Seduta n.7 del 09/04/2014 

VII SEDUTA

(POMERIDIANA)

Mercoledì 9 aprile 2014

Presidenza del Presidente Gianfranco GANAU

La seduta è aperta alle ore 16 e 05.

FORMA DANIELA, Segretaria, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 3 aprile 2014 (4), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Salvatore Demontis, Valter Piscedda e Alberto Randazzo hanno chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 9 aprile 2014.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Modesto Fenu, Mario Floris, Edoardo Tocco e Paolo Truzzu hanno costituito, ai sensi dell'articolo 21 del Regolamento, il Gruppo consiliare denominato "Sardegna" e hanno nominato il consigliere Modesto Fenu presidente dello stesso.

Constatata l'assenza della Giunta, sospendo la seduta.

(La seduta, sospesa alle ore 16 e 07, viene ripresa alle ore 16 e 14.)

Comunicazioni del Presidente della Regione ai sensi dell'articolo 121 del Regolamento

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Presidente della Regione ai sensi dell'articolo 121 del Regolamento.

Ricordo che il Presidente ha a disposizione dieci minuti.

Comunico altresì che la Conferenza dei Presidenti di Gruppo ha deciso che, dopo le comunicazioni del Presidente della Regione, si svolgerà la discussione congiunta delle mozioni numero 7 e 8.

Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.

PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. Presidente, farò delle comunicazioni molto brevi pur con qualche inevitabile e doveroso commento. Siamo di fronte alla proposta di revisione del Titolo V, parte seconda della Costituzione, e dal disegno di legge attualmente a nostra conoscenza sembra di capire che la scelta del Governo, in estrema sintesi, sia quella di riportare a livello centrale la determinazione di indirizzo politico che, sin dall'avvio del sistema regionale italiano, era in capo alle Regioni.

Si determina, pertanto, o sembra determinarsi, una nuova espansione della potestà legislativa dello Stato con la conseguenza che la concezione della Repubblica, come Stato composto, è oggi - in una qualche misura che dovremo valutare - rovesciata in una prospettiva di attrazione verso il centro delle più importanti scelte di regolazione. In effetti, nel disegno di legge attualmente in discussione aumenta la competenza legislativa esclusiva dello Stato, per cui viene in buona parte sottratta alle Regioni la competenza in materia di urbanistica, di ordinamento degli enti locali, di disciplina del procedimento amministrativo, di protezione civile, di coordinamento della finanza pubblica. C'è anche una clausola di supremazia statale a tutela dell'unità repubblicana.

Detto in sintesi, l'intervento di revisione costituzionale tende a destrutturare il regionalismo italiano e chiaramente impatta in modo significativo sulla concezione stessa delle amministrazioni regionali. Si passa dall'idea di una Regione come strumento di democrazia autonomistica a una Regione che tende ad assumere competenze di tipo programmatorio-gestionale.

Di fronte a questo disegno di legge va detto che la riforma costituzionale proposta dal Governo, pur non applicandosi, come vedremo, immediatamente alle Regioni a Statuto speciale, rischia comunque di intaccare il patrimonio di democrazia autonomistica inciso nel nostro Statuto di autonomia e nelle relative, nostre, norme di attuazione. La specialità è un valore costituzionale che deve essere difeso con forza, soprattutto per ciò che attiene all'autonomia finanziaria, alle entrate proprie, alle competenze legislative in materia di governo del territorio, di tutela del paesaggio, di organizzazione della forma della Regione, di continuità territoriale, di ordinamento degli enti locali, di trasporto pubblico locale, di scuola, di cultura e di sviluppo economico.

Personalmente, in campagna elettorale, ho sostenuto che la sovranità per noi è un fondamentale esercizio di responsabilità, un esercizio nel quale concentrare tutte le nostre energie per far funzionare al meglio le istituzioni che dipendono da noi, per dimostrare (su questo tornerò ancora per un attimo), prima di tutto a noi stessi, che siamo in grado di esercitare tutto il potere che ci compete, di offrire servizi di qualità ai nostri cittadini e di garantirne i diritti. Continueremo ad attuare, io credo, questo esercizio di responsabilità, un diritto per noi essenziale, e tuteleremo i nostri spazi di sovranità attuali e futuri.

Personalmente ritengo che non ci siano riforme del Titolo V che possano farci cambiare idea su questo punto che abbiamo fortemente sostenuto anche nel chiedere il voto agli elettori. Dunque vigileremo affinché la riforma in discussione in Parlamento, che al momento, come dicevo, non si applica alle Regioni speciali, non intacchi il patrimonio di democrazia autonomistica inciso nel nostro Statuto.

Concludo sottolineando un punto. Detto questo, io credo che debba essere per noi anche chiaro che la migliore difesa della nostra specialità sia dimostrare che siamo in grado di esercitare il nostro potere in modo efficace, usando le nostre risorse in modo efficiente. Possiamo dimostrarlo, tra l'altro, accettando la sfida della trasparenza e ponendo in essere confronti sistematici con ciò che viene fatto altrove, con i costi con i quali i servizi vengono erogati in altre parti del nostro Paese. La vera sfida per noi è dimostrare che l'uso decentrato e autonomo delle risorse, oltre che un sacrosanto esercizio di responsabilità, può essere anche un vantaggio per i conti pubblici statali, nella misura in cui noi sapremo dimostrare di saper fare le cose meglio di quanto farebbe un livello centrale del Governo, punto che naturalmente è all'origine dell'idea stessa di federalismo fiscale.

Voglio infine comunicare che su questa riforma del Titolo V sono in corso riunioni della Conferenza delle Regioni e delle province autonome. In particolare, domattina 10 aprile, alle ore 10 in seduta riservata ci sarà la prosecuzione del dibattito sulle riforme istituzionali a Roma, il prossimo 14 aprile presso l'Aula dei Gruppi parlamentari della Camera dei deputati ci sarà un incontro di delegazioni degli Esecutivi e dei Consigli regionali, sempre per proseguire questa importantissima discussione. Io ho chiesto la convocazione di questa riunione per avere la possibilità di discutere con voi e con il Consiglio le linee che dobbiamo condividere su come definire la nostra posizione, inizialmente in queste riunioni e, in generale, di fronte a questa proposta di riforma del Titolo V.

Discussione congiunta delle mozioni Dedoni - Pittalis - Solinas Christian - Rubiu - Fasolino - Cherchi Oscar - Carta - Tatti - Tedde - Peru - Pinna Giuseppino - Tocco - Truzzu - Tunis - Locci - Zedda Alessandra - Orrù - Fenu sulla innovazione del titolo V della Costituzione ed in particolare sulla modifica della composizione del Senato, nella quale è contemplata anche l'abolizione del regime di autonomia speciale della Sardegna, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento (7) e Cocco Pietro - Cocco Daniele Secondo - Arbau - Desini - Anedda - Usula - Comandini - Collu - Cozzolino - Demontis - Deriu - Forma - Lotto - Meloni - Moriconi - Pinna Rossella - Piscedda - Ruggeri - Sabatini - Solinas Antonio - Tendas - Manca Gavino - Ledda - Azara - Perra - Cherchi Augusto - Zedda Paolo - Manca Piermario - Agus - Pizzuto - Busia - Lai - Unali - Sale sul disegno di legge del Governo recante "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, la revisione del titolo V della Costituzione", con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento (8)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle mozioni numero 7 e 8.

(Si riporta di seguito il testo delle mozioni:

Mozione Dedoni - Pittalis - Solinas Christian - Rubiu - Fasolino - Cherchi Oscar - Carta - Tatti - Tedde - Peru - Pinna Giuseppino - Tocco - Truzzu - Tunis - Locci - Zedda Alessandra - Orrù - Fenu sulla innovazione del titolo V della Costituzione ed in particolare sulla modifica della composizione del Senato, nella quale è contemplata anche l'abolizione del regime di autonomia speciale della Sardegna, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.

IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO che si vive in un tempo difficile, caratterizzato da una crisi galoppante che investe i più diversi campi del vivere civile: le istituzioni, l'economia, la finanza e la società, e che tale crisi si va via via diffondendo a causa della globalizzazione; essa infatti proviene da lontano e si sta abbattendo in particolare negli stati del meridione dell'Unione europea, Italia compresa;

ATTESO che solo ora ci si è convinti della necessità di affrontare la crisi di cui sopra con un innovato assetto istituzionale, che tenga conto delle sempre maggiori esigenze di rapidità nell'assunzione delle decisioni e di efficacia ed efficienza dell'amministrazione, e quindi di una maggiore governabilità degli assetti politici e burocratici; purtroppo si è troppo a lungo rimandata la decisione di affrontare il gravame cui siamo sottoposti: se esso fosse stato affrontato in un tempo adeguato, si sarebbero certamente potuti avere riscontri tali da impostare le opportune correzioni e valutare più attentamente le necessarie modifiche istituzionali e costituzionali;

CONSIDERATO che le modificazioni istituzionali sono aspetti delicati che incidono nella viva carne non tanto e non solo della rappresentanza politica, ma in modo particolare dell'insieme delle componenti sociali ed economiche, ed in particolare sui cittadini che, in tempi così difficili, reclamano una maggiore solidarietà fra classi sociali e territori;

CONSTATATO che la proposta di modificazione costituzionale per l'abolizione del bicameralismo perfetto incide in particolare sul Senato della Repubblica, trasformandolo in Senato delle autonomie senza però tutelare allo stesso modo tutte le regioni; difatti, non trova soddisfazione la difesa delle specialità regionali, oggi più che mai necessaria data la grave situazione di crisi che investe maggiormente le regioni deboli del meridione, in modo particolare quelle che da sempre hanno ricercato attraverso l'autonomismo una possibilità per liberarsi dai gravami che da secoli sopportano dovendo ricorrere alla solidarietà nazionale;

ACCERTATO che la Sardegna in modo particolare, per la sua condizione di insularità aggravata dalla latitanza dello Stato centrale, non ha saputo o voluto riconoscere con moto solidale la necessità di interventi sostanziali applicando pienamente il dettato dell'articolo 8 dello Statuto speciale;

CONSIDERATO altresì che le ventilate proposte di emendamento della riforma costituzionale di fatto sopprimono le autonomie speciali nella Repubblica italiana e che alcune di esse mirano a introdurre la rappresentanza regionale al Senato sulla base della popolazione, vanificando così la parità di rappresentanza che è il minino che possa essere riconosciuto alle regioni più deboli, allo stesso modo in cui viene riconosciuta nel Senato degli Stati uniti d'America,

impegna il Presidente della Regione

a ricercare ogni sede di confronto istituzionale con il Governo centrale per illustrare le difficoltà oggettive che la proposta di riforma in oggetto comporta per la Regione, che sino ad oggi non ha trovato la piena disponibilità da parte dello Stato italiano nel risolvere i problemi che con l'autonomia riconosciuta dalla Costituzione repubblicana su base solidaristica impediscono la piena inclusione sociale ed economica nello Stato italiano,

si impegna inoltre

in modo possibilmente unitario, a ricercare le più opportune e necessarie azioni politiche affinché venga salvaguardata la specialità autonomistica della Sardegna, unica vera regione insulare d'Italia, sollecitando nel contempo tutte le rappresentanze sarde nel Parlamento italiano affinché si battano nel modo più efficace possibile, anche ricorrendo all'ostruzionismo e al voto contrario, contro la cancellazione dell'autonomia regionale.

Mozione Cocco Pietro - Cocco Daniele Secondo - Arbau - Desini - Anedda - Usula - Comandini - Collu - Cozzolino - Demontis - Deriu - Forma - Lotto - Meloni - Moriconi - Pinna Rossella - Piscedda - Ruggeri - Sabatini - Solinas Antonio - Tendas - Manca Gavino - Ledda - Azara - Perra - Cherchi Augusto - Zedda Paolo - Manca Pier Mario - Agus - Pizzuto - Busia - Lai - Unali - Sale sul disegno di legge del Governo recante "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, la revisione del titolo V della Costituzione", con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.

IL CONSIGLIO REGIONALE

CONSIDERATOche:

- la proposta di riforma costituzionale del Governo contiene scelte innovative quanto delicate, che hanno un valore elevato per il destino del Paese e dell'Isola, e che deve vedere i sardi attenti e partecipi al dibattito e alle decisioni conseguenti;

- la proposta di riforma riporta allo Stato le scelte d'indirizzo politico più importanti in campi che vanno dal coordinamento della finanza pubblica alle scelte sul governo del territorio;

- il regionalismo, come lo abbiamo inteso negli anni della Repubblica, è messo a dura prova dalla crisi economica e la riforma proposta modifica la concezione stessa della democrazia intesa come democrazia regionale;

- la specialità è un valore costituzionale previsto dall'articolo 116 della Costituzione nel testo riformato, per ciò che attiene alle entrate proprie, alle competenze legislative in materia di governo del territorio, di tutela del paesaggio, di organizzazione della forma della Regione, di ordinamento degli enti locali, di trasporto pubblico locale, della scuola, della cultura e dello sviluppo economico, conquiste da rafforzare e proiettare nel futuro prossimo;

- la specialità è il riconoscimento costituzionale delle specifiche motivazioni storiche, identitarie, culturali, linguistiche e geografiche che caratterizzano le appartenenze dell'Isola allo Stato italiano;

- la specialità deve dunque essere confermata nella riforma costituzionale in discussione al Senato e deve essere da subito rilanciata con la riscrittura di uno statuto speciale nuovo e innovativo;

- il Consiglio regionale è chiamato a riscrivere uno statuto che riconosca la specialità come diritto alla differenziazione, diritto alla continuità territoriale, diritto alla cultura, il diritto a fare meglio nell'istruzione, nella tutela ambientale, nella mobilità regionale e nella continuità territoriale, accompagnato dall'assunzione da parte della Sardegna degli obblighi di solidarietà nazionale,

impegna il Presidente della Regione

in merito alla riforma in discussione in Parlamento, perché difenda con forza l'autonomia, espressione di una sovranità responsabile mediante la proposta di:

1) una clausola di salvaguardia della specialità che faccia salve le competenze previste dagli statuti speciali, con l'estensione alla Sardegna solamente delle norme di maggior favore;

2) la previsione nell'articolo 116 di una procedura di revisione degli statuti speciali che non consenta l'imposizione di modifiche senza il consenso della Sardegna;

3) la costituzionalizzazione del principio dell'intesa e dell'assetto pattizio delle relazioni finanziarie con lo Stato.)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Per illustrare la mozione numero 7 ha facoltà di parlare il consigliere Attilio Dedoni.

DEDONI ATTILIO (Riformatori Sardi). Presidente, francamente quando ieri sera ho appreso che il presidente Pigliaru chiedeva di intervenire in Aula per rendere proprie dichiarazioni nel merito delle riforme, sono rimasto un pochino perplesso, essendo stata già presentata tra l'altro una mozione al riguardo e sapendo che un'altra stava per essere depositata da parte del PD. Ma stamattina quando ho saputo che la Camera dei deputati, ancora una volta, per impegno della maggioranza del PD, ha escluso definitivamente la possibilità per i sardi di avere un'opportuna rappresentanza nell'Europa, io sono rimasto alquanto, come qualcuno ha detto stamattina "basito", si dice così? Mi pare fosse questo il termine usato.

Perché sono rimasto basito? Se è vero che il buon giorno si vede dal mattino non so quali effetti possa avere essere qui a dibattere, così velocemente, perché dobbiamo avere un missus a Deo nel gruppo che discute oggi a Roma, senza capire dove si vuole arrivare. Mi chiedo anche se siamo consci tutti noi del grave momento che l'autonomismo sardo sta vivendo; non discuto di indipendentismo chiaramente, ma dell'autonomismo, della specialità della Sardegna. Sardegna vista come se fosse l'Umbria, la Toscana, l'Emilia, il Veneto che chiede la secessione o la Lombardia. Queste non sono un'isola che ha quei 240 kilometri da percorrere per portare le proprie derrate fuori, se ne produce.

Non so se abbiamo questa contezza in maniera definita ed esatta, perché io non credo che i cosiddetti "padri costituenti" abbiano concesso la specialità alla Regione sarda esclusivamente perché avevano la buona volontà di concederla. Io ritengo che avessero capito le esigenze della Sardegna, le difficoltà della Sardegna, il fatto che essendo la Sardegna un'isola era difficile da raggiungere e presentava anche difficoltà al suo interno. Se questo è vero (e non stiamo discutendo di trasporti), cerchiamo di qualificare la nostra battaglia conducendola unitariamente nei confronti del Governo centrale e con iniziative politiche all'interno del Parlamento!

Il presidente Pigliaru ha appena reso alcune dichiarazioni nelle quali ci ha chiarito il lavoro che può svolgere il Consiglio regionale e le materie di cui si può occupare la Regione: una Regione ordinaria. Io mi chiedo pertanto se siamo consapevoli del cammino difficile, della necessità di avere un autogoverno serio, forte che non operi in conflittualità permanente se non nei confronti dello Stato centrale quando non riconosce i diritti.

Presidente Pigliaru, lei stamattina ha chiuso il dibattito dicendo che senza denaro non si fa niente: è la pura verità. Le ricordo che io sono andato a marciare a Roma con il presidente Soru; si era partiti con una richiesta iniziale pari a 10 miliardi di risorse dovute dallo Stato, a Roma i miliardi erano diventati 5, siamo tornati a casa con 1 miliardo e 600 milioni, detto da lei, e mai riconosciuto dallo Stato italiano. A chi mi contraddice dico che ci sono gli articoli dei giornali a testimoniarlo! E posso anche richiedere il resoconto dei dibattiti tenuti in quest'Aula, così possiamo leggerli!

Siamo tornati quindi con 1 miliardo e 600 milioni, cifra citata dal Presidente stamattina, mai riconosciuti dallo Stato, mai neanche versati nei primi anni e, dicevo, con l'aggravante di allocare sulle casse della Sardegna la sanità, i trasporti interni e la continuità territoriale! Questo è stato il risultato che ho sempre riproposto, criticandolo, in questo Consiglio, in sua presenza o meno! Ora, se è vero che stiamo dando ancora danari alla scuola, cosa giustissima, ma non li stiamo dando solo alla scuola, perché posso farle l'esempio di tante altre materie che sono di competenza dello Stato italiano, io mi chiedo quali risorse restino alla Regione.

E se andiamo a cercare quei soldi è perché abbiamo difficoltà da affrontare: noi stiamo supplendo lo Stato centrale italiano in mille, millanta e un modo, ve lo dimostrerò se volete, ma non è questo il tema! Sto solo ponendo s'isterrida in custu mentre per capirci bene, perché questo è l'argomento, poi arriva tutto il resto.

Se abbiamo questa difficoltà oggettiva data dall'insularità, dal non recuperare le risorse, dal non farci spendere i danari, come è stato ricordato, abbiamo anche una seria preoccupazione di non poter mantenere l'autonomia di questa Regione, almeno l'autonomia di questa Regione! Riconoscere ai padri fondatori, a chi ha avuto l'idea dell'autonomia, da Camillo Bellieni a quelli che sono andati in guerra, di aver fatto con il loro sangue l'unità d'Italia, almeno riconoscerglielo! Lo stesso Mazzini parlando con Asproni ricordava che l'Italia era debitrice del popolo sardo, già da allora in continuazione, e che si doveva chiedere scusa al popolo sardo.

Ora, se tutte queste cose sono vere io avverto paura, una forte paura quando si disegnano ancora una volta le macro regioni, quando prevalgono i concetti di divisione dell'Italia, quando prevalgono gli egoismi particolari delle regioni ricche che pure hanno perso quella ricchezza in un momento di crisi che ha attraversato tutti, e che ha macellato e sta macellando ancor di più la Sardegna che è debole tra le deboli. Io ho paura! Allora esterno il mio problema e chiedo: "Vogliamo dare un mandato forte a questa nobile Assise che dovrebbe rappresentare il popolo sardo?".

Non quindi un mandato timido ed esplorativo, che ci dice di vedere se è possibile o meno fare qualcosa . Io credo che bisogna andare a battere i pugni e anche qualcos'altro se è necessario. Certo, non ho bisogno di carri armati finti, ma vado lì con la forza della ragione, con la forza data dall'avere un popolo intero dietro di me, che reclama questo, che ha necessità di questo, che equivale alla sua stessa sopravvivenza. Se ci proponiamo questi obiettivi non possiamo che essere unitariamente un popolo, magari formato da persone con diverse visioni della vita.

Presidente Pigliaru, le do certamente ragione quando afferma che in sessant'anni si sono generati sperperi e sbagli nell'amministrazione. Chi dice di no? Forse, lo dicevo stamattina, abbiamo anche diseducato la gente nei confronti dell'istituzione regionale. Dobbiamo imparare a essere ancora più attenti, a dare efficacia ed efficienza all'azione amministrativa, a essere più attenti come politici, ed è anche vero che non possiamo farci dettare da Roma tutto quello che è doveroso fare per noi, cioè restare poveri per essere poveri, per essere subalterni, non possiamo esserlo!

Noi dobbiamo avere in mente il riscatto vero della nostra Isola, degli interessi dell'Isola a garanzia del futuro dei giovani della nostra Isola. Non sto andando lontano dall'argomento del dibattito. Che cosa vado a dire a Roma: "Non fate! Fermi!"? Io sono perché le istituzioni siano innovate anche a livello romano ma, attenzione, innovare non vuol dire distruggere per distruggere, vuol dire fare cose nuove per rendere le istituzioni più efficaci, più efficienti, più puntuali nel rispondere alle esigenze dei cittadini.

All'interno di quella riforma si nasconde però l'idea di appiattire tutte le regioni in Italia, e non è certamente questo il compito di questo Consiglio regionale che già, lo ricordo ancora una volta, forse non si era accorto del tutto che le Regioni a Statuto ordinario avevano poteri più forti dei nostri anche rispetto alle modifiche dello Statuto.

Allora se tutto questo è vero, come è vero, dobbiamo trovare un punto di sintesi e impegnare noi stessi in prima persona, il Presidente della Regione e la Giunta, tutte le forze politiche che ci rappresentano in Parlamento. Perché al Capogruppo del PD, che dissentiva, vorrei ricordare che un ordine del giorno, approvato e sbandierato da cani, non salva con la foglia di fico le pudenda di una cosa mal fatta, mal nata e peggio gestita.

Io vorrei ricordare inoltre che un ordine del giorno simile, che impegna la Camera dei deputati, vale tra cinque anni, quindi ne passeranno magari altri cinque di crisi, e la Sardegna dovrà sempre passare sotto le forche caudine, sia quelle romane che quelle di altra natura, qualunque sia il colore politico che governa, centrodestra o centrosinistra. Purtroppo abbiamo imparato che non c'è Governo amico per la Sardegna: noi dobbiamo essere compatti e seri.

Quando mi capita ricordo anche che i siciliani (la Sicilia è anch'essa Regione ad autonomia speciale) sono molto diversi da noi: vanno uniti a Roma, prendono quello che devono prendere, arrivano in Sicilia, bisticciano quanto volete, magari si sparano pure, però portano le risorse in Sicilia. Noi partiamo dalla Sardegna bisticciando, arriviamo a Roma bisticciando, per far vedere al capetto di turno che siede a Roma che siamo vicini a lui e lo dobbiamo sostenere.

Al mio deputato ho detto che, se pure militava all'interno di un'aggregazione nazionale, doveva occuparsi degli interessi della Sardegna e rispettare prima quello che i Riformatori Sardi in Sardegna chiedono per la Sardegna: la possibilità di una autonomia forte, la possibilità di avere risorse da poter gestire, cosa che oggi non avviene. E, caro Presidente, lei l'ha già ricordato, e glielo voglio ripetere, senza le risorse non abbiamo capacità di discutere di niente, né di offrire opportunità a chi ha perso anche la speranza che si creino industria, sviluppo, occupazione.

Noi dobbiamo essere un pochino più attenti con noi stessi. Come vedete parlo per me stesso e per la mia parte, non mi nascondo, non mi metto qualcosa che dice: non esiste. Esiste! Ma dobbiamo avere la forza da sardi. Quando si riconosce questo, allora sappiamo bene qual è la stella polare che ci può guidare verso la soluzione nell'interesse del popolo sardo e dell'intera Sardegna.

PRESIDENTE. Per illustrare la mozione numero 8 ha facoltà di parlare il consigliere Pietro Cocco.

COCCO PIETRO (PD). Presidente, la mozione presentata dal centrosinistra, da tutto il centrosinistra, si inserisce nel tema all'ordine del giorno del Governo che prevede il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL, la revisione del Titolo V della Costituzione. Si inserisce cioè nell'ambito della discussione sulla revisione radicale della struttura dello Stato in Italia, una revisione che destruttura completamente il regionalismo.

Detto questo, credo non sfugga ad alcuno che è tempo di decisioni importanti; quello che sta accadendo nel Paese non è un fatto temporaneo ma una tempesta che sta colpendo tutti i settori produttivi, che sta falcidiando e investendo tantissima gente, tanta parte di società. Così come la modifica del Titolo V della Costituzione, pertanto, con tutto il suo carico riformatore, va inserita in questa discussione affinché gli strumenti normativi, anche quelli di rango costituzionale, possano essere adeguati al tempo che cambia e alle esigenze della società, così il nostro dibattito sulle riforme deve essere considerato un'occasione storica, e dico storica non solo per tutelare la nostra autonomia, la nostra specialità, ma anche per rilanciarla con più forza e con più determinazione.

Per questo dobbiamo stare attenti ed essere partecipi al dibattito e alle decisioni conseguenti, alle contestazioni se saranno necessarie, alle dispute se saranno obbligatorie, cosa che credo quasi inevitabile. Va ribadito con forza che la specialità è un valore, un valore previsto dall'articolo 116 della Costituzione del testo riformato, per ciò che riguarda le entrate proprie, lo ha detto anche lei, le competenze legislative in materia del governo del territorio, di tutela del paesaggio, di organizzazione della forma Regione, di ordinamento degli enti locali, di trasporto pubblico locale, della scuola, della cultura, dello sviluppo economico; conquiste da tutelare, da rafforzare e da proiettare per il prossimo futuro.

La specialità è un riconoscimento costituzionale delle specifiche motivazioni storiche, identitarie, linguistiche, geografiche, che caratterizzano l'appartenenza della nostra Sardegna allo Stato italiano. Per questo la specialità deve essere rilanciata con la riscrittura nuova e innovativa dello Statuto speciale, una specialità come diritto alla differenziazione, alla cultura, a fare meglio nell'istruzione, nella tutela ambientale, nella mobilità regionale e nella continuità territoriale.

Io credo questo, Presidente, e ciò che noi dobbiamo evitare è di inserire la nostra battaglia in un processo volto a difenderci dal nuovo che avanza e dal tentativo di spostare al ribasso i confini della nostra identità, che sono propri dei movimenti di chiusura che purtroppo animano l'Europa: i Le Pen, i padani, gli ungheresi, fenomeni di destra, conservatori, xenofobi, che chiudono le prospettive, inibiscono le possibilità a coloro che hanno storia diversa.

E la nostra è una storia diversa rispetto a quella che si sta svolgendo in questi luoghi d'Europa; e noi dobbiamo evitare che questo accada nella nostra battaglia e nella nostra riscrittura dello Statuto. Perché se così fosse, si tratterebbe di un concetto perdente, neoconservatore, reazionario, non in sintonia con il sentimento di noi sardi e della nostra storia. È quindi necessario rilanciare invece l'idea autonomista, capace di aggiornare, di rinfocolare le energie progressiste senza vittimismi, senza piagnistei, senza stare lì a chiedere quasi l'elemosina, noi dobbiamo farlo a testa alta, perché questo deve essere il nostro obiettivo.

Questa è la storia della Sardegna e dei sardi ed è questo che noi dobbiamo portare avanti con forza; su questo dobbiamo darle mandato per trattare con lo Stato la possibilità di continuare a tutelare con forza l'autonomia e la specialità della nostra terra. Abbiamo le carte in regola per questo tipo di intervento. Noi sardi dobbiamo essere all'altezza del tempo che viviamo, della sfida difficile dei giorni nostri, dobbiamo essere all'altezza della nostra storia e di coloro che hanno contribuito a renderla importante.

Occorre pertanto essere chiari, senza tentennamenti, nell'effettuare una scelta di campo per stilare un documento, in questo caso, sì, possibilmente unitario di quest'Aula, per rilanciare il regionalismo, l'autonomia e la specialità della Sardegna. Una battaglia comune da protagonisti, che veda tutto il Consiglio regionale unito in una battaglia difficile, ma siamo gente abituata alle battaglie difficili e non credo che sarà questa l'occasione nella quale troveremo elementi, che pure ci sono, per differenziarci.

È l'occasione per mettere assieme le nostre forze per supportare il Presidente nel rappresentarci al meglio. Nella mozione impegniamo il Presidente della Regione, e lo abbiamo scritto, a tutelare con forza l'autonomia, espressione di una sovranità responsabile mediante la proposta di tre punti. Primo punto, prevedere una clausola di salvaguardia della specialità, che faccia salve le competenze previste negli Statuti speciali, con l'estensione alla Sardegna solamente delle norme di maggior favore, consapevoli anche in questo caso, Presidente, che non sarà sufficiente per metterci al riparo perché la Corte costituzionale può intervenire e magari non gliene può importare nulla di questi problemi. Per questo è importante definire fino in fondo le nostre competenze.

Secondo punto, prevedere nell'articolo 116 una procedura di revisione degli statuti speciali che non consenta l'imposizione di modifiche senza il nostro consenso, il consenso della Sardegna. Terzo punto, prevedere la costituzionalizzazione del principio dell'intesa e dell'assetto pattizio delle relazioni finanziarie con lo Stato.

Questi sono i tre punti messi nero su bianco nella mozione presentata dagli esponenti del centrosinistra, pur consapevoli che non è esaustiva di tutte le idee forti che esistono nella nostra area e complessivamente in quest'Aula. Ritengo, però, che un documento unitario potrà fare sintesi delle nostre proposte, delle proposte provenienti da tutti coloro che fanno parte di questo Consiglio regionale. Questo sarà un elemento importante per quest'Aula e, dopo, saremo in grado di riscrivere seriamente le regole della nostra terra, del nuovo Statuto e della nuova autonomia della Sardegna.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Edoardo Tocco che ha a disposizione sei minuti per svolgere l'intervento. Ricordo ai colleghi che intendono parlare che devono iscriversi non oltre la conclusione del primo intervento.

Ha facoltà di parlare il consigliere Edoardo Tocco.

TOCCO EDOARDO (Sardegna). Signor Presidente, signor Presidente della Regione, colleghi, avrei avuto piacere che fosse presente l'assessore Demuro, visto l'argomento, però non fa niente.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Tocco, l'assessore Demuro è a Roma per incontri istituzionali.

TOCCO EDOARDO (Sardegna). Non lo sapevo, Presidente, non c'è problema. Svolgerò alcune considerazioni sul fatto che una riforma, mirante a ridimensionare i poteri delle Regioni a Statuto speciale, accentuerebbe il centralismo del Governo che imporrebbe, ulteriormente, alle Regioni scelte non condivise, se non anche palesemente prevaricatrici dei diritti dei loro abitanti, come nei casi dei mancati trasferimenti fiscali spettanti, o della gestione dell'energia e dei prodotti petroliferi generati nel territorio regionale.

La competenza primaria su molti settori strategici non può che essere affidata alle autonomie locali, su cui il Governo non dovrebbe interferire nel merito limitandosi a verificare il rispetto delle procedure e delle risorse spendibili, dell'attinenza al quadro normativo generale e costituzionale. Al contrario di quanto si intende fare, la riforma dovrebbe prevedere un potenziamento dell'autonomia delle Regioni a Statuto speciale, attenendosi ai principi federalistici di sussidiarietà diffusi per altro a livello comunitario ed europeo. Rivedere radicalmente il Titolo V della Costituzione significherebbe altresì tradire i principi e le azioni che hanno mosso i fautori dell'autonomia e della specialità statutaria regionale faticosamente conquistata negli anni, le cui motivazioni di allora risultano evidentemente quanto mai sussistenti.

La modifica, se attuata, dovrebbe porre le basi affinché le Regioni a Statuto speciale, mantenendo le proprie prerogative, possano operare seguendo criteri massimizzanti di efficienza ed efficacia nelle decisioni e nei processi amministrativi, riducendo tempi e oneri burocratici e aumentando le certezze delle fonti di finanziamento e di trasferimenti statali spettanti. L'autonomia e la specialità statutaria devono essere assicurate permettendo alla Regione di gestire direttamente determinate materie, procedure e relativi supporti finanziari in settori che tutti conosciamo come energia, acqua, trasporti, mobilità, occupazione, portualità, istruzione, ricerca, ambiente, pesca ed entrate fiscali.

Autonomismo non significa indipendenza e secessione, ma poter governare lo sviluppo socioeconomico atteso della propria Regione senza delegarlo ad alcuno, né tantomeno all'esterno mettendolo nelle mani di chi non conosce o di chi non ha a cuore le sorti di un territorio la cui esigenza di rinascita e sviluppo è pressante e attuale, come lo era nel dopoguerra. Passare in mano allo Stato materie come il coordinamento della finanza pubblica, o la pianificazione, significa delegare ad altri il proprio futuro, impoverendo una Regione ricca di potenzialità e margini di crescita, la cui gestione non può che essere esercitata dal sistema politico-amministrativo voluto dal corpo elettorale di riferimento.

La Regione autonoma della Sardegna deve poter mantenere nel proprio Statuto speciale le potestà legislative conquistate, conquiste da rafforzare senza intromissioni e vincoli imposti da Roma, che avrebbero il solo scopo di far perdere autorevolezza ed efficacia alle decisioni adottate nell'interesse esclusivo dei sardi.

Attuare una riforma costituzionale sulla riqualificazione degli enti locali, come le Regioni, avente in pratica il solo scopo di risparmiare risorse e accentrare il potere, oltre a essere deleteria per i territori interessati, finirebbe con l'aggravare la distanza delle comunità dai propri amministratori, da Cagliari a Roma, nei processi decisionali di rilievo e nei progetti di sviluppo condivisi e partecipati in blocco, producendo serie ripercussioni in termini di costi sociali e mancata individuazione degli obiettivi di sviluppo che il territorio regionale, nel suo esclusivo interesse, si prefigge.

Ovviamente, il mantenimento, la riscrittura di una nuova autonomia e specialità statutaria regionale implicano il rigoroso rispetto delle norme di buona amministrazione e condotta decisionale allo scopo, unicamente, di gestire processi e risorse spendibili con la massima efficienza ed efficacia, per dare risposte concrete e tempestive in settori cruciali di competenza regionale, come quello sanitario, attuando al contempo una rigorosa opera di auto-responsabilizzazione e controllo sull'operato di tutti gli amministratori pubblici.

La Regione autonoma della Sardegna, per altro, con molteplici atti e provvedimenti normativi, non ultimi quelli sulla riduzione dei costi della politica all'interno del Consiglio regionale, del calmieramento dell'IRAP di competenza, ha dimostrato in più occasioni di poter rivendicare la bontà e il coraggio delle proprie scelte a beneficio di tutta la collettività. Non si vorrebbe che, con la riforma in discussione in Parlamento, si diminuissero le competenze decisionali delle amministrazioni regionali a Statuto speciale, e con esse anche i trasferimenti statali su importanti materie, lasciando alle Regioni il compito di aumentare la tassazione ai propri cittadini senza adeguate compensazioni.

A quel punto sarebbe auspicabile un sistema che puntasse sulla piena autonomia fiscale regionale con la certezza di entrate e di uscite. Rivedere la riforma del Titolo V, dove si dava allo Stato una fisionomia più federalista, nella quale i centri di spesa e di decisione si spostavano dai livelli più alti a quelli più locali sarebbe compiere un percorso a ritroso tutt'altro che lungimirante, allontanando ancora di più la distanza tra cittadini e i loro amministratori nei gradi più elevati.

Presidente, queste erano delle semplici constatazioni, un mio contributo al suo viaggio di domani a Roma, dove lei si metterà in discussione, dove giocherà una partita importante, a nome di tutta questa Assemblea, ma soprattutto a nome di tutto quel popolo che le ha consegnato un mandato qualche mese fa. Un mandato che spero, di tutto cuore, lei possa meritarsi ampiamente.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Anna Maria Busia. Ne ha facoltà.

BUSIA ANNA MARIA (Centro Democratico). Presidente, molto brevemente una semplice riflessione nella speranza che la giornata odierna si concluda con l'approvazione di un documento comune tra maggioranza e opposizione, perché mi pare che questa sia una occasione che noi dobbiamo sfruttare. La proposta di modifica del Titolo V della Costituzione credo debba essere un momento del quale anche noi in questa sede approfittare per riflettere ancora una volta sulla riproposizione di riscrittura dello Statuto.

Potrei essere d'accordo con quanto hanno affermato i colleghi della opposizione se solo avessimo la coscienza a posto, e cioè se effettivamente nel corso di questi sessant'anni di vita dello Statuto avessimo utilizzato appieno gli strumenti che lo Statuto ci aveva offerto. Bene così non è stato perché lo Statuto ha subito in questi anni uno svuotamento e una compressione non soltanto dall'esterno, quindi da parte dello Stato, ma soprattutto da parte di chi finora non ha utilizzato appieno gli strumenti che aveva a disposizione.

Tutti gli spazi e le possibilità che l'autonomia regionale offriva non sono stati usati. Basti pensare alla vicenda delle norme di attuazione; norme che avrebbero dovuto riempire di contenuti le astratte previsioni statutarie stabilendo quali potevano essere i poteri reali della Regione nelle materie attribuite alla sua competenza. Queste norme per lo più non vengono emanate, vengono in qualche occasione emanate tardi, o comunque non vengono mai poste in atto. Il riferimento alla questione dei punti franchi, cui ho accennato in precedenti occasioni, non è che un esempio di quanto ho appena affermato.

Quindi assistiamo a un ulteriore e continuo svilimento di una autonomia che non è stata mai riconosciuta nella sua reale ampiezza. Presidente, oggi credo che questa sia un'occasione importante per una riflessione, appunto, che porti alla riscrittura dello Statuto, a una nuova, mi consenta di dirlo, Carta De Logu: è il momento di ricontrattare su nuove basi il nostro rapporto con lo Stato italiano. Naturalmente questo va fatto tenendo conto di tutte le forze che compongono questa Assemblea, tenendo conto dei mutamenti intervenuti in questi ultimi sessant'anni. E questo non soltanto in settori in cui è riconosciuta pacificamente la nostra autonomia, non soltanto in quegli ambiti in cui non vi è più discussione ma, soprattutto, avendo riguardo anche a quegli ambiti in cui lo Stato interviene toccando dei punti vitali per la Sardegna.

La specialità della Sardegna, come l'onorevole Dedoni cercava di sottolineare, è una specialità un po' più speciale (consentitemi il gioco di parole), perché la nostra situazione non è certamente paragonabile alle altre Regioni a Statuto speciale e credo, Presidente, che questa evidenza vada sottolineata e riproposta così da non essere uniti in un unico calderone che non tenga conto delle peculiarità della Sardegna.

Quindi questa è una occasione, dicevo, importante per riproporre un altro tema fondamentale: il tema dell'Assemblea costituente che io ripropongo in questa sede, perché credo che soltanto attraverso l'Assemblea costituente, attraverso le modalità che erano state individuate nelle precedenti legislature possa essere riscritto lo Statuto, uno Statuto moderno che tenga conto delle peculiarità e delle esigenze che si manifestano.

Mi permetto di sottolineare, Presidente, un passaggio importante dal punto di vista tecnico, un passaggio che crea secondo me non pochi problemi. Nel disegno di legge che è stato posto alla nostra attenzione, e precisamente al terzo comma dell'articolo 117, si dice che su proposta del Governo la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi di riforme economico e sociali di interesse nazionale. Mi pare un punto che deve essere messo all'attenzione della discussione e del suo intervento con i rappresentanti dello Stato perché è una sorta di norma in bianco che lascia uno spazio eccessivo al potere dello Stato centrale e togliendo, questo sì, grande spazio e grandi possibilità, restringendola eccessivamente, alla nostra autonomia. Ci sono altri punti, altri passaggi ma credo che saranno oggetto di discussione anzitutto in Parlamento ma questo mi pare…

PRESIDENTE. Onorevole Busia, il tempo a sua disposizione è terminato.

E' iscritto a parlare il consigliere Michele Cossa. Ne ha facoltà.

COSSA MICHELE (Riformatori Sardi). Presidente, credo che sulla necessità delle riforme ci siano pochi dubbi, perché sono il presupposto per la modernizzazione istituzionale del Paese ma, direi, per la modernizzazione tout court del Paese. Riforme che, se è necessario, vanno fatte anche con l'accetta; così sta procedendo il Presidente del Consiglio che si preoccupa poco dei dettagli e bada molto alla sostanza, ma in una situazione come quella nella quale ci troviamo noi, in cui il pantano rischia veramente di bloccare qualsiasi ipotesi di riforma, se serve io credo che sia anche giusto adoperare l'accetta.

Poi naturalmente se scendiamo nei dettagli vediamo che anche un'idea condivisibile, come quella del Governo di un Senato costruito su base paritaria tra le Regioni, modello Stati Uniti, viene contestata dalle stesse Regioni che chiedono un ritorno a una rappresentanza proporzionale snaturando in qualche modo l'ipotesi di un Senato delle autonomie nel quale, secondo me, la logica delle maggioranze passa in secondo piano rispetto a quella delle rappresentanze politiche, introducendo un elemento di disturbo rispetto a un impianto generale.

Che cosa sta succedendo? Sta succedendo che la piramide che era stata rovesciata nel 2001 quando i comuni vennero messi al vertice, si sta riposizionando nel senso di un ritorno al centralismo: lo Stato torna al centro. Io credo che l'onorevole Busia abbia individuato il problema vero quando ha detto che è una norma in cui può entrare di tutto, una norma che giustifica qualunque tipo di intervento senza che ci sia un adeguato bilanciamento in termini di garanzie da parte delle autonomie regionali.

Io rinvengo, comunque, anche molti aspetti positivi nella proposta del Governo; per esempio mi riferisco alla soppressione del comma 3 dell'articolo 16 che prevedeva la possibilità per le Regioni ordinarie di avere forme e condizioni particolari di autonomia, che rappresentavano il principale attentato alle autonomie speciali perché di fatto si tendeva a rendere le Regioni ordinarie più speciali delle Regioni speciali.

Ritengo positiva l'introduzione della potestà regolamentare anche per le Regioni in quanto consente una notevole delegificazione e ovviamente ritengo positiva la cancellazione, finalmente, delle province anche se poi vengono introdotte le città metropolitane e si parla di enti intermedi. Non vorrei che quello che esce dalla porta lo si faccia rientrare dalla finestra, perché ormai penso si sia tutti consapevoli che è necessario semplificare, semplificare anche i livelli istituzionali. Però, se noi eliminiamo le province e introduciamo le città metropolitane senza chiarire che queste non sono un livello istituzionale ma solo un momento di coordinamento della cui utilità dovremmo, secondo me, discutere anche in Sardegna, si rischia di introdurre elementi di confusione e di complicazione del quadro istituzionale che rischiano di vanificare la riforma.

Il presidente Pigliaru ha detto che abbiamo l'occasione per dimostrare di saper fare di meglio; bene, Presidente, abbiamo una splendida occasione, anticipiamo i tempi del Governo e facciamo noi la riforma degli enti locali. Cominciamo noi a trasferire, prima che lo faccia il Governo, le competenze delle province, perché dobbiamo uscire dal guado in cui oggi ci troviamo e dobbiamo introdurre un elemento di chiarezza. Ma, al di là del dibattito costituzionale, il mio Capogruppo ha sollevato un altro problema, che credo ci debba far preoccupare, e cioè il fatto che la Camera abbia respinto in maniera definitiva la possibilità per la Sardegna di avere questa volta rappresentanti in Europa. Il Partito Democratico ha blindato la legge e ha vanificato definitivamente questa possibilità. Allora, di che autonomia vogliamo parlare?

Noi, parlo del mio Gruppo, siamo convintamente europeisti e ci troviamo ad avere a che fare con uno Stato che nega alla radice la possibilità per la Sardegna di essere rappresentata a livello europeo. E' un esempio pratico di come viene derubricata a semplice esigenza territoriale un'aspirazione che la Sardegna, in quanto unica Isola di fatto dell'Italia, ha manifestato. Per quanto riguarda poi…

PRESIDENTE. Onorevole Cossa, il tempo a sua disposizione è terminato.

E' iscritto a parlare il consigliere Efisio Arbau. Ne ha facoltà.

ARBAU EFISIO (Sardegna Vera). Secondo me il Governo Renzi ci sta dando una grande occasione, e ha fatto bene il presidente Pigliaru a sottolineare che questa maggioranza non arretrerà neanche di un millimetro, non per fare battaglie di rivendicazione fine a se stessa, o per vestire una bandiera un giorno sì e l'altro no, bensì per dare una risposta seria e ragionata su quello che serve alle nostre istituzioni.

Abbiamo di fronte innanzitutto la riforma relativa al Senato delle autonomie, riforma relativa alle competenze legislative e l'altra riforma importante relativa agli enti locali. Noi, considerando le questioni interne, abbiamo un problema grosso come una casa che è la questione della soppressione delle province. Io sono tra i promotori del referendum sull'abrogazione delle province e, a seguito di questo referendum, il Consiglio regionale non è stato capace di fare l'unica cosa possibile, che era quella, sì, di approvare una norma per eliminare, diciamo così, le province dallo Statuto, cosa che è stata fatta, ma soprattutto quella di costruire un vero e proprio codice delle autonomie che disciplinasse la situazione relativa agli enti locali. Non lo ha fatto, possiamo farlo adesso.

La riforma Renzi va nella direzione che, per quanto ci riguarda, è quella auspicabile, cioè eliminare i livelli di governo e restringere a due quelli locali: la Regione che dà gli indirizzi e gli enti locali che si associano per cercare di organizzare le funzioni e i servizi nel territorio. Noi abbiamo l'occasione per far sì che la Regione si svuoti da determinate competenze, e porti a livello locale le funzioni che è molto più efficace svolgere localmente. Da questo punto di vista annuncio che nei prossimi giorni presenteremo una nostra bozza di codice delle autonomie che metteremo a disposizione non solo della maggioranza, ma anche di tutto il Consiglio, per fare quello che, secondo me, è utile, e cioè passare dalla critica alla proposta.

Relativamente alla riforma del Titolo V il Governo Renzi ha centrato un obiettivo con, l'eliminazione della competenza concorrente che ha creato più danni delle cavallette, e li conosciamo tutti, nel nostro territorio, negli anni '50 mi suggerisce il collega Ledda (io non ero ancora nato), perché la competenza concorrente ha creato più che altro problemi all'organizzazione e all'esercizio della funzione legislativa. Da questo punto di vista il disegno renziano è un disegno centralista perché è un disegno di un Governo che capisce che non è più possibile gestire questo sistema che sta in mezzo al guado tra il federalismo e il centralismo, e quindi tenda a accentrare le sue competenze e a far sì che le regioni abbiano sempre meno competenze in materia legislativa.

Noi che cosa vogliamo fare della nostra autonomia? Dal nostro punto di vista noi siamo per un'evoluzione della specialità in una sorta di comunità autonoma di stampo spagnolo, per farla ancora più semplice, una sorta di Stato, la Repubblica italiana federata, dove l'autonomia sarda abbia determinate competenze lasciando allo Stato, alla Repubblica solo ed esclusivamente la moneta, l'ordine pubblico, le questioni giurisdizionali e la politica estera, tutte le altre competenze devono essere in capo all'organismo regionale.

Ritengo che questo ragionamento possa essere portato avanti insieme alle altre Regioni a Statuto speciale per accettare quella sfida, che il presidente Pigliaru in qualche modo ha già evocato, dell'autogoverno; sfida che consiste nell'assumersi le proprie responsabilità e che ci permetterà di passare quel guado e andare verso un sistema federalista. Questo Consiglio regionale ha la voglia di mettersi a lavorare? Perché di questo si tratta. Renzi lavora, bisogna vedere se anche noi siamo capaci di farlo.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Gianluigi Rubiu. Ne ha facoltà.

RUBIU GIANLUIGI (UDC). Signor Presidente della Regione, Presidente del Consiglio, pochi componenti della Giunta, colleghi e colleghe consigliere, siamo oggi chiamati a discutere una serie di questioni, per certi aspetti rivoluzionarie, relative all'assetto amministrativo, nazionale e locale. Dall'entrata in vigore della Carta costituzionale, avvenuta nell'ormai lontano 1948, abbiamo conosciuto una singola rettifica al testo, entrata in vigore nel 2001, con la riforma del Titolo V della Costituzione.

Le novità hanno principalmente riguardato l'ingresso tra gli enti intermedi delle città metropolitane, sancito dall'articolo 114, che peraltro hanno faticato parecchio per affermarsi rispetto alle istituzioni sempre conosciute quali i comuni e le province. Queste ultime sono entrate nell'occhio del ciclone dal 2005, anno in cui in Italia, e soprattutto in Sardegna, si è verificato un drastico aumento di queste istituzioni. In Sardegna, nello specifico, sotto il Governo Soru infatti abbiamo assistito al raddoppiamento delle province, e le nuove quattro hanno coperto micro territori, spogliando di competenze altri enti pubblici e locali che avevano operato fino a quel momento.

A due anni dal famoso e discutibile referendum promosso solo nella nostra Isola a favore dell'abolizione delle province, mi preme ricordare che il grosso blocco pratico e normativo, che ha impegnato ben quattro giuristi che dovevano studiare un metodo per ridefinire le competenze, le modalità di assorbimento delle risorse impegnate nelle province e il riassetto amministrativo dei territori interessati, ha causato ulteriori spese per la comunità regionale sarda. Ancora oggi questi enti sono commissariati e rimangono in una sorta di ambiguità amministrativa rispetto alle competenze e con sempre meno risorse.

Arriviamo a oggi, Presidente, 9 aprile 2014, una giornata importante, una giornata memorabile dove, in concomitanza con questa riunione, il Governo Renzi propone addirittura un indebolimento delle province per favorire l'affermazione delle città metropolitane e dell'unione dei comuni. Per questa semplice manovra serve un'altra riforma del Titolo V della Costituzione. E' di certo un'azione che richiede un grande impegno per lo Stato e le regioni, ma ho l'impressione che il Governo voglia sollevare un grande polverone fine a se stesso, una grande azione di comunicazione e, soprattutto, una grande illusione per l'opinione pubblica, in quanto, di fatto, le province non scompaiono e continueranno ad avere competenze quali ad esempio la valorizzazione dell'ambiente e dell'edilizia scolastica.

Di conseguenza avremo non le nuove aree metropolitane in sostituzione delle province, bensì una ulteriore spartizione e ridefinizione delle competenze territoriali, a cui dobbiamo anche aggiungere la maggiore rilevanza delle unioni dei comuni. Il pessimismo non trova spazio nel mio carattere, però personalmente mi sembra piuttosto contraddittorio annunciare risparmio, rapidità, snellimento amministrativo e burocratico con l'introduzione di fatto di un altro ente che separerà ulteriormente le potestà legislative.

Inoltre vorrei precisare che per funzionare non avranno sicuramente bisogno solo di una parte politica. Anche il disegno di legge delega Delrio precisa puntualmente che questi enti sono costituiti da sindaci, giunta e consiglio, i cui componenti hanno i medesimi incarichi in altri comuni, senza aggiunta di indennità, però credo sia chiaro a tutti che nascerà l'esigenza di riorganizzare le strutture per dar gambe alle nuove città metropolitane. A questo punto inizio a essere meno convinto di una razionalizzazione delle spese e di una vera efficienza di questi nuovi enti. I numeri parlano chiaro. Considerando che le consultazioni elettorali sono previste con cadenza quinquennale, il risparmio si attesta intorno ai 150 milioni di euro annui. Di certo è una cifra importante, ma risulta irrisoria se pensiamo agli 800 miliardi della spesa pubblica complessiva.

Torniamo in Sardegna. I nuovi enti intermedi approderanno nell'isola fra alcuni anni, dato che le prime città metropolitane d'Italia verranno istituite nel 2015, inclusa Roma capitale; nel 2016 verrà aggiunta Reggio Calabria e poi a seguire in futuro altre cinque, tra cui Cagliari. Tutto ciò considerato, per quanto riguarda la nostra Regione, è indispensabile mantenere la specialità costituzionale prevista dall'articolo 116 della Costituzione nel testo riformato, che attiene alle entrate proprie, alle competenze legislative in materia di governo del territorio, di tutela del paesaggio, di organizzazione della forma della Regione, ordinamento degli enti locali, trasporto pubblico, scuola, cultura e sviluppo economico. Le menzionate conquiste sono da difendere con forza, Presidente. Occorre un peso politico che la sua maggioranza deve dimostrare di avere in difesa dell'autonomia della Sardegna.

Presidente, qualora il Governo Renzi…

PRESIDENTE. Onorevole Rubiu, il tempo a sua disposizione è terminato.

È iscritto a parlare il consigliere Angelo Carta. Ne ha facoltà.

CARTA ANGELO (PSd'Az). Presidente, come tutti, stiamo assistendo al dibattito sulle riforme che in questi giorni si sta svolgendo a Roma e stiamo assistendo, come sempre, da spettatori perché ogni qual volta i nostri rappresentanti in Parlamento tentano di proporre qualcosa segue logicamente l'ennesima beffa. Il giornale oggi titola: "Europa, Sardegna beffata", però credo che di beffe ne abbiamo subito molte altre e se ne possa parlare a lungo.

Nella scuola non si insegna la lingua sarda insieme all'italiano, conosciamo i problemi dei trasporti, continuano a insistere sul territorio le servitù militari, sul fisco "non mettiamo becco", l'energia è più cara che nelle altre regioni. Per quanto riguarda le macroregioni noi siamo già inseriti in una macroregione perché per le elezioni europee noi siamo naturalmente schiacciati nella macroregione Sardegna-Sicilia.

Non parliamo poi di tutela paesaggistica e del fatto che non abbiamo l'autonomia di gestire i nostri beni archeologici; si sta facendo inoltre una giusta battaglia sull'ANAS per cercare di difenderci da questo ente che definirei un bubbone; e ricordo che le autorità portuali le nomina il Governo. Siamo sostanzialmente degli spettatori e stiamo finendo, in questa fase, sotto il rullo compressore, così si è autodefinito, Renzi.

Che cosa possiamo fare? Difendere l'autonomia? Certo. Quale autonomia? Siamo veramente autonomi? Siamo mai stati autonomi? Siamo riusciti a dimostrare di poter essere bravi nel gestire le nostre cose? No, perché non abbiamo esercitato nessuna autonomia. Siamo stati capaci di farci capire da Roma? No, perché siamo sempre stati spettatori. Allora, nel condividere la necessità che questo Consiglio regionale si esprima nel suo insieme, credo che il presidente Pigliaru domani a Roma debba andare come Presidente del popolo sardo, a Roma devono capire che rappresenta una nazione, che rappresenta un popolo, come è stato detto stamattina, che è dentro lo Stato e che viene trattato da questo Stato come una minoranza insignificante, come una minoranza che non conta nulla, quasi come un peso, una fastidiosa vespa che ogni tanto ronza, ma poi gli diamo dei contentini e sta zitta.

Ritengo pertanto che da questa discussione ne debbano nascere altre, che dall'incontro di domani ne debbano nascere altri, ma l'invito è che da domani stesso si inizi a ragionare come una nazione che ha bisogno di uno Stato, come una nazione che è stata abbandonata dallo Stato nel quale si trova, come una nazione che è stata tradita dallo Stato nel quale è stata inglobata, una nazione che è stata tradita da uno Stato che ha contribuito a costruire.

Quindi parlare di indipendenza non deve essere un tabù, parlare di sovranità non deve essere un tabù, pensare alla Sardegna come a uno Stato non deve essere un tabù, pensare alla Sardegna e ai sardi che sentono di costituire una nazione e che vogliono essere uno Stato non deve essere un tabù. E noi o alziamo l'asticella nel confronto con lo Stato oppure saremo per un'altra volta, e per altri sessant'anni, in cerca di un'autonomia perduta e di poter dimostrare che non siamo minus habens ma siamo capaci di governarci, siamo capaci di imporre il fisco giusto qui in Sardegna, siamo capaci di gestire i trasporti giusti, se solo ci lasciassero veramente esercitare quelle potestà che fino a oggi non ci hanno permesso di esercitare.

Quindi è necessario sollevare l'asticella ed è necessario parlare senza tabù e senza timori dell'indipendenza di una nazione. Poi troveremo la forma. Noi non siamo secessionisti, non siamo indipendentisti con la ruspa trasformata in carro armato. Noi siamo indipendentisti nel cuore, nell'anima; ci sentiamo sardi, ci sentiamo di poter appartenere comunque a uno Stato italiano rimodulato e rivisto, ci sentiamo di appartenere all'Europa, ci sentiamo quindi parte integrante nel cuore, nell'anima e nella testa, ma non abbiamo gli strumenti per poterlo dimostrare.

Da domani, Presidente, si inizi a dire a Roma che i sardi vogliono dimostrare di essere un popolo, ma un popolo che è stufo, che è stanco e che vuole avere tutti gli strumenti che non possono essere costituiti da questa riforma, che non sono nemmeno quelli che avevamo, ma sono gli strumenti che dobbiamo essere capaci di darci. Rilancio anch'io, conseguentemente il discorso dell'Assemblea costituente, è necessario raccogliere, attraverso un progetto dell'Assemblea costituente, tutte le forze esterne a questo Consiglio che possono dare un loro contributo.

Chiamiamo quindi a raccolta le belle eccellenze, le belle teste che questo popolo ha, riscriviamo lo Statuto e battiamo i pugni, e anche altro se fosse necessario, perché a Roma ce lo riconoscano. Senza di questo continueremo a piatire e a mendicare senza riuscire a uscire - mi scusi il bisticcio di parole - da una situazione di sottosviluppo che sta veramente mortificando e ammazzando i sardi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il consigliere Piermario Manca. Ne ha facoltà.

MANCA PIER MARIO (Soberania e Indipendentzia). Presidente, colleghi, abbiamo trascorso un giorno e mezzo dibattendo in modo acceso all'interno di quest'Aula, abbiamo dibattuto per un giorno e mezzo sui programmi e devo dire che negli interventi che si sono succeduti sono stati offerti molti spunti sia da parte della maggioranza che della minoranza, volti comunque a migliorare la situazione della Sardegna. Anche il presidente Pigliaru nel suo ultimo intervento ha rimarcato che è doveroso chiedere allo Stato di allentare un Patto di stabilità che ci penalizza enormemente.

Le enormi difficoltà della nostra economia, di certo non volute da noi, sono il risultato di una situazione oggettiva, una situazione di insularità, ma non solo questo, pensiamo anche agli enormi costi energetici che penalizzano la nostra economia. Ebbene, signori, se è vero tutto questo, tutti questi argomenti che ci hanno impegnato per un giorno a mezzo passano in secondo piano. Ma passano in secondo piano perché? Io non entro nel merito di quello che vuole fare il Governo nazionale, cioè modificare e migliorare comunque la nostra Costituzione, ma mi interesso delle problematiche che all'interno di queste riforme ci appartengono, appartengono al popolo sardo, per cui dico: ben vengano le riforme, ma tuteliamo la nostra specificità.

Per come è impostata la modifica del Titolo V della Costituzione potremmo perdere questa specificità che è stata voluta a suo tempo; una specificità voluta non certamente perché siamo diversi. Signori, quando mi presento dico: "Io sono un sardo", ma non sono sardo perché sono diverso dagli italiani, sono gli italiani che mi ritengono diverso. Io però nella mia vita non mi sembra di avere gli stessi diritti degli italiani. Io l'energia la pago di più, per le mie merci la continuità territoriale non esiste, quindi mi sento un diverso, ma non perché sono diverso, perché ho uno Stato patrigno che mi rende diverso.

Quindi, signori, se dovesse passare una riforma che penalizza quest'Isola, se perdiamo la nostra specificità, significa che stiamo tornando indietro di quarant'anni, significa che quest'Aula così grande, così ridondante, non ha più neanche la funzione di esistere. Su che cosa legiferiamo? Solamente rispetto alle cose che ormai sono marginali.

Presidente, per quanto mi riguarda non voglio entrare in conflitto con lo Stato italiano sulla riforma dello Stato italiano, voglio entrare in conflitto con lo Stato italiano per difendere invece le mie prerogative. Caro Presidente, io mi aspetto da lei che vada a Roma e sostenga la tesi che l'autonomia è il punto di partenza, il punto di partenza per avere sempre nuove competenze e arrivare a una democrazia compiuta.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Marco Tedde. Ne ha facoltà.

TEDDE MARCO (FI). Signor Presidente, colleghi consiglieri, signori Assessori, secondo me sta accadendo qualcosa di singolare nel lessico politico utilizzato nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, un vero e proprio cambio di rotta. Il lessico politico, quello regionale in special modo, era "occupato" fino a qualche tempo fa da espressioni quali autonomismo, specialità, da ultimo anche indipendenza, in modo forte, a seguito del referendum veneto, il referendum proposto dagli amici del Partito Sardo d'Azione.

Oggi il lessico fa un salto all'indietro, un salto nel buio, se vogliamo, in quanto è dominato da concetti che ricordano affievolimento, sottrazione della potestà legislativa della Regione, sottrazione di quote significative di autonomia, depauperamento della capacità di autodeterminarci, di darci indirizzi come rilevava il presidente Pigliaru. Siamo entrati quindi in un'altra epoca, è cambiato qualcosa. La smania di sforbiciare del Governo che attualmente è a Roma colpisce o rischia di colpire quanto meno le conquiste che i sardi hanno fatto, che il popolo sardo ha fatto in decenni di battaglie, di lotte autonomistiche in materia di ambiente, beni culturali, beni paesaggistici, cultura, turismo e sport, governo del territorio, protezione civile, scuola, università, ricerca scientifica. Sono competenze che lo Stato ci vuole sottrarre con destrezza, signor Presidente.

Ebbene, questo attacco forte, virulento alla specialità della Sardegna credo non sia accettabile, credo non sia tollerabile. La nostra specialità peraltro non è una regalia, non è stata una regalia, non è un privilegio, è soltanto un piccolo, piccolissimo risarcimento, un tentativo di riequilibrare una situazione isolana difficile, obiettivamente difficile, difficile economicamente, difficile culturalmente, difficile socialmente. L'insularità è un pesante handicap e questo handicap può essere superato soltanto con l'esercizio ragionevole, responsabile e intelligente di competenze, di scelte, di decisioni regolatorie, ma non possiamo accettare questo attacco al patrimonio autonomistico che è un attacco poi alla nostra identità, che non è, signor Presidente, un valore negoziabile.

Purtroppo questo attacco alla nostra autonomia fa il paio con i vincoli e i legacci del Patto di stabilità che ci rende servi a casa nostra. Presidente, difenda la nostra autonomia, anche contro la volontà del suo partito a Roma. Noi sicuramente saremo al suo fianco. Presidente, ritengo opportuno che lei convochi l'Assemblea degli stati generali della Sardegna, credo che sia opportuno che lei chieda aiuto a tutto il popolo sardo, non soltanto all'Assemblea che rappresenta il popolo sardo. Gli "stati generali" dovranno far sentire forte la voce della Sardegna, anche facendo proposte di riforma che salvaguardino, innovino e rafforzino il principio di specialità.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Stefano Tunis. Ne ha facoltà.

TUNIS STEFANO (FI). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, colleghi, ritengo di poter apprezzare, anzi apprezzo senz'altro il metodo che il Presidente ha voluto proporre oggi, cioè quello di ricevere da questa Assemblea il più ampio mandato politico, con il più ampio consenso, per affrontare un dibattito e una battaglia che, per le ragioni che lui saprà meglio di me esporre domani, ha dei risvolti non soltanto di carattere sociale, di carattere politico, di carattere storico, ma anche di carattere economico talmente rilevanti da essere una battaglia per la vita o per la morte di questa Regione e per il suo tessuto economico.

Temo tuttavia che il dibattito e l'incontro a cui sarà invitato domani, al di là della capacità con cui lo saprà sostenere, al di là della stima che saprà suscitare nei suoi interlocutori, difficilmente sarà un dibattito nel quale le ragioni dell'autonomia intesa in senso generale, le ragioni della sussidiarietà saranno ascoltate.

Io credo che ripensando al percorso che ci ha portato fin qui, in particolare il momento in cui è nata la riforma del 2001, si stiano riproponendo l'urgenza, la febbre con cui la politica italiana ha affrontato il tema del federalismo . È stato quello un momento in cui non si poteva non essere federalisti, è stato un momento quello in cui non si poteva non ipotizzare di decentrare, tant'è vero che piuttosto che andare verso una riforma federale si è prodotto un clone di centralismi che ha poi causato la quantità di contenzioso, le difficoltà nei rapporti tra Stato e Regioni; nel nostro caso aggravata dalla difficoltà di applicarla per alcuni aspetti del nostro Statuto che non hanno mai consentito alla Sardegna di collocarsi in quell'ambito in maniera perfettamente compiuta.

Ci troviamo al tramonto di quella fase e noi siamo ancora in un momento transitorio perché combattiamo da soli, come tutte le altre Regioni italiane, una battaglia per la vita della nostra economia. Ci troviamo nella circostanza in cui si trovarono i legislatori in quel momento, con la febbre alta.

Da mesi ormai il tema della spesa delle Regioni è affiancato da decine di inchieste che coinvolgono centinaia di colleghi consiglieri in tutte le Regioni d'Italia. Non nascondiamoci dietro il problema. Questo problema va sollevato perché è centrale, va sollevato perché è quello su cui ci si dovrà confrontare perché domani nessuno, con questa base culturale, sarà disponibile a prendere in considerazione ulteriori spazi di spesa e di autonomia delle Regioni. Ha detto bene l'onorevole Busia quando ha individuato in un comma il problema nella sua interezza.

Non si tratta di concordare competenze, di stabilire chi si occuperà di trasporti, di sanità, in questo caso si cerca di affermare un principio: il principio della supremazia della legislazione nazionale rispetto alle legislazioni regionali, indipendentemente dalle caratteristiche statutarie. Allora, onorevoli consiglieri, se noi dobbiamo affrontare questa battaglia dobbiamo farlo dal punto di vista corretto e il punto di vista corretto è dimostrare che è fondamentale che le Regioni mantengano la loro autonomia non soltanto dal lato socioeconomico, ma anche dal punto di vista etico, dal punto di vista della capacità delle amministrazioni regionali di essere i veri interpreti dello sviluppo e della crescita di una Regione.

Questo lo facciamo soltanto se abbiamo il coraggio di affrontare il problema nella sua parte più complessa che è quella che tende a puntare il dito sulle regioni e sui consiglieri regionali come i responsabili degli sprechi, come i responsabili di quelle disfunzioni dell'amministrazione che adesso sono il tema sul tavolo e che porteranno a un progressivo depotenziamento di queste istituzioni sino alla scomparsa del livello di rappresentanza. Noi dobbiamo avere il coraggio di affrontare come istituzione il tema della trasparenza, il problema dei fondi dei Gruppi, il problema che non si può confondere una responsabilità individuale con una responsabilità collettiva così come, a maggior ragione, non si possono confondere responsabilità individuali con responsabilità istituzionali. Dobbiamo sconfiggere l'opinione diffusa che queste siano le istituzioni in cui si annida la corruzione.

Io prego, non soltanto il Presidente ma questa Assemblea, di farsi carico di questo tema. Noi da questo punto dobbiamo partire, dobbiamo partire cioè dal fatto che ci dobbiamo confrontare e riscrivere la verità sulla questione della spesa e della capacità delle Regioni di amministrare. Se faremo questo potremo affrontare allora il tema della devoluzione, il tema dell'autonomia. Onorevoli consiglieri, confrontiamoci in questa sede perché dietro le vicende che in questo momento stanno portando alla liquidazione delle Regioni ci sono storie di persone, di impegno politico…

PRESIDENTE. Onorevole Tunis, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Daniele Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO DANIELE (SEL). Presidente, ringrazio il presidente Pigliaru perché sta dimostrando coerenza (mettendo in atto questa buona pratica) su quello che ha detto riguardo al rapporto tra Consiglio e Giunta. Non era mai avvenuto prima che il Presidente della Giunta si confrontasse con l'Aula prima di andare a un incontro così importante fuori dalla Sardegna. Chi vi parla è originario del Goceano, un territorio che ha dato i natali a un certo signor Giovanni Maria Angioy, e questo dovrebbe significare qualcosa rispetto alla discussione odierna.

Certo, le ultime notizie che arrivano da Roma non sono delle migliori, mi riferisco all'ulteriore riduzione delle cattedre nell'isola e i alla non possibilità per il popolo sardo di avere una circoscrizione elettorale per l'elezione dei deputati in Europa. Noi vogliamo, con forza disturbare, il manovratore o i manovratori che definiscono come riforme quelle proposte che invece potrebbero ridurre in maniera drastica spazi autonomistici e democratici.

Diceva prima il collega Arbau, del quale condivido l'intervento, che dovremmo assumerci le nostre responsabilità; la mia paura, caro collega Efisio, è che potremmo non essere in grado di assumere questa responsabilità perché non so sino a che punto chi vuol fare il rullo compressore ci metterà in condizioni di poterlo fare. La proposta di riforma costituzionale deve assolutamente vedere i sardi condividere tutti i passaggi che li riguardano, soprattutto nelle parti che dovessero comportare modifiche che potrebbero creare nocumento all'autonomia e alla specialità che sinora ha visto la Sardegna, come Regione a Statuto speciale, cercare con grande difficoltà di disegnare un percorso virtuoso in tema di regionalismo e di autonomia.

Siamo d'accordo con la mozione illustrata dal collega Pietro Cocco anche perché firmatari della stessa, ciò nonostante noi stigmatizziamo duramente l'atteggiamento di un Governo centrale che sembra non voler arrivare ad altro che a una riduzione, come dicevo prima, dirompente di spazi in democrazia; è vero, non ci sono governi amici ma un Governo, in gran parte omologo alla maggioranza di questo Consiglio regionale, non può non ricordare i tanti diritti di un popolo sinora non riconosciuti.

Il premier Renzi si dice sconcertato dagli ultimi dati sulla disoccupazione; ricordiamogli a voce alta che lo "straordinario" italiano da noi è ordinario, la situazione congiunturale nazionale da noi è strutturale, alziamo la voce colleghi tutti insieme. Caro Presidente, quei dati che sconcertano Renzi da noi, già da tempo, stanno schiantando la società sarda, anche perché il "governo madre" non ha nutrito allo stesso modo i suoi figli.

Mi auguro che le due mozioni si traducano in una sintesi che inviti, che obblighi lo Stato italiano a riconoscere i diritti acquisiti e a concertare qualsiasi forma di innovazione che tocchi la "carne viva" del popolo sardo già gravemente martoriata. La sintesi di queste due mozioni dovrà avere indifferibilmente un solo punto di caduta, se riforma dovrà essere la Sardegna potrà essere coinvolta solo se potrà beneficiarne in termini di intesa e assetto pattizio in riferimento alle relazioni finanziarie con lo Stato. Qualsiasi modifica dovrà avere il consenso del popolo sardo.

Vorremmo inoltre che il Presidente si impegnasse a richiedere al Governo italiano, al premier Renzi, di non ristrutturare il sistema democratico con l'alibi delle riforme atte a razionalizzare le spese; noi invece impegniamo la Commissione prima, la Commissione riforme, a elaborare prioritariamente un progetto di un codice per le autonomie.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Alessandra Zedda. Ne ha facoltà.

ZEDDA ALESSANDRA (FI). Presidente, ruberò pochi minuti ma è un tema sul quale non si può tacere, soprattutto alla luce di ciò che è stata la mia esperienza in questi ultimi due anni di partecipazione alla Conferenza Stato-Regione e alla Conferenza delle Regioni. Presidente Pigliaru, voglio dirle che si renderà conto da subito che dietro la necessaria spending review si nasconde invece una volontà di ledere le forme di autonomia, ma soprattutto le specialità delle Regioni; e questa mia affermazione è supportata da fatti.

Dobbiamo pertanto ripartire da quella che è stata una bella pagina di autonomia finanziaria di questa Regione che si è verificata quando abbiamo tutti insieme proposto una modifica dell'articolo 10 del nostro Statuto; modifica che è stata difesa con forza. Io auspico che lei, Presidente, che ovviamente ci avrà al suo fianco nella difesa della nostra autonomia e della nostra specificità, sappia veramente portare avanti con forza e, come alcuni colleghi hanno sottolineato, con la massima autorevolezza, supportato dal consenso di tutti noi e di tutti sardi, questa che è la vera nostra battaglia.

Spesso e volentieri in questi ultimi anni ci si è discostati dai contenuti, che ovviamente risalgono al '48, del nostro Statuto, credo però che oggi più che mai dobbiamo continuare a difenderli. Siamo disponibili quindi a rivedere l'istituto dell' autonomia e della specialità solo in termini di una estensione delle potestà, non certo in termini di restrizioni alle quali ci stiamo, purtroppo, abituando.

Oltre che parlare con i governi amici o meno amici io credo che bisogna andare a vedere chi realmente vuole cambiare e restringere i poteri delle Regioni; e in questo senso ritengo si debba guardare all'interno degli organi burocratici che spesso e volentieri fanno delle proposte che però si scontrano con la realtà che dobbiamo affrontare in questi giorni, soprattutto con la realtà di una crisi che ormai imperversa veramente nella nostra economia.

Presidente, avendo seguito gli interventi dei colleghi credo che ci sia una volontà comune da parte di quest'Aula di darle un ampio mandato ma anche di invitarla a vigilare, a stare molto, molto attento perché dietro apparenze di disponibilità si nascondono le volontà di sopprimere il potere delle Regioni. Quindi coraggio, vada avanti, non si faccia mai intimorire, ma non si faccia neanche preparare un "piatto" che sostanzialmente non sarebbe per noi digeribile.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Luigi Crisponi. Ne ha facoltà.

CRISPONI LUIGI (Riformatori Sardi). Presidente Pigliaru, io non conosco personalmente i suoi trascorsi sportivi, però le consiglio di informarsi sui valori su cui si basa un'antica lotta barbaricina "s'istrumpa". Lei si appresta domattina a combattere una istrumpa istituzionale; lei rappresenterà infatti con le sue idee, ma anche con il suo fisico una istrumpa che idealmente la vedrà accompagnata da tutto il popolo sardo. Non è semplice, il fisico c'è, non so se abbia la stessa preparazione dell'assessore Arru in termini atletici.

Domattina, presidente Pigliaru, dovrà ricordare che all'origine della istrumpa c'è il valore di appartenenza, ed è a quel valore che credo lei si debba rifare quando discuterà a un tavolo dove non basterà sbattere i pugni, ma dovrà ricordare a quel Governo invasivo, allo Stato italiano, che invade sempre il nostro perimetro.

La collega Zedda ricordava la partecipazione ai tavoli della Conferenza Stato - Regioni ai quali spesso gli ex componenti della passata Giunta regionale sono stati chiamati trovando, guarda caso, uno Stato invasivo che si è sempre occupato delle cose che hanno fatto andar male la Sardegna: trasporti, fisco, paesaggio, beni culturali, spesso ritardando lo sviluppo di questo territorio e sovente rendendo addirittura impensabile lo sviluppo, il potenziamento, la valorizzazione di ciò che ci appartiene.

Al di là di tutto io credo che al popolo sardo appartenga un sentimento corale che accompagna anche questa stessa Aula consiliare; tutti noi oggi vogliamo superare quegli elementi di divisione ben rappresentati nel detto: "chentu concas, chentu berritas". In questo caso ci ritroviamo tutti uniti per combattere e contrastare la mano lunga di uno Stato che si dimostra, anche nelle ultime operazioni portate avanti dal Presidente del Consiglio Renzi, stranamente e voracemente illusionista.

Un semplicissimo esempio è. la modifica del Titolo V che, se dovesse mettere mano anche alla specialità regionale vedrebbe le attività in capo al turismo trasferite allo Stato che, fino al momento in cui le Regioni non se ne sono occupate, ne ha fatto di cotte e di crude. E, in un momento in cui si parla tantissimo di spending review si dimentica di raccontare (non ne ho trovato traccia in alcun quotidiano nazionale, nessun media ne ha parlato), l'entità degli stipendi dei dirigenti e dei funzionari delle agenzie dell'ENIT, non se ne parla.

Si ricorda quasi esclusivamente che cosa il cittadino deve subire e sopportare, dato che lo Stato continua a mettere le mani in tasca, però si dimentica di parlare di quegli uomini e dei loro stipendi parificati a quelli degli ambasciatori (sui quali adesso si vorrebbe intervenire finalmente con rigore); quello Stato famoso si è dimenticato di tutti questi valori, li ha trascurati, e così mi pare che stia facendo in questo momento il Presidente del Consiglio.

Non ho ancora sentito un accenno su questo tema, così come non ho sentito ancora un accenno su tutte quelle cose che, in modo beffardo, sono state trasferite dallo Stato, a iniziare dalle liberalizzazioni, a tutto ciò che proviene e discende da leggi europee. Per caso vogliamo parlare della legge numero 626/94? Vogliamo parlare dell'HACCP? Di tutti questi strumenti inventati oltre questo territorio e trasferiti da Bruxelles a Milano, per via Roma, come se Nuoro, Bottida, Oliena, Burgos siano la stessa identica cosa.

Caro Presidente, la nostra convinzione è che i temi che lei è chiamato a discutere domani siano legati da un unico filo: il mantenimento e la difesa della nostra autonomia e della nostra specialità, ma soprattutto la difesa dell'orgoglio del popolo sardo. Buona istrumpa istituzionale, Presidente!

PRESIDENTE. Comunico che l'onorevole Valter Piscedda è rientrato dal congedo.

E' iscritto a parlare il consigliere Ugo Cappellacci. Ne ha facoltà.

CAPPELLACCI UGO (FI). Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente, la sorte ci da immediatamente la possibilità di passare dalle parole ai fatti, di dimostrare la nostra volontà di essere a disposizione del Presidente della Giunta qualora trattare argomenti di estrema importanza e rilevanza per il futuro dell'isola lo imponga. E questo è esattamente il momento.

Ho molto apprezzato la sua decisione di presentarsi in Aula per rendere comunicazioni e sollecitare il dibattito prima di un appuntamento importante qual è quello che la attende domani; quindi diciamo che partiamo nel migliore dei modi. Partiamo nel migliore dei modi, ma purtroppo in una situazione che non è certamente delle migliori, anzi probabilmente è delle peggiori. La questione sarda è una ferita che resta aperta nella storia della Repubblica, e questo a oltre 150 anni dall'unità nazionale.

Infrastrutture, trasporti, politica fiscale, energia, sono solo alcune delle manifestazioni dello stesso fenomeno, conseguenze di una condizione oggettiva di svantaggio che fa la differenza rispetto alle altre realtà della Penisola. E' una condizione oggettiva in merito alla quale la politica ancora oggi forse continua a commettere degli errori, perché non la considera nella sua effettiva gravità. E mi voglio riferire all'insularità che è la madre dalla quale dipendono molti dei nostri problemi.

Sarebbe anche illusorio pensare che un male antico possa essere risolto con l'avvicendarsi delle coalizioni politiche o delle burocrazie. Presidente, dal contenuto delle sue dichiarazioni possiamo desumere che dal rapporto con lo Stato oggi, come nella passata legislatura, dipendono buona parte degli impegni. Sono buona parte degli impegni condizionati da questo rapporto con lo Stato, e purtroppo uno Stato che in molte occasioni non ha assicurato leale collaborazione istituzionale con la Regione.

Dico questo affinché sia ben chiara e netta, e possibilmente condivisa, la consapevolezza che su questi temi non si può praticare la superiorità politica di una coalizione rispetto a un'altra, né si può accendere o spegnere lo spirito autonomista a seconda delle convenienze del momento, o secondo il colore politico del Presidente che pro tempore alberga a Palazzo Chigi. Non c'è spazio né tempo per il gioco delle parti, lo dico sulla base dell'esperienza. Su questi temi dobbiamo essere uniti perché chi divide i sardi fa il gioco di chi sta dall'altra parte del mare.

E lo affermo perché mentre in passato il centralismo è stata una scelta politica compiuta alla luce del sole, oggi purtroppo si manifesta in maniera più subdola, ipocrita e spesso per questo più difficile da combattere. Quello dei nostri giorni può essere definito un centralismo irresponsabile, perché da un lato lo Stato avoca a sé poteri, funzioni e risorse, come sta accadendo anche in questa occasione, ma dall'altro non assolve ai propri doveri, si ritira dai territori, scappa a gambe levate dalle responsabilità, non rispetta neppure gli accordi sottoscritti solennemente.

Basti per tutti l'esempio della vertenza entrate; abbiamo dovuto ricorrere alla Corte costituzionale e notificare all'esecutivo in carica con l'ufficiale giudiziario per ottenere finalmente le somme promesse. E nel momento stesso in cui veniva notificata a Palazzo Chigi quella diffida ad adempiere, la Sardegna abbandonava il tavolo della trattativa con il Governo perché si voleva far rimarcare in modo netto e chiaro che prima di tutto veniva la soluzione dei problemi antichi, prima di tutto doveva esserci un riequilibrio. Non si può parlare di equilibrio infatti se prima non c'è un riequilibrio che ci mette al pari degli altri territori.

Presidente, lei ha esposto una serie di argomentazioni che possono essere anche condivise; quando dice che prima di tutto noi facciamo la nostra parte e bisogna che ci siano degli indicatori in grado di spiegare e di attestare che abbiamo fatto la nostra parte, perché solo allora avremo titolo e diritto per pretendere quello che ci spetta, questo è vero; però, attenzione, questa osservazione sarebbe più comprensibile se esistesse da un lato una Regione sprecona e dall'altro uno Stato parsimonioso, questo non è. Non è così, anzi è il contrario. Perché lo Stato predica la spending review, ma la applica solo per gli altri. Noi invece, in tempi non sospetti, e proprio grazie agli strumenti della tanto vituperata autonomia, abbiamo avviato una revisione della spesa: in Sardegna è stato diminuito il numero dei consiglieri, in Sardegna è stato abolito il vitalizio, in Sardegna abbiamo tagliato i fondi destinati ai Gruppi, abbiamo avviato una riduzione dei consigli di amministrazione…

PRESIDENTE. Onorevole Cappellacci, il tempo a sua disposizione è terminato.

CAPPELLACCI UGO (FI). Comunque coraggio!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il consigliere Emilio Usula. Ne ha facoltà.

USULA EMILIO (Soberania e Indipendentzia). Presidente, poche ore fa stavamo discutendo sui programmi, sulle dichiarazioni programmatiche e tutti eravamo impegnati a dare il nostro contributo. A distanza di poche ore, siamo già qui a doverci difendere, a dover modificare molto probabilmente i nostri programmi, perché siamo in qualche modo sotto attacco. Sotto attacco sui nostri programmi e, quindi, sulle nostre prerogative.

Ribadisco quanto ho detto stamattina, altri a Roma stanno determinando la nostra agenda, altri a Roma stanno determinando i tempi della nostra discussione. A me va benissimo il clima che si è creato e che in qualche modo sto trovando qui oggi per la prima volta, perché ci siamo da due giorni, cioè questa condivisione da parte di tutto il Consiglio in una difesa delle prerogative del Consiglio, in una difesa della nostra autonomia, in una difesa delle nostre decisioni sui programmi da portare avanti e su come portarli avanti.

L'attacco, rappresentato dalla modifica del Titolo V della Costituzione, va respinto con decisione e fermezza, e mi sembra bello, lo ribadisco, il clima di condivisione presente in tutti gli interventi sul respingimento di questo attacco. Voglio dire che ieri ho letto la mozione del centrosinistra e l'ho condivisa, poi avuto modo di leggere la mozione del centrodestra e devo dire che anche in quella mozione ci sono molte cose condivisibili. Una cosa però bisogna ribadire: nessuna crisi economica può determinare una riduzione o addirittura negare spazi di democrazia o di autodeterminazione di un popolo. Questo è il principio portante.

Noi vogliamo essere un popolo sovrano, noi vogliamo essere un popolo che è capace e dimostra capacità di autodeterminazione. Vogliamo quindi contrastare questa deriva centralista ridando all'Esecutivo e a questo Consiglio il loro ruolo, magari anche allargandone le prerogative. Le decisioni, che prenderemo in quest'Aula, non possono essere messe in discussione dopo una o due ore da decisioni centraliste, ma devono diventare determinanti e irrevocabili. In questo mi sembra che la dichiarazione iniziale del presidente Pigliaru vada esattamente nella direzione giusta; è per questo che brevissimamente voglio solamente ribadire la piena fiducia sul fatto che il presidente Pigliaru saprà portare avanti, da domani, il confronto col Governo centrale con la schiena dritta di cui parlavamo stamattina.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il consigliere Christian Solinas. Ne ha facoltà.

SOLINAS CHRISTIAN (PSd'Az.). Presidente, bene ha fatto il presidente Pigliaru a riferire all'Aula, apprezziamo la scelta di metodo e riteniamo che possa andare al confronto di domattina col mandato più ampio di quest'Aula. Ci vada, Presidente, col coraggio che richiamava il presidente Cappellacci, ci vada anche con la consapevolezza che questo Consiglio, questa Regione è "all'ora del paese non è alla coda della sua sfida". Alcuni colleghi nel loro intervento hanno detto che noi non siamo stati in grado di utilizzare questa autonomia al meglio; spesso e volentieri ricadiamo nel tentativo di auto-flagellare sessant'anni di storia autonomistica. In realtà, riprendo quello che diceva prima il presidente Cappellacci, non ci troviamo dinanzi a due soggetti: l'uno virtuoso e l'altro spendaccione.

Questa Regione ha avviato da tempo un percorso di riallineamento, di concorso agli obiettivi della finanza pubblica, è stata la prima ad avviare riforme profonde coi referendum, la cancellazione delle province, la riduzione dei costi della politica in termini significativi. È una Regione che, insieme ad altre Regioni, sta concorrendo in maniera determinante a questo processo. Piuttosto, come richiamato nella stesura anche dell'articolato di riforma, si vede invece uno Stato che cerca di scaricare sulle Regioni l'attenzione mediatica della crisi e delle problematiche profonde che si vivono a tutti i livelli.

Ma di questo Stato, che ha fatto dei problemi delle Regioni un espediente mediatico, soprattutto con questa azione improvvida, sgangherata, fuori dal tempo e dallo spazio, del governo Renzi, che andrebbe censurata con forza, dobbiamo censurare il fatto che si ponga assiomaticamente come motore immobile del cambiamento. Si può chiedere il cambiamento alle Regioni se per primo lo Stato cambia. Cambia soprattutto nel suo rapporto con le autonomie, cambia soprattutto nel rispetto di regole condivise.

A noi pare che stiamo assistendo a una sorta di bulimia riformatrice, il "cantiere insonne", qualsiasi problema viene affrontato con l'esigenza di riformare radicalmente tutto, viene vissuta quasi con fastidio la dialettica democratica, con stanchezza la complessità dell'equilibrio tra poteri diversi, tra potestà legislative concorrenti. Gli ultimi giorni hanno disvelato anche una strategia latente da diverso tempo, che è quella di attaccare in maniera violenta la potestà legislativa regionale.

Ci sono studi che hanno circolato a livello governativo che risalgono anche a tempi non sospetti, cito per esempio quelli della Fondazione Agnelli che prevedevano la soppressione degli istituti regionali in favore della creazione di dipartimenti, ne erano stati individuati per l'esattezza 52, di decentramento amministrativo. Questo rappresenta chiaramente, per noi sardisti, ancora di più un inaccettabile passo indietro rispetto alla trincea che si era raggiunta.

Mentre in Europa e nel mondo avanzano istanze di un autonomismo più spinto, che noi chiamiamo indipendenza, senza infingimenti con il coraggio della nostra storia, mentre la Catalogna, mentre la Scozia, mentre le tante Nazioni senza Stato di quest'Europa si pongono obiettivi ancora più avanzati, assistiamo a un Governo che ci pone davanti a lotte di retroguardia, con il tentativo di destrutturare il regionalismo, con tentativi che non erano propri neppure delle prime esperienze dello Stato pre-unitario e cioè quando il Cavour, Presidente del Consiglio dei Ministri di allora, che certo non può essere annoverato tra i fautori dell'autonomismo, o del regionalismo, o del particolare favore nei confronti di quest'isola, incaricò il Ministro dell'interno, Farini, di fare una riflessione sull'assetto del nuovo Stato che andava costituendosi all'indomani dei plebisciti di annessione.

Ebbene, anche quelle Commissioni dovettero riconoscere che andavano rispettate, cito testualmente, le "membranature naturali dell'Italia". Ecco questi giorni ci consegnano l'immagine invece di uno Stato che da un lato si ritrae dalle proprie responsabilità, concorrendo sempre meno alla spesa pubblica, facendo rientrare nel Patto di stabilità, è stato detto, spese che andrebbero nettizzate come quelle del trasporto pubblico locale che facevano parte dell'accordo sottoscritto sulle entrate, che chiude e contrae le cattedre, che chiude i presidii, dall'altro lato vuole recuperare competenze legislative.

Presidente, vedrà che domani la Conferenza Stato-Regioni le dimostrerà tutti i limiti di quella sede istituzionale, prepari una nuova trincea, coinvolga tutto il Consiglio, anche il presidente Ganau, e riattivi, se è possibile, immediatamente la Conferenza delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome per rappresentare ancora una volta la guida di questa avanguardia che è la tutela dell'autonomismo e, per quanto riguarda noi, il primo passo verso l'indipendenza.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pietro Pittalis. Ne ha facoltà.

PITTALIS PIETRO (FI). Siamo d'accordo perché il dibattito si concluda con un ordine del giorno unitario che mi pare possa essere la risposta più eloquente ai signori tribunalizi d'oltre Tirreno; signori che pretendono di cancellare la nostra specialità e la nostra autonomia in ossequio, per la verità, a una tendenza che non è di questi giorni, una tendenza anche culturale informata fortemente allo statalismo, in particolare al culto dell'uguaglianza intesa come uniformità.

Una cultura estranea al liberalismo se non quello di Spaventa e di Benedetto Croce, quello di Einaudi, di Cattaneo che è rispetto insieme del diritto dell'individuo e delle singole comunità di autodeterminarsi e differenziarsi. Noi ci riconosciamo in questo filone storico-culturale, fortemente convinti di appartenere a una nazione sovrana con una sua lingua e un suo popolo. E se questi signori di oltre Tirreno neppure sono sfiorati dal dubbio sul modo di concepire la democrazia, nel senso della individuazione del giusto equilibrio tra le istanze di sovranità e i principi fondamentali di uno Stato democratico, se neppure riconsiderano in un'ottica moderna il rapporto tra cittadino e potere pubblico e su come il potere politico può essere distribuito tra centro e periferia, beh c'è di che preoccuparsi.

Ed è bene che tutto questo possa e debba essere visto con attenzione anche da questo Consiglio, non soltanto nell'ottica di un dibattito che si conclude in questa ovattata sala ma coinvolgendo anche tutto il sistema sociale, culturale che sta fuori di questo Palazzo.

E' chiaro che, come ricordava anche qualche collega, questo vale non solo nel rapporto con lo Stato ma anche nella dimensione interna al nostro ordinamento che è ancora caratterizzata da un forte centralismo, un centralismo elefantiaco. E per quanto lei domani possa, forte anche di un mandato di questa Assemblea, perorare le istanze e gli interessi della nostra comunità, non facciamoci illusioni che il percorso sia tutto in discesa perché la mancanza di cultura federalista e le resistenze delle grandi burocrazie, in particolare delle burocrazie ministeriali, non sono certamente dalla nostra parte.

Io voglio ricordare che per esempio dalla riforma del 2001 non c'è più in Costituzione la clausola dell'interesse nazionale. Ciò non di meno ci si comporta a livello romano come se ci fosse ancora. Quella clausola è stata sostituita dalle cosiddette competenze finalistiche ovvero dalle materie trasversali. Il combinato disposto di queste e dei livelli essenziali delle prestazioni dei godimenti dei diritti civili e sociali ha finito con aprire ampi varchi al recupero di competenza legislativa da parte dello Stato.

Come se non bastasse, e non sono osservazioni mie ma di un bravo costituzionalista, la Corte costituzionale ha interpretato estensivamente pure il concetto di sussidiarietà applicandolo non solo alle funzioni amministrative ma anche a quelle legislative, una sussidiarietà dunque interpretata in direzione ascendente.

Quindi, vedete, ci sono stati già nella prassi quotidiana elementi per cui non ci dobbiamo sorprendere se oggi si è arrivati a questo risultato. Io penso però, Presidente, che esistano gli strumenti della democrazia, gli strumenti della dialettica, quella civile e democratica per contrastare questo disegno. Lei confidi sul nostro sostegno, ma noi confidiamo davvero che possiamo far sentire alta la nostra voce.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Pietro Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO PIETRO (PD). Presidente, chiedo una breve sospensione per consentire un incontro dei Capigruppo.

PRESIDENTE. La seduta è sospesa.

(La seduta, sospesa alle ore 18 e 07, viene ripresa alle ore 19.)

PRESIDENTE. E' pervenuto un ordine del giorno. Se ne dia lettura.

(Si riporta di seguito il testo dell'ordine del giorno numero 1:

ORDINE DEL GIORNO COCCO Pietro - PITTALIS - DEDONI - ANEDDA - ARBAU - COCCO Daniele Secondo - DESINI - FENU - RUBIU - SOLINAS Christian - USULA sul disegno di legge del Governo recante "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, la revisione del titolo V della Costituzione".

IL CONSIGLIO REGIONALE

a conclusione della discussione delle mozioni n. 7 e n. 8 riguardanti il disegno di legge del Governo sulle "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, la revisione del titolo V della Costituzione";

RIBADISCE il diritto del popolo sardo a vedere riconosciuta la propria specialità autonomistica e afferma che nessuna crisi economica può essere causa di riduzione o negazione di spazi di democrazia e di autodeterminazione di un popolo,

impegna il Presidente della Regione

1) a ricercare ogni sede di confronto con il Governo perché venga salvaguardata la specialità autonomistica della Sardegna, sollecitando nel contempo tutte le rappresentanze sarde nel Parlamento italiano affinché si battano nel modo più efficace possibile contro la cancellazione dell'autonomia regionale;

2) perché, in riferimento alla revisione del titolo V della Costituzione si attivi per proporre l'inserimento di una clausola di salvaguardia della specialità che faccia salve le competenze previste dagli statuti speciali, con l'estensione alla Sardegna solamente delle norme di maggior favore;

3) affinché si attivi perché nella nuova versione dell'articolo 116 e dell'articolo 117, commi 3 e 4, sia prevista una procedura di revisione degli statuti speciali che non consenta in alcun modo l'imposizione di modifiche senza il parere vincolante della Sardegna;


4) affinché si attivi perché, nella riforma in itinere sia prevista la costituzionalizzazione del principio dell'intesa e dell'assetto pattizio delle relazioni finanziarie con lo Stato.)

PRESIDENTE. Per esprimere il parere della Giunta ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.

PIGLIARU FRANCESCO, Presidente Della Regione. Il parere è favorevole.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione. E' in votazione l'ordine del giorno. Ha domandato di parlare il consigliere Mario Floris per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

FLORIS MARIO (Sardegna). Signor Presidente, colleghi del Consiglio, io mi asterrò su questo ordine del giorno che ritengo assolutamente inutile. Abbiamo gli scaffali pieni di ordini del giorno presentati durante gli anni dell'autonomia; non sono serviti quando c'era ancora lo spazio di contrattazione con lo Stato per lo Statuto, figuriamoci adesso che è cambiato il modello statuale ed è cambiato il clima nei confronti della Regione! Noi non possiamo continuare ad andare avanti con questo metodo, licenziando argomenti così importanti unendo le due mozioni, una presentata dai partiti di maggioranza e l'altra dai partiti di minoranza.

Non è la prima volta che bocciano la presenza della Sardegna nel Parlamento europeo; è avvenuto altre volte, ieri abbiamo avuto la riprova di quanto sia scarsa la considerazione nei confronti delle Regioni a Statuto Speciale e di quanto sia scarsissima la considerazione che hanno nei confronti della Regione autonoma della Sardegna. Presidente, qui bisogna dare risposte dure e chiare, perché ci stiamo giocando il futuro della Sardegna. Io non sono d'accordo con chi dice: "Non andiamo a votare", perché così si fa una cortesia ai nostri parlamentari; dobbiamo dire invece che facciamo una lista di sardi e che votiamo tutti i sardi, e le mettiamo tutte e due; questa è la risposta che noi dobbiamo dare.

L'incontro con Renzi non ha nessun significato; Renzi si è già espresso, Presidente. Dobbiamo chiedere l'incontro con il Presidente della Repubblica che un anno fa è venuto qui, in Sardegna, a dire: "Io sarò il difensore della vostra autonomia", e se non lo fa il Presidente che si è impegnato ufficialmente, chi altro lo può fare? Io credo che non sia più necessario, che non sia più utile andare come Presidente della Regione, da solo, per incontrare i componenti del Governo; credo sia utile che a Roma non si spediscano gli ordini del giorno, ma ci sia la presenza fisica, che è quella che ci ha sempre dato soddisfazione; ci devono essere cioè le forze di maggioranza, le forze di minoranza, i sindacati, gli imprenditori e quant'altro.

Noi abbiamo vinto soltanto quando chi vi parla ha portato "le navi a Roma" in occasione della battaglia per le entrate finanziarie della Regione; quando chi vi parla ha portato, per la crisi economica di Porto Torres, tutte le maestranze a Roma per portare avanti questo tipo di battaglia; quindi questo sottoscrivere gli ordini del giorno era ed è un modo per uscirne, ma non è la risposta che noi dobbiamo dare: o ci crediamo in certe cose, o non ci crediamo. Dobbiamo fare in modo che il Presidente non sia lì, da solo, a trattare, impegnandolo a fare le cose che noi dobbiamo fare insieme a lui.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Daniele Cocco per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

COCCO DANIELE (SEL). Presidente, rinuncio.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Gavino Sale per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

SALE GAVINO (Gruppo Misto). Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del Gruppo Misto.

PRESIDENTE. Allora ha dieci minuti di tempo a disposizione per il suo intervento.

SALE GAVINO (Gruppo Misto). Sarò molto più breve. L'odierno dibattito in quest'Aula rafforza, ancora una volta, la convinzione che in Sardegna tiri un'aria nuova. Penso che il metodo usato dal Presidente sia stato molto utile, e penso ancora che le mozioni di centrodestra e centrosinistra, fuse assieme, la dicano lunga sulla situazione sarda, ma, soprattutto, sulla maturazione di una certa coscienza. Questo campanello d'allarme che si è sentito suonare in lontananza o, in vicinanza, da Roma, ha fatto notare che qui ci sono un popolo e una nazione vivi, e questa Assemblea, oggi, ha dato un grande segnale di speranza.

Io sono d'accordo con chi mi ha preceduto, probabilmente questo viaggio non produrrà grossi effetti, stiamo arrivando al nodo delle trascuratezze che abbiamo lasciato in questi anni, e l'accelerazione di questa coscienza di nazione e di popolo credo stia superando le capacità di risposta della classe politica. Il nostro dovere non ritengo sia chiedere all'Italia che cosa o quanto possa regalarci per gentile concessione, siamo noi i responsabili del nostro destino, in quanto a Roma non si sente che cosa sta succedendo in Sardegna.

Ma noi abbiamo delle grandi possibilità. Abbiamo un assetto istituzionale e costituzionale che è dato da quel referendum che cancellava, nel 2012, le province; al punto 6 parla di Costituente, cioè della necessità giuridica di riscrivere lo Statuto. Credo che quel nodo sia arrivato al punto di maturazione per cui noi lo dobbiamo sviluppare, quindi l'atteggiamento che il nostro Presidente deve avere non è quello di un banale governatore.

Issu deve arrivare a Roma a nome del popolo e della nazione sarda che est ancora bia e deve parlare come Presidente della nazione sarda, perché questo è il cantiere dove noi la stiamo costruendo per davvero, e il fatto che destra e sinistra si uniscano in questo processo la dice lunga e conferma che questo processo è in atto ed è oramai irreversibile. Appena rientra su Presidente da Roma dobbiamo attrezzarci e dare un'accelerata rispetto ai tempi che sono maturi; e uno strumento, lo ripeto, è la Costituente a cui dobbiamo mettere mano, anche perché è una porta istituzionale aperta, certificata dalla necessità del popolo sardo legalmente espressa.

Non adottiamo quindi un atteggiamento remissivo, questuante, chiedendo pietà e misericordia allo Stato italiano. No! Invertiamo tutto! Diamo una grande speranza al popolo e alla nazione sarda e appena torrada su Presidente acceleriamo i processi de noisi. Non sono gli italiani i cattivi che ci opprimono, ma è la nostra cattiva coscienza. Noi dobbiamo passare da un'identità depressiva, depressa, che ha prodotto questo senso, naramus, di infelicità e di depressione, a una coscienza di valore. Noi devimus dare valore senza esagerare, cioè dobbiamo andare verso un'identità critica.

Quindi, caro Presidente, in custu viaggiu per Roma - credo che sia l'ennesimo, come altri ne abbiamo visto - l'atteggiamento che noi modestamente le consigliamo è di parlare comente Presidente della nazione del popolo sardo che ancora è vivo e vegeto e quest'Aula oggi lo ha dimostrato, e appena torrada acceleriamo il processo perché siamo in grave ritardo.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Luca Pizzuto per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

PIZZUTO LUCA (SEL). Presidente, Piero Calamandrei, in una delle sue lezioni agli studenti, nel parlare della Costituzione raccontava la storia di due marinai che stanno in una nave in mezzo al mare, uno dorme in cabina e l'altro sta su a lavorare. Improvvisamente la nave va in fiamme. Allora il marinaio che sta sopra va di corsa nella cabina a dire: "La nave è in fiamme; svegliati dobbiamo andare via da qua!" e l'altro gli risponde: "Che me ne frega? Tanto non è la mia!".

Io condivido questa lotta e questo punto di lotta importante sulla difesa della nostra autonomia, ma non è soltanto questo il punto perché difendere la nostra autonomia, mentre viene messa in discussione quella di tante altre autonomie territoriali in Italia, e viene messo in discussione l'assetto democratico del Paese senza un disegno complessivo, è grave ed è pericoloso per la nostra autonomia e per il nostro essere sardi.

Quindi, non è stato inserito in modo molto esplicito nella mozione, però io vorrei che il nostro Presidente si facesse garante della difesa dell'assetto democratico di questo Paese perché non mi basta il fatto che dobbiamo difenderci noi, da soli poi non ci difendiamo contro tutti, quindi abbiamo bisogno di salvare e di ricreare un assetto democratico in questo Paese partendo da tutte le autonomie locali e da tutte le territorialità.

PRESIDENTE. Poiché nessun altro domanda di parlare sull'ordine del giorno numero 1, lo metto in votazione. Chi lo approva alzi la mano. Chi non lo approva alzi la mano. Chi si astiene alzi la mano.

(E' approvato)

Il Consiglio è convocato alle ore 16 di mercoledì 16 aprile.

La seduta è tolta alle ore 19 e 15.