Seduta n.11 del 23/04/2009 

XI Seduta

Giovedi' 23 aprile 2009

Presidenza della Presidente LOMBARDO

INDICE

La seduta è aperta alle ore 16 e 30.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Radhouan Ben Amara, Pietro Cocco, Giampaolo Diana, Paolo Maninchedda e Antioco Porcu hanno chiesto congedo per la seduta del 23 aprile 2009.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Seduta congiunta Consiglio regionale - Consiglio delle autonomie locali sullo stato del sistema delle autonomie in Sardegna (articolo 10 legge regionale 17 gennaio 2005, numero 1)

PRESIDENTE. Presidente Milia, presidente Cappellacci, Assessori, colleghe e colleghi, membri del Consiglio delle autonomie locali, la riunione di questa sera assume una valenza particolare, in quanto è il primo appuntamento di questa XIV legislatura consiliare previsto, come sappiamo, dalla legge che, nel 2005, ha istituito nella nostra Regione il Consiglio delle autonomie locali.

E' un appuntamento destinato a ripetersi negli anni, senza che per noi però debba assumere il valore di una ritualità prevista da un adempimento legislativo. Al contrario esso deve essere riempito di contenuti volti al miglioramento dei rapporti di coordinamento tra i due organi e per valutare il raggiungimento o meno degli obiettivi fissati dalla legge. E, se mi consentite una piccola digressione, è nel pieno rispetto di questo indirizzo che la Presidenza del Consiglio regionale e la Presidenza del Consiglio della autonomie locali hanno deciso di tenere questa prima seduta congiunta al di fuori della sede istituzionale nel capoluogo sardo.

Si è voluto in questo modo dare un segnale, un segnale di vicinanza ai cittadini e alle autonomie locali che più direttamente li rappresentano. Un rapporto più stretto con i territori che compongono l'Isola, cui la massima Assemblea della Sardegna e il Consiglio delle autonomie non hanno voluto mancare, per riallacciare un sentimento di fiducia reciproca, tra cittadino e istituzioni, e per rinsaldare le radici del nostro essere popolo. Lo facciamo partendo idealmente da Oristano, il centro della Sardegna, per riconoscere il giusto merito a tutti i Comuni e le Province sarde che, amministrando le proprie comunità, hanno svolto una azione insostituibile nel cammino che i sardi hanno compiuto verso il progresso, le conquiste civili e la modernità.

Per quanto mi riguarda, questa seduta assume un contorno ancora più particolare e coinvolgente, per stringere un nuovo patto tra il Parlamento dei sardi e il popolo sardo. Infatti, tra poco più di un mese, esattamente il 28 di maggio, ricorre il sessantesimo anniversario della seduta inaugurale per l'insediamento del primo Consiglio regionale della Sardegna. Con questa uscita dal Palazzo, per andare incontro ai territori, si vuole rinsaldare quel patto di lealtà e lo spirito di servizio verso il popolo sardo che animò i primi legislatori regionali.

Era il 28 maggio del 1949 quando iniziò la nuova alba dell'Autonomia speciale della Sardegna. Un'alba fatta di grandi speranze, fiducia e voglia di riscatto. Vi assicuro che questi sono gli stessi sentimenti che oggi ci animano e attraverso i quali vogliamo lasciare il segno per una legislatura costituente, un'azione di riforma necessaria per dare alla Sardegna una Regione più vicina al suo popolo e in piena sintonia con il sistema delle autonomie locali, per un effettivo federalismo interno, trasparente ed efficiente. Quel popolo sardo che ci ha onorati chiamandoci al difficile compito di servirlo e guidarlo.

Colleghe, colleghi, con i lavori odierni siamo quindi giunti alla quarta seduta congiunta da quando è stato istituito il Consiglio delle autonomie locali. Siamo quindi nelle condizioni di tracciare un bilancio compiuto sui fatti sostanziali che hanno caratterizzato i rapporti tra il Consiglio regionale e la Consulta delle autonomie negli ambiti previsti dalla legge numero 1 del 2005. Nei tre anni passati dall'avvio dell'attività del Consiglio delle autonomie, gli aspetti funzionali ed organizzativi sono stati rodati e messi a punto.

Per quanto consentito dalla normativa vigente, sia la legge istitutiva del CAL sia il Regolamento interno del Consiglio, si è fatto in modo che alcune difficoltà iniziali fossero superate dando disposizioni agli Uffici, alle quali ottemperano puntualmente, per fornire al CAL la più tempestiva informazione sulle attività consiliari, non solo al fine di ottenere i prescritti pareri obbligatori. Il concorso all'attività legislativa si attesta fisiologicamente sull'andamento della produzione del Consiglio. Il calo degli ultimi due anni corrisponde ad una riduzione dell'attività legislativa rilevante. In sintesi, la procedura è normalmente rispettata per tutte le materie di competenza.

Sui rapporti che intercorrono tra i due organi, a mio avviso, il raccordo funzionale può essere rafforzato anche a normativa vigente. Per esempio attraverso forme di collaborazione tecnico istituzionale per lo studio ed il monitoraggio di questioni di comune interesse, come la verifica e l'attuazione delle norme generali sulle autonomie o la materia della finanza locale.

Diverso è il problema posto in merito al rafforzamento formale della funzione del CAL. La nostra legge istitutiva non prevede alcun obbligo in capo al Consiglio regionale di procedere con particolari formalità nell'esame dei pareri obbligatori del Consiglio delle autonomie. Parimenti non è previsto dalla legge istitutiva sarda un potere d'iniziativa legislativa del CAL, a differenza di quanto è stato previsto in altre Regioni. Infatti, l'adozione di soluzioni analoghe ad altre realtà regionali, porrebbe, nel nostro ordinamento ad autonomia speciale, complessi problemi giuridici che coinvolgono lo Statuto e i rapporti tra questo e la legge statuaria. Il ragionamento però va ampliato oltre i profili organizzativi e funzionali.

Il CAL non è un ospite dell'ordinamento della Regione: è un organo della Regione. D'altra parte la Regione non è solo l'Ente regionale ma è insieme il sistema e l'ordinamento autonomistico. Perciò i rapporti tra Consiglio regionale e CAL non possono essere quelli che intercorrono tra due controparti. Anche l'esperienza insegna che il problema non è quello del rispetto formale delle procedure o del reciproco riconoscimento dei ruoli: in linea di massima, infatti, il Consiglio tiene presenti e valuta i contributi del CAL, i quali sono sempre portati all'attenzione dei consiglieri ed emergono anche nelle discussioni in Aula oltre che in Commissione.

Le leggi regionali hanno anche attribuito al CAL il compito di effettuare nomine e designazioni. Su questo punto sono sorte a volte perplessità: perché queste funzioni, eccentriche rispetto alle finalità del CAL, trovino giustificazione, occorre che siano esercitate in una prospettiva di rappresentanza in termini generali non solo degli amministratori locali, ma dell'insieme delle comunità locali, sfuggendo alle logiche ripartitorie interne dell'organo. Il punto è quello dell'effettiva incidenza degli interessi delle comunità locali rispetto alle decisioni regionali. E' prima di tutto un problema di rappresentanza, che investe sia il CAL sia il Consiglio regionale, l'uno e l'altro formati su basi territoriali, anche se, bisogna sottolinearlo, con diversa legittimazione: diretta quella del Consiglio regionale, di secondo grado ed espressione degli esecutivi quella del CAL.

La questione è dunque di concorrere ad una trasformazione progressiva dell'ordinamento regionale in senso autonomistico. La funzione del CAL è fondamentale perché, istituzionalmente preposto a questa funzione, può orientare con incisività l'attività legislativa. Non è casuale che in questi anni la Regione abbia sviluppato finalmente una produzione legislativa in materia di enti locali, utilizzando ampiamente la competenza primaria riconosciutale dallo Statuto e fino a quel momento scarsamente valorizzata. Il primo di questi atti è stato proprio l'approvazione della legge sul Consiglio delle autonomie locali, nata come unificazione di due testi provenienti da diverse parti politiche.

Un secondo aspetto riguarda la capacità di proposta e di elaborazione per orientare effettivamente la produzione normativa alle esigenze ed agli interessi delle comunità locali e degli enti che le esprimono. Qui l'impegno di entrambi gli organi va rafforzato, per meglio conoscere le realtà interessate, saper valutare in anticipo l'impatto delle norme che si assumono, costruire un sistema ordinato ed equo fra comunità ed enti che stanno su un piano di pari dignità. La forza delle assemblee legislative dipende oggi sempre più dalla capacità dì conoscere i problemi e di sviluppare forme di controllo e di verifica dell'attuazione delle leggi. E' questo l'ambito in cui si possono sviluppare quei raccordi tecnico istituzionali cui si è fatto cenno.

Infine uno strumento previsto dalla nostra legge regionale da valorizzare è la seduta congiunta Consiglio regionale-CAL, da svolgere ogni anno prima della manovra finanziaria. Ad essa deve partecipare, anch'esso non ospite e non estraneo, il Governo regionale. Si può evitare di ridurre questo momento ad un fatto rituale finalizzandolo non solo ad un confronto, ma anche all'assunzione di impegni comuni per lo sviluppo dell'attività legislativa, per accrescere il tasso di autonomia del nostro ordinamento, per verificare l'attuazione delle leggi fin qui adottate.

Il Consiglio, impegnato in un difficile avvio di legislatura, ha come obiettivo non rinviabile la manovra di bilancio, mentre la nostra Isola soffre i pesanti effetti della crisi generale. L'esame della manovra finanziaria potrà essere l'occasione per delineare un obiettivo condiviso. Lo sviluppo della nostra Regione dipende ampiamente dalla crescita delle comunità locali e dalla coesione fra i territori che ha un suo presupposto nella valorizzazione dell'autonomia e dell'assunzione di responsabilità di ciascun ente. Le due assemblee devono concorrere, nel rispetto reciproco dei ruoli, a questo obiettivo centrale per la comunità regionale. Ma, non solo. C'è anche un ulteriore impegno che a breve saremo chiamati a sostenere, dando senso compiuto a questo obiettivo.

Il processo di riforme innescatosi all'interno delle istituzioni repubblicane, per modificarle attraverso un assetto federale, e che tende a mettere in discussione perfino la stessa specialità riconosciutaci costituzionalmente, non può infatti vedere la nostra Regione assente. La Sardegna vanta una tradizione culturale e politica elevatissima in tema di federalismo e non può rinunciare a fornire un contributo di alto profilo alla discussione in atto. Contributo che può fornire solo presentando le istanze più nobili del popolo sardo, nelle massime sedi istituzionali della Repubblica, con una proposta di nuovo Statuto che scaturisca da un movimento corale di popolo e da un pieno coinvolgimento di tutte le autonome locali. Una sostanziale unità di intenti per riscrivere le norme, i principi e i valori che regolano il nostro vivere, e che dia il senso e la dimensione di un più incisivo ruolo politico della Sardegna in Italia e in Europa.

Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio delle autonomie locali.

MILIA, Presidente del Consiglio delle autonomie locali. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, signor Sindaco di Oristano, onorevoli consiglieri e consigliere, signore e signori della Giunta regionale, colleghe e colleghi del Consiglio delle autonomie locali, consentitemi anzitutto di esprimere il grande apprezzamento del Consiglio delle autonomie locali per la decisione di tenere questa nostra riunione, come dire - non me ne voglia il Sindaco di Oristano - in una sede decentrata rispetto alla sede naturale del Consiglio regionale. E' una scelta che abbiamo apprezzato, è una scelta che rappresenta la volontà di una classe dirigente intera, laddove è possibile, laddove le leggi lo consentano, di aprirsi e rivolgersi al territorio facendo sentire così la propria presenza.

Consentitemi anche - lo faccio per la seconda volta dopo il convegno che abbiamo tenuto la settimana scorsa al Palazzo Viceregio, come Consiglio delle autonomie locali - di rivolgere all'intero Consiglio regionale un grande apprezzamento per aver scelto al proprio interno come Presidente dell'Aula, per la prima volta nella storia dell'autonomia, una donna. Credo che questo sia un fatto importante che dà il segno di una Sardegna che è cambiata, che continua a cambiare, che vive fra tante difficoltà, ma che comunque è ancora nelle condizioni di costruire il proprio futuro. Anche questi elementi rappresentano e danno la misura di passi in avanti che si compiono.

In quella occasione, tra l'altro, presidente Lombardo, le feci omaggio di una riproduzione della medaglietta in oro che mio padre mi regalò, che rappresentava e ricordava il ventesimo anniversario dell'istituzione dell'Assemblea, della prima riunione dell'Assemblea legislativa sarda; oggi siamo prossimi a celebrare il sessantesimo anniversario di quell'evento.

Io ho ascoltato con molta attenzione le parole del presidente Lombardo e devo dire che esprimo apprezzamento convinto rispetto a quanto lei ha detto. Mi limiterò pertanto ad aggiungere solo alcune brevi considerazioni che magari potranno, mi auguro, consentire un dibattito più ad ampio raggio sul sistema delle autonomie locali, perché questa è la finalità di questa seduta congiunta. E' vero che è una seduta che cade in contemporanea con la discussione della legge finanziaria, ma nel dispositivo legislativo è intesa come un confronto annuale sullo stato del sistema delle autonomie locali e del suo rapporto con la Regione. Non a caso, appunto, partecipa a pieno titolo e con un ruolo anche la Giunta.

Stamattina abbiamo inaugurato la sessantunesima edizione (ha un anno in più di questa Assemblea) della fiera campionaria. Ci siamo soffermati io, il Sindaco di Cagliari, il presidente della fiera, il presidente Cappellacci sulla situazione che stiamo attraversando. Noi viviamo e conosciamo una crisi che può essere definita "senza precedenti", una crisi che non è una delle crisi che abbiamo conosciuto nel secolo scorso, non è quella del '29, non è la crisi petrolifera degli anni '70, è una crisi molto diversa e lo dimostrano anche i numeri: per la prima volta dal 1945 ad oggi l'economia mondiale non cresce, anzi decresce dello 0,6 per cento.

Le cause sono tante: vi è stato un protagonismo eccessivo del sistema finanziario che pareva a un certo punto aver preso il sopravvento anche sulla politica - e forse, in alcuni momenti, ha preso effettivamente il sopravvento - ma le cause risiedono soprattutto nell'idea distorta che per una quindicina di anni noi tutti, forse, ci siamo fatti: che il denaro generasse altro denaro, che addirittura non fosse più necessario produrre, che potevamo pensare di delocalizzare le produzioni in altre parti del mondo. Ricordate? Il 90 per cento degli iscritti alla Camera di commercio di Timisoara proveniva dal Triveneto. Si diceva: altrove si produrrà, noi movimentando denaro creiamo ricchezza. Niente di più sbagliato. E quello che è accaduto e quello che sta accadendo, e forse - e qui faccio una battuta di ottimismo - quello a cui siamo scampati dimostra che era una scelta assolutamente folle.

Come sarebbe folle se noi oggi ritenessimo che il compito di affrontare questa crisi economica ce l'abbiano solo ed esclusivamente la Federal Reserve, il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, gli organismi sovranazionali, i Governi nazionali, il G8, il G20, e chi più ne ha più ne metta insomma. Sarebbe assolutamente sbagliato. Da questa crisi si esce solo ed esclusivamente se vi è una forte ripresa dello sviluppo locale. Ecco, così si spiega questo mio rispetto al nostro ruolo, al vostro e al nostro ruolo.

Sviluppo locale significa mobilitazione collettiva, sviluppo locale significa cultura dello sviluppo, significa consapevolezza dello sviluppo. E' esattamente la negazione del dirigismo e dell'autoritarismo. Badate, nella nostra vicenda autonomistica abbiamo conosciuto anche fasi che necessitavano di un forte dirigismo: penso alla parte iniziale, penso agli anni del Piano di rinascita quando inventammo il centro regionale di programmazione. Lì c'era l'idea di costruire una cabina di regia che avrebbe dovuto guidare quello sviluppo. Oggi quel sistema non regge più: abbiamo bisogno d'altro.

La risoluzione della crisi non può essere diretta dall'alto, né lo sviluppo locale deve essere diretto dall'alto. Voi dovete diventare sintesi di questi sviluppi locali (uso volutamente il plurale) in collaborazione col sistema delle autonomie locali. Quindi la crisi ci consegna una necessità di rapporto tra le istituzioni anche nella nostra Isola, che è diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto in numerosi altri tempi e deve essere un rapporto che parta dalla consapevolezza che noi ci dobbiamo aprire all'esterno.

Badate, questa crisi porta con sé un'altra conseguenza e un altro pericolo che è quello dell'affermarsi dell'insicurezza, della paura, che produce poi scelte economiche protezionistiche. Tutto possiamo fare fuorché scegliere la strada del protezionismo. Tutto possiamo fare che pensarla come l'ex ministro di Mitterrand oggi consulente di Sarkozy, che parlando di Mediterraneo propone di introdurre una tassa di circolazione nelle acque del nostro mare. Tutto possiamo pensare fuorché questo. Va vissuta all'insegna dell'apertura, e anche noi dobbiamo aprirci di più.

Io sono reduce di una riunione del Comitato delle Regioni dove mi auguro che tra qualche settimana venga formalizzata anche la nomina del Presidente della Regione, così potremo almeno cercare di essere in due, visto che sino ad oggi abbiamo contato solo ed esclusivamente sulla presenza residuale, per la parte terminale della legislatura, di un parlamentare europeo, e non so se avremo la fortuna di averne uno col prossimo mandato. Bene, l'altro giorno si decideva l'istituzione della delegazione del sistema delle autonomie locali in Europa presso un gruppo di lavoro della Commissione europea, gruppo di lavoro tra l'altro internazionale al quale partecipano anche i rappresentanti dei paesi che si trovano dall'altra parte del Mediterraneo e che incontra un po' di difficoltà a iniziare perché naturalmente il conflitto Israelo-Palestinese crea problemi anche in queste situazioni. Ebbene nella delegazione italiana nel suo complesso, comprendendo tutti i partiti, non erano presenti né rappresentanti della Sardegna né rappresentanti della Sicilia. Come si fa a fare un ragionamento sulle politiche euromediterranee escludendo da un contesto come quello, le due isole maggiori del Mediterraneo?

Quindi dobbiamo guardare in avanti, guardare ad una maggiore apertura; l'identità è quello che si vuole diventare, e dove si vuole arrivare; non è solo quello che si è stati e quello che si è.

Mi avvio a concludere, suppongo che della revisione della legge numero 1 ne parleranno alcuni colleghi del Consiglio delle autonomie locali. Credo che dobbiamo riprendere la strada delle riforme, ma dobbiamo prenderla a tutto campo però, perché, vedete, noi sardi abbiamo un vizio strano (ma in parte ce l'hanno anche gli italiani): affrontiamo le riforme "a pezzi". Adesso il Parlamento ha approvato un'ipotesi di federalismo fiscale; badate, quell'ipotesi, sulla carta, è culturalmente una ottima ipotesi. Manca una cosa; qualcuno dice che il ministro Tremonti non ci sa fornire i dati, il ministro Tremonti i dati ce li potrebbe fornire in mezz'ora, ma noi dobbiamo sapere che quel federalismo fiscale se lo si applica sul serio costerà molto ma molto, non sarà un federalismo fiscale a costo zero, noi questo dobbiamo saperlo.

Così come dobbiamo sapere che non possiamo affrontare la questione del federalismo fiscale se prima non pensiamo ad una riforma costituzionale dello Stato che renda l'Italia uno Stato federale, come accade in tutti i Paesi del mondo. Prima si approva una costituzione in senso federalista e poi si realizza il federalismo fiscale. Così hanno fatto gli spagnoli, così a suo tempo fecero i tedeschi, così hanno fatto in altri Paesi europei.

Quindi dobbiamo riprendere la strada delle riforme e dobbiamo riprenderla anche qui, a partire dal rapporto col sistema delle autonomie locali attraverso una revisione della legge numero 1 che attribuisca anche più potere al Consiglio delle autonomie locali, se ci si crede. Poi, sapete, oltre le regole e le leggi c'è anche la politica, perché la politica può anche ritenere che questo non sia utile e allora non lo si fa.

Quindi dicevo, si parta anche da quello, ma si parta soprattutto dalla necessità di rimettere mani a un processo riformatore, a iniziare dallo Statuto. Vedete, chi vi parla è convinto che noi abbiamo chiuso la fase della nostra vicenda autonomistica; forse anche nel linguaggio questa fase deve essere superata e dobbiamo guardare avanti. Specialità, autonomia, autonomismo; forse dobbiamo sostituire tutti questi termini con un'unica parola: libertà. Perché un popolo se non è libero può essere nelle sue istituzioni autonomo quanto volete, ma non è in grado - per dirla con le parole di Amartya Sen - di costruire e di conquistare la propria "capacitabilità" - così si traduce capability dall'inglese in italiano - che significa l'opportunità che ogni donna e uomo che vive sulla terra ha di poter migliorare la propria condizione.

Ecco, io credo che noi dobbiamo entrare anche nell'ottica di superare.

I padri sono importanti, occorre tenerne sempre grande considerazione, però i padri poi vengono meno, subentrano i figli, infine arrivano i nipoti e il modo di pensare cambia, il mondo cambia, e noi dobbiamo essere all'altezza di questi cambiamenti.

Ultimissima questione che voglio affrontare è quella relativa al patto di stabilità, che tocca la Regione e che tocca il sistema delle autonomie locali. Io non so se al 31 dicembre dello scorso anno la Regione abbia avviato le procedure per contrattare il patto di stabilità col Governo centrale; non mi risulta. Credo pertanto che qui, oggi dobbiamo assumere l'impegno - questa è una richiesta formale che avanzo al Presidente della Regione - affinché per il 31 dicembre dell'anno prossimo si possa, nell'interesse del bilancio della Regione (perché è inutile che mettiamo soldi in bilancio che non possiamo spendere) e nell'interesse del bilancio del sistema delle autonomie locali, ricontrattare il patto di stabilità, aprendo una vertenza seria e forte con lo Stato, arrivando a dire che se ci dovesse essere una risposta negativa, noi tutti, Consiglio regionale e sistema delle autonomie locali, sforeremo il patto di stabilità, ma non di 100 milioni come è accaduto credo due anni fa, ma dei miliardi che ci sono e che sono inutilizzati. Credo che la Sardegna e la crisi che stiamo vivendo abbia bisogno anche di questo. Grazie e scusate per il tempo che ho occupato.

PRESIDENTE. Grazie al presidente Milia. Iniziamo adesso il dibattito.

Ricordo a tutti i colleghi che il tempo a disposizione è di dieci minuti.

Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Oristano che questa sera ci ospita, Angela Nonnis.

NONNIS, Sindaco del Comune di Oristano. E' un onore per me porgere il saluto di benvenuto al nuovo Consiglio regionale della Sardegna e al Consiglio delle autonomie locali. Un particolare e sentito saluto voglio rivolgere al Presidente del Consiglio regionale, Claudia Lombardo, prima donna chiamata a presiedere l'Assemblea regionale, ma con altrettanto affetto, stima e rispetto istituzionale, saluto il Presidente della Giunta Ugo Cappellacci, il Presidente del Consiglio delle autonomie, gli Assessori, le autorità e tutti i colleghi Sindaci.

Un saluto che vuole essere un augurio di buon lavoro per la seduta di oggi, ma soprattutto per gli impegni che attendono la più importante Assise regionale. Nei prossimi anni dovrete affrontare con grande senso di responsabilità la crisi economica e sociale che caratterizza la nostra Isola. Per me e per la città di Oristano è un onore ospitarvi in uno dei suoi edifici più prestigiosi, il Teatro Antonio Garau, un luogo di cultura intitolato al più grande commediografo della Sardegna. Da Sindaco di un capoluogo di provincia, consentitemi, in questa occasione, di proporre alcune riflessioni e alcune proposte. Dal Consiglio regionale e dall'Esecutivo i comuni si attendono una nuova stagione di confronto e di collaborazione istituzionale, indispensabile per una corretta politica di sviluppo del territorio.

In questo senso devo rivolgere un plauso all'iniziativa dei presidenti Lombardo e Milia di far tenere a Oristano la seduta del Consiglio regionale e di quello delle Autonomie locali. Questa rappresenta un forte segnale di attenzione verso le realtà periferiche, di presenza e di sensibilità verso tutte le comunità dell'Isola.

Non voglio condizionare i lavori dell'Assemblea con un'elencazione di richieste da parte della città di Oristano. Non è questa la sede, né il momento. Tuttavia non posso esimermi dal ricordare alle nuove rappresentanze istituzionali gli impegni assunti con questo territorio. Mi riferisco all'intesa istituzionale sottoscritta ormai 2 anni fa e rimasta per la gran parte disattesa. Allora c'era il presidente Soru, che, sono certa, proponendo quell'accordo, era animato dalle migliori intenzioni. Nell'intesa erano contenuti i punti qualificanti per il rilancio economico e sociale del nostro territorio. Punti che sono stati ripresi, approfonditi e ampliati nel Piano strategico di Oristano e dell'area vasta.

Oggi occorre tradurre quelle idee in azioni concrete. E se dal confronto tra il Comune, la Provincia e la Regione è potuto nascere un documento programmatorio valido nei suoi principi e nelle sue finalità, oggi la stessa collaborazione occorre ricercarla nell'aggiornamento di quel documento e nell'attuazione delle politiche di sviluppo, nelle azioni concrete di messa in opera di progetti e del reperimento delle risorse per essi necessarie. Oggi, il compito di gestire la nuova stagione politica dell'Isola è affidato al presidente Cappellacci e alla maggioranza che lo sostiene. A lui ci rivolgiamo per aiutarci a completare il nostro percorso di crescita, per tradurre le progettualità di questo territorio in imprese utili a generare occasioni di sviluppo, di crescita, in posti di lavoro e in benessere.

Non chiediamo il finanziamento di un progetto a discapito di un altro e non vogliamo privilegi rispetto ad altre zone della Sardegna. Chiediamo attenzione per le istanze complessive di un territorio, sensibilità nei confronti di un'idea di sviluppo che ha le sue fondamenta, come dicevo prima, nell'intesa istituzionale e nel piano strategico. All'interno di questi documenti, infatti, c'è la nostra idea di sviluppo del territorio che deve passare attraverso la promozione delle nostre produzioni agricole (che, come nel caso del riso e del pomodoro, rappresentano l'eccellenza) dell'ambiente per molti versi ancora incontaminato e dei beni culturali che sono la nostra più grande ricchezza.

Chiediamo sostegno per la valorizzazione delle nostre risorse ambientali e culturali, per la nostra università e per il nostro sistema museale. Chiediamo l'impegno della Regione per una gestione fruttuosa dei beni culturali, perché la nostra comunità possa trovare nella sua storia e nelle sue tradizioni gli elementi da sfruttare per attrarre nuovi flussi turistici, creare nuove attività produttive, stimolare l'imprenditoria giovanile e impedire così la fuga delle migliori intelligenze e nel contempo generare nuova ricchezza da mettere a disposizione della collettività.

Chiediamo scelte chiare che ci consentano di arrivare in tempi brevi all'approvazione del Piano urbanistico comunale, strumento fondamentale per sbloccare l'economia della città e aprire le porte alla realizzazione di nuove strutture ricettive che potranno essere fondamentali per fare di Oristano, grazie alla sua posizione baricentrica in Sardegna e nel Mediterraneo, un punto fondamentale per il turismo congressuale e culturale.

Chiediamo ancora che nel sistema dei trasporti sia riconosciuto il ruolo strategico di Oristano, del suo porto industriale che ha tutte le carte per diventare uno scalo passeggeri, dell'aeroporto Ernesto Campanelli, più conosciuto come aeroporto di Fenosu, rimasto per troppo tempo escluso dalle grandi scelte, del porticciolo turistico di Torre Grande che può diventare un punto di riferimento essenziale nelle rotte diportistiche del Mediterraneo occidentale, del sistema viario e ferroviario regionale di cui Oristano può essere un nodo cruciale. Chiediamo ancora attenzione per i territori svantaggiati come Oristano ed equilibrio nella distribuzione delle risorse nel rispetto delle singole vocazioni.

Oristano può giocare una partita importante grazie alle sue risorse, come dicevo prima, ambientali, ai suoi beni culturali, alla sua storia e alle sue tradizioni, alla sua collocazione geografica. Abbiamo energie da spendere e intelligenze da mettere al servizio della collettività. Le nostre ambizioni, i nostri progetti non sono fini a sé stessi: la crescita del nostro territorio può servire alla crescita dell' Isola intera e può avvenire solo dall'unione delle volontà, delle politiche di sviluppo, dei progetti che sono tra loro complementari.

Per questi motivi, la riunione di oggi assume una valenza particolare. Rappresenta un importante punto di partenza in un cammino che, nei prossimi anni, la Regione dovrà compiere al fianco del sistema delle autonomie locali, dei comuni e dei Sindaci che sono costantemente in prima linea, il primo luogo di contatto tra i cittadini e le istituzioni e, nel complesso sistema politico istituzionale, il punto più sensibile alle istanze e ai bisogni quotidiani delle comunità. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al prossimo iscritto a parlare, comunico a tutti i colleghi che i Presidenti delle province, ad eccezione ovviamente del presidente Milia, questa sera non partecipano ai nostri lavori perché sono impegnati in un'assemblea convocata tra tutti i Presidenti di provincia a L'Aquila.

Quindi sono assenti giustificati.

Ha domandato di parlare il consigliere Mario Floris. Ne ha facoltà.

FLORIS MARIO (Gruppo Misto). Signor Presidente, colleghi, questa riunione congiunta tra il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie locali, può essere considerata una formalità, un adempimento a un dettato legislativo, la riunione annuale prima dell'approvazione del bilancio della Regione, un esame dello stato delle autonomie locali in Sardegna come previsto dall'articolo 10 della legge regionale del 2005. Ma può anche rappresentare una seduta piena di significati, di contenuti e di impegni straordinari. Comuni, città, province, ciascuno con il proprio livello di funzioni, competenze, poteri e responsabilità, e nel contempo parti e protagonisti di un disegno unitario di primo ordine, di sviluppo, di crescita civile e di progresso della Sardegna.

La seduta odierna quindi può avere questi significati straordinari, straordinaria è la circostanza che la seduta annuale congiunta, prevista dalla legge prima dell'approvazione del bilancio della Regione, coincida con l'inizio della tredicesima legislatura. Ciò consente di porre le basi di un percorso condiviso tra Consiglio regionale e Consiglio delle autonomie, anche se, voglio ricordarlo, incombe il rinnovo di questo organismo, secondo legge, a tre anni dalla sua prima istituzione. Straordinaria ed eccezionale è la circostanza che la seduta avvenga non nella sede storica - è già stato detto - e istituzionale del Consiglio regionale, ma in una sede seppure simbolica di rappresentatività delle autonomie locali, segno di un'attenzione nuova e diversa verso gli enti locali.

Questi due fatti straordinari non sono occasionali, ma indici di una precisa volontà politica, di un concreto rapporto tra Regione ed enti locali, ovvero della volontà di costruire un nuovo solido sistema istituzionale locale come interlocutore unico nei confronti di tutti i soggetti e di tutti gli altri rappresentanti della società civile per attuare quel progetto politico di cui parlava spesso, di cui parla spesso il Presidente della Regione, di quel processo politico di sviluppo e di progresso della Sardegna in linea con la crescita che c'è a livello nazionale, a livello europeo a livello internazionale.

La seduta congiunta del Consiglio regionale e delle Autonomie locali - come è stato già detto - è un adempimento voluto dalla legge istitutiva, per attuare che cosa? Il principio di cooperazione tra la Regione e gli enti locali e per garantire la partecipazione degli enti locali ai processi decisionali regionali di loro diretto interesse. Tutto questo in armonia, come sappiamo, col Titolo V della Costituzione. E' un orizzonte aperto a prospettive più ampie - e mi dispiace che non sia stato rilevato - avanzato, che con il federalismo interno deve vedere gli enti locali coprotagonisti delle decisioni complessive che riguardano la comunità sarda.

Da più parti in diverse occasioni - non più tardi alcuni giorni fa - è stata sottolineata in un apposito incontro di studio sul tema l'esigenza di necessarie correzioni ed integrazioni alla normativa ai rapporti vigenti per dare effettività ai principi di cooperazione e di partecipazione degli enti locali ai processi decisionali regionali. E' un'esigenza, un'urgenza che io condivido, anzi ne sono convinto, se è vero com'è vero, che questa esigenza e questa urgenza ha trovato prima concreta accoglienza e proposizione con i protocolli sottoscritti nel lontano 1990 dall'intera Giunta regionale e dalla rappresentanza unitaria del coordinamento delle associazioni degli enti locali, che portarono poi nel 1993 all'istituzione della prima Conferenza permanente Regione-Enti locali.

E' da ricordare ancora che la legge finanziaria numero 7 del 2007 al Capo III, articolo 10 comma 5, prevede l'istituzione di un'apposita Commissione con la partecipazione delle Autonomie locali per la definizione di testi legislativi per attuare la riforma dell'ordinamento degli enti locali, il riordino della legislazione relativa e la disciplina dei rapporti finanziari.

Così come occorre ricordare, neanche come aspetto secondario, che la Conferenza permanente Regione - Enti locali di cui all'articolo 12 della legge numero 1, deve essere ancora dotata di uno specifico regolamento che ne disciplini il funzionamento. L'uno e l'altro adempimento erano e sono di competenza della Giunta regionale, ma anche nella corresponsabilità delle rappresentanze degli enti locali. E' pertanto auspicabile che vengano con sollecitudine messi in campo, unitamente alla condivisa rivisitazione delle funzioni, del ruolo e dei poteri del Consiglio delle autonomie locali, secondo i principi del Titolo V della Costituzione e in armonia con lo Statuto speciale.

La prima Commissione, che già sta trattando questi problemi, ma io credo l'intero Consiglio regionale (il 50 percento dei componenti è composto da consiglieri titolari di altre cariche elettive, e che sono stati amministratori nei comuni, nelle città e nelle province della Sardegna) porranno tutto l'impegno e assumeranno tutto le iniziative opportune, perché l'intero sistema istituzionale isolano sia veramente all'altezza delle sfide culturali, sociali ed economiche in atto nel Paese e nel mondo, per dare alla Sardegna e ai sardi quel futuro di crescita civile, di sviluppo economico che giustamente attendono e meritano. Questo nonostante il ministro Brunetta, anzi superando il ministro Brunetta.

Non è infatti la prima volta che il Ministro della pubblica amministrazione si propone di guidare una sorta di crociata contro le specialità autonomistiche, e non è la prima volta che abbiamo respinto questo assalto, come a suo tempo abbiamo respinto l'idea che l'accordo Stato-Regione del 2005 potesse rappresentare, seppure in maniera larvata, un principio di federalismo fiscale, posto che alle maggiori entrate, peraltro diluite nel tempo, ha corrisposto la rinuncia ad importanti e gravose compartecipazioni alla spesa sanitaria, al trasporto pubblico locale, alla continuità territoriale.

Il provvedimento con il quale il Governo, accogliendo una proposta del premier Berlusconi, ha riconosciuto il principio di insularità per la Sardegna, inserendolo nel contesto del federalismo fiscale, rappresenta un fatto positivo ma non sufficiente e definitivo. Alle provocazioni del ministro Brunetta il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie devono rispondere con una presa di posizione netta, e altrettanto le rappresentanze degli enti locali della Sardegna devono fare all'interno delle loro associazioni rappresentative, perché gli impegni del Governo, del premier, del Parlamento italiano, oltre che confermare i diritti costituzionalmente garantiti diano dignità, alta e nobile, al diritto naturale dei sardi e della Sardegna - lo ricordo al presidente Milia - ad un tempo popolo e nazione, perché noi possiamo anche rinunciare all'autonomia come termine, ma non possiamo assolutamente rinunciare alla nostra idea di essere popolo e nazione in quanto a storia, cultura e tradizione e ad avere condizioni e opportunità di crescita e di sviluppo pari a quelle delle Regioni italiane più evolute e progredite nel contesto europeo e mondiale.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il Sindaco del Comune di Bortigiadas, Deiana. Ne ha facoltà.

DEIANA, Sindaco del Comune di Bortigiadas. Presidente Lombardo, presidente Cappellacci, presidente Milia, onorevoli consiglieri, signori della Giunta regionale, la seduta congiunta cade in un momento politico particolare: all'inizio di una legislatura e con l'urgenza reale di approvare la manovra finanziaria in tempi brevi. Con grande senso di responsabilità il Consiglio delle autonomie ha espresso sulla proposta della Giunta regionale un parere positivo e con esso ha segnato un'apertura di credito al Presidente della Regione, alla Giunta, alla maggioranza e financo alla minoranza del Consiglio regionale.

Il parere - non appaia ozioso sottolinearlo - è stato espresso all'unanimità da sindaci e Presidenti di Provincia di destra e di sinistra da sindaci di comuni grandi e da sindaci di comuni piccoli e piccolissimi. Ancora una volta il sistema degli enti locali della Sardegna ha fornito un esempio di come si possono ricercare e trovare le opportune convergenze e i giusti compromessi. Tutti voi avete avuto l'opportunità di leggere il parere espresso dal Consiglio delle autonomie e a nessuno può sfuggire il fatto che sia un parere argomentato, documentato e che ha all'interno elementi di analisi, di critica e di proposta.

Il progresso della Sardegna passa necessariamente dall'aumento della coesione sociale e della coesione territoriale, tutte le analisi socio-economiche confermano che esistono vari tipi di Sardegna: le aree urbane, le aree costiere, le aree interne e le aree insulari.

Nelle aree urbane, dove vive la maggioranza della popolazione sarda, si annidano oltre a grandi opportunità anche sacche sempre crescenti di povertà, di disagio e di emarginazione. Il lavoro, la casa, un nuovo sistema di welfare, di protezione sociale, rappresentano le grandi emergenze dei contesti urbani.

Nelle aree costiere, dalla seconda metà degli anni 60, insieme allo sviluppo turistico è nata un'economia legata soprattutto all'edilizia, che ha tratto grande giovamento da questa espansione. Troppo spesso si è confuso il cemento con il turismo e si sono prodotte comunità con poca consapevolezza di sé e poca prospettiva se non quella della prossima estate.

Nelle aree interne, salvo qualche raro esempio, si assiste ad un lento quanto inesorabile fenomeno di desertificazione umana. Paesi di anziani senza futuro, i pochi giovani cercano fortuna altrove sperimentando una nuova stagione di emigrazione. E' tuttavia in questi paesi che si conservano i valori più autentici della nostra terra.

Nelle aree insulari persistono i problemi di continuità territoriale, di assenza di fondamentali presìdi o servizi, la mancanza di lavoro e la presenza di fattori esterni (si veda, nel caso dell'isola di La Maddalena, la presenza per decenni di servitù militari). E a proposito di La Maddalena, credo che debba gridare allo scandalo ciò che è successo questa mattina a L'Aquila.

Nel parere sulla finanziaria 2009 abbiamo espresso parole di apprezzamento nei confronti della Giunta regionale, che di fronte alla crisi ha proposto azioni concrete volte a contrastarla. L'Italia e l'Europa si trovano di fatto in recessione e bene fa la Giunta regionale a non nascondere la testa sotto la sabbia. La crisi di fatto non è crisi psicologica, non è congiuntura economica sfavorevole, ma è crisi di sistema. Questa crisi ci costringe a ripensare a noi stessi, ai nostri valori di riferimento, al nostro modo di vivere e di produrre e non da ultimo al nostro modo di essere cittadini consapevoli e non solo consumatori di ambiente, di beni, di merci e di servizi.

Molti analisti in questi mesi ci dicono che la crisi si può evolvere in molti modi. Utilizzando il paradigma della crisi del '29 osserviamo che, in quell'epoca, da una parte si è prodotto il nazismo e dall'altra il New Deal; da una parte l'abisso della storia umana e dall'altro una nuova rinascita. Tutti noi quindi dobbiamo operare - prodotti i necessari anticorpi democratici - per trasformare questa crisi economica in una grande opportunità di riforma della nostra società. Per fare ciò occorre fare una severa critica al modello di sviluppo che abbiamo applicato finora in Sardegna. Uno sviluppo che ha prodotto in campo sociale profonde disuguaglianze e in campo territoriale altrettante profonde differenze. Nella società si riaffaccia con prepotenza il povero e nel territorio si riafferma il piccolo, spesso identificato come luogo dell'identità o come luogo del passato. Così come nelle società metropolitane si tenta di ripulire le strade dai vagabondi così in Sardegna per troppo tempo i luoghi interni, i piccoli paesi sono stati nascosti dietro una cortina fumogena fatta di VIP, di ville e di glamour, quasi ci vergognassimo della loro stessa esistenza.

Per troppo tempo le classi dirigenti di questa Regione hanno predicato il mito dello sviluppo, della crescita e del PIL. Quel mito ha prodotto questa crisi, questo mostro che squarta la nostra società, che la divide ancora più e ancora più profondamente in ricchi pochi e in poveri tanti. Già nel 1950 qualcuno scriveva che la nostra economia, immensamente produttiva, esige che facciamo del consumo il nostro stile di vita. Le famiglie si indebitano non solo per soddisfare bisogni necessari (la casa, l'alimentazione eccetera) ma anche per soddisfare bisogni superflui l'ultima versione del cellulare, l'iPod, l'iPhone eccetera. A questo ci ha indotto questo sviluppo, alla perdita dei veri valori che dovrebbero fondare una società: amore della verità, senso della giustizia, responsabilità, rispetto della democrazia, elogio delle differenze, dovere di solidarietà, l'uso dell'intelligenza. Ecco i valori che dobbiamo recuperare a tutti i costi perché sono alla base della nostra realizzazione e la salvaguardia per il nostro futuro. Per vivere meglio si tratta ormai di produrre e consumare diversamente, di fare meglio e di più con meno eliminando innanzitutto le fonti di spreco e aumentando la durata dei prodotti.

Qualcuno potrebbe chiedersi cosa c'entrino questi ragionamenti con lo stato dei rapporti tra Regione ed Enti locali. A mio parere c'entrano, eccome! In Sardegna noi abbiamo già un modello che dovrebbe diventare il paradigma e l'esempio per tutta la Regione, ed è il modello tutto sardo dei comuni piccoli e piccolissimi nei quali si conservano valori profondi che nessun cambiamento potrà annullare, valori che derivano direttamente dalla terra e dall'uomo, dal rapporto fecondo tra la natura e l'uomo. In questo contesto è necessario passare dalla fede del dominio sulla natura alla ricerca di un inserimento armonioso nel mondo naturale, sostituire l'atteggiamento del predatore con quello del pastore e del contadino.

Gli amministratori dei piccoli comuni della Sardegna dopo questa crisi non vi diranno, come nel passato, che la salvezza dei piccoli paesi deve diventare la priorità di questo Consiglio regionale, perché sappiamo che non lo diventerà. Gli amministratori dei piccoli comuni della Sardegna invece sono qui per dirvi che la salvezza di questa Regione dipende dai piccoli paesi, quelli più sconosciuti e marginali, dipende da essi perché è lì che si conservano le antiche solidarietà, il rispetto per gli anziani e per la natura, la cura dei bambini e delle donne e la dimensione umana in un mondo disumano. Da questa crisi non usciranno vincitori ancora una volta i più furbi, ma i più intelligenti, istruiti e preparati. Per questo motivo è necessario investire di più e meglio nella scuola, nell'università e nella formazione. Solo con un elevato grado di istruzione si abbattono le disuguaglianze sociali e le barriere territoriali e si creano nuove possibilità per tutti.

Qualche anno fa è uscito un libro che s'intitolava: "La possibilità di un'Isola". Non era dedicato alla Sardegna, parlava del futuro, di clonazione, di cloni. Ecco, vorrei che si evitasse, lavorando sulle originalità e sui particolari, che la Sardegna diventi un clone dell'Italia come vorrebbe qualche Ministro, ma che mantenesse la sua specificità esercitando in maniera forte la propria sovranità di popolo. Infatti, citando quel libro, esiste, in mezzo al tempo, la possibilità di un'Isola.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Cossa. Ne ha facoltà.

COSSA (Riformatori Sardi). Signor Presidente, Signora Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, signor Presidente del Consiglio delle autonomie, abbiamo condiviso anche noi e apprezziamo la scelta di tenere ad Oristano, in una sede diversa da quella istituzionale del Consiglio regionale, questa seduta congiunta. E' la prima volta, se non erro, che questo si verifica, ed è certamente un segnale positivo, non solo verso il mondo degli enti locali, ma nei confronti dell'intera società sarda, alla quale dobbiamo guardare più da vicino coinvolgendola anche emotivamente, come facciamo oggi, portando le istituzioni fuori dal palazzo, tra la gente, laddove pulsano le quotidianità e le aspirazioni della nostra comunità.

La legge prevede un'unica seduta congiunta all'anno per un esame dello stato del sistema delle autonomie locali della Sardegna; poca cosa, per la verità, se si considerano il ruolo e la funzione, oltre che gli obiettivi, che questa riunione potrebbe svolgere e promuovere attraverso il contributo di tutte le rappresentanze autonomistiche. Vi è tra l'altro in Sardegna una ricchezza particolare data dalla presenza di valide esperienze associative che da decenni oramai rappresentano efficacemente, anche nel rapporto con la Regione, il variegato mondo delle autonomie locali, il cui ruolo si esplica anche nella Conferenza permanente Regione-Enti locali.

L'esame dello stato del sistema delle autonomie in Sardegna, che dovremo fare nella seduta di oggi, non trova tuttavia alcun riferimento propositivo e documentale; è una carenza certo non addebitabile a questa Giunta regionale, e forse è addebitabile alla stessa normativa istitutiva del Consiglio delle autonomie locali. Permettetemi il paradosso di ricordare una vecchia norma, contenuta nell'abrogata legge sui controlli, che obbligava la Giunta regionale a predisporre annualmente un vero e proprio rapporto sugli enti locali in Sardegna, attraverso il quale si potevano affrontare i confronti concreti e approcciare i temi di interesse diretto dei nostri comuni e delle nostre province. Tuttavia è qualcosa che si può fare anche con la legislazione oggi vigente che qualificherebbe l'azione della Giunta regionale.

Uno specifico, approfondito documento elaborato dall'Assessorato degli enti locali permetterebbe di affrontare questo tema con maggiori elementi di valutazione e con maggiore possibilità di individuare eccellenze, criticità e ipotesi di lavoro. Sarebbe il presupposto indispensabile per affrontare anche tutti gli altri temi sul tappeto: dall'organizzazione della conferenza permanente Regione-Enti locali al suo regolare funzionamento, di cui ha poc'anzi accennato il presidente Floris, dal federalismo interno all'esercizio delle funzioni proprie e delle funzioni trasferite e delegate, dalle risorse finanziarie all'assetto complessivo delle autonomie in una logica di governance della cosa pubblica.

Quanto prima dovremo aprire la discussione sulla riscrittura dello Statuto che, dal nostro punto di vista, non potrà che essere ampia e tale da coinvolgere tutte le rappresentanze sociali e istituzionali, primi tra tutti i sindaci e gli enti locali. Ma non dobbiamo dimenticare l'importante strumento, anche esso citato poc'anzi dal presidente Floris, introdotto dalla legge finanziaria del 2007, che ha previsto l'istituzione di una Commissione per l'elaborazione dei testi legislativi di riforma dell'ordinamento delle autonomie locali in Sardegna.

I processi in corso, di sussidiarietà orizzontale, di devoluzione delle funzioni, introducono il grande tema di un'organizzazione della Regione che sia davvero in grado di governare il cambiamento rafforzando la capacità di definire gli obiettivi e di utilizzare al meglio le risorse disponibili, passando così dal dire al fare nella realizzazione di politiche di innovazione della pubblica amministrazione in grado di produrre miglioramenti concreti, visibili e duraturi nel suo rapporto con i cittadini e con l'impresa.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il Sindaco del Comune di Ollolai, Arbau. Ne ha facoltà.

ARBAU, Sindaco del Comune di Ollolai. Gentile presidente Lombardo, presidente Milia, presidente Cappellacci, onorevoli consiglieri, cari colleghi sindaci e Presidenti di Provincia. Il consiglio delle autonomie non ritiene rituale questa seduta, non l'ha ritenuta nei precedenti tre anni, non lo ritiene neanche oggi, anzi, è un'occasione per discutere, per confrontarsi, per avere un interlocutore serio nella Giunta regionale e nel Consiglio regionale, per lavorare assieme per il bene della nostra Regione.

Il mio intervento non chiede - anche perché, tra consiglieri delle autonomie locali ci siamo un po' suddivisi i compiti - modifiche a leggi piuttosto che ad altri interventi. Il mio intervento si sofferma sul cuore della vostra attività, dell'attività della Giunta, cioè il problema dello sviluppo locale, tanto agognato, tanto discusso. Molte analisi, forse troppe, Presidente, abbiamo fatto in questi anni, ma non negli ultimi quattro o cinque: negli ultimi vent'anni. Forse dobbiamo adesso - anche perché abbiamo un Assessore della programmazione esperto, pratico - iniziare a chiudere immediatamente, aggredire le questioni anche localmente.

Da questo punto di vista le riforme che sono state approvate, discusse, anche nella scorsa legislatura, possono essere aggiustate; lo facciamo noi nei nostri comuni quando entriamo a fare i sindaci, figuriamoci se non lo può fare il Presidente della Regione e tutta la maggioranza. Però una volta che abbiamo aggiustato le cose partiamo immediatamente perché le riforme sono state fatte. E sullo sviluppo locale molto ci aiuterà, signor Presidente, la riforma della legge numero 12 del 2005 relativa alle Unioni di Comuni e Comunità montane.

Noi avevamo 377 Comuni, oggi abbiamo invece 32 Unioni di Comuni e quattro Comunità montane, un'altra ne nascerà, spero anche a breve, nel territorio attiguo (sto parlando di Fonni, Mamoiada e Orgosolo) così la Giunta regionale finalmente avrà degli interlocutori, territorio per territorio, con i quali discutere e applicare il dettato anche della legge numero 12. Questa prevede infatti anche interventi rivolti ai piccoli Comuni tra loro associati, che quindi non vanno a discutere singolarmente con la Giunta regionale dei loro problemi ma cercano di confrontarsi tutti assieme, portando sul territorio un sistema di governo locale che è già discusso localmente. L'esempio è quello dei GAL, i gruppi di azione locale, che stanno nascendo.

L'assessore Prato, da questo punto di vista, ha aggredito il problema e lo ha aggredito da un punto di vista di filosofia e di opinione politica che è molto pratico, molto lineare: ha sottolineato la mancanza del coinvolgimento delle associazioni agricole, che sono una parte importante del nostro tessuto produttivo ed economico locale, ed ha posto la priorità sugli interventi in campo del settore primario. Sul territorio noi non mettiamo barricate, non ci interessa il colore politico degli interventi, noi ragioniamo per le cose concrete, e quando arriva un Assessore, arriva il Presidente della Regione e ci pone dei problemi concreti, noi li analizziamo e cerchiamo di trovare le soluzioni. Tanto, guardate, di filosofia e politica non si mangia, si mangia e si ottengono risultati affrontando i problemi concretamente, e, come diceva Don Mazzolari, non dobbiamo morire di prudenza.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Solinas. Ne ha facoltà.

SOLINAS Christian (P.S.d'Az.). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio delle autonomie locali, signori componenti della Giunta, onorevole Presidente della Regione, colleghi e colleghe consiglieri, signori amministratori locali, ci troviamo qui oggi - è stato già detto da più parti - per fare il punto sullo stato delle autonomie locali in Sardegna; e lo facciamo con tutta una serie di chiarimenti prodromici che sono stati svolti da ciascuno e che tendono a sottolineare un fatto: questo che abbiamo oggi davanti a noi non è un evento, non è un fatto celebrativo, è una concreta opportunità di dialogo e di incontro tra la Regione e gli enti locali per costruire assieme percorsi e processi decisionali condivisi.

In realtà, il fatto stesso che ad ogni piè sospinto sentiamo la necessità di chiarire che non è un fatto rituale pone un interrogativo in ciascuno di noi, un interrogativo che probabilmente è insito nella stessa formulazione della norma. Dobbiamo dirci la verità, fare un'analisi abbastanza chiara: la legge della Regione Sardegna istitutiva del Consiglio delle autonomie locali è la legge, in Italia, che in maniera minore rappresenta la frontiera verso l'attuazione del nuovo Titiolo V - questo ce lo dobbiamo dire - siamo ancora in una fase di intermezzo tra il modello della conferenza e il modello del consiglio.

La riforma del Titolo V, che ha introdotto in maniera chiara ed univoca sul territorio nazionale i princìpi della sussidiarietà e della leale collaborazione, ha ripartito in maniera orizzontale quello che storicamente era un assetto gerarchico: oramai all'interno della Repubblica, Stato, Regioni, Province e Comuni hanno una sovranità che non è più appannaggio esclusivo dell'ipostasi superiore dell'ordinamento ma è una sovranità che si legittima di volta in volta nelle diverse strutture - siano esse comunali, provinciali, regionali o nazionali - e non si esaurisce neppure all'interno di tutti questi singoli fattori. Dalla sussidiarietà deriva l'esigenza di leale collaborazione.

E' già stato chiarito più volte anche dalla giurisprudenza costituzionale: i Comuni sono i principali titolari di tutte le funzioni in quanto soggetti maggiormente vicini alla fonte della sovranità, che è il popolo, e quindi la maggiore vicinanza al cittadino determina che i processi decisionali non possano che partire, sia nel loro aspetto di analisi, sia nel loro aspetto di sintesi, dalle realtà locali.

Chiaramente tutto questo comporta, man mano che si risale verso aggregati geografici maggiori, l'esigenza di contemperare il fatto locale con un progetto e un disegno strategico di sviluppo più ampio. In Sardegna il Titolo V, nonostante sia stato firmato un protocollo qualche anno fa tra tutte le Regioni a Statuto speciale per chiederne l'immediata attuazione e nonostante non vi sia un vincolo diretto e costituzionale, ha trovato nella legge istitutiva del Consiglio delle autonomie locali il punto di incontro. Oggi discutiamo di questo stato.

Alcune cose sono state fatte, è indubbio, e sono state anche ricordate: va bene il fondo unico, io penso, perché rappresenta non solo un decentramento di funzioni ma una responsabilizzazione delle autonomie locali, responsabilizzazione che passa attraverso la scelta di come impegnare e come spendere questi danari; però conosciamo anche gli aspetti problematici di tutto questo, sappiamo che nella programmazione generale della Regione si va a chiedere alle autonomie locali di copartecipare per poter partecipare ai bandi, e quindi questo erode sempre di più anche la possibilità del fondo unico di incidere realmente sulle politiche. Le autonomie locali - Comuni e Province - rappresentano, come dicevamo prima, la frontiera più spinta verso la popolazione e quindi una frontiera di credibilità dell'intero sistema rispetto alle politiche che sapremo attuare per affrontare e risolvere, mi auguro, quella che tutti hanno già richiamato essere una crisi assolutamente eccezionale.

Siamo di fronte, ancora una volta, all'esigenza di trovare un equilibrio in una transizione che è perenne (siamo abituati: nel nostro Paese le transizioni oramai si sprecano, non si riesce mai a raggiungere un punto di equilibrio; è un equilibrio dinamico, diciamo così) e tutto questo non può non passare, a nostro avviso, attraverso una riscrittura delle regole condivise del gioco. Noi possiamo valorizzare questo rapporto tra Regione ed autonomie locali soltanto mettendo mano, non solo e non tanto alla riforma della legge numero 1 del 2005, quanto piuttosto - è stato detto bene prima - mettendo mano in fretta alla riscrittura dello Statuto, lo Statuto di autonomia che non può non passare attraverso l'assemblea costituente del popolo sardo. Questo è uno dei punti qualificanti che ha fondato l'alleanza tra noi Sardisti e il centrodestra isolano, perché crediamo che nella scrittura del nuovo Statuto potremo finalmente dare voce concreta - e quindi non è solo un fatto di analisi ma un fatto di concretezza e di competenza vera - a tutte quelle istanze che emergono dal territorio.

Noi siamo consapevoli dei nostri limiti, siamo consapevoli di essere ben poca cosa però siamo consapevoli anche di un fatto importante: che le nostre ragioni sono più grandi di noi, sentiamo di interpretare la marginalità, la lateralità che oggi il sistema tende ad escludere, e in questa umile consapevolezza speriamo di poterci adoperare per la Sardegna e per il suo migliore avvenire.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il Sindaco del Comune di Gonnosfanadiga, Zanda. Ne ha facoltà.

ZANDA, Sindaco del Comune di Gonnosfanadiga. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, signori Assessori, onorevoli consiglieri, un saluto ed un augurio di buon lavoro a tutti voi che iniziatate questa nuova legislatura, un saluto al Presidente del Consiglio delle autonomie e a tutti i colleghi esponenti del Consiglio qui presenti.

L'articolo 114 della Costituzione definisce i livelli istituzionali enti autonomi, a partire dai Comuni e dalle Province; l'articolo 118 attribuisce ai Comuni le funzioni amministrative. La Camera ha adottato recentemente il decreto legge sul federalismo, il sistema complessivo quindi è orientato alla realizzazione di una concreta autonomia dei singoli livelli istituzionali, che interagiscono secondo il principio di sussidiarietà, in un'ottica di leale collaborazione tra i diversi enti. Nel sistema delle autonomie locali, i Comuni, in particolare, sono quelli che si confrontano più direttamente con le difficoltà e i problemi concreti dei cittadini, i quali si attendono risposte rapide, esaustive, corrette e servizi efficienti. Per questi motivi sarebbe importante porre gli stessi nelle condizioni di espletare i propri compiti nel modo più efficace ed efficiente possibile.

In realtà gli enti locali esercitano la loro autonomia all'interno di un recinto molto stretto, costruito da un insieme di norme e di vincoli che di fatto impediscono, non solo di esercitare la propria autonomia, ma anche di rispondere talvolta ai propri compiti con efficacia ed efficienza, e generano pesanti ricadute negative sul livello dei servizi e sul sistema economico locale. Le norme fanno riferimento ad un insieme di indicatori e parametri che sono rigidi e non tengono conto della specificità delle singole realtà. Rivedere l'impostazione degli indicatori, dei parametri e dei limiti di spesa in funzione dei risultati e dell'utilità effettiva per l'ente, dovrebbe essere un impegno non solo del sistema delle autonomie locali ma anche del Consiglio regionale, mantenendo naturalmente fermo un rigoroso rispetto degli equilibri di bilancio.

Il primo impedimento è proprio l'assenza di autonomia finanziaria: i Comuni sardi dipendono per i due terzi dai trasferimenti dello Stato e della Regione e solo un terzo proviene da entrate proprie; situazione questa che impone un grosso limite alla programmazione degli enti locali. Sicuramente un grosso passo in avanti è stato fatto con l'istituzione del fondo unico, dove confluiscono una serie di fondi regionali e l'ente può autonomamente programmarli stabilendo la quantificazione degli interventi e le priorità. Allo stesso modo riteniamo fondamentale il collegamento alle entrate regionali dei trasferimenti agli enti locali, che la stessa legge ha introdotto. Questa impostazione andrebbe consolidata e rafforzata per rendere certi i trasferimenti e consentire agli enti locali una programmazione effettivamente legata alle priorità di ogni singola realtà locale.

D'altronde, la riduzione degli spazi di autonomia agli enti locali si spiega solo con una sostanziale sfiducia nelle capacità degli amministratori di decidere autonomamente sulla base delle effettive esigenze delle comunità amministrate: mi è capitato di percepire questa sensazione tante volte nei rapporti con gli altri livelli istituzionali. Sono fortemente convinto che il sistema delle autonomie locali sia maturo per affrontare con responsabilità e rigore tutti i compiti che gli sono propri.

Il patto di stabilità è sicuramente la norma che in questo momento sta mettendo ai Comuni maggiori problemi; una norma che, così come è formulata, genera situazioni assurde perché ad essere penalizzati sono di fatto i Comuni virtuosi, soprattutto in occasione di sfasamenti temporali tra incassi e pagamenti, o entrate straordinarie, in particolare nell'anno 2007, anno sul quale vengono ricalcolati gli obiettivi del patto per il triennio. Esemplificando: il Comune di Gonnosfanadiga, Comune virtuoso, nel novembre 2007 ha incassato le entrate derivanti da un trasferimento che ha poi liquidato nel gennaio 2008, per meccanismi che non dipendono dalla volontà dell'ente, e oggi è impossibilitato a rispettare il patto di stabilità, così come tantissimi altri Comuni. Siamo di fatto costretti a non amministrare. Bloccare le opere, le iniziative ed i servizi, pur in presenza di un bilancio in ordine; bloccare le assunzioni per noi in questo momento significa non sostituire tre dipendenti che vanno in pensione, due dei quali seguono i servizi di stato civile ed elettorale, funzioni che il sindaco svolge in qualità di ufficiale di Governo e che non possono essere trascurate.

Quindi il Consiglio delle autonomie locali chiede che il Consiglio regionale si impegni nella sua interezza ad attivare autonomamente, o a contrattare con il Governo, misure per il superamento di queste situazioni. La proposta più ragionevole sarebbe quella di togliere dalla base di calcolo i trasferimenti regionali che provengono da finanziamenti in conto capitale. Sarebbe comunque auspicabile, così come sta proponendo l'ANCI, un allentamento complessivo del patto al fine di utilizzare le risorse che i Comuni hanno in cassa e che non possono spendere perché bloccate, e questo permetterebbe anche un concreto sostegno al sistema economico in un momento di così grave crisi.

Superando i singoli problemi, il sistema delle autonomie locali chiede al Consiglio regionale un confronto e un impegno nella direzione del superamento di tutti quei meccanismi che limitano fortemente l'azione amministrativa e quindi del rafforzamento dei livelli di autonomia di Comuni e Province.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Daniele Secondo Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO DANIELE SECONDO (I.d.V.). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente del Consiglio delle autonomie, signor Presidente della Regione, onorevoli colleghi, signori Assessori, colleghi amministratori e colleghi sindaci, devo tributare un grande plauso innanzitutto alla Presidente del Consiglio regionale e al Presidente del Consiglio delle autonomie per aver voluto svolgere questa riunione ad Oristano, sede non decentrata ma diversa dalla sede naturale dei due consessi. Io spero che non sia questa l'unica occasione in cui l'istituzione più importante della Regione Sardegna con il Consiglio delle autonomie si riuniscano in una sede diversa. Riprendo così anche ciò che ci disse il presidente Ugo Cappellacci nelle sue dichiarazioni quando affermò la seria intenzione di andare nei diversi paesi e luoghi della Sardegna a tenere le riunioni di Giunta per essere vicino, anche fisicamente, ai problemi e alle emergenze dei piccoli paesi e delle zone più periferiche; una presenza chiaramente che dovrà essere seguita da atti concreti.

Diceva la Presidente che questo incontro e la riunione congiunta - questa è la quarta - che si svolge tra il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie locali è un suggello a un patto tra autonomie locali e Regione; credo che questo patto e questo suggello d'ora in poi dovrà produrre atti concreti per poter dare risposte ai moltissimi bisogni insoluti delle nostre comunità. Io sono qui nella duplice veste, di consigliere regionale e di sindaco di un piccolo Comune della Sardegna, e - lo dico con disappunto per me stesso - sono qui a rappresentare la grandissima difficoltà che ho incontrato insieme a moltissimi altri colleghi negli ultimi anni, a confrontarmi e rapportarmi con l'Amministrazione regionale e con tutte le sue articolazioni.

Con un pizzico di critica, devo dire che si è teorizzato molto sul decentramento e sul coinvolgimento pieno delle autonomie locali, degli enti locali e dei piccoli Comuni, però poi in pratica noi non siamo riusciti a realizzarlo. Mi riferisco al fondo unico, mi riferisco alla legge numero 37: nessuno ne ha parlato. In una situazione di gravissima emergenza occupazionale - non lo dico io ma lo dicono tantissimi miei colleghi - la legge 37 è stato uno strumento che ha offerto grandissime possibilità di risposta soprattutto nelle piccole comunità. Questa legge che è stata reintrodotta, anche se in modo parziale, secondo me deve essere presa ad esempio come strumento concreto e incisivo per dare risposte alla crisi di cui stiamo parlando.

Esagerando abbiamo detto che questa crisi è peggiore di quella del '29; forse non è così ma comunque teniamo altissimo l'allarme, anche perché la crisi congiunturale in Sardegna non è congiunturale ma sapete benissimo che è strutturale. Sappiamo benissimo che ciò che è straordinario nelle altre Regioni per noi è sempre ordinario, e quindi dobbiamo dare risposte all'ordinario.

Il Presidente parlava di entroterra unico: siamo d'accordo con lui. Si deve ricordare il Presidente che questo entroterra unico sta scomparendo. Lo dicevano i colleghi che mi hanno preceduto: gli ultimi presìdi, le ultime trincee, come noi le chiamiamo, stanno venendo a mancare. Con il piano di rimodulazione del sistema scolastico e la sua razionalizzazione, nei piccoli Comuni si stanno chiudendo anche le ultime scuole (Infanzia, Primaria e Secondaria). Si stanno chiudendo le farmacie (dove c'erano), le caserme in alcuni posti sono state già chiuse, le poste e le banche stanno chiudendo anche loro. Tra un po' chiuderanno anche le Parrocchie così potremo davvero consegnare le chiavi e dare ad altri la possibilità di amministrare i piccoli Comuni.

Io credo che davvero in questa fase la vera emergenza, perché si dia una risposta seria, debba per forza passare attraverso il rilancio delle zone interne. Dicevo prima che l'Amministrazione regionale precedente ha teorizzato molto in prospettiva, anche positiva, per i piccoli Comuni e adesso, secondo me, anche rivedendo alcune scelte che probabilmente erano sbagliate, bisogna davvero mettere le mani, come diciamo noi, dentro le tasche e tirare fuori i quattrini per fare in modo che davvero queste comunità continuino a vivere. Diceva il presidente Milia: patto di stabilità. E' vero, si parla di soldi veri ma quando si fanno i bilanci i soldi veri non ci sono mai perché è inutile che i Comuni si diano da fare, che abbiano i bilanci in perfetto ordine se poi non si riesce a rattoppare una buca in una strada, non si riesce ad assumere una persona, non si riesce comunque a dare risposte. Gli amministratori locali e i sindaci sono i primi e gli ultimi terminali di tutte le proteste, le giuste proteste dei cittadini, e purtroppo noi siamo privilegiati perché potremo avere la possibilità di dare risposte immediate, ma non abbiamo le risorse per poterle dare.

Nel parere espresso dal Consiglio delle autonomie sulla legge finanziaria (che già abbiamo definito di assoluta urgenza ed emergenza) ci sono delle parti che assolutamente rappresentano le istanze di tutti i cittadini, di tutti i sindaci, gli amministratori, al di fuori dei pregiudizi ideologici. Io credo che davvero in una fase così, possiamo considerarci felici, di aver ritrovato unità di intenti, pur col rispetto dei ruoli, e dobbiamo assolutamente prendere seriamente in esame ciò che ci ha suggerito il Consiglio delle autonomie locali, così come ciò che ci ha suggerito l'ANCI, cioè la carta dei giovani. Io credo che in questa maniera tutti uniti potremo dare davvero delle risposte esaustive ed importanti. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il Sindaco del Comune di Lanusei, Lai. Ne ha facoltà.

LAI, Sindaco del Comune di Lanusei. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli consiglieri regionali, onorevole Presidente della Giunta, signori Assessori, cari colleghi del Consiglio delle autonomie, io faccio parte di questo Consiglio da poco tempo ed è la prima volta che partecipo ad una riunione congiunta. Ho preso la parola per rappresentare un'emergenza che tocca numerosi comuni della Sardegna, e se noi inserissimo questa emergenza nella situazione di crisi che è stata già rappresentata e che tocca tutti in generale, secondo le particolarità strategiche e le diverse e articolate particolarità della nostra Regione, ci renderemmo conto come questa emergenza aggravi - in questi comuni attanagliati da questa preoccupazione - notevolmente la situazione.

Parlo di quei comuni che versano in grave sofferenza finanziaria perché condannati a pagare somme rilevantissime a causa di sentenze definitive per espropri. Tali debiti derivano totalmente da procedure espropriative promosse negli anni '70 e '80, quando l'allora vigente legislazione (la legge numero 865 del 1971 e le modifiche successive) fissava i parametri per la liquidazione dell'indennità di esproprio commisurandoli al valore agricolo medio dei terreni oggetto di esproprio. Questi parametri sono stati via via messi in discussione da ripetute sentenze della Corte costituzionale fino a giungere alla sentenza della Corte costituzionale numero 349 di fine del 2007 che ha definitivamente sancito come le aree oggetto di occupazione espropriativa debbano essere pagate al prezzo di mercato delle aree edificabili facendo così schizzare alle stelle le indennità di esproprio. Le somme accantonate per pagare gli espropri sulla base dei parametri stabiliti dalla legislatura precedente sono diventati pertanto del tutto insufficienti (e non certamente per colpa del comune) determinando una situazione di indebitamento insostenibile.

Allora, non può essere chiamato il Comune a farsi carico delle conseguenze di disposizioni di legge erronee perché incostituzionali, perché non ha assolutamente la possibilità di reperire le risorse necessarie.

Io faccio riferimento anche al caso del mio comune che si trova in una situazione drammatica da questo punto di vista; la situazione finanziaria ed economica in cui versa non consente neanche di far fronte al quotidiano, tenendo presente anche dei servizi che il Comune di Lanusei deve rendere anche a comunità limitrofe. Pertanto, è indispensabile uno strumento straordinario che consenta l'azzeramento di questa situazione debitoria divenuta insostenibile per i comuni, anche a causa di questa crisi economica e sociale senza precedenti, sottolineata da chi mi ha preceduto a più riprese.

E' evidente che, data la situazione, vi è la necessità che le istituzioni - particolarmente le Amministrazioni comunali che sono più vicine alla gente - possano svolgere i loro compiti istituzionali nella pienezza dei poteri, ma ciò non è possibile nel momento in cui l'opprimente situazione debitoria non consente di far fronte neppure al quotidiano. Se alla dissoluzione del tessuto industriale ed economico dei nostri territori si aggiunge la dissoluzione del tessuto amministrativo dei comuni oberati dai debiti, è evidente che, particolarmente per i territori delle zone interne gravemente colpiti dai fenomeni di spopolamento, non resta più nessuna speranza.

La Regione, invero, in passato è giustamente intervenuta per sostenere i comuni interessati con la legge numero 6 del 2001, però ne ha interrotto il finanziamento nel 2004. Io ho avuto l'occasione di rappresentare questa situazione anche alla precedente Amministrazione regionale insieme ad altri sindaci ma non siamo riusciti ad avere risposta se non quella che dal 2004 non c'erano disposizioni. Lo stesso Comune di Oristano che oggi ci ospita si è impegnato insieme a noi su questa battaglia.

Tale intervento, quindi, non può non essere ripetuto; noi chiediamo con forza che si tenga conto di questa considerazione: che la responsabilità di questi debiti non può essere imputata al comune, dal momento che il comune ha visto crescere in maniera esponenziale le somme che dovevano essere pagate per gli espropri a causa proprio dell'evoluzione giudiziale, in particolare dell'ultima sentenza della Corte costituzionale che è intervenuta proprio sui criteri di determinazione del valore delle aree edificabili, incidendo anche sui procedimenti risalenti agli anni passati e non ancora definiti.

Nella precedente legislatura non abbiamo avuto il tempo di rappresentare questo problema perché la finanziaria non venne presentata; ci fu una riunione dell'ANCI, e in quella sede all'unanimità venne approvato un ordine del giorno che venne inviato al Consiglio regionale perché affrontasse il problema. Alcuni consiglieri regionali, a onor del vero, presero l'iniziativa e ci informarono del loro impegno in questo senso. Io ho fiducia che questo Consiglio regionale, che questa Amministrazione regionale abbia la sensibilità di affrontare e risolvere questa situazione. Gli strumenti ci sono, una legge regionale c'è già, non si deve legiferare ulteriormente, si tratta di attivare tutte quelle procedure che possano consentire ai comuni in questa grave difficoltà aggiuntiva di ricevere almeno un sostegno che gli consenta di affrontare con serenità l'attività amministrativa.

Concludo, augurandovi buon lavoro e augurando che l'approccio informato al dialogo e all'ascolto continui con determinazione perché io credo che sarà quello che genererà i frutti più duraturi per la nostra Sardegna.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.

ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Saludu su Governu de sa Sardigna e totus is rappresentantis de su populu sardu. Unu saludu a sa terra pretziosa de Eleonora.

Il fatto che il Consiglio regionale, che dovrebbe essere il Parlamento del popolo sardo, oggi si riunisca a Oristano, lo interpreto come un forte segnale teso a portare avanti una stagione di autonomia partecipata che in 60 anni ben poche volte si è vista. Infatti, nei 60 anni di autonomia, purtroppo, la Regione Sardegna è stata spesso accentratrice e matrigna rispetto alle autonomie locali, riproducendo forme di "statalismo italiano". Oggi, trasferendoci da Cagliari a Oristano non abbiamo fatto, in effetti, niente di nuovo. Tra l'altro, questa sede non può che rievocare Eleonora d'Arborea, la quale spostava la sua residenza, intesa come "capitale", da Oristano alle località limitrofe del territorio: chiamiamolo un "metodo itinerante efficace" che garantiva il massimo contatto con le realtà del popolo che amministrava.

Se prendiamo esempio dal Giudicato di Eleonora, sicuramente non sbaglieremo, visto che quel regno è stato l'ultimo baluardo di indipendenza dei sardi, sconfitti 600 anni fa dagli Aragonesi: l'allora "nascente potenza globale" nel Mediterraneo. Parlare dello "stato dell'arte", quindi dello "stato del sistema delle Autonomie in Sardegna", non può esimerci dalla sua attualizzazione nel contesto del nuovo millennio e più specificatamente in una Italia in cui, al di fuori dei proclami più o meno demagogici ed elettoralistici, la tendenza è ad un nuovo "centralismo autoritario" qualsiasi possa essere o diventare la sua forma statuale.

Personalmente ritengo che il "sistema napoleonico" della suddivisione del territorio in provincie sia sorpassato o comunque inadeguato alla risoluzione dei problemi globali del territorio vasto e delle sue articolazioni in questo scorcio del nuovo millennio. Il "sistema provincia" andrebbe sicuramente rivisitato in rapporto alle reali esigenze e alle aspettative di un autogoverno delle autonomie. Probabilmente il numero delle province è eccessivo e non corrisponde alle reali esigenze dei territori. Dico "forse" perché non funziona. Bisognerebbe ripensare a nuove forme di aggregazione istituzionale, a forme di autogoverno partecipato democraticamente che esaltino il ruolo dei comuni e delle aggregazioni intercomunali a partire dalle esigenze e dalle aspettative delle popolazioni, dei territori e delle loro vocazioni economiche.

Vista la grande importanza dell'argomento che trattiamo in questa seduta, non possiamo ignorare il grave attacco portato avanti in questi giorni dal Governo italiano di centrodestra contro le Autonomie e in particolar modo contro quelle delle Regioni a Statuto speciale. L'onorevole Brunetta, ministro autorevole del Governo di centrodestra presieduto dall'onorevole Berlusconi, ha espresso alla stampa la sua volontà di abolizione delle Regioni a Statuto speciale, con affrettate e superficiali motivazioni economiche, riducendo con ciò il concetto di Autonomia speciale ad una semplice partita di giro di un conto economico. Con queste pericolose esternazioni si vuole, di fatto, privare dell'istituto dell'Autonomia la Sardegna, il Trentino Alto Adige, la Valle d'Aosta e la Sicilia. Con ciò negando a queste Regioni e ai loro popoli il diritto (acquisito purtroppo drammaticamente) ad una propria specificità e diversità storico-culturale. Diversità sancite dalla Costituzione italiana nata dai valori di libertà, resistenza e antifascismo: questo è un dato storico che dovremo ben ricordare, visto che siamo a ridosso del 25 aprile.

Le dichiarazioni del ministro Brunetta ci preoccupano perché sono frutto di un atteggiamento politico proprio di una cultura statalista autoritaria, che si ammanta a parole di liberismo, limitando di fatto la libera concorrenza e costruendo in settori dell'economia situazioni di privilegio e di controllo monopolistico. E' questa la cultura propria del "pensiero berlusconiano" che, guarda caso, rispecchia a piene mani quei modelli politico-culturali che stanno alla base di sistemi degli Stati autoritari, reazionari, che tendono di fatto ad escludere dalla partecipazione democratica la stragrande maggioranza della popolazione. Intanto lui pensa a tutto.

Ci chiediamo con preoccupazione che senso abbia che ognuno di noi, in questo contesto, esprima il proprio voto in maniera libera e autonoma: "Basta che votino i Capigruppo!". Certo è che con questi presupposti istituzionali la stagione delle autonomie locali rischia di essere stravolta, fortemente ridimensionata e tenuta in vita solo formalmente. L'Autonomia sarda, pur con tutti i suoi limiti, rischia di essere il principale bersaglio di questo attacco.

Di questo progetto, di fatto negazionista delle autonomie e basato solo su privilegi economico-fiscali, ne fa parte un certo "federalismo di maniera", quello interpretato dalla Lega, formazione politica che nasce da reali esigenze del territorio ma che si sta sempre più spostando su posizioni conservatrici, xenofobe e nazionaliste. Questo federalismo è in gran parte estraneo alla tradizione solidale del pensiero federale del Cattaneo, a cui queste formazioni dicono di ispirarsi. Ma purtroppo il "pensatore" è stato sacrificato sull'altare del costituente Stato centrale italiano come naturale evoluzione dello Stato Sabaudo e spesso colpevolmente dimenticato dal pensiero sociale progressista, anch'esso influenzato dal mito nazionalista dell'unità d'Italia.

Il pensiero federale del Cattaneo si basa sul rispetto delle diversità, delle autonomie e della solidarietà che fra esse si generano per la soluzione dei problemi sociali ed economici del proprio popolo, e per la creazione di sistemi giuridici di rappresentanze rispettosi delle diversità culturali, sociali ed economiche. Il pensiero federale solidale fortemente laico, repubblicano ed egualitario, non può essere ridotto ad un fatto puramente fiscale di cui fra l'altro non conosciamo neanche il costo reale per il contribuente e i sistemi di riequilibrio del divario dello sviluppo economico dei territori.

Nella storia, nella cultura e nella prassi delle collettività sarde gli esempi di autogoverno e di solidarietà non mancano. E' da questa storia che noi dobbiamo partire; dico che dobbiamo tornare a Su connottu. Purtroppo per noi Sardi le ragioni storico-politiche che stanno alla base del nostro Statuto speciale di autonomia, continuano a persistere. Ribadisco che la nostra Autonomia è stata spesso disattesa e colpevolmente inattuata dalla classe politica, facendo si che la stessa Regione Sardegna diventasse matrigna e limitativa delle autonomie locali in un quadro di sviluppo democratico condiviso, partecipato e programmato nella pluralità delle esigenze dei territori.

La programmazione e la condivisione devono andare di pari passo come garanzia di controllo e di equilibrio di egoismi economici particolari e individuali. Non possiamo, in questa Assise, che biasimare le dichiarazioni del ministro Brunetta, che sono lesive del diritto di autonomia della Regione Sardegna, delle sue istituzioni in tutte le sue articolazioni, nonché al diritto del popolo sardo alla costruzione di un processo di autonomia, autodeterminazione, sovranità e indipendenza. Lo stesso richiamo - e chiudo - fatto dal presidente Napolitano in questi giorni sulla trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, cosa auspicata dai costituenti del '48, è un serio momento di riflessione su una strada da perseguire. Bonu traballu a tottus. Gratzie.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il Sindaco del Comune di Viddalba, Ara. Ne ha facoltà.

ARA, Sindaco del Comune di Viddalba. Buonasera a tutti i presenti. Saluto la Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, onorevole Lombardo, il Presidente della Regione, onorevole Cappellacci, la Giunta regionale, tutti i consiglieri regionali presenti, colleghi e il Presidente del Consiglio delle autonomie locali.

Oggi potrebbe essere una giornata storica per la Sardegna. Infatti, per la prima volta, il Consiglio regionale si sposta dalla sua sede istituzionale di via Roma a Cagliari e va nel territorio per incontrare i rappresentanti istituzionali delle autonomie locali. Spero che questa novità, questo primo passo, da parte del Consiglio regionale verso le autonomie locali divenga il modo consueto di rapportarsi con esse, smetta cioè di essere una novità e diventi un fatto normale. Penso insomma ad un modo di rapportarsi che nelle strategie di programmazione del Consiglio regionale veda il massimo coinvolgimento del Consiglio delle autonomie locali, quantomeno verso quelle tematiche che riguardano il mondo delle autonomie locali.

Dico questo perché la legge regionale istitutiva del Consiglio delle autonomie locali dice che: "In attuazione del principio di cooperazione degli enti locali tra loro e la Regione, al fine di garantire la partecipazione degli enti locali ai processi decisionali e regionali di loro diretto interesse, la presente legge istituisce il Consiglio delle autonomie locali e la Conferenza permanente Regioni-enti locali e ne disciplina le competenze, la composizione e il funzionamento".

Nei successivi articoli 11, 12, 13 e 14 della stessa legge si stabiliscono altri criteri quali: l'informazione del Consiglio delle autonomie locali, l'istituzione della Conferenza permanente Regione-enti locali, le intese, gli accordi tra la Regione e gli enti locali. La legge stabilisce anche che gli Uffici del Consiglio regionale devono obbligatoriamente assicurare un'informazione ai componenti del Consiglio delle autonomie locali sui testi degli atti presentati al Consiglio regionale, nonché sulle convocazioni e gli ordini del giorno dell'Aula e delle Commissioni, e che questa informazione deve essere pari per completezza e tempestività a quella fornita ai consiglieri regionali. Non solo, precisa anche che la Conferenza permanente Regione-Enti locali è sede unitaria e generale di concertazione, di cooperazione, di coordinamento tra l'amministrazione regionale e gli enti locali della Sardegna."

A questa Conferenza partecipano, per la Regione, il Presidente della Regione, che la presiede, l'Assessore regionale competente in materia di enti locali, con funzioni di Vicepresidente, gli Assessori regionali competenti in materia di riforma della Regione, di bilancio e di programmazione, gli Assessori regionali competenti nelle materie oggetto di discussione. In rappresentanza degli enti locali, invece, partecipano dieci componenti del Consiglio delle autonomie locali, eletti dal Consiglio, garantendo la presenza di due rappresentanti per ciascuna delle categorie elencate e previste dalla normativa, i Presidenti regionali dell'ANCI, dell'UPS, dell'UNCEM, dell'AICCRE, della Lega delle Autonomie, dell'ASEL, che costituiscono il coordinamento delle associazioni degli enti locali della Sardegna.

La conferenza è convocata dal Presidente almeno una volta ogni tre mesi, o quando ne facciano richiesta, con indicazione degli oggetti da iscrivere all'ordine del giorno, da almeno quattro dei suoi componenti in rappresentanza degli enti locali. Questo apparato normativo, quindi, ha posto le basi per dotare la Sardegna di un ottimo strumento sentito come assolutamente necessario.

Purtroppo però questo strumento così importante non sempre funziona come dovrebbe, infatti - e arriviamo al dato dolente - io faccio parte per il Consiglio delle autonomie locali della Conferenza Regione-Enti locali. Dico questo, quindi, perché io stesso vivo questo momento con un certo disagio. Naturalmente, non è tutto da buttare a mare, in realtà sono state create le condizioni per avviare un ottimo processo che, certo, non è ancora ben oleato, ma che può sicuramente essere adeguato in corso d'opera.

Considerate le materie delicate che si vanno a trattare in queste sedute, si sono adottati, previa intesa, tutti gli atti di indirizzo e coordinamento previsti dalla legge, delle funzioni amministrative a qualsiasi titolo conferite agli enti locali, gli atti amministrativi con i quali si definiscono i criteri per la ripartizione di risorse finanziarie regionali fra gli enti locali, fatta eccezione per quelli per i quali i criteri siano stabiliti in legge e gli altri atti per i quali l'intesa sia richiesta dalla legge. Al fine dell'intesa, la posizione della Regione è espressa dal Presidente della Regione o dall'Assessore delegato. La posizione degli enti locali è quelle espressa dalla maggioranza dei componenti della Conferenza in rappresentanza degli enti locali. In caso di urgenza, la Giunta regionale può provvedere senza la previa intesa. Questi provvedimenti però sono sottoposti all'esame della Conferenza entro i sette giorni successivi per il conseguimento dell'intesa. Si tratta quindi di materie importantissime per gli enti locali.

Ora, considerate il fatto che io, e la maggior parte degli altri rappresentanti del Consiglio delle autonomie, partecipiamo a quella seduta senza aver avuto la possibilità di discutere delle materie all'ordine del giorno all'interno del Consiglio delle autonomie e che quindi, andiamo ad approvare un'intesa senza nessuna preventiva consultazione interna, senza una previa discussione del Consiglio di nostro riferimento. Insomma, sarebbe sicuramente più corretto un diverso modo di procedere, un iter che preveda che le convocazioni e le deliberazioni della Conferenza Regione-Enti locali siano contestualmente inviate al Consiglio regionale, al Consiglio delle autonomie locali e ai rappresentanti della Conferenza.

Occorre permettere al Consiglio delle autonomie locali di procedere con un percorso che garantisca realmente il massimo coinvolgimento, rispettando il principio di cooperazione tra enti locali e Regione, al fine di assicurare la partecipazione degli enti locali ai processi decisionali regionali di loro diretto interesse. Penso che questo percorso sia attuabile e che il Consiglio regionale della Sardegna, nel rispetto di tutte le autonomie locali di questa Regione, debba garantire questo tipo di percorso istituzionale. Vorrei precisare che questo intervento non nasconde alcuna volontà polemica, ma vuole semplicemente evidenziare alcune anomalie di percorso e proporre dei correttivi, garantendo così quei principi che il Legislatore sperava di mettere in atto nella promulgazione della legge istitutiva.

Concludo formulando un sincero augurio al Consiglio regionale e alla sua Giunta, affinché durante il suo mandato possa soddisfare tutte quelle aspettative che i cittadini sardi hanno riposto nei loro confronti, auspicando che le autonomie locali siano per loro un costante punto di riferimento istituzionale. Grazie, buon lavoro.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Capelli. Ne ha facoltà.

CAPELLI (U.D.C.). Presidenti tutti, colleghi e rappresentanti del Consiglio delle autonomie - così la facciamo breve - mi ero preparato un dotto intervento, un dotto intervento che fosse, per quanto possibile, all'altezza di questa celebrazione. Era il gennaio dell'anno scorso l'ultima volta che ci siamo incontrati col Consiglio delle autonomie; sono andato a rileggere gli atti di quell'incontro, e devo dire, con rammarico purtroppo, che non molto è cambiato. C'era allora, ricordo, il presidente Milia, che intervenne, e significò l'importanza e la necessità di concludere il percorso dello scioglimento delle comunità montane, e ci si soffermò un po' tutti sul momento di analisi del Piano paesaggistico regionale.

Ma nell'intervento dotto che mi ero preparato avrei voluto parlare della legge numero 10 e del suo mancato integrale compimento, del decentramento, che non deve essere solo formale (e che ci porta oggi, come segnale importante comunque, a riunirci in quel di Oristano) ma deve essere un decentramento sostanziale. Avrei voluto parlare della legge numero 1, dello Statuto e della legge Statutaria, dell'autonomia reale degli enti locali, dei vincoli, limiti e soluzioni, del patto di stabilità, dell'autonomia, della sovranità e del centralismo, fino ad arrivare a quanto disse a suo tempo la Commissione Medici sul banditismo e sullo stato di degrado delle zone interne, che suggerì di non sostituire il centralismo statale romano con il centralismo della nuova regione cagliaritana. Avrei voluto parlare del ruolo dei comuni e soprattutto delle province, di quale futuro si prevede per questi enti locali.

Avrei voluto parlare ancora della finanziaria 2009, del perché di tanti residui, come segnalato a suo tempo dal Presidente della Provincia di Nuoro, negli enti locali. Avrei voluto parlare dettagliatamente di tutto questo, e concludere col fatto che le riforme non devono essere riforme da ritoccare a seconda della maggioranza di turno, ma che devono essere riforme solide, concrete, fatte con una totale condivisione delle parti politiche. Riforme durature, appunto, e non riforme del momento, dettate dalla maggioranza di turno.

Ma venendo qui, anche con un po' di ritardo, mi sono soffermato a pensare sugli atti e sugli effetti delle decisioni del Governo delle ultime ore. Io sono sinceramente sconcertato, decisamente sconcertato per le determinazioni assunte dal Consiglio dei ministri relative allo spostamento del G8 dalla Sardegna e il trasferimento dello stesso a L'Aquila. E voglio ricordare (perché si rischia molto di scivolare su argomenti che non sono miei, cioè la mancanza di solidarietà o altri argomenti di questo tipo) che, a suo tempo, noi ci siamo trovati a discutere di altri atti di solidarietà, condivisi nello spirito ma non nel metodo, come per esempio il fatto straordinario del carico dei rifiuti per la Sardegna da quel di Napoli.

Non mettemmo mai in discussione il fatto che dovevamo far sentire il nostro impegno e dimostrare la nostra solidarietà, ma discutemmo molto sul metodo, sul mancato coinvolgimento decisionale. Ebbene, io credo che anche in questo caso sia mancata un'informativa, un coinvolgimento, un confronto. Per quel che ognuno di noi può pensare su un evento straordinario come quello del G8 - che per noi era, comunque, e rimane un'importante vetrina internazionale e anche un importante momento di investimenti strutturali in una parte della Sardegna, con ricadute anche negli altri territori, se si sorvola sul discutibile criterio degli appalti -, si rimane sconcertati da una decisione così improvvisa assunta nel segno della solidarietà.

Io credo che la Sardegna non abbia mai fatto mancare - è sempre stata prima a livello nazionale, a livello internazionale - la sua solidarietà: dai fatti più incresciosi, dai fatti di guerra fino alle calamità naturali, alle alluvioni, terremoti e quant'altro è successo nel mondo in questi anni, e non solo nella nostra Nazione. La Sardegna ha saputo sempre esprimere la propria solidarietà e anche in questo caso non sarà ultima nel mostrare la propria solidarietà alle popolazioni abruzzesi.

Ma io mi chiedo: è necessario promuovere atti, a mio avviso, mi permetto di dire a titolo personale, senza coinvolgimento di parte politica? E' necessario portare avanti, in questo momento, atti che, a mio avviso, rasentano la demagogia e il populismo, per riaffermare o affermare fatti di solidarietà, o richiamare risparmi di 220 milioni di euro, che in gran parte sono risparmi che noi abbiamo messo da parte (non vorrei ricordare i fondi FAS, non vorrei ricordare anche il mancato tempestivo finanziamento della Sassari-Olbia)? Allora mi chiedo: è una guerra tra poveri che bisogna instaurare per mostrarsi estremamente solidali, o forse, davanti ad un evento straordinario non sarebbe stato opportuno sospendere i finanziamenti e la costruzione del ponte di Messina-Reggio Calabria? O forse non sarebbe opportuno sospendere, non per una presa di posizione politica, anche i lavori della TAV, e destinare quei fondi a un intervento straordinario verso popolazioni che soffrono?

E lo dico perché, se devo entrare nel merito, la TAV si sa che è discussa, si sa che forse è sovradimensionata, utile ma sovradimensionata, mentre magari in altre regioni, così come nella nostra, ci sono province che non hanno neanche la ferrovia statale, ma che sono ancora servite dalle sole ferrovie complementari. E i numeri, si dice, non possono favorire quell'investimento. Perché, i numeri della TAV lo favoriscono?

Non credo che sia inopportuno parlare qui, in questa sede, della contemporaneità dei fatti. Forse, se non fosse stata un'Assemblea, a mio avviso, troppo celebrativa, avrei chiesto una sospensione di cinque minuti per un confronto politico con i colleghi del Consiglio delle autonomie locali - colleghi perché anche io sono consigliere comunale -, e avrei detto: "E' il momento forse che si dimostri una completa condivisione su questi temi, con le sfumature che ognuno vorrà riportare tra Consiglio regionale e Consiglio delle autonomie locali, per produrre insieme un ordine del giorno, che non faccia assolutamente mancare la solidarietà".

Ma bisogna anche avere il coraggio di dire basta, bisogna avere anche il coraggio di dire: "Non devono essere sempre gli ultimi a pagare", e tra gli ultimi, purtroppo oggi più ultimi di noi, ci sono i nostri connazionali dell'Abruzzo, ma subito dopo, costantemente, annualmente, c'è la Sardegna, una Sardegna dimenticata, che mi fa ripensare e mi fa riflettere anche sull'opportunità di appartenenza a un partito politico nazionale.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il Sindaco del Comune di La Maddalena, Comiti. Ne ha facoltà.

COMITI, Sindaco del Comune de La Maddalena. Signor Presidente, un cordialissimo saluto a lei e al Presidente della Regione, al presidente Milia, alla Giunta, ai consiglieri regionali e ai miei colleghi delle autonomie locali. Devo dire sinceramente che l'intervento dell'onorevole Capelli, che ringrazio, ha tolto molte motivazioni all'intervento che avrei voluto svolgere.

L'onorevole Capelli ha parlato di un eccesso di celebrazione, di forma, in questa riunione così importante, della quale importanza anche io do atto e mi associo a tutti coloro i quali hanno espresso un giudizio positivo. Io credo che pochissime volte si sia verificato che il Consiglio regionale si sia svolto in un luogo che non è quello deputato dal punto di vista istituzionale. Nel fare questa considerazione, condivido quanto ha detto un mio collega in riferimento alle dichiarazioni programmatiche dell'onorevole Cappellacci, dove appunto ha paventato la possibilità di incontrare le amministrazioni locali nei territori di appartenenza.

Io credo che occorra promuovere ciò, perché serve, è utile a intensificare e a consolidare i rapporti fra l'Esecutivo regionale e il Consiglio regionale tutto, anche se di incontri fra Consiglio regionale e autonomie locali, effettivamente, non è così facile ipotizzarne. Questo incontro mi è sembrato molto soft, si sono glissati alcuni problemi, che invece credo vadano posti con un po' più di veemenza.

Mi aspettavo, ad esempio, nell'intervento - l'ho aspettato sino all'ultimo secondo - del Presidente del Consiglio delle autonomie locali, Graziano Milia, persona capace, attenta, sensibile ai problemi dei comuni e delle province, e sicuramente autorevolissimo rappresentante di questo comparto dell'amministrazione pubblica, mi aspettavo anche da lui un accenno a quello che oggi può essere definito il fatto del giorno, considerato anche che da stamattina, dalle 8 e 30, non faccio in tempo a spegnere un telefono che, in qualche modo, ricevo una chiamata sull'altro da tutte le agenzie di stampa e da tutti i network più importanti d'Italia. Quindi, evidentemente, un'importanza e una straordinarietà in questo fatto c'è e va riconosciuta.

Anche io chiedo al Consiglio regionale, al Consiglio delle autonomie locali, in questa sede, oggi, di poter produrre un documento che in qualche modo dica qualcosa nei confronti di quello che io definisco un autentico "scippo" effettuato con un colpo di mano, operato dal Presidente del Consiglio e dal Consiglio dei ministri nei confronti della Sardegna e de La Maddalena. Si parlava di modifica del Titolo V della Costituzione, di sussidiarietà, di leale collaborazione fra istituzioni. Finalmente non siamo più ordinati gerarchicamente, ma dal punto di vista della rappresentatività e della dignità costituzionale e istituzionale siamo tutti sullo stesso piano.

Io faccio fatica, sinceramente, a pensare come il Presidente del Consiglio dei ministri, oggi, senza (io non dico consultare il Sindaco de La Maddalena, non ho questa pretesa) ma, dalle notizie che ho, senza consultare nessuno, abbia potuto prendere una decisione di questo tipo. Io credo che nei confronti di atteggiamenti come questi, di atti precisi come questi, occorra in qualche modo mettere in campo una rivendicazione di autonomia vera, perché altrimenti, sinceramente, tutte le parole che ho sentito, tutte quelle che diciamo e tutte quelle che proferisco anch'io, spesso e volentieri non hanno assolutamente senso.

Io credo che oggi sia stato perpetuato un atto di prevaricazione nei confronti di un'intera Regione, e lo dice un rappresentante delle istituzioni. Io sono sindaco di La Maddalena, e spesso e volentieri mi sono definito un re senza regno, mi sono definito un re senza regno perché da qualunque finestra del Palazzo comunale di La Maddalena mi affacci, quello che generalmente vedo è sempre di qualcun altro: o è del Ministero della difesa, o è del Ministero dell'ambiente, o è del Ministero delle politiche agricole, o è del Ministero delle infrastrutture.

Ecco, in quella città è iniziato un processo, un percorso per stabilire un punto di verità su queste questioni fondamentali, cioè per stabilire che La Maddalena appartiene al territorio della Regione autonoma della Sardegna, e che su La Maddalena potevano in qualche modo essere sperimentate e messe in campo delle ipotesi nei confronti di temi come questi. Tutto ciò ribadito da due Governi che si sono succeduti uno dopo l'altro: prima il Presidente del Consiglio dei ministri, Prodi, e poi il presidente Berlusconi, avevano infatti deciso, di concerto con la Regione autonoma della Sardegna, di svolgere il summit G8 a La Maddalena. E la scelta di La Maddalena non è avvenuta per caso, non perché il nome del Comune de La Maddalena sia stato estratto da un'urna più o meno dorata dove erano stati inseriti i nomi di tutti i comuni d'Italia, ma perché quella città, in qualche modo, poteva e doveva diventare il simbolo di una possibile riconversione da un'economia militare, quasi totalmente militare, ad un'economia diversa.

Ecco, questa operazione è costata 300 milioni di euro di fondi FAS alla Regione autonoma della Sardegna; io credo che anche solamente in virtù di questo, nessuno oggi si possa permettere di dire che la decisione assunta ieri sia giusta, in nome di una solidarietà che sinceramente faccio fatica a capire. Io credo che L'Aquila, l'Abruzzo oggi abbia bisogno di tutto, veramente di tutto: intanto di quello che ha stabilito il Governo oggi, di 8 miliardi e 100 milioni di euro per la ricostruzione, di 1 miliardo e 500 milioni di euro per gli interventi di emergenza, e ha bisogno della solidarietà di tutti noi, di tutto il popolo italiano e della comunità internazionale, ma sicuramente non ha bisogno del G8. Io, di questo, ne sono sicuro. Lo dico perché il percorso che è stato avviato è in fase di completamento. Io sono anche preoccupato, signor Presidente, e sinceramente gradirei in merito qualche parola da parte sua, sono anche preoccupato di come, in qualche modo, verranno lasciate nel Comune di La Maddalena, le opere che sono iniziate, che forse abbisognano di altri interventi di carattere finanziario per essere completate e che sono state anche in parte progettate per risolvere i problemi o per andare incontro alle esigenze che il summit in qualche modo imponeva, perché altrimenti si sarebbero potuti realizzare anche progetti modulati diversamente.

Beh, io credo che di questo, in qualche modo, il Governo debba essere chiamato a rispondere, e se non lo fa un'Assemblea così autorevole come questa di oggi, io credo che non lo possa fare nessuno. Mi scuso se sono stato troppo lungo, e mi scuso anche per aver in qualche modo parlato quasi esclusivamente di un tema contingente e di non essermi attenuto scrupolosamente all'ordine del giorno. Vi ringrazio molto anche per questo.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.

BRUNO (P.D.). Signori Presidenti, onorevoli colleghi, signori Sindaci e Assessori, è per noi questa di oggi, innanzitutto, un'occasione di ascolto, di dialogo, di confronto, soprattutto di verifica. Anche quest'anno, per la quarta volta, prima della discussione in Aula dalla manovra di bilancio, esaminiamo congiuntamente lo stato delle autonomie, del sistema delle autonomie in Sardegna. Però, oggi - lo diceva il collega Capelli e lo diceva il Sindaco di La Maddalena - non è il giorno migliore per l'autonomia, è un giorno di sofferenza per la Sardegna.

E' difficile, oggi, parlare di autonomia, sistema delle autonomie che si basa anche sulla capacità della Regione di stabilire con lo Stato, con il Governo, rapporti sì di leale collaborazione, senz'altro di leale collaborazione, ma, come ho detto in Aula, nella discussione sulle dichiarazioni programmatiche, mai di subalternità. Pensiamo alla recente rimodulazione dei fondi FAS nazionali, che ha visto la Sardegna perdere importanti quote di riparto, il 12,61 per cento, oltre 4 miliardi di euro (e si trattava di un accordo già sancito tra Governo e Regione) pensiamo alla mancata realizzazione della Sassari-Olbia, fino alla decisione odierna di spostare il G8 a L'Aquila, una decisione assurda, demagogica.

Ecco, questi fatti di oggi, sono avvenuti tra l'altro senza neanche la consultazione del Presidente della Regione, così mi risulta, nonostante l'articolo 47 del nostro Statuto preveda la convocazione del Presidente della Regione alla sede del Consiglio dei ministri quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione. Noi, su questo argomento, chiediamo che il Presidente della Regione, lo chiederemo formalmente domani, riferisca immediatamente in Consiglio regionale, ma ci attendiamo già da oggi una risposta concreta. Sicuramente facciamo nostro anche l'appello di concludere anche questi lavori odierni con un ordine del giorno. Non mancherà la solidarietà nazionale, non è mai mancata da parte della Sardegna, riteniamo che i problemi siano altri e che veramente in gioco ci sia il rapporto tra la Regione e lo Stato, ci sia in gioco la nostra autonomia.

Domani mattina chiederemo la convocazione urgente, ai sensi dell'articolo 54 del Regolamento, della prima seduta straordinaria del Consiglio regionale. Credo che il Presidente ci debba informare immediatamente sulle motivazioni e le ripercussioni dello spostamento del G8 da La Maddalena; riteniamo che sia un fatto grave. Riteniamo, insomma, che ciò sia interesse dell'intera Sardegna, delle autonomie locali che oggi si confrontano in un incontro che non può essere formale, che non può essere rituale e che vuole rafforzare questo legame in un sistema reticolare.

Il Consiglio delle autonomie locali è già un organo della Regione, è già parte integrante del sistema delle autonomie, dell'ordinamento autonomistico, la questione, però, è come rafforzare questo patto, questo legame, come, enti che sono dotati di pari dignità secondo il Titolo V della Costituzione, possono sempre meglio concorrere, e con quali poteri, con quali funzioni, alla crescita della nostra Isola. Molto nella scorsa legislatura è stato fatto nell'attività legislativa; penso alla legge numero 9, alla numero 12, ma sicuramente non basta. Sicuramente dobbiamo interrogarci sulla reale attuazione anche del decentramento, delle funzioni e dei poteri attribuiti agli enti locali.

Alla radice vi è sicuramente un'idea di sussidiarietà, di adeguatezza, di prossimità, di autonomia che in ultima analisi deve servire a rendere possibile, più semplice la fruizione da parte dei cittadini dei servizi, nei luoghi dove vivono. Sicuramente, allora, alla semplificazione amministrativa, al decentramento di funzioni devono seguire maggiori poteri. Anche la ormai collaudata, favorevole disciplina dei trasferimenti finanziari mediante il Fondo unico per gli enti locali, introdotta nel 2007 dal Consiglio regionale su proposta della Giunta Soru, ha sicuramente attribuito maggiori poteri, maggiori discrezionalità nell'utilizzo delle risorse, maggiori responsabilità agli enti locali. Tuttavia, lo stesso Fondo - lo diciamo ormai da tempo - ha necessità di superare questa fase transitoria con una legge di riordino complessivo dell'ordinamento degli enti locali che dovrà contenere anche un nuovo regime di rapporti finanziari, ma nel rapporto con lo stesso Consiglio delle autonomie locali dobbiamo essere più coraggiosi, dobbiamo affidargli certamente il potere di iniziativa legislativa che in altre Regioni gli è stato già attribuito.

Ma interroghiamoci anche sull'opportunità di offrire, per esempio, il diritto di tribuna al Presidente del Consiglio delle autonomie locali, quando il Consiglio regionale affronta le tematiche riguardanti le comunità locali. Il Consiglio regionale e le sue Commissioni possono sempre e comunque valorizzare al meglio l'azione propositiva del CAL, rafforzandone la funzione con procedure anche formali di esame dei pareri obbligatori, da concludersi con una delibera di approvazione o di diniego e con la motivazione delle eventuali ragioni di non accoglimento totale o parziale del contenuto dei pareri.

Già lo scorso anno il collega Orrù, allora Presidente della prima Commissione in Consiglio regionale, aveva proposto modifiche alla numero 1; relativamente all'insorgere di divergenze fra il parere del Consiglio delle autonomie locali e il Consiglio regionale, aveva proposto l'introduzione di una delibera da approvare a maggioranza qualificata, che comportasse, quindi, un'assunzione di responsabilità maggiore del Consiglio regionale nel motivare il parere discordante con quello del CAL. Proprio in questi giorni, la decisione in finanziaria di eliminare la tassa di soggiorno che i comuni, facoltativamente, potevano e possono introdurre come corrispettivo dovuto per l'utilizzo di beni naturalistici e ambientali della Sardegna va, a nostro avviso, contro un'impostazione di federalismo interno che tanto viene auspicato, come lo stesso Consiglio delle autonomie locali ha fatto notare.

Ciò è ancor più vero ora che ci accingiamo ad applicare il federalismo fiscale, che prevede la misurazione del fabbisogno dei comuni e delle Regioni non in base alla spesa storica, ma ai costi standard dei servizi da erogare; e il mix di tributi propri, di flussi perequativi che dovrà essere sufficiente a coprire le funzioni fondamentali e i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, non farà venir meno il principio cardine, che rimane quello dell'autonomia impositiva di ciascuna articolazione, dove ogni livello deve potersi autofinanziare con imposte legate alle competenze proprie. E sul federalismo interno, sull'attuazione del federalismo fiscale non potrà mancare la funzione strategica del Consiglio delle autonomie locali.

Rendere più incisiva, quindi, questa funzione, renderla più incisiva nell'attività legislativa è fondamentale; e qui non si tratta di istituire una seconda camera (è chiaro che il Consiglio regionale ha una legittimazione diretta, mentre il Consiglio delle autonomie locali è di secondo grado, in quanto espressione degli Esecutivi) ma sicuramente è necessario e fondamentale concorre a trasformare l'ordinamento regionale in senso autonomistico. E non potrà mancare il contributo delle autonomie locali nella riforma dello Statuto dell'autonomia, a presidio delle ragioni della nostra specialità.

Lo dico perché in un momento in cui le autonomie, le autonomie speciali sono fortemente messe in discussione con interventi che negano la radice della specialità, che asseriscono che tutte le Regioni sono speciali, le conquiste della Sardegna possono essere intaccate, e noi non lo possiamo e non lo dobbiamo permettere. La riscrittura dell'articolo 8 in materia di entrate con risorse aggiuntive pari almeno a un miliardo e 600 milioni di euro a partire dal 2010, l'attuazione dell'articolo 14 che restituisce alle comunità locali parti fondamentali del loro territorio finora in mano al demanio dello Stato, ci dicono che è possibile rafforzare la nostra autonomia e la nostra sovranità agendo in piena corresponsabilità a tutti i livelli, ciascuno parte di un unico sistema delle autonomie: il sistema delle autonomie che veramente si basa su una capacità della Regione anche di interagire allo stesso livello con il Governo e allo stesso livello con lo Stato.

Dobbiamo reagire con forza, anche ai fatti di oggi, muoverci nell'ambito di relazioni nazionali che garantiscano innanzitutto la nostra specialità, la nostra piena autonomia, aggiornata anche al nuovo contesto costituzionale, economico e sociale che stiamo vivendo. E' la sfida che ci attende, che dobbiamo vincere insieme (Autonomie locali, Governo, Consiglio regionale) e, già da oggi, siamo in campo per tentare veramente di avere successo nel nostro lavoro. Per cui auguro un buon lavoro reciproco e mi auguro che dall'incontro di oggi emergano fatti concreti.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.

DIANA MARIO (P.d.L.). Signor Presidente del Consiglio, Signor Presidente della Giunta regionale, Signor Presidente del Consiglio delle autonomie locali, colleghe e colleghi, inizierò il mio intervento dalla parte che mi interessa maggiormente, cioè la presenza del Consiglio delle Autonomie locali. Tutti sanno che nutro una certa simpatia per le amministrazioni locali, avendo iniziato il mio percorso politico da Presidente di Provincia, e guarda caso di questa provincia, pertanto ringrazio preliminarmente il Presidente per aver voluto convocare qua il Consiglio regionale.

Ho ascoltato con attenzione i problemi importanti che sono stati sottoposti all'Assemblea regionale, sono dei problemi per i quali ci siamo impegnati molto e si è impegnata molto la precedente maggioranza, con l'istituzione del Consiglio delle autonomie locali e con la legge di delega e di trasferimento di funzioni agli enti locali. In quel momento credo che sia nato il primo problema, che non è stato evidenziato platealmente ma lo conosciamo tutti quanti: i sindaci e gli amministratori provinciali si lamentano per il fatto che anche il tanto apprezzato fondo unico cominci a diventare un elemento insufficiente per le esigenze delle amministrazioni locali ma soprattutto per i gravosi compiti a cui esse sono state chiamate.

Io credo che sia necessario - lo dico al Presidente della Regione, lo dico all'Assessore degli enti locali, che non è presente ma certamente saprà interpretare ciò che io sto per dire - credo che sia necessario su questo fare estrema chiarezza. Troppe competenze sono state trasferite alle amministrazioni locali, e non sempre ci si è assicurati che queste competenze fossero supportate adeguatamente da risorse finanziarie. Questo è il primo problema, ed è un problema di non poco conto perché i conti poi si devono fare con tutta una serie di altri problemi. Qui qualcuno ha ritenuto di poter utilizzare questa platea per regolare conti di tipo politico; risponderò poi all'onorevole Zuncheddu e all'onorevole Capelli. Certamente ci sono tempi e modi per affrontare i problemi politici, tempi e modi per affrontare i problemi amministrativi. Noi siamo stati chiamati qui per discutere i problemi amministrativi.

Siamo in presenza di una finanziaria nella quale forse nessuno si è preoccupato di quantificare quante di queste risorse vanno destinate agli enti locali e se queste risorse siano sufficienti. Certo lo avrà fatto il Presidente del Consiglio delle autonomie locali, lo avrà fatto il presidente del UDS, che non è presente, lo avrà fatto il presidente dell'ANCI e di tutte le altre associazioni, certo non sono risorse sufficienti. I conti li dobbiamo fare anche noi all'interno del Consiglio regionale e li dobbiamo fare bene, quanto meno per svelare se le grandi riforma della precedente legislatura sono state vere riforme o se invece hanno lasciato solo morti e feriti. Allora, su questo ci dobbiamo misurare. Noi non vogliamo lasciare morti e non dobbiamo lasciare feriti, noi vorremo riportare al loro ruolo principale le amministrazioni locali.

Io non sono tra coloro che vogliono abolire le province, certo è che, Presidente, alcune province della Sardegna oggi rischiano veramente il dissesto finanziario. Ci sono delle province in Sardegna - ho avuto cura di leggere i loro bilanci - che certamente rischiano il collasso finanziario. Dobbiamo intervenire noi, ma dobbiamo intervenire non solo dando i quattrini, dobbiamo intervenire anche diversamente.

Io sono stato uno - lo dico agli amici del Consiglio delle autonomie locali - che ha sempre sostenuto che anche sul fondo unico un minimo di controllo, un minimo di indirizzo dovesse essere effettuato. La maggioranza ha deciso che quelle risorse vanno spese in maniera totalmente autonoma: benissimo. Io non pongo questioni, non intraprendo una battaglia su questo, non la voglio fare certo in questa circostanza, certo è che troppe amministrazioni, o molte amministrazioni, utilizzano quelle risorse in maniera diversa da un territorio ad un altro, e poi le lamentele dei territori si trasmettono al Consiglio regionale.

Alcuni di voi utilizzano le risorse per lo sport, nella misura del 3, 4, 5 per cento, altre le utilizzano nella misura dell'1 per cento; alcuni di voi utilizzano molte risorse nella direzione della cultura, altri ne utilizzano di meno. E' una questione che dobbiamo verificare, ma, al di là di questo, continuo a ribadire che le risorse sono assolutamente insufficienti, e su questo problema dobbiamo misurarci. E' questa la prima battaglia da fare, oltre al riconoscimento pieno del ruolo del Consiglio delle Autonomie locali.

Ora io non arrivo a dire che il Presidente del Consiglio delle Autonomie locali dovrebbe fare parte a pieno titolo del Consiglio regionale, però bisognerebbe cominciare a pensarci, bisognerebbe cominciare a pensarci perché una voce che è terza rispetto al Consiglio regionale io credo che possa essere utile all'interno del Consiglio. Sarà necessario apportare una modifica, ci sarà la volontà consiliare per decidere questo, certo è che le amministrazioni locali devono essere accompagnate, non prese per mano, devono essere sostenute.

E a questo proposito voglio ricordare l'intervento credo dell'onorevole Cossa, che ha parlato di controllo. Io non avrei mai abolito i controlli; ne ero convinto quando ero Presidente della Provincia e ritengo che forse un controllo sarebbe necessario anche oggi. Dico di più: forse sarebbe necessario un controllo anche per la Regione Sardegna, un controllo che non abbiamo più. Ci sono delle Regioni che hanno istituito presso i tribunali amministrativi regionali una sezione consultiva del Consiglio regionale, che preventivamente esamina gli atti che i Consigli regionali emanano per verificare che non si verifichino le situazioni drammatiche che abbiamo vissuto nella precedente legislatura, quando il TAR Sardegna è stato chiamato a dirimere situazioni che forse, fra 7, 8, 10 anni, vedranno la fine. Bene, noi non possiamo essere coloro che affossano il TAR della Sardegna, non possiamo essere coloro che creano norme che poi sono di difficilissima interpretazione e applicazione. In questo, onorevole Zuncheddu, l'eredità amministrativa del presidente Soru non l'abbiamo certificata noi, l'hanno certificata i sardi. Ciò che certifichiamo noi oggi è l'eredità politica che lei ha voluto trasmettere in quest'Aula; ne prendiamo atto e ovviamente faremo le nostre considerazioni.

Per il resto, una maggioranza ampia, coesa, unita, che è capace di amministrare questa Regione, con un Presidente che possiede una dote importantissima, quella dell'ascolto, quella della capacità di misurarsi con tutti, potrebbe - e io credo che lo debba fare - ascoltare anche le singole parti politiche che compongono la sua maggioranza, anche quelle che riottosamente, qualche volta, non vogliono misurarsi con lui. Mi ha meravigliato molto l'intervento dell'onorevole Capelli; lo avrei rimandato, quanto meno alle dichiarazioni che farà il Presidente della Regione dopo il mio intervento.

Io credo che non dobbiamo tenere un atteggiamento, che è comprensibile per il sindaco di La Maddalena, doverosamente comprensibile, ma che non è comprensibile per un rappresentante della maggioranza che in quest'Aula, in questa sessione, solleva un problema anche di appartenenza. Io quell'intervento lo avrei fatto in un'altra circostanza, ma ha voluto pronunciarlo in questa circostanza e certamente le parti politiche in campo ne prenderanno atto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione per l'intervento conclusivo.

CAPPELLACCI, Presidente della Regione. La Regione Sardegna, con i suoi organi istituzionali, si presenta alla società civile e alla generalità dei cittadini in una sede di rappresentanza degli enti locali, non solo per un impegno e un confronto politico con i rappresentanti degli organismi della democrazia di base - gli amministratori dei Comuni e delle Province per l'appunto - dei soggetti che sono perciò in grado di esporre i problemi e di proporne le soluzioni più adeguate, ma anche per dare un preciso segno di concretezza all'impegno di ascolto e di confronto che è alla baase delle dichiarazioni programmatiche del Presidente e della nuova Giunta regionale.

Signor Presidente del Consiglio, ringrazio lei per questa scelta e per questa decisione. Saluto il sindaco della città di Oristano e lo ringrazio per l'ospitalità. Un saluto particolare al Presidente e ai componenti del Consiglio delle autonomie, ma un saluto caloroso voglio porgere agli altri consiglieri, alle autorità e ai cittadini che ci onorano della loro presenza. La venuta qui a Oristano rappresenta certamente, se non un fatto storico - perché gradirei tanto che questa iniziativa si potesse ripetere anche in altri territori e in altre circostanze - certamente un fatto significativo che collega le vicende storiche dei nostri giorni a quelle di un'epoca straordinaria della storia della Sardegna: quella di Eleonora d'Arborea, la cui culla è stata questa magnifica città, che ci ha lasciato un patrimonio culturale, politico e giuridico di cui va fiera l'Isola intera.

Senza lasciarsi trasportare da enfasi eccessiva, possiamo senz'altro affermare che anche noi siamo chiamati a scrivere pagine importanti e decisive per la Sardegna e per i sardi, se sapremo insieme mettere tutte le energie di cui disponiamo, tutti insieme, ciascuno per il ruolo e la responsabilità che riveste. Io ne sono fermamente convinto e questo messaggio di fiducia voglio trasmettere a tutti i componenti dell'Assemblea regionale, alle forze politiche qui rappresentate e ai rappresentanti del Consiglio delle autonomie che per la prima volta incontro oggi, in questa sede, e con i quali mi voglio confrontare unitamente alla Giunta che è qui presente insieme a me e che ho l'onore di presiedere.

Sul metodo del confronto e dell'ascolto è imperniato il programma di governo di questa Giunta regionale e di questa maggioranza; sul metodo partecipativo è fondata la costruzione della nostra proposta e della nostra azione di governo; lo abbiamo detto nelle dichiarazioni programmatiche, abbiamo iniziato a metterlo in pratica. I primi risultati positivi li abbiamo già registrati con la predisposizione della nostra prima manovra finanziaria, indirizzata ad affrontare le emergenze e l'ordinarietà amministrativa; manovra sulla quale la minoranza ha dato un contributo di proposte di notevole rilevanza, dimostrando di anteporre gli interessi generali a quelli legittimi di parte.

Colgo l'occasione di questa seduta per ringraziare maggioranza e minoranza per il lavoro, per il senso di responsabilità che hanno consentito di arrivare rapidamente a quel risultato. Il metodo del confronto e dell'ascolto, il metodo della democrazia partecipata come parte integrante dell'azione di governo sono in campo anche nei rapporti del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regione-enti locali, perché riteniamo che, come scritto negli impegni del programma, sia essenziale il diretto coinvolgimento degli attori del sistema nella costruzione e condivisione delle scelte strategiche e nell'attuazione degli interventi conseguenti. E' una convinzione, questa, non dell'ultima ora ma è nella storia stessa dei decennali rapporti Regione-enti locali, che hanno nella Costituzione, come si è evoluta e consolidata, e nello Statuto di autonomia puntuali riferimenti, recepiti nei documenti e negli accordi sottoscritti con il sistema delle rappresentanze degli enti locali, come risulta negli atti della Giunta regionale.

Essi hanno trovato successivamente conferme e adeguamento, seppure non nella pienezza delle istanze, nella legge regionale numero 1 del 2005 che ha istituito la Conferenza permanente Regione-enti locali come sede unitaria di concertazione, di cooperazione e di coordinamento tra Amministrazione regionale e il Consiglio delle autonomie locali come organo di rappresentanza istituzionale degli enti locali della Sardegna e sede unitaria di confronto, coordinamento e proposta sulle problematiche di loro interesse.

La seduta congiunta di oggi del Consiglio regionale e del Consiglio delle autonomie materializza questo impegno della legge istitutiva che prevede, appunto, questo appuntamento annuale e lo colloca - come è stato già rilevato - nel momento più significativo della vita delle istituzioni autonomistiche, ovvero all'atto di approvazione del bilancio della Regione, con l'obiettivo primario e caratterizzante dell'esame dello stato del sistema delle autonomie locali.

E' evidente che l'incontro di oggi non esaurisce l'impegno da noi assunto di un confronto e di una partecipazione permanente del sistema delle autonomie locali ai processi di sviluppo della Sardegna: è un primo passo per iniziare a fare l'inventario delle esigenze e delle partite aperte, che vanno dallo Statuto al federalismo fiscale interno, alla necessaria rivisitazione di norme e istituti che frenano i processi di sviluppo e che condizionano in negativo la capacità propositiva e operativa degli enti locali e della stessa Regione nei loro confronti.

La riforma della Regione e la riforma dell'ordinamento degli enti locali, contenente anche la riforma del vigente regime dei rapporti finanziari al sistema delle autonomie locali, sono strade parallele che devono camminare insieme e devono vedere insieme Regione ed enti locali nelle scelte e nelle decisioni. E' un percorso faticoso ma non impossibile; è una sfida che dobbiamo combattere e vincere nell'interesse del popolo sardo e della Sardegna, come concorso forte anche al progresso dell'Italia, nel Paese e nel mondo. E' un percorso che ha solide basi di partenza, basi che sono nella storia della Sardegna e della nostra autonomia, basi che sono nelle leggi vigenti di Stato e Regione che ha fatto fare passi da gigante alla stessa Regione, alle Province e ai Comuni. Sono la legge numero 142 del 1990; le leggi Bassanini; il Testo unico degli enti locali; la riforma del Titolo V della Costituzione che ha disegnato la nuova architettura della Repubblica; l'abolizione dei controlli sugli atti degli enti locali e sulle leggi regionali, per citare alcuni esempi in campo nazionale.

In sede regionale siamo passati dalla legge numero 25 del 1993 in materia di risorse agli enti locali all'articolo 10 della legge numero 2 del 2007 istitutivo del Fondo unico; dalle nuove Province alla riforma degli enti regionali; dalla legge numero 9 del 2006 di attribuzione e di riparto delle competenze tra Regione, Province e Comuni alla legge numero 12 del 2005 sulle Comunità montane e sulle Unioni dei piccoli Comuni; dallo scioglimento degli EPT e delle Aziende di soggiorno a quello dei Consorzi industriali. Provvedimenti, tutti, che reclamano una puntuale verifica e rivisitazione, peraltro già prevista anche dalla legge finanziaria del 2007 alla quale siamo tutti impegnati e chiamati a dare attuazione affinché il sistema degli enti locali abbia un organico e complessivo assetto non più dilazionabile.

Questo, per concludere, mi pare l'inventario dello "stato dell'arte", unitamente alle numerose osservazioni che sono arrivate stasera dagli interventi che hanno preceduto il mio e che ho ascoltato con la massima attenzione e che mi riservo di approfondire nuovamente, prendendo visione dei testi dei vostri interventi, per tener conto puntualmente di ogni suggerimento, di ogni osservazione e di ogni evidenza di criticità che è stata rappresentata.

Da qui parte il percorso che dobbiamo intraprendere e la sfida nella quale abbiamo detto che tutti vogliamo cimentarci; nella misura in cui i nostri interlocutori vorranno impegnare tutte le loro migliori energie è segnato il risultato al quale andremo incontro. Da parte della Giunta regionale e da parte del Presidente della Regione c'è tutta la disponibilità e tutta la volontà di percorrere questa strada e di mantenere fede agli impegni presi con tutto il popolo sardo, al quale dobbiamo dare certezze e fondate speranze di progresso e di un futuro migliore.

Oggi celebriamo questo momento così importante nella vita della Regione e dell'autonomia e lo celebriamo in un giorno che è caratterizzato da un fatto importante, da un fatto improvviso e inopinato. Io ho appreso questa mattina della decisione del Consiglio dei ministri e ho chiesto immediatamente - e l'ho ottenuto per domani - un incontro con il Presidente del Consiglio per poter capire meglio di che cosa si tratta, per capire meglio quali saranno le conseguenze di questa scelta. Ho ritenuto opportuno nell'immediato, appena ho appreso di questa decisione, sottolineare due aspetti: uno, prioritario, che è quello che credo rappresenti il sentimento non solo del Presidente della Regione ma di tutti i sardi, ovverosia che di fronte a tragedie così immani, di questa portata, certamente abbiamo tutti il desiderio, la voglia di essere partecipi, di essere propositivi, di essere conseguenti, e quindi di poter portare anche un aiuto concreto per risolvere i problemi che derivano da questa tragedia e che in questo momento affliggono le popolazioni, la terra e la gente dell'Abruzzo, e assumere decisioni, conseguenze e comportamenti che possono anche comportare dei sacrifici. Questo lo dico con il massimo senso di responsabilità e lo dico anche consapevole delle mie parole e della mia dichiarazione.

Il secondo aspetto che ho voluto sottolineare - e lo voglio rimarcare con altrettanta chiarezza, con altrettanta forza - è però che la solidarietà è qualche cosa che deve essere discussa sul piano complessivo, che deve essere discussa nell'ambito di equilibri complessivi, e quindi quel processo che era in corso, che è importante per la Sardegna, non può ovviamente - né penso nessuno voglia farlo - essere abbandonato a se stesso; quegli investimenti importanti non possono non essere messi a frutto. E allora credo che sia altrettanto importante approfondire e capire che cosa questa scelta comporta, se, attraverso questa scelta e attraverso le soluzioni che sono state affidate alla stampa e che sono state discusse dal Consiglio dei ministri, esiste una possibilità di mantenere fermo il nostro spirito di solidarietà, il nostro desiderio di fare qualcosa per le popolazioni dell'Abruzzo, però nel contempo di mantenere fermi i presupposti e i principi perché la nostra terra - che ha comunque dei problemi che vive da lungo tempo, problemi strutturali, problemi che sono ulteriormente aggravati da questa situazione congiunturale non favorevole - possa avere veramente una possibilità di recupero e di sviluppo, e perché quell'impegno importante che è stato assunto rispetto al territorio di La Maddalena, - che è un impegno che va nella direzione dello sviluppo di quel territorio ma non solo di quel territorio, che è un impegno che ha conseguenze per lo sviluppo e per la promozione dell'intera Isola - non sia vano e possa comunque essere "messo a sistema".

Questo, per quanto mi riguarda, significa due cose: la prima è che gli investimenti che sono stati programmati devono essere necessariamente portati a conclusione, e non è possibile minimamente derogare al programma che era stato assunto a suo tempo. La seconda è che siamo tutti consapevoli, credo, - e lo suggerisce il buon senso - che quell'evento così importante, di così grande visibilità, per noi era un'occasione, uno strumento attraverso il quale dare risposte a quel territorio. Era uno strumento, un contenitore dove si riponevano le speranze ma tale perché all'interno di quel contenitore c'erano degli investimenti e c'era una prospettiva di recupero di quel territorio, c'era un'idea di prospettiva per il "dopo G8".

Nessuno di noi ovviamente - è persino banale dirlo - può pensare, infatti, che quell'evento in sé e per sé possa risolvere i problemi della Sardegna e di quel territorio; certo è però che quell'evento può portare un grande risultato, può costituire una grande spinta, può essere un grande stimolo.

Il Presidente del Consiglio, che ho sentito e al quale ho chiesto di poter essere ricevuto già da domani (e io domani mattina lo incontrerò), mi ha assicurato che esistono possibilità alternative, in particolare ha parlato del G8 per l'ambiente al quale parteciperà il presidente Obama, e che è allo studio l'ipotesi di programmare per il mese di settembre questo importante evento internazionale in quel territorio. Questa assicurazione - è evidente - di per sé, per me non è sufficiente: ho necessità di capire quali siano le conseguenze, ho necessità di capire se, attraverso un percorso di questo tipo, sia possibile mantenere ferme quelle prerogative che offrivano a questa terra, a quel territorio, una possibilità concreta e una chance concreta per il futuro. E quindi è certo - e ne potete stare certi tutti quanti - che io domani andrò ad ascoltare le parole del Presidente e andrò ad ascoltarle mosso dai due sentimenti: quello della solidarietà che alberga nel mio cuore - come sono sicuro nel cuore di tutti quanti voi - e quello però dell'attenzione e della cura per le sorti di questa terra, che è qualche cosa che riguarda la Sardegna, che riguarda l'Italia, che riguarda ciascuno di noi e che è qualche cosa di importante per tutti, alla quale tutti teniamo, e rispetto alla quale certamente non siamo disposti a fare sconti neanche a noi stessi. Di questo potete starne assolutamente certi.

PRESIDENTE. Un ringraziamento a tutti per la partecipazione e per il contributo offerto al dibattito. Il Consiglio verrà riconvocato a domicilio.

La seduta è tolta alle ore 19 e 06.