubblica amministrazione a un collegato alla finanziaria. E noi non siamo d'accordo su questa scelta, crediamo che alcuni interventi vadano affrontati subito, anche perché non dobbiamo ricominciare sempre da zero. La lotta al precariato nella pubblica amministrazione è un percorso che abbiamo affrontato anche nelle finanziarie precedenti, c'è un quadro normativo che va semplicemente attuato, e noi riteniamo che proprio perché siamo in un quadro di urgenza, in un quadro emergenziale, quello che si può fare anche per il precariato nella pubblica amministrazione vada affrontato subito.
Sul fondo per gli enti locali riappare la tendenza contraddittoria a ingessare quel fondo. Quel fondo voleva anticipare uno dei temi del federalismo, cioè voleva anticipare il passaggio da una politica dei trasferimenti al diritto degli enti locali ad avere una quota in prima istanza delle compartecipazioni. Ebbene, noi inseriamo in questa finanziaria degli irrigidimenti del fondo, e li inseriamo attraverso la tabella B, dove vincoliamo una quota pari a 110 milioni di euro da destinare agli investimenti, dove prevediamo che il 3 per cento sia destinato alle gestioni associate dei comuni e iniziamo un percorso al contrario sul federalismo fiscale cancellando la tassa di soggiorno. Noi riteniamo tra tutte le misure con una connotazione ideologica, non voglio abusare di questo termine, ma certamente lo è stata la cancellazione - in un quadro di nuove povertà che avanzano - della tassa sugli aerei privati e le imbarcazioni da diporto, che stride con le nuove povertà che emergono. E' un po' una tassa che fa diventare questa finanziaria una "Robin Hood" alla rovescia, che premia i ricchi e toglie ai poveri. Certamente, su un piano molto più pratico e pragmatico, ma non voglio che il mio discorso sfoci in una battuta che potrebbe essere troppo facile, la cancellazione della tassa di soggiorno è incomprensibile, perché, così com'era stata pensata e scritta, non è una tassa regionale, ma è un'imposta locale a discrezione dei comuni. Ed è un'imposta che se fosse applicata soltanto in dieci comuni potrebbe generare ritorni per circa 7-8 milioni di euro, nuovo lavoro per le cooperative locali e maggiore capacità di attrazione turistica, attraverso quei servizi al turismo per i quali quell'imposta è nata. Tra l'altro è una tassa su cui anche la Corte costituzionale, quando ha visto le nuove imposte della Regione, si è pronunciata a favore considerandola pienamente coerente con lo spirito e la filosofia del nostro Statuto e del nuovo quadro federale, per cui noi auspichiamo che vogliate riconsiderare questo punto.
Per chiudere, credo che manchino nella vostra finanziaria provvedimenti concreti a favore delle imprese. L'impresa non è altro rispetto alla crisi. Il sostegno all'impresa fa parte dell'economia e occorre sostenere l'impresa oggi. L'Assessore rimandava le misure per l'impresa al Piano regionale di sviluppo, ma la crisi c'è oggi, è oggi che dobbiamo intervenire. E credo che oggi dobbiamo almeno partire dal rifinanziamento delle leggi di settore e magari da una grande opera di investimento pubblico nelle scuole di ogni ordine e grado della Sardegna. Se noi avessimo la capacità di investire nel sistema scolastico risorse, magari in un piano pluriennale, per 150 milioni di euro, potremmo dare respiro alle cooperative locali e magari investire per la messa in sicurezza, per il risparmio energetico e l'autonomia energetica degli istituti scolastici. In questo modo potremmo dare respiro alle cooperative locali, potremmo dare respiro al settore delle costruzioni, in questo modo potremmo sviluppare nuove competenze nel campo del risparmio energetico e delle energie rinnovabili. E faremmo un'operazione che affronta i nodi della crisi, che stimola l'economia, ma faremmo anche un'operazione che è un investimento per il futuro, perché grazie a quella messa in sicurezza delle scuole e a quel risparmio energetico potremmo avere dei ritorni immateriali, perché diamo ai nostri giovani un ambiente di lavoro adeguato all'importanza e alla risorsa che essi rappresentano. E potremmo anche avere risparmi di 2-3 milioni di euro all'anno sull'autonomia energetica di quegli istituti scolastici. Quindi nessuna subalternità o nessuna titubanza della minoranza, che reclama pienamente la volontà di incidere, di criticare, di portare la propria voce.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Porcu.
PORCU (P.D.). Mi faccia finire almeno!
PRESIDENTE. No, onorevole Porcu, conosce le regole. Sono concessi venti minuti, che si sono conclusi anche per lei.
I lavori del Consiglio si concludono qui, riprenderanno alle ore 16 con l'inizio della discussione generale. La Conferenza dei Capigruppo è convocata al sesto piano.
La seduta è tolta alle ore 12 e 08.