Seduta n.1001 del 16/03/2012
ASSEMBLEA STRAORDINARIA
(Stati Generali)
Venerdì 16 marzo 2012
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 9 e 58.
PRESIDENTE. Gentili colleghe e colleghi, signor Presidente della Regione, Assessori, parlamentari, amministratori locali, esponenti delle parti sociali, autorità, la stratificazione a tutti i livelli della profonda depressione economica, finanziaria e sociale che sta attanagliando alla nostra isola è giunta sino al punto che, solo in questa legislatura, con la presente si sono rese necessarie ben tre mobilitazioni straordinarie. Tuttavia questa volta il livello di tensione che si registra negli umori popolari appare, rispetto al passato, notevolmente aumentato, tanto da scuotere impetuosamente le fondamenta dell'Isola e agitare la coscienza collettiva; e non è esagerato parlare di situazioni delicate anche sotto il profilo della gestione dell'ordine pubblico. Tutta la Sardegna è, infatti, colpita da una povertà diffusa, dalla mancanza di risorse economiche, a causa di una crisi che ha indebolito le buste paga, ridotto la capacità di spesa delle famiglie, strangolato le attività produttive ed il terziario. Oggi l'Isola, e non è la prima volta che lo dico, è una vera e propria polveriera, fatta di un mix di rabbia, frustrazioni e sfiducia, pronta a esplodere; e la paventata ulteriore perdita di posti di lavoro nel settore industriale, si pensi ad esempio all'Alcoa, all'Euroallumina e a tutto l'indotto a cascata, è destinata ad alimentare nuove fiammate di tensione sociale pericolose e difficilmente controllabili.
Se volessimo dare una rappresentazione fotografica della Sardegna di oggi, mi verrebbe in mente una foto con un gigantesco cancello sbarrato e dietro il deserto, proprio per simboleggiare l'emorragia delle numerose fabbriche, aziende e imprese che negli ultimi tempi, loro malgrado, sono state costrette a chiudere i battenti. L'espressione immaginifica, per quanto forte, esprime anche il nostro stato d'animo. Troppi i posti di lavoro persi, troppi i danni all'economia, troppi gli inoccupati che abbiamo dovuto contare sino a oggi, e di fronte a questa tragedia non è esagerato dire che sentiamo forte sulle nostre spalle tutto il peso di una manifesta impotenza della politica a fornire risposte adeguate e concrete ai bisogni impellenti dei cittadini, e questa è una circostanza che impone un cambiamento delle logiche che, anche nel più recente passato, hanno accompagnato le liturgie politiche, che si limitavano a denunciare le manchevolezze dello Stato senza prendere coscienza delle proprie e senza indicare degli sbocchi a lungo tunnel della crisi. Pertanto qualsiasi azione di riscatto senza una preventiva, seria e profonda presa di coscienza delle nostre inadeguatezze è destinata al fallimento, se infatti vogliamo essere credibili e autorevoli nel confronto col Governo nazionale per inchiodarlo al rispetto degli accordi e dei propri doveri, dobbiamo prima prendere piena coscienza delle insufficienze dal punto di vista politico e progettuale che hanno caratterizzato il nostro impegno; limiti e insufficienze che non sono attribuibili soltanto alle fin troppo richiamate ridotte potenzialità del nostro Statuto speciale di autonomia, ma anche ad una visione politica miope che ci ha visto ricondurre i nostri piani di rinascita e tutto il sistema economico alla logica perversa delle monoculture produttive. Per cui se oggi siamo qui e anche perché dobbiamo prendere atto di un fallimento, il fallimento dell'intero sistema politico, sociale ed economico, le cui responsabilità ricadono su tutti, nessuno escluso, e non giova, nel gioco dello scaricabarile tra le parti, suddividere le colpe tra chi oggi è maggioranza e ieri era opposizione e chi oggi è opposizione e ieri era maggioranza.
Quello della Sardegna è uno stato di crisi profonda e generalizzata che colpisce tutti i settori e le cui cause partono lontano nel tempo e le cui responsabilità ricadono su tutti, pertanto fare ammenda dei nostri errori è la premessa necessaria e imprescindibile per imboccare la strada giusta verso lo sviluppo e rivendicare a schiena dritta quell'attenzione da parte dello Stato che purtroppo sino ad oggi è mancata; e proprio oggi qui deve nascere, con il contributo di tutti, una nuova coscienza critica, per il vero riscatto alla Sardegna, che impone la ricerca di uno spirito unitario che non sia più solo evocato ma sia effettivo. Se, infatti, crediamo in quello che diciamo quando affermiamo che nei nostri sentimenti il vincolo verso la Sardegna e prioritario e non contrapponibile a nessun vincolo di appartenenza politica, allora oggi è arrivato giusto il momento di dimostrarlo, perché questo ci renderà più forti ad autorevoli per dire al Governo nazionale che non vogliamo scorciatoie o privilegi ma maggiore considerazione. Semplicemente non chiediamo di essere i primi nelle loro attenzioni ma non vogliamo neppure essere secondi a nessuno, non vogliamo niente di più di quello che ci spetta ma neanche niente di meno. Pertanto la chiusura positiva della partita delle entrate fiscali, la rivisitazione dei parametri fissati dal patto di stabilità, il riconoscimento del principio dell'insularità da tradurre in termini di compensazioni fiscali e finanziarie per la Sardegna, la continuità territoriale, la moratoria sui debiti delle aziende esigibili da Equitalia e infine su tutto il riconoscimento dello stato di crisi, si pongono come condizioni irrinunciabili per gettare le basi per la nostra rinascita economica, politica e sociale. Ed è bene aver presente che fino a quando queste partite aperte con lo Stato non verranno chiuse, qualsiasi possibile azione tesa a disegnare un nuovo e vincente modello di sviluppo verrà mortificato dal permanere di questi freni insuperabili che non ci consentono di adottare misure economiche vincenti. Per cui lo Stato deve provvedere, ce lo deve, l'isola si sta piegando su se stessa sfinita dalla morsa di una depressione economica che ogni giorno che passa vede crescere la disoccupazione, la fuga di cervelli, l'emigrazione di braccia lavoro, l'incedere di nuove povertà e la mancanza purtroppo di prospettive per il futuro per moltissimi giovani. E' chiaro che in una situazione delicata e complessa come questa il Consiglio regionale con la mozione numero 139 del 2 agosto scorso ha valutato opportuno elevare una forte e vibrata protesta nei confronti del governo nazionale richiedendo anche l'autorevole intervento del Presidente della Repubblica la cui recente visita in Sardegna ci ha fornito l'opportunità di evidenziare con la giusta enfasi questo stato di crisi. E abbiamo apprezzato molto la sensibilità e la disponibilità dimostrata dal presidente Napolitano verso le problematiche sollevate dai vari esponenti istituzionali della nostra Isola così come non ci è sfuggito anche il senso di benevola comprensione che ha manifestato nei confronti di chi in piazza ha portato il proprio malcontento contestandolo. E questo è il segno evidente che il Presidente è rimasto profondamente colpito dallo stato di prostrazione della nostra Isola. Tuttavia per quanto l'impegno di Napolitano a sensibilizzare con maggior vigore il governo nazionale vada vissuto con legittima soddisfazione, non possiamo cullarci con imprudenti illusioni. Nulla infatti ci verrà mai regalato, è bene saperlo, quello che otterremo sarà solo il risultato della nostra incisività, della nostra capacità di negoziare con il governo nazionale un nuovo patto, un patto che abbia come presupposto imprescindibile e pregiudiziale il pieno rispetto del dettato del novellato articolo 8 dello Statuto speciale di autonomia e della nostra Costituzione. Ed è chiaro che non possiamo presentarci al confronto con il governo a mani vuote, dobbiamo essere noi a tracciare la strada maestra per un nuovo modello di sviluppo indicando i punti strategici irrinunciabili delle nostre strategie economiche e produttive. Quindi dobbiamo imporre un nostro progetto programmatico indicando finalità e obiettivi da perseguire in tempi e modi certi e con l'individuazione anche di un percorso legislativo sull'ipotesi di adozione di misure fiscali compensative per l'insularità. Un regime di fiscalità che consenta alla nostra Isola di attrarre investimenti per nuove intraprese finanziarie al fine di cercare di cooptare quegli imprenditori nazionali e internazionali che oggi rivolgono le proprie attenzioni ai Paesi in via di sviluppo proprio perché sono in grado di garantire minori costi. Dobbiamo avere sempre presente che di per sé stessa la sola richiesta del riconoscimento dello stato di crisi non è sufficiente se non viene accompagnata da un disegno strategico di sviluppo per un nuovo modello economico. Concludendo, di fronte a questo sfascio non possiamo rimanere inermi né tantomeno presentarci al confronto con il governo con il cappello in mano, dobbiamo reagire e reagire con forza, con quella grande dignità che è nel DNA di noi sardi. Per cui ci vuole una grande mobilitazione di popolo, un popolo che unito e coeso si muove per il proprio futuro per pretendere e ottenere quello che gli è dovuto e che purtroppo oggi ci viene negato da uno Stato patrigno. Grazie.
(Applausi)
Ricordo a tutti gli intervenuti che il tempo a disposizione è di dieci minuti, un minuto prima della fine dell'intervento ci sarà una freccia a segnalare la fine.
Ha facoltà di parlare il segretario generale della CGIL, Costa.
COSTA, segretario generale della CGIL. ... Presidente dell'assemblea e al Consiglio regionale tutto per aver organizzato questa assemblea straordinaria aperta alle parti sociali, politiche e istituzionali, un'assemblea che ha come scopo quello di esaminare le tematiche relative alla cosiddetta vertenza Sardegna. L'anno 2011 si è chiuso con una sostanziale stagnazione delle attività industriali ed economiche in Sardegna. Un'indagine della Banca d'Italia del novembre 2011 indica che oltre il 40 per cento delle imprese ha registrato una flessione del fatturato rispetto al 2010, il 20 ha avuto ricavi stabili, solo il 40 ha evidenziato una modestissima espansione.
Le attività di investimento sono rimaste complessivamente molto deboli. Il 2012 è iniziato con una comunicazione dell'ALCOA, una lettera che apre una procedura di licenziamento collettivo per tutto il personale dipendente e annuncia la fermata degli impianti e la volontà di chiudere lo stabilimento. Termini sociali significa almeno altre mille persone che rischiano di perdere il lavoro e un duro colpo alle speranze di ripresa dell'intera filiera produttiva del comparto dell'alluminio di tutto il Sulcis. Regna una grande confusione, la crisi che sta sconvolgendo tutto e tutti è una crisi vera, di sistema, che com'era prevedibile impone dei cambiamenti.
Ecco perché è importante anche in questo scenario mondiale il taglio che si dà alle politiche regionali a partire da come spendiamo le risorse disponibili. E' necessario che nasca un contesto di confronto continuo tra i diversi attori istituzionali e sociali e che la Regione perda una parte del suo potere centralistico e assuma un ruolo di coordinamento e di indirizzo. Deve prevalere la regola che su materie comuni ci sia un lavoro comune, è indispensabile che l'integrazione arrivi nei territori che sono il luogo dove le politiche devono svilupparsi e produrre i loro effetti.
Servono politiche mirate a sostenere il mondo giovanile a partire dall'istruzione, bisogna porre un freno agli abbandoni scolastici che creano figure marginali nel mondo del lavoro e nella società. Bisogna ripartire dalla valorizzazione e dal rispetto delle risorse locali, questo vale sia per l'industria che deve tener conto del carbone, del sale, del sughero, del granito, del caolino, dell'agroalimentare che per lo sviluppo del territorio rurale e del sistema turistico. Dobbiamo evitare che la gente si sradichi dai luoghi in cui vive, dobbiamo valorizzare il saper fare e fare in modo che l'intervento pubblico aiuti la creazione di reddito rendendolo il meno assistenziale possibile. Per cui salvaguardare e difendere l'esistente, renderlo compatibile con l'ambiente, rivendicare la delocalizzazione dei distretti industriali, superare i deficit infrastrutturali, i limiti geografici, realizzare le pari opportunità con il resto del Paese devono essere le basi di un vero confronto tra la Regione e il governo. Parallelamente dobbiamo iniziare a diventare una Regione virtuosa che sa spendere le risorse che ha, e non sono poche, che sa intervenire in momenti di crisi come questo nel sostegno alle persone e alle imprese ma che è in grado di dimostrare che è capace anch'essa di ridurre i costi della politica e di proporre una stagione di riforme che ricoalizzino la nostra scelta autonomistica. Il vero problema che abbiamo di fronte è come disegnare un modello di nuovo sviluppo, che non abbia le contraddizioni e gli squilibri di quello precedente. Nella sfida per il cambiamento, che è già partita, dobbiamo rimettere al centro il lavoro, inteso come strumento di crescita sociale, di contrasto all'emarginazione e alla povertà, come strumento portatore di democrazia, di uguaglianza e di libertà. Anche le imprese devono capire che è tempo di abbandonare logiche che ricercano la competitività giocando solo sulla riduzione dei costi e dei diritti dei lavoratori, con pochi investimenti in ricerca e occupazione. In Sardegna con una presenza diffusa di sistemi distrettuali di piccola e media impresa la sfida è difficile, anche il mondo della grande impresa risente della nuova divisione internazionale del lavoro che determina processi di concentrazione aziendale e ridisegna le prospettive d'interi settori manifatturieri. I fattori strategici di competitività, ormai esterni alle imprese, spesso anche ai territori presi singolarmente, sono la ricerca, l'innovazione, il capitale umano, le reti terziarie, le grandi infrastrutture e le risorse finanziarie, che configurano sistemi a rete su ampia scala la cui soglia critica per noi è costituita proprio dalla dimensione regionale, dall'essere un'isola, e dalla difficoltà di tenere il sistema in termini sia locali che globali. Da questa convinzione nasce la proposta di proiettare la politica industriale regionale nell'ambito di un sistema integrato, inteso come modello capace di mettere in rete le sue componenti, a partire dalla sua odierna struttura articolata per sistemi locali, d'imprese, poli produttivi, grandi e medie imprese, sviluppando la massa critica necessaria a produrre innovazione da diffondere a livello regionale, ma anche con le necessarie discontinuità. L'obiettivo è favorire politiche innovative e collegamenti con il contesto nazionale europeo, valorizzando le radici locali attraverso interventi selettivi e concentrati, ponendo grande attenzione alle politiche di filiera e all'attrazione di investimenti, alla necessità di crescita dimensionale e tecnologica delle imprese chiamate ad un ruolo più diretto nella competizione internazionale, capaci di innovare e divenire soggetti dinamici del cambiamento. Tutto ciò richiede l'immissione nel sistema di consistenti contenuti di conoscenza, per farlo bisogna connettere le sedi della ricerca di base della conoscenza tecnica e scientifica, e della conoscenza contestuale, valorizzando le competenze innovative interne alle imprese, alle università, e al territorio, sviluppando uno stretto rapporto tra il pubblico e il privato. La sfida non riguarda quindi solo il mondo delle imprese del lavoro, ma deve diventare patrimonio comune delle comunità locali, con l'obiettivo di investire nel cambiamento attraverso tutte le risorse disponibili da quelle umane, territoriali, ambientali, sociali, culturali, oltre che economiche. In questo contesto si inserisce la grande mobilitazione che le organizzazioni sindacali hanno avviato con lo sciopero generale dell'11 novembre 2011, ripreso dalla importante manifestazione che si è tenuta il 13 marzo, due piazze che sollecitano l'apertura di un tavolo politico e non tecnico con il Governo, che affronti il rilancio di una nuova fase di sviluppo per la Sardegna insieme al tema delle entrate, che ci sono state negate per gli anni 2010 e 2011, e che continuano a esserci negate nonostante la Commissione paritetica, ad abundantiam, perché non era neanche necessario, l'8 marzo 2011 abbia deliberato le norme di attuazione che disciplinano le modalità di calcolo del nuovo regime di entrate. Le maggiori entrate sono giustificate anche dalle maggiori competenze di cui si è fatta carico la Regione, ma diventerebbe quasi inutile, lo diceva anche la Presidente del Consiglio, rivendicarle se non chiediamo la modifica dei limiti di spesa che il patto di stabilità - che voglio ricordare è stato definito sulla spesa del 2005 - ci impone. Come dobbiamo affrontare il riconoscimento della nostra condizione d'insularità, ritardo infrastrutturale, e lo sblocco delle singole grandi vertenze aziendali, a partire dalle fabbriche energivore.
Concludo chiedendo che il Consiglio regionale assuma un dispositivo che avvii un percorso comune che ci porti ad aprire un tavolo politico con il Governo, un confronto che deve vedere partecipi anche le forze sociali, e che deve concludersi con un protocollo di impegni da sostanziare poi nei tavoli istituzionali, e se servono, e serviranno, anche tecnici. Decisione che, se sarà utile, siamo pronti anche a supportare anche con nuove iniziative di lotta.
Ma il pensiero finale lo voglio dedicare ad una cosa che mi sta molto a cuore, ed è questa, al di là delle questioni importantissime legate ai rapporti con il Governo nazionale, è la politica regionale, con i suoi indirizzi e le sue scelte, che può e deve cambiare la Sardegna, e da qui che dobbiamo ripartire, nessun altro lo farà mai per noi. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente della Confindustria, Putzu.
PUTZU, presidente della Confindustria. Onorevole Presidente del Consiglio regionale, onorevole signor Presidente della Regione, onorevoli senatori e deputati, onorevoli consiglieri, signori e signore, era il 2009 quando nel pieno della crisi economica internazionale il Presidente del Consiglio regionale ritenne opportuno convocare gli Stati generali del popolo sardo, per individuare e proporre una linea unitaria in vista dell'apertura del tavolo di confronto tra le istituzioni regionali ed il Governo centrale in merito alla situazione di grave emergenza economica e sociale della Sardegna. Rileggevo sconsolato il mio intervento di tre anni fa, perché avrei potuto replicarlo tale e quale oggi con pochissimi cambiamenti. È triste perché nel frattempo i pallidi segnali di ripresa, che allora sembravano profilarsi all'orizzonte, si sono dissolti e la crisi si è approfondita. A poco o a nulla sono servite le misure finora intraprese, e l'assurdo protrarsi delle molte partite aperte con il Governo nazionale grava pesantemente sul nostro sistema economico e sociale. Non è però di questo che voglio parlare qui oggi nel tempo che mi è stato concesso. Abbiamo lasciato a Luca Murgianu, presidente di Confartigianato Sardegna, attualmente voce del tavolo di coordinamento delle associazioni imprenditoriali regionali, il compito di rappresentare la posizione condivisa sui temi che costituiscono l'oggetto del confronto avviato con il governo Monti. Vorrei invece soffermarmi sulla necessità e opportunità di rilanciare il manufatturiero sardo, guardando oltre l'emergenza delle imprese, che con nuove strategie stanno affrontando le sfide di questa crisi. Come Confindustria Sardegna guardiamo con grande preoccupazione al protrarsi di una crisi che non ha eguali, e che sta determinando una vera e propria desertificazione della base industriale della nostra Regione, senza che negli anni si sia stati in grado di costruire una solida alternativa al tessuto nato con l'intervento straordinario del Mezzogiorno. Abbiamo l'impressione che, a parte la gestione delle molte emergenze, l'industria e la necessità di una politica industriale sia stata in parte derubricata dall'agenda della cosiddetta vertenza Sardegna. Abbiamo l'impressione che ci si limiti a vivere le crisi come condizione di base ineluttabile della politica economica regionale, e che la politica industriale non possa essere altro che la gestione di chiusure e vertenze. Ciò non significa certamente disconoscere gli sforzi che sono stati fatti in tutti questi anni, e che si stanno ancora facendo, alcuni dei quali stanno dando frutti a dir poco insperati, quanto piuttosto capire se si crede ancora in un futuro dell'industria in Sardegna, ma soprattutto di quale industria. Come l'esperienza della ripresa degli Stati uniti sta dimostrando, e come è evidente nella comparazione tra Italia e Germania, è proprio da un solido sistema manifatturiero, modernamente inteso, che è possibile costruire le basi per uno sviluppo non aleatorio e di più lungo periodo, che sappia anche ridurre le attuali sperequazioni e difficoltà sul fronte della ricchezza interna e del lavoro. Il ruolo del manufatturiero è stato rivalutato nelle altre nazioni come fonte duratura di benessere. Gli Stati Uniti nel pieno della crisi hanno avviato riflessioni e varato misure per puntare con decisione sul rilancio dell'industria manifatturiera, adesso stanno raccogliendo i frutti di quelle scelte, le imprese crescono o tornano ad investire negli Stati Uniti, l'occupazione cresce, l'economia seppure lentamente recupera. Senza industria, niente Pil! Il manifatturiero è il principale motore della crescita, perché genera guadagni di produttività, crea posti di lavoro qualificati e meglio remunerati, effettua la maggior parte della ricerca, contribuisce alle esportazioni. Un solo dato per capire: la produttività media del lavoro dell'industria in senso stretto in Sardegna è di 44.100 euro ben al di sopra della media nazionale che scende a 37.700 euro per il manifatturiero nel suo complesso. Se guardiamo gli altri settori si viaggia invece intorno ai 18-20 mila, comunque distanti dai dati nazionali. Un terzo del PIL è legato direttamente e indirettamente al manifatturiero, certamente la crisi ha cambiato la mappa planetaria dell'industria manifatturiera, ma siamo in presenza di una svolta storica preparata e anticipata dai trend del decennio precedente. Poteva la Sardegna rimanere al di fuori di quanto stava accadendo mentre l'Italia passa dal quinto al settimo posto al mondo dei paesi più industrializzati? La nostra industria è rimasta schiacciata tra recessione violenta e ripresa lenta, sono drammaticamente emersi tutti i limiti di un sistema manifatturiero fortemente duale, caratterizzato da una debolezza intrinseca delle piccole e medie imprese rivolte prevalentemente al mercato interno, poco innovative, concentrate su (…) maturi e poco aperte alla concorrenza nazionale ed internazionale, ma al contempo sono molti gli esempi di imprese sarde che hanno ben compreso i cambiamenti epocali in atto e hanno adeguato le loro strategie.
Proprio l'altro giorno un articolo del Corriere della Sera testimoniava dell'industria Meridionale vitale che punta ad esportare, citando alcuni esempi anche della Sardegna. Ci sono imprese sarde che pur nella crisi hanno fatto leva sull'innovazione, sulla qualità del prodotto, sulla flessibilità produttiva, sul contenuto tecnologico, sull'immagine e la qualità delle risorse umane, sulla gestione dei marchi e dei mercati esteri. Queste imprese hanno puntato sull'innovazione del prodotto di processo, diversificazione produttiva, ampliamento dei mercati di esportazione, smaterializzazione delle produzioni con l'innalzamento del contributo di servizio, sono le chiavi vincenti di queste imprese! Queste strategie di successo non sono condizionate dalle dimensioni di impresa, si basano su prodotti che si differenziano da quelli della ricorrenza, possono essere adottate da tutte le imprese.
Quindi, mentre cerchiamo di salvare le industrie che chiudono, mentre guardiamo le molte aree di crisi, mentre trattiamo sui tavoli nazionali delle molte vertenze perennemente aperte, rivolgete lo sguardo a queste industrie e alle esperienze di successo, coccolatele, coccoliamole, portiamole ad esempio da seguire! Abbiate cura di loro che sono il nostro futuro! Focalizzate la vostra attenzione a sostegno del modello competitivo di queste imprese che sono l'espressione che sta emergendo dalla crisi, focalizzate la vostra attenzione su questo modello competitivo, dedicate ad argomenti di confronto come questi non per parlare di ciò che non va, ma per rivolgere il vostro sguardo a ciò che di buono la Sardegna e i sardi stanno producendo. Dedichiamo troppo tempo a parlare di fallimenti e poco a cercare di capire il perché dei successi, e di successi ne abbiamo!
Forse qualcuno si domanderà che cosa c'entra quello che sto dicendo con i motivi che ci hanno portato qui oggi. Invece, noi crediamo che qui, oggi, di questo si dovrebbe parlare, di quale cambiamento imprimere alla nostra Regione e quindi di quale industria vogliamo.
Ci piacerebbe che, Presidente, una seduta straordinaria del Consiglio venisse finalmente dedicata a ragionare tutti insieme dell'industria sarda degli anni a venire, se lo si facesse si vedrebbe che servono politiche industriali che tengono maggior conto dell'importanza del capitale immateriale e degli investimenti collegati.
Servono approcci differenziati che favoriscano la diffusione di modalità alternative di proprietà controllo e finanza delle nostre imprese. Servono interventi che favoriscano l'integrazione a monte e a valle e il rafforzamento di filiera, l'ampliamento dei prodotti di mercato e l'espansione del fatturato, come ha detto recentemente il professor Fabiano Schivardi serve un sistema produttivo efficiente composto da una pluralità di dimensione proprietà, il problema non sono le piccole imprese ma le opportunità di crescita non sfruttate.
Il nostro augurio è che la discussione che porterete avanti sia capace di cogliere le opportunità che vengono dal processo di trasformazione in atto e la discussione di oggi non sia per cantare il De profundis dell'industria sarda ma per cogliere la chance che ci viene offerta di rimuovere gli ostacoli che le nostre imprese incontrano sul loro cammino. Grazie, buon lavoro.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Sanna.
SANNA, parlamentare. Rappresentanti delle istituzioni e dei mondi sociali della Sardegna, questi è un giorno certo importante per il dialogo tra le forze politiche e sociali e la discussione pubblica sulla questione Sardegna. Credo che tutti siamo d'accordo nel dire che è un tempo questo di responsabilità per le istituzioni, per le organizzazioni sociali, le più grandi e le più piccole, dire che anche sino ad arrivare alle singole famiglie che abitano in questa nostra bella terra. Ci viene richiesto di più rispetto a fare ciascuno sino in fondo il proprio dovere e, nella necessità del momento, dovrebbe esserci anche, da parte di tutti noi, coloro che siamo qui esposti, la rinuncia alla propaganda, alla strumentalizzazione della crisi, direi che ci vuole uno sforzo e un di più anche di stile perché se è vero che fa l'uomo a volte fa anche la politica, non possiamo sbagliare in questo. Nessuno di noi nel tempo delle interdipendenze mondiali può dire che la salvezza ce la conquistiamo da soli, che ci salviamo da soli, ma certo non ci si salva se non facendo appello ad ogni virtù dei sardi, che sono tante e ben note, anche le più nascoste e dimenticate e reprimendo vizi e difetti. In questo credo che noi possiamo e dobbiamo compiere il massimo sforzo per rendere efficiente nel momento in cui pretendiamo di relazionarci in modo bilaterale, diretto, rapido, importante, pregnante, alla ricerca di risultati con lo Stato dobbiamo fare, dicevo, il massimo sforzo per rendere efficiente il sistema istituzionale nostro, quello della Sardegna e, lasciatelo dire, nostro anche se parlo da parlamentare nazionale, nostro dei sardi, non dei rappresentanti pro tempore delle istituzioni sarde, è fondamentale questo, in Sardegna perché la Regione riprenda ad essere un attore fondamentale e non come spesso capita nella percezione di mondi sociali e delle imprese che ce lo dicono in continuazione rimanga nell'angolo della intermediazione lenta e totalmente negativa della spesa pubblica. Questo è il primo messaggio che vorrei dire nel dialogo tra rappresentanze istituzionali, vi è uno spazio per le riforme, per la ristrutturazione istituzionale, per il rafforzamento per gli spazi di partecipazione e democrazia insieme e di quelli della decisione, del fare, della operatività qui nella nostra Regione? Io credo di sì. La risposta che il sistema nazionale sta provando a dare con questo Governo è davanti a tutti, possono esserci opinioni diverse ma è davanti a tutti, io credo che il sistema sardo debba affrontare questo tema anche in questo scorcio di legislatura che ha davanti.
La Sardegna deve inserirsi in questo processo nell'ambito delle sue potestà statutarie, della sua autonomia, rifiutando la tentazione, la drammatica tentazione della rassegnazione e dell'immobilismo perché per interloquire con il Governo e, lasciatemelo dire, con questo Governo e con l'opinione pubblica di oggi, si è forti solo se abbiamo le carte in regola. Noi abbiamo le carte in regola se mobilitiamo ogni risorsa, anche le risorse istituzionali, dobbiamo mobilitare ogni risorsa che si chiami decisione di programmazione, dobbiamo orientare e prevedere gli effetti di nuove disposizioni normative, dovremmo valorizzare ogni nostro singolo atto perché diventi produttivo di recupero di sviluppo, di benessere e di giustizia sociale. Voglio fare tre esempi, che concludono questo intervento, di cosa significa mobilitare tutte le risorse della Sardegna in dialogo con le istituzioni nazionali. Vuol dire, secondo me, mobilitare non solo quelle economiche ma anche quelle del nostro territorio, e mi sembra molto importante in questo senso l'iniziativa avviata da una mozione che il Senato discuterà, e sottoscritta da oltre cento senatori, sull'utilizzo da parte dello Stato di aree demaniali e di servitù militari della Sardegna. Si tratta certamente di eliminare il prima possibile tutte le attività che sulla base della valutazione dei rischi secondo evidenze scientifiche, non secondo miti e teorie indimostrate, risultino suscettibili di produrre danni alla salute e all'ambiente, e per quanto attiene al passato dobbiamo bonificare e risanare le aree più compromesse, però occorre riequilibrare drasticamente il numero e la superficie dei poligoni e delle installazioni militari concentrandole e sviluppando attorno ad esse attività relative allo sviluppo tecnologico, alla ricerca e all'innovazione che trovino applicazione anche nel civile; penso, e pensiamo coloro che hanno scritto questo documento, all'aerospaziale, all'avionica, alla radaristica, alla robotica, alla microelettronica, a tutte le tecnologie per le energie rinnovabili. Ci prepariamo a questo appuntamento perché, ve lo dico, probabilmente a questo appuntamento ci arriviamo e ci arriviamo presto.
Il secondo: modo di orientare le decisioni strategiche. C'è un tema dell'energia in Sardegna. Dobbiamo immediatamente riallinearci a quello che il resto del Paese ha ormai da 50-60 anni. Cadono i progetti di rigassificatori in Italia, due nelle ultime due settimane. GALSI: vogliamo dare la spallata decisiva alle decisioni finanziarie e comprendere che la geopolitica non è l'ultima delle decisioni che arriverà per dire se questa infrastruttura si fa o non si fa, e secondo me, e secondo noi, deve farsi, ma il momento è questo. E' il momento di coordinare le decisioni politiche, di politica estera, di politica industriale di un Paese e uscire dalle ambiguità che negli anni scorsi ci hanno fatto guardare più a Est che alla sponda Sud del Mediterraneo. La Sardegna dica una parola chiara su questo; noi proveremo a dirla nei prossimi giorni.
Il mondo dell'agricoltura, il mondo della pastorizia - questo è il terzo esempio - protesta da anni per condizioni drammatiche. Va bene la protesta, l'abbiamo sostenuta, abbiamo interloquito, però oggi l'Unione europea consente ai produttori, e consentirà nel nostro Paese tra poche settimane, quando recepiremo questa norma, ai produttori agricoli, ai produttori del latte, di programmare le loro produzioni e vendere anche in deroga alle tutele per le pratiche anticoncorrenziali, che in Europa è una bestemmia ma si fa, quote ingenti di tali produzioni ad opera di un'unica organizzazione di produttori, un'unica organizzazione tratta per vendere anche oltre un terzo della produzione globale, per esempio, del latte ovino. Ci vogliamo preparare a questo appuntamento? Vogliamo aiutare a uscire dall'ambito della protesta questo mondo e portarlo dentro la dinamica del profittare delle decisioni politiche istituzionali?
Ultimo esempio: attenzione a come orientare la legislazione. Alla Camera qualche giorno fa è stato approvato un ordine del giorno, anche in contrasto con un parere diverso del Governo, che riguardava la crisi di Alcoa. All'interno di quest'ordine del giorno c'è un invito al Governo a offrire agli energivori che usavano le tariffe, una sorta di sanatoria sugli ingentissimi oneri di restituzione che sono stati loro imposti con sentenze passate in giudicato. Io credo - parlo per me, ma so che questa è una posizione di tanti altri colleghi parlamentari - che non ci possa essere il nostro voto se questa generosa restituzione a favore di Alcoa non comporti una decisa reversione del suo atteggiamento. E' uno stabilimento, quello, che deve rimanere negli asset produttivi del Paese e della Sardegna; non ci possono essere ultimatum e se lo Stato italiano sarà così generoso da restituire risorse che forse può tenersi, quelle risorse non possono che essere orientate per una ordinata riallocazione nel mercato di quegli asset produttivi, altrimenti il nostro voto non ci potrà essere. E' questo, signori delle istituzioni e dei corpi sociali, un nuovo inizio di responsabilità, di interlocuzione continua tra il Consiglio regionale e il Parlamento. Siamo in questo nostro compito responsabili certamente sino in fondo; siamo noi capaci della trasparenza che deve regolare, tra noi che facciamo politica, i nostri comportamenti; siamo capaci nei confronti dello Stato di esigere molto, ma prima ancora, per essere credibili, di essere molto esigenti da noi stessi perché questa è la strada, è l'unica strada, del nostro successo. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sindaco di Cagliari, Zedda.
ZEDDA, sindaco di Cagliari. Presidente del Consiglio, Presidente della Regione, Assessori, un saluto a tutti i presenti. Ringrazio innanzitutto per avermi dato la possibilità di esprimere la mia opinione nella sede dell'assemblea aperta ai rappresentanti delle forze sociali, delle categorie produttive nel mondo del lavoro, dell'impresa, dell'industria, del commercio, dell'artigianato nell'assemblea più importante, appunto, che ospita i rappresentanti del popolo sardo.
Innanzitutto, nei minuti che ho a disposizione, io vorrei porre un tema che è quello dell'idea di sviluppo che deve avere la nostra regione, che dobbiamo avere noi, che deve avere il Paese, che deve avere l'Europa rispetto al mondo. E' in discussione in questi anni, ormai da tanto tempo, quello che è il sistema che ha consentito che l'Europa fosse il continente nel mondo dove comunque si potesse vivere meglio rispetto agli altri continenti del resto del pianeta, e negli Stati, nelle regioni, nei paesi delle nostre realtà, dove lo stato sociale, quelle norme e quelle leggi che non sono state elargite grazie ai sovrani di turno che hanno consentito passi avanti, ma dopo conquiste, lotte, sacrifici che hanno consentito un'emancipazione delle persone e un'estensione dei diritti. Sono queste norme e queste leggi che hanno consentito di attenuare le distanze e che consentono appunto che ancora oggi l'Europa, le nostre città, le nostre regioni, i nostri paesi siano i luoghi dove si vive meglio nel mondo. E' in discussione questo. Mentre noi vorremmo esportare questo modello nel resto del mondo perché anche le imprese e le industrie di cui parlava il Presidente di Confindustria prima potessero competere a livello mondiale tra pari, esportando leggi, norme, diritti, estendendo diritti e attenuando le differenze, invece il tentativo è riportare noi indietro alla barbarie, a quel che è stato l'emarginazione e il punto di incontro fondamentale tra la cultura laica socialista e il mondo cattolico e cristiano, e cioè l'emarginazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che nella storia del Novecento, soprattutto nel nostro Paese, ha consentito di fare passi in avanti e di avere norme e leggi tali da estendere i diritti, e quindi contrapponendo all'egoismo la solidarietà. Condivido le parole del Segretario della CGIL, dell'onorevole Sanna ovviamente sulle questioni che riguardano l'energia, la drammaticità delle imprese così come definite nelle parole della Presidente del Consiglio regionale, e per quanto riguarda gli enti locali la questione per noi è drammatica. Gli enti locali nel nostro Paese hanno, nel corso degli ultimi anni, fatto la loro parte: hanno pagato, hanno diminuito la spesa, hanno ridotto i costi. Diminuiscono i costi degli enti locali negli ultimi quattro anni, cresce invece la spesa delle Regioni, cresce la spesa dello Stato centrale in particolar modo. Solo negli ultimi otto mesi le quattro manovre hanno comportato un taglio di risorse, un blocco della spesa per il Comune di Cagliari, parlo dei numeri che conosco, che sono superiori alla somma dai tagli dei quattro anni precedenti. Si introduce una tassa che viene chiamata imposta municipale unica, almeno si levi, come dire, la possibilità delle prese in giro, la si chiama imposta statale unica così almeno non c'è confusione tra i cittadini su coloro che saranno i beneficiari di quelle risorse. E per stare sempre agli esempi pratici un appartamento di 195 metri quadri a Cagliari con la rivalutazione degli indici catastali colui che prima pagava 385 euro, pagherà quasi 1000 euro di ICI. A fronte di questo stiamo cercando, perché giù per i rami bisogna cogliere che cosa realmente i provvedimenti immaginati dal Governo quale ricaduta hanno sui nostri territori. Stiamo cercando di scorporare questa IMU in modo tale da alleggerire gli altri immobili e soprattutto gli immobili commerciali, non lo si può fare, perché tra gli altri gli altri immobili sono comprese le seconde case, sono compresi gli immobili commerciali e quindi se tocchiamo l'aliquota sulle seconde case, se ci incidiamo sulle seconde case, incidiamo gli immobili commerciali continuando a massacrare il mondo del commercio, all'artigianato, della piccola impresa diffusa sul nostro territorio.
L'altro aspetto è quello legato all'IRPEF, anche lì lo Stato chiede di incidere sull'IRPEF, bene, io credo che su tutte queste questioni noi dovremmo chiedere se non risorse almeno quelle risorse, che sono nostre, non possono essere date dallo Stato alla Regione Sardegna, si chieda con forza che vengano sbloccati i parametri di patto per il tanto equivalente a quelle risorse, poi quando lo Stato avrà la disponibilità di trasferire risorse alla Regione Sardegna ben vengano i soldi che poi sono alla fin fine dei sardi e quindi ai sardi devono andare in termini di servizi e alle imprese, al mondo dell'economia, al mondo produttivo in modo tale da attenuare la drammaticità della crisi che stiamo vivendo.
E poi è l'idea di sviluppo sul quale dobbiamo ragionare, idea di sviluppo relativa al fatto se siamo d'accordo che l'ambiente, l'innovazione tecnologica, l'istruzione in un territorio e in una Regione che è tra le ultime in classifica a livello europeo per diffusione dei titoli di studi, e tutti i parametri che ci pongono in bassa classifica nel confronto con le altre regioni europee. Se dobbiamo investire su questi terreni, su questi aspetti o invece continuare a immaginare uno sviluppo che alla fin fine ha prodotto danni anche nel nostro territorio.
E poi l'ultimo punto è quello di qual è a mio parere, a mio modestissimo parere, l'idea circa l'autonomia e la Sardegna oggi; il mio parere nei momenti più alti dell'autonomia, lo sono testimoni i padri dell'autonomia Crespellani, Dessanay, Gramsci, Lussu, Sotgiu, Cardia, Dettori non sono stati momenti in cui abbiamo chiesto risorse economiche, che pure sono dovute, allo Stato, ma è quando ci siamo posti la questione, quando abbiamo ragionato su che cosa noi potevamo dare agli altri termini in termini di idee, di passioni, di valori, di iniziative da mettere a correre; cioè quando abbiamo capito che cosa noi eravamo in grado di dare agli altri. In questa direzione a mio parere si inserisce l'aspetto della Sardegna del Mediterraneo, e cioè se c'è una linea di sviluppo è candidare la Sardegna, Cagliari le nostra realtà come crocevia di razze, di lingue, di popoli, di religioni perché noi questo dobbiamo fare nell'ambito del Mediterraneo e dal punto di vista delle imprese, l'innovazione tecnologica ragionare con quei mondi, perché se è vero che l'industria mineraria non può più attecchire oggi in Sardegna, è vero invece che la nostra esperienza nel mondo del lavoro, nella tradizione mineraria può essere esportata in quei territori dove ancora ci sono miniere e possiamo noi restituir loro competenze, qualità, innovazione tecnologica, questa a partire dal settore minerario, dall'agricoltura e candidare insieme alle possibilità data dell'Expo 2015 che vede l'Expo a Milano e Cagliari e la Sardegna porta sud dell'Expo 2015, candidare la Sardegna e Cagliari quale crocevia, scambi, attraverso le università, attraverso le nostre imprese, alla fin fine siamo più vicini al Nord Africa in termini di kilometri di quanto non lo siamo alle coste della penisola. Ricordo che Cagliari ospitava all'inizio del novecento la Camera di Commercio sardo - tunisina. E' quindi in quella direzione che noi dobbiamo andare, perché più cresceranno i rapporti, gli scambi con quei popoli, più crescerà l'economia della Sardegna, più consentiremo a quei popoli di emanciparsi e di autodeterminarsi più avremmo benefici per i nostri territori. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale della CISL, Medde.
MEDDE, segretario generale della CISL. La Sardegna vive una delle sue fasi più difficili da molti anni a questa parte, noi sardi abbiamo molte ragioni, però è necessario mettere insieme anche la passione e la condivisione sulle scelte necessarie per contrastare questa difficilissima fase. Il lavoro e la questione sociale sono l'epicentro di queste difficoltà e di questa crisi, coinvolgono tutte le categorie sociali, producono un malessere che talvolta viene espresso anche in forme e modi non tradizionali, ma frutto dell'esasperazione e dei problemi che nel tempo si sono incancreniti. Oggi siamo nella fase più acuta di questa crisi e ne sono interessati tutti gli ambiti della vita economica, sociale e ambientale della Sardegna.
Non è più il momento dei convegni, è il momento della mobilitazione della condivisione sulle scelte necessaria a contrastare le difficoltà che i lavoratori e pensionati sardi stanno vivendo. Ormai la crescita del Pil è quasi a zero da anni, il tasso di disoccupazione si mantiene su valori intorno a 14 per cento, senza contare i cassintegrati, i lavoratori in mobilità; l'indice di povertà si è dilatato fino a interessare quasi 400.000 persone. In Sardegna nell'ultimo triennio si sono persi 30.000 posti di lavoro, nell'industria e nell'agricoltura, settori che pesano rispettivamente appena il 19 per cento, costruzioni comprese, il 4 per cento circa nella composizione del reddito regionale.
Un reddito regionale che è composto per il 77 per cento dal settore terziario che oggi mostri segni negativi del calo generalizzato dei redditi dei consumi di massa e quindi è diventato inderogabile e urgente un nuovo progetto di sviluppo capace di promuovere una nuova fase di crescita economica, sociale dandoci una valida strategia per superare i condizionamenti economici, storici, geografici.
Gli obiettivi più importanti ormai sono all'ordine del giorno del dibattito politico e sociale in Sardegna, il riconoscimento dello status d'insularità, l'autonomia finanziaria della Regione, la revisione del patto di stabilità per la Sardegna, la partecipazione dello Stato al rilancio del sistema industriale, il recupero del divario infrastrutturale; ed è fondamentale però che il Governo nazionale si impegni a che le vertenze aziendali aperte trovino un tavolo di confronto e una definizione in tempi accettabili. Questi problemi di cui stiamo esaminando soli i titoli potranno essere meglio affrontati e gli obiettivi raggiunti se si sapranno superare i ritardi e le inefficienze locali e regionali e se verrà attuata immediatamente una svolta, anche da parte della Giunta in termini di maggiore efficienza ed efficacia.
Non possiamo rivendicare allo Stato quel che spetta ai sardi se in Sardegna non saremo capaci, a iniziare delle massime istituzioni regionali, ad attuare gli impegni assunti e ad attuare una svolta nella politica dello sviluppo. Il sostegno ai settori produttivi non deve essere improntato solo alla gestione delle emergenze e delle numerose vertenze aziendali. Il piano straordinario per il lavoro deve diventare una realtà. Le risorse destinate ai progetti di filiere e sviluppo locale devono diventare un riferimento costante nell'azione della programmazione. Dobbiamo spendere le risorse dell'Unione europea, dobbiamo prima di tutto essere coerenti con noi stessi se vogliamo chiedere allo Stato e al Governo di onorare gli impegni.
Decisivo è quindi il nuovo patto costituzionale tra Stato e Regione, precondizione per riconoscere all'isola le pari opportunità, e per rinegoziare con pari dignità poteri e risorse utili a un maggiore e migliore autogoverno dell'isola. La mobilitazione del sindacato confederale in Sardegna, le numerose assemblee territoriali, gli scioperi degli ultimi anni sono una dimostrazione non solo della fiducia che i lavoratori e pensionati ripongono in tutte le organizzazioni sindacali e sociali, ma anche dell'importanza che assume per la coesione sociale e per una pacifica rappresentazione del malessere; le difficoltà della politica, in un preoccupante e drammatico scenario di crisi economica, rischiano di vanificare però l'impegno delle forze sociali e la mobilitazione dei lavoratori, poiché lo sforzo e l'unità dei sindacati, per avere successo, deve poter contare sulle risposte, sull'efficacia delle istituzioni della politica sarda.
Da qui, l'urgenza, l'importanza dell'incontro odierno in Consiglio regionale, e della seduta dello stesso nella giornata di domani, a patto però che la determinazione conclusiva che verrà assunta contenga prima di tutto la richiesta al Governo di aprire un tavolo di confronto politico con la Regione, con le parti sociali ed economiche e con gli enti locali, considerato che su diversi argomenti che riguardano la vertenza Sardegna non c'è più nulla da discutere sul versante tecnico, ma solo da decidere strumenti, risorse, poteri, tempi, da destinare ai problemi dell'isola.
Proprio per le caratteristiche del tempo che viviamo, caratterizzato da profondi cambiamenti nell'economia, nella politica, nella società, la mobilitazione dei lavoratori e dei sardi deve continuare ad essere messa in campo per evitare che la Sardegna ne esca ancora una volta sconfitta. La crisi, infatti, viene autorizzata oggi anche da questo Governo nazionale, per riposizionare i rapporti di forza e le relazioni tra i territori, tra i ceti sociali, e per ulteriori e pesanti attacchi alle categorie meno abbienti nella redistribuzione dei redditi e per una resa dei conti nella divisione internazionale del lavoro. Le richieste e il confronto da mettere in campo in Sardegna, e tra questi ultimi lo Stato, non sono dunque di mera contabilità sui crediti, pure corretti e vantati dall'isola, ma riguardano il destino della specialità e dell'autogoverno, e le condizioni materiali e dei poteri necessari a rilanciare una nuova fase dell'autogoverno dei sardi. Noi non possiamo e non stiamo discutendo ora solo sul versante delle risorse finanziarie dovute ai sardi e alla Sardegna, stiamo discutendo sui poteri e sul futuro autogoverno, sulle caratteristiche che avrà l'autonomia speciale nell'isola. Su questi argomenti è indispensabile una sintesi politica in grado di dare risposte ai problemi del lavoro, della crescita economica e sociale, ma prima di tutto per affermare tutte le libertà dei sardi.
(Applausi)
PRESIDENTE. Interviene ora Luca Murgianu, responsabile pro tempore delle seguenti associazioni imprenditoriali: Confartigianato, Confapi Sardegna, CNA, Confcommercio, Confesercenti, Confcooperative, Lega Cooperative, Associazione generale Cooperative Italiane, Confagricoltura, CIA, Coldiretti regionale e Copagri.
Consentitemi un particolare riconoscimento alle sigle che ho appena menzionato per la capacità di fare sintesi, riconoscendosi in un unico intervento. Grazie.
Ha facoltà di parlare il presidente della Confartigianato, Murgianu.
MURGIANU, presidente della Confartigianato. Il mio intervento di oggi, a nome del coordinamento delle associazioni imprenditoriali della Sardegna, intende dare seguito con spirito di unitarietà e sintesi all'invito pervenuto dal Consiglio regionale. Come saprete, per noi non si tratta di un approccio nuovo, infatti, come abbiamo avuto modo di dire recentemente al Presidente della Repubblica, è da opportunità nascoste, dalla drammatica crisi che viviamo, che gli imprenditori sardi hanno incominciato a ragionare e cercare un dialogo con la politica in maniera unitaria. Cercando di reinterpretare al meglio il ruolo virtuoso dell'imprenditore, stiamo affrontando temi e problemi in un'ottica di ricerca e sviluppo del bene comune. E' nostro obiettivo riportare in Sardegna quelle condizioni culturali e istituzionali che consentono la coltivazione delle virtù, della creatività, e quindi dell'innovazione indispensabili per lo sviluppo imprenditoriale. Riteniamo importante anche noi leggere il mercato come un meccanismo che premia le innovazioni, ponendo l'accento sulle persone e non tanto sui capitali, sulla finanza o sulla tecnologia. L'innovazione prima di tutto è una questione di occhi, di sguardo diverso sulle cose e sul mondo, ma, mentre ci impegniamo a ricostruire queste condizioni, chiediamo uno sforzo allo Stato e alle istituzioni per riequilibrare e rispondere ad alcune vecchie questioni aperte ai vari livelli economici e istituzionali. Ci rapportiamo quindi a una vertenza nella quale, mentre riteniamo che lo Stato debba dare risposte certe, esigibili e immediate, siamo altrettanto certi che ognuno di noi, al contempo, debba fare al meglio la propria parte, perché rivendicare i propri diritti non significhi in alcun modo dimenticarsi dei propri doveri. E pensiamo che questo possa e debba accadere anche abbandonando, ognuno per parte propria, vecchie abitudini o rendite di posizioni, che mal si conciliano con la soluzione dei problemi in essere. Per queste ragioni, bene ha fatto l'ordine del giorno numero 76 del Consiglio regionale a ricordare gli elementi costitutivi del nostro fondamento istituzionale e sociale, impegnando il Presidente della Regione ad agire sul piano istituzionale, legale e politico per la realizzazione degli obiettivi della vertenza; e considerata la necessaria partecipazione dell'intera società sarda al confronto con lo Stato e alle iniziative di mobilitazione democratica finalizzate ad ottenere urgenti percorsi risolutivi alla vertenza in atto, dando mandato al Presidente del Consiglio regionale per la convocazione di questa assemblea degli Stati generali del popolo sardo, ovvero le rappresentanze delle autonomie locali, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni di categoria dell'impresa. E' una modalità nella quale ci riconosciamo e che riteniamo debba proseguire la valorizzazione massima di ognuno di questi ruoli, e senza indulgere a confusioni o sovrapposizioni che non possono che intralciare un'efficace risoluzione della stessa vertenza. Crediamo infatti sia venuto il momento di abbandonare interessi di parte, e forse anche protagonismi del tutto fuori luogo, in un momento di crisi epocale che mette a dura prova la possibilità di noi tutti di rispondere al meglio alle sfide del presente. Con questo spirito di praticità, la maggior parte delle associazioni facenti parte del coordinamento ha rinunciato ad un intervento specifico di settore. Le ha già citate il Presidente, ma voglio in questo momento rielencarle: AGCI, CIA, CNA, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcooperative, Confcommercio, Confesercenti, Copagri, Legacoop, delegando al sottoscritto l'onore di rappresentare gli elementi essenziali della nostra linea sulle questioni della vertenza, e rinviando a specifici documenti, in parte già conosciuti o che verranno consegnati ai partecipanti a questa assise, le questioni più di dettaglio. Non è questa una rinuncia di rappresentanza, ma a nostro parere un modo libero per meglio sostanziarla, quale il quadro di riferimento. Crediamo opportuno ricordare che la mancata soluzione delle annose questioni contenute nella vertenza con lo Stato, condizione in maniera rilevante lo sviluppo e le prospettive delle attività economiche della nostra Isola. Abbiamo già avuto modo di evidenziare, per ultimo il Presidente della Repubblica, che è in atto oggi una pericolosa fase involutiva del sistema produttivo locale, oggetto di drastiche ristrutturazioni e chiusure di interi comparti produttivi, con scarse o nulle opzioni di riconversione. Riteniamo utile ritornare brevemente su alcuni elementi che mostrano la profondità delle difficoltà, perché sia a noi sempre presente che i punti della vertenza entrano nella pelle, fino anche nella carne, di tutti i cittadini e delle imprese, e la loro soluzione non deve essere fine a se stessa, ma strettamente funzionale a nuove prospettive di sviluppo, e deve considerare il sistema economico sardo nell'integrazione totale dei fattori e delle soluzioni. In poche parole: nessuno si salva da solo.
Scopriamo allora che la difficoltà del manifatturiero investe tutti i principali e già noti poli di produzione industriale - dalla chimica, all'energia, metallurgia, tessile e minerario -, con un sistema di grande industria residua che mostra segnali inequivocabili di arretramento. A poco sono serviti i tentativi fatti finora, tentativi che vanno intensificati e rafforzati, di favorire il mantenimento di una seppur minima base industriale. Tutto questo senza che il sistema delle piccole e medie imprese si sia ancora sviluppato adeguatamente e le iniziative nei settori più innovativi ad alto valore aggiunto abbiano occasione di poter essere una reale alternativa a ciò che non c'è più. Dentro il settore dell'edilizia, anche l'edilizia, tradizionale valvola di sfogo nei momenti di recessione, sta venendo meno con rilevanti perdite di posti di lavoro ed imprese. L'artigianato, il commercio e i servizi, specie quelli del turismo, soffrono di un mercato ristretto, nel quale vincoli burocratici e di spesa della pubblica amministrazione, legati alle condizioni di isolamento e scarsa produttività del lavoro, hanno generato una contrazione del sistema di riferimento. Non mancano, però, esempi positivi di un fare impresa moderno, che guarda alla innovazione e ai mercati. La Sardegna oggi è una piccola culla dell'ICT. L'industria turistica costituisce una solida realtà. L'agroalimentare presenta potenzialità che attendono, però, di essere pienamente dispiegati. Ambiente ed energie rinnovabili costituiscono fattori di competitività per le nostre imprese. Crescono i tentativi di creare reti di imprese capaci di collaborarle, cooperare ed integrarsi, ma dalla crisi non si esce se l'Italia tutta non investe nel recupero produttivo delle sue aree più deboli e sottoutilizzate, valorizzandone le risorse naturali e le vocazioni, promuovendo una nuova industria sostenibile e puntando su un migliore raccordo tra lavorazioni primarie e secondarie. Ci sembra così opportuno sottolineare qui che in particolare due settori, che hanno operato come cardine anche sociale di riferimento dell'economia sarda, quasi un ammortizzatore in più, vivono una crisi potenzialmente più pericolosa. Si tratta del mondo agricolo e di quello cooperativo. Il mondo dell'agricoltura subisce più di altri gli effetti negativi di un modello demografico e produttivo che ha premiato nel tempo più l'abbandono che l'insediamento. Un modello che, anziché spingere verso forme di cooperazione e di utilizzo ragionato del territorio, dell'acqua e dell'energia, ha depauperato l'ambiente agricolo e le sue potenzialità. Oggi l'agricoltura sarda è in attiva ricerca di percorsi di qualità e di cooperazione, ma soffre di una contrazione indotta troppo spesso da condizionamenti propri del mercato esterno. La mancanza di infrastrutture, la grave crisi finanziaria delle famiglie agricole, la piccola dimensione, il peso della burocrazia, sono altri punti che impediscono tuttora una svolta. Si stanno sperimentando, di converso, importanti percorsi sulla multifunzionalità e sulle filiere dell'ecosostenibilità, che devono essere supportati dalle istituzioni con la creazione di specifiche opportunità, anche normative, che consentano al mondo agricolo di tenere anche in questa fase difficile. E questo supporto deve essere garantito anche e soprattutto nell'ambito del credito e nella soluzione delle gravi problematiche fiscali, perché la debolezza finanziaria dell'agricoltura corre il rischio di disarticolare completamente il sistema rurale regionale. Pur nella gravità della crisi economica della Sardegna, la cooperazione, impresa basata sulla persona e sulla solidarietà interna tra i lavoratori, sembra aver retto meglio all'urto della crisi, con un ricorso molto limitato alla cassa integrazione in deroga. Permane, inoltre, un radicamento nel territorio, che rappresenta il carattere portante dell'iniziativa imprenditoriale cooperativa. Questo nei servizi socio assistenziali, nella trasformazione agroalimentare, nella pesca e nella gestione delle lagune, nel sistema dei beni culturali e ambientali. Ma proprio per questo tipo di diffusione e collegamento agli enti locali, risulta anche il settore più esposto alle rigidità inique del patto di stabilità, che rischiano di mettere seriamente in discussione il sistema del Welfare locale e la moltitudine di servizi pubblici locali gestiti prevalentemente dal sistema cooperativistico. Questo elemento, unito ad altri che accomunano altri settori e legati a scelte assolutamente discutibili (a livello regionale e nazionale) nella gestione dei beni culturali ed ambientali, impongono una riflessione su quali scelte adottare ai tavoli della vertenza, ed anche in sede legislativa regionale, per far sì che alla cooperazione venga consentito di esercitare un ruolo maggiormente propulsivo ed in linea con la sua vera vocazione costituzionale. Si pensi qui che le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2012 "anno internazionale delle cooperative". Come è dato vedere, nonostante la crisi, l'impresa e la famiglia imprenditoriale stanno facendo la loro parte, come sempre hanno fatto, ma il vero punto nodale della vertenza Sardegna, e che va oltre questa vertenza, è che ciò accade in un contesto che resta non favorevole allo sviluppo delle imprese, contesto verso il cui miglioramento devono essere indirizzate tutte le nostre energie, in particolare quelle della pubblica amministrazione, a livello nazionale, ma anche nella declinazione regionale. La dotazione infrastrutturale della nostra Regione è tuttora largamente insufficiente (52, 6 è l'indice infrastrutturale rispetto alla media nazionale che è 100). A fronte di vecchie difficoltà, oltre a restare irrisolti i permanenti ostacoli allo sviluppo derivanti da un ritardo infrastrutturale atavico, oltre ad attendere l'arrivo del metano, si aggiungono nuove problematiche sul fronte dei servizi di collegamento tra la nostra Regione ed il continente che, pregiudicando la continuità merci e passeggeri, di fatto si traducono in un vincolo sostanziale alla crescita della nostra economia. Da questo punto di vista affermare che deve essere affrontato il problema dell'insularità secondo lo spirito della dichiarazione 30 del Trattato di Amsterdam, significa che non solo deve essere misurate e compensato (con politiche principalmente fiscali di compensazione) lo svantaggio, ma che l'opportunità di trasporto deve essere resa effettiva e paritaria rispetto ad altri operatori e cittadini peninsulari. Troppo tempo si è perso con misure tampone o inapplicabili, e maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata all'attuazione di un regime di vera continuità della quale non si può consentire allo Stato di disinteressarsi. Sul punto della cosiddetta problematica "Equitalia" va risottolineato il dramma dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, che interpella lo Stato ma anche gli enti locali, in una Regione in cui la spesa pubblica rappresenta circa il 61 per cento dell'intera ricchezza regionale. Sempre più spesso il fantasma del fallimento aleggia sopra le teste degli imprenditori onesti ma il dato insopportabile ed inaccettabile è che tutto questo sia causato dallo Stato. Un imprenditore non può chiudere a causa dello Stato, quello stesso Stato al quale non può fare causa. Anche perché, quand'anche lo volesse, sarebbe fortemente condizionato nel reclamare i propri diritti da tempi della giustizia amministrativa e civile più che doppi rispetto alla media dei paesi avanzati.
Quale percorso seguire?
L'ordine del giorno numero 76 evidenzia nelle sue premesse come gli elementi fondamentali della Vertenza Sardegna siano: l'applicazione integrale (attuativa entro 30 giorni) dell'articolo 8 riformato dello Statuto speciale; la ricontrattazione del patto di stabilità per una più ampia flessibilità di spesa della Regione e degli enti locali sardi; difesa e consolidamento del sistema produttivo isolano e la vertenza industriale; continuità territoriale, sistemi di trasporto interno e linee viarie; moratoria delle azioni promosse da Equitalia nei confronti delle imprese sarde in crisi temporanea di liquidità, confermata la più rigorosa lotta all'evasione fiscale; la rimodulazione ed operatività degli interventi finanziati con fondi FAS, ivi compresi quelli previsti da specifica pianificazione concordata con lo Stato. La Giunta regionale ha sintetizzato i termini della Vertenza con lo stato di 7 schede: Vertenza entrate, patto di stabilità, Equitalia, vertenze industriali, piano sud (fondi FAS), rete TEN-T, federalismo. In larga parte stiamo ragionando di temi che comprendono l'essenza delle problematiche da noi evidenziate, che, attraverso la soluzione di questi nodi, potrebbero ridare smalto allo sviluppo dell'Isola. Tuttavia sentiamo il dovere, in questa fase, di sottolineare questi punti di metodo, e di chiedere che vengano considerati con estrema attenzione. Per priorità riteniamo fondamentale che venga stabilita una gerarchia tra le priorità e che, in questa prima fase (in termini di settimane), venga preteso dallo Stato il rispetto dei patti già sottoscritti. Per questa ragione la vertenza delle entrate, la modifica del patto di stabilità (che rende effettivamente utilizzabili il beneficio delle maggiori entrate), e la conferma operativa di quanto stabilito nella programmazione dei fondi FAS 2007-2013, devono essere politicamente al centro della discussione e, in qualche modo, propedeutiche rispetto a qualsiasi discussione sul tema del federalismo che non può essere affrontato se lo Stato non dimostra di aver uno spirito di leale collaborazione. Condivisione e regia: gli altri temi evidenziati nell'ordine del giorno numero 76 e nelle schede della Giunta necessitano (in particolare quelli relativi insularità dei trasporti, alle crisi industriali, ai Equitalia) un approccio misto, politico e tecnico, che si sostanzia anche in provvedimenti che dovranno essere adottati dal Parlamento; per questa ragione, mentre vengono avviati i relativi tavoli tecnici e politici a livello nazionale, è opportuno che tutte le forze qui riunite vengano costantemente coinvolte con un'unica regia, affinché possano contribuire con proposte specifiche. A poco servono, da questo punto di vista, dichiarazioni demagogiche su soluzioni regionali a problematiche che sono in larga parte nazionali, come il caso di Equitalia, quali i termini temporali di chiusura. Si deve garantire un termine certo sia alla soluzione delle principali priorità (che deve essere marzo) che al confronto complessivo sugli altri punti con l'adozione di atti risolutivi finali (non oltre il mese di maggio 2012).
Azioni sulla pubblica amministrazione e semplificazione. Parallelamente è necessario che venga posta all'ordine del giorno un'azione coordinata e complessiva di profonde semplificazioni della pubblica amministrazione in sede locale, sia essa di derivazione statale, regionale o locale, questo per far diminuire drasticamente i tempi di pagamento della pubblica amministrazione e per migliorare la qualità del rapporto con le imprese.
Signor Presidente del Consiglio, riteniamo l'importante assise di oggi un primo passo verso la soluzione dei problemi, chiediamo a lei ed alla Giunta regionale, oltre che a tutto il Consiglio, che non rimanga isolato ma che possa essere verificata nel tempo sia l'efficienza che l'efficacia delle azioni poste in essere. Per parte nostra faremo tutto quanto è in nostro potere per sostenere ad accompagnare questa vertenza e, allo stesso tempo, per vigilare sulla sua attuazione, nell'interesse comune e di ogni imprenditore della Sardegna. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Nizzi.
NIZZI, parlamentare. Signor Presidente, signor Presidente della Regione, colleghi, amici, signore e signori, i dati Istat tracciano un quadro impietoso del disastro economico che ha colpito la nostra Isola, che sta scuotendo le fondamenta del nostro territorio e generando un profondo malessere nella nostra popolazione. Su 1 milione e 650 mila sardi, oltre il 20 per cento vive al di sotto della soglia di povertà, famiglie che alla fine del mese rimangono senza cibo e spesso anche senza casa; dal 2008 si è registrato un'impennata del ricorso la cassa integrazione a cui le nostre aziende sono state costrette per non dover chiudere i cancelli delle loro fabbriche, una situazione che inevitabilmente ha portato ad un decremento degli occupati e ad una disoccupazione reale che nel 2011 ha superato il 22 per cento. Si tratta di una difficile situazione cui il popolo sardo è tristemente abituato, una crisi infatti lenta e inesorabile che negli anni ha portato ad un arretramento generale dello sviluppo dell'Isola rispetto al territorio italiano. Paghiamo purtroppo la peculiarità geografica che non vede regioni attigue al nostro territorio e che sta creando un divario di opportunità che negli anni, non solo non è stato colmato, ma per contro ha aggravato pesantemente la gestione del presente. Non è un caso, quindi, se la grande crisi economica che in questi anni si è abbattuta su tutti i Paesi dell'Occidente, nel nostro caso ha amplificato una situazione che già era insostenibile.
Dallo scorso anno i sardi hanno dimostrato con i fatti di non poter, e soprattutto di non voler più tollerare la condizione attuale, e le mobilitazioni generali, qualche volta non pacifiche, sono la dimostrazione dell'enorme frustrazione che ci pervade in questo momento.
I punti fondamentali per rianimare la coesione economica e sociale della regione. Dal problema della continuità aerea e marittima, ancora non riconosciuta, a quello energetico, anche attraverso la realizzazione del metanodotto Galsi; dall'impegno per le nuove infrastrutture ai fondi FAS, alla dismissione del patrimonio pubblico non strategico; dal problema delle riscossioni da parte di Equitalia a quello del sistema creditizio, per finire con la tanto auspicata correzione delle regole del Patto di stabilità che stanno schiacciando la ripresa dell'economia. Ovviamente ci sono azioni che possono e devono essere messe in atto in tempi brevi, per togliere dalla morsa della ristrettezza finanziaria i settori più in crisi a far ripartire l'economia e quindi l'occupazione e i consumi, a mio parere su tutte queste la cosa più importante è la sburocratizzazione, lo snellimento delle pratiche amministrative. La velocizzazione della spesa non costa nulla e si può fare immediatamente, necessita soltanto di una forte e ferma volontà politica di legiferare in tal senso in tempi rapidi; altri invece abbisognano di una programmazione a lunga scadenza ma devono essere da subito messi in cantiere. Assolutamente necessari sono quelli che si riferiscono al sostegno all'indotto industriale e ai settori economici strategici quali il turismo e l'agricoltura. Riguardo al primo punto va osservato che, se è vero che lo Stato e di conseguenza la Regione non può fornire aiuti alle aziende, in questo specifico caso bisogna però tenere in debito conto la peculiarità territoriale della Sardegna che si trova, in qualsiasi settore commerciale, sempre in condizioni svantaggiate a causa dell'isolamento con il Continente: anche in questo caso sarebbe sufficiente che il Governo nazionale emettesse il decreto delegato sull'insularità perché questo sarebbe già un passo in avanti molto importante per risolvere gran parte dei problemi che attanagliano la nostra Isola.
Una condizione, come dicevo, che né lo Stato né l'Europa possono sottovalutare o non tenere in considerazione, per questo motivo però è anche indispensabile che la Regione partecipi senza tentennamenti e in maniera continuativa ai tavoli trilaterali Unione Europea-Stato-Regione per la modifica degli accordi comunitari sugli aiuti di Stato, sfruttando l'ultima occasione che ci viene data dall'avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta europea della consultazione pubblica per gli aiuti marittimi e aerei, e più in generale per i servizi di interesse economico generale, i cosiddetti SIEG, con definitiva entrata in vigore degli stessi dal 31 gennaio ultimo scorso. A tal proposito c'è da ricordare che la Sardegna vanta un primato su settori industriali particolari, non presenti sul resto del territorio nazionale, e lasciare a se stesse queste industrie in questo momento equivale sicuramente a condannarle al disastro, basta pensare al dramma dei pastori sardi, il crollo del prezzo dei prodotti aziendali, latte e carne, e allo scandaloso aumento delle materie prime.
Fa riflettere che nel 2011 l'ISTAT ha registrato un incremento del comparto industriale nazionale, tranne che nei settori presenti nell'isola: raffinazione, prodotti petroliferi, industrie tessili, energia elettrica, lavorazione dell'alluminio; aziende sarde come Alcoa, Euroallumina, Vinils, Legler, per fare qualche esempio, sono in grande difficoltà. C'è un dato che fa riflettere, la crisi ha colpito non soltanto queste grandi aziende ma anche le piccole aziende; un solo caso: in provincia di Nuoro 481 aziende del commercio e nel turismo hanno chiuso. Da questo punto di vista la Regione ha il dovere, non solo di reperire le risorse, ma anche di svolgere la sua fondamentale funzione di mediatore tra le varie parti sociali per la ricerca del bene comune.
Ad aggravare la situazione in cui versano i lavoratori in crisi è anche l'estrema lentezza con cui vengono erogati gli ammortizzatori sociali da parte dell'Inps, che arrivano anche con 15 mesi di ritardo, vanificando il senso stesso della misura economica. Così, mentre i sardi aspettano i fondi dello Stato, Equitalia mette in atto prelievi forzosi a vessatori mettendo sul lastrico migliaia di famiglie: anche su questo sicuramente una battaglia unitaria di tutti noi non sarebbe da lasciare in secondo ordine.
Se poi contiamo i denari che lo Stato deve alla Regione, sia per bilanciare lo scompenso dovuto all'insularità che per il risarcimento dovuto per l'utilizzo dei territori a scopi militari che per ovviare al divario infrastrutturale sia ferroviario che stradale della regione, le condizioni per una sicura ripresa non mancheranno di certo.
La nostra terra ha tanto da offrire ma le va data l'opportunità di dimostrare che tutte le sue ricchezze, il suo patrimonio culturale, le tradizioni e i suoi valori che contraddistinguono in tutto il mondo, il popolo sardo non possono essere lasciate a se stesse. Un territorio che per la sua specificità è votato al turismo, un settore che può e deve essere messo a profitto. Purtroppo in questo momento vantiamo anche il tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti di Europa con il 38,8 per cento. Significa che se continueremo così i nostri giovani ancora una volta non potranno svolgere la loro azione nella nostra isola ma dovranno e saranno costretti così come hanno fatto già i nostri genitori e chi prima di loro ad andare fuori dalla Sardegna. La nostra azione è congiunta, dovrà essere improntata a far capire al governo nazionale che alla Sardegna non serve un piano di gestione della crisi ma un progetto di sviluppo, non bisogna gestire l'esistente ma creare nuove possibilità di crescita. Ciascuno di noi ha tentato e continua a tentare quotidianamente di dare risposte alle necessità della nostra gente, a noi stessi, ma ancor più oggi paghiamo la tremenda maledizione che ci portiamo dietro ormai da secoli, quella di essere pochi, sciocchi e disuniti.
L'immensa crisi in cui ci troviamo immersi può è deve essere affrontata in un solo modo con l'unità, unità di pensiero, unità di azione costruendo un fronte comune con forze sindacali e organizzazioni datoriali, istituti di credito, rappresentanti istituzionali degli enti locali e della Regione, forze politiche e normali cittadini. Tutti assieme a trovare e condividere programmi di sviluppo, a scegliere le priorità d'azione e sostenerle in maniera decisa e unitaria sui vari tavoli di confronto tralasciando una volta per tutte la velleità dei singoli per il bene comune. Siamo in una situazione in cui anche l'ultimo treno sta passando e noi non dobbiamo buttare a mare l'unico biglietto che abbiamo. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente dell'ANCI, Erriu.
ERRIU, presidente dell'ANCI. Anche il sistema delle autonomie locali rappresentato dall'ANCI vuole dare un proprio contributo in questo contesto così autorevole e largamente rappresentativo del popolo sardo e delle proprie istituzioni, quindi il mio saluto va a tutti presenti. Il contributo è necessariamente schematico perché sottintende il lavoro importante, intenso, frutto di elaborazione collettiva che è sintetizzato nel documento che la Giunta ha predisposto e di cui ha riferito anche il rappresentante della Confartigianato su cui anche noi vogliamo esprimere il massimo della condivisione, del sostegno in un'ottica unitaria in rapporto soprattutto al blocco centrale delle rivendicazioni che vi sono contenute che riguardano appunto la revisione del patto di stabilità interno, la vertenza entrate e lo sblocco dei fondi FAS che mi paiono i tre punti centrali. Questa vertenza Sardegna intende giustamente rimettere al centro del dibattito non dico la nostra costante autonomistica di popolo ma l'idea stessa di autonomia e di sussidiarietà così com'è stata ridisegnata dalla riforma del titolo quinto della Costituzione che viene pesantemente rimessa in discussione dal governo. Quindi autonomia intesa non tanto come difesa delle comunità locali contro il potere centrale, ma per come la leggiamo noi, per come la leggo io l'autonomia messa in discussione oggi è quella nuova autonomia di tipo relazionale grazie alla quale non ci devono essere e non ci dovranno essere più centri o periferie ma ogni soggetto apparterrà al sistema e sarà in grado di interagire con pari dignità con altri soggetti in maniera del tutto autonoma. Eravamo convinti che fosse stato metabolizzato il passaggio da un tipo di autonomia a raggiera a un tipo di autonomia a rete nella quale dalla molteplicità e dalla ricchezza delle autonomie si potesse liberare energie, si potesse valorizzare idee, competenze utili alla crescita e allo sviluppo soprattutto funzionali ad un corretto ed equiordinato dispiegarsi di rapporti istituzionali. Dobbiamo constatare che non è più cosi, vi sono ostacoli pesanti da superare, sono moltissimi ormai i punti di differenziazione tra il sistema delle autonomie e il governo centrale, differenze che ci hanno portato in molti casi ai limiti del conflitto istituzionale. Mi riferisco per esempio al tema della tesoreria unica, alla decisione unilaterale di caricare sulle spalle dei comuni i costi relativi ad apparati di sicurezza pubblica e ad uffici giudiziari periferici, all'istituzione come ha detto il sindaco di Cagliari di una nuova imposta che di municipale porta solo il nome e la volontà di utilizzare i comuni come agenti di riscossione per conto dello Stato. La lista potrebbe anche continuare. In questi giorni, in queste settimane molti comuni stanno predisponendo i bilanci di previsione 2012 e c'è grande incertezza come potete immaginare a causa di un metodo di calcolo delle poste in bilancio che non è chiaro perché la stima del gettito IMU prodotto dal Ministero dell'economia è di molto, di moltissimo differente rispetto ai dati sul gettito ICI riportati nei consuntivi dei comuni anche molto distanti dalle proiezioni che sono state fatte e che vengono fatte dai comuni anche con il supporto dell'ANCI. Però se mi permettete, il tema sul quale voglio soffermarmi con particolare evidenza riguarda la rivisitazione del patto di stabilità, in un'ottica di maggiore flessibilità e pur nel rispetto degli impegni europei. Il tema è di particolare importanza, di particolarissima importanza per noi perché riguarda il ripristino dell'autonomia organizzativa dei comuni necessaria per poter svolgere tutti i compiti di erogazione dei servizi essenziali ai cittadini e alle comunità e a maggior ragione in un contesto, in un momento di particolare difficoltà come quello che stiamo attraversando. Allora siamo tutti d'accordo nel considerare, anche su questo qualcuno si è soffermato, che il principio di autonomia è fortemente correlato al principio di responsabilità. Ora i numeri stanno lì a dimostrare che i comuni nel corso degli anni il senso di responsabilità ce l'hanno avuto e lo hanno dimostrato nei fatti. Senza ombra di dubbio i numeri dimostrano che i comuni non sono i figli spreconi dell'apparato statale, anzi dal 2007 ad oggi sono circa 13 miliardi il saldo positivo portato al comparto della pubblica amministrazione dagli enti pubblici. Qualche dato che voglio riferirvi e che noi abbiamo approfondito grazie alle previsioni e alle simulazioni dell'IFEL può essere utile per capire in quale direzione i comuni sardi si stanno volgendo. Nel 2012 in Sardegna il contributo finanziario dei comuni con più di 5000 abitanti e quindi quelli che sono sottoposti al patto di stabilità ipotizzando uno scenario di numerosità di enti virtuosi pari al 10 per cento prevede un importo complessivo di 172 milioni di euro, sono tutti soldi che vengono sottratti agli investimenti nella direzione che diceva il rappresentante della Confartigianato. Il contributo finanziario pro capite è di 152 euro, è il più alto fra tutte le Regioni d'Italia, il più alto in assoluto. Solo il comune di Cagliari contribuirà con 33 milioni di euro, il comune di Sassari con 19 milioni di euro. Nel 2013 come sapete bene saranno sottoposti al patto di stabilità anche i comuni al di sotto dei 5000 abitanti, tra i 1000 e i 5000 abitanti, e anche su questo abbiamo fatto una simulazione e lo scenario che si prefigura è ancora più drammatico. Ipotizzando sempre una numerosità dei comuni virtuosi pari al 10 per cento, perché questo ci consente di fare delle cifre attendibili, i comuni sardi dovranno contribuire nel 2013 con 243 milioni di euro e anche in questo caso la spesa pro capite è di 151 euro per abitante, la più alta di tutte le Regioni d'Italia.
L'estensione del patto a tutti i comuni, anche quelli piccoli, ridistribuisce diciamo l'onere di risanamento su tutti i comuni, però evidentemente come tutti quanti voi potete immaginare nei comuni piccoli, nei comuni dell'interno questo comporterà dei gravi danni, perché inciderà pesantemente sulle dinamiche di spopolamento e sull'acuirsi di fenomeni di disagio sociale. C'è un altro punto che voglio segnalare e riguarda lo sblocco dell'aliquota addizionale Irpef comunale. Come sapete, adesso è concesso portarla sino a un massimo dell'… percento, l'obiettivo sarebbe quello di compensare diciamo i minori trasferimenti attraverso l'incremento dell'addizionale. Qui da noi l'aliquota media, al 2009, era dello 0.45 percento, anche qua ipotizzando un incremento dello 0.35 percento avremo una variazione di gettito complessiva di 41 milioni. La quota di contributo 2012 coperto dall'incremento dell'aliquota sarà del 4.3 percento rispetto al totale, e l'impatto su ciascun contribuente sarà di 35 euro per abitante. La quota dei comuni che compenseranno integralmente il contributo sarà pari a zero. Sostanzialmente c'è una perdita netta da parte delle amministrazioni comunali nelle entrate. Quindi il combinato disposto dell'inasprimento degli obiettivi del patto e il contemporaneo sblocco dell'addizionale Irpef indurranno inevitabilmente i comuni a trovare le risorse attraverso il canale dell'autonomia tributaria. Al di là della dubbia efficacia di questo risultato, perché i comuni dovranno andare a chiedere i soldi a chi non ce li ha, a chi non è più in grado di sostenere, le cose di Equitalia le conosciamo tutti, si produce il risultato pernicioso di far diventare i comuni esattori dello Stato. Attraverso le imposte locali verranno finanziati i servizi, e invece di incentivare in questo modo i comportamenti responsabili dei sindaci, che era l'obiettivo verso il quale si tendeva attraverso il federalismo fiscale, si comprime l'autonomia tributaria. In questo modo si livella tutto verso il basso, l'aliquota massima sarà obbligatoria per tutti, e se adesso viene adottata solo dal 15 percento dei comuni, è facile prevedere che a partire dall'anno prossimo, noi abbiamo stimato il 95 percento dei comuni saranno obbligati ad applicare l'aliquota massima…
(Interruzione audio)
Questo è il quadro, ed è un quadro drammatico che comporterà da parte di tutti il senso di responsabilità. Le autonomie e l'ANCI faranno il loro dovere perché ci sia unità d'intenti, e le autonomie locali con le parti sociali e la Regione portino avanti unita la propria rivendicazione.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale della UIL, Ticca.
TICCA, segretario generale della UIL. Presidente, proverò in estrema sintesi a fare qualche riflessione operativa sulle prospettive di sviluppo della Sardegna. Non spenderò parole e numeri per segnalare la dimensione della crisi, è stato già fatto molto bene, che ci consegna prospettive a breve del tutto negative, e prospettive a medio alquanto incerte. Mi piace una frase famosa che diceva: "Ogni crisi è un'opportunità sotto mentite spoglie", anch'io concordo che da questa crisi, oltre alle ricadute evidentemente negative che soffriranno molti sardi e le nostre imprese, noi dobbiamo ricavare la parte positiva. Nel merito del tema la parte positiva può essere quella di mettere ordine nel sistema di scelte programmatiche, rapporti, regole, che la Sardegna sul suo progetto di sviluppo non ha saputo fare da decenni. Mi occupo di sindacato da diversi anni, ho letto decine di proposte di modelli di sviluppo della Sardegna, nessuno di quelli che si ponevano un obiettivo più strategico e più generale è andato a buon fine, ciò significa che siamo ancora fermi concettualmente al piano di rinascita, al vecchio progetto di industrializzazione della Sardegna, che è il punto da cui secondo me dobbiamo partire se vogliamo, e io penso dobbiamo, fare dei passi avanti rispetto a quelle intuizioni. Grandi intuizioni e grandi idee quelle, che hanno dimostrato tanti aspetti positivi in quel determinato periodo storico, che non intendo sottovalutare, e in questi termini ci sono ancora situazioni che hanno retto fino ai giorni nostri, addirittura meglio delle aspettative, l'impatto della crisi sarda, e questo è anche merito degli effetti di trascinamento di quel modello. Tuttavia in questi anni abbiamo anche misurato con mano i limiti e i punti di difficoltà che quel modello poneva per il cambiamento strutturale e culturale di tutto il sistema Sardegna. A questo punto è tempo di porre mano seriamente e di parlare di una vera riforma strutturale del modello di sviluppo della Sardegna.
Qui faccio una prima riflessione. Apprezzo lo spirito che anima questa iniziativa di convocazione dell'Assemblea degli Stati generali, e ringrazio il Consiglio regionale, e lei Presidente, per averla offerta, spero che da questa sede istituzionale partano decisioni importanti con una condivisione nei principi di fondo da parte delle comunità, che a quelle decisioni fanno riferimento, e che da quelle decisioni saranno coinvolte, saranno coinvolte negli interessi, nell'operatività, nella gestione quotidiana. Fra i diversi problemi che frenano lo sviluppo della Sardegna quello che porta la maggiore responsabilità è il bassissimo livello di infrastrutturazione che non ha eguali in nessun'altra Regione d'Italia. Senza efficienti reti energetiche, senza reti di trasporto e di telecomunicazione l'attività di impresa è condannata a scontare un divario di produttività, che nessuna politica di incentivi, e nessuna riforma del mercato del lavoro, è in grado di contrastare. L'inadeguatezza della dotazione infrastrutturale rende inefficaci le politiche per l'attrazione degli investimenti. La Sardegna, secondo gli indicatori disponibili, presenta un livello di dotazione pari appena al 50 percento rispetto ad una media di 100 per l'Italia nel suo complesso. Questo dato decisamente negativo è tuttavia ancor più impressionante se si tiene conto della congestione e del degrado di molte delle infrastrutture esistenti. Per quelle idriche siamo a meno della metà dei valori medi nazionali, altrettanto per le comunicazioni e per l'energia, per quanto riguarda l'estensione della rete ferroviaria la Sardegna rappresenta poco più dello zero percento del totale italiano. Il peso di questo ritardo, accumulato dalla Sardegna, e tra i responsabili principali del divario di sviluppo, e di conseguenza della nostra economia. Come sindacato, riteniamo necessario un programma d'investimenti prioritari, integrati e coordinarti, che punti non solo a ripianare il deficit pregresso di quantità e qualità delle infrastrutture fisiche, settore idrico, smaltimento rifiuti, energia, reti di trasporto, ma anche sul rapido sviluppo delle infrastrutture immateriali, banda larga e strutture di ricerca e sviluppo tecnologico, essenziali entrambi per favorire l'innovazione che ha un ruolo di primo piano per lo sviluppo della Sardegna e per un'elevata competitività del paese. Come sindacato, non possiamo consentire, anche se le difficoltà in cui versano i conti pubblici non lasciano troppi spazi d'intervento, che si rimandi il problema Sardegna. Senza infrastrutture non si può modernizzare questa Regione, a loro dovrà essere dedicata gran parte di un progetto per lo sviluppo. Abbiamo molti ritardi importanti da colmare su diversi settori di base, trasporti, energia, telecomunicazioni, bisogna quantificare l'adeguatezza delle risorse necessarie, chiarendo al Governo centrale che le risorse destinate fino ad oggi alla Sardegna sono comunque inferiori a quelle realmente spettanti. Come sindacato chiediamo al Governo regionale di assumere una iniziativa forte, ufficiale per rappresentare al Governo nazionale la gravità della situazione che vive quest'Isola e la necessità di apertura di un tavolo che deve essere un tavolo politico.
Crescono e diventano sempre più gravi segnali di cedimento dei grandi insediamenti industriali, in tutti i settori, intere filiere produttive sono investite da processi di crisi che ne minacciano l'esistenza, tutto ciò avviene in Sardegna mentre l'orizzonte europeo ci costringe a misurarci, come non mai, con i temi dello sviluppo e della coesione, stiamo facendo i conti con nuove esigenze, nuove povertà, nuovi squilibri e proprio la straordinarietà di questa fase, cioè la collocazione della Sardegna nel nuovo contesto nazionale ed europeo, ad essere ancora sottovalutata da larghi settori delle classi dirigenti.
Al di là degli sforzi generali di programmazione si continua infatti ad operare con una vecchia logica, impegnando risorse a prescindere dai risultati, innestando gli interventi straordinari sui tradizionali canali ordinari e facendo venire meno quella aggiuntività necessaria per produrre effetti nuovi. Manca nuova progettazione, si continua a raschiare il barile dei vecchi progetti, oggi però questo meccanismo non è più sufficiente.
E' giunto in maniera non più rinviabile nel momento in cui si deve fornire nuovi progetti in grado di elevare la competitività del sistema Sardegna, non limitandosi più ad una gestione ordinaria dell'esistente, non possiamo rischiare ancora una volta di perdere l'occasione del riequilibrio e della coesione. Abbiamo bisogno di nuove risorse da impegnare per nuova e qualificata progettazione, è necessario un grande impegno per riprogrammare. Il 2012 per la Sardegna deve essere l'anno dell'accelerazione e per raggiungere questo traguardo Cgil, Cisl e Uil hanno costruito momenti specifici d'iniziativa per chiedere l'apertura di un tavolo di confronto fra Governo, Regione e parti sociali, utile a rimuovere lentezze e ridare nuovo smalto alla programmazione, per far incontrare opportunità di investimento con bisogni e potenzialità del territorio sardo. In passato abbiamo potuto affrontare positivamente momenti difficili della vita economica e sociale, garantire l'avvio di importanti risanamenti economici perché si è riusciti a trovare un equilibrio tra esigenze finanziarie ed equità sociale, tutto ciò è ancora più importante oggi sui temi dello sviluppo della Sardegna in quanto le politiche di innovazione presuppongono una condivisione larga, non solo istituzionale ma anche sociale e degli obiettivi.
Il metodo che proponiamo è quello del dialogo della costruzione unitaria delle idee forza per far avanzare progetti di sviluppo e di coesione, è una sfida difficile e ambiziosa…
PRESIDENTE. La invito a concludere, grazie.
TICCA, segretario generale della UIL. …problemi da affrontare e ciò presuppone una nuova dimensione dell'impegno di tutti e una diversa concezione delle relazioni sindacali, è possibile costruirla, è necessario l'impegno di tutti, grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il prorettore vicario dell'Università di Cagliari, Ledda.
LEDDA, prorettore vicario dell'Università di Cagliari. Signor Presidente, autorità, signore e signori, a nome del Università di Cagliari ringrazio per l'invito per il contributo di idee richiesto. Siamo tutti a conoscenza del fatto, e oggi è stato più volte ripetuto, che in Sardegna il livello delle infrastrutture economiche e sociali è decisamente inferiore alla media nazionale e la condizione insulare non è certamente alleviata o mitigata dalle adeguate condizioni di continuità territoriali, tali condizioni costituiscono un freno per il sistema imprenditoriale e istituzionale regionale e per la sua potenzialità a competere sui mercati nazionali ed internazionali, penalizzando così l'opportunità di crescita delle nuove generazioni. E' pertanto indispensabile che nel confronto con il Governo l'obiettivo prioritario da perseguire sia quello della richiesta volta ad ottenere condizioni infrastrutturali almeno pari alla media nazionale. Il rendere maggiormente competitivo il sistema regionale è fondamentale per contrastare efficacemente da un lato la tendenza prevalente nei paesi europei sempre più insofferenti a finanziare politiche sostanzialmente assistenziali, dall'altro la pressione competitiva di nuovi paesi emergenti spinti dal tentativo di migliorare il loro Welfare verso livelli qualitativi più vicini a quelli europei.
Nei prossimi anni l'Isola non potrà più continuare a disporre di un reddito spendibile superiore a quanto effettivamente prodotto, colmato periodicamente dai trasferimenti statali e dalle politiche assistenziali, una situazione che in passato ha interessato strati non marginali della popolazione. Nella prospettiva di una sana competizione nell'economia della conoscenza occorre valorizzare tutti i saperi, partendo da quelli tradizionali riconducibili alla nostra identità ma, soprattutto, occorre impegnarsi a creare tutte le possibili sinergie derivanti dalla ricerca dell'innovazione scientifica e tecnologica. Tuttavia per poter affrontare efficacemente tale competizione occorre disporre di un capitale umano dotato di elevato livello culturale e professionale. La qualità del sistema universitario regionale costituisce pertanto una fondamentale infrastruttura al servizio del territorio per la sua attività di alta formazione e di diffusione della ricerca scientifica. E' importante sottolineare che proprio nei momenti di crisi come quello attuale investire nell'alta formazione, nella ricerca e nell'innovazione deve rappresentare una priorità assoluta ed irrinunciabile quale vero motore per promuovere un'efficace e sostenibile strategia di crescita. E' importante a questo punto sostenere quelle famiglie che in questo momento potrebbero essere costrette a tagliare le spese proprio nel campo dell'istruzione dei figli. Questa decisione porterebbe in un breve arco di tempo alla riduzione della formazione del capitale umano che ci farebbe inevitabilmente e forse irrimediabilmente precipitare in una crisi economica e sociale ancora maggiore. Di recente sono apparsi diversi articoli sulla stampa che hanno proprio evidenziato il fatto che è meglio avere più laureati piuttosto che materie prime, prendendo in considerazione i diversi esempi importanti, quindi dobbiamo incoraggiare e sostenere queste famiglie a prendere scelte consapevoli per il futuro dei propri figli ricordandoci sempre che i paesi più sviluppati sono anche quelli che mostrano il livello di istruzione maggiore. Purtroppo negli ultimi anni il nostro patrimonio culturale è stato scarsamente tutelato al Governo che da tempo non investe nella formazione di livello, nelle strutture edilizie universitarie e nel rinnovamento tecnologico. La recente riforma Gelmini, inoltre, ha attivato tagli pesanti sulla dotazione di funzionamento ordinario e sugli organici, ha introdotto penalizzazioni retributive normative al personale e ha fortemente rivisto il sostegno del diritto allo studio, quello reale. L'Ateneo di Cagliari con la lungimirante collaborazione della Giunta e del Consiglio regionale ha razionalizzato i modelli di comportamento premiando la qualità e il merito rivedendo le sue strutture organizzative, si pensi soltanto al passaggio da 44 a 17 dipartimenti appena effettuato. L'Ateneo di Cagliari non ha però ceduto nella sua missione e, nonostante i tagli, anzi, han migliorato la qualità della didattica e della ricerca come testimoniato anche dai dati ministeriali e dai numerosi rating internazionali che colloca il nostro Ateneo nel (…) terzo superiore a tutti gli atenei italiani.
L'obiettivo strategico del nostro ateneo è concorre a rafforzare il sostegno e lo sviluppo al territorio. Sentiamo il dovere di essere il riferimento scientifico e culturale di eccellenza per la realtà territoriale, pronti ad intervenire a sostegno delle iniziative di sviluppo. Vorrei solo citare l'ultimo esempio positivo di questa collaborazione che ha visto la riconversione del polo petrolchimico di Porto Torres in cui siamo coinvolti insieme all'Ateneo di Sassari.
Nella realtà regionale l'Ateneo di Cagliari, con i suoi 34 mila iscritti e oltre 4000 laureati l'anno, è un potente strumento che alimenta l'ascensore sociale delle famiglie e devo dire che è importante ancora adesso sottolineare il fatto che anche oggi il 40 per cento dei laureati proviene da famiglie i cui genitori non hanno conseguito un diploma di scuola media superiore. Ma l'Ateneo è anche in grado di confrontarsi in ambito internazionale con le sue centinaia di rapporti di collaborazione didattica e scientifica, con i numerosi scambi di ricercatori e studenti con atenei di Paesi europei ed extraeuropei e rappresenta il più grande ponte virtuale che collega l'Isola con il resto del mondo. Siamo aperti e competitivi in ambito internazionale mantenendo un'attenzione particolare alla collaborazione con le realtà socio-economiche e culturali dell'area del Mediterraneo.
Signor Presidente, il Piano del Sud ha assegnato, dopo anni di blocco, risorse importanti sui fondi FAS agli atenei sardi. Questo finanziamento potrà contribuire a ridurre lo storico divario infrastrutturale con le aree più ricche del Paese e fare un deciso salto di qualità dopo tanti anni nelle strutture per la didattica, per la ricerca, per l'attività sanitaria e potrà rafforzare i servizi per il diritto allo studio. Crediamo che progetti così importanti debbano essere difesi con decisione dalla classe politica regionale affinché trovino al più presto concretezza garantendo l'effettiva disponibilità delle risorse. Per quanto riguarda l'ateneo siamo pronti a partire con progetti immediatamente realizzabili. Vorremmo sottolineare, inoltre, che il completamento della Cittadella universitaria di Monserrato, del Policlinico universitario e l'avvio dei centri servizi per la ricerca comuni per l'ateneo, solo per citare le opere significative, non soltanto costituiscono infrastrutture fondamentali per il territorio, ma rappresentano opere che per la loro dimensione economica contribuiscono sicuramente a dare un significativo contributo alla ripresa del settore regionale dell'edilizia pubblica.
Termino ringraziandovi ancora una volta per averci dato la possibilità di portare il nostro intervento e sottolineando ancora una volta che il sistema universitario sardo, grazie alle competenze presenti, è pronto a dare il suo contributo per la crescita del territorio. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Mereu.
MEREU, parlamentare. Grazie Presidente. Saluto tutti i presenti. Io credo che sia difficile non essere d'accordo con chi mi ha preceduto perché l'analisi è stata fatta in una maniera quasi perfetta. Il problema però che vorrei porre in evidenza è che noi oggi qui siamo riuniti dopo una giornata di sciopero che c'è stata in Sardegna, uno sciopero non tranquillo, uno sciopero come magari se ne possono fare tanti e che riguardano il futuro della nostra stessa Sardegna in un futuro un po' più tranquillo. Questo era uno sciopero purtroppo, io dico, di disperazione perché in effetti alla Sardegna oggi manca la speranza, manca la speranza agli universitari, ai laureati a cui si faceva cenno prima, che trovano effettivamente una grandissima difficoltà. Oggi la politica, parlando con questi giovani, si trova veramente di fronte delle persone che hanno anche momenti di frustrazione perché chi normalmente si laurea con ottimi voti e poi non trova una collocazione non è semplicemente un disoccupato, è uno che ha problemi, e quindi noi non possiamo non tenere conto di questa situazione che c'è in Sardegna e contemporaneamente non possiamo non tenere conto della situazione che c'è a livello nazionale e a livello europeo. Io credo che non tenere conto, per esempio, che l'industria oggi è basilare per la Sardegna, è basilare perché occupa un'infinità di persone e comunque distribuisce redditi alti senza i quali non è possibile pensare che la Sardegna possa trovare sviluppo negli altri comparti. Quindi l'affermazione che l'industria in Sardegna è fondamentale la dobbiamo ribadire continuamente, ed è un'industria che non è in difficoltà perché noi sardi siamo scarsi, e un'industria che è in difficoltà per i motivi che noi tutti conosciamo e che sono alla base delle difficoltà nella Sardegna di tutte le proprie strutture e che riguarda la propria insularità. Quindi è necessario ribadirlo questo. Abbiamo industrie che sono in grado di esportare che, se fossero spostate di qualche chilometro nell'entroterra, probabilmente non subirebbero questo. Ma a chi dobbiamo dirlo questo? Lo dobbiamo dire a un Governo, quel Governo che c'è oggi, che tutti abbiamo voluto, e io che sono dell'U.D.C. a maggior ragione, ma che è frutto di una situazione politica che non ha voluto affrontare i temi forti del nostro Paese e quindi la prima cosa che noi dobbiamo ribadire e che dobbiamo chiedere è che ci sia un'alleanza politica per affrontare questi problemi. Non ci possiamo permettere differenziazioni di sorta e quindi i tavoli che noi approntiamo per risolvere i problemi della nostra regione, che oggi sono un'infinità, perché ci vanno i comuni, ci vanno i sindaci, ci vanno i sindacati, ci vado io, ci va l'amico mio, ci vanno tutti, in effetti anziché portare frutto danno a chi io dico non vuole, ma può darsi che anche lui sia in difficoltà, e quindi danno la possibilità di non affrontarli concretamente. Quindi noi oggi dobbiamo concretizzare una fase politica su dei punti sotto i quali non si può andare. Come lo dobbiamo risolvere? La crisi che noi abbiamo è una crisi che sicuramente viene da lontano e che coinvolge l'Europa, quindi non possiamo pensare che la Sardegna possa risolvere la propria crisi pensando di risolverla da sola; è come dire che una famiglia possa risolvere i problemi di una città. La nostra crisi è anche la crisi degli altri e quindi deve essere affrontata sinergicamente perché oggi il Governo tecnico che noi abbiamo, e che fortunatamente ci ha portato via e ci sta portando via da una situazione difficile a livello europeo, però di fatto che cosa fa? E' insito in una politica europea che contribuisce a far diventare forte chi è già forte e la politica rinuncia al suo lavoro quando si dimentica che la politica deve difendere il debole, deve difendere chi è in difficoltà, perché chi è già ricco non ha bisogno! Io vi posso garantire, parlavamo di infrastrutture… ma state scherzando? Le infrastrutture che l'Europa oggi sta cercando di portare avanti sono lontane non dalla Sardegna, sono lontane dal Meridione! Quando parlavano prima qui di ADSL a banda larga, ma chi fa le infrastrutture per gli investitori privati, che non ci sono? Tra le dieci città che vogliono prima di tutto collegare non c'è una città del Meridione, sono tutte città del Settentrione! E quando velocizziamo i trasporti li velocizziamo dove sicuramente c'è un ritorno per chi deve investire. Ma la politica deve fare un'azione diversa! La politica deve favorire quegli investitori che in una zona difficile devono comunque trovare un riscontro e non possiamo abbandonarli. Quindi noi dobbiamo insistere perché nella Sardegna industriale ci siano iniziative concrete che purtroppo, secondo me, anche se i colleghi spesso e volentieri mi dicono che ho torto, ma io sono fermamente convinto che l'azione politica del nostro Governo sarà insufficiente se non va a cozzare contro quelli che sono gli interessi europei, perché di fatto così stanno facendo per altri motivi. Quindi quando noi parliamo anche di energia, non possiamo non tenere presente, e mi dispiace… noi abbiamo approvato in Parlamento la legge numero 80 che riguardava l'energia e quindi le tariffe cosiddette agevolate, che non dobbiamo più nominare perché questa agevolazione non fa parte, è un diritto di una Sardegna che si trova in difficoltà, ma quelle tariffe noi non siamo stati capaci di difenderle dimenticando una cosa fondamentale, che erano state stabilite dall'Authority per l'energia e gas, quindi non è stata stabilita da nessuno di noi, ma è stata stabilita attraverso un bando concorsuale europeo basato sull'analisi di borse europee, quindi quando lì c'è scritto che la Sardegna è penalizzata, non lo scriviamo noi sardi, lo scrivono i tecnici internazionali, e quindi dovevamo approfittare per dire che lì avevamo ragione e dobbiamo insistere in questa situazione perché diversamente ci vedranno perdenti. Noi non possiamo permettere che oggi le politiche continuino a essere in questo senso perché ne va di mezzo il nostro stesso sviluppo. Quindi credo che il primo compito nostro, di chi fa politica, di chi può rappresentare nel piccolo, come me, è farsi promotore all'interno dei propri gruppi, per esempio parlamentari per quanto riguarda la politica nazionale, che cosa vogliamo fare a livello nazionale, perché diversamente (…) L'iniziativa personale è sicuramente da elogiare ma non porta quei frutti che potrebbe portare se invece a livello nazionale finalmente qualcuno si rendesse conto che le regioni deboli devono essere aiutate.
E quindi dico non possiamo continuare noi a pensare che per esempio siano favoriti oggi i collegamenti navali tra terra e terra, mi spiego meglio. Oggi l'Europa finanzia Salerno - Genova in nave e non finanzia la Sardegna perché dice: li siete obbligati, io devo finanziarie la concorrenza. E quindi là dove si va in treno io devo dimostrare che con la nave si paga di meno, si risparmia e quindi la finanzio. Ma scherziamo e noi rimaniamo fuori e rimaniamo zitti, non è possibile. Quando noi siamo fuori da questi collegamenti, dai collegamenti ferroviari, ma le infrastrutture in Sardegna le faremo mai, mai le faremo, perché hanno un costo esagerato rispetto all'utilità, perché tra l'altro noi speriamo e vogliamo, e anche questa è una mentalità da togliere, perché nelle altre nazioni europee le tariffe per esempio del biglietto ferroviario è molto più alto del nostro. Quindi non bisogna dire ai cittadini dovete pagare zero, perché purtroppo bisogna contribuire perché l'infrastruttura è carissima rispetto al servizio, però nel dirgli di pagare un po' di più dobbiamo dare anche un servizio degno di tale nome. Invece noi non ci riusciamo perché oggi la ferrovia non viene usata non tanto perché non conviene perché non si sa né quando parte, né quando arrivi e né quanto ci metti. Quindi nessun professionista serio può usufruire di un mezzo di questa natura. Perché è chiaro che dovrà usare la propria macchina.
Quindi, io, per non fare un discorso lungo e complesso, io credo che dobbiamo in questo momento pur ritenendo che è necessario fare una programmazione diversa, la politica deve cambiare la mentalità che finora l'ha portata qui, perché se oggi siamo qui è chiaro che lo dobbiamo ai nostri padri, a quel tipo di politica ma evidente siamo arrivati ad un momento di saturazione e quindi dobbiamo cambiare. Di questo ne dobbiamo essere tutti consapevoli. (…) A difendere chi è in difficoltà per dare lavoro soprattutto oggi ai nostri disoccupati che non è possibile che stiano ancora guardare queste cose.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il vicepresidente del Consiglio delle autonomie locali, Contini.
CONTINI, vicepresidente del Consiglio delle autonomie locali. Governatore, Assessori regionali, rappresentanti delle parti sociali, rappresentanti delle istituzioni, parlamentari sardi un sentito ringraziamento alla presidente Claudia Lombardo e a tutto il Consiglio regionale della Sardegna per aver avuto la grande intuizione, dimostrando sensibilità e lungimiranza, di chiamare a raccolta il popolo sardo per affrontare assieme e uniti una crisi che tocca diversi ambiti della vita sociale.
Crisi di dimensioni tali da assumere i caratteri di una vera e propria emergenza. Permettetemi di ringraziare i colleghi amministratori, che rappresento in qualità di Presidente del Consiglio delle autonomie locali, colleghi con i quali si è ulteriormente rafforzato il processo di dialogo, condivisione; si è consolidato lo scambio di informazioni sui termini cardine per le amministrazioni pubbliche tra difficoltà riscontrate e buone prassi da prendere a esempio.
Un lavoro che ci permette di presentarci al Consiglio regionale con uno spirito propositivo che ci deriva dalla conoscenza approfondita della situazione reale in cui vivono le nostre comunità e i nostri concittadini. Una conoscenza che è costruita attorno ai bisogni, alle necessità, alle diverse prospettive e ai numerosi progetti che ciascuno di noi ha in animo di portare avanti.
Oggi il sistema delle autonomie locali della Sardegna si presenta articolato e con caratteristiche peculiarità che possono variare anche radicalmente. Ci sono le grandi realtà urbane, con necessità proprie dei contesti metropolitani, quali quella da me amministrata, e piccoli paesi dell'entroterra che soffrono il dramma dell'isolamento e dello spopolamento. Questo è uno scenario che deve essere conosciuto anche nel dettaglio se vogliamo mettere in campo provvedimenti che siano aderenti alla situazione concreta dell'Isola.
Come Consiglio delle autonomie locali noi abbiamo più volte rivendicato, soprattutto in questi mesi, il ruolo del Consiglio come portatore di un patrimonio di sensibilità e conoscenze che risultano essere fondamentali nell'elaborazione di iniziative di legge che coinvolgano direttamente gli enti locali. Un esempio importante è rappresentato dalla necessità, da noi sollevata, di affrontare con il nostro apporto un riordino complessivo del sistema degli enti locali. Una riforma ordinamentale organica in grado di superare una volta per tutte questa fase caratterizzata da un approccio parziale e frammentario dettato spesso dalla contingenza, come in questo momento, in questi mesi dalle scadenze elettorali. Senza in questo caso una visione di insieme, i singoli interventi se pure necessari, sono destinati inevitabilmente a peggiorare e aggravare lo stato di incertezza in cui operano gli enti locali, il cui margine di manovra si sta progressivamente assottigliando.
Desidero infatti ribadire con forza un concetto che emerge nell'ambito dell'assemblea delle autonomie locali sulle riforme ordinamentali del sistema degli enti locali, il Consiglio delle autonomie locali non intende transigere. Noi rivendichiamo il ruolo di interlocutori del Consiglio regionale e vogliamo essere ascoltati nel processo di riforma e perché la nostra proposta possa essere ulteriormente arricchita stiamo organizzando proprio dei momenti di riflessione e dibattito attraverso dei convegni sul tema, mi auguro con la completa partecipazione del Consiglio regionale, proprio per affrontare insieme questo tema. Stiamo facendo questo perché siamo fermamente convinti che più di ogni altro aspetto sia oggi indispensabile avere una visione che contempli tutti punti di vista delle esperienze maturate.
Credo di esprimere un pensiero ampiamente condivisibile affermando che non possiamo più rischiare di muoverci in ordine sparso o pensare unicamente agli interessi legati al nostro territorio o alla nostra realtà. Il nostro obiettivo deve essere unicamente la Sardegna con la esse maiuscola e le sue comunità. D'altra parte nel convocare gli Stati generali del popolo sardo l'intendimento del Consiglio regionale è stato proprio questo, scattare una fotografia dettagliata della Sardegna per ascoltare e raccogliere le idee e finalmente decidere una rotta ben precisa da seguire.
Il Consiglio delle autonomie locali intende portare il suo contributo a questo processo, non intendiamo fare la lista della spesa ma offrire alcuni spunti di costruzione di una proposta unitaria. Innanzitutto, come ho già anticipato, le autonomie locali chiedono un quadro normativo di riferimento chiaro e stabile, diversi procedimenti introdotti dal Governo nazionale hanno di fatto modificato anche significativamente il contesto in cui operano gli enti locali. La riforma organica di cui ho accennato è indispensabile per definire soprattutto le nuove competenze da attribuire a ciascuno organismo in relazione all'ipotesi di una riduzione dei ruoli di alcune istituzioni. Pensiamo all'incertezza sul futuro delle province e all'eventuale ridistribuzione delle funzioni che esse attualmente svolgono. Oppure pensiamo al complesso procedimento sull'accorpamento dei comuni sotto i 1000 abitanti.
La questione della chiarezza sui ruoli e sulle competenze non è affatto secondario. Oggi le amministrazioni pubbliche sono chiamati ad assolvere una molteplicità di compiti che sono considerevolmente aumentati per effetto del grave indebitamento del tessuto sociale e perché spesso vengono a mancare i servizi prima svolti dalle istituzioni.
Le autonomie locali chiedono che venga restituita la libertà d'azione agli amministratori locali tra patto di stabilità, riforme parziali, blocco delle assunzioni, taglio ai trasferimenti, riforme fiscali che hanno citato tutte le persone intervenute prima di me, per non parlare poi della miriade di adempimenti burocratici. I comuni si sono ridotti a essere dei meri esecutori della volontà dello Stato centrale. Siamo, io dico, dei semplici gabellieri, senza neanche la possibilità di armonizzare le leggi nazionali al contesto in cui operiamo. Io infatti dico che la situazione, prima, è stata rappresentata dal collega rappresentante dei sindaci come una situazione grave, difficile, io dico disastrosa per i sindaci, questo è un inciso proprio da sindaco.
Molti colleghi sindaci lamentano un'assurda concezione del principio di sussidiarietà, non decide l'ente più vicino al cittadino, ma quello più lontano. Il risultato è che le amministrazioni oggi non possono decidere come risparmiare e come spendere le risorse, nonostante gli amministratori sappiano più di chiunque altro quali sono le priorità. Questi sono elementi che hanno una valenza straordinaria sui nostri territori. Noi registriamo, ad esempio, una gravissima debolezza del tessuto produttivo. I fornitori delle imprese d'appalto oggi non sono in grado di attendere i normali tempi della pubblica amministrazione, vengono prima mangiati da Equitalia. Evinco i dettati dal Patto di stabilità, spesso impongono un ulteriore rallentamento nei pagamenti, con conseguenze gravissime per imprese che già stentano a stare sul mercato. Le nostre sono amministrazioni chiamate a una sovrabbondanza di compiti, ma con armi spuntate. Non c'è solo una riduzione delle risorse economiche, ma stiamo anche operando con un grave sottodimensionamento degli organici. I vincoli della spesa pubblica ci impongono ad esempio un limite alle nuove assunzioni, che non possono superare il 20 per cento dei pensionamenti. Sul piano delle assunzioni, è paradossale la questione gravissima dei precari e delle tanto attese stabilizzazioni, sulle quali la Regione, per ben due volte, ha legiferato, producendo delle norme cassate dalla Corte costituzionale. Non entro nel merito dei due provvedimenti, né nel pronunciamento della Corte costituzionale, non sta a me entrare nel merito di ciò, ma voglio ricordare che oggi interi uffici rischiano da un giorno all'altro… (…) dar vita a un nuovo metodo del lavoro, dove tutti in ragione delle rispettive competenze abbiano la possibilità di offrire il loro contributo. E' giunto il momento in cui il dialogo diventi una costante e non un'eccezione. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale della CSS, Meloni.
MELONI, segretario generale della CSS. "Per intraprendere una lotta ci vuole una certa unità, ma è nella lotta che tale unità prenderà corpo e si consoliderà. Alcuni uomini, che non sono dei politici, ritengono sia giunto il momento di assumersi questo rischio, di contare su questo fattore per suscitare, da un capo all'altro della nostra Isola, una valida coscienza nazionale". "Le finzioni sono finite. I miti non possono nascondere la verità. Uno Stato sardo sovrano e indipendente è diventata l'unica strada che ai giorni nostri può portare ad una cooperazione fruttuosa non solo per la Sardegna e l'Italia, ma tra il popolo sardo, l'Europa e il resto del mondo". Così diceva Antonio Simon Mossa, a Nuoro, il 16 ottobre del 1946. Potrebbero suonare strane queste parole, quasi fuori dalla storia, in un momento in cui tutta l'attenzione è concentrata nel come uscire dalla crisi finanziaria ed economica che ha coinvolto l'intera Europa, ha schiacciato fino a spingerla al default la nazione Greca, minaccia il Portogallo e la Spagna, intimorisce e rende debolissima la stessa Italia, che è stata costretta a fare i conti con la spirale incontenibile e travolgente dello spread. La manovra "lacrime e sangue" del Governo Monti, reclamata come necessaria ed urgente, ha salvato dal baratro il Paese Italia, ma ora rischia di essere una cura troppo forte fino al timore reale di portare alla morte lo stesso malato, al punto che la stessa Corte dei conti ha voluto recentemente richiamare il Governo perché la pressione fiscale non schiacci i contribuenti onesti.
Era il 5 ottobre del 2010, in un'altra assemblea degli Stati generali, c'era sembrato di avere intrapreso la strada maestra della riforma del nostro Statuto sardo in un contesto aperto di riforma federale dello Stato, in cui concetti come sovranità e indipendenza venivano coniugati senza infingimenti nelle 10 mozioni discusse e approvate solennemente da questa stessa aula in un dibattito lungo e partecipato, iniziato nel marzo 2010 e concluso con l'ordine del giorno numero 41 del 18 novembre dello stesso anno e approvato all'unanimità. Allora, sì, si respirava un'aria anche di entusiasmo e comunque di coesione. Il diritto non solo alla discriminazione, che postula l'accettazione del pluralismo delle idee, dei popoli e delle nazioni, ma la diversità dei soggetti plurimi e diversi con le loro culture e lingue, ma anche il diritto alla non assimilazione che protegge da tutte le tentazioni vecchie e nuove al centralismo e all'appiattimento delle specificità e peculiarità. A noi sardi serve questa certezza, perché la nostra identità, fatta di cultura, limba, tradizioni, odori e sapori, paesaggi, paesi e ambienti, è un valore insopprimibile, e come tale deve essere amata e garantita quest'identità da tutti, seguendo l'esempio ed insegnamento del grande professor Giovanni Lilliu, sardus pater, a cui tutti noi ci inchiniamo profondamente commossi ad un mese dalla sua scomparsa.
Dagli Stati generali dell'ottobre 2010 sono trascorsi appena 17 mesi e tutto sembra cambiato, la stessa Europa sembra mostrare un volto da matrigna e i fondamentali di coesione e di solidarietà sembrano essere scossi in profondità, e la stessa richiesta di inserire nelle costituzioni dei singoli Stati aderenti la norma dell'obbligo del pareggio di bilancio sembra una forzatura, è comunque una presa d'atto che è finito un periodo e un'epoca intera in cui la propria debolezza poteva contare nella solidarietà dei Paesi più forti.
C'è da chiedersi allora che fine farà la nostra Sardegna, se dai dati della crisi, messi drammaticamente in risalto dagli ultimi scioperi generali sindacali, ma non solo, penso alle lotte e alle manifestazioni dei pastori, degli agricoltori, degli artigiani e commercianti, delle partite IVA, degli esecutati, dei tartassati da Equitalia sull'orlo della disperazione, per cui la Sardegna risulterebbe essere già in aria di default come la Grecia.
Le aziende sarde indebitate con il fisco, al 31 dicembre 2010, erano 64 mila e 104, ma i dati del 2011 sembrano ancora peggiori, le imprese sono 70 mila 410 a fronte di un debito da riscuotere pari ad un importo di 4,27 miliardi di euro.
Chi salverà la Sardegna dal fallimento? Vorrei essere chiaro, non sono qui a chiedere più fondi per la povertà e l'assistenza, rispetto ai quali riconosco che questo Consiglio regionale, anche nell'ultima finanziaria, pur tra mille difficoltà e oggettive ristrettezze di cassa, ha destinato rilevanti risorse, dico sommessamente, semmai ci vorrebbero più controlli e oculatezza nell'amministrazione dei soldi pubblici anche su questo versante dove crescono troppe associazioni "caritatevoli". Né ho mai nascosto la posizione mia e della Confederazione sindacale sarda che i cassaintegrati debbono essere considerati forza lavoro e come tali impegnati nei lavori socialmente utili, penso, a titolo d'esempio, alla manutenzione delle scuole, degli arredi urbani e degli archivi, pena la decadenza, in caso di rifiuto, dal loro "status" su cui occorre investire soprattutto in termini di formazione per il reinserimento nel mondo produttivo. Credo che, come ebbe a dire lo stesso Gesù Cristo nei Vangeli, rivolto agli Apostoli che gli ricordavano i poveri ogni volta che c'era da affrontare una situazione nuova: "I poveri li avrete sempre con voi…". Conosco l'esegesi e so che il riferimento era alla sua persona che da lì a poco sarebbe finita sulla croce, ma anche risorta a vita nuova. Come dire: "Bisogna andare avanti, avere il coraggio di superare l'emergenza e la necessità. Bisogna risorgere! Ebbene, a questo punto credo sia giusto e si imponga un ripensamento radicale. Se la Sardegna ha solo 450.000 lavoratori dipendenti effettivi, se i cassaintegrati superano i 100.000 e i dati ci dicono che vi sono più di 350 mila famiglie che vivono sotto la soglia di povertà e che i disoccupati sono, compresi i cosiddetti scoraggiati, il 24 per cento e i giovani disoccupati balzano al 44 per cento, questa realtà non ci aiuta ad uscire dalla crisi, anzi, è essa stessa la fotografia impietosa di una crisi di sistema rispetto alla quale l'unica via d'uscita e la crescita che, soprattutto in Sardegna, significa investire in un nuovo modello di sviluppo. Sono convinto che prima ancora dei soldi, che giustamente rivendichiamo ci siano restituiti dallo Stato, uniti tutti insieme nella vertenza Sardegna, dobbiamo avere il progetto di come vogliamo investire queste risorse. Se lo Stato italiano non ha in questo momento la disponibilità di cassa, conceda da subito alla Sardegna di poter andare in deroga per almeno tre anni al patto di stabilità, in modo che il bilancio regionale liberi maggiori risorse sul piano della crescita, di sostegno alle imprese e posti di lavoro, alla ricerca, alla cultura e alla scuola e, di conseguenza, sciolga dal patto di stabilità le rilevanti risorse ora bloccate nelle casse dei nostri Comuni. Mi rivolgo a voi tutti che siete la classe dirigente di questa nostra Isola. Non accettiamo che siano gli altri dall'esterno, come avvenne negli anni 60 e 70, a disegnare il nostro sviluppo. Noi sardi abbiamo l'intelligenza e le forze per sognarlo e progettarlo questo nostro futuro, con uno slancio corale di popolo, legando questo nuovo sviluppo alle nostre risorse locali, sapendo coniugare turismo, ambiente, ricerca e lavoro. Dobbiamo realizzare e sfruttare la grande occasione di sviluppo che sono i porti franchi, dobbiamo rinnovare e modernizzare il comparto agroalimentare puntando sull'agricoltura e pastorizia, legate all'industria di conservazione e trasformazione dei prodotti. Ma occorre scegliere le priorità sapendo che il tempo non è a nostro favore e che, anzi, è sempre più tiranno. Vogliamo discutere in casa nostra, qui, in questo Consiglio regionale, le scelte sulla chimica verde e sul Galsi senza condizionamenti e barriere. Vogliamo trovare noi il coraggio e la forza di chiudere le fabbriche obsolete ed inquinanti, restituendo ai lavoratori e agli abitanti di quei territori speranze e futuro in nuove imprese. Concludo dicendo che vorrei che avessimo tutti noi più coraggio per cambiare ed andare avanti, mettendo al centro nuovamente la Sardegna e i sardi, ad iniziare dai giovani, a cui dobbiamo cedere il passo ed il testimone.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente dell'ABI Sardegna, Vandelli.
VANDELLI, presidente dell'ABI Sardegna. Buongiorno, buon giorno a tutti, Presidente, grazie per l'invito che mi è stato rivolto in qualità di presidente della Commissione regionale Sardegna dell'Associazione bancaria italiana. E per me un onore poter partecipare a questa Assemblea, credo in un momento di confronto, dal quale mi auguro possano nascere idee, proposte da tradurre poi in azioni, metodo, quello del confronto, sempre valido, ma credo indispensabile, quando la congiuntura economica ha le caratteristiche che oggi osserviamo e che produce effetti molto negativi sulle aziende e sulle attività produttive. Io, in primo luogo, vorrei dire che di fronte a questa situazione il sistema bancario della Sardegna non intende sottrarsi alla propria responsabilità. Io credo che l'abbia fatto nel 2011, un anno difficile nel quale, comunque, le attività di finanziamento sono aumentate, e lo farà anche nel 2012 e negli anni futuri, anche se vi sono delle difficoltà aggiuntive, ne richiamo una per tutte, circa 1 miliardo, forse qualcosa in più, di liquidità che era depositata presso le casse delle nostre banche in Sardegna è ritornata presso la Banca d'Italia attraverso il decreto "liberalizzazioni". Dicevo, il sostegno però non deve mancare, e credo che ci siano due elementi, che vorrei ricordare, avvenuti a livello nazionale, e uno, invece, a livello regionale, che sta per avvenire e che credo testimonino questo tipo di approccio, questo tipo di impegno. Mi riferisco, in primo luogo, alle nuove misure per il credito alle piccole e medie imprese, che è stato recentemente sottoscritto e che prevede la possibilità di sospendere il pagamento di rate e di mutui e di allungare i mutui stessi. Ma anche, dall'altro lato, un accordo che è stato stipulato con la cassa depositi e prestiti, che riverserà sul sistema bancario italiano circa 10 miliardi di euro per sostenere operazioni di investimenti in capitale fisso e circolante, ma anche per cercare di mitigare gli effetti dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. Tra le cose invece che riguardano la nostra Regione, vorrei ricordare… io tra breve lascerò questa aula perché sottoscriviamo un protocollo d'intesa tra la Regione Sardegna, la SFIRS e l'ABI per promuovere il ricorso alle garanzie del fondo di garanzia per la piccola e media impresa, e credo sia un qualcosa di significativo, perché mira anche a una semplificazione delle procedure, e per cercare di favorire l'accesso al credito da parte delle imprese, sostenendo lo sviluppo del tessuto economico. Ma io credo che si debba fare il possibile per fare di più in questa situazione. Non vorrei qui richiamare le cose molto alte che ho sentito, che già sono a conoscenza del Consiglio regionale, sulle quali vedo c'è una grande attenzione, ma vorrei richiamare 4 punti semplici, che io ritengo importanti. Il primo: io credo si debba fare di più in primo luogo per le imprese in crisi. Dobbiamo riuscire, da un lato le istituzioni, credo con dei fondi che mi risulta in parte siano stati reperiti anche nel bilancio appena approvato, per sostenere le imprese in difficoltà. Ecco, io qua devo dire che, francamente, faccio fatica ad accettare le limitazioni che pongono le norme sugli aiuti di Stato, credo che un conto sia quando gli aiuti di Stato vanno a favore della grande impresa internazionale, della mega industria e possono alterare gli equilibri tra i Paesi nella concorrenza, diverso è quando questi aiuti devono andare a favore delle piccole e medie imprese che sono in difficoltà e che hanno prevalentemente uno spazio e un'attività locale. Su questo deve essere fatto di più e credo che ci debba essere un'azione che parte dalle Regioni e che possa essere portata all'attenzione più alta a livello europeo. Il secondo punto che vorrei richiamare e che guarda sempre le due facce di questa medaglia, la crisi e lo sviluppo, il secondo io credo ci debba essere un'azione che consenta di dare una risposta ai pagamenti che la pubblica amministrazione e gli enti locali devono fare a favore delle imprese. Anche qui, ho sentito parlare del recupero di flessibilità che è necessario nell'ambito del patto di … ma ancora dico che un conto è le grandi imprese che magari hanno gli stessi ritardi nei pagamenti, ma sono attrezzate per affrontare queste difficoltà, un conto è la piccola e media impresa che non ha queste prerogative e rischia veramente di scomparire, dall'altro lato vorrei richiamare due elementi che io ritengo importanti per quanto concerne lo sviluppo, due piccole osservazioni. Una l'ho già fatta in un'altra circostanza, io credo che ci sia un difetto di cultura finanziaria e imprenditoriale che dobbiamo tutti noi cercare di colmare. Come associazione bancaria ci rendiamo disponibili a un confronto con le associazioni imprenditoriali per cercare di favorire questo sviluppo di cultura. Devo dire che nel mio lavoro, nella mia attività spesso mi trovo a riscontrare veramente difficoltà a poter dialogare e confrontarsi con le problematiche finanziarie. Un altro tema che credo importante sia quello di favorire la conoscenza, di sostenere la diffusione e di prevedere ogni possibile sostegno a ciò che viene fatto a favore delle piccole e medie imprese che sono il tessuto tipico di questa regione. Un esempio fra tutti credo vada ricercato nelle reti di imprese che stanno sorgendo da diverse parti che consentono di superare alcuni limiti presenti nella piccola e media impresa attraverso la condivisione di alcuni ambiti di questa attività è realmente possibile fare qualcosa d'importante e probabilmente anche sviluppare queste aziende non solo sui mercati interni ma anche sui mercati esterni, europei e nordafricani. Io credo che sia importante sviluppare questa cultura, ma c'è un impegno che deve partire dalle istituzioni, passare per le istituzioni finanziarie di imprese che deve essere sostenuto. Bene, e concludo visto gli orari verso cui andiamo incontro, io credo davvero che in questa duplice vista e cioè azioni a sostegno delle imprese in difficoltà e azioni a favore dello sviluppo è l'ambito nel quale dobbiamo impegnarci nell'interesse di tutte le parti sociali, di tutte le aziende, di tutta la popolazione e mi permetto di dire anche in particolare per le giovani generazioni. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il vicepresidente dell'UPS, Pusceddu.
PUSCEDDU, vicepresidente dell'UPS. Grazie signor Presidente del Consiglio, un saluto cordiale a tutti i presenti. Questa occasione deve essere un'occasione di ascolto di quanti possono rispettivamente nei loro ruoli, nelle loro competenze, produrre proposte, indicazioni, critiche e poi magari possono essere utilizzate dai nostri consiglieri regionali per la seduta di domani mattina per tentare di costruire le condizioni per superare questa crisi drammatica che sta letteralmente devastando la nostra Isola. Contrariamente a molti, io sono tra quelli che pensa che questa crisi persista ormai da tanti anni, mi è capitato di andare, sempre in rappresentanza dell'UPS, assieme ai sindacati, a molte aziende, al mondo dell'imprenditorialità regionale, assieme allo stesso presidente Cappellacci a Bruxelles di fronte alla vicepresidente della commissione europea per rappresentare i problemi gravissimi che riguardano la nostra Isola e a chiedere in modo particolare il riconoscimento dello stato di insularità con tutto quello che questo comporta. Sono trascorsi ormai quasi quattro anni, qui ci sono i rappresentati sindacali che con forza hanno costruito quell'occasione di confronto, di richiesta, mi sembra che poco o niente è stato fatto rispetto a quell'occasione, a quella importante occasione. Oggi nel pieno di una crisi come un po' tutti hanno rappresentato, cosa succede? Che a fronte della necessità di stringere i ranghi, raccogliere le forze vive della nostra Isola, raccogliere le forze fondanti che le istituzioni regionali rappresentano, di fronte a questa situazione praticamente si sceglie di tagliare di netto una gamba di una struttura che invece andrebbe assolutamente resa più solida. Il mondo delle province a livello nazionale e anche a livello nazionale, soprattutto a livello regionale è fortemente impegnato nel tentare di contribuire al superamento della crisi che si sta vivendo e vuole con forza rimanere in piedi per dare il suo contributo affinché si costruiscano queste condizioni. Quindi una prima richiesta che faccio, porto a nome dell'UPS in quest'assemblea è che il Consiglio regionale discuta in tempi rapidi e sciolga le riserve che ci sono rispetto alle province, alla stessa sopravvivenza delle province. Noi crediamo che il nostro Statuto ci permetta di costruire le condizioni perché si possa ragionare su una riforma complessiva delle nostre istituzioni e all'interno di questa riforma complessiva, le province si mettono in gioco per intero chiedendo però di riformare complessivamente l'architettura delle nostre istituzioni.
E credo che sia una cosa ragionevole che va chiesta in questo momento dove la Sardegna vive tra l'altro in una condizione particolarissima visto che si sta andando anche a un referendum per il quale l'UPS ha presentato un ricorso che riteniamo sia fortemente fondato. L'Unione delle province sarde ritiene di rappresentare l'insieme delle province sarde che sono fortemente portate ad un'azione di riforma che interessi anche le province ma in un quadro di assoluta legalità e non andando a colpi di slogan che poggiano il loro fondamento su una situazione che vede ormai passata tra l'opinione pubblica un'idea di un sistema delle province sul quale scaricare il peso dei danni causati dai costi eccessivi della politica e delle istituzioni in modo particolare. Noi non ci stiamo ad una lettura di questo tipo, ci sono studi autorevolissimi ormai che hanno letteralmente smontato questa posizione che dimostrano che la situazione è completamente diversa. E mi permetto, in maniera sommessa e con grande rispetto per la Presidente del Consiglio, che probabilmente in una riunione come questa dove la funzione fondamentale era l'ascolto delle problematiche più importanti da sottoporre al Consiglio regionale per lo stato di crisi che attraversiamo, forse, sarebbe stato molto meglio fare in modo che al posto di un saluto e di un breve intervento fatto da un vicepresidente dell'UPS, potessero esprimere la loro posizione i Presidenti delle Province stesse, che rappresentano territori, decine di comuni, con problematiche spesso molto diverse, con problematiche legate a situazioni di non secondo piano che riguardano per esempio il deficit infrastrutturale per quanto riguarda la viabilità e tante altre questioni. Noi guardiamo comunque con molta attenzione al lavoro che si sta facendo, e vogliamo essere assolutamente coinvolti in questo processo. Resta il rammarico che probabilmente oggi abbiamo perso un'occasione, e quindi lo faremo come abbiamo sempre fatto interloquendo molto strettamente con l'Assemblea regionale anche attraverso altre vie. La grandissima crisi di cui abbiamo parlato sino ad adesso sta creando problemi al pari dei Comuni anche alle Province, e per esempio molte Province non sanno come fare per chiudere i loro bilanci, per alcuni aspetti si sta arrivando quasi al grottesco, lo Stato che taglia pesantemente i trasferimenti alle Province, e in certi casi, come è il caso della Provincia di Cagliari si devono addirittura restituire risorse allo Stato, e queste risorse che devono essere restituite andranno a pesare sempre sul patto di stabilità, al pari delle risorse spese per gli investimenti. Sono cose assolutamente inaccettabili, almeno sino a quando le Province continueranno ad esistere.
Quindi il nostro intervento vuole intanto rappresentare una situazione di gravissima crisi dei territori che siamo chiamati ad amministrare, dei Comuni che in questi territori operano e che spesso sono chiamati a gestire soltanto la disperazione di questi territori, della gente, e ormai non sanno più come rispondere in termini concreti ai bisogni sempre più crescenti di questi territori. Quindi grazie comunque per l'invito, e speriamo che sia un tassello importante per rilanciare la nostra Isola. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Sanciu.
SANCIU, parlamentare. Saluto lei Presidente, il Presidente della Giunta, i Capigruppo, i consiglieri regionali tutti, e saluto quelli che lei ha convocato sotto il nome di Stati generali della Sardegna, gente che conosco, presidenti di organizzazioni di categoria, rappresentanti dei sindacati, alcuni di essi sono amici di una vita d'impegno, molti di questi sono protagonisti in questi anni nella gestione delle emergenze sociali ed economiche della nostra Isola. Lo voglio dire a pochi giorni dallo sciopero generale fatto dai sindacati, che hanno avuto, soprattutto le tre grandi sigle, quel senso di responsabilità in questi anni di cercare non solo di rivendicare attenzione da parte del Governo nazionale, del Governo regionale, delle istituzioni tutte, delle amministrazioni tutte, verso i problemi che voi in qualche modo rappresentate. Ma è lo stile come l'avete fatto, e questo va riconosciuto senza sbavature, senza se e senza ma, io vi dico che sono al fianco di queste rivendicazioni, anche se ci sono in alcune cose delle differenze magari che non posso anche condividere su alcuni grandi temi, ma oggi di fronte all'emergenza che tocca le imprese sarde, le famiglie sarde, di fronte al dramma che stiamo oramai vivendo tutti, lo respiriamo quotidianamente nel rapporto che ci vede quotidianamente con i nostri cittadini, appena usciamo dalle porte di casa, appena apriamo le porte dei nostri uffici, appena entriamo nelle nostre sedi delle istituzioni che rappresentiamo percepiamo, sentiamo, il problema e i bisogni della gente. Oramai è una crisi che ci sta travolgendo e che ci deve richiamare tutti ad una forte unità. Questa crisi senza precedenti che viene da molto lontano, una crisi mondiale, poi europea, poi ha travolto tutta una serie di paesi come tutti sapete, e ha toccato l'Italia, io dico sempre che questa è una crisi da etichettare, da chiamare con un nome, "uno tsunami". E lo tsunami come ben sapete fa un danno devastante in costa e non nel centro dell'oceano da dove parte, e la Sardegna in questo caso è la costa fragile, debole, di questo sistema, e sta subendo questa drammatica situazione, che i numeri che avete tirato fuori stamattina, bene avete fatto, per quanto riguarda disoccupazione. Tutto quello che è il dramma delle imprese del settore chimico, del settore tessile, di tutta una serie di mondi che comunque in qualche modo creavano occupazione, e che oggi vivono il dramma in Sardegna. Ma non sono esenti da tutto questo anche settori che rappresentavano la speranza, che erano un'eccellenza, e che comunque in Sardegna ci proiettavano in una dimensione internazionale dal punto di vista economico, e cioè parlo del turismo, anch'esso in crisi. Ma non parliamo di quello che sono tutti i servizi travolti e coinvolti, parlare dell'agricoltura oramai io che ho vissuto anche l'esperienza di giovane dirigente all'interno delle organizzazioni di categoria, di imprenditore anche del settore, e ho vissuto il dramma, l'agonia di questo settore strategico per la Regione Sardegna, e che continua la sua agonia sino alle poche bolle di ossigeno che ancora rimangono. E allora di fronte a tutto questo che cosa si fa? Cosa si deve fare? Prima di tutto ricercare l'unità, prima di tutto serve quello che si sta facendo oggi, e bene han fatto i Capigruppo e lei Presidente, d'intesa con la Giunta, a convocare una giornata di ascolto, ma che deve poi tramutarsi in un progetto e un piano d'azione per risollevare le sorti di questa nostra Sardegna. Vedete, la storia di questi anni, dal 1994 al 2009, per quanto riguarda la capacità di unità dei sardi rappresentata all'interno delle istituzioni non è un bel curriculum che possiamo ostentare. Basta pensare al Governo 1994-1999 di Palomba, sette crisi; del Governo 1999-2004, tre crisi; del Governo 2004-2009, le dimissioni del Presidente della Regione, e quindi una chiusura di legislatura, come tutti sapete, tirandosi gli stracci. Oggi coltiviamo una speranza, Presidente, lo dico in modo particolare al Presidente della Giunta, coltiviamo la speranza che si lavori per portare avanti un progetto condiviso, non c'è più spazio per gli approcci ideologici, perché di mezzo c'è la sopravvivenza stessa del sistema economico e della dignità del popolo sardo. Serve anche creare le condizioni che questa unità sia trasferita anche sul livello nazionale, mi rivolgo a tutti i parlamentari, di una parte e dell'altra, la dobbiamo ricercare questa unità. Questa possibilità c'è, e dobbiamo esercitarla tutta poi in forma di peso politico. Non basta l'iniziativa anche dei capaci parlamentari che lo fanno in modo singolo, perché credo che questo poi non porti un risultato, e si è dimostrato. Il peso della Sardegna in termini rappresentanze è già poco, troppo poco, e quei pochi siamo molto spesso, non riusciamo a stare uniti, ma qualche responsabilità, io qua lo dicono. ce l'hanno anche i partiti, i partiti troppo spesso pensano all'interesse diretto del singolo magari dirigente o della sopravvivenza in termini di consenso e di percentuali del partito che essi rappresentano. Non si può ridurre ancora questi pochi parlamentari, ridurli ancora in termini di rappresentanza, non si può accettare che i partiti, che siano del centrosinistra o che siano del centrodestra ci portino in Sardegna i vari sbarbati o i vari barbareschi, lo dico con molta franchezza in un posto dove molto spesso si usa attenzione, delicatezza eccetera oggi è arrivato il momento di dire che ci sono troppe cose che non vanno bene e a tutto questo bisogna reagire! Sia all'interno dei nostri partiti che all'interno delle nostre coalizioni e, in questo caso, all'interno di una Assise dove si raggruppano tutte le rappresentanze istituzionali della Sardegna, del sistema economico e del lavoro. Allora oggi cosa si fa? Serve capire, così come diceva (…) cosa possiamo fare noi per la nostra Sardegna? Serve magari liberare energie e risorse, Presidente, vero è che la Regione, le province e i comuni, lo Stato vengano messi in condizione, lo Stato deve mettere in condizione gli enti locali, in questo caso la Regione, di poter spendere le risorse che abbiamo, appellarci sempre al patto di stabilità sapendo benissimo che di fronte ad un problema così grave che ha il nostro Paese ci saranno molte difficoltà a poter allentare questo vincolo, sappiamo tutti che quando questo vincolo sarà allentato sarà monitorata la spesa e comunque non saranno importanti risorse. Allora bisogna concentrarsi per liberare i progetti dai lacci e laccioli con le (…) risorse come GALSI, come tanta roba che si può fare nell'edilizia pubblica e in quella privata, liberare risorse per le grandi arterie stradali bisogna trovare, tutti i comuni e tutte le province, la Regione ci dà un esempio, nei bilanci anche quelle poche risorse che possono mettere a disposizione gli enti, possono essere messe in rete, serve sostenere parte delle cose che stanno rivendicando i sindacati e le forze sociali ma con una determinazione e con un passo molto più veloce.
Dico che bisogna anche autorevolmente… quel punto all'ordine del giorno a me interessa molto perché le imprese l'hanno manifestato, serve far capire allo Stato che non serve quell'aggressività che sta esercitando attraverso l'agenzia delle entrate ed Equitalia, senza prendercela con loro perché sono solo la mano lunga dello Stato, ma la mano lunga dello Stato non deve essere aggressiva, deve essere una mano che si allunga per riuscire ad aiutare e a risollevare l'impresa, in questo caso l'impresa e il mondo del lavoro sardo. Serve a tutto questo dare oggi ancor di più forza all'azione della Giunta regionale attraverso un mandato che gli ha dato il Consiglio regionale, ma oggi raggiunge anche un obiettivo che noi intorno a questo progetto di rivendicazione diamo anche l'appoggio degli enti e del ruolo che ognuno di noi rappresenta all'interno delle istituzioni.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il parlamentare Calvisi.
CALVISI, parlamentare. Signora Presidente, onorevoli consiglieri regionali, signor Presidente della Regione, colleghi, signori rappresentanti delle forze sociali. Molto è stato detto già a quest'ora, poi di questi Stati generali sono rimasti i generali, anche pochi se guardo i banchi della Giunta, molti sono andati via.
Io concentrerò il mio intervento su come secondo me si deve sviluppare la vertenza Sardegna, con due premesse: la prima - riprendo le sue parole - se noi vogliamo essere credibili a Roma nel denunciare le manchevolezze del Governo nazionale dobbiamo prendere coscienza delle nostre manchevolezze a livello regionale, l'ha detto lei benissimo Presidente, richiamo solo le sue parole.
La seconda premessa, noi non possiamo chiedere al Governo Monti di fare in un anno quello che i governi Berlusconi non hanno fatto in otto anni, mettiamoci anche il Governo dell'Ulivo, in venti mesi. Però è chiaro che dobbiamo avere il senso della misura sotto questo punto di vista. Inoltre penso che dovremmo cogliere questa occasione per dirci chiaramente che in questo confronto fra parti sociali e forze politiche su che cosa siamo d'accordo e su che cosa non siamo d'accordo!
Innanzitutto vediamo le cose su cui siamo d'accordo, noi siamo d'accordo sulla parola vertenza Sardegna perché l'hanno utilizzata i sindacati nel loro sciopero, nella loro mobilitazione è una parola un po' inflazionata a livello nazionale perché la utilizzano anche altre regioni nel confronto con lo Stato, comunque è una cosa che si può sostenere a Roma non tanto per i dati sulla disoccupazione, sulla cassa integrazione, la crisi delle imprese, questi sono dati da tenere a mente però la parola vertenza Sardegna si giustifica soprattutto per una cosa e cioè che la Sardegna più di altre regioni ha subito gli effetti della crisi economico finanziaria chi ha colpito l'Europa e l'Italia, perché? Perché la pesante congiuntura economica che abbiamo vissuto ha potuto in qualche modo svilupparsi meglio perché avevamo una struttura debole e la congiuntura economica è stata influenzata dalla struttura debole: i trasporti, le infrastrutture, i costi dell'energia eccetera. E poi perché noi in questi ultimi tre anni, io lo voglio ricordare, tra mancate entrate, sottrazione dei fondi FAS nazionali, blocco dei fondi FAS regionali, abbiamo perso circa 4 miliardi di euro che non sono stati immessi nel sistema economico della Sardegna che avremmo potuto avere. E' chiaro che questo ha prodotto una crisi che da altre parti in Italia non è stata prodotta.
L'altro punto su cui siamo d'accordo è l'indice dei problemi: entrate, continuità territoriale, patto di stabilità, sblocco dei fondi FAS eccetera…, lo faceva lei Presidente, molte altre persone sono intervenute in quest'indice, io non faccio altro che richiamarlo, il problema delle imprese ed Equitalia.
Il punto però è che noi non ci possiamo fermare l'indice, dobbiamo andare avanti e queste due giornate servono, e non sono giornate sprecate, se noi andiamo avanti e sui singoli dossier vediamo su che cosa siamo d'accordo e su che cosa non siamo d'accordo.
Attenzione, io vedo la divisione sui singoli dossier non solo nel rapporto tra maggioranza e opposizione ma anche nel rapporto tra maggioranza e i suoi parlamentari che probabilmente, non conosco benissimo le dinamiche interne del Consiglio regionale, ne discuterete domani, anche all'interno della maggioranza che governa la Regione. Signor Presidente, Cappellacci, secondo me lei deve rispondere ad un interrogativo su questo punto: è disposto a cercare soluzioni unitarie di merito oltre l'indice unitario? Perché, vede, nessuno di noi le può dare una delega facendosi forte a Roma di una parola d'ordine unitaria - vertenza entrate - di un indice unitario e poi però nel confronto con il Governo prospetta soluzioni che unitarie non sono! Questo non va bene, questo non può essere! Allora accetta la sfida di un confronto unitario in merito? Cito alcuni esempi: continuità territoriale marittima, noi non abbiamo condiviso la privatizzazione della Tirrenia che prevedeva un'ipotesi di continuità territoriale incorporata nella privatizzazione della Tirrenia. La sua Giunta regionale quando il Governo ha fatto i decreti è stata in silenzio, i parlamentari del centrodestra hanno votato quella privatizzazione, non voglio fare polemiche sul passato. Adesso voi chiedete l'annullamento, mi sembra di capire. Benissimo, siamo d'accordo. L'annullamento per che cosa? Per fare le gare sulle tratte, ma noi sappiamo che qualcuno verrà da voi a dirvi: "Volete entrare, assessore Solinas, nella compagine CIN?", e allora voi nel confronto con lo Stato chiedete le gare o chiedete un posto nel futuro consiglio di amministrazione della CIN? Lo dovete dire al Consiglio regionale, lo dovete dire a noi parlamentari. Lo stesso sulla continuità territoriale aerea. Lei ha convocato la Conferenza dei servizi su delega del Ministro e le procedure per la continuità territoriale aerea sono tutte della legge Attili, tranne che su una cosa, le compensazioni che sono a carico della Regione; probabilmente lei non poteva fare diversamente, però anche questo è un punto che va rivendicato nei confronti dello Stato.
Equitalia, moratoria. Lo sappiamo che a Roma la moratoria non la daranno, gliel'hanno già detto, con un'argomentazione condivisibile, che se la devono dare in Sardegna la devono dare anche alla Puglia, alla Calabria. Si può insistere su una moratoria circoscritta alle zone industriali di crisi - penso al Sulcis, penso ad alcune altre aree della Sardegna - però anche su questo stiamo attenti quando usiamo le parole "sradichiamo Equitalia dalla Sardegna". Costruire una società di riscossione sarda costa, costa di più di adesso perché non si partecipa alle economie di scala a cui partecipa oggi Equitalia e quindi vuol dire o fare l'Abbanoa sarda della riscossione oppure aumentare gli aggi, che è il premio della riscossione che viene dato, oppure aumentare le tasse ai cittadini sardi; io immagino che, in nome dell'autonomia, nessuno pensi di aumentare le tasse ai cittadini sardi.
Questione entrate - e chiudo -, patto di stabilità e federalismo fiscale. Anche qui nel passato avete sbagliato a non sollevare il conflitto di attribuzione sulle risorse che non sono state date, avete perso due anni di tempo, secondo me, su questa vicenda delle norme di attuazione, veniamo ad adesso. Siamo d'accordo su un punto: bisogna fare le norme di attuazione. Il Consiglio dei Ministri si deve riunire e fare le norme attuazione. Il punto ci dite che state ancora trattando. Ci sono queste norme di attuazione? Su che cosa state trattando? Ditecelo! Vogliamo saperlo, vogliamo saperlo noi parlamentari e immagino lo vogliano sapere anche i consiglieri regionali. E norme di attuazione per che cosa? State tornando indietro, state andando avanti? A che punto è la trattativa? Poi il Governo mette insieme le tre cose: entrate, patto di stabilità e federalismo fiscale. Noi dobbiamo dire che il Governo deve dare quello che deve per Statuto e per una legge nazionale dello Stato, il patto di stabilità deve essere adeguato a quel modello di entrate nuovo, e non più al 2005 come giustamente ricordava Enzo Costa nel suo intervento, però va anche detto che noi accettiamo la sfida del federalismo fiscale, e cioè la sfida dei fabbisogni e dei costi standard. E' così, perché non possiamo avere un'idea per cui noi rimaniamo fuori da quella partita, però attenzione, la sfida su questo va accettata mettendo bene in evidenza il ruolo della Regione Sardegna perché, io su questo punto non voglio fare polemiche, attenzione che ci può essere la tentazione del Governo di dare alla Sardegna un federalismo fiscale uguale a quello che è stato dato alle regioni a statuto ordinario, semplicemente applicando il decreto legislativo per le regioni ordinarie che è stato fatto a maggio. Io qui sollevo un punto: quel decreto è stato fatto da una Commissione bilaterale del Parlamento. Non può essere un tavolo tecnico a dare alla Sardegna quel tipo di legislazione sul federalismo fiscale, quindi lì va fatto un tavolo politico, deve essere coinvolto il Consiglio regionale, devono essere coinvolti i parlamentari sardi. Quindi quel decreto è figlio di una Commissione bicamerale, non può essere recepito in Sardegna dal tavolo tecnico e, fra parentesi, è anche sbagliato quel decreto, noi non abbiamo votato quel decreto. Quindi io direi su questo, Presidente, senza fare polemiche, noi abbiamo bisogno di stringere nel merito delle questioni aperte, altre se ne potrebbero sollevare.
Io chiudo dicendo che la partita, ho sentito l'intervento dell'onorevole Sanna che ha parlato prima di me… chiudo, signor Presidente. Noi abbiamo parlato al Consiglio regionale sardo da parlamentari sardi, da persone disposte a indossare la maglietta della nazionale sarda e di dismettere per un attimo quella del loro club di appartenenza per fare una battaglia comune. Il nostro atteggiamento è quello di dire: noi stiamo anche con la Giunta regionale se la Giunta regionale fa gli interessi della Sardegna, per sintetizzare, quando noi discutevamo di che tipo di approccio avere a questa discussione, una felice sintesi che fece l'onorevole Parisi in casa nostra, però lei ci deve dire più chiaramente dove vuole portare la Sardegna, dove vuole portare la sua politica perché su molte cose ancora io personalmente non l'ho capito. Queste due giornate di discussione e di lavoro possono essere giornate utili di discussione e di lavoro se si fa un passo avanti in più in questa direzione, altrimenti, signor Presidente, l'iniziativa rimane meritoria, ma sarebbero giornate sprecate e io mi auguro che questo non sia tempo sprecato. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il segretario generale dell'UGL, Pilleri.
PILLERI, segretario generale dell'UGL. Saluto il presidente Lombardo e la ringrazio della possibilità che dà anche alla mia organizzazione sindacale di prendere la parola e di esprimere qualche concetto. Saluto altresì il presidente Cappellacci, saluto i parlamentari nazionali e i consiglieri regionali.
Il compito del sindacato io credo sia quello di analizzare la situazione occupazionale in generale della Sardegna, suggerire e proporre alla politica che poi ha il compito di trovare soluzioni. Noi crediamo, come organizzazione sindacale UGL, che la Sardegna - e ne siamo fermamente convinti - vorrà uscire da uno stato comatoso di povertà e vorrà intraprendere uno sviluppo, e io ringrazio anche per questa occasione che è un sintomo di unità e di partecipazione degli Stati generali. Questa, per noi che vogliamo sicuramente crescere, è un'affermazione di principio, dobbiamo partire da qui, trovare equilibri di sviluppo del territorio, trovare la solidarietà sociale verso le categorie più deboli. E' imperativo oggi tutelare le fasce più deboli della società, dove si concentrano i maggiori disagi che derivano da antiche forme di sottosviluppo non contrastate con adeguate scelte politiche ed economiche. La Sardegna attraversa, e questo è sotto gli occhi di tutti, lo abbiamo visto e ne abbiamo parlato, un corridoio temporale difficile aggravato dagli handicap storici, ma anche da politiche di sviluppo discutibili della scorsa e dell'attuale legislatura. I grandi insediamenti industriali in crisi non hanno sostenuto adeguatamente il tessuto produttivo sardo, costituito principalmente da piccole aziende e in quanto tali fragili, e quindi da qui il disastro, il baratro. Per effetto domino vengono trascinate altre aziende di qualsiasi dimensione verso situazioni di sofferenza croniche. Il problema è che non si è investito in termini di tecnologia, in termini di formazione, non si sono fatti investimenti strutturali, non si è fatta ricerca. La solidità dell'azienda Sardegna costituisce il cardine fondamentale su cui si possono superare i periodi di stagnazione del mercato. In mancanza di ciò ecco che le conseguenze nefaste sono di fronte agli occhi di tutti. Questa attuale è la più grave crisi economica dal dopoguerra e i sardi sono stritolati dalla congiuntura economica negativa nazionale e d'europea, ma soprattutto da un modello di sviluppo vetusto, calato dalla politica nazionale degli anni '60 e '70 condiviso dall'allora classe politica sarda.
Sto parlando ovviamente della grande industria, un modello di sviluppo lontano dalla naturale vocazione dell'Isola che più razionalmente si sarebbe dovuta orientare verso l'agricoltura e il turismo; la nostra costa è piena di esempi di turismo produttivo senza voler arrivare alla costa Smeralda, ma tutta la Sardegna è piena. Invece sono sorte raffinerie chimica, tessile, cartaria nei siti costieri addirittura nel centro dell'isola Macomer, Ottana, Siniscola peraltro siti non adeguatamente serviti e infrastrutturati. Insomma ieri migliaia di buste-paga ovvero occupazione e riscatto, oggi devastazione, desolazione e nuova povertà. Prima pastori agricoltori, poi operai e oggi ancora cassaintegrati e disoccupati.
Nel corso degli ultimi anni nonostante le avvisaglie della fine del modello industriale è mancata la volontà politica, la lungimiranza di riconvertire, si è fronteggiata unicamente l'emergenza del momento, non si è programmato il futuro, non si è attuato un modello di sviluppo alternativo. In questo contesto il dissesto del sistema produttivo sardo ha trovato terreno fertile, l'economia regionale langue in uno stato comatoso.
Lo stesso confronto sindacale è quasi esclusivamente volto alla ratifica di stati aziendali di crisi e all'erogazione di ammortizzatori sociali, non esiste un programma, altresì sono naufragati i tentativi di confronto costruttivo con le organizzazioni sindacali, e in questo nulla hanno prodotto i tavoli interassessoriali, non hanno prodotto i vari protocolli di intesa, non hanno prodotto i viaggi a Bruxelles.
Gli attori principali dell'economia sarda, per tutti noi, hanno la responsabilità di tutelare sia i lavoratori che ancora sono inseriti nei tessuti produttivi, ma anche, e soprattutto, coloro che cercano di costituire le nuove forze lavorative dell'Isola. Per questo motivo il sindacato suggerisce una programmazione strategica economica a medio - lungo termine che debba essere la priorità assoluta e che ovviamente non può prescindere dai limiti strutturali della Sardegna.
E qui torniamo al nocciolo della questione di cui parliamo da anni, insularità, energia, trasporti, infrastrutturazione del territorio, costo energetico, continuità territoriale esterna e interna, fiscalità di vantaggio, sono solo queste le fondamenta sulle quali si può e si deve costruire la rinascita del sistema produttivo sardo e non ci stiamo riferendo solo all'industria, vogliamo pensare anche ad altre filiere, quella agroalimentare o silvo pastorale al turismo di cui dicevo prima, alle risorse naturali che l'isola offre e che sono la vera vocazione della Sardegna.
In questo intervento, nel quale spero di rimanere nei termini, non cito i dati del disagio sociale e del disastro, altri interventi hanno dato dei numeri che tutti poi in definitiva ci aspettiamo o conosciamo, e questo ci fa constatare il fallimento delle politiche sarde. E' triste constatare che queste politiche, e in queste politiche, ad esempio il drastico ridimensionamento dei fondi per le politiche a sostegno della famiglia o delle risorse per l'occupazione femminile o per i giovani in generale e nel contesto italiano soprattutto dobbiamo anche tener conto e rilevare che l'inasprimento del regime pensionistico attuato dal Governo nazionale penalizzerà ancora di più la Sardegna dove in tante famiglie l'unico elemento di sopravvivenza è la pensione di un componente del nucleo familiare.
Mi avvio a terminare questi appunti, (attendo) per il ruolo che rivestono nella mia organizzazione sindacale e per i lavoratori che rappresento dall'esternare il mio disappunto quando devo constatare che l'Esecutivo e la politica sarda in generale esclude dalle consultazioni e dalla contrattazione la mia organizzazione sindacale. Non capisco perché il Governo nazionale considera la UGL una parte attiva del confronto tra Governo e parti sociali, mentre la Regione Sardegna spesso dimentica che la UGL è in grado di fornire anche lei il suo contributo.
Tuttavia concludo, poiché è chiaro, che così come ho inteso esporre nel discorso, la Sardegna non può essere competitiva se non verranno risolti prima i problemi legati proprio ai suoi limiti naturali e morfologici. Si ribadisce però la nostra piena disponibilità a rivendicare quanto sopra sarà necessario in tutte tavoli. Per questi motivi infine auspico l'unicità di intenti e la collaborazione di tutti gli Stati generali. Grazie Presidente.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare per l'Università di Sassari, Lobrano.
LOBRANO, Università di Sassari. Onorevoli Presidenti, grazie per l'invito e grazie per la parola. Tra le tante suggestioni che sono state oggi avanzate, tutte importanti, tutte condivisibili, l'Università di Sassari vuole concorrere con una modesta raccomandazione, cioè la raccomandazione a inserire nella vertenza Regione-Stato la questione istituzionale, in particolare la questione dello Statuto dell'autonomia speciale e oggi quello della sua riforma.
Si tratta di una questione squisitamente politica, perché, di volontà politica direi, perché ormai c'è un addensamento di riflessioni convergenti sia politico-istituzionali e sia scientifico-economiche sulla rilevanza strategica della materia istituzionale nell'ambito dell'economia. Dal punto di vista dell'importanza, il tempo assolutamente, giustamente limitato mi costringe a ipersintesi, dal punto di vista dell'importanza è evidente come a partire dei padri costituenti del '48 sino alle ultime prese di posizione sindacali, c'è una costanza di individuazione nella formazione dello Statuto per combattere, come primo strumento, per combattere il sottosviluppo e l'arretratezza. E questa posizione è ampiamente supportata dallo Stato della riflessione scientifica che sempre di più oggi individua nelle riforme istituzionali gli strumenti per lo sviluppo economico sia ripensando in maniera radicale soggetti e iter della programmazione sia mettendo a fuoco e producendo una categoria come quella di capitale sociale che viene considerata strumento strategico per affrontare e vincere la competizione economica globale. Precisamente, questo strumento mi consente di passare dalle osservazioni sull'importanza alle osservazioni sull'orientamento da imprimere a questa riforma, perché la categoria assolutamente scientifica internazionale di capitale sociale nient'altro è se non il tasso di partecipazione dei comuni ai processi decisionali regionali. Allora, la scienza economica mondiale ha individuato precisamente in questa partecipazione comunale l'elemento che fa la differenza a parità di altri fattori tra regioni più sviluppate e regioni meno sviluppate. Ebbene, la Regione sarda soffre di carenza di questa partecipazione, tanto è vero che, in maniera assolutamente bipartisan e da parte di autorevoli esponenti del pensiero politico sardo, penso a Luigi Berlinguer e a Giuseppe Pisano, è stato osservato l'eccesso di centralismo istituzionale regionale come elemento grave di difetto di efficienza e di efficacia nel governo nell'economia da parte della Regione.
Del resto, questo è l'orientamento delle riforme costituzionali nazionali, basta pensare alla riforma del 2001, e ancora qui per ragioni di rapidità mi limito a ricordare la riscrittura dell'articolo 114, con il ribaltamento del rapporto tra Stato e autonomie, che fa ripartire lo Stato precisamente dalle autonomie comunali, secondo un processo ascendente, e poi dall'articolo 123, che fornisce un primo strumento operativo a questa riforma, col Consiglio delle autonomie locali, nelle quali, in maniera assolutamente rivoluzionaria, i comuni sono chiamati a concorrere alla formazione della politica regionale. Se questa linea è condivisibile, su questa materia avviene la volontà politica di produrre un progetto, non un articolato, cioè un progetto che possa essere posto all'attenzione dell'opinione pubblica, delle parti sociali, e che sia complessivo, cioè di riforma sia della specialità sia della forma di governo in maniera unitaria, non schizofrenica, come si è fatto fino adesso, e che consenta da una parte la partecipazione e la responsabilizzazione dei sardi al loro governo, e dall'altra il peso e la voce degli stessi Sardi all'esterno, nello Stato, nell'Unione europea, e in quel Mediterraneo opportunamente richiamato dal Sindaco di Cagliari. Io credo sia urgente che questo progetto, in maniera chiara e comprensibile, prenda forma, e venga posto nell'agenda della vertenza regionale e statale, perché ci sono problemi non piccoli di contenzioso tra noi e lo Stato su questo punto.
Bene, se questo onorevole Consiglio e questo onorevole Governo dovessero ritenere che le considerazioni fatte dall'Università di Sassari siano meritevoli di qualche attenzione, l'Università di Sassari si mette a disposizione per la loro traduzione operativa. Grazie per l'attenzione.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il vicepresidente vicario dell'ASEL, Cancedda.
CANCEDDA, vicepresidente vicario dell'ASEL. Ringrazio e porgo il saluto dell'ASEL Sardegna, un'associazione tutta sarda e autonoma degli enti locali della Sardegna. Prima di accettare l'invito del Presidente del Consiglio regionale ed essere presente a questi nuovi Stati generali del popolo sardo, in seno alla nostra associazione abbiamo avuto un serio confronto, interno, per esprimere una valutazione condivisa sul difficile momento che la Sardegna e i sardi vivono, e dare così un contributo positivo al dibattito in corso. E' stata convinzione unanime che oggi avremmo dovuto prima di tutto ascoltare piuttosto che parlare, avremmo dovuto ascoltare i contenuti e le modalità delle iniziative messe in essere dalla Giunta e dal Consiglio regionale, e i risultati che sono stati conseguiti dopo gli altri Stati generali che si sono avuti in quest'aula, per noi poi trarne le conseguenze e fare le nostre valutazioni. Non vorrei che ancora una volta ci si limitasse a una sorta di rituale, che di questo rituale ci si fosse innamorati, quasi a salvarci la coscienza di fronte a chi guarda le istituzioni come l'ultima ancora di salvataggio di una barca che sta colando a picco. Chi come me è in prima linea nel territorio a fare il sindaco, specie nei piccoli comuni, avverte forse più di altri le difficoltà delle persone, delle famiglie, delle categorie produttive minori, dello sviluppo del lavoro, della vita di tutti i giorni, una vita di frontiera, dura e preoccupante. Cosa rispondiamo? Andiamo agli Stati generali del popolo sardo in Consiglio regionale, e dagli Stati generali anche oggi quanti sono investiti di specifiche prerogative istituzionali e politiche, e che dovrebbero dare risposte alle nostre istanze attraverso reali e giuste soluzioni ai problemi delle nostre comunità, ci chiedono invece di parlare e di dare il nostro contributo di idee e di proposte. E' giusto, in linea di principio l'abbiamo fatto altre volte, signor Presidente e signori consiglieri, sempre con generosità e disponibilità, ma siamo ancora una volta punto e a capo. C'è anche un'altra verità che contraddice questo rituale, che, come tutti noi diciamo, ha l'obiettivo di trovare l'unità, e cerca soprattutto di far stringere tutti i sardi attorno ad un progetto condiviso di lotte di rivendicazioni. Noi degli enti locali, noi dell'ASEL Sardegna soprattutto, da sempre diciamo che le istituzioni delle autonomie, Regione ed enti locali, regioni, province, città e comuni dovrebbero fare sistema, cioè dobbiamo costituire un fronte unico per la battaglia comune sul fronte delle riforme e sul fronte dell'economia. Invece, la Regione sarda, Giunta e Consiglio, considerano gli enti locali come una controparte, direi anche con una controparte secondaria, meno delle altre parti sociali e dell'economia. Non lo dico per spirito polemico, ma è un dato di fatto che nuoce alle istituzioni e alle loro funzioni. Gli strumenti che la Regione ha posto a disposizione degli enti locali come sedi appropriate di confronto e di condivisione delle scelte e delle decisioni sono deboli e ininfluenti, intendo riferirmi al Consiglio delle autonomie e alla conferenza permanente Regione-Enti locali, come disegnati con la legge regionale numero 1 del 2005. Occorre che vengano riviste funzioni e competenze, perché siano sedi effettive di concorso alla formazione delle scelte e delle decisioni. Soprattutto in un momento come questo, nel quale qualcuno vuole mettere in discussione la vita stessa delle istituzioni autonomistiche sia a livello nazionale che a livello regionale; anche il lavoro di oggi, di questi Stati generali, che hanno l'obiettivo di costruire o consolidare un fronte comune per rivendicare i giusti diritti dei sardi. Mi chiedo che senso abbia dare la parole a tutte le varie componenti che rappresentano specifici interessi o categorie, bene ha fatto l'associazione degli agricoltori, non già a un rappresentante di istituzione per categoria sociale, culturale ed economica. Gli enti locali che nella Conferenza permanente sono individuati non solo singolarmente, ma anche nella loro rappresentanza unitaria del coordinamento delle associazioni autonomistiche, così come dovrebbero essere tutte le altre organizzazioni rappresentative di interessi collettivi e generali, lasciando poi alla Giunta regionale e al Consiglio il compito di fare sintesi. Così operando, si sarebbero ottenuti certamente risultati più concreti sia sul fronte delle riforme sia sul fronte delle risorse, di quelle che mancano e di quelle che devono essere destinati ai settori produttivi, allo sviluppo, al lavoro, all'occupazione, senza penalizzare i servizi civili.
Sono trascorsi ormai tre anni di questa legislatura, e come nella precedente, abbiamo avuto altri momenti di confronto come questo odierno, registrando un'unità di facciata, perché spesso le forze politiche e le istituzioni hanno fatto prevalere contrapposti interessi. L'ASEL Sardegna rivendica il proprio generoso contributo in tutte le occasioni nelle quali è stato chiesto, contributo che anche oggi conferma nella sua totale disponibilità. L'auspicio è che questa disponibilità, così come quella di tutte le rappresentanze che sono qui presenti, venga utilizzata al meglio dal Consiglio e dalla Giunta regionale per conseguire insieme quei traguardi di riscatto e di sviluppo che i cittadini sardi chiedono e che hanno affidato al nostro impegno, ciascuno nel ruolo che ricopre nella società civile.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante Casartigiani, Zotti. Non è presente, decade.
Ha facoltà di parlare il segretario dell'AICCRE, Melis.
MELIS,segretario dell'AICCRE. Grazie, Presidente. Signor Presidente dell'Assemblea, signori rappresentanti dell'Assemblea degli Stati generali del popolo sardo, la Federazione regionale sarda dell'AICCRE, Associazione italiana per il consiglio dei comuni e delle regioni d'Europa aderisce a questa importante, necessaria e urgente convocazione, significando la grave situazione in cui è giunta la nostra Regione a seguito dell'altrettanta grave crisi che ha investito l'intero Stato italiano e gli Stati europei. Per la Sardegna, sussistendo l'aggravante delle difficoltà geografiche e dell'endemica condizione di disagio economico e sociale, si pone in termini di urgenza pregiudiziale che il Governo consideri la questione sarda con precedenza rispetto alle restanti situazioni di crisi attivate e ottemperi con immediatezza all'applicazione integrale dell'articolo 8 dello Statuto speciale definendo le norme di attuazione. Appare altresì urgente definire gli argomenti oggetto di confronto col Governo che considerino la flessibilità di spesa della Regione e degli enti locali sardi in termini di più ampio respiro indicati nella voce "patto di stabilità". Non sfugge più a nessuno quanto, in questo momento, sia importante liberare le somme disponibili, soprattutto per gli enti locali, sempre più stretti nella morsa delle risorse e costretti a rifarsi sulla propria popolazione che non può sopportare ulteriori vessativi, balzelli che confliggono con la possibilità di vita dignitosa della stragrande maggioranza delle persone, intendendo per dignitosa la semplicità e il necessario sostentamento di vita. Il grido di dolore che si leva da parte dei Sindaci lo abbiamo sentito anche in questa mattinata. Liberare le risorse finanziarie nella Regione e negli enti locali significa dare conforto alla ripresa produttiva, e contribuire, anche se in misura modesta, a rallentare quel processo terrificante per un popolo caratterizzato dalla mancanza del lavoro. La ripresa del nostro sistema produttivo deve essere il nostro principale obiettivo. Approviamo l'ordine del giorno del Consiglio regionale che ha sollecitato la convocazione di questa Assemblea specificandone i motivi, ma non possiamo tacere sulle responsabilità che derivano dall'insufficiente attenzione che si pone sul sistema burocratico che rappresenta una vera piaga che impedisce ogni tentativo del fare. Oggi questo argomento non è stato toccato da nessuno, bene, io ci tengo a sottolinearlo. Sburocratizzare il sistema incoraggia l'investimento e combatte l'assuefazione al non fare o al rimandare. Quindi, vincoli inutili, quanti sono? Un'infinità! Quante firme altrettanto inutili rallentano la volontà dell'azione. Siamo diventati controllori anche del nulla e la diffidenza e il sospetto di chi vuole realizzare sono diventati eccessivi, non solo rispetto ai privati, ma anche e soprattutto rispetto agli enti pubblici che sono già vincolati da sistemi di controllo. Occorre operare con l'accelerazione della progettazione e della spendita delle risorse disponibili e destinare ad altre incombenze, e qui mi ascolti in particolare chi ha interesse a mettere in pratica questa azione, e io non cito certamente persone, cito il sistema generale, però è chiaro che attribuibile alle persone, quindi, destinare ad altre incombenze quanti, per incapacità, per scarsa volontà, per timore di non commettere errori e per mancanza di coraggio di assunzione di responsabilità, contribuiscono a rallentare il procedimento che determinano quindi l'impossibilità di utilizzo delle risorse. Il richiamo alla rimodulazione e all'operatività degli interventi finanziati con i fondi FAS, giustamente richiamati nell'ordine del giorno del Consiglio regionale, mette in luce la difficoltà operativa e la scarsa preparazione del sistema, non sufficientemente pronto a cogliere le opportunità. Lo diceva poc'anzi che mi ha preceduto quanti soldi non spesi che l'Europa ha messo a disposizione. Prendiamo atto delle nostre insufficienze, ma prendiamo anche atto che le politiche di sviluppo, avviati i conseguenti interventi avviati in Sardegna, non hanno consentito alla nostra Regione di superare il ritardo di sviluppo rispetto alla media europea, e non per colpa, ripeto, di nessuno, per colpa del sistema. Vertenza Sardegna non solo nei confronti dello Stato, ma anche nei confronti dell'apparato burocratico isolano, e nella nostra incapacità a dar vita a leggi che considerino la nostra situazione attuale e creino le condizioni di una ripresa ridando speranza a questo popolo sardo, un tempo conosciuto in tutto il mondo come popolo di lavoratori semplici e umili sì, ma di lavoratori, terminologia che si estinguerebbe se non poniamo il freno alla disoccupazione che cresce ogni giorno. Tutti i nostri sforzi devono essere rivolti verso l'occupazione dei nostri concittadini e verso la difesa del posto di lavoro. Rivendichiamo i nostri diritti, ma impegniamoci nell'assolvimento dei nostri doveri. La nostra Regione, eccessivamente penalizzata da vincoli e ostacoli economici e sociali, nonché geografici, giustificata quindi la battaglia per la continuità territoriale, non può non avere il conseguente impegno di risorse finanziarie da parte dell'Unione europea e dello Stato. Rivendichiamo interventi sullo sviluppo e sull'occupazione, almeno per riportarci in equilibrio rispetto agli indicatori economici e finanziari generali. Invochiamo con tenacia l'attivazione di un tavolo politico, sì, e di un conseguente e consulente dell'AICCRE, Melis
serrato confronto col Governo che consenta, Presidente, mi rivolgo al Presidente della Regione, della Giunta regionale: Presidente, lei sta facendo molto, gliene diamo atto, però ci vuole il concorso di tutti, veramente il concorso di tutti. Invochiamo con tenacia quindi l'attivazione di questo tavolo politico e di un conseguente serrato confronto col governo che consenta di riaffermare quanto ci è dovuto e quanto siamo in grado di gestire nell'interesse delle nostre popolazioni. E' inutile dare soldi se poi dopo non li possiamo gestire o rallentiamo nella nostra gestione, e di tradurre nell'interesse dello sviluppo generale dello Stato italiano che conosce le potenzialità del nostro territorio e i riflessi favorevoli che potremo determinare nell'economia generale. E' necessario quindi riproporre le tematiche vincenti, pretendere il massimo dell'impegno delle risorse finanziarie non concepite con l'assistenzialismo, giustamente come si metteva in evidenza poc'anzi, ma di utilità alla crescita delle popolazioni, nei confronti di chi attende il lavoro, di chi vede lo spettro della perdita del lavoro e di chi l'ha perso, nei confronti di chi soffre e vede allontanarsi la speranza sin da giovani, di conquistarsi... ho finito Presidente, di chi guarda con disperazione la propria famiglia è necessario oggi abbattere i propri egoismi e gli interessi di parte. L'unità delle forze politiche, sociali ed economiche giova dunque a questa causa in corso e determina la forza di contrattazione nei confronti di chi ancora ci giudica non incisivi nella politica dello Stato. Le nostre istituzioni abbiano la forza e la determinazione di sentirsi i rappresentanti dell'intero popolo sardo. Grazie.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente del CREL, Piludu.
PILUDU, presidente del CREL. Ringrazio lei e il Consiglio regionale per aver dato all'organismo di cui sono presidente la possibilità di dare il proprio contributo a questa discussione. Noi siamo stati qui più di un anno fa quando si tenne in questa stessa sala un'assemblea di importanza pari a quella di oggi. Il tema era quello delle riforme istituzionali, a partire dalla riforma dello statuto di autonomia nel contesto di un processo di federalismo fiscale che pareva in pieno svolgimento. Il CREL partecipò anche a quella discussione portando il proprio contributo ed annunciando il proprio impegno per intervenire in modo più puntuale nel proseguo di quella discussione. Oggi diventa difficile non rilevare che quella discussione non ha avuto lo sviluppo atteso e i temi in discussione in quella fase oggi appaiono in secondo piano. Il CREL comunque mantenne il proprio impegno, pochi mesi dopo quell'iniziativa elaborò un documento dal titolo: "Federalismo fiscale e riforma dello Statuto" nel quale insieme a una serie di proposte e di indicazioni concrete il messaggio principale era questo. Attenzione a non perdere di vista la concreta realtà della nostra regione, lavoriamo pure per la redazione di un nuovo testo nel nostro Statuto ma non distraiamoci da quanto accade nel Paese dove vanno avanti processi che ci toccano direttamente e non trascuriamo di usare ora e subito tutti gli strumenti a nostra disposizione per intervenire nell'ambito della legislazione attuale sui nodi critici della nostra Regione. Mettevano in evidenza come la Regione Sardegna fosse tra le Regioni a Statuto speciale quella che aveva contrattato con lo Stato centrale il minor numero di norme di attuazione cioè mentre noi discutevamo di sovranità e percorsi per l'indipendenza in una logica che talvolta era quasi ai margini dello spirito della lettera della Costituzione italiana che è la nostra Costituzione, altri usando con intelligenza e decisione gli strumenti che avevano a disposizione ampliavano i propri spazi di autonomia e miglioravano attraverso processi di autodeterminazione le condizioni di vita delle proprie comunità. L'urgenza che il nostro organismo rappresentava un anno fa era quella di affrontare intanto con decisione i problemi del presente e con gli strumenti del presente pur non rinunciando alle rivendicazioni di condizioni più adeguate al futuro della nostra Regione. La convinzione era che si è tanto più credibili nel rivendicare quanto più si è compiuto in modo adeguato il proprio dovere. Oggi come allora pensiamo che sia opportuno mettere in atto provvedimenti che ci consentano non solo di reclamare il nostro autonomismo ma di renderlo effettivo nei procedimenti legislativi e nella pratica quotidiana di governo. Nel pieno di una crisi durissima caratterizzata da una generale incertezza nel futuro con i dati di disoccupazione e povertà che già sono stati ampiamente citati, noi non possiamo limitarci a spendere il massimo di iniziativa politica, istituzionale e sociale nella rivendicazione di interventi dall'esterno senza curare in modo adeguato di avviare gli interventi che dipendono esclusivamente dalla nostra capacità di iniziativa. Perché non ci siano fraintendimenti affermo che il CRELsi riconosce pienamente nella rivendicazione che è alla base dell'iniziativa odierna ed è pienamente consapevole dell'importanza di un esito positivo del confronto con il governo nazionale. Ma ritiene sulla base del lavoro portato avanti negli anni dal nostro organismo che diversi limiti nel nostro sviluppo e diverse leve manovrabili per avviarlo ricadono esclusivamente nell'ambito della nostra responsabilità. Nell'ultimo anno e mezzo come Consiglio dell'economia e del lavoro abbiamo lavorato sulla competitività del sistema produttivo e sulla competitività del territorio regionale, sulla povertà, le politiche di contrasto ad essa e le politiche di inclusione sociale, sulla crisi drammatica del settore agroalimentare.
Nell'analisi dei limiti strutturali che ostacolano il nostro sviluppo determinando disoccupazione, rotture sociali e povertà crescente, ci sono sicuramente aspetti la cui soluzione è legata a interventi esterni che non dobbiamo smettere di rivendicare con fermezza, dignità e grande spirito unitario. Allo stesso tempo però molti limiti che ostacolano il nostro sviluppo sono legati a nostre insufficienze e richiedono per essere superati un adeguamento della nostra capacità riformatrice. Uno degli ostacoli principali dello sviluppo viene individuato praticamente da tutti nell'inadeguatezza della pubblica amministrazione regionale e locale. Tempi nel rilascio di autorizzazioni, qualità e tempestività della spesa, certezza del diritto di cittadini e imprese, tempi di esecuzione delle opere sono temi sui quali c'è unanime giudizio di inadeguatezza. Rimuovere questi problemi, superare questi ritardi è un tema da porre sul tavolo della vertenza con il governo nazionale o piuttosto non ricade nel nostro campo? La Regione ha gli strumenti statutari legislativi per intervenire alla soluzione di questo problema, ha competenza primaria sul proprio personale, ha competenza sul sistema degli enti locali regionali, con norma di attuazione avrebbe potuto concretizzare le proprie competenze sulla finanza locale. Sempre nel campo degli handicap competitivi la qualità e l'adeguatezza della risorsa umana costituiscono un fattore strategico. Siamo consapevoli che gli effetti di una tale riforma avranno esiti non immediati e che certamente ci sono inadempienze e decisioni dello Stato che ci danneggiano, ma siamo certi di aver usato ogni nostra prerogativa per intervenire su questo punto? La Regione non si è ancora dotata di una legge specifica sul sistema di istruzione e formazione professionale e quest'ultimo non è adeguatamente collegato nel territorio alla gestione delle politiche del lavoro e a quelle di contrasto alla povertà. In quest'ultimo campo secondo dati pubblicati dal Crenos sugli ultimi rapporti annuali, gli enti locali della Sardegna secondi solo a quelli del Friuli sono quelli che spendono di più pro capite per politiche sociali. Allo stesso tempo però i nostri comuni sono quelli che spendono di più per assistenza, beneficenza pubblica e servizi diversi e meno per asili nido, infanzia e minori, strutture residenziali e ricovero per anziani. Cioè i segmenti che possono creare lavoro attraverso l'erogazione di servizi che hanno un impatto diretto sul livello di coesione e di competitività del territorio, che favoriscono l'accesso delle donne al mercato del lavoro rimangono non adeguatamente sviluppati. Sempre nel campo del sociale la Sardegna ha investito dal 2006 ad oggi risorse ingenti nelle politiche di contrasto alla povertà ma senza integrare la spendita di queste risorse con le politiche per il lavoro e con reali processi di inclusione. Il parere del CREL è che sia necessario programmare lo spostamento di quote crescenti di risorse da interventi di mera assistenza ad interventi strutturali capaci allo stesso tempo di sostenere il reddito e di avviare percorsi di prevenzione della povertà e di fuoriuscita stabile da quella condizione. Nel settore agroalimentare non si può non rimarcare che il problema principale è rappresentato dalla frantumazione aziendale e dalla incapacità di organizzare la produzione in funzione delle esigenze del mercato. L'intervento legislativo e l'esercizio quotidiano dell'azione di governo dovrebbero puntare al superamento di questa incapacità, che non può essere ricondotta solo a fattori esterni, ma ricade prevalentemente nella nostra responsabilità. Qualità delle produzioni, innovazione, politiche commerciali adeguate, valorizzazione delle filiere richiedono dimensioni aziendali adeguate che possano essere conseguite anche attraverso processi associativi, ma essi vanno guidati e sostenuti da un governo pubblico forte e da leggi adeguate. L'agricoltura soffre certamente degli handicap strutturali comuni a tutto il settore produttivo, come infrastrutture, trasporti ed energia, ma il fatto che riesca a soddisfare solo in minima misura il fabbisogno alimentare e l'alimentazione degli animali allevati nella nostra isola indica l'esistenza di un problema, anche questo non riconducibile ai nodi esterni. Lo stesso costo dell'acqua, fattore decisivo per la competitività delle nostre imprese agricole, che sta portando numerose imprese ad abbandonare i terreni irrigui, non può essere fatto risalire a responsabilità esterne ma è frutto dell'organizzazione del sistema, sul quale il legislatore e il Governo regionale possono intervenire con provvedimenti adeguati. Si tratta di pochi esempi, trattati peraltro in modo non esaustivo, ma che sono sviluppati ed argomentati nei nostri documenti, dai quali si evince la necessità di una maggiore consapevolezza delle nostre possibilità, ma anche delle nostre connesse responsabilità. Cogliere queste possibilità attraverso l'adozione delle necessarie riforme richiede un forte spirito unitario tra le forze politiche, le istituzioni e il complesso della società sarda. E' importante essere uniti nel rivendicare allo Stato italiano ciò che ci spetta, e richiedere un aiuto per autodeterminare il nostro futuro. Ma quell'unità va costruita e mantenuta non solo nella rivendicazione, ma anche nell'individuazione degli obiettivi strategici condivisi, e nel lavoro a livello regionale e locale per il loro raggiungimento.
(Applausi)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.
CAPPELLACCI (P.d.L), Presidente della Regione. Presidente, signore e signori, un cordiale saluto a tutti voi, e oltre al saluto un ringraziamento sincero per la vostra presenza, ma non solo per la presenza, ma per i contributi alti, lucidi ed importanti che oggi certamente avete dato a questo importante momento di dibattito. Quella di oggi è una giornata importante, è stato già detto negli interventi di molti di voi. Oggi qui, in questo Consiglio, si trova riunita l'intera classe dirigente sarda, in quest'Aula è presente la classe dirigente responsabile delle scelte. E quando dico questo ovviiamente non mi voglio riferire a quella responsabilità che sta alla base degli errori che sono stati anche richiamati, quelli antichi, quelli remoti e quelli meno remoti, e quelli recenti, errori che hanno portato alla situazione in cui ci troviamo, non è quelle a quello che voglio riferirmi. Ciononostante è stato detto, e credo ne siamo tutti consapevoli, di errori se ne sono commessi molti. Io credo che si debba dire forse in termini più oggettivi che sono state fatte delle scelte nelle quali si credeva, per le quali si è anche combattuto, che però purtroppo non sono stati capaci nel tempo, negli anni, di portare i risultati attesi, e sono state scelte sicuramente fatte in buona fede. E' evidente, lo avete sottolineato, che i risultati non sono arrivati, alcuni di voi, molti di voi hanno fatto riferimento agli Stati generali di poco tempo fa, si è fatto riferimento agli Stati generali del 2009, si è detto oggi stiamo discutendo, parliamo di cose di cui abbiamo parlato tre anni fa, ma si può aggiungere che oggi parliamo, discutiamo, esaminiamo, sottolineammo limiti, debolezze, criticità che non sono solo di tre anni fa, ma che sono di trenta anni fa e che vanno anche oltre. Allora l'osservazione, la prima, è che i nodi ormai da decenni, da un tempo veramente infinito, sono esattamente gli stessi, non sono cambiati, i nodi, i limiti, le criticità, è cambiato il mondo invece, è cambiato profondamente il mondo in cui viviamo. Ma in quest'Aula, dicevo, è riunita oggi la classe dirigente che ha la responsabilità delle prossime scelte, delle scelte che dobbiamo fare nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, e allora se vogliamo dare un senso concreto a questo momento di dibattito, se vogliamo davvero renderlo efficace per trovare delle soluzioni per uscire da questa crisi, credo che dobbiamo anche uscire dalle formalità, dobbiamo uscire dai rituali, dobbiamo uscire dai luoghi comuni, e cercare invece di essere molto pragmatici, questo credo che sia almeno il dovere, il contributo che io debbo cercare di dare a questo dibattito. Allora parliamo, dicevamo, di ricerca di soluzione di nodi antichi, allora la prima domanda che mi pongo, e credo che dobbiamo porci tutti, è per quale motivo oggi dovremmo essere capaci di realizzare quello che in trent'anni, quarant'anni, non si è riuscito a fare. Credo che questa sia la prima domanda sulla quale riflettere e dalla quale partire per poi poterci orientare verso un percorso corretto. Io credo che oggi questa opportunità esista, che ci sia questa possibilità concreta, perché credo che oggi ci siano delle condizioni che sono differenti, pur in quadro di grande incertezza, di grande instabilità, di gravissima crisi che tutti quanti noi conosciamo, e che molti di voi hanno opportunamente ancora sottolineato. Allora la prima ragione per cui ritengo che oggi sia possibile è quella relativa al contesto politico che il paese sta vivendo, che è un contesto politico del tutto particolare. Abbiamo un governo cosiddetto di tecnici, che è sostenuto dalle forze politiche, è sostenuto dalle forze politiche che vanno dalla sinistra, passano per il centro, arrivano a destra, c'è un ampio schieramento trasversale che sostiene questo Governo. Io credo che questa sia un'opportunità, sia una opportunità importante, e credo che sia il primo elemento dal quale partire per poter dire oggi forse ci sono le condizioni per fare qualcosa di più. Ma poi ce n'è un secondo di elemento che voglio sottolineare, che in qualche modo è una caratteristica che appartiene anche a questo Governo. La difficoltà della situazione, lo scenario di fronte al quale ci troviamo, è uno scenario che ovviamente non può più fare riferimento a un contesto locale, non può fare riferimento alla Sardegna, non può fare riferimento all'Italia, deve fare riferimento all'Europa e non si può fermare a quello, deve andare oltre. E allora sappiamo tutti che questo Governo ha nell'ambito dei suoi obiettivi un obiettivo importante, che è quello di lavorare al posizionamento strategico dell'Italia nell'Europa. Se questo è vero, è vero anche che il tema, uno dei temi principali che alimenta questo dibattito, e che è riconosciuto ormai da tutti, certamente riconosciuto e posto all'attenzione di questo Governo, sottolineato, è quello relativo alla necessità di dare al paese Italia, alle differenti parti del paese Italia la medesima velocità per poter fare questo percorso. E allora c'è un problema che è quello che riguarda il meridione, che è quello che riguarda il sud, è un problema che abbiamo detto non è certamente recente, è un problema antico, ma è un problema che oggi comunque questo Governo deve risolvere e sta cercando di risolvere. In questo contesto abbiamo anche un altro elemento, che è quello di una sponda straordinaria, importante, ce lo ha dimostrato venendo qui a Cagliari, di uno dei meridionalisti più convinti, il Presidente Napolitano, che è venuto qui in Sardegna, che ha trasferito in modo forte e chiaro la sua convinzione assoluta della necessità di risolvere questo problema, l'ha fatto interpretando anche nel modo corretto e giusto quello che è il suo ruolo istituzionale, che è quello di garante dell'unità nazionale, la unità nazionale passa oggi attraverso la coesione territoriale, non può non passare attraverso la coesione territoriale.
Ancora, sempre per far riferimento allo scenario europeo, è del 2009 l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, che prevede - e questo è un altro elemento importante di novità del quale dobbiamo tenere conto - prevede la questione territoriale quale elemento di riferimento per arrivare alla coesione sociale e per arrivare ad uno sviluppo armonico e, all'articolo 174 non solo prevede la coesione territoriale ma cita e fa riferimento in modo anche esplicito alla necessità di risolvere quelli che sono i nodi che derivano dall'insularità.
Abbiamo un quadro nazionale, abbiamo un quadro europeo, abbiamo delle condizioni di contesto che oggi rappresentano delle opportunità, le ragioni e le motivazioni per cui oggi potrebbe andare diversamente da come è andata in passato, oggi deve andare diversamente da come è andata in passato!
Oggi, proprio oggi, in queste ore, stamattina, il Presidente SVIMEZ, intervenendo ad un convegno, ha dato i dati finali ultimi che dicono che il PIL del Paese, anzi del Nord, diminuisce i 4 punti percentuali e che quello del sud diminuisce di 8 punti percentuali. Gli economisti dicono, sulla base di questo dato che saranno necessari probabilmente per ritornare in una posizione che dia nuovamente una possibilità di crescita e di competitività al Paese, ma in particolare al sud, forse serviranno 40 anni. Questo è lo scenario di riferimento, questo è il dato dal quale noi partiamo.
Ma se tutto questo è vero, se c'è un'opportunità serve qualcosa di più però rispetto a quello che c'è stato nel passato serve altro, serve quel di più anche in termini di stile che ci possa consentire veramente di fare uno sforzo straordinario, di mettere in campo le giuste risorse, di mettere in campo tutta la forza necessaria per poter arrivare a coglierlo questo risultato. Forse se una responsabilità vera c'è stata in questi anni è stata quella negli anni passati di non essere stati capaci di mettere veramente insieme la nostra forza, di non mettere sul tavolo le nostre eccellenze, di mettere anche la nostra capacità creativa, di mettere i nostri valori ma, parlando di unità di popolo, parlando di nazione, forse è l'unica cosa che siamo stati capaci di mettere insieme sono state le nostre debolezze. Allora è vero, bisogna stile, cambiamo questo stile! Al confronto politico con Monti, confronto che si è aperto il 2 febbraio a quel tavolo, bisogna che prima di tutto si cambi metodo, sono d'accordo con i sindacati quando dicono che quel confronto politico non può essere un confronto che tiene fuori una parte della classe dirigente, una parte della società sarda, i sindacati devono partecipare a quel confronto! Io sono d'accordo! Devono partecipare le forze economiche e sociali! Sono d'accordo! Devono dare il contributo le istituzioni locali! Allora signore e signori impegniamoci, tutti quanti perché questo si realizzi in termini concreti perché quel tavolo che si è aperto possa essere allargato. Ma poi, e arrivò alle conclusioni, c'è una necessità di sostanza, il problema non è solo di metodo, è stato richiamato anche questo dai vari interventi, abbiamo il dovere tutti i circoscrivere gli ambiti nei quali c'è una convergenza, abbiamo il dovere di trovare rapidamente l'area nella quale abbiamo una condivisione e abbiamo la possibilità di parlare veramente di sintesi, che sia una sintesi efficace, che la si possa portare con la forza dell'unità al Governo.
Per essere così dobbiamo, oltre alle precondizioni di cui ho parlato, cercare ognuno di fare la propria parte, io, oggi, di fronte agli Stati generali, mi voglio impegnare a fare la mia di parte, che credo debba essere interpretata prima di tutto in un senso: la riunione di oggi e il dibattito di domani porterà a definire un processo, porterà a definire un metodo, bene, credo che qualunque sia il metodo del processo che verrà definito io dovrò assumermi l'impegno che assumo di fare in modo che quel processo sia alimentato nel modo corretto da tutti i contributi, che a ciascuno sia data la possibilità di alimentarlo nel modo giusto di rappresentare le proprie posizioni, in vista di quella ricerca di sintesi che deve essere la sintesi di tutti. Ma ovviamente poi non devo essere solo io a fare la mia parte, ad assumere una responsabilità, ciascuno di voi deve assumere altrettanta responsabilità e la responsabilità è molto semplice: si traduce in una semplice considerazione, ovverosia il contributo deve essere leale e finalizzato davvero al risultato.
Io sono certo che l'animo di ciascuno di voi è esattamente in questa direzione. Allora ognuno di noi appartiene ad un club, è stato detto richiamando la metafora calcistica che voglio riprendere, ognuno di noi ha una squadra nella quale milita e una maglia, bene, il campionato non finisce qua, avremo ancora occasione di giocarlo, di contrapporci, di cercare anche, come dire, di fare la nostra parte perché possa vincere il migliore, inteso nel senso del progetto migliore che sosteniamo. Ma oggi c'è una necessità diversa, dobbiamo metterla da parte questa maglia, indossare la maglia della nazionale, dobbiamo giocare la partita tutti insieme e allora indossiamo questa maglia della nazionale, indossiamola tutti insieme e giochiamo questa partita. E' la maglia con i quattro mori cari amici.
(Applausi)
PRESIDENTE. I lavori si concludono qui, riprenderanno domani con la seduta del Consiglio che è convocata per le ore 9 e 30.
La seduta è tolta alle ore 14 e 12.