Seduta n.137 del 21/09/2010
CXXXVII Seduta
Martedì 21 settembre 2010
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 10 e 03.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 4 agosto 2010 (130), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Andrea Biancareddu, Pietro Fois e Renato Soru hanno chiesto congedo per la seduta del 21 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Congedo per motivi istituzionali
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi del comma 5 dell'articolo 58 del Regolamento, il vicepresidente Michele Cossa è assente nelle sedute dal 21 al 24 settembre 2010 per motivi istituzionali.
Comunicazioni del Presidente
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Regione, con nota del 16 settembre 2010, ha fatto pervenire al Consiglio il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri contro la Regione autonoma della Sardegna per dichiarata illegittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 1, lettera c), della legge regionale 30 giugno 2010, numero 13, concernente: "Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione autonoma della Sardegna e modifiche alla legge regionale 15 febbraio 1996, n. 12".
Annunzio di presentazione di disegni di legge
PRESIDENTE. Comunico che sono stati presentati i seguenti disegni di legge:
"Disciplina delle attività ricettive". (193)
(Pervenuto il 16 settembre 2010 e assegnato alla sesta Commissione.)
"Norme in materia di consorzi industriali provinciali". (194)
(Pervenuto il 17 settembre 2010 e assegnato alla sesta Commissione.)
Annunzio di presentazione di proposta di legge
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta di legge:
Dedoni - Cossa - Vargiu - Fois - Meloni Francesco - Mula: "Norme in materia di istruzione e formazione professionale". (192)
(Pervenuta il 14 settembre 2010 e assegnata alla ottava Commissione.)
Risposta scritta a interrogazioni
PRESIDENTE. Comunico che è stata data risposta scritta alle seguenti interrogazioni:
"Interrogazione Mula - Pittalis - Ladu - Capelli sulla delibera avente per oggetto il Programma unitario degli interventi urgenti di messa in sicurezza e mitigazione del rischio idrogeologico nei bacini idrografici dei comuni interessati e per il ripristino delle opere di interesse pubblico nelle aree colpite dagli eventi alluvionali del 2008". (144)
(Risposta scritta in data 16 settembre 2010.)
"Interrogazione Artizzu sull'inserimento, da parte del ministero dell'ambiente, del cosiddetto "Parco nazionale del Gennargentu" nell'elenco delle aree protette nazionali". (319)
(Risposta scritta in data 16 settembre 2010.)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza:
CAPPAI, Segretario:
"Interrogazione Diana Giampaolo - Caria - Cucca - Espa - Manca, con richiesta di risposta scritta, sulla formazione della graduatoria del concorso riservato ai disabili, bandito dalla Regione sarda il 1° marzo 2010". (395)
"Interrogazione Cucca, con richiesta di risposta scritta, sulla situazione dell'organico dell'Istituto comprensivo globale di Fonni per l'anno scolastico 2010/2011, nonché sulla situazione di estremo disagio nelle zone interne della Provincia di Nuoro e, in particolare, nei paesi di montagna, causata dal ridimensionamento delle classi in vari istituti scolastici". (396)
"Interrogazione Diana Giampaolo - Caria - Manca, con richiesta di risposta scritta, sullo sfratto della redazione centrale di Epolis". (397)
"Interrogazione Amadu, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di misure urgenti atte ad evitare il ripetersi dell'inquinamento delle acque prospicienti il litorale di Maria Pia in Alghero". (398)
"Interrogazione Sanjust, con richiesta di risposta scritta, sulla condizione di criticità relativa ai finanziamenti destinati alle società di gestione aeroportuali Sogaer, Sogeaal, Geasar". (399)
"Interrogazione Cuccureddu, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di garantire le risorse per gli stipendi alle società che prestano il servizio di vigilanza per la ASL di Sassari". (400)
"Interrogazione Diana Giampaolo - Manca - Moriconi - Lotto - Cocco Pietro - Sanna Gian Valerio, con richiesta di risposta scritta, sulla grave situazione del trasporto ferroviario e di pullman dei passeggeri del Sulcis-Iglesiente". (401)
"Interrogazione Milia, con richiesta di risposta scritta, sulle vicende connesse alla possibile soppressione della classe IV dell'Istituto IPAA di Bono (SS)". (402)
"Interrogazione Uras - Bruno - Salis, con richiesta di risposta scritta, relativa all'attuazione coerente delle disposizioni per l'organizzazione amministrativa della Regione, con particolare riferimento al funzionamento dell'Ufficio stampa e all'inquadramento dei giornalisti che operano nel medesimo Ufficio". (403)
"Interrogazione Barracciu - Bruno, con richiesta di risposta scritta, sui danni subiti dai viticoltori del Mandrolisai a causa della diffusione della peronospora e sulla necessità di dichiarare lo stato di calamità naturale". (404)
"Interrogazione Diana Giampaolo - Cocco Pietro - Lotto - Solinas Antonio, con richiesta di risposta scritta, sulla grave situazione di erosione della costa di Nora e sul danno ai monumenti e ai resti del porto fondato dai fenici". (405)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interpellanze pervenute alla Presidenza:
CAPPAI, Segretario:
"Interpellanza Porcu - Bruno sull'emergenza occupazionale relativa alla stato di crisi della Società Epolis Spa editrice de "Il Sardegna" e di altre 18 testate di quotidiani locali". (141)
"Interpellanza Cossa - Vargiu - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sull'incremento del costo dei biglietti del trasporto pubblico locale". (142)
"Interpellanza Diana Giampaolo - Caria - Cucca - Manca - Solinas Antonio sul sostegno alle emittenti private sarde col digitale terrestre a seguito delle scelte dell'Agcom sul Piano nazionale di assegnazione delle frequenze (PNAF) dei canali, per mettere ordine nel sistema del digitale terrestre". (143)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle mozioni pervenute alla Presidenza:
CAPPAI, Segretario:
"Mozione Bruno - Lotto - Manca - Meloni Valerio sul rischio di chiusura della Facoltà di medicina veterinaria dell'Università degli studi di Sassari". (83)
"Mozione Barracciu - Bruno - Uras - Salis - Agus - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla drammatica situazione del sistema scolastico regionale, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (84)
"Mozione Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sul ruolo dell'Assemblea costituente del popolo sardo". (85)
"Mozione Artizzu - Contu Mariano Ignazio - Bardanzellu - De Francisci - Greco - Floris Rosanna - Locci - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pittalis - Randazzo - Rassu - Stochino - Zedda Alessandra - Pitea sull'uso dell'indumento chiamato "burqa" e di qualunque altra analoga umiliazione della dignità delle donne". (86)
"Mozione Bruno - Soru - Sanna Gian Valerio - Agus - Barracciu - Caria - Cocco Pietro - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Meloni Marco - Solinas Antonio sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento (articolo 51, comma 1, dello Statuto sardo)". (87)
"Mozione Porcu - Sabatini - Meloni Valerio - Moriconi - Cuccu - Cucca sui principi e sugli obiettivi di revisione dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna". (88)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88.
(Si riporta di seguito il testo delle mozioni:
Mozione Maninchedda - Sanna Giacomo - Planetta - Dessì - Solinas Christian sull'indipendenza della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALE
ACCERTATO che:
- lo Stato italiano è largamente responsabile:
1) dell'inquinamento dei siti industriali più importanti della Sardegna;
2) della desertificazione del settore manifatturiero in Sardegna;
3) dell'eccesso di pressione fiscale e tariffaria sulle imprese e sui cittadini;
4) del sistema di regole e privilegi che sta consegnando la Sardegna a poche imprese dominanti, ormai prossime a configurarsi come oligopoli;
5) del tentativo di scaricare sul bilancio regionale i costi del welfare, della scuola e degli enti locali, oltre quelli già a carico della Regione, dei trasporti e della sanità;
6) della spoliazione culturale derivante da una sistema scolastico monolingue, ostile alla cultura e alla lingua dei sardi, sostanzialmente non diversificato nell'offerta formativa e ormai allontanato dalle aree rurali;
- la maggior parte dei fondi statali stanziati negli anni passati per l'industrializzazione della Sardegna è stata consumata da industrie di Stato che poi hanno abbandonato e continuano ad abbandonare la Sardegna;
RICORDATO che il patrimonio boschivo e ambientale della Sardegna ha subito i maggiori insulti per le concessioni governative concesse dallo Stato;
ASSUNTO che nei settori della sanità, dei trasporti e della scuola, lo Stato italiano da una parte impone le regole antiquate e oligopolistiche che caratterizzano da sempre la sua storia e la sua cultura, dall'altro scarica interamente i costi di questi diritti sulla fiscalità regionale, cioè sulla ricchezza prodotta dai sardi;
CONSTATATO il privilegio accordato nel tempo dallo Stato italiano alle regioni del nord Italia in termini di trasferimenti pubblici, di servizi e di infrastrutture, confermato recentemente dalla rimodulazione del riparto di alcuni fondi europei che ha determinato che nel sud e nelle isole sia rimasto poco più del 30 per cento delle risorse originariamente disponibili;
RICORDATO che del territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano,
impegna la Giunta regionale
a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno d'Italia e poi dalla Repubblica italiana. (6)
Mozione Floris Mario - Cuccureddu - Mulas su "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che la Sardegna vive una condizione difficile sotto il profilo economico e sociale, nel contesto della crisi globale che ha investito il mondo, l'Europa e l'Italia; ma non sono gli effetti e le conseguenze della "globalizzazione" che hanno fatto sentire i morsi della crisi sul debole tessuto economico, produttivo e occupazionale della nostra Isola, è, anche, soprattutto, il cronico ritardo accumulato negli anni nell'affrontare i processi di riforma delle istituzioni e nell'assumere le necessarie decisioni, in primo luogo quelle relative allo Statuto di autonomia, con il conseguente ammodernamento della pubblica amministrazione locale e regionale alle mutate esigenze, in termini di efficienza e di adeguatezza, della società civile; è anche la mancanza di un nuovo organico progetto di sviluppo che valorizzi le risorse materiali e immateriali proprie della Sardegna e nel contempo inserisca l'Isola nei nuovi processi dell'economia globale e avanzata facendo delle nostre risorse e del nostro territorio una vera ed unica piattaforma culturale ed economica dell'Europa e dell'Italia proiettata verso i paesi afro-asiatici; è, ancora, l'assenza di una strategia complessiva unitaria della classe politica isolana, a tutti i livelli, capace di portare univocamente la voce e le istanze dei sardi per essere veramente ascoltati nelle sedi nazionali, europee e internazionali, nelle quali la Sardegna deve poter contare nelle scelte e nelle decisioni che direttamente la riguardano; è legittimo, pertanto, che emergano dubbi e contraddizioni, che si pongono da parte della pubblica opinione domande non solo sul contesto attuale, sul futuro di breve e medio-lungo termine che trovano puntuale riscontro sugli organi di informazione locale più diffusi, portatori anch'essi degli interessi del popolo sardo: cosa fare, ci viene chiesto, sollecitando nel contempo risposte altrettanto puntuali, come proporsi davanti al Governo del Paese in vista del federalismo, a partire da quello fiscale? L'autodeterminazione è una strada praticabile? Come ottenere da Roma i denari che sono nostri? Che uso farne? Come la Sardegna si pone nei rapporti dell'Europa delle regioni e come si organizza politicamente e strutturalmente?
PRESO ATTO che tali premesse rappresentano i presupposti politici per avviare una discussione complessiva, aperta al contributo d tutte le forze politiche e di tutte le rappresentanze istituzionali, economiche, sociali e culturali del popolo sardo;
AVUTO RIGUARDO dei programmi con i quali i singoli partiti e le coalizioni politiche si sono presentati alle ultime consultazioni elettorali in Sardegna per governare la Regione, assumendo impegni, anche attraverso le loro rappresentanze politiche e dirigenziali ai più alti livelli, per la loro attuazione, sia sul piano delle riforme che su quelli dell'economia, del lavoro e dell'occupazione;
TENUTO CONTO che i tempi della politica a livello regionale e a livello nazionale consentono di concludere nel corso delle attuali legislature regionale e parlamentare i processi di riforma, in particolare l'approvazione del nuovo Statuto di autonomia e l'attuazione del federalismo fiscale, unitamente a tutti gli altri provvedimenti normativi e organizzativi che ne discendono a livello statale, regionale e locale, solo se tali processi verranno rapidamente attuati;
CONSIDERATO che alle predette riforme sono strettamente connessi i processi di crescita civile e di sviluppo economico della comunità sarda che si trova, oggi, ad affrontare il momento storico decisivo per uscire definitivamente dalle situazioni di arretratezza e di sottosviluppo nelle quali per troppo tempo è stata relegata ed avviare finalmente quel cammino di progresso al quale il popolo sardo aspira e al quale ha diritto;
PRESO ATTO delle proposte che le singole forze politiche hanno predisposto e formalizzato in questi primi mesi della XIV legislatura regionale, portando anche al confronto e al dibattito politico pubblico che ha visto, tra l'altro, esprimersi autorevoli opinioni su temi di nota rilevanza come: "Ora serve un nuovo Piano di rinascita"; "Il divario nord-sud e l'unità nazionale"; "Attivare investimenti del Sud" o anche "Una strategia per uscire dalla crisi: una vera riforma con il nuovo Statuto", tutti temi considerati strategici per il progresso della Sardegna per vincere la sfida in termini di lavoro e di occupazione, all'interno di un processo di sviluppo condiviso compatibile con la tutela, la conservazione, la gestione delle risorse naturalistiche e ambientali incomparabili della nostra Isola;
AVENDO A MENTE il ruolo e la funzione che la Sardegna ha avuto e che tuttora ha nello scacchiere degli equilibri europei e mondiali per la sicurezza e la pace dei popoli e, quindi, il peso che la nostra Isola ha sopportato e sopporta con sacrifici che ne hanno condizionato lo sviluppo in nome e a tutela della solidarietà nazionale, europea e internazionale;
DATO ATTO che in questi primi mesi della XIV legislatura tutte le forze politiche, con scelte condivise dalle parti sociali ed economiche, hanno concorso ad adottare i necessari ed opportuni provvedimenti normativi e finanziari per dare le risposte più adeguate alla crisi economica che ha investito la Sardegna, soprattutto al dramma del lavoro e dell'occupazione, e che sono stati posti in essere interventi utili per il breve e medio periodo;
EVIDENZIATO che è indispensabile pensare e predisporre un "Progetto Sardegna" che abbia valenza strategica e quindi complessivamente individui le iniziative e le azioni necessarie sotto il profilo politico, istituzionale ed economico per il futuro del popolo sardo;
TENUTO CONTO che il metodo della semplice protesta e della semplice rivendicazione risultano ormai superati ed improduttivi di efficaci risultati perché in sé sottintendono una sostanziale debolezza di proposta e di istanza, mentre è certamente più efficace e produttivo un confronto a tutto campo su un "Progetto Sardegna" come fulcro del più vasto e complessivo progetto dell'Italia federale attraverso il quale assumere la piena e totale responsabilità del governo della Sardegna e delle sue risorse materiali e immateriali;
RIAFFERMATO il principio che lo Statuto sardo è il fulcro dei poteri autonomistici e di autodeterminazione ed è anche il regolatore della convivenza civile della Sardegna e del suo progresso sociale ed economico;
CONSIDERATO che la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione prevede che la Regione Sardegna, quindi i suoi organi di Consiglio e Giunta, nel rispetto degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, concordino con lo Stato criteri e modalità da stabilire con norme di attuazione dello Statuto da definire, come recita testualmente l'articolo 27, comma 1, della predetta legge delega, con le procedure previste dallo Statuto medesimo, entro il termine di ventiquattro mesi dalla data della sua entrata in vigore;
RILEVATO, ancora, che il comma 7 del citato articolo 27 della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, prevede, al fine di assicurare il rispetto delle norme fondamentali e dei principi che da essa derivano, tra i quali anche il riconoscimento degli svantaggi strutturali permanenti, come costi dell'insularità, istituisce presso la Conferenza permanente Stato-regioni e Province autonome di Trento e Bolzano un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale con il compito di individuare linee guida, indirizzi e strumenti per conseguire gli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle ulteriori attribuzioni finanziarie, intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti; detto tavolo di confronto è, come stabilisce la legge delega, costituito dai ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme e per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell'economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dal Presidente della Regione;
TENUTO CONTO che detto tavolo di confronto doveva essere attivato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge delega n. 42 del 2009, e che per definire linee guida, indirizzi e strumenti è indispensabile che venga coinvolto il Consiglio regionale e tutte le rappresentanze politiche perché il Presidente della Regione possa avere il conforto e il sostegno di tutta la società sarda in questa fase delicata e determinante per il futuro della Sardegna;
RIBADITO, altresì, che gli articoli 4 e 5 della predetta legge delega n. 42 del 2009 prevedono l'istituzione di una Commissione tecnica paritetica presso il Ministero dell'economia per l'attuazione del federalismo fiscale e, all'interno della conferenza unificata, una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica per predisporre tutti gli atti preparatori ai fini dell'emanazione delle norme di attuazione degli statuti attraverso le quali si dovrebbe realizzare il federalismo fiscale;
CONSIDERATO che il Governo dello Stato ha ventiquattro mesi di tempo per emanare le norme di attuazione dello Statuto ai fini della messa a regime della legge delega n. 42 del 2009, quindi incidendo su norme statutarie ormai obsolete o in buona parte inadeguate;
OSSERVATO, ancora, che per effetto delle stringenti norme statali sul federalismo fiscale appare urgente e indilazionabile che il Consiglio regionale affronti con immediatezza il tema delle riforme istituzionali, a partire dal nuovo Statuto e dalla riforma interna della Regione per evitare conseguenze dannose e irreparabili per la Sardegna a causa della limitatezza dei poteri speciali di autonomia rispetto a quelli di altre regioni ad autonomia differenziata, ma anche a quelli delle stesse regioni a statuto ordinario,
impegna il Consiglio regionale
ad avviare con immediatezza e comunque entro trenta giorni una speciale sessione sulle riforme, in primo luogo sull'avvio delle procedure di approvazione del nuovo Statuto di autonomia con il convincimento che occorra, innanzitutto, un'ampia apertura culturale e politica tesa ad eliminare anacronistici motivi di contrasto o incomprensioni per ritrovarci in pochi, ma significativi principi che recepiscano e portino a compimento le aspirazioni del popolo sardo, trovando punti significativi e determinanti di equilibrio tra le posizioni delle singole forze politiche e quelli generali della comunità isolana;
impegna la Giunta regionale
a predisporre le linee strategiche di un organico "Progetto Sardegna" da presentare entro trenta giorni all'esame del Consiglio regionale;
impegna il Consiglio regionale e la Giunta regionale
1) a portare all'attenzione di tutti i livelli istituzionali (Presidente della Repubblica - Presidente del Senato - Presidente della Camera - Presidente del Consiglio dei ministri) e politici il "Progetto Sardegna per le riforme e lo sviluppo", con il coinvolgimento e la partecipazione di tutte le componenti della Società sarda, in modo che il Parlamento possa approvare il nuovo Statuto sardo di autonomia nei tempi più celeri possibili, entro l'attuale legislatura, comunque prima dell'emanazione dei decreti delegati e delle norme di attuazione del federalismo fiscale secondo le indicazioni e le aspettative del popolo sardo. (20)
Mozione Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla necessità di dare immediato avvio ad un dibattito sulle riforme e sullo Statuto di autonomia, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che la Sardegna affronta la crisi economica globale con un grave ritardo nell'adeguamento dei suoi strumenti legislativi e statutari per poter intercettare le nuove frontiere federaliste che si prospettano senza penalizzare i livelli conseguiti dall'autonomia speciale;
RICHIAMATA integralmente la mozione n. 20 a firma Floris Mario, Cuccureddu, Mulas su "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna,
impegna il Presidente del Consiglio regionale
ad avviare una sessione straordinaria sulle riforme e sul programma di approvazione del nuovo Statuto di autonomia;
a tal fine
è dato mandato
alla Prima Commissione consiliare permanente di predisporre ogni utile istruttoria per l'attuazione di una autentica legislatura di riforme. (27)
MozioneContu Felice - Dedoni - Cuccu, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall'articolo 51 dello Statuto sardo).
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO:
- che la mozione approvata da questo Consiglio il 24 febbraio 1999 afferma:
- "il diritto del popolo sardo di essere padrone del proprio futuro";
- "il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l'intero popolo sardo, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto";
- il diritto del popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna così come si evince dal patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
CONSTATATO che:
- l'attuale regime di autonomia non ha realizzato completamente il suo significato più importante, quello dell'autogoverno e dello sviluppo economico, non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione, mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la prosperità e lo sviluppo, acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
- la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
CONSIDERATO che:
- l'identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un'identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;
- mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico;
- la crescita di una coscienza e di una fede nel popolo sardo e nella nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del popolo sardo,
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente "la sovranità del popolo sardo sulla Sardegna, sulle Isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina", riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta" con gli stati della terraferma,
dichiara
politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948; e, pertanto,
disconosce
la petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell'Isola "rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni.." (deliberazione del Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847); altresì,
denuncia
come non valida la concessione della "perfetta fusione" deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito - come avverrà negli altri stati italiani in vista dell'Unità del 1861 - in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale; conseguentemente,
rivendica
il diritto di partecipare al processo di riforma:
- nel rispetto della sovranità popolare e della natura "nazionale" del suo popolo;
- nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna;
- nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno Stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza, ma non ancora nella forma costituzionale;
- nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell'Italia,
ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica,
- i valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa;
- l'amichevole collaborazione con le comunità e con gli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni,
dà avvio
alla elaborazione del nuovo Statuto-costituzione della Sardegna secondo le forme che la legittima rappresentanza del popolo sardo vorrà seguire,
chiede
al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del popolo sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana. (46)
Mozione Sechi - Zedda Massimo - Uras sull'affermazione del diritto di autodeterminazione dei popoli in funzione del più efficace contrasto all'aggressione e progressivo indebolimento dei valori di libertà, di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale tra le comunità nazionali, linguistiche e culturali in Sardegna, in Italia e in Europa.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che:
- appare sempre più evidente l'aggressione e il progressivo indebolimento dei valori di libertà, di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale tra le comunità nazionali, linguistiche e culturali in Sardegna, in Italia e in Europa;
- tale aggressione è finalizzata al consolidamento di teorie e pratiche di egoismo territoriale da parte di aree economicamente più ricche e storicamente più avvantaggiate, direttamente e indirettamente, dall'intervento pubblico dello Stato centralista, sia nelle scelte di sviluppo economico e sociale che nel trasferimento delle risorse finanziarie;
- le dinamiche in atto, funzionali alla divisione tra i popoli, contrastano con i principi di unità nella partecipazione democratica e nel riconoscimento di pari dignità, esplicitamente contenuti nella Costituzione repubblicana e dichiarati come principali elementi costitutivi della Unione europea;
- la Sardegna può rappresentare un utile esempio di governo autonomo, in un contesto europeo e mediterraneo, quale "terra di pace e di amicizia tra i popoli", in contrapposizione netta con teorie e pratiche di egoismo, di emarginazione delle differenze, di rifiuto della relazione e della cultura della solidarietà;
CONSIDERATI la crisi attuale delle forme statuali unitarie, che nel corso del '900 si sono configurate e consolidate, e il conflitto tra la difesa e l'affermazione delle identità e i processi di globalizzazione in atto;
CONSIDERATE necessarie ed urgenti riforme politiche, economiche e sociali coerenti con i valori richiamati, che rappresentino strumento efficace di affermazione dei diritti delle persone e delle comunità, in una prospettiva di pacifica e cooperativa convivenza tra i popoli, a partire dall'area euro-mediterranea;
CONSIDERATO che tali riforme debbano prendere avvio, per quanto riguarda la Sardegna, dalla stipula di un nuovo patto con lo Stato italiano e l'Unione europea;
RITENUTO che le stesse riforme debbano rafforzare i valori di libertà, uguaglianza, solidarietà e pace già conquistati con la Costituzione repubblicana, tramite la definizione di forme più avanzate di autodeterminazione e concorso solidale, anche di orientamento federalista, rispetto a quelle già espresse nella legge costituzionale n. 3 del 1948,
impegna il Presidente della Regione e la Giunta regionale
1) a promuovere la revisione dello Statuto e la conseguente approvazione da parte del Consiglio regionale ai sensi dell'articolo 54 della legge costituzionale n. 3 del 1948, in funzione del raggiungimento degli obiettivi di riforma indicati in premessa, con la partecipazione attiva dell'intero sistema istituzionale locale, delle organizzazioni politiche e sociali, del mondo della cultura e della solidarietà, nelle forme di legge più idonee a qualificare detta partecipazione;
2) di sottoporre la proposta di revisione, ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto sardo, alla valutazione e alla sottoscrizione dei cittadini sardi in tutti i comuni della Sardegna. (80)
Mozione Diana Mario - Sanna Matteo - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Campus - Cherchi Oscar - Contu Mariano Ignazio - De Francisci - Floris Rosanna - Gallus - Greco - Ladu - Lai - Locci - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pitea - Pittalis - Randazzo - Rassu - Rodin - Sanjust - Sanna Paolo Terzo - Stochino - Tocco - Zedda Alessandra sulla riscrittura dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che è condivisa da tutta la società sarda la necessità di procedere a una profonda revisione e all'ampliamento delle competenze autonomistiche attraverso la formulazione di un nuovo contratto istituzionale con la Repubblica italiana e l'Unione europea;
CONSIDERATO il diritto a esistere della Nazione sarda, da affermarsi per mezzo di un reciproco leale patto con lo Stato italiano e di una convinta adesione all'Europa che si fondi sulla garanzia della pacifica convivenza di tutti i popoli europei;
RILEVATO che, nell'attuale fase di riforma delle istituzioni repubblicane in senso federale, la Sardegna è chiamata a inserirsi nel processo in corso con un progetto autoctono che nell'esprimere la propria identità collettiva sia teso a ridefinire tutti i rapporti oggi esistenti con lo Stato italiano e l'Unione europea;
ATTESTATO che, in applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, la Sardegna è chiamata ad adeguare il proprio statuto con le relative norme attuative entro 24 mesi dall'entrata in vigore di detta legge;
EVIDENZIATO che la nuova Carta fondamentale del Popolo sardo deve essere rispettosa delle aspirazioni storiche, politiche e culturali della Sardegna, previo riconoscimento del diritto dei sardi al proprio autogoverno;
ATTESO che la riformulazione dello statuto vigente deve partire dall'affermazione che i diritti dei sardi sono inalienabili e quindi la specialità di rango costituzionale, di cui è dotata la Sardegna, deve sempre costituire la precondizione per un adeguato riconoscimento all'interno dell'ordinamento della Repubblica e della normativa comunitaria europea;
ATTESO, inoltre, che la proposizione di un nuovo, moderno, originale e avanzato statuto di autonomia che meglio rappresenti le mutate esigenze della nostra terra e tuteli la nostra cultura identitaria in Italia e in Europa deve realizzarsi per mezzo:
- della costituzionalizzazione della lingua sarda, con l'inserimento all'interno del nuovo statuto di apposite norme;
- del riconoscimento costituzionale degli svantaggi imputabili alla condizione geografica di insularità, attraverso adeguate misure di compensazione che contemplino la fiscalità di sviluppo (zona franca) e, in assenza di fonti energetiche alternative, l'abbattimento degli alti costi per l'approvvigionamento energetico e dei carburanti, oltre al riconoscimento del divario nello sviluppo economico e del recupero del deficit infrastrutturale, così come previsto nella legge n. 42 del 2009;
- di un nuovo piano di grandi opere infrastrutturali e di servizi reali per adeguare la Sardegna alle regioni più avanzate e moderne d'Europa;
- di una competenza fiscale autonoma e di una politica del credito sarda per ridurre il costo del denaro e creare incentivi alle imprese;
- di una effettiva e illimitata continuità territoriale, per le persone e per le merci, con l'Italia peninsulare e con l'Europa;
- di una nuova concezione dignitosa del lavoro, che sia visto non più come una conquista, ma come un diritto dei sardi ad un futuro di serenità e prosperità,
impegna il Presidente della Regione, la Giunta regionale
e tutte le forze politiche rappresentate in Consiglio regionale
a dare avvio all'iter legislativo per la revisione costituzionale del proprio Statuto speciale di autonomia sulla base dei seguenti elementi fondamentali:
1) la Sardegna è l'isola più periferica del Mediterraneo facente parte della Repubblica e, per questo, rivendica un'effettiva, illimitata continuità territoriale con la parte continentale della Repubblica italiana e con il resto dell'Unione europea;
2) la Sardegna è una nazione con proprio territorio, una propria storia, una propria lingua, una propria cultura e una propria identità;
3) la Sardegna, nel rispetto della libertà e dell'eguaglianza religiosa e di pensiero dei suoi cittadini, riconosce le bimillenarie radici cristiane della società sarda, punto di approdo del lungo cammino del suo popolo;
4) la Sardegna è la base istituzionale dell'attuale Stato italiano, proclamato nel 1861, che altro non è se non l'antico Regno di Sardegna, nato nel 1324 e per secoli pregnato del sangue e della fatica dei sardi;
5) il Popolo sardo si ispira ai valori fondamentali della vita collettiva e dei diritti della persona, all'autonomia delle comunità naturali, all'importanza della famiglia; persegue ideali di giustizia, solidarietà ed eguaglianza e rifiuta ogni tipo di discriminazione;
AFFERMATO che il Popolo sardo è un popolo d'Europa con un'identità peculiare, avente una propria storia, una propria lingua, una propria cultura e un proprio territorio;
CONSIDERATO che il Popolo sardo reclama il diritto di decidere del proprio avvenire, secondo quanto sanciscono la Carta dell'Onu, i Patti internazionali dell'Onu sui diritti politici, civili, economici, sociali e culturali, l'Atto di Helsinki, la Carta di Parigi e conformemente a quanto stabilisce la Dichiarazione solenne di sovranità della Sardegna adottata dal Consiglio regionale nel febbraio 1999;
RILEVATO che il Popolo sardo è convinto che una struttura federale della Repubblica italiana rafforzi, garantisca e intensifichi l'esercizio delle libertà ed il raggiungimento di un'effettiva giustizia sociale, della prosperità, della diffusione della cultura, della coesione sociale, della sussidiarietà, della sicurezza e della pace;
SOTTOLINEATO che il Popolo sardo esige la tutela, dei propri diritti storici imprescrittibili, spettando ai sardi, e soltanto ad essi, la loro gestione,
si impegna inoltre
ad approvare una proposta di legge costituzionale da inviare alle Camere, sulla base dei seguenti contenuti:
1) affermare il diritto del Popolo sardo al suo pieno autogoverno;
2) realizzare il federalismo interno secondo il principio di sussidiarietà, coesione sociale e tutela delle piccole comunità e delle minoranze linguistiche;
3) difendere e sviluppare l'ecosistema sardo;
4) difendere la libertà d'impresa ed il diritto al lavoro;
5) accrescere il benessere e la qualità della vita di tutti i cittadini sardi;
6) rendere migliore la coabitazione del Popolo sardo e degli altri popoli della Repubblica, dell'Europa e del mondo;
7) assicurare un ruolo autonomo della Sardegna nei processi di formazione delle decisioni in seno all'Unione europea;
8) incentivare il ruolo e la vocazione euro-mediterranea della Sardegna. (81)
Mozione Zuncheddu - Uras - Sechi - Zedda Massimo sulla riscrittura dello Statuto sardo e sull'apertura, con lo Stato italiano, del processo di sovranità e indipendenza.
IL CONSIGLIOREGIONALEPREMESSO che:
- nella massima Assemblea dei sardi, il dibattito sui valori di sovranità, di autodeterminazione, sul significato identitario di Popolo sardo e di Nazione sarda è imprescindibile dall'uso della lingua sarda: elemento portante dell'identità del popolo sardo e strumento che ha consentito di ereditare il ricco patrimonio culturale, storico, etnico delle nostre madri e dei nostri padri;
- la lingua sarda, con le sue varianti, è oggi un momento fondamentale della resistenza etnica al tentativo di eliminazione culturale, sociale ed economica del nostro popolo;
RIBADITO che la mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma:
- "il diritto del Popolo sardo di essere padrone del proprio futuro";
- "il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l'intero Popolo sardo, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto";
RIAFFERMATO:
- il diritto del Popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna come si evince dal patto costituzionale riconosciuto con lo Statuto del 1948;
- il diritto del Popolo sardo alla propria autodeterminazione e autogoverno, in quanto popolo ed etnia, come sancito dal diritto internazionale e dai deliberati delle Nazioni unite sui diritti dei popoli;
CONSTATATO che 60 anni di autonomia:
- non hanno realizzato il suo significato più importante, quello dell'autogoverno e dello sviluppo economico, anzi, hanno aumentato la sudditanza coloniale rispetto allo Stato italiano dominante, mortificando la volontà del popolo sardo di attuare quelle scelte tese a garantire la sua libertà, l'emancipazione e la prosperità;
- non hanno contribuito all'attuazione integrale dello Statuto di Regione autonoma, che continua ad essere disatteso, violato e reso subalterno ai voleri politici ed economici preminenti dello Stato italiano;
- non hanno contribuito a ridurre la condizione di dipendenza della Nazione sarda che, nell'era dell'Unione europea e della globalizzazione mondiale, è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza del dominio economico delle multinazionali operanti in Sardegna, non riuscendo neppure a garantire il diritto alla rappresentanza dei sardi nel Parlamento europeo;
CONSIDERATO che:
- la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda sono valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo e possono essere progettati e attuati solo attraverso la totale sovranità delle istituzioni del Popolo sardo, condizione indispensabile del percorso di indipendenza;
- l'identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un'identità politica chiaramente definita e indipendente;
RIBADENDO la validità dei principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, le sue ragioni storiche, culturali e politiche, da cui discende naturalmente "la sovranità del Popolo sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina", riappropriandosi con ciò della sovranità a suo tempo consegnata alla monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta" con gli stati della terraferma;
DICHIARATA conclusa la vicenda storica e istituzionale susseguente la rinuncia alle proprie sovrane istituzioni nel 29 novembre 1847 e solo in parte recuperata nello Statuto del 1948;
NON RICONOSCENDO la validità della petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell'Isola "rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati Regi di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni..." (Deliberazione dei Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847);
DENUNCIATA come non valida la concessione della "perfetta fusione" deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito, come avverrà negli altri stati italiani in vista dell'unità dei 1861, trasgredendo palesemente il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, principalmente, priva dei voto dei tre Stamenti sardi, unico organo deputato alla risoluzione di questa questione internazionale;
RITENUTO che:
- il processo di riscrittura della Statuto sardo debba ribadire i valori e i principi di autodeterminazione, di indipendenza e di autogoverno nazionale del Popolo sardo e della sua aspirazione ad essere nel Mediterraneo centro di pace, benessere ed equità sociale;
- tale processo storico di riscrittura e di autodeterminazione non possa essere prerogativa esclusiva del Consiglio regionale o di sue commissioni, nel rispetto della sovranità popolare e dell'identità nazionale del suo popolo;
AFFERMATO che sia diritto inalienabile del popolo sardo la partecipazione popolare al nuovo processo assembleare costituente, attraverso un dibattito politico-culturale ed economico che veda la partecipazione democratica delle comunità sarde alla riscrittura e all'approvazione dello Statuto anche attraverso referendum popolari;
RIBADITO, in attesa dell'inizio di questo processo costituzionale di confronto con lo Stato italiano e in sede diversa con la Comunità europea, il rispetto dei valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia e di benessere propri dei popoli e delle nazioni libere;
RITENENDO che il processo di autodeterminazione e di indipendenza nazionale non possa prescindere da una vastissima condivisione del Popolo sardo, partendo dalla difesa e dall'affermazione della sua identità culturale, storica, etnica, linguistica, ambientale, delle sue economie tradizionali e dell'aspirazione del popolo alla felicità,
impegna l'Assemblea dei sardi e i suoi organi di governo
come momento di affermazione di sovranità e di rottura della dipendenza coloniale, a un confronto serrato con lo Stato italiano, teso a ribadire, nell'emergenza, il diritto del popolo sardo:
1) alla sovranità sul proprio territorio e alla smilitarizzazione di quelle aree gravate da servitù militari;
2) alle bonifiche dei siti gravati da servitù militari e industriali;
3) alla restituzione dei fondi dovuti ai sardi derivanti dalle entrate fiscali, dai fondi FAS e comunitari sottratti illegittimamente dallo Stato italiano;
4) alla difesa e al rilancio delle economie tradizionali, agropastorali, artigianali, ittiche, ecc., con stanziamento urgente di fondi adeguati alla drammaticità della crisi in corso;
5) ad una flotta marittima propria, pubblico-privata, per garantire la continuità territoriale di persone e merci,
impegna il Consiglio regionale e la Giunta regionale
a mettere in atto le iniziative sopraelencate per la rottura dei processi di dipendenza dallo Stato italiano e l'apertura di una nuova stagione di processi di sovranità e indipendenza. (82)
Mozione Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sul ruolo dell'Assemblea costituente del popolo sardo.
IL CONSIGLIO REGIONALECONSIDERATO che:
- nel maggio 2011 scade la delega al Governo nazionale per la presentazione dei decreti attuativi del federalismo;
- nel frattempo ferve in Italia il dibattito sui temi e sui contenuti del federalismo, con posizioni estreme che mettono in discussione gli stessi principi fondanti del nostro Stato nazionale e prefigurano un quadro normativo che accentua il solco economico e sociale tra le aree più progredite del Paese e quelle a maggior ritardo di sviluppo;
- nel contesto dei nuovi assetti federali appare totalmente da ridiscutere lo stesso ruolo delle regioni a statuto speciale, che rischiano di perdere le caratteristiche di specificità da cui discende il loro stato di specialità;
- in questo quadro complessivo appare assai importante che la Regione Sardegna faccia sentire con forza la propria voce, trovando quella unità di intenti tra forze politiche e rappresentanze sociali che appare condizione comunque indispensabile (e forse non sufficiente) per dare spessore alle nostre irrinunciabili esigenze;
- il raggiungimento di una posizione progettuale sarda, largamente dibattuta e condivisa, appare dunque un presupposto indispensabile per dare slancio e concretezza alle nostre esigenze autonomistiche e per garantire un nuovo impegno dello Stato nei processi di sviluppo della nostra terra;
- i Riformatori sostengono da sempre questa tesi e, da quasi tre lustri, si battono per l'elezione di un'Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto sardo che, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, appare oggi inadeguato ai contesti globali, profondamente modificati nei sessantadue anni ormai trascorsi;
- tale battaglia non rappresenta soltanto la scelta dello strumento di riforma statutaria, ma costituisce essa stessa la sostanza di un impegno che, coinvolgendo attivamente l'intera popolazione sarda, sancisce l'importanza storica di questo decisivo momento per le sorti future della nostra Isola;
- anche a seguito dell'azione politica dei Riformatori, il Consiglio regionale della Sardegna, il 31 luglio 2001, approvò la proposta di legge nazionale n. 7, che definiva la "procedura di adozione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna mediante istituzione dell'Assemblea costituente";
- tale proposta fu la sintesi di sensibilità politiche assai diverse e diffuse all'interno dell'intera società sarda, rappresentative di un vastissimo consenso in ampi settori sindacali, imprenditoriali e culturali dell'intera Isola al punto che lo stesso testo definitivamente licenziato fu la risultante del contributo di ben quattro proposte di legge: quella dei Riformatori, quella del Partito sardo d'azione, quella di un gruppo di consiglieri del Partito democratico e quella di iniziativa della Giunta regionale;
- tale proposta prevedeva l'introduzione, a statuto vigente, di un nuovo articolo 54 bis che avrebbe autorizzato l'Assemblea eletta ad hoc da tutti i sardi ad esercitare l'iniziativa legislativa costituzionale ai sensi degli articoli 71, 116 e 138 della Costituzione, senza nessuna interferenza con l'attività ordinaria dell'Assemblea legislativa sarda;
- tale proposta prevedeva altresì l'elezione diretta, a suffragio universale e con sistema proporzionale, dei Costituenti sardi, a cui veniva affidato il compito di redigere il nuovo statuto, lasciando al Parlamento italiano la possibilità di approvare o rigettare (ma non emendare) il testo;
- in tal modo si intendeva riconoscere la sovranità del Parlamento italiano nella garanzia dei principi di costituzionalità del nuovo statuto, ma si voleva anche ribadire la piena sovranità dell'Assemblea rappresentativa del popolo sardo nel codificare le regole di funzionamento della propria comunità e i conseguenti rapporti con lo Stato nazionale italiano e con l'Europa;
- prima, durante e dopo l'approvazione della proposta di legge nazionale per l'Assemblea costituente, intorno all'idea e al progetto che essa sottendeva si accese l'entusiasmo di decine di migliaia di cittadini sardi, che sottoscrissero materialmente la proposta di legge e seguirono attivamente le procedure per la sua approvazione e l'inizio del suo iter presso il Parlamento nazionale;
- tale interesse diffuso per la redazione del nuovo statuto ha rappresentato una grande vittoria dell'intero movimento per la Costituente e di tutti i sardi perché ha certificato un importante momento di crescita identitaria del nostro popolo che si è idealmente raccolto intorno alla bandiera della Costituente, scegliendola quale strumento unificante per la riscrittura del patto fondante con lo Stato nazionale, finalmente adeguato alle specificità della nostra terra e alle sue esigenze di sviluppo economico;
- è noto a tutti come la proposta di legge nazionale si sia poi arenata nei calendari delle Commissioni parlamentari a cui venne affidata per l'istruzione finale, certo a causa della scarsa convinzione con cui venne affrontata dal Parlamento, ma soprattutto a causa delle divisioni della politica sarda che, non credendo interamente nel percorso tracciato dalla Costituente, finirono per essere determinanti nell'insabbiamento dell'azione di approvazione nazionale;
- nella successiva legislatura 2004-2009 mancò ancora l'accordo tra le forze politiche per raggiungere l'obiettivo della riscrittura dello statuto per cui la legge regionale di istituzione della Consulta per il nuovo statuto, approvata il 18 maggio 2006, restò lettera morta;
- trascorsi oltre quindici anni dall'apertura del dibattito sulle riforma statutaria, rimane dunque aperto il problema della redazione del nuovo Statuto sardo, mentre la nostra Regione, tra le prime ad essersi posta il problema della revisione del patto costituzionale, rischia oggi di approvare frettolosamente una riforma statutaria inadeguata nella sostanza, ma soprattutto incapace di incarnare i nuovi sentimenti di identità e le emergenti esigenze di progresso sociale ed economico che si sono nel frattempo diffuse tra i sardi;
- intorno al nuovo statuto della Sardegna appare pertanto indispensabile creare nuove condizioni di dibattito e di condivisione popolare, che aiutino a ritrovare coesione sociale e prospettive di percorso politico unitario intorno ad un progetto che incarni il nuovo ruolo della nostra Isola nei mutati contesti italiani ed europei;
- negli scenari di un federalismo nazionale che appare sempre più guidato dalla tentazione di esigenze egoistiche e di autotutela più che da sentimenti di coesione nazionale, la possibilità del progetto sardo di trovare forza sufficiente per imporsi appare sostanzialmente legata alla nostra capacità di attivare un diffuso movimento popolare che gli sappia conferire la carica risultante dall'unione appassionata di tutte le nostre risorse di popolo;
- soltanto un'assemblea del popolo sardo, eletta a suffragio universale, può garantire l'effettiva partecipazione dell'intero nostro popolo al percorso Costituente, conferendogli la forza necessaria alle battaglie future che ci attendono;
- è però possibile che l'urgenza di presentarsi alla trattativa con lo Stato con un testo che, pur imperfetto sia nel metodo che nella sostanza, rappresenti comunque una piattaforma di partenza contenente le principali esigenze della Sardegna;
- la stesura di tale testo potrebbe dunque richiedere brusche accelerazioni dettate dalla calendarizzazione dei tempi della politica nazionale, esponendo al rischio della proposta di una carta statutaria che non sia passata attraverso l'indispensabile processo di condivisione popolare che ne rappresenta la forza principale,
impegna la Giunta regionale
a predisporre un percorso legislativo per la scrittura del nuovo statuto che preveda comunque un passaggio di confronto popolare e di ratifica attraverso l'Assemblea costituente del popolo sardo, secondo quanto stabilito dalla proposta di legge nazionale 31 luglio 2001, n. 7, a cui sia affidato il compito di sancire il definitivo patto istituzionale tra la Sardegna e lo Stato nazionale. (85)
Mozione Bruno - Soru - Sanna Gian Valerio - Agus - Barracciu - Cocco Pietro - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Meloni Marco - Solinas Antonio sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento (articolo 51, comma 1, dello Statuto sardo).
IL CONSIGLIO REGIONALEPRESO ATTO che il Parlamento nazionale ha di fatto avviato la discussione per la realizzazione di un processo di riforma costituzionale in senso federale dello Stato;
RICONOSCIUTO in tale contesto il diritto del Popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna sancito dal Patto costituzionale che ha avuto il suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
EVIDENZIATO che la condizione di dipendenza della Sardegna, anziché ridursi, va progressivamente accrescendosi rispetto al sistema politico, finanziario, economico, culturale, formativo ed educativo, delle servitù militari, delle politiche energetiche, dei beni culturali, archeologici ed artistici, nonché nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
CONSTATATO che l'attuale forma di autonomia non ha realizzato pienamente, fra i suoi obiettivi più rilevanti, quello dell'autogoverno e dello sviluppo economico e sociale, e non risponde più con la necessaria efficacia alle nuove domande derivanti dai cambiamenti sociali, dall'unificazione europea, dalla globalizzazione, limitando la volontà della Sardegna nell'attuazione delle scelte che possono garantirle la piena libertà e prosperità, mentre continuano a mancare da anni interventi adeguati da parte dello Stato sul terreno della riduzione del divario economico, infrastrutturale e competitivo dell'Isola;
CONSIDERATO che l'identità storica, geografica, culturale e linguistica esige prioritariamente il riconoscimento di un'identità politica chiaramente definita e di un forte autogoverno;
VALUTATO che, per innescare processi di reale cambiamento e di nuovo sviluppo nelle condizioni globali di oggi, è indispensabile dare risposte concrete alle domande del Popolo sardo che chiede una più larga sovranità in capo alle istituzioni dell'autonomia,
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue ragioni storiche, culturali e politiche attraverso le quali è stata confermata solennemente "la sovranità del Popolo sardo sulla Sardegna, sulle sue isole minori, sul suo mare territoriale", sovranità frettolosamente abbandonata nelle mani della Monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta con gli Stati della terraferma",
ribadisce
nel rispetto della propria tradizione democratica, il primato dei valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, democrazia, benessere e progresso tipici delle diverse nazioni europee e l'amichevole volontà di collaborazione con le comunità e gli Stati frontalieri del bacino del Mediterraneo per il perseguimento ed il progresso dei comuni interessi,
denuncia
la concessione della perfetta fusione deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847,
considera
politicamente conclusa la vicenda storica conseguente alla rinuncia alle proprie sovranità istituzionali, avvenuta il 29 novembre 1847, solo parzialmente recuperate nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
ribadisce
al Parlamento il diritto del Popolo sardo al riconoscimento di un nuovo Patto costituzionale e di poter partecipare a pieno titolo ai processi di riforma e di revisione federalista della Costituzione italiana,
ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto di autonomia fa voti al Parlamento nazionale affinché:
1) vengano concordate le forme e le modalità adeguate perché il Consiglio regionale della Sardegna possa partecipare pienamente al processo di riforma e di revisione della Costituzione repubblicana in senso federale;
2) venga avviato un confronto politico paritario, aperto e responsabile con lo Stato affinché, nell'ambito della riforma costituzionale, sia sancito un nuovo Patto costituzionale fondato sul riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno per l'autonomia sarda. (87)
Mozione Porcu - Sabatini - Meloni Valerio - Moriconi - Cuccu - Cucca sui principi e sugli obiettivi di revisione dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALE
PREMESSO che, in applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, articolo 27, la Sardegna dovrà concorrere al "conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e dell'esercizio dei diritti e doveri da esso derivati" attraverso norme di attuazione da adottarsi da parte del Governo entro 24 mesi dall'entrata in vigore di detta legge;
PREMESSO altresì che, nell'attuale fase di riforma delle istituzioni repubblicane in senso federale, la Sardegna è chiamata a inserirsi nel processo in corso con un progetto e una visione autonoma che, nell'esprimere la propria identità collettiva, riaffermi l'aspirazione dei sardi a più ampie forme di autogoverno, ne garantisca ed espanda i diritti sociali e civili, ponga un argine alle logiche di federalismo competitivo e non solidale, del tutto contrario allo spirito dell'articolo 119 della Costituzione, commi 3 e 5, definisca le forme e le modalità delle perequazioni finanziarie necessarie a far fronte agli svantaggi strutturali da insularità, alla ridotta capacità fiscale, alla bassa densità demografica e alle caratteristiche geomorfologiche del proprio territorio;
VERIFICATO che appare largamente condiviso dalle istituzioni politiche, sociali ed economiche della società sarda che tale progetto e visione autonoma possa trovare forza, sostegno ed identificazione collettiva, attraverso una profonda revisione e ampliamento delle competenze autonomistiche contemplate dallo Statuto speciale della Sardegna, riconosciuto quale strumento fondamentale per la promozione e l'implementazione dei diritti sociali dei cittadini sardi, a cominciare da quelli in materia di lavoro, sanità, istruzione, mobilità e accesso alle grandi reti energetiche, idriche ed informatiche;
CONSIDERATO che sono trascorsi tre anni dalla modifica del titolo III (Finanze - Demanio e patrimonio) dello Statuto speciale operata con legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) e che, anche alla luce di quanto suesposto, risulta oramai indifferibile rendere effettivo il nuovo regime delle entrate e in relazione alle nuove funzioni potenzialmente esercitabili definire le forme e le modalità di applicazione dei meccanismi perequativi, quantificare gli oneri derivanti dagli svantaggi strutturali permanenti, fissare i possibili ambiti di fiscalità di sviluppo, allentare i vincoli stringenti alla capacità di spesa imposti dal patto di stabilità interno;
ATTESO che oggi non si tratta di difendere puramente e semplicemente l'identità sarda e le prerogative dell'autonomia regionale dal centralismo statale, o di attivare una politica di mera rivendicazione verso lo Stato per i danni provocati dalle politiche nazionali, a cominciare da quelle avvenute in campo ambientale attraverso le concessioni statali per lo sfruttamento del patrimonio boschivo e minerario, con il gravame imposto dall'insostenibile carico di servitù militari o dall'inquinamento di siti industriali da parte di aziende statali, ma che il progetto di revisione dello Statuto speciale dovrà, viceversa, essere l'occasione per fornire alle istituzioni regionali il fondamento costituzionale, ideale e politico per perseguire politiche pubbliche idonee ad affrontare i deficit infrastrutturali e gli squilibri economici che affliggono la comunità sarda e l'occasione per preservarne e rafforzarne la specificità culturale e linguistica,
impegna il Presidente della Regione, la Giunta regionale e il Consiglio regionale
a dare avvio, ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto, all'iter legislativo per la revisione costituzionale del proprio Statuto speciale di autonomia sulla base dei seguenti principi da perseguire già nell'immediato in tutte le sedi e con tutti gli strumenti possibili:
1) diritto del popolo sardo al suo pieno autogoverno e alla gestione del suo territorio;
2) diritto del popolo sardo al pieno esercizio dei propri diritti sociali e al perseguimento di crescenti livelli di felicità e benessere;
3) definizione dei parametri oggettivi attraverso i quali implementare i meccanismi perequativi e computare gli oneri derivanti dagli svantaggi strutturali permanenti e da insularità;
4) previsione e definizione di ulteriori interventi utili a promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle competenze assegnate;
5) fissazione dei possibili ambiti di fiscalità di sviluppo, previsione di autonome politiche fiscali ed impositive a carattere locale e regionale, cancellazione dei vincoli alla capacità di spesa imposti dal patto di stabilità nazionale quando la programmazione finanziaria regionale sia coerente con gli obiettivi complessivi di contenimento della spesa nazionale e comunitaria;
6) individuazione di un più ampio elenco di materie e funzioni, a cominciare dalla tutela e valorizzazione dell'ambiente, dall'istruzione e dai beni culturali, in cui la Regione Sardegna possa esercitare la propria autonomia secondo parametri di efficienza, intesa sia in senso economico che di più ampia soddisfazione dei diritti sociali dei sardi e di salvaguardia della propria identità culturale, linguistica ed ambientale. (88).)
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Chiedo cinque minuti di sospensione in attesa che arrivino i colleghi.
PRESIDENTE. Sospendo i lavori per dieci minuti. La seduta riprenderà alle ore 10 e 25.
(La seduta, sospesa alle ore 10 e 12, viene ripresa alle ore 10 e 27.)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Uno dei presentatori della mozione numero 6 ha facoltà di illustrarla.
MANINCHEDDA (P.S.d'Az.). Signora Presidente, onorevoli colleghi, noi Sardisti abbiamo iscritto la parola indipendenza nel dibattito politico-istituzionale di questa legislatura. Francamente ci è parso di dare l'unico nome possibile a ciò che scrivono nei loro atti diverse forze politiche della Sardegna. Che significa altrimenti parlare di "diritto del popolo sardo a essere padrone del proprio futuro", come recita la nostra mozione, approvata il 24 febbraio del 1999 da questo Consiglio e richiamata oggi dai documenti di alcune forze politiche, o parlare di "poteri di autodeterminazione del popolo", come fanno alcuni, o affermare che "la Sardegna è una nazione con proprio territorio, storia, lingua, cultura e identità", cioè uno Stato, come fanno altri, o affermare e scrivere che "il popolo sardo reclama il diritto di decidere del proprio avvenire secondo quanto sancito dalla Carta dell'Onu, dall'Atto di Helsinki, dalla Carta di Parigi", facendo così riferimento ai documenti che disciplinano i rapporti tra gli Stati e le Nazioni, o paragonare la Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo alla situazione della Sardegna? Che significa tutto questo, colleghi, se non "indipendenza"? Noi Sardisti non siamo rivoluzionari, non pensiamo all'indipendenza come a un interruttore che scatta e realizza il suo compito. L'indipendenza è un processo, ma oggi è un processo in crescita di consenso. Vogliamo inibire questo consenso con tabù verbali oppure annacquarlo con parole inutili? Noi gli diamo il suo nome: indipendenza. Perché lo facciamo ora? Oggi il tema della sovranità è al centro della crisi dello Stato italiano e il tema all'ordine del giorno è proprio il nesso tra sovranità, libertà e risorse. La domanda è: come si partecipa a questa partita decisiva? In primo luogo con un pensiero proprio, autonomo, originale e non derivato da chi è più forte.
Vi dimostrerò, colleghi, quando parleremo di federalismo fiscale, quanto sbagli chi dice che la ricchezza prodotta in Sardegna non è sufficiente a finanziare le funzioni di sovranità a cui noi ambiamo. Come pure, colleghi, non seguite il pensiero debole di chi pretende che per rendere credibile la legittimità e la praticabilità dell'indipendenza si debba dimostrare la capacità di esistenza autarchica della Sardegna. Nessuno Stato al mondo vive separato dagli altri, ma non per questo affida la propria sovranità a chiunque o, peggio, se ne disinteressa. Noi proponiamo di stare a questa nuova coscienza indipendentista dei sardi, che è maturata, badate, senza cercare, per legittimarsi, motivazioni storiche, come si faceva nel Risorgimento. Il senso dell'indipendenza di oggi nasce dall'esperienza della responsabilità. In molti sono andati dalla Sardegna in giro per il mondo a lavorare, a studiare, a mettersi alla prova. Hanno sperimentato che la cittadinanza del mondo non ci è preclusa.
Le esperienze di lavoro, di istruzione e di cultura fatte dai sardi in Sardegna e fuori dalla Sardegna stanno alla società sarda di oggi come la Grande guerra è stata ai sardi di ieri: abbiamo coscienza del nostro essere storico e scienza delle nostre competenze. Noi oggi siamo come i reduci della Grande guerra avrebbero voluto essere: siamo capaci di governare le sfide che ci riguardano. In quale contesto abbiamo questa coscienza? Lo dico con convinzione, la situazione italiana attuale può essere così riassunta: la Costituzione della Repubblica italiana è in una crisi profonda di consensi nella società italiana. Non regge più il sistema dell'equilibrio tra i poteri dello Stato. E' in crisi il Parlamento, l'istituzione principe della democrazia; è in crisi il quarto potere, l'informazione; sono in crisi i diritti di cittadinanza; è in crisi la libertà, oppressa da una burocrazia irresponsabile e da una finanza che ormai gode di immunità e impunità; è in crisi la struttura unitaria dello Stato, il suo rapporto con i cittadini, le comunità, i comuni, le regioni, crisi che la riforma del Titolo V non ha minimamente sanato. L'esperienza delle autonomie locali, colleghi, ha posto all'Italia un problema risolto male dal Risorgimento e acuito dal fascismo e dal dopoguerra: il problema è quello di quale sia il luogo legittimo di residenza della sovranità. Le famiglie, i corpi intermedi, i comuni e le regioni sono ormai consapevoli che sono titolari di una sovranità originaria che li legittima a esercitare poteri originari. Questa coscienza mette in crisi ogni forma di autonomismo fondato sempre e comunque sull'idea di una sovranità centrale, esercitabile perifericamente solo per delega e sempre revocabile, come sappiamo bene, con il Patto di stabilità.
Anche l'attuale discussione sulla legge sul federalismo fiscale aggira il tema della sovranità perché lo teme. E allora cosa fa? Nasconde agli italiani che la potestà impositiva rimarrà sempre saldamente nelle mani del Governo centrale, in nome dell'unità. Poi afferma, però, che tendenzialmente le risorse fiscali torneranno alle Regioni in misura proporzionale alla ricchezza prodotta e al gettito realizzato da ciascuna di esse. Cioè il gettito fiscale, prelevato centralmente, sarà distribuito per rafforzare le differenze tra regione e regione, cioè andrà a rafforzare la realtà della diversità delle regioni d'Italia che smentisce l'esistenza stessa dell'unità. Queste sono le distorsioni dell'autonomismo e del regionalismo. Non fidatevi delle chimere perequative!
Non solo: il feticcio dell'unità raggiunge livelli di irrazionalità per noi sardi molto pericolosi. Per esempio, nei decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale si sta andando a definire, come loro sanno, i cosiddetti costi standard, cioè il costo dei servizi che garantiscono i diritti parametrati nelle regioni dove costano di meno e sono più efficienti. Dopo che il costo così parametrato verrà determinato varrà per tutti, cioè diventerà il costo nazionale. La Sardegna ha più o meno la stessa estensione della Lombardia, però ha su questo territorio 1 milione e 600 mila abitanti: sfido chiunque a dimostrare che le stesse funzioni (scuola, sanità, trasporti e quant'altro) esercitate qui da noi hanno lo stesso costo che in Lombardia. I costi standard sono egemonia non democrazia, ricordiamocelo.
E allora, colleghi, tutto questo ritegno in questo quadro a parlare di indipendenza ha ancora senso? Si teme l'affermazione contenuta nella nostra mozione sul disimpegno istituzionale della Sardegna, se ne ha paura. Ma la nostra affermazione a me sembra uguale agli appelli ripetuti in quest'Aula a rompere il Patto di stabilità, cioè a violare una legge dello Stato. A me sembra uguale, la nostra affermazione, all'idea di Pietro Soddu di smontare e rimontare diversamente lo Stato italiano. A me sembra uguale, la nostra affermazione, alle dichiarazioni di Antonello Cabras nelle quali egli afferma testualmente che è nostro dovere essere fedeli ai nostri bisogni e ai diritti di sardi piuttosto che alla Costituzione italiana quando essa non è più in grado di garantirli. Queste affermazioni non sono di disimpegno istituzionale? A me pare proprio di sì.
Occorre avere un pensiero indipendente, dunque, e impostare un percorso politico originale, che non parta dal presupposto debole e servile di non dare fastidio, di ottenere non ciò che è giusto, che è il compito della politica, ma solo ciò che è concesso e concedibile. L'Italia, badate, non reggerà con la finta unità del federalismo fiscale; la riforma che farà Calderoli sarà riformata, perché non si può affrontare il tema del fisco senza affrontare il tema della sovranità. E inevitabilmente l'Italia giungerà a riconoscere nelle sue regioni o macroregioni degli stati che delegheranno a una confederazione quota della loro sovranità. Solo con questa impostazione sarà possibile distinguere una fiscalità di stato-regionale da una fiscalità confederale per le funzioni più alte delegate alla federazione. Solo così sarà possibile comporre le diversità e rendere plausibile e sostenibile la solidarietà.
Noi pensiamo che non si possa dire, come affermano tutte le forze politiche sarde con accenti diversi, che si deve rinegoziare il patto con lo Stato e pensare di presentarsi al negoziato con un pensiero autonomistico, fondato solo sulla ragioneria delle funzioni delegabili. Se si va a trattare con un pensiero autonomistico si accetta che dall'altra parte si sieda il detentore legittimo della sovranità a cui chiedere concessioni. Il punto di partenza non può essere un pensiero autonomistico. Deve essere, invece, una forte coscienza della nostra sovranità, una formalizzazione di questa coscienza che tracci la rotta per il futuro, che manifesti allo Stato italiano che con noi si pone la questione della sovranità, che noi intendiamo realizzare nelle forme via via possibili. Noi Sardisti siamo d'accordo a dichiarare il principio dell'indipendenza separatamente dagli atti legislativi, per rendere praticabile l'attività legislativa nel contesto normativo attuale, perché questo significa essere riformisti e non rivoluzionari. Ma lo Stato deve sapere ufficialmente che con noi qualsiasi accordo è sempre e solo una tappa di un percorso: il percorso di costruzione del nostro stato, della nostra nazione e di noi stessi.
Con questa impostazione si può trattare. Ma questo richiede che noi abbiamo con noi il popolo. Per questo abbiamo sempre parlato di Costituente. Un'idea forte senza il popolo non ha valore politico. Lo abbiamo fatto con i Riformatori e con i sindacati. Oggi si obietta che una procedura quale quella da noi pensata rischierebbe di essere troppo lunga da realizzarsi. Allora, lo diciamo con convinzione, mettiamola così: trovate il modo di convincere il popolo e a noi sta bene, ma mai da soli, mai come élite aristocratiche, mai come élite presuntuose. Anche perché, diciamolo chiaramente, lo voglio dire scandendo le parole, nella coscienza dei sardi la Regione-istituzione ha gli stessi connotati dello Stato: accentratrice, inefficiente, burocratica, prepotente. C'è un potere dei sardi sui sardi che deve farsi perdonare, che deve fare i conti con le sue gravi responsabilità di parassitismo, di fuga dalle responsabilità, di autoritarismo con i deboli e di subordinazione con i forti. Noi abbiamo bisogno di un percorso autentico di catarsi, di pulizia, di recupero del senso del dovere e della fratellanza. Per noi la Costituente è questo, ma, ripeto, trovate un altro percorso che garantisca lo stesso risultato e per noi va bene, purché unisca la nazione sarda, purché finisca l'interdizione dei migliori che in questa terra ha sempre promosso il successo dei mediocri. Questo deve finire!
Devo concludere e tiro le somme. Noi chiediamo al Consiglio regionale di esprimersi in un ordine del giorno, che vorremmo scrivere con tutti voi, per l'indipendenza della Sardegna, intesa come costruzione dello stato sardo all'interno di un patto confederale con l'Italia. Chiediamo, cioè, l'atto politico di individuazione dell'obiettivo a medio termine, che fissi ufficialmente il presupposto politico e culturale con cui andare a trattare con lo Stato italiano. Varato questo ordine del giorno, in cui far confluire tutta la parte ideale dei documenti presentati, inviato questo ordine del giorno al Parlamento italiano, come propongono alcune forze, determinato dunque l'impegno politico alla costruzione dello stato sardo, chiediamo di definire le forme di partecipazione del popolo sardo alla fondazione di questo percorso di rinascita nazionale della Sardegna.
Fatto questo, siamo prontissimi a collaborare con le nostre proposte a un percorso consiliare che determini l'insieme delle riforme istituzionali, ma chiediamo che esso sia il più possibile unitario e coraggioso, cioè che abbia l'obiettivo di realizzare davvero il massimo di sovranità possibile e che ponga le premesse per aumentarla un domani cambiando noi, ma soprattutto cambiando noi l'Italia. Chiediamo che questo percorso si svolga entro dodici mesi da oggi, perché ci pare occorra mettere in sicurezza la Sardegna e proteggere il suo futuro sociale e politico.
Credetemi, colleghi, io non voglio convincervi delle cose che dico, chiedo solo che concediate che la vostra esperienza si confronti autenticamente con ciò che noi diciamo. E noi diciamo questo: lo Stato in Sardegna dobbiamo essere noi, perché diversamente lo Stato in Sardegna non sarà mai per noi.
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 20 ha facoltà di illustrarla.
FLORIS MARIO (Gruppo Misto). Non a caso, colleghe e colleghi, signor Presidente, abbiamo usato due parole: riforme e sviluppo. Concetti complementari e inscindibili, due valori assoluti nella storia dei popoli e quindi anche in quella della Sardegna, sono stati accostati l'uno all'altro in questa mozione che con i colleghi Cuccureddu e Mulas abbiamo presentato un anno fa, il 9 settembre 2009, all'inizio di questa quattordicesima legislatura: "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna. Già in quei giorni, un anno fa, sembravano maturi i tempi per avviare e rapidamente concludere un percorso virtuoso per affermare la più ampia autonomia economica, politica e istituzionale della Sardegna, realizzando la mai sopita aspirazione di popolo e di nazione, non isolati, non separati, non solitari, ma nazione e popolo in un'Italia federalista e federata, in un'Europa delle regioni, con piena dignità ed eguaglianza economica e sociale nell'evoluzione complessiva del progresso del mondo e con gli Stati che dovrebbero rappresentare le cornici e le cerniere dei diritti civili universali.
A un anno mezzo dall'avvio della quattordicesima legislatura, invece, e a oltre un anno dalla presentazione di questo documento, che ho l'onore di esporre all'attenzione dell'Assemblea e dell'opinione pubblica regionale, corriamo il rischio di non trovare le giuste, necessarie e opportune convergenze e consonanze, di perderci nel mare magnum delle recriminazioni e delle rivendicazioni, quindi di non conseguire l'obiettivo. C'è il rischio, cioè, che emergano e si consolidino separatismi ideologici, formalismi dannosi e impossibili da governare. E' un rischio, colleghe e colleghi, che non dobbiamo e non possiamo permetterci di correre per i futuri destini dell'Isola. Ogni concetto di separatismo sul tema delle riforme e dello sviluppo, ogni tentativo che lascia attrarre e fuorviare verso una tale concezione in questa fase politica straordinaria e irripetibile per la Sardegna, ogni idea di separare anziché di unire, ogni idea di separatismo anziché di unità non solo ci farebbe ricadere nella categoria dell'utopia, ma creerebbe i presupposti di arretramento rispetto alle speranze del popolo sardo di essere veramente artefici dei propri destini.
Mi ritornano in mente, colleghe e colleghi del Consiglio, alcuni concetti espressi dal Bellieni nelle sue lettere proprio sul separatismo, quello che lui definiva il pericolo separatista. Avvertiva il Bellieni, per esempio, che la concezione separatista pur essendo utopistica colpisce più vivamente e impressiona l'animo delle folle. Rilevava anche che "la formula separatista è senza dubbio la più semplice e la più diretta rispetto a quella autonomistica". "Coltivare ancora delle illusioni al riguardo", avvertiva Camillo Bellieni, "ci pare un imperdonabile errore". "Errore ancora più grave", soggiungeva, "è per noi non cercare in tempo utile, con tutti i mezzi opportuni, di arginare un pericolo di tal genere, un pericolo di simili illusioni che finirebbero per diventare, forse, gravemente dannose e per compromettere i futuri destini dell'Isola". Ecco, i futuri destini dell'Isola e il tempo utile, due richiami che ci riportano alla realtà di oggi. I futuri destini della Sardegna sono ora nelle nostre mani e noi dobbiamo cercare in tempo utile tutti i mezzi e gli strumenti opportuni perché il futuro della Sardegna e dei sardi sia un domani di progresso, di sviluppo, di affermazione civile del popolo con la sua storia e i suoi incommensurabili e irripetibili patrimoni di cultura, di arte e di tradizione.
Il dibattito che oggi stiamo affrontando è importante, direi fondamentale per conseguire gli obiettivi a tutti cari. Il percorso da fare è tanto, lungo, faticoso, impegnativo, ma è qui alla partenza che devono emergere la buona volontà e l'animo del combattente. Non abbiamo la pretesa di ottenere subito risultati o di proporre soluzioni definitive. Oggi siamo chiamati ad affermare principi, a fissare obiettivi, a indicare percorsi, strategie e tempi, ad assumere con chiarezza impegni coerenti per tutti noi di fronte alla gente, all'opinione pubblica e alle parti vive della società, che dovranno concorrere anch'esse alle scelte per le decisioni che le regole della democrazia hanno affidato alle nostre capacità, alle nostre intelligenze, alla nostra onestà culturale e politica, alle nostre coscienze, al nostro ruolo di rappresentanti del popolo sovrano. Andare oltre questi temi e questi limiti, secondo la nostra posizione, rappresenterebbe un tentativo di fuga in avanti, un volersi attribuire primogeniture che in una materia come questa nessuno può avere.
La storia delle riforme è lunga, viene da lontano ed è purtroppo lastricata di remore e insuccessi per lo più dovuti alla debolezza della classe politica e culturale isolana, alle divisioni che ci hanno visti contrapposti o anche a finti unanimismi che non hanno conseguito i risultati ipotizzati oppure solo parziali e modesti successi. Il dibattito e il confronto sul Titolo III dello Statuto (non mi riferisco all'articolo 8) hanno consentito di catalogare il problema, anche se in conclusione non si è riusciti a conseguire una posizione unitaria per il prevalere di posizioni di parte tra le questioni fondamentali della Regione. E' vero che senza reale e adeguata autonomia finanziaria non può esserci reale, concreta e totale autonomia politica, ovvero la nostra specialità autonomistica non potrà assumere dimensioni di reale autogoverno, di popolo e di nazione che hanno completamente completa capacità politica, giuridica e istituzionale per determinare il proprio destino, il proprio futuro nell'unità dell'Italia e dell'Europa. Questi concetti sono emersi come punti focali del confronto della scorsa settimana. Non siamo stati capaci di tradurli in sintesi per il prevalere di particolarismi, un pericolo che oggi non possiamo correre se veramente vogliamo aprire finalmente la stagione delle riforme e insieme costruire lo strumento dello sviluppo, del progresso civile ed economico del nostro popolo, della Sardegna intera.
Riforme: una parola magica, piena di significati, di speranze e di timori insiti anche nelle stesse nostre condizioni umane. Il significato letterale del termine porta a dire che dobbiamo dare alla nostra autonomia, nei simboli e nella sostanza, una nuova e migliore forma; non semplici correzioni di formule e di rotta, ma un grande rinnovamento nelle istituzioni politiche e amministrative, nell'ordinamento e nell'organizzazione, verso obiettivi e traguardi di progresso e di modernità, conservando e valorizzando le nostre specificità storiche, culturali, sociali ed economiche che fanno della Sardegna e del nostro popolo un unicum nel Mediterraneo e nel mondo, vero faro di civiltà, ma anche attrattore di fattori positivi, essa stessa la Sardegna, fattore di uno sviluppo moderno capace di valorizzare ogni elemento del nostro patrimonio naturalistico e ambientale, che è patrimonio dell'umanità.
In questo fronte, colleghe e colleghi, non possono esserci distinzioni e divisioni. Dobbiamo cercare di essere sardi e al tempo stesso cittadini del mondo; un mondo che continua in ogni angolo e nel divenire quotidiano a ricercare pace e sereno sviluppo, lavoro, occupazione per ogni donna e per ogni uomo, per le giovani e i giovani di oggi e di domani, per le famiglie, per le piccole come per le grandi comunità, per i popoli, per le nazioni, per i continenti, senza distinzione di razza e di religione. L'autonomia della Sardegna ha anche questi obiettivi nella sua forma e nella sua sostanza, ha questi compiti nel nostro piccolo grande mondo, che rappresentano l'essenza della democrazia nella formazione dei nostri ideali. Autonomia non vuol dire separatezza e isolamento; vuol dire esercizio di poteri e di decisioni, ma anche condivisione di regole e di obiettivi. Nel dopoguerra, nei giorni della Costituente, nel 1948, quando vennero approvati la Costituzione repubblicana e gli statuti di autonomia per la Sicilia e per la Sardegna, furono fatte le grandi scelte dello Stato repubblicano. Una di queste grandi scelte fu certamente quella di uno Stato decentrato - annotava tra l'altro, nel ventennale della Regione, il Presidente del Consiglio regionale di allora, Paolo Dettori, il 1° febbraio 1969 - fondato sulle libertà locali. Libertà locali e regionali, per l'appunto, non organo di mero decentramento amministrativo; libertà che ci indicano la strada e ci richiamano la strada della responsabilità delle scelte e delle decisioni in quanto esercizio, il più alto, della democrazia del potere autonomistico. Libertà che sta a noi in questo momento storico esercitare ed è questo il significato più diretto e profondo della mozione che abbiamo presentato.
L'obiettivo primario della nostra mozione era ed è quello di una sessione speciale del Consiglio regionale, nella quale noi tutti come forze politiche organizzate, espressioni del popolo sardo, e i singoli consiglieri regionali come rappresentanti della volontà popolare si sia liberi di esprimere senza alcuna riserva mentale le proprie convinzioni, le proprie posizioni, le proprie proposte avendo di mira un obiettivo comune, un nuovo avanzato statuto di autonomia come presupposto di linee strategiche innovative e moderne per un vero e duraturo sviluppo della Sardegna, in un nuovo quadro di politica economica e sociale, per superare il gap che separa la Sardegna e i sardi dalla parte più progredita dell'Italia e dell'Europa.
Con la nostra mozione abbiamo inteso riaffermare, colleghe e colleghi, il principio che lo Statuto è il fulcro dei nostri poteri autonomistici e di autodeterminazione, così abbiamo testualmente scritto, ma abbiamo anche affermato il suo ruolo irrinunciabile di regolatore della convivenza civile e del progresso sociale ed economico della Sardegna. Con la riforma del Titolo V della Costituzione è stata definitivamente annullata l'articolazione verticistica della Repubblica italiana: la Regione con lo Stato e con gli enti locali hanno una dignità costituzionale paritaria, ciascuno con proprie competenze e responsabilità regolate da reciproca e leale collaborazione. La legge delega numero 42 del 2009, sul federalismo fiscale, è il corollario che sostanzia il ruolo, le competenze e le responsabilità. La stagione delle riforme che direttamente ci riguardano ha queste due mete, che trovano la sintesi nel nuovo Statuto di autonomia. A questo appuntamento dobbiamo arrivare uniti, ma dobbiamo anche arrivarci con quello spirito di leale collaborazione che deve caratterizzare il rapporto della Regione con lo Stato e dello Stato con la Regione. Questo rapporto, io credo, deve essere perseguito e sostenuto con lungimirante determinazione, con unità sostanziale di volontà e di intenti, senza rivendicazioni di primogeniture da parte di chicchessia, per chiedere al Governo e al Parlamento il rispetto del dettato costituzionale e con il Parlamento e il Governo, ragionare non per far emergere azioni o posizioni di forza, ma le ragioni dei diritti di un popolo, il popolo sardo: diritti politici, giuridici, economici, sociali, culturali e diritti naturali di eguaglianza nell'accezione complessiva del termine.
La mozione da noi presentata va al cuore di questi aspetti e di queste problematiche complessive, dà atto che tutte le forze politiche che si sono proposte a governare la Sardegna hanno posto a base dei loro programmi l'impegno prioritario verso le riforme, l'economia, il lavoro e l'occupazione. Ma la mozione mette in evidenza anche che questa quattordicesima legislatura può rappresentare il momento storico perché la Sardegna possa uscire finalmente e definitivamente dalla condizione di arretratezza e di sottosviluppo, nella quale da tempo è relegata, attraverso un progetto che partendo dal ruolo e dalla funzione strategica che la nostra Isola ha nello scacchiere degli equilibri territoriali europei per la stessa sicurezza, per la pace dei popoli veda riconoscere alla Sardegna e ai sardi, attraverso lo Statuto sardo di autonomia e il patto per il federalismo che dobbiamo contrattare e sottoscrivere con lo Stato prima e con l'intero sistema delle autonomie locali poi, quei poteri di autonomia e di indipendenza politica, economica e finanziaria che sono propri di una Repubblica federale.
Quando, alcune settimane fa, ci siamo incontrati ad Abbasanta e qualche giorno dopo in via Ancona, a Cagliari, su pressante invito delle forze sociali, abbiamo avuto la sensazione che avessimo imboccato la strada giusta, un percorso comune per conseguire gli obiettivi che l'intero popolo sardo attende, una sensazione che questo dibattito può far diventare realtà.
Colleghe e colleghi, sessant'anni di vita autonomistica dimostrano che è tempo di superare vecchie contrapposizioni e antiche barriere dal sapore ideologico. Deve essere riscoperta una più forte e autorevole centralità dell'Assemblea regionale che non si limiti al solo potere legiferante, ma valorizzi anche i poteri ispettivi e di verifica, di equilibrio, quindi, con il presidenzialismo che, come ha di recente osservato il Presidente del Senato, non deve essere visto come sinonimo di autoritarismo, ma come corollario del principio di responsabilità. Principio di responsabilità che ci ha portati ad affermare sin dall'inizio di questa legislatura e ci porta a ribadire oggi che la questione delle riforme istituzionali regionali è non solo necessaria, ma urgente per le molte gravi emergenze che colpiscono il tessuto economico e sociale della Sardegna. E' necessaria perché nessuna di queste emergenze può essere superata senza una Regione capace di esprimere e di rappresentare con forza gli interessi della Sardegna avendo a disposizione poteri, risorse e strumenti che consentano di definire politiche regionali adeguate e durature. E' urgente perché urgenti sono le questioni che ci interpellano. E' urgente perché la natura e la dimensione delle questioni da affrontare richiedono una robusta elaborazione che manca o è appena avviata. E' urgente perché per molti aspetti i procedimenti sono complessi e si rischia di far passare inutilmente la legislatura.
Occorre, quindi, a mio giudizio una scossa, signor Presidente, perché il dibattito decolli rapidamente e si concentri su punti decisivi. Il confronto oggi soffre di una mancanza di respiro; preme il problema delle risorse nel quadro del dibattito nazionale sul cosiddetto federalismo fiscale. La Regione deve certamente elaborare una propria linea per garantirsi un quadro finanziario adeguato, sapendo che le decisioni di oggi peseranno negli anni a venire. Nel confronto con lo Stato scontiamo un ritardo di conoscenze e di elaborazione. Dobbiamo sottrarci a un'impostazione meramente economicista, di razionalizzazione e riduzione della spesa imposta dallo Stato, per affrontare il tema delle entrate nel quadro più generale della questione sarda e del rilancio della nostra specialità. Il tema delle risorse non può essere slegato da quello delle funzioni e delle ragioni più profonde dell'autonomia. Il rilancio dell'autonomia non riesce ad andare oltre il problema, l'abbiamo sentito, lo sentiremo, del percorso più adeguato per affrontare i temi delle riforme: Assemblea costituente, Consulta, ruolo del Consiglio e chi più ne ha più ne metta. E' un banco su cui il dibattito si è arenato negli anni passati, ha consumato energia e attenzioni, ha divaricato le posizioni, al punto che oggi quasi non si può avviare il confronto senza riproporlo in termini ancora immutati. La questione del metodo ha oscurato quella dei contenuti. Il problema del procedimento, o se preferiamo dell'organo, è certo rilevante e andrà studiato e risolto avendo cura di rendere agevole il percorso e l'efficacia sul piano giuridico e istituzionale delle proposte, ma è un aspetto strumentale e funzionale rispetto alla forza della proposta. Anticiparlo e dargli rilievo di presupposto essenziale di ogni altro ragionamento strozza il dibattito sul nascere. Ciò che ora occorre è allargare il dibattito, portarlo in una prospettiva più ampia, puntare a una sintesi più avanzata. Bisogna dunque, almeno in prima istanza, uscire dall'eterna diatriba del metodo, per spingersi a individuare contenuti, elaborare proposte, immaginare soluzioni in una prospettiva di lungo respiro. Serve un atto d'iniziativa e l'onere grava sull'organo che ha la responsabilità politica e istituzionale della più ampia rappresentanza, la maggiore sede di dibattito politico: il Consiglio regionale. Tocca a noi, colleghe e colleghi, dare concretezza a queste proposte, a queste speranze, per il futuro della Sardegna.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Capelli. Ne ha facoltà.
CAPELLI (U.D.C.). Vorrei fare una breve premessa, Presidente. Nella mia modesta azione politica io ho cercato di avere come faro la coerenza, perciò prima di ricevere i richiami della minoranza, preferisco sottoporre a lei e all'Aula la mancanza di rispetto che c'è verso l'illustrazione delle mozioni fatta dai colleghi, in questo caso Maninchedda e Floris, poi verranno gli altri, per l'assenza dell'unica figura politica della Giunta regionale. Lo dico con tutto il rispetto in particolare per l'assessore Corona, che ringrazio della sua presenza. Ma noi stiamo parlando, o dovremmo parlare, in una sessione straordinaria delle riforme, del futuro della Sardegna.
Abbiamo iniziato male e perciò, prima di ricevere richiami dalle opposizioni, rimarco l'assenza del Presidente della Regione. Questo ho fatto nella passata legislatura, più volte, per l'assenza costante del presidente Soru, credo che in questo caso sia nostro dovere richiamare il Presidente della Regione in Aula, affinché quantomeno assista all'esposizione delle mozioni e al conseguente dibattito.
PRESIDENTE. Poco prima che iniziasse la seduta l'assessore Corona mi ha fatto presente che il Presidente sarebbe arrivato in mattinata, in quanto impegnato in un intervento nella Conferenza regionale per la ricerca e l'innovazione.
CAPELLI (U.D.C.). E' più importante questo dibattito, per me!
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 27 ha facoltà di illustrarla.
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Il collega Capelli, giustamente, è spesso più celere di noi nel segnalare un'assenza vistosa ed evidente, ma tutto sommato anche abbastanza attesa. In effetti, l'avvio di questo dibattito è sembrato quasi un colpo allo stomaco, a freddo, perché? Perché abbiamo aperto un dibattito senza che la Commissione autonomia abbia svolto alcuna istruttoria sul tema. Anzi, a dire la verità, la Commissione autonomia, appena insediata, ha affrontato questo problema su sollecitazione del Presidente, ma bisogna anche ricordare le parole di quella seduta, in cui i colleghi della maggioranza ci dissero: "Non possiamo andare avanti, perché non sappiamo cosa vuole il nostro partito", cioè la maggioranza. Di che partito stiamo parlando? Di un partito che voleva verificare l'esigenza di procedere sul tema delle riforme e del nuovo Statuto. Peccato che quel partito sia il partito che è nato su un predellino, cioè un partito che impersona la concezione padronale dei rapporti istituzionali, dal quale in effetti risposta non è mai arrivata.
E' a freddo, il colpo allo stomaco, perché noi sappiamo che qualunque tipo di ragionamento faremo sulle riforme deve tener conto del contesto. Ora, io non ho niente da dire, ognuno dice le cose che vuole, però, presidente Cappellacci, io la invidio, perché lei vede una nuova era che si affaccia. Non ho capito di che cosa parli! Apprezzo anche il suo ottimismo, nel momento in cui dice: "Ci apprestiamo a riscrivere senza titubanze e autocensure la nuova Carta dei diritti". E' possibile che noi non la vediamo, però credo che siamo un po' fuori tema! Siamo un po' fuori tema, perché è da venti o trent'anni che parliamo di questo argomento. E vorrei fare brevemente memoria per ricordare che nei primi decenni, dopo la conquista dell'autonomia, questa era diventata un mito, una tradizione, poi un culto, una grande utopia, perché? Perché risiedeva in gran parte in quella classe dirigente che si era spesa per la lotta autonomistica e ne aveva assaporato i limiti, ma anche i pregi. Ormai sono passati tanti decenni, noi non siamo coloro che hanno vissuto quel tempo e allora il mito, il culto, l'utopia sono stati via via ridotti, come testimoniano i passaggi, gli scritti, le frasi, gli articoli, i luoghi comuni che in questi trenta o quarant'anni sono stati esibiti, e rischiamo sempre di più di ridurre l'autonomia, o la declinazione di questo termine, a uno dei tanti slogan del teatrino della politica, volto a una finalità, diciamo, di esibizione pubblica, di padronanza degli argomenti, piuttosto che declinato sul terreno della volontà concreta di segnare il cronoprogramma intangibile del suo conseguimento.
Questo non è avvenuto, questo non sta avvenendo neanche oggi, e probabilmente - lo dico in parte anche per rispondere alle sollecitazioni del collega Maninchedda, dato che noi siamo d'accordo con lui sul fatto che si passi dalle chiacchiere ai fatti - sarà necessario verificare la volontà di quest'Aula di fare un passaggio concreto, poi vedremo in che misura, portando tutto il materiale presentato a una sintesi, che deve essere obbligatoriamente fatta in una sede che raccolga e medi l'obiettivo minimo che oggi vorremmo porci. Non per altro, perché questi documenti ripropongono ancora la nenia che abbiamo sentito e vorremmo capire se siamo ancora nella disputa dei mezzi o siamo nel cuore del dibattito sul merito. E' sopito, è superato il grande dialogo sull'Assemblea costituente, sul ruolo del Consiglio? Vorrei che si dicesse qualcosa di concreto anche sul ruolo dei terzi, perché c'è un ruolo istituzionale e ci sono dei ruoli sociali. E, badate, non è mica vero che faccia parte della cosiddetta partecipazione globale al processo di riforme il fatto che i sindacati, che hanno istituzionalmente compiti diversi, occupino uno spazio della nostra inerzia per proporsi come protagonisti di attivismi, di organismi, e così via. E' esattamente una denuncia! E' una denuncia perché, badate, la richiesta di una riforma presupporrebbe la ricollocazione corretta di tutti i soggetti negli ambiti che le regole affidano loro. Allora bisogna sapere se noi siamo davvero padroni di questa condizione.
Bisogna uscire dalla retorica e dall'autoreferenzialità sull'argomento perché, lo diceva giustamente Maninchedda, questo Consiglio il 24 febbraio del 1999 ha approvato una mozione in cui ha affermato il primato della sovranità della Sardegna nell'ambito, e anche nel rispetto, dell'unità nazionale. Sarebbe curioso ripercorrere il saliscendi da allora a oggi dei nostri comportamenti, coerenti o meno coerenti, rispetto a quell'obiettivo. Vedete, quello è un punto che ci dice che possiamo scrivere tante cose, ma quando tutto è scritto e pronunciato, non c'è nulla che porti atti tangibili e continua a esservi in Sardegna un ruzzolare tra noi degli stessi argomenti, senza impegnare concretamente, in maniera cogente, l'altro interlocutore fondamentale, cioè lo Stato, in un dibattito che non deve concludersi oggi o domani, ma che per lo meno deve cominciare a entrare nel merito delle questioni, noi rischiamo di fare un altro passaggio simile, molto simile a quello che è stato fatto il 24 febbraio del '99.
Si potrebbe dire: noi dobbiamo anche interpretare i segni, siamo parlamentari di questo tempo, siamo chiamati dai nostri elettori a declinare dei doveri e delle esigenze di questo tempo. Domanda: siamo in un contesto nel quale i sintomi avvertibili ci autorizzerebbero a dichiararci costituenti capaci, naturalmente vocati, irreprensibilmente intransigenti sulla linea da intraprendere? Perché, vedete, se la mattina affermiamo che ci possiamo fidare delle parole del sottosegretario Vegas e la sera veniamo qui a parlare della sovranità, io vi dico che non c'è e non ci sarà mai nessun autonomista vero che possa fidarsi della parola di un esponente del Governo nazionale, perché l'autonomia presuppone che anche in condizioni di affinità politica il rapporto sia sempre conflittuale, pattizio, fino a ottenere la ragione di quegli obiettivi. E ottenendo la ragione di quegli obiettivi bisogna anche saper riconoscere che quell'interlocutore, quella parte dello Stato ha rispettato il livello di sovranità e di diritto che ci è stato dato. Non una conflittualità fine a se stessa, quindi, ma una conflittualità finalizzata alla realizzazione di un'autonomia che esiste già e che forse ha bisogno di avere dei confini più alti.
L'altro passaggio è avvenuto sempre intorno al '99: che dire, colleghi, della totale inattuazione o mancata attuazione dell'Intesa istituzionale di programma? Anche quello era un luogo nel quale iniziava un confronto serrato su alcuni punti che, in qualche modo, rimuovevano le incrostazioni di una nuova propulsione dello Stato a invadere tutti i gangli dell'autonomia e della specialità. Inattuata, inevasa!
Credo che dovremo fare questa riflessione, perché noi davvero vorremmo impegnarci, da domani, sulle cose concrete, con un impegno che ristabilisca il sentimento prima di tutto, e non la nostra autoreferenzialità rispetto a questo problema, perché il popolo, quello che si chiama società, non si innamorerà più dei nostri discorsi in quest'Aula, ma si innamorerà della ricostruzione di un livello di utopia dell'autonomia per la quale lottare tutti insieme e non differenziarsi. Noi rischiamo che la conclusione di questo dibattito - qualunque essa sia - sia una soluzione soltanto tra noi, che non comporta nulla nei confronti di uno Stato che, secondo me, ci marcia da un po' su queste nostre divisioni, ottenendo oggettivamente quello che gli pare, compreso quello che spetta dalla battaglia sul federalismo.
Io non sono spaventato e credo che nessuno di noi, se esistesse davvero questa volontà attuativa, si potrebbe spaventare o potrebbe muovere censure sui diversi termini. Qualcuno dice: "Sovranità? Ehi, attenzione!". Sovranità lessicalmente vuol dire "sommatoria dei poteri riconosciuti a un soggetto"; non è niente di preoccupante sul piano lessicale, eppure noi siamo stati in altri tempi costituzionalmente censurati nell'uso di questo termine e forse dovremmo cominciare a fare un approfondimento, tra noi, dei termini che usiamo, perché se l'obiettivo vero è l'autonomia non dobbiamo neanche ingarbugliarci sui termini, che a volte dicono e a volte non dicono. Io potrei chiedervi: che cos'è l'indipendenza? L'indipendenza può essere un disegno utopistico, può essere un qualcosa che mette in discussione l'unità nazionale, ma potrebbe anche essere la strada naturale segnata dall'articolo 116 della Costituzione, che dà alle Regioni speciali una prerogativa del tutto inesplorata, perché per poter dire che cosa comporta quell'articolo dovremmo aver potuto cimentarci fino in fondo su quel terreno.
Per cui io ritengo che non si debbano esprimere pregiudizi sui termini, ma che debbano raccogliere le volontà e tradurle in un atto concreto, in un atto possibilmente unitario del Consiglio regionale, che fa una scelta di fede preventiva e dice: "Prima di appartenere al Partito Democratico, al Partito del Popolo della Libertà, all'Unione di Centro o a quello che vi pare, noi siamo sardi e su questo punto non accettiamo condizioni di distinzione, da qualunque parte esse provengano". Se un ordine del giorno o una risoluzione contenesse questa sorta di giuramento, che bisogna però avere il coraggio di fare una volta per tutte, per poter avere la forza e la base concettuale per fare il passaggio successivo, che è il passaggio del mare, è il passaggio che traduce questo profilo nell'apertura di un tavolo romano, un tavolo paritetico fra Regione e Stato che apra una stagione di rilettura aggiornata del nostro patto costituzionale, potremmo in quella sede far naturalmente liberare le nostre peculiarità. Io ritengo che queste peculiarità, che culturalmente contengono tutte un aspetto di rispettabilità, debbano essere valorizzate perché vanno nella direzione dell'esaltazione del ruolo di specialità della Sardegna, che è solo la precondizione di un governo diverso da quello di oggi. E bisogna anche fugare un altro luogo comune, quello di chi non crede nell'autonomia e la richiama solo per dire: "Siccome io chiedo l'autonomia vi sto promettendo una qualità di governo diversa". Noi potremmo avere l'autonomia migliore del mondo, ma se fossimo accompagnati da una classe dirigente scadente avremmo comunque un governo scadente. E lo dimostrano i fatti di oggi, perché quello che si è concretato anche in questi ultimi anni - parlo così perché non voglio generare profili di contrasto nei confronti di questa maggioranza che possano indurla ad opporre resistenza a un dialogo libero, perché errori ne hanno fatto tutti -, salvo piccolissimi spunti di rivalsa, è un graduale arretramento rispetto a quello che avremmo potuto ottenere.
Fondamentalmente abbiamo fatto questo ragionamento anche sul tema delle nuove entrate, però, vedete, se esistesse il giuramento di cui parlavo prima anche su questo argomento probabilmente non ci saremmo divisi. E quella è una partita dell'autonomia, non è una partita della gazzosa! Discutere, una volta tanto, delle tre parti sostanziali sulle quali dobbiamo confrontarci con lo Stato, ovvero il ruolo della Corte costituzionale in materia di controllo, il ruolo della legittimazione, cioè la possibilità di darci una legge elettorale che rispetti le condizioni nelle quali noi viviamo e vogliamo essere legittimati, e i rapporti finanziari sono i tre perni sui quali si misura anche la sincerità con la quale noi ci rapportiamo a questo tipo di argomento. La nostra sollecitazione alla discussione era tesa a chiedere se c'è davvero - noi siamo pronti - questa volontà.
E' vero che il Presidente della Regione non c'è, e questo dice molto. Per noi sarebbe sufficiente per dire che siamo a un passaggio ordinario, perché la mancata presenza, anche silenziosa, del Presidente della Regione, nel rispetto che deve avere nei confronti del Consiglio su questo argomento che sta al di sopra di qualunque impegno, anche di un richiamo del Presidente del Consiglio dei Ministri, perché questo è l'argomento centrale della vita dell'autonomia, è in qualche modo un elemento che non ci aiuta, diciamo così, e non dà certezza e solennità a questo appuntamento, che ha l'obiettivo di dialogare, certo, ma dovrebbe avere anche l'obiettivo di fare una sintesi concreta. E la sintesi concreta deve essere fatta, perché questi documenti esprimono un aspetto di sincerità di fondo, io credo, verso questa necessità, ma se rimanessero cose scritte che ci passiamo tra i nostri banchi senza raggiungere Roma, la capitale della nostra Nazione, per porre l'esigenza allo Stato di aprire un tavolo per il nuovo regime di federalismo, ma anche per rinegoziare il patto costituzionale, rimarrebbero un evento simile a quelli che si sono succeduti in questi anni.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, siamo alla conclusione dell'illustrazione delle mozioni oggi in discussione. Con l'illustrazione della quarta mozione, la numero 46, presentata dai colleghi Contu, Dedoni e Cuccu, si conclude la seduta odierna, per poi riprendere i lavori domani. Noi non possiamo non rilevare l'assenza della parte più rilevante della Giunta regionale, e lo facciamo di mala voglia, perché in Conferenza dei Capigruppo abbiamo accettato, condiviso e in parte orientato la decisione che questa discussione fosse solenne, straordinaria, svincolata dai giochi di Gruppo e di partito, e manifestasse al popolo sardo l'unità totale, la ricerca quantomeno dell'unità delle forze politiche, nel tentativo addirittura - e questo è un obiettivo eccezionale a cui noi non ci sottrarremo - di coinvolgere in questo dibattito tutto il popolo sardo.
Signora Presidente, dobbiamo dire che questa assenza è inaccettabile a conclusione dell'illustrazione delle quattro mozioni, la più importante delle quali è forse proprio la quarta, che pone implicazioni e rivendicazioni nei confronti dello Stato e nei confronti della storia della Sardegna assolutamente importanti, innovative e per certi aspetti rivoluzionarie. Non so chi la illustrerà, forse il decano dell'Assemblea, l'onorevole Felice Contu, ma è una mozione di tale rilevanza che la contemporanea assenza del Presidente della Regione, del Vicepresidente della Giunta regionale e dell'Assessore alle finanze, cioè del grosso della Giunta, è francamente insopportabile e offensiva delle ragioni che hanno portato tutto il Consiglio regionale ad aprire una sessione così importante!
Ai convegni vanno gli Assessori delegati, il Presidente deve stare qui in Consiglio! Il Consiglio è più importante dei convegni! Anche se nessuno nega l'importanza della convegnistica, questa seduta non può concludersi - ma di fatto si concluderà stamattina, perché la stiamo chiudendo con l'illustrazione della quarta mozione - con l'assenza quasi totale della Giunta, con tutto il rispetto e l'apprezzamento per i due Assessori che stanno presenziando ai nostri lavori.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Noi riteniamo grave l'assenza del Presidente della Regione anche per un altro motivo. Quindici giorni fa abbiamo presentato una mozione che non riguardava un tema svincolato da quello che affrontiamo in questa sessione sulle riforme, anzi abbiamo detto chee con la mozione sull'applicazione del nuovo regime delle entrate iniziava di fatto la sessione sulle riforme. Tra l'altro analoga mozione era stata presentata dal Gruppo dell'U.D.C. Ricordo che in quella data abbiamo concluso la discussione con la decisione della maggioranza di non votare la nostra mozione, ma di votare un ordine del giorno che avrebbe dovuto tener conto del fatto che, sulla base delle indicazioni fornite dal sottosegretario Vegas e delle rassicurazioni fornite alla Giunta regionale, il 20 settembre si sarebbe riunita la Commissione paritetica per esaminare lo schema di norme di attuazione e si sarebbe detto alla Sardegna: "E' tutto risolto, abbiamo le risorse, abbiamo le entrate previste dall'articolo 8".
Oggi, l'assenza del Presidente della Regione e degli Assessori competenti non ci dà la possibilità di essere aggiornati: non sappiamo se la Commissione paritetica si sia riunita, non sappiamo a quale conclusione sia arrivata, se si continua un percorso oppure, così come ha detto solennemente il Presidente della Regione, se ne debba intraprendere un altro. Prima di scrivere un nuovo Statuto bisogna attuare lo Statuto vigente e difenderlo in tutte le sedi. Noi avevamo chiesto in quella sede di aprire il conflitto di attribuzione e di impugnare ogni legge finanziaria che non contenesse l'indicazione di quelle risorse. Avevamo anche preannunciato una mobilitazione che comunque ci sarà, presidente Lombardo, sabato 25 settembre.
L'assenza del Presidente della Regione è grave anche perché non abbiamo elementi che diano al Consiglio regionale, in termini di chiarezza, la percezione di un percorso che non si sa se sia cominciato e con quali strumenti sarà portato avanti. Ecco, è arrivato il Presidente della Regione, che immagino ci fornirà adesso, in merito anche alla riunione della Commissione paritetica, che noi sappiamo doveva riunirsi ieri, tutte le notizie utili per permettere al Consiglio di intraprendere eventualmente altre iniziative istituzionali.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.
DIANA MARIO (P.d.L.). Io sono rimasto piuttosto sconcertato dall'intervento del collega Salis. Mi aspettavo che le cose non andassero e non le si volesse far andare come avevamo deciso in Conferenza dei Capigruppo.
Nel momento in cui questo Consiglio regionale, parlo di questo Consiglio regionale, in assenza di documenti presentati dalla Giunta, in assenza di mozioni, si arroga il diritto - e io credo che ne abbia la piena legittimità - di discutere ciò che i Gruppi politici hanno presentato alla sua attenzione, sollevare un problema di questo genere mi pare che sia fuori luogo. Poi il collega Bruno ovviamente ci ha messo del suo, ma è stato smentito, perché il Presidente della Regione è qua.
Non me ne voglia il presidente Cappellacci, ma credo che sollevare un problema di questa natura nella giornata odierna, in cui noi consiglieri regionali dobbiamo cercare di delineare un percorso senza neanche entrare nel merito dell'argomento, perché così abbiamo deciso, significhi voler minare fin dall'inizio quello che deve essere il percorso di una grande giornata, di un grande periodo...
(Interruzione del consigliere Salis.)
DIANA MARIO (P.d.L.). Non mi interrompa collega Salis, perché io non sono disponibile ad accettare il suo comportamento, così come non sarei stato disponibile ieri notte ad ascoltare il suo leader. La prego veramente di non interrompere.
Dico solo che in una giornata così solenne come questa, come dagli interventi che ci sono stati, mi è parso di capire, sollevare un problema di questo genere è quanto meno fuori luogo.
PRESIDENTE. Proseguiamo con l'esame del punto all'ordine del giorno.
Uno dei presentatori della mozione numero 46 ha facoltà di illustrarla.
CONTU FELICE (U.D.C.). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, pochi minuti fa il collega Gian Valerio Sanna ha dichiarato che il dibattito che si tiene oggi in quest'Aula è un dibattito freddo, probabilmente senza pathos. Io potrei anche condividere questa opinione, avendo partecipato ad altri dibattiti, ad altri momenti certamente più solenni e anche più entusiasmanti. Tuttavia questo dibattito su un tema così importante come quello di cui trattiamo oggi onora la nostra Assemblea e certamente induce tutti noi a riflettere e a partecipare.
Devo dire subito, per onestà intellettuale, che la mozione che ho presentato, unitamente ai colleghi Cuccu e Dedoni, che ringrazio per avermelo consentito, a norma di Regolamento, non è frutto della mia attività intellettuale, ma è invece il risultato del lavoro degli amici della Fondazione Sardinia. Questa mozione ha preso, diciamo, la veste di ordine del giorno voto, ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto sardo. E' ovvio che il documento della Fondazione Sardinia io lo condivido, se no non l'avrei sottoscritto.
Perché ordine del giorno voto e non semplice mozione? Perché la mozione si configura come interna corporis, cioè rimane dentro questa Assemblea; l'ordine del giorno voto previsto dal nostro Statuto, invece, per legge costituzionale va al Parlamento italiano. Io che sono un po' la memoria storica - consentitemelo - di questa Assemblea, ricordo che l'unico precedente, ovvero la sola altra volta in cui il Consiglio regionale sardo approvò un ordine del giorno voto fu nel 1966. Quell'ordine del giorno fu inviato al Parlamento nel 1967, il Senato lo esaminò e nonostante la difesa appassionata dei senatori sardi lo bocciò quasi per intero. Ricordo che era Presidente della Giunta regionale l'onorevole Del Rio e che anch'io - consentitemi un piccolo peccato di vanità - facevo parte di quella Giunta, come Assessore degli enti locali. Il presidente Del Rio protestò e volendo parlare alla radio per spiegare al popolo sardo quello che accadeva chiese il permesso di poter parlare alla RAI. La RAI glielo vietò. Questa era l'autonomia!
Allora, amici, nell'illustrare la mozione devo dire che tutti ormai abbiamo avuto la sensazione che lo Statuto sardo sia, come dire, obsoleto e vada certamente rivitalizzato, anche se bisogna riconoscere che sin dall'inizio esso fu sottoposto a critiche feroci. Non ho mai dimenticato la colorita espressione usata da uno dei padri dell'autonomia, Emilio Lussu, il quale disse: "Questo Statuto assomiglia più a un gatto che a un leone, nonostante si tratti della stessa famiglia, quella dei felini". Ma a parte questa boutade, consentitemela, dobbiamo riconoscere che abbiamo l'obbligo, il diritto-dovere di rivisitare lo Statuto, non foss'altro per riparare a qualche errore anche storico, come quello che fu illegittimamente perpetrato nel 1847, perché gli Stamenti sardi non deliberarono, quando rinunziammo, chissà per quale motivazione ideologica, alla nostra sovranità e alla nostra autonomia. Non dobbiamo più commettere errori!
Vorrei ricordare a tutti voi che nel 1995 si decise che una commissione speciale avrebbe affrontato il problema ponendo al Parlamento la questione della nuova forma di autonomia. Quella commissione si sciolse con un nulla di fatto. Nel novembre del 1999 il presidente Floris - gliene do atto - nelle sue dichiarazioni programmatiche propose la costituzione di una commissione speciale che in tempi rapidi predisponesse una proposta politica e legislativa per elaborare un modello sardo-catalano - così disse - di autonomia particolare. Anche di questa commissione si è persa la traccia.
Quindi dobbiamo riprendere l'opera, non possiamo non farlo. Da dove ripartire? Giustamente il collega Sanna e altri dicono che è opportuno ripartire dalla mozione sulla sovranità, che mi pare fu approvata - io non c'ero - all'unanimità da questo Consiglio. Una mozione, come dire, molto orgogliosa, senza dubbio ambiziosa, giacché il suo titolo era: "Mozione di sovranità del popolo sardo".
L'altro giorno, su La Nuova Sardegna, ho letto un articolo del professor Melis, il quale paventa che noi possiamo arrivare a costruire una cosiddetta "repubblichetta delle banane", e devo dire che questa espressione mi ha un po' offeso. Bene, amici, nonostante i miei anni io ho ancora fiducia che questa Assemblea saprà difendere comunque la nostra identità storica, geografica, culturale e linguistica in maniera seria e responsabile, raggiungendo perciò un'identità politica che non può che essere caratterizzata da un forte autogoverno.
Io sono d'accordo con l'amico Sanna quando dice che sarebbe già un obiettivo ambizioso per tutti noi riuscire, a conclusione di questo dibattito, a redigere un ordine del giorno unitario. Il problema è, ahimè, che da un'analisi attenta delle varie mozioni presentate si registrano tali differenze sostanziali, sia sul metodo da seguire, sia sui contenuti concreti di una riforma da tutti auspicata, per cui questo obiettivo non sarà certamente facile da raggiungere. Il primo problema che abbiamo di fronte e che ci ha tenuto fermi in questi anni è, a mio giudizio, il problema dello strumento: c'è chi propone la Costituente, chi la Consulta, chi l'Assemblea del popolo sardo, chi lo stesso Consiglio regionale. Tutte ipotesi valide, ma ugualmente soggette a ragioni e criticità. Sul piano etico-politico a me pare indiscutibile che una riforma epocale dello Statuto sardo non debba riguardare solo gli addetti ai lavori, cioè noi, ma debba necessariamente scaturire da un'ampia e articolata consultazione del popolo sardo, o perlomeno delle sue entità maggiormente rappresentative.
Sul piano etico, quindi, mi parrebbe utile, e perché no auspicabile, anche l'Assemblea costituente, forse eletta con metodo proporzionale, cui affidare il compito di sintetizzare le esigenze della società sarda. Se, però, meditando sull'argomento andassimo ad analizzare la situazione, avremmo la percezione che arroccandoci nella ricerca del contenitore, dimentichiamo l'obiettivo principale, che è quello di dare un contenuto al contenitore. Sono anche convinto che i tempi di approvazione non saranno certamente lenti. Credo, per esempio - tanto per fare anch'io una proposta - che nulla ci vieterebbe di convocare, in tempi rapidi, una grande assemblea degli eletti del popolo sardo. Abbiamo centinaia e centinaia di sindaci, abbiamo forse anche centinaia di consiglieri provinciali e così via, potremmo convocare una grande assemblea del popolo sardo, con una sessione di tre o quattro giorni, o anche di una settimana, in modo tale che questa assemblea ci dica onestamente qual è il desiderio del nostro popolo, che cosa vuole il nostro popolo: autonomia, indipendenza, federalismo, confederalismo? Ci dia un indirizzo, poi è chiaro che saremo noi, nelle sedi competenti, come Commissione autonomia, come Consiglio regionale, a tradurre questo indirizzo in fatti concreti da tutti auspicati.
Io penso che una volta che ci saremo accordati, senza integralismi, senza inutili dogmatismi sulla definizione del contenitore, sarà utile che ci concentriamo sul contenuto. E qui si registrano, purtroppo, posizioni non facilmente conciliabili. Infatti, i problemi posti dalle varie mozioni occupano uno spettro ampio dello scenario istituzionale possibile e futuribile. Si passa dal rafforzamento dell'autonomia regionale all'indipendentismo senza se e senza ma, dal federalismo solidale a vari altri modelli intermedi di superamento del modello autonomistico. Abbiamo quindi di fronte a noi una vasta gamma di opzioni, però, se ci pensiamo un attimo ci accorgiamo che le scuole di pensiero sono essenzialmente due: una ritiene che l'importante sia portare a casa le riforme, e a tal fine ha in mente proposte cantierabili, cioè adatte, idonee a superare gli scogli costituzionali e soprattutto quelli della Corte costituzionale; l'altra ritiene invece prioritaria una vasta battaglia politica, di principio, per riaffermare una più ampia visione istituzionale che va dal federalismo all'indipendentismo. Io confesso di appartenere, almeno idealmente, a quest'ultima scuola di pensiero, non foss'altro per il fatto che nel 1945, quando molti di voi non erano ancora nati, io ero segretario giovanile del Partito Sardo d'Azione - avevo diciassette anni - e facevo parte dell'ala indipendentista del partito. Ricordo di aver partecipato al primo convegno indipendentista, che si è tenuto nel 1945, a Paulilatino, sotto la presidenza dell'allora segretario provinciale del Partito Sardo, Giovanni Maria Angioy. Scusate l'excursus storico, ma è per farvi capire che idealmente io mi sento ancora un po' indipendentista, un po' per modo di dire, forse anche molto indipendentista. Devo prendere atto che si tratta, però, di un sogno filosofico-politico; gli strumenti procedurali sono certamente diversi. Martin Luther King diceva: "I have a dream", ho un sogno. Se Martin Luther king aveva un sogno, anch'io posso sognare, tutti possiamo sognare, anche perché non è detto che i sogni qualche volta non si realizzino. Se le cose stanno così, devo anche affermare che da legislatore non posso non tener conto del quadro normativo vigente; da politico, certo, il mio orizzonte è molto più vasto. Il collega Sanna ha parlato di tappe, sono d'accordo, bisogna procedere per tappe, ma le difficoltà sul nostro cammino non devono mai farci perdere di vista l'obiettivo finale, l'obiettivo principale.
Voglio però portare qualche proposta di natura quasi costituzionale. Per esempio, il nostro status di regione insulare potrebbe permetterci di pensare a un federalismo differenziato. Questa per me è una proposizione che andrebbe esaminata. Non è strettamente necessario che la riforma della Costituzione italiana sia pensata in termini complessivi. La Sardegna potrebbe aspirare a un ristretto pacchetto di riforme, sino ad acquisire una dimensione istituzionale analoga almeno a quella di un cantone svizzero o di un Land tedesco, che pure fanno parte di Stati che sono certamente presenti nella scena politica europea e mondiale. Quindi ben venga l'apertura della discussione, io la auspico, ben vengano le proposte alternative, ben vengano i confronti anche aspri su contenitori e contenuti, però, onorevoli colleghi, guardiamoci in faccia, il nostro lavoro sarà stato inutile se non avremo prima conquistato la fiducia, il consenso e l'adesione del popolo sardo. Credo che questo sia l'obiettivo principale di questa sessione.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Vorrei chiederle, sulla base di quanto comunicato nell'intervento precedente, se è possibile che il Presidente della Regione renda noto all'Aula se nella giornata di ieri si è riunita, come previsto, la Commissione paritetica per affrontare il tema dello schema delle norme di attuazione, ai sensi dell'articolo 8 del nostro Statuto, e qualora non si fosse riunita se è stata individuata un'altra data. Insomma vorremmo sapere quali sono eventualmente i motivi che hanno ostacolato questa riunione annunciata con solennità in Aula dallo stesso Presidente della Regione e quale percorso intende egli intraprendere, tenuto conto anche delle sollecitazioni che sono venute, mi pare il 9 settembre, dal Consiglio regionale.
Le chiederei se è possibile avere queste informazioni, tenendo conto anche del fatto che stiamo affrontando l'argomento della riscrittura dello Statuto e non possiamo non difendere lo Statuto che abbiamo. Non saremo credibili neanche di fronte allo Stato, oltre che ai concittadini sardi, se non riusciremo con tutti gli strumenti che abbiamo a difendere e ad attuare lo Statuto in vigore.
PRESIDENTE. Onorevole Bruno, se lei sta chiedendo al Presidente soltanto di riferire in merito alla convocazione della Commissione paritetica e la discussione si chiude con tale comunicazione è un conto, se invece si intende aprire eventualmente un dibattito, trattandosi dell'inserimento di un altro punto all'ordine del giorno occorre una votazione a maggioranza dei quattro quinti dei votanti. Se il Presidente è disponibile chiudiamo i lavori odierni con la sua comunicazione, altrimenti si deve esprimere l'Aula, perché si tratta dell'inserimento di un altro punto all'ordine del giorno rispetto alla programmazione che ci eravamo dati.
BRUNO (P.D.). Va bene.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.
CAPPELLACCI (P.d.L.), Presidente della Regione. Credo che il tema meriti un approfondimento che va ben oltre una semplice comunicazione. Io ho ricevuto questa mattina la relazione dei funzionari che hanno partecipato alla Commissione paritetica, quindi mi riservo di esaminarla per poter dettagliare al Consiglio in modo esaustivo. Sarebbe veramente riduttivo fare oggi una comunicazione che potrebbe basarsi semplicemente su quella che è una percezione epidermica.
BRUNO (P.D.). Ma la Commissione si è riunita?
PRESIDENTE. Nel momento in cui il Presidente dice di aver ricevuto una relazione, evidentemente la Commissione si è riunita. Il Presidente ha chiesto di poter fare un approfondimento per poter rispondere più dettagliatamente all'Aula sulla questione.
PRESIDENTE. Comunico che in data 16 settembre 2010 il Presidente della Giunta delle elezioni ha fatto pervenire la seguente nota: "Si comunica che la Giunta delle elezioni, ai sensi dell'articolo 17 del Regolamento interno del Consiglio, ha esaminato la posizione dell'onorevole Pierluigi Caria in relazione alla sentenza della Corte d'appello di Cagliari numero 132 del 2010, con la quale veniva dichiarata la decadenza dal munus di consigliere regionale dello stesso per ineleggibilità. La Giunta ritiene di dover riferire al Consiglio, ai sensi del precitato articolo 17, l'esito della relativa procedura svoltasi nelle sedute dei giorni 7 e 14 settembre 2010. Avendo considerato la complessità della materia e la non univocità della relativa normativa, visti anche i pareri legali acquisiti agli atti, la medesima Giunta ha rilevato l'assenza di assolute certezze giuridiche che possano suggerire un'immediata decadenza dalla carica dell'onorevole Caria. La stessa Giunta ha preso atto della circostanza che a oggi la precitata sentenza non è da considerarsi definitiva in quanto non ancora passata in giudicato, poiché risulta essere stata gravata di ricorso per Cassazione. La Giunta delle elezioni ha deciso, all'unanimità dei presenti, di proporre all'Assemblea di attendere l'esito del procedimento pendente nanti la Suprema Corte per la definizione della posizione dell'onorevole Pierluigi Caria".
Se non ci sono iscrizioni a parlare, procediamo alla votazione della proposta formulata dalla Giunta delle elezioni, all'unanimità dei presenti, di attendere l'esito del procedimento pendente nanti la suprema Corte di Cassazione per definire la posizione dell'onorevole Pierluigi Caria. Votando a favore si approva la proposta della Giunta delle elezioni. Prego i consiglieri Segretari di stare al banco della Presidenza.
PRESIDENTE. Indico la votazione nominale, con procedimento elettronico, della proposta formulata dalla Giunta delle elezioni.
(Segue la votazione)
Prendo atto che i consiglieri Cappai, Cocco Daniele, Oppi, Sanna Paolo e Zedda Alessandra hanno votato a favore.
Rispondono sì i consiglieri:Agus - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Barracciu - Ben Amara - Bruno - Campus - Capelli - Cappai - Cherchi - Cocco Daniele - Cocco Pietro - Contu Felice - Contu Mariano - Cucca - Cuccu - Cuccureddu - De Francisci - Dedoni - Dessì - Diana Giampaolo - Diana Mario - Espa - Floris Mario - Floris Rosanna - Greco - Ladu - Lai - Locci - Lotto - Manca - Maninchedda - Mariani - Meloni Francesco - Meloni Marco - Meloni Valerio - Milia - Moriconi - Mula - Mulas - Murgioni - Obinu - Oppi - Peru - Petrini - Pitea - Pittalis - Planetta - Porcu - Randazzo - Rassu - Rodin - Sabatini - Salis - Sanjust - Sanna Giacomo - Sanna Gian Valerio - Sanna Paolo - Sechi - Solinas Antonio - Solinas Christian - Steri - Stochino - Uras - Vargiu - Zedda Alessandra - Zedda Massimo - Zuncheddu.
Si è astenuta: la Presidente Lombardo.
PRESIDENTE. Proclamo il risultato della votazione:
presenti 70
votanti 69
astenuti 1
maggioranza 35
favorevoli 69
(Il Consiglio approva).
Il Consiglio è riconvocato per domani mattina, alle ore 10, con l'illustrazione delle restanti mozioni all'ordine del giorno. La prima mozione a dover essere illustrata è la mozione numero 80, Sechi e più.
La seduta è tolta alle ore 12 e 01.
Allegati seduta
CXXXVII Seduta
Martedì 21 settembre 2010
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 10 e 03.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 4 agosto 2010 (130), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Andrea Biancareddu, Pietro Fois e Renato Soru hanno chiesto congedo per la seduta del 21 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Congedo per motivi istituzionali
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi del comma 5 dell'articolo 58 del Regolamento, il vicepresidente Michele Cossa è assente nelle sedute dal 21 al 24 settembre 2010 per motivi istituzionali.
Comunicazioni del Presidente
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Regione, con nota del 16 settembre 2010, ha fatto pervenire al Consiglio il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri contro la Regione autonoma della Sardegna per dichiarata illegittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 1, lettera c), della legge regionale 30 giugno 2010, numero 13, concernente: "Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione autonoma della Sardegna e modifiche alla legge regionale 15 febbraio 1996, n. 12".
Annunzio di presentazione di disegni di legge
PRESIDENTE. Comunico che sono stati presentati i seguenti disegni di legge:
"Disciplina delle attività ricettive". (193)
(Pervenuto il 16 settembre 2010 e assegnato alla sesta Commissione.)
"Norme in materia di consorzi industriali provinciali". (194)
(Pervenuto il 17 settembre 2010 e assegnato alla sesta Commissione.)
Annunzio di presentazione di proposta di legge
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta di legge:
Dedoni - Cossa - Vargiu - Fois - Meloni Francesco - Mula: "Norme in materia di istruzione e formazione professionale". (192)
(Pervenuta il 14 settembre 2010 e assegnata alla ottava Commissione.)
Risposta scritta a interrogazioni
PRESIDENTE. Comunico che è stata data risposta scritta alle seguenti interrogazioni:
"Interrogazione Mula - Pittalis - Ladu - Capelli sulla delibera avente per oggetto il Programma unitario degli interventi urgenti di messa in sicurezza e mitigazione del rischio idrogeologico nei bacini idrografici dei comuni interessati e per il ripristino delle opere di interesse pubblico nelle aree colpite dagli eventi alluvionali del 2008". (144)
(Risposta scritta in data 16 settembre 2010.)
"Interrogazione Artizzu sull'inserimento, da parte del ministero dell'ambiente, del cosiddetto "Parco nazionale del Gennargentu" nell'elenco delle aree protette nazionali". (319)
(Risposta scritta in data 16 settembre 2010.)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza:
CAPPAI, Segretario:
"Interrogazione Diana Giampaolo - Caria - Cucca - Espa - Manca, con richiesta di risposta scritta, sulla formazione della graduatoria del concorso riservato ai disabili, bandito dalla Regione sarda il 1° marzo 2010". (395)
"Interrogazione Cucca, con richiesta di risposta scritta, sulla situazione dell'organico dell'Istituto comprensivo globale di Fonni per l'anno scolastico 2010/2011, nonché sulla situazione di estremo disagio nelle zone interne della Provincia di Nuoro e, in particolare, nei paesi di montagna, causata dal ridimensionamento delle classi in vari istituti scolastici". (396)
"Interrogazione Diana Giampaolo - Caria - Manca, con richiesta di risposta scritta, sullo sfratto della redazione centrale di Epolis". (397)
"Interrogazione Amadu, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di misure urgenti atte ad evitare il ripetersi dell'inquinamento delle acque prospicienti il litorale di Maria Pia in Alghero". (398)
"Interrogazione Sanjust, con richiesta di risposta scritta, sulla condizione di criticità relativa ai finanziamenti destinati alle società di gestione aeroportuali Sogaer, Sogeaal, Geasar". (399)
"Interrogazione Cuccureddu, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di garantire le risorse per gli stipendi alle società che prestano il servizio di vigilanza per la ASL di Sassari". (400)
"Interrogazione Diana Giampaolo - Manca - Moriconi - Lotto - Cocco Pietro - Sanna Gian Valerio, con richiesta di risposta scritta, sulla grave situazione del trasporto ferroviario e di pullman dei passeggeri del Sulcis-Iglesiente". (401)
"Interrogazione Milia, con richiesta di risposta scritta, sulle vicende connesse alla possibile soppressione della classe IV dell'Istituto IPAA di Bono (SS)". (402)
"Interrogazione Uras - Bruno - Salis, con richiesta di risposta scritta, relativa all'attuazione coerente delle disposizioni per l'organizzazione amministrativa della Regione, con particolare riferimento al funzionamento dell'Ufficio stampa e all'inquadramento dei giornalisti che operano nel medesimo Ufficio". (403)
"Interrogazione Barracciu - Bruno, con richiesta di risposta scritta, sui danni subiti dai viticoltori del Mandrolisai a causa della diffusione della peronospora e sulla necessità di dichiarare lo stato di calamità naturale". (404)
"Interrogazione Diana Giampaolo - Cocco Pietro - Lotto - Solinas Antonio, con richiesta di risposta scritta, sulla grave situazione di erosione della costa di Nora e sul danno ai monumenti e ai resti del porto fondato dai fenici". (405)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interpellanze pervenute alla Presidenza:
CAPPAI, Segretario:
"Interpellanza Porcu - Bruno sull'emergenza occupazionale relativa alla stato di crisi della Società Epolis Spa editrice de "Il Sardegna" e di altre 18 testate di quotidiani locali". (141)
"Interpellanza Cossa - Vargiu - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sull'incremento del costo dei biglietti del trasporto pubblico locale". (142)
"Interpellanza Diana Giampaolo - Caria - Cucca - Manca - Solinas Antonio sul sostegno alle emittenti private sarde col digitale terrestre a seguito delle scelte dell'Agcom sul Piano nazionale di assegnazione delle frequenze (PNAF) dei canali, per mettere ordine nel sistema del digitale terrestre". (143)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle mozioni pervenute alla Presidenza:
CAPPAI, Segretario:
"Mozione Bruno - Lotto - Manca - Meloni Valerio sul rischio di chiusura della Facoltà di medicina veterinaria dell'Università degli studi di Sassari". (83)
"Mozione Barracciu - Bruno - Uras - Salis - Agus - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla drammatica situazione del sistema scolastico regionale, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (84)
"Mozione Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sul ruolo dell'Assemblea costituente del popolo sardo". (85)
"Mozione Artizzu - Contu Mariano Ignazio - Bardanzellu - De Francisci - Greco - Floris Rosanna - Locci - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pittalis - Randazzo - Rassu - Stochino - Zedda Alessandra - Pitea sull'uso dell'indumento chiamato "burqa" e di qualunque altra analoga umiliazione della dignità delle donne". (86)
"Mozione Bruno - Soru - Sanna Gian Valerio - Agus - Barracciu - Caria - Cocco Pietro - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Meloni Marco - Solinas Antonio sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento (articolo 51, comma 1, dello Statuto sardo)". (87)
"Mozione Porcu - Sabatini - Meloni Valerio - Moriconi - Cuccu - Cucca sui principi e sugli obiettivi di revisione dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna". (88)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88.
(Si riporta di seguito il testo delle mozioni:
Mozione Maninchedda - Sanna Giacomo - Planetta - Dessì - Solinas Christian sull'indipendenza della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALE
ACCERTATO che:
- lo Stato italiano è largamente responsabile:
1) dell'inquinamento dei siti industriali più importanti della Sardegna;
2) della desertificazione del settore manifatturiero in Sardegna;
3) dell'eccesso di pressione fiscale e tariffaria sulle imprese e sui cittadini;
4) del sistema di regole e privilegi che sta consegnando la Sardegna a poche imprese dominanti, ormai prossime a configurarsi come oligopoli;
5) del tentativo di scaricare sul bilancio regionale i costi del welfare, della scuola e degli enti locali, oltre quelli già a carico della Regione, dei trasporti e della sanità;
6) della spoliazione culturale derivante da una sistema scolastico monolingue, ostile alla cultura e alla lingua dei sardi, sostanzialmente non diversificato nell'offerta formativa e ormai allontanato dalle aree rurali;
- la maggior parte dei fondi statali stanziati negli anni passati per l'industrializzazione della Sardegna è stata consumata da industrie di Stato che poi hanno abbandonato e continuano ad abbandonare la Sardegna;
RICORDATO che il patrimonio boschivo e ambientale della Sardegna ha subito i maggiori insulti per le concessioni governative concesse dallo Stato;
ASSUNTO che nei settori della sanità, dei trasporti e della scuola, lo Stato italiano da una parte impone le regole antiquate e oligopolistiche che caratterizzano da sempre la sua storia e la sua cultura, dall'altro scarica interamente i costi di questi diritti sulla fiscalità regionale, cioè sulla ricchezza prodotta dai sardi;
CONSTATATO il privilegio accordato nel tempo dallo Stato italiano alle regioni del nord Italia in termini di trasferimenti pubblici, di servizi e di infrastrutture, confermato recentemente dalla rimodulazione del riparto di alcuni fondi europei che ha determinato che nel sud e nelle isole sia rimasto poco più del 30 per cento delle risorse originariamente disponibili;
RICORDATO che del territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano,
impegna la Giunta regionale
a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno d'Italia e poi dalla Repubblica italiana. (6)
Mozione Floris Mario - Cuccureddu - Mulas su "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che la Sardegna vive una condizione difficile sotto il profilo economico e sociale, nel contesto della crisi globale che ha investito il mondo, l'Europa e l'Italia; ma non sono gli effetti e le conseguenze della "globalizzazione" che hanno fatto sentire i morsi della crisi sul debole tessuto economico, produttivo e occupazionale della nostra Isola, è, anche, soprattutto, il cronico ritardo accumulato negli anni nell'affrontare i processi di riforma delle istituzioni e nell'assumere le necessarie decisioni, in primo luogo quelle relative allo Statuto di autonomia, con il conseguente ammodernamento della pubblica amministrazione locale e regionale alle mutate esigenze, in termini di efficienza e di adeguatezza, della società civile; è anche la mancanza di un nuovo organico progetto di sviluppo che valorizzi le risorse materiali e immateriali proprie della Sardegna e nel contempo inserisca l'Isola nei nuovi processi dell'economia globale e avanzata facendo delle nostre risorse e del nostro territorio una vera ed unica piattaforma culturale ed economica dell'Europa e dell'Italia proiettata verso i paesi afro-asiatici; è, ancora, l'assenza di una strategia complessiva unitaria della classe politica isolana, a tutti i livelli, capace di portare univocamente la voce e le istanze dei sardi per essere veramente ascoltati nelle sedi nazionali, europee e internazionali, nelle quali la Sardegna deve poter contare nelle scelte e nelle decisioni che direttamente la riguardano; è legittimo, pertanto, che emergano dubbi e contraddizioni, che si pongono da parte della pubblica opinione domande non solo sul contesto attuale, sul futuro di breve e medio-lungo termine che trovano puntuale riscontro sugli organi di informazione locale più diffusi, portatori anch'essi degli interessi del popolo sardo: cosa fare, ci viene chiesto, sollecitando nel contempo risposte altrettanto puntuali, come proporsi davanti al Governo del Paese in vista del federalismo, a partire da quello fiscale? L'autodeterminazione è una strada praticabile? Come ottenere da Roma i denari che sono nostri? Che uso farne? Come la Sardegna si pone nei rapporti dell'Europa delle regioni e come si organizza politicamente e strutturalmente?
PRESO ATTO che tali premesse rappresentano i presupposti politici per avviare una discussione complessiva, aperta al contributo d tutte le forze politiche e di tutte le rappresentanze istituzionali, economiche, sociali e culturali del popolo sardo;
AVUTO RIGUARDO dei programmi con i quali i singoli partiti e le coalizioni politiche si sono presentati alle ultime consultazioni elettorali in Sardegna per governare la Regione, assumendo impegni, anche attraverso le loro rappresentanze politiche e dirigenziali ai più alti livelli, per la loro attuazione, sia sul piano delle riforme che su quelli dell'economia, del lavoro e dell'occupazione;
TENUTO CONTO che i tempi della politica a livello regionale e a livello nazionale consentono di concludere nel corso delle attuali legislature regionale e parlamentare i processi di riforma, in particolare l'approvazione del nuovo Statuto di autonomia e l'attuazione del federalismo fiscale, unitamente a tutti gli altri provvedimenti normativi e organizzativi che ne discendono a livello statale, regionale e locale, solo se tali processi verranno rapidamente attuati;
CONSIDERATO che alle predette riforme sono strettamente connessi i processi di crescita civile e di sviluppo economico della comunità sarda che si trova, oggi, ad affrontare il momento storico decisivo per uscire definitivamente dalle situazioni di arretratezza e di sottosviluppo nelle quali per troppo tempo è stata relegata ed avviare finalmente quel cammino di progresso al quale il popolo sardo aspira e al quale ha diritto;
PRESO ATTO delle proposte che le singole forze politiche hanno predisposto e formalizzato in questi primi mesi della XIV legislatura regionale, portando anche al confronto e al dibattito politico pubblico che ha visto, tra l'altro, esprimersi autorevoli opinioni su temi di nota rilevanza come: "Ora serve un nuovo Piano di rinascita"; "Il divario nord-sud e l'unità nazionale"; "Attivare investimenti del Sud" o anche "Una strategia per uscire dalla crisi: una vera riforma con il nuovo Statuto", tutti temi considerati strategici per il progresso della Sardegna per vincere la sfida in termini di lavoro e di occupazione, all'interno di un processo di sviluppo condiviso compatibile con la tutela, la conservazione, la gestione delle risorse naturalistiche e ambientali incomparabili della nostra Isola;
AVENDO A MENTE il ruolo e la funzione che la Sardegna ha avuto e che tuttora ha nello scacchiere degli equilibri europei e mondiali per la sicurezza e la pace dei popoli e, quindi, il peso che la nostra Isola ha sopportato e sopporta con sacrifici che ne hanno condizionato lo sviluppo in nome e a tutela della solidarietà nazionale, europea e internazionale;
DATO ATTO che in questi primi mesi della XIV legislatura tutte le forze politiche, con scelte condivise dalle parti sociali ed economiche, hanno concorso ad adottare i necessari ed opportuni provvedimenti normativi e finanziari per dare le risposte più adeguate alla crisi economica che ha investito la Sardegna, soprattutto al dramma del lavoro e dell'occupazione, e che sono stati posti in essere interventi utili per il breve e medio periodo;
EVIDENZIATO che è indispensabile pensare e predisporre un "Progetto Sardegna" che abbia valenza strategica e quindi complessivamente individui le iniziative e le azioni necessarie sotto il profilo politico, istituzionale ed economico per il futuro del popolo sardo;
TENUTO CONTO che il metodo della semplice protesta e della semplice rivendicazione risultano ormai superati ed improduttivi di efficaci risultati perché in sé sottintendono una sostanziale debolezza di proposta e di istanza, mentre è certamente più efficace e produttivo un confronto a tutto campo su un "Progetto Sardegna" come fulcro del più vasto e complessivo progetto dell'Italia federale attraverso il quale assumere la piena e totale responsabilità del governo della Sardegna e delle sue risorse materiali e immateriali;
RIAFFERMATO il principio che lo Statuto sardo è il fulcro dei poteri autonomistici e di autodeterminazione ed è anche il regolatore della convivenza civile della Sardegna e del suo progresso sociale ed economico;
CONSIDERATO che la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione prevede che la Regione Sardegna, quindi i suoi organi di Consiglio e Giunta, nel rispetto degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, concordino con lo Stato criteri e modalità da stabilire con norme di attuazione dello Statuto da definire, come recita testualmente l'articolo 27, comma 1, della predetta legge delega, con le procedure previste dallo Statuto medesimo, entro il termine di ventiquattro mesi dalla data della sua entrata in vigore;
RILEVATO, ancora, che il comma 7 del citato articolo 27 della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, prevede, al fine di assicurare il rispetto delle norme fondamentali e dei principi che da essa derivano, tra i quali anche il riconoscimento degli svantaggi strutturali permanenti, come costi dell'insularità, istituisce presso la Conferenza permanente Stato-regioni e Province autonome di Trento e Bolzano un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale con il compito di individuare linee guida, indirizzi e strumenti per conseguire gli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle ulteriori attribuzioni finanziarie, intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti; detto tavolo di confronto è, come stabilisce la legge delega, costituito dai ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme e per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell'economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dal Presidente della Regione;
TENUTO CONTO che detto tavolo di confronto doveva essere attivato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge delega n. 42 del 2009, e che per definire linee guida, indirizzi e strumenti è indispensabile che venga coinvolto il Consiglio regionale e tutte le rappresentanze politiche perché il Presidente della Regione possa avere il conforto e il sostegno di tutta la società sarda in questa fase delicata e determinante per il futuro della Sardegna;
RIBADITO, altresì, che gli articoli 4 e 5 della predetta legge delega n. 42 del 2009 prevedono l'istituzione di una Commissione tecnica paritetica presso il Ministero dell'economia per l'attuazione del federalismo fiscale e, all'interno della conferenza unificata, una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica per predisporre tutti gli atti preparatori ai fini dell'emanazione delle norme di attuazione degli statuti attraverso le quali si dovrebbe realizzare il federalismo fiscale;
CONSIDERATO che il Governo dello Stato ha ventiquattro mesi di tempo per emanare le norme di attuazione dello Statuto ai fini della messa a regime della legge delega n. 42 del 2009, quindi incidendo su norme statutarie ormai obsolete o in buona parte inadeguate;
OSSERVATO, ancora, che per effetto delle stringenti norme statali sul federalismo fiscale appare urgente e indilazionabile che il Consiglio regionale affronti con immediatezza il tema delle riforme istituzionali, a partire dal nuovo Statuto e dalla riforma interna della Regione per evitare conseguenze dannose e irreparabili per la Sardegna a causa della limitatezza dei poteri speciali di autonomia rispetto a quelli di altre regioni ad autonomia differenziata, ma anche a quelli delle stesse regioni a statuto ordinario,
impegna il Consiglio regionale
ad avviare con immediatezza e comunque entro trenta giorni una speciale sessione sulle riforme, in primo luogo sull'avvio delle procedure di approvazione del nuovo Statuto di autonomia con il convincimento che occorra, innanzitutto, un'ampia apertura culturale e politica tesa ad eliminare anacronistici motivi di contrasto o incomprensioni per ritrovarci in pochi, ma significativi principi che recepiscano e portino a compimento le aspirazioni del popolo sardo, trovando punti significativi e determinanti di equilibrio tra le posizioni delle singole forze politiche e quelli generali della comunità isolana;
impegna la Giunta regionale
a predisporre le linee strategiche di un organico "Progetto Sardegna" da presentare entro trenta giorni all'esame del Consiglio regionale;
impegna il Consiglio regionale e la Giunta regionale
1) a portare all'attenzione di tutti i livelli istituzionali (Presidente della Repubblica - Presidente del Senato - Presidente della Camera - Presidente del Consiglio dei ministri) e politici il "Progetto Sardegna per le riforme e lo sviluppo", con il coinvolgimento e la partecipazione di tutte le componenti della Società sarda, in modo che il Parlamento possa approvare il nuovo Statuto sardo di autonomia nei tempi più celeri possibili, entro l'attuale legislatura, comunque prima dell'emanazione dei decreti delegati e delle norme di attuazione del federalismo fiscale secondo le indicazioni e le aspettative del popolo sardo. (20)
Mozione Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla necessità di dare immediato avvio ad un dibattito sulle riforme e sullo Statuto di autonomia, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che la Sardegna affronta la crisi economica globale con un grave ritardo nell'adeguamento dei suoi strumenti legislativi e statutari per poter intercettare le nuove frontiere federaliste che si prospettano senza penalizzare i livelli conseguiti dall'autonomia speciale;
RICHIAMATA integralmente la mozione n. 20 a firma Floris Mario, Cuccureddu, Mulas su "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna,
impegna il Presidente del Consiglio regionale
ad avviare una sessione straordinaria sulle riforme e sul programma di approvazione del nuovo Statuto di autonomia;
a tal fine
è dato mandato
alla Prima Commissione consiliare permanente di predisporre ogni utile istruttoria per l'attuazione di una autentica legislatura di riforme. (27)
MozioneContu Felice - Dedoni - Cuccu, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall'articolo 51 dello Statuto sardo).
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO:
- che la mozione approvata da questo Consiglio il 24 febbraio 1999 afferma:
- "il diritto del popolo sardo di essere padrone del proprio futuro";
- "il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l'intero popolo sardo, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto";
- il diritto del popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna così come si evince dal patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
CONSTATATO che:
- l'attuale regime di autonomia non ha realizzato completamente il suo significato più importante, quello dell'autogoverno e dello sviluppo economico, non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione, mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la prosperità e lo sviluppo, acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
- la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
CONSIDERATO che:
- l'identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un'identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;
- mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico;
- la crescita di una coscienza e di una fede nel popolo sardo e nella nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del popolo sardo,
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente "la sovranità del popolo sardo sulla Sardegna, sulle Isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina", riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta" con gli stati della terraferma,
dichiara
politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948; e, pertanto,
disconosce
la petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell'Isola "rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni.." (deliberazione del Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847); altresì,
denuncia
come non valida la concessione della "perfetta fusione" deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito - come avverrà negli altri stati italiani in vista dell'Unità del 1861 - in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale; conseguentemente,
rivendica
il diritto di partecipare al processo di riforma:
- nel rispetto della sovranità popolare e della natura "nazionale" del suo popolo;
- nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna;
- nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno Stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza, ma non ancora nella forma costituzionale;
- nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell'Italia,
ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica,
- i valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa;
- l'amichevole collaborazione con le comunità e con gli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni,
dà avvio
alla elaborazione del nuovo Statuto-costituzione della Sardegna secondo le forme che la legittima rappresentanza del popolo sardo vorrà seguire,
chiede
al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del popolo sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana. (46)
Mozione Sechi - Zedda Massimo - Uras sull'affermazione del diritto di autodeterminazione dei popoli in funzione del più efficace contrasto all'aggressione e progressivo indebolimento dei valori di libertà, di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale tra le comunità nazionali, linguistiche e culturali in Sardegna, in Italia e in Europa.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che:
- appare sempre più evidente l'aggressione e il progressivo indebolimento dei valori di libertà, di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale tra le comunità nazionali, linguistiche e culturali in Sardegna, in Italia e in Europa;
- tale aggressione è finalizzata al consolidamento di teorie e pratiche di egoismo territoriale da parte di aree economicamente più ricche e storicamente più avvantaggiate, direttamente e indirettamente, dall'intervento pubblico dello Stato centralista, sia nelle scelte di sviluppo economico e sociale che nel trasferimento delle risorse finanziarie;
- le dinamiche in atto, funzionali alla divisione tra i popoli, contrastano con i principi di unità nella partecipazione democratica e nel riconoscimento di pari dignità, esplicitamente contenuti nella Costituzione repubblicana e dichiarati come principali elementi costitutivi della Unione europea;
- la Sardegna può rappresentare un utile esempio di governo autonomo, in un contesto europeo e mediterraneo, quale "terra di pace e di amicizia tra i popoli", in contrapposizione netta con teorie e pratiche di egoismo, di emarginazione delle differenze, di rifiuto della relazione e della cultura della solidarietà;
CONSIDERATI la crisi attuale delle forme statuali unitarie, che nel corso del '900 si sono configurate e consolidate, e il conflitto tra la difesa e l'affermazione delle identità e i processi di globalizzazione in atto;
CONSIDERATE necessarie ed urgenti riforme politiche, economiche e sociali coerenti con i valori richiamati, che rappresentino strumento efficace di affermazione dei diritti delle persone e delle comunità, in una prospettiva di pacifica e cooperativa convivenza tra i popoli, a partire dall'area euro-mediterranea;
CONSIDERATO che tali riforme debbano prendere avvio, per quanto riguarda la Sardegna, dalla stipula di un nuovo patto con lo Stato italiano e l'Unione europea;
RITENUTO che le stesse riforme debbano rafforzare i valori di libertà, uguaglianza, solidarietà e pace già conquistati con la Costituzione repubblicana, tramite la definizione di forme più avanzate di autodeterminazione e concorso solidale, anche di orientamento federalista, rispetto a quelle già espresse nella legge costituzionale n. 3 del 1948,
impegna il Presidente della Regione e la Giunta regionale
1) a promuovere la revisione dello Statuto e la conseguente approvazione da parte del Consiglio regionale ai sensi dell'articolo 54 della legge costituzionale n. 3 del 1948, in funzione del raggiungimento degli obiettivi di riforma indicati in premessa, con la partecipazione attiva dell'intero sistema istituzionale locale, delle organizzazioni politiche e sociali, del mondo della cultura e della solidarietà, nelle forme di legge più idonee a qualificare detta partecipazione;
2) di sottoporre la proposta di revisione, ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto sardo, alla valutazione e alla sottoscrizione dei cittadini sardi in tutti i comuni della Sardegna. (80)
Mozione Diana Mario - Sanna Matteo - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Campus - Cherchi Oscar - Contu Mariano Ignazio - De Francisci - Floris Rosanna - Gallus - Greco - Ladu - Lai - Locci - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pitea - Pittalis - Randazzo - Rassu - Rodin - Sanjust - Sanna Paolo Terzo - Stochino - Tocco - Zedda Alessandra sulla riscrittura dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALEPREMESSO che è condivisa da tutta la società sarda la necessità di procedere a una profonda revisione e all'ampliamento delle competenze autonomistiche attraverso la formulazione di un nuovo contratto istituzionale con la Repubblica italiana e l'Unione europea;
CONSIDERATO il diritto a esistere della Nazione sarda, da affermarsi per mezzo di un reciproco leale patto con lo Stato italiano e di una convinta adesione all'Europa che si fondi sulla garanzia della pacifica convivenza di tutti i popoli europei;
RILEVATO che, nell'attuale fase di riforma delle istituzioni repubblicane in senso federale, la Sardegna è chiamata a inserirsi nel processo in corso con un progetto autoctono che nell'esprimere la propria identità collettiva sia teso a ridefinire tutti i rapporti oggi esistenti con lo Stato italiano e l'Unione europea;
ATTESTATO che, in applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, la Sardegna è chiamata ad adeguare il proprio statuto con le relative norme attuative entro 24 mesi dall'entrata in vigore di detta legge;
EVIDENZIATO che la nuova Carta fondamentale del Popolo sardo deve essere rispettosa delle aspirazioni storiche, politiche e culturali della Sardegna, previo riconoscimento del diritto dei sardi al proprio autogoverno;
ATTESO che la riformulazione dello statuto vigente deve partire dall'affermazione che i diritti dei sardi sono inalienabili e quindi la specialità di rango costituzionale, di cui è dotata la Sardegna, deve sempre costituire la precondizione per un adeguato riconoscimento all'interno dell'ordinamento della Repubblica e della normativa comunitaria europea;
ATTESO, inoltre, che la proposizione di un nuovo, moderno, originale e avanzato statuto di autonomia che meglio rappresenti le mutate esigenze della nostra terra e tuteli la nostra cultura identitaria in Italia e in Europa deve realizzarsi per mezzo:
- della costituzionalizzazione della lingua sarda, con l'inserimento all'interno del nuovo statuto di apposite norme;
- del riconoscimento costituzionale degli svantaggi imputabili alla condizione geografica di insularità, attraverso adeguate misure di compensazione che contemplino la fiscalità di sviluppo (zona franca) e, in assenza di fonti energetiche alternative, l'abbattimento degli alti costi per l'approvvigionamento energetico e dei carburanti, oltre al riconoscimento del divario nello sviluppo economico e del recupero del deficit infrastrutturale, così come previsto nella legge n. 42 del 2009;
- di un nuovo piano di grandi opere infrastrutturali e di servizi reali per adeguare la Sardegna alle regioni più avanzate e moderne d'Europa;
- di una competenza fiscale autonoma e di una politica del credito sarda per ridurre il costo del denaro e creare incentivi alle imprese;
- di una effettiva e illimitata continuità territoriale, per le persone e per le merci, con l'Italia peninsulare e con l'Europa;
- di una nuova concezione dignitosa del lavoro, che sia visto non più come una conquista, ma come un diritto dei sardi ad un futuro di serenità e prosperità,
impegna il Presidente della Regione, la Giunta regionale
e tutte le forze politiche rappresentate in Consiglio regionale
a dare avvio all'iter legislativo per la revisione costituzionale del proprio Statuto speciale di autonomia sulla base dei seguenti elementi fondamentali:
1) la Sardegna è l'isola più periferica del Mediterraneo facente parte della Repubblica e, per questo, rivendica un'effettiva, illimitata continuità territoriale con la parte continentale della Repubblica italiana e con il resto dell'Unione europea;
2) la Sardegna è una nazione con proprio territorio, una propria storia, una propria lingua, una propria cultura e una propria identità;
3) la Sardegna, nel rispetto della libertà e dell'eguaglianza religiosa e di pensiero dei suoi cittadini, riconosce le bimillenarie radici cristiane della società sarda, punto di approdo del lungo cammino del suo popolo;
4) la Sardegna è la base istituzionale dell'attuale Stato italiano, proclamato nel 1861, che altro non è se non l'antico Regno di Sardegna, nato nel 1324 e per secoli pregnato del sangue e della fatica dei sardi;
5) il Popolo sardo si ispira ai valori fondamentali della vita collettiva e dei diritti della persona, all'autonomia delle comunità naturali, all'importanza della famiglia; persegue ideali di giustizia, solidarietà ed eguaglianza e rifiuta ogni tipo di discriminazione;
AFFERMATO che il Popolo sardo è un popolo d'Europa con un'identità peculiare, avente una propria storia, una propria lingua, una propria cultura e un proprio territorio;
CONSIDERATO che il Popolo sardo reclama il diritto di decidere del proprio avvenire, secondo quanto sanciscono la Carta dell'Onu, i Patti internazionali dell'Onu sui diritti politici, civili, economici, sociali e culturali, l'Atto di Helsinki, la Carta di Parigi e conformemente a quanto stabilisce la Dichiarazione solenne di sovranità della Sardegna adottata dal Consiglio regionale nel febbraio 1999;
RILEVATO che il Popolo sardo è convinto che una struttura federale della Repubblica italiana rafforzi, garantisca e intensifichi l'esercizio delle libertà ed il raggiungimento di un'effettiva giustizia sociale, della prosperità, della diffusione della cultura, della coesione sociale, della sussidiarietà, della sicurezza e della pace;
SOTTOLINEATO che il Popolo sardo esige la tutela, dei propri diritti storici imprescrittibili, spettando ai sardi, e soltanto ad essi, la loro gestione,
si impegna inoltre
ad approvare una proposta di legge costituzionale da inviare alle Camere, sulla base dei seguenti contenuti:
1) affermare il diritto del Popolo sardo al suo pieno autogoverno;
2) realizzare il federalismo interno secondo il principio di sussidiarietà, coesione sociale e tutela delle piccole comunità e delle minoranze linguistiche;
3) difendere e sviluppare l'ecosistema sardo;
4) difendere la libertà d'impresa ed il diritto al lavoro;
5) accrescere il benessere e la qualità della vita di tutti i cittadini sardi;
6) rendere migliore la coabitazione del Popolo sardo e degli altri popoli della Repubblica, dell'Europa e del mondo;
7) assicurare un ruolo autonomo della Sardegna nei processi di formazione delle decisioni in seno all'Unione europea;
8) incentivare il ruolo e la vocazione euro-mediterranea della Sardegna. (81)
Mozione Zuncheddu - Uras - Sechi - Zedda Massimo sulla riscrittura dello Statuto sardo e sull'apertura, con lo Stato italiano, del processo di sovranità e indipendenza.
IL CONSIGLIOREGIONALEPREMESSO che:
- nella massima Assemblea dei sardi, il dibattito sui valori di sovranità, di autodeterminazione, sul significato identitario di Popolo sardo e di Nazione sarda è imprescindibile dall'uso della lingua sarda: elemento portante dell'identità del popolo sardo e strumento che ha consentito di ereditare il ricco patrimonio culturale, storico, etnico delle nostre madri e dei nostri padri;
- la lingua sarda, con le sue varianti, è oggi un momento fondamentale della resistenza etnica al tentativo di eliminazione culturale, sociale ed economica del nostro popolo;
RIBADITO che la mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma:
- "il diritto del Popolo sardo di essere padrone del proprio futuro";
- "il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l'intero Popolo sardo, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto";
RIAFFERMATO:
- il diritto del Popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna come si evince dal patto costituzionale riconosciuto con lo Statuto del 1948;
- il diritto del Popolo sardo alla propria autodeterminazione e autogoverno, in quanto popolo ed etnia, come sancito dal diritto internazionale e dai deliberati delle Nazioni unite sui diritti dei popoli;
CONSTATATO che 60 anni di autonomia:
- non hanno realizzato il suo significato più importante, quello dell'autogoverno e dello sviluppo economico, anzi, hanno aumentato la sudditanza coloniale rispetto allo Stato italiano dominante, mortificando la volontà del popolo sardo di attuare quelle scelte tese a garantire la sua libertà, l'emancipazione e la prosperità;
- non hanno contribuito all'attuazione integrale dello Statuto di Regione autonoma, che continua ad essere disatteso, violato e reso subalterno ai voleri politici ed economici preminenti dello Stato italiano;
- non hanno contribuito a ridurre la condizione di dipendenza della Nazione sarda che, nell'era dell'Unione europea e della globalizzazione mondiale, è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza del dominio economico delle multinazionali operanti in Sardegna, non riuscendo neppure a garantire il diritto alla rappresentanza dei sardi nel Parlamento europeo;
CONSIDERATO che:
- la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda sono valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo e possono essere progettati e attuati solo attraverso la totale sovranità delle istituzioni del Popolo sardo, condizione indispensabile del percorso di indipendenza;
- l'identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un'identità politica chiaramente definita e indipendente;
RIBADENDO la validità dei principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, le sue ragioni storiche, culturali e politiche, da cui discende naturalmente "la sovranità del Popolo sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina", riappropriandosi con ciò della sovranità a suo tempo consegnata alla monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta" con gli stati della terraferma;
DICHIARATA conclusa la vicenda storica e istituzionale susseguente la rinuncia alle proprie sovrane istituzioni nel 29 novembre 1847 e solo in parte recuperata nello Statuto del 1948;
NON RICONOSCENDO la validità della petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell'Isola "rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati Regi di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni..." (Deliberazione dei Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847);
DENUNCIATA come non valida la concessione della "perfetta fusione" deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito, come avverrà negli altri stati italiani in vista dell'unità dei 1861, trasgredendo palesemente il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, principalmente, priva dei voto dei tre Stamenti sardi, unico organo deputato alla risoluzione di questa questione internazionale;
RITENUTO che:
- il processo di riscrittura della Statuto sardo debba ribadire i valori e i principi di autodeterminazione, di indipendenza e di autogoverno nazionale del Popolo sardo e della sua aspirazione ad essere nel Mediterraneo centro di pace, benessere ed equità sociale;
- tale processo storico di riscrittura e di autodeterminazione non possa essere prerogativa esclusiva del Consiglio regionale o di sue commissioni, nel rispetto della sovranità popolare e dell'identità nazionale del suo popolo;
AFFERMATO che sia diritto inalienabile del popolo sardo la partecipazione popolare al nuovo processo assembleare costituente, attraverso un dibattito politico-culturale ed economico che veda la partecipazione democratica delle comunità sarde alla riscrittura e all'approvazione dello Statuto anche attraverso referendum popolari;
RIBADITO, in attesa dell'inizio di questo processo costituzionale di confronto con lo Stato italiano e in sede diversa con la Comunità europea, il rispetto dei valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia e di benessere propri dei popoli e delle nazioni libere;
RITENENDO che il processo di autodeterminazione e di indipendenza nazionale non possa prescindere da una vastissima condivisione del Popolo sardo, partendo dalla difesa e dall'affermazione della sua identità culturale, storica, etnica, linguistica, ambientale, delle sue economie tradizionali e dell'aspirazione del popolo alla felicità,
impegna l'Assemblea dei sardi e i suoi organi di governo
come momento di affermazione di sovranità e di rottura della dipendenza coloniale, a un confronto serrato con lo Stato italiano, teso a ribadire, nell'emergenza, il diritto del popolo sardo:
1) alla sovranità sul proprio territorio e alla smilitarizzazione di quelle aree gravate da servitù militari;
2) alle bonifiche dei siti gravati da servitù militari e industriali;
3) alla restituzione dei fondi dovuti ai sardi derivanti dalle entrate fiscali, dai fondi FAS e comunitari sottratti illegittimamente dallo Stato italiano;
4) alla difesa e al rilancio delle economie tradizionali, agropastorali, artigianali, ittiche, ecc., con stanziamento urgente di fondi adeguati alla drammaticità della crisi in corso;
5) ad una flotta marittima propria, pubblico-privata, per garantire la continuità territoriale di persone e merci,
impegna il Consiglio regionale e la Giunta regionale
a mettere in atto le iniziative sopraelencate per la rottura dei processi di dipendenza dallo Stato italiano e l'apertura di una nuova stagione di processi di sovranità e indipendenza. (82)
Mozione Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sul ruolo dell'Assemblea costituente del popolo sardo.
IL CONSIGLIO REGIONALECONSIDERATO che:
- nel maggio 2011 scade la delega al Governo nazionale per la presentazione dei decreti attuativi del federalismo;
- nel frattempo ferve in Italia il dibattito sui temi e sui contenuti del federalismo, con posizioni estreme che mettono in discussione gli stessi principi fondanti del nostro Stato nazionale e prefigurano un quadro normativo che accentua il solco economico e sociale tra le aree più progredite del Paese e quelle a maggior ritardo di sviluppo;
- nel contesto dei nuovi assetti federali appare totalmente da ridiscutere lo stesso ruolo delle regioni a statuto speciale, che rischiano di perdere le caratteristiche di specificità da cui discende il loro stato di specialità;
- in questo quadro complessivo appare assai importante che la Regione Sardegna faccia sentire con forza la propria voce, trovando quella unità di intenti tra forze politiche e rappresentanze sociali che appare condizione comunque indispensabile (e forse non sufficiente) per dare spessore alle nostre irrinunciabili esigenze;
- il raggiungimento di una posizione progettuale sarda, largamente dibattuta e condivisa, appare dunque un presupposto indispensabile per dare slancio e concretezza alle nostre esigenze autonomistiche e per garantire un nuovo impegno dello Stato nei processi di sviluppo della nostra terra;
- i Riformatori sostengono da sempre questa tesi e, da quasi tre lustri, si battono per l'elezione di un'Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto sardo che, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, appare oggi inadeguato ai contesti globali, profondamente modificati nei sessantadue anni ormai trascorsi;
- tale battaglia non rappresenta soltanto la scelta dello strumento di riforma statutaria, ma costituisce essa stessa la sostanza di un impegno che, coinvolgendo attivamente l'intera popolazione sarda, sancisce l'importanza storica di questo decisivo momento per le sorti future della nostra Isola;
- anche a seguito dell'azione politica dei Riformatori, il Consiglio regionale della Sardegna, il 31 luglio 2001, approvò la proposta di legge nazionale n. 7, che definiva la "procedura di adozione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna mediante istituzione dell'Assemblea costituente";
- tale proposta fu la sintesi di sensibilità politiche assai diverse e diffuse all'interno dell'intera società sarda, rappresentative di un vastissimo consenso in ampi settori sindacali, imprenditoriali e culturali dell'intera Isola al punto che lo stesso testo definitivamente licenziato fu la risultante del contributo di ben quattro proposte di legge: quella dei Riformatori, quella del Partito sardo d'azione, quella di un gruppo di consiglieri del Partito democratico e quella di iniziativa della Giunta regionale;
- tale proposta prevedeva l'introduzione, a statuto vigente, di un nuovo articolo 54 bis che avrebbe autorizzato l'Assemblea eletta ad hoc da tutti i sardi ad esercitare l'iniziativa legislativa costituzionale ai sensi degli articoli 71, 116 e 138 della Costituzione, senza nessuna interferenza con l'attività ordinaria dell'Assemblea legislativa sarda;
- tale proposta prevedeva altresì l'elezione diretta, a suffragio universale e con sistema proporzionale, dei Costituenti sardi, a cui veniva affidato il compito di redigere il nuovo statuto, lasciando al Parlamento italiano la possibilità di approvare o rigettare (ma non emendare) il testo;
- in tal modo si intendeva riconoscere la sovranità del Parlamento italiano nella garanzia dei principi di costituzionalità del nuovo statuto, ma si voleva anche ribadire la piena sovranità dell'Assemblea rappresentativa del popolo sardo nel codificare le regole di funzionamento della propria comunità e i conseguenti rapporti con lo Stato nazionale italiano e con l'Europa;
- prima, durante e dopo l'approvazione della proposta di legge nazionale per l'Assemblea costituente, intorno all'idea e al progetto che essa sottendeva si accese l'entusiasmo di decine di migliaia di cittadini sardi, che sottoscrissero materialmente la proposta di legge e seguirono attivamente le procedure per la sua approvazione e l'inizio del suo iter presso il Parlamento nazionale;
- tale interesse diffuso per la redazione del nuovo statuto ha rappresentato una grande vittoria dell'intero movimento per la Costituente e di tutti i sardi perché ha certificato un importante momento di crescita identitaria del nostro popolo che si è idealmente raccolto intorno alla bandiera della Costituente, scegliendola quale strumento unificante per la riscrittura del patto fondante con lo Stato nazionale, finalmente adeguato alle specificità della nostra terra e alle sue esigenze di sviluppo economico;
- è noto a tutti come la proposta di legge nazionale si sia poi arenata nei calendari delle Commissioni parlamentari a cui venne affidata per l'istruzione finale, certo a causa della scarsa convinzione con cui venne affrontata dal Parlamento, ma soprattutto a causa delle divisioni della politica sarda che, non credendo interamente nel percorso tracciato dalla Costituente, finirono per essere determinanti nell'insabbiamento dell'azione di approvazione nazionale;
- nella successiva legislatura 2004-2009 mancò ancora l'accordo tra le forze politiche per raggiungere l'obiettivo della riscrittura dello statuto per cui la legge regionale di istituzione della Consulta per il nuovo statuto, approvata il 18 maggio 2006, restò lettera morta;
- trascorsi oltre quindici anni dall'apertura del dibattito sulle riforma statutaria, rimane dunque aperto il problema della redazione del nuovo Statuto sardo, mentre la nostra Regione, tra le prime ad essersi posta il problema della revisione del patto costituzionale, rischia oggi di approvare frettolosamente una riforma statutaria inadeguata nella sostanza, ma soprattutto incapace di incarnare i nuovi sentimenti di identità e le emergenti esigenze di progresso sociale ed economico che si sono nel frattempo diffuse tra i sardi;
- intorno al nuovo statuto della Sardegna appare pertanto indispensabile creare nuove condizioni di dibattito e di condivisione popolare, che aiutino a ritrovare coesione sociale e prospettive di percorso politico unitario intorno ad un progetto che incarni il nuovo ruolo della nostra Isola nei mutati contesti italiani ed europei;
- negli scenari di un federalismo nazionale che appare sempre più guidato dalla tentazione di esigenze egoistiche e di autotutela più che da sentimenti di coesione nazionale, la possibilità del progetto sardo di trovare forza sufficiente per imporsi appare sostanzialmente legata alla nostra capacità di attivare un diffuso movimento popolare che gli sappia conferire la carica risultante dall'unione appassionata di tutte le nostre risorse di popolo;
- soltanto un'assemblea del popolo sardo, eletta a suffragio universale, può garantire l'effettiva partecipazione dell'intero nostro popolo al percorso Costituente, conferendogli la forza necessaria alle battaglie future che ci attendono;
- è però possibile che l'urgenza di presentarsi alla trattativa con lo Stato con un testo che, pur imperfetto sia nel metodo che nella sostanza, rappresenti comunque una piattaforma di partenza contenente le principali esigenze della Sardegna;
- la stesura di tale testo potrebbe dunque richiedere brusche accelerazioni dettate dalla calendarizzazione dei tempi della politica nazionale, esponendo al rischio della proposta di una carta statutaria che non sia passata attraverso l'indispensabile processo di condivisione popolare che ne rappresenta la forza principale,
impegna la Giunta regionale
a predisporre un percorso legislativo per la scrittura del nuovo statuto che preveda comunque un passaggio di confronto popolare e di ratifica attraverso l'Assemblea costituente del popolo sardo, secondo quanto stabilito dalla proposta di legge nazionale 31 luglio 2001, n. 7, a cui sia affidato il compito di sancire il definitivo patto istituzionale tra la Sardegna e lo Stato nazionale. (85)
Mozione Bruno - Soru - Sanna Gian Valerio - Agus - Barracciu - Cocco Pietro - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Meloni Marco - Solinas Antonio sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento (articolo 51, comma 1, dello Statuto sardo).
IL CONSIGLIO REGIONALEPRESO ATTO che il Parlamento nazionale ha di fatto avviato la discussione per la realizzazione di un processo di riforma costituzionale in senso federale dello Stato;
RICONOSCIUTO in tale contesto il diritto del Popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna sancito dal Patto costituzionale che ha avuto il suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
EVIDENZIATO che la condizione di dipendenza della Sardegna, anziché ridursi, va progressivamente accrescendosi rispetto al sistema politico, finanziario, economico, culturale, formativo ed educativo, delle servitù militari, delle politiche energetiche, dei beni culturali, archeologici ed artistici, nonché nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
CONSTATATO che l'attuale forma di autonomia non ha realizzato pienamente, fra i suoi obiettivi più rilevanti, quello dell'autogoverno e dello sviluppo economico e sociale, e non risponde più con la necessaria efficacia alle nuove domande derivanti dai cambiamenti sociali, dall'unificazione europea, dalla globalizzazione, limitando la volontà della Sardegna nell'attuazione delle scelte che possono garantirle la piena libertà e prosperità, mentre continuano a mancare da anni interventi adeguati da parte dello Stato sul terreno della riduzione del divario economico, infrastrutturale e competitivo dell'Isola;
CONSIDERATO che l'identità storica, geografica, culturale e linguistica esige prioritariamente il riconoscimento di un'identità politica chiaramente definita e di un forte autogoverno;
VALUTATO che, per innescare processi di reale cambiamento e di nuovo sviluppo nelle condizioni globali di oggi, è indispensabile dare risposte concrete alle domande del Popolo sardo che chiede una più larga sovranità in capo alle istituzioni dell'autonomia,
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue ragioni storiche, culturali e politiche attraverso le quali è stata confermata solennemente "la sovranità del Popolo sardo sulla Sardegna, sulle sue isole minori, sul suo mare territoriale", sovranità frettolosamente abbandonata nelle mani della Monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta con gli Stati della terraferma",
ribadisce
nel rispetto della propria tradizione democratica, il primato dei valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, democrazia, benessere e progresso tipici delle diverse nazioni europee e l'amichevole volontà di collaborazione con le comunità e gli Stati frontalieri del bacino del Mediterraneo per il perseguimento ed il progresso dei comuni interessi,
denuncia
la concessione della perfetta fusione deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847,
considera
politicamente conclusa la vicenda storica conseguente alla rinuncia alle proprie sovranità istituzionali, avvenuta il 29 novembre 1847, solo parzialmente recuperate nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
ribadisce
al Parlamento il diritto del Popolo sardo al riconoscimento di un nuovo Patto costituzionale e di poter partecipare a pieno titolo ai processi di riforma e di revisione federalista della Costituzione italiana,
ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto di autonomia fa voti al Parlamento nazionale affinché:
1) vengano concordate le forme e le modalità adeguate perché il Consiglio regionale della Sardegna possa partecipare pienamente al processo di riforma e di revisione della Costituzione repubblicana in senso federale;
2) venga avviato un confronto politico paritario, aperto e responsabile con lo Stato affinché, nell'ambito della riforma costituzionale, sia sancito un nuovo Patto costituzionale fondato sul riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno per l'autonomia sarda. (87)
Mozione Porcu - Sabatini - Meloni Valerio - Moriconi - Cuccu - Cucca sui principi e sugli obiettivi di revisione dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna.
IL CONSIGLIO REGIONALE
PREMESSO che, in applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, articolo 27, la Sardegna dovrà concorrere al "conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e dell'esercizio dei diritti e doveri da esso derivati" attraverso norme di attuazione da adottarsi da parte del Governo entro 24 mesi dall'entrata in vigore di detta legge;
PREMESSO altresì che, nell'attuale fase di riforma delle istituzioni repubblicane in senso federale, la Sardegna è chiamata a inserirsi nel processo in corso con un progetto e una visione autonoma che, nell'esprimere la propria identità collettiva, riaffermi l'aspirazione dei sardi a più ampie forme di autogoverno, ne garantisca ed espanda i diritti sociali e civili, ponga un argine alle logiche di federalismo competitivo e non solidale, del tutto contrario allo spirito dell'articolo 119 della Costituzione, commi 3 e 5, definisca le forme e le modalità delle perequazioni finanziarie necessarie a far fronte agli svantaggi strutturali da insularità, alla ridotta capacità fiscale, alla bassa densità demografica e alle caratteristiche geomorfologiche del proprio territorio;
VERIFICATO che appare largamente condiviso dalle istituzioni politiche, sociali ed economiche della società sarda che tale progetto e visione autonoma possa trovare forza, sostegno ed identificazione collettiva, attraverso una profonda revisione e ampliamento delle competenze autonomistiche contemplate dallo Statuto speciale della Sardegna, riconosciuto quale strumento fondamentale per la promozione e l'implementazione dei diritti sociali dei cittadini sardi, a cominciare da quelli in materia di lavoro, sanità, istruzione, mobilità e accesso alle grandi reti energetiche, idriche ed informatiche;
CONSIDERATO che sono trascorsi tre anni dalla modifica del titolo III (Finanze - Demanio e patrimonio) dello Statuto speciale operata con legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) e che, anche alla luce di quanto suesposto, risulta oramai indifferibile rendere effettivo il nuovo regime delle entrate e in relazione alle nuove funzioni potenzialmente esercitabili definire le forme e le modalità di applicazione dei meccanismi perequativi, quantificare gli oneri derivanti dagli svantaggi strutturali permanenti, fissare i possibili ambiti di fiscalità di sviluppo, allentare i vincoli stringenti alla capacità di spesa imposti dal patto di stabilità interno;
ATTESO che oggi non si tratta di difendere puramente e semplicemente l'identità sarda e le prerogative dell'autonomia regionale dal centralismo statale, o di attivare una politica di mera rivendicazione verso lo Stato per i danni provocati dalle politiche nazionali, a cominciare da quelle avvenute in campo ambientale attraverso le concessioni statali per lo sfruttamento del patrimonio boschivo e minerario, con il gravame imposto dall'insostenibile carico di servitù militari o dall'inquinamento di siti industriali da parte di aziende statali, ma che il progetto di revisione dello Statuto speciale dovrà, viceversa, essere l'occasione per fornire alle istituzioni regionali il fondamento costituzionale, ideale e politico per perseguire politiche pubbliche idonee ad affrontare i deficit infrastrutturali e gli squilibri economici che affliggono la comunità sarda e l'occasione per preservarne e rafforzarne la specificità culturale e linguistica,
impegna il Presidente della Regione, la Giunta regionale e il Consiglio regionale
a dare avvio, ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto, all'iter legislativo per la revisione costituzionale del proprio Statuto speciale di autonomia sulla base dei seguenti principi da perseguire già nell'immediato in tutte le sedi e con tutti gli strumenti possibili:
1) diritto del popolo sardo al suo pieno autogoverno e alla gestione del suo territorio;
2) diritto del popolo sardo al pieno esercizio dei propri diritti sociali e al perseguimento di crescenti livelli di felicità e benessere;
3) definizione dei parametri oggettivi attraverso i quali implementare i meccanismi perequativi e computare gli oneri derivanti dagli svantaggi strutturali permanenti e da insularità;
4) previsione e definizione di ulteriori interventi utili a promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle competenze assegnate;
5) fissazione dei possibili ambiti di fiscalità di sviluppo, previsione di autonome politiche fiscali ed impositive a carattere locale e regionale, cancellazione dei vincoli alla capacità di spesa imposti dal patto di stabilità nazionale quando la programmazione finanziaria regionale sia coerente con gli obiettivi complessivi di contenimento della spesa nazionale e comunitaria;
6) individuazione di un più ampio elenco di materie e funzioni, a cominciare dalla tutela e valorizzazione dell'ambiente, dall'istruzione e dai beni culturali, in cui la Regione Sardegna possa esercitare la propria autonomia secondo parametri di efficienza, intesa sia in senso economico che di più ampia soddisfazione dei diritti sociali dei sardi e di salvaguardia della propria identità culturale, linguistica ed ambientale. (88).)
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Chiedo cinque minuti di sospensione in attesa che arrivino i colleghi.
PRESIDENTE. Sospendo i lavori per dieci minuti. La seduta riprenderà alle ore 10 e 25.
(La seduta, sospesa alle ore 10 e 12, viene ripresa alle ore 10 e 27.)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Uno dei presentatori della mozione numero 6 ha facoltà di illustrarla.
MANINCHEDDA (P.S.d'Az.). Signora Presidente, onorevoli colleghi, noi Sardisti abbiamo iscritto la parola indipendenza nel dibattito politico-istituzionale di questa legislatura. Francamente ci è parso di dare l'unico nome possibile a ciò che scrivono nei loro atti diverse forze politiche della Sardegna. Che significa altrimenti parlare di "diritto del popolo sardo a essere padrone del proprio futuro", come recita la nostra mozione, approvata il 24 febbraio del 1999 da questo Consiglio e richiamata oggi dai documenti di alcune forze politiche, o parlare di "poteri di autodeterminazione del popolo", come fanno alcuni, o affermare che "la Sardegna è una nazione con proprio territorio, storia, lingua, cultura e identità", cioè uno Stato, come fanno altri, o affermare e scrivere che "il popolo sardo reclama il diritto di decidere del proprio avvenire secondo quanto sancito dalla Carta dell'Onu, dall'Atto di Helsinki, dalla Carta di Parigi", facendo così riferimento ai documenti che disciplinano i rapporti tra gli Stati e le Nazioni, o paragonare la Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo alla situazione della Sardegna? Che significa tutto questo, colleghi, se non "indipendenza"? Noi Sardisti non siamo rivoluzionari, non pensiamo all'indipendenza come a un interruttore che scatta e realizza il suo compito. L'indipendenza è un processo, ma oggi è un processo in crescita di consenso. Vogliamo inibire questo consenso con tabù verbali oppure annacquarlo con parole inutili? Noi gli diamo il suo nome: indipendenza. Perché lo facciamo ora? Oggi il tema della sovranità è al centro della crisi dello Stato italiano e il tema all'ordine del giorno è proprio il nesso tra sovranità, libertà e risorse. La domanda è: come si partecipa a questa partita decisiva? In primo luogo con un pensiero proprio, autonomo, originale e non derivato da chi è più forte.
Vi dimostrerò, colleghi, quando parleremo di federalismo fiscale, quanto sbagli chi dice che la ricchezza prodotta in Sardegna non è sufficiente a finanziare le funzioni di sovranità a cui noi ambiamo. Come pure, colleghi, non seguite il pensiero debole di chi pretende che per rendere credibile la legittimità e la praticabilità dell'indipendenza si debba dimostrare la capacità di esistenza autarchica della Sardegna. Nessuno Stato al mondo vive separato dagli altri, ma non per questo affida la propria sovranità a chiunque o, peggio, se ne disinteressa. Noi proponiamo di stare a questa nuova coscienza indipendentista dei sardi, che è maturata, badate, senza cercare, per legittimarsi, motivazioni storiche, come si faceva nel Risorgimento. Il senso dell'indipendenza di oggi nasce dall'esperienza della responsabilità. In molti sono andati dalla Sardegna in giro per il mondo a lavorare, a studiare, a mettersi alla prova. Hanno sperimentato che la cittadinanza del mondo non ci è preclusa.
Le esperienze di lavoro, di istruzione e di cultura fatte dai sardi in Sardegna e fuori dalla Sardegna stanno alla società sarda di oggi come la Grande guerra è stata ai sardi di ieri: abbiamo coscienza del nostro essere storico e scienza delle nostre competenze. Noi oggi siamo come i reduci della Grande guerra avrebbero voluto essere: siamo capaci di governare le sfide che ci riguardano. In quale contesto abbiamo questa coscienza? Lo dico con convinzione, la situazione italiana attuale può essere così riassunta: la Costituzione della Repubblica italiana è in una crisi profonda di consensi nella società italiana. Non regge più il sistema dell'equilibrio tra i poteri dello Stato. E' in crisi il Parlamento, l'istituzione principe della democrazia; è in crisi il quarto potere, l'informazione; sono in crisi i diritti di cittadinanza; è in crisi la libertà, oppressa da una burocrazia irresponsabile e da una finanza che ormai gode di immunità e impunità; è in crisi la struttura unitaria dello Stato, il suo rapporto con i cittadini, le comunità, i comuni, le regioni, crisi che la riforma del Titolo V non ha minimamente sanato. L'esperienza delle autonomie locali, colleghi, ha posto all'Italia un problema risolto male dal Risorgimento e acuito dal fascismo e dal dopoguerra: il problema è quello di quale sia il luogo legittimo di residenza della sovranità. Le famiglie, i corpi intermedi, i comuni e le regioni sono ormai consapevoli che sono titolari di una sovranità originaria che li legittima a esercitare poteri originari. Questa coscienza mette in crisi ogni forma di autonomismo fondato sempre e comunque sull'idea di una sovranità centrale, esercitabile perifericamente solo per delega e sempre revocabile, come sappiamo bene, con il Patto di stabilità.
Anche l'attuale discussione sulla legge sul federalismo fiscale aggira il tema della sovranità perché lo teme. E allora cosa fa? Nasconde agli italiani che la potestà impositiva rimarrà sempre saldamente nelle mani del Governo centrale, in nome dell'unità. Poi afferma, però, che tendenzialmente le risorse fiscali torneranno alle Regioni in misura proporzionale alla ricchezza prodotta e al gettito realizzato da ciascuna di esse. Cioè il gettito fiscale, prelevato centralmente, sarà distribuito per rafforzare le differenze tra regione e regione, cioè andrà a rafforzare la realtà della diversità delle regioni d'Italia che smentisce l'esistenza stessa dell'unità. Queste sono le distorsioni dell'autonomismo e del regionalismo. Non fidatevi delle chimere perequative!
Non solo: il feticcio dell'unità raggiunge livelli di irrazionalità per noi sardi molto pericolosi. Per esempio, nei decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale si sta andando a definire, come loro sanno, i cosiddetti costi standard, cioè il costo dei servizi che garantiscono i diritti parametrati nelle regioni dove costano di meno e sono più efficienti. Dopo che il costo così parametrato verrà determinato varrà per tutti, cioè diventerà il costo nazionale. La Sardegna ha più o meno la stessa estensione della Lombardia, però ha su questo territorio 1 milione e 600 mila abitanti: sfido chiunque a dimostrare che le stesse funzioni (scuola, sanità, trasporti e quant'altro) esercitate qui da noi hanno lo stesso costo che in Lombardia. I costi standard sono egemonia non democrazia, ricordiamocelo.
E allora, colleghi, tutto questo ritegno in questo quadro a parlare di indipendenza ha ancora senso? Si teme l'affermazione contenuta nella nostra mozione sul disimpegno istituzionale della Sardegna, se ne ha paura. Ma la nostra affermazione a me sembra uguale agli appelli ripetuti in quest'Aula a rompere il Patto di stabilità, cioè a violare una legge dello Stato. A me sembra uguale, la nostra affermazione, all'idea di Pietro Soddu di smontare e rimontare diversamente lo Stato italiano. A me sembra uguale, la nostra affermazione, alle dichiarazioni di Antonello Cabras nelle quali egli afferma testualmente che è nostro dovere essere fedeli ai nostri bisogni e ai diritti di sardi piuttosto che alla Costituzione italiana quando essa non è più in grado di garantirli. Queste affermazioni non sono di disimpegno istituzionale? A me pare proprio di sì.
Occorre avere un pensiero indipendente, dunque, e impostare un percorso politico originale, che non parta dal presupposto debole e servile di non dare fastidio, di ottenere non ciò che è giusto, che è il compito della politica, ma solo ciò che è concesso e concedibile. L'Italia, badate, non reggerà con la finta unità del federalismo fiscale; la riforma che farà Calderoli sarà riformata, perché non si può affrontare il tema del fisco senza affrontare il tema della sovranità. E inevitabilmente l'Italia giungerà a riconoscere nelle sue regioni o macroregioni degli stati che delegheranno a una confederazione quota della loro sovranità. Solo con questa impostazione sarà possibile distinguere una fiscalità di stato-regionale da una fiscalità confederale per le funzioni più alte delegate alla federazione. Solo così sarà possibile comporre le diversità e rendere plausibile e sostenibile la solidarietà.
Noi pensiamo che non si possa dire, come affermano tutte le forze politiche sarde con accenti diversi, che si deve rinegoziare il patto con lo Stato e pensare di presentarsi al negoziato con un pensiero autonomistico, fondato solo sulla ragioneria delle funzioni delegabili. Se si va a trattare con un pensiero autonomistico si accetta che dall'altra parte si sieda il detentore legittimo della sovranità a cui chiedere concessioni. Il punto di partenza non può essere un pensiero autonomistico. Deve essere, invece, una forte coscienza della nostra sovranità, una formalizzazione di questa coscienza che tracci la rotta per il futuro, che manifesti allo Stato italiano che con noi si pone la questione della sovranità, che noi intendiamo realizzare nelle forme via via possibili. Noi Sardisti siamo d'accordo a dichiarare il principio dell'indipendenza separatamente dagli atti legislativi, per rendere praticabile l'attività legislativa nel contesto normativo attuale, perché questo significa essere riformisti e non rivoluzionari. Ma lo Stato deve sapere ufficialmente che con noi qualsiasi accordo è sempre e solo una tappa di un percorso: il percorso di costruzione del nostro stato, della nostra nazione e di noi stessi.
Con questa impostazione si può trattare. Ma questo richiede che noi abbiamo con noi il popolo. Per questo abbiamo sempre parlato di Costituente. Un'idea forte senza il popolo non ha valore politico. Lo abbiamo fatto con i Riformatori e con i sindacati. Oggi si obietta che una procedura quale quella da noi pensata rischierebbe di essere troppo lunga da realizzarsi. Allora, lo diciamo con convinzione, mettiamola così: trovate il modo di convincere il popolo e a noi sta bene, ma mai da soli, mai come élite aristocratiche, mai come élite presuntuose. Anche perché, diciamolo chiaramente, lo voglio dire scandendo le parole, nella coscienza dei sardi la Regione-istituzione ha gli stessi connotati dello Stato: accentratrice, inefficiente, burocratica, prepotente. C'è un potere dei sardi sui sardi che deve farsi perdonare, che deve fare i conti con le sue gravi responsabilità di parassitismo, di fuga dalle responsabilità, di autoritarismo con i deboli e di subordinazione con i forti. Noi abbiamo bisogno di un percorso autentico di catarsi, di pulizia, di recupero del senso del dovere e della fratellanza. Per noi la Costituente è questo, ma, ripeto, trovate un altro percorso che garantisca lo stesso risultato e per noi va bene, purché unisca la nazione sarda, purché finisca l'interdizione dei migliori che in questa terra ha sempre promosso il successo dei mediocri. Questo deve finire!
Devo concludere e tiro le somme. Noi chiediamo al Consiglio regionale di esprimersi in un ordine del giorno, che vorremmo scrivere con tutti voi, per l'indipendenza della Sardegna, intesa come costruzione dello stato sardo all'interno di un patto confederale con l'Italia. Chiediamo, cioè, l'atto politico di individuazione dell'obiettivo a medio termine, che fissi ufficialmente il presupposto politico e culturale con cui andare a trattare con lo Stato italiano. Varato questo ordine del giorno, in cui far confluire tutta la parte ideale dei documenti presentati, inviato questo ordine del giorno al Parlamento italiano, come propongono alcune forze, determinato dunque l'impegno politico alla costruzione dello stato sardo, chiediamo di definire le forme di partecipazione del popolo sardo alla fondazione di questo percorso di rinascita nazionale della Sardegna.
Fatto questo, siamo prontissimi a collaborare con le nostre proposte a un percorso consiliare che determini l'insieme delle riforme istituzionali, ma chiediamo che esso sia il più possibile unitario e coraggioso, cioè che abbia l'obiettivo di realizzare davvero il massimo di sovranità possibile e che ponga le premesse per aumentarla un domani cambiando noi, ma soprattutto cambiando noi l'Italia. Chiediamo che questo percorso si svolga entro dodici mesi da oggi, perché ci pare occorra mettere in sicurezza la Sardegna e proteggere il suo futuro sociale e politico.
Credetemi, colleghi, io non voglio convincervi delle cose che dico, chiedo solo che concediate che la vostra esperienza si confronti autenticamente con ciò che noi diciamo. E noi diciamo questo: lo Stato in Sardegna dobbiamo essere noi, perché diversamente lo Stato in Sardegna non sarà mai per noi.
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 20 ha facoltà di illustrarla.
FLORIS MARIO (Gruppo Misto). Non a caso, colleghe e colleghi, signor Presidente, abbiamo usato due parole: riforme e sviluppo. Concetti complementari e inscindibili, due valori assoluti nella storia dei popoli e quindi anche in quella della Sardegna, sono stati accostati l'uno all'altro in questa mozione che con i colleghi Cuccureddu e Mulas abbiamo presentato un anno fa, il 9 settembre 2009, all'inizio di questa quattordicesima legislatura: "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna. Già in quei giorni, un anno fa, sembravano maturi i tempi per avviare e rapidamente concludere un percorso virtuoso per affermare la più ampia autonomia economica, politica e istituzionale della Sardegna, realizzando la mai sopita aspirazione di popolo e di nazione, non isolati, non separati, non solitari, ma nazione e popolo in un'Italia federalista e federata, in un'Europa delle regioni, con piena dignità ed eguaglianza economica e sociale nell'evoluzione complessiva del progresso del mondo e con gli Stati che dovrebbero rappresentare le cornici e le cerniere dei diritti civili universali.
A un anno mezzo dall'avvio della quattordicesima legislatura, invece, e a oltre un anno dalla presentazione di questo documento, che ho l'onore di esporre all'attenzione dell'Assemblea e dell'opinione pubblica regionale, corriamo il rischio di non trovare le giuste, necessarie e opportune convergenze e consonanze, di perderci nel mare magnum delle recriminazioni e delle rivendicazioni, quindi di non conseguire l'obiettivo. C'è il rischio, cioè, che emergano e si consolidino separatismi ideologici, formalismi dannosi e impossibili da governare. E' un rischio, colleghe e colleghi, che non dobbiamo e non possiamo permetterci di correre per i futuri destini dell'Isola. Ogni concetto di separatismo sul tema delle riforme e dello sviluppo, ogni tentativo che lascia attrarre e fuorviare verso una tale concezione in questa fase politica straordinaria e irripetibile per la Sardegna, ogni idea di separare anziché di unire, ogni idea di separatismo anziché di unità non solo ci farebbe ricadere nella categoria dell'utopia, ma creerebbe i presupposti di arretramento rispetto alle speranze del popolo sardo di essere veramente artefici dei propri destini.
Mi ritornano in mente, colleghe e colleghi del Consiglio, alcuni concetti espressi dal Bellieni nelle sue lettere proprio sul separatismo, quello che lui definiva il pericolo separatista. Avvertiva il Bellieni, per esempio, che la concezione separatista pur essendo utopistica colpisce più vivamente e impressiona l'animo delle folle. Rilevava anche che "la formula separatista è senza dubbio la più semplice e la più diretta rispetto a quella autonomistica". "Coltivare ancora delle illusioni al riguardo", avvertiva Camillo Bellieni, "ci pare un imperdonabile errore". "Errore ancora più grave", soggiungeva, "è per noi non cercare in tempo utile, con tutti i mezzi opportuni, di arginare un pericolo di tal genere, un pericolo di simili illusioni che finirebbero per diventare, forse, gravemente dannose e per compromettere i futuri destini dell'Isola". Ecco, i futuri destini dell'Isola e il tempo utile, due richiami che ci riportano alla realtà di oggi. I futuri destini della Sardegna sono ora nelle nostre mani e noi dobbiamo cercare in tempo utile tutti i mezzi e gli strumenti opportuni perché il futuro della Sardegna e dei sardi sia un domani di progresso, di sviluppo, di affermazione civile del popolo con la sua storia e i suoi incommensurabili e irripetibili patrimoni di cultura, di arte e di tradizione.
Il dibattito che oggi stiamo affrontando è importante, direi fondamentale per conseguire gli obiettivi a tutti cari. Il percorso da fare è tanto, lungo, faticoso, impegnativo, ma è qui alla partenza che devono emergere la buona volontà e l'animo del combattente. Non abbiamo la pretesa di ottenere subito risultati o di proporre soluzioni definitive. Oggi siamo chiamati ad affermare principi, a fissare obiettivi, a indicare percorsi, strategie e tempi, ad assumere con chiarezza impegni coerenti per tutti noi di fronte alla gente, all'opinione pubblica e alle parti vive della società, che dovranno concorrere anch'esse alle scelte per le decisioni che le regole della democrazia hanno affidato alle nostre capacità, alle nostre intelligenze, alla nostra onestà culturale e politica, alle nostre coscienze, al nostro ruolo di rappresentanti del popolo sovrano. Andare oltre questi temi e questi limiti, secondo la nostra posizione, rappresenterebbe un tentativo di fuga in avanti, un volersi attribuire primogeniture che in una materia come questa nessuno può avere.
La storia delle riforme è lunga, viene da lontano ed è purtroppo lastricata di remore e insuccessi per lo più dovuti alla debolezza della classe politica e culturale isolana, alle divisioni che ci hanno visti contrapposti o anche a finti unanimismi che non hanno conseguito i risultati ipotizzati oppure solo parziali e modesti successi. Il dibattito e il confronto sul Titolo III dello Statuto (non mi riferisco all'articolo 8) hanno consentito di catalogare il problema, anche se in conclusione non si è riusciti a conseguire una posizione unitaria per il prevalere di posizioni di parte tra le questioni fondamentali della Regione. E' vero che senza reale e adeguata autonomia finanziaria non può esserci reale, concreta e totale autonomia politica, ovvero la nostra specialità autonomistica non potrà assumere dimensioni di reale autogoverno, di popolo e di nazione che hanno completamente completa capacità politica, giuridica e istituzionale per determinare il proprio destino, il proprio futuro nell'unità dell'Italia e dell'Europa. Questi concetti sono emersi come punti focali del confronto della scorsa settimana. Non siamo stati capaci di tradurli in sintesi per il prevalere di particolarismi, un pericolo che oggi non possiamo correre se veramente vogliamo aprire finalmente la stagione delle riforme e insieme costruire lo strumento dello sviluppo, del progresso civile ed economico del nostro popolo, della Sardegna intera.
Riforme: una parola magica, piena di significati, di speranze e di timori insiti anche nelle stesse nostre condizioni umane. Il significato letterale del termine porta a dire che dobbiamo dare alla nostra autonomia, nei simboli e nella sostanza, una nuova e migliore forma; non semplici correzioni di formule e di rotta, ma un grande rinnovamento nelle istituzioni politiche e amministrative, nell'ordinamento e nell'organizzazione, verso obiettivi e traguardi di progresso e di modernità, conservando e valorizzando le nostre specificità storiche, culturali, sociali ed economiche che fanno della Sardegna e del nostro popolo un unicum nel Mediterraneo e nel mondo, vero faro di civiltà, ma anche attrattore di fattori positivi, essa stessa la Sardegna, fattore di uno sviluppo moderno capace di valorizzare ogni elemento del nostro patrimonio naturalistico e ambientale, che è patrimonio dell'umanità.
In questo fronte, colleghe e colleghi, non possono esserci distinzioni e divisioni. Dobbiamo cercare di essere sardi e al tempo stesso cittadini del mondo; un mondo che continua in ogni angolo e nel divenire quotidiano a ricercare pace e sereno sviluppo, lavoro, occupazione per ogni donna e per ogni uomo, per le giovani e i giovani di oggi e di domani, per le famiglie, per le piccole come per le grandi comunità, per i popoli, per le nazioni, per i continenti, senza distinzione di razza e di religione. L'autonomia della Sardegna ha anche questi obiettivi nella sua forma e nella sua sostanza, ha questi compiti nel nostro piccolo grande mondo, che rappresentano l'essenza della democrazia nella formazione dei nostri ideali. Autonomia non vuol dire separatezza e isolamento; vuol dire esercizio di poteri e di decisioni, ma anche condivisione di regole e di obiettivi. Nel dopoguerra, nei giorni della Costituente, nel 1948, quando vennero approvati la Costituzione repubblicana e gli statuti di autonomia per la Sicilia e per la Sardegna, furono fatte le grandi scelte dello Stato repubblicano. Una di queste grandi scelte fu certamente quella di uno Stato decentrato - annotava tra l'altro, nel ventennale della Regione, il Presidente del Consiglio regionale di allora, Paolo Dettori, il 1° febbraio 1969 - fondato sulle libertà locali. Libertà locali e regionali, per l'appunto, non organo di mero decentramento amministrativo; libertà che ci indicano la strada e ci richiamano la strada della responsabilità delle scelte e delle decisioni in quanto esercizio, il più alto, della democrazia del potere autonomistico. Libertà che sta a noi in questo momento storico esercitare ed è questo il significato più diretto e profondo della mozione che abbiamo presentato.
L'obiettivo primario della nostra mozione era ed è quello di una sessione speciale del Consiglio regionale, nella quale noi tutti come forze politiche organizzate, espressioni del popolo sardo, e i singoli consiglieri regionali come rappresentanti della volontà popolare si sia liberi di esprimere senza alcuna riserva mentale le proprie convinzioni, le proprie posizioni, le proprie proposte avendo di mira un obiettivo comune, un nuovo avanzato statuto di autonomia come presupposto di linee strategiche innovative e moderne per un vero e duraturo sviluppo della Sardegna, in un nuovo quadro di politica economica e sociale, per superare il gap che separa la Sardegna e i sardi dalla parte più progredita dell'Italia e dell'Europa.
Con la nostra mozione abbiamo inteso riaffermare, colleghe e colleghi, il principio che lo Statuto è il fulcro dei nostri poteri autonomistici e di autodeterminazione, così abbiamo testualmente scritto, ma abbiamo anche affermato il suo ruolo irrinunciabile di regolatore della convivenza civile e del progresso sociale ed economico della Sardegna. Con la riforma del Titolo V della Costituzione è stata definitivamente annullata l'articolazione verticistica della Repubblica italiana: la Regione con lo Stato e con gli enti locali hanno una dignità costituzionale paritaria, ciascuno con proprie competenze e responsabilità regolate da reciproca e leale collaborazione. La legge delega numero 42 del 2009, sul federalismo fiscale, è il corollario che sostanzia il ruolo, le competenze e le responsabilità. La stagione delle riforme che direttamente ci riguardano ha queste due mete, che trovano la sintesi nel nuovo Statuto di autonomia. A questo appuntamento dobbiamo arrivare uniti, ma dobbiamo anche arrivarci con quello spirito di leale collaborazione che deve caratterizzare il rapporto della Regione con lo Stato e dello Stato con la Regione. Questo rapporto, io credo, deve essere perseguito e sostenuto con lungimirante determinazione, con unità sostanziale di volontà e di intenti, senza rivendicazioni di primogeniture da parte di chicchessia, per chiedere al Governo e al Parlamento il rispetto del dettato costituzionale e con il Parlamento e il Governo, ragionare non per far emergere azioni o posizioni di forza, ma le ragioni dei diritti di un popolo, il popolo sardo: diritti politici, giuridici, economici, sociali, culturali e diritti naturali di eguaglianza nell'accezione complessiva del termine.
La mozione da noi presentata va al cuore di questi aspetti e di queste problematiche complessive, dà atto che tutte le forze politiche che si sono proposte a governare la Sardegna hanno posto a base dei loro programmi l'impegno prioritario verso le riforme, l'economia, il lavoro e l'occupazione. Ma la mozione mette in evidenza anche che questa quattordicesima legislatura può rappresentare il momento storico perché la Sardegna possa uscire finalmente e definitivamente dalla condizione di arretratezza e di sottosviluppo, nella quale da tempo è relegata, attraverso un progetto che partendo dal ruolo e dalla funzione strategica che la nostra Isola ha nello scacchiere degli equilibri territoriali europei per la stessa sicurezza, per la pace dei popoli veda riconoscere alla Sardegna e ai sardi, attraverso lo Statuto sardo di autonomia e il patto per il federalismo che dobbiamo contrattare e sottoscrivere con lo Stato prima e con l'intero sistema delle autonomie locali poi, quei poteri di autonomia e di indipendenza politica, economica e finanziaria che sono propri di una Repubblica federale.
Quando, alcune settimane fa, ci siamo incontrati ad Abbasanta e qualche giorno dopo in via Ancona, a Cagliari, su pressante invito delle forze sociali, abbiamo avuto la sensazione che avessimo imboccato la strada giusta, un percorso comune per conseguire gli obiettivi che l'intero popolo sardo attende, una sensazione che questo dibattito può far diventare realtà.
Colleghe e colleghi, sessant'anni di vita autonomistica dimostrano che è tempo di superare vecchie contrapposizioni e antiche barriere dal sapore ideologico. Deve essere riscoperta una più forte e autorevole centralità dell'Assemblea regionale che non si limiti al solo potere legiferante, ma valorizzi anche i poteri ispettivi e di verifica, di equilibrio, quindi, con il presidenzialismo che, come ha di recente osservato il Presidente del Senato, non deve essere visto come sinonimo di autoritarismo, ma come corollario del principio di responsabilità. Principio di responsabilità che ci ha portati ad affermare sin dall'inizio di questa legislatura e ci porta a ribadire oggi che la questione delle riforme istituzionali regionali è non solo necessaria, ma urgente per le molte gravi emergenze che colpiscono il tessuto economico e sociale della Sardegna. E' necessaria perché nessuna di queste emergenze può essere superata senza una Regione capace di esprimere e di rappresentare con forza gli interessi della Sardegna avendo a disposizione poteri, risorse e strumenti che consentano di definire politiche regionali adeguate e durature. E' urgente perché urgenti sono le questioni che ci interpellano. E' urgente perché la natura e la dimensione delle questioni da affrontare richiedono una robusta elaborazione che manca o è appena avviata. E' urgente perché per molti aspetti i procedimenti sono complessi e si rischia di far passare inutilmente la legislatura.
Occorre, quindi, a mio giudizio una scossa, signor Presidente, perché il dibattito decolli rapidamente e si concentri su punti decisivi. Il confronto oggi soffre di una mancanza di respiro; preme il problema delle risorse nel quadro del dibattito nazionale sul cosiddetto federalismo fiscale. La Regione deve certamente elaborare una propria linea per garantirsi un quadro finanziario adeguato, sapendo che le decisioni di oggi peseranno negli anni a venire. Nel confronto con lo Stato scontiamo un ritardo di conoscenze e di elaborazione. Dobbiamo sottrarci a un'impostazione meramente economicista, di razionalizzazione e riduzione della spesa imposta dallo Stato, per affrontare il tema delle entrate nel quadro più generale della questione sarda e del rilancio della nostra specialità. Il tema delle risorse non può essere slegato da quello delle funzioni e delle ragioni più profonde dell'autonomia. Il rilancio dell'autonomia non riesce ad andare oltre il problema, l'abbiamo sentito, lo sentiremo, del percorso più adeguato per affrontare i temi delle riforme: Assemblea costituente, Consulta, ruolo del Consiglio e chi più ne ha più ne metta. E' un banco su cui il dibattito si è arenato negli anni passati, ha consumato energia e attenzioni, ha divaricato le posizioni, al punto che oggi quasi non si può avviare il confronto senza riproporlo in termini ancora immutati. La questione del metodo ha oscurato quella dei contenuti. Il problema del procedimento, o se preferiamo dell'organo, è certo rilevante e andrà studiato e risolto avendo cura di rendere agevole il percorso e l'efficacia sul piano giuridico e istituzionale delle proposte, ma è un aspetto strumentale e funzionale rispetto alla forza della proposta. Anticiparlo e dargli rilievo di presupposto essenziale di ogni altro ragionamento strozza il dibattito sul nascere. Ciò che ora occorre è allargare il dibattito, portarlo in una prospettiva più ampia, puntare a una sintesi più avanzata. Bisogna dunque, almeno in prima istanza, uscire dall'eterna diatriba del metodo, per spingersi a individuare contenuti, elaborare proposte, immaginare soluzioni in una prospettiva di lungo respiro. Serve un atto d'iniziativa e l'onere grava sull'organo che ha la responsabilità politica e istituzionale della più ampia rappresentanza, la maggiore sede di dibattito politico: il Consiglio regionale. Tocca a noi, colleghe e colleghi, dare concretezza a queste proposte, a queste speranze, per il futuro della Sardegna.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Capelli. Ne ha facoltà.
CAPELLI (U.D.C.). Vorrei fare una breve premessa, Presidente. Nella mia modesta azione politica io ho cercato di avere come faro la coerenza, perciò prima di ricevere i richiami della minoranza, preferisco sottoporre a lei e all'Aula la mancanza di rispetto che c'è verso l'illustrazione delle mozioni fatta dai colleghi, in questo caso Maninchedda e Floris, poi verranno gli altri, per l'assenza dell'unica figura politica della Giunta regionale. Lo dico con tutto il rispetto in particolare per l'assessore Corona, che ringrazio della sua presenza. Ma noi stiamo parlando, o dovremmo parlare, in una sessione straordinaria delle riforme, del futuro della Sardegna.
Abbiamo iniziato male e perciò, prima di ricevere richiami dalle opposizioni, rimarco l'assenza del Presidente della Regione. Questo ho fatto nella passata legislatura, più volte, per l'assenza costante del presidente Soru, credo che in questo caso sia nostro dovere richiamare il Presidente della Regione in Aula, affinché quantomeno assista all'esposizione delle mozioni e al conseguente dibattito.
PRESIDENTE. Poco prima che iniziasse la seduta l'assessore Corona mi ha fatto presente che il Presidente sarebbe arrivato in mattinata, in quanto impegnato in un intervento nella Conferenza regionale per la ricerca e l'innovazione.
CAPELLI (U.D.C.). E' più importante questo dibattito, per me!
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 27 ha facoltà di illustrarla.
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Il collega Capelli, giustamente, è spesso più celere di noi nel segnalare un'assenza vistosa ed evidente, ma tutto sommato anche abbastanza attesa. In effetti, l'avvio di questo dibattito è sembrato quasi un colpo allo stomaco, a freddo, perché? Perché abbiamo aperto un dibattito senza che la Commissione autonomia abbia svolto alcuna istruttoria sul tema. Anzi, a dire la verità, la Commissione autonomia, appena insediata, ha affrontato questo problema su sollecitazione del Presidente, ma bisogna anche ricordare le parole di quella seduta, in cui i colleghi della maggioranza ci dissero: "Non possiamo andare avanti, perché non sappiamo cosa vuole il nostro partito", cioè la maggioranza. Di che partito stiamo parlando? Di un partito che voleva verificare l'esigenza di procedere sul tema delle riforme e del nuovo Statuto. Peccato che quel partito sia il partito che è nato su un predellino, cioè un partito che impersona la concezione padronale dei rapporti istituzionali, dal quale in effetti risposta non è mai arrivata.
E' a freddo, il colpo allo stomaco, perché noi sappiamo che qualunque tipo di ragionamento faremo sulle riforme deve tener conto del contesto. Ora, io non ho niente da dire, ognuno dice le cose che vuole, però, presidente Cappellacci, io la invidio, perché lei vede una nuova era che si affaccia. Non ho capito di che cosa parli! Apprezzo anche il suo ottimismo, nel momento in cui dice: "Ci apprestiamo a riscrivere senza titubanze e autocensure la nuova Carta dei diritti". E' possibile che noi non la vediamo, però credo che siamo un po' fuori tema! Siamo un po' fuori tema, perché è da venti o trent'anni che parliamo di questo argomento. E vorrei fare brevemente memoria per ricordare che nei primi decenni, dopo la conquista dell'autonomia, questa era diventata un mito, una tradizione, poi un culto, una grande utopia, perché? Perché risiedeva in gran parte in quella classe dirigente che si era spesa per la lotta autonomistica e ne aveva assaporato i limiti, ma anche i pregi. Ormai sono passati tanti decenni, noi non siamo coloro che hanno vissuto quel tempo e allora il mito, il culto, l'utopia sono stati via via ridotti, come testimoniano i passaggi, gli scritti, le frasi, gli articoli, i luoghi comuni che in questi trenta o quarant'anni sono stati esibiti, e rischiamo sempre di più di ridurre l'autonomia, o la declinazione di questo termine, a uno dei tanti slogan del teatrino della politica, volto a una finalità, diciamo, di esibizione pubblica, di padronanza degli argomenti, piuttosto che declinato sul terreno della volontà concreta di segnare il cronoprogramma intangibile del suo conseguimento.
Questo non è avvenuto, questo non sta avvenendo neanche oggi, e probabilmente - lo dico in parte anche per rispondere alle sollecitazioni del collega Maninchedda, dato che noi siamo d'accordo con lui sul fatto che si passi dalle chiacchiere ai fatti - sarà necessario verificare la volontà di quest'Aula di fare un passaggio concreto, poi vedremo in che misura, portando tutto il materiale presentato a una sintesi, che deve essere obbligatoriamente fatta in una sede che raccolga e medi l'obiettivo minimo che oggi vorremmo porci. Non per altro, perché questi documenti ripropongono ancora la nenia che abbiamo sentito e vorremmo capire se siamo ancora nella disputa dei mezzi o siamo nel cuore del dibattito sul merito. E' sopito, è superato il grande dialogo sull'Assemblea costituente, sul ruolo del Consiglio? Vorrei che si dicesse qualcosa di concreto anche sul ruolo dei terzi, perché c'è un ruolo istituzionale e ci sono dei ruoli sociali. E, badate, non è mica vero che faccia parte della cosiddetta partecipazione globale al processo di riforme il fatto che i sindacati, che hanno istituzionalmente compiti diversi, occupino uno spazio della nostra inerzia per proporsi come protagonisti di attivismi, di organismi, e così via. E' esattamente una denuncia! E' una denuncia perché, badate, la richiesta di una riforma presupporrebbe la ricollocazione corretta di tutti i soggetti negli ambiti che le regole affidano loro. Allora bisogna sapere se noi siamo davvero padroni di questa condizione.
Bisogna uscire dalla retorica e dall'autoreferenzialità sull'argomento perché, lo diceva giustamente Maninchedda, questo Consiglio il 24 febbraio del 1999 ha approvato una mozione in cui ha affermato il primato della sovranità della Sardegna nell'ambito, e anche nel rispetto, dell'unità nazionale. Sarebbe curioso ripercorrere il saliscendi da allora a oggi dei nostri comportamenti, coerenti o meno coerenti, rispetto a quell'obiettivo. Vedete, quello è un punto che ci dice che possiamo scrivere tante cose, ma quando tutto è scritto e pronunciato, non c'è nulla che porti atti tangibili e continua a esservi in Sardegna un ruzzolare tra noi degli stessi argomenti, senza impegnare concretamente, in maniera cogente, l'altro interlocutore fondamentale, cioè lo Stato, in un dibattito che non deve concludersi oggi o domani, ma che per lo meno deve cominciare a entrare nel merito delle questioni, noi rischiamo di fare un altro passaggio simile, molto simile a quello che è stato fatto il 24 febbraio del '99.
Si potrebbe dire: noi dobbiamo anche interpretare i segni, siamo parlamentari di questo tempo, siamo chiamati dai nostri elettori a declinare dei doveri e delle esigenze di questo tempo. Domanda: siamo in un contesto nel quale i sintomi avvertibili ci autorizzerebbero a dichiararci costituenti capaci, naturalmente vocati, irreprensibilmente intransigenti sulla linea da intraprendere? Perché, vedete, se la mattina affermiamo che ci possiamo fidare delle parole del sottosegretario Vegas e la sera veniamo qui a parlare della sovranità, io vi dico che non c'è e non ci sarà mai nessun autonomista vero che possa fidarsi della parola di un esponente del Governo nazionale, perché l'autonomia presuppone che anche in condizioni di affinità politica il rapporto sia sempre conflittuale, pattizio, fino a ottenere la ragione di quegli obiettivi. E ottenendo la ragione di quegli obiettivi bisogna anche saper riconoscere che quell'interlocutore, quella parte dello Stato ha rispettato il livello di sovranità e di diritto che ci è stato dato. Non una conflittualità fine a se stessa, quindi, ma una conflittualità finalizzata alla realizzazione di un'autonomia che esiste già e che forse ha bisogno di avere dei confini più alti.
L'altro passaggio è avvenuto sempre intorno al '99: che dire, colleghi, della totale inattuazione o mancata attuazione dell'Intesa istituzionale di programma? Anche quello era un luogo nel quale iniziava un confronto serrato su alcuni punti che, in qualche modo, rimuovevano le incrostazioni di una nuova propulsione dello Stato a invadere tutti i gangli dell'autonomia e della specialità. Inattuata, inevasa!
Credo che dovremo fare questa riflessione, perché noi davvero vorremmo impegnarci, da domani, sulle cose concrete, con un impegno che ristabilisca il sentimento prima di tutto, e non la nostra autoreferenzialità rispetto a questo problema, perché il popolo, quello che si chiama società, non si innamorerà più dei nostri discorsi in quest'Aula, ma si innamorerà della ricostruzione di un livello di utopia dell'autonomia per la quale lottare tutti insieme e non differenziarsi. Noi rischiamo che la conclusione di questo dibattito - qualunque essa sia - sia una soluzione soltanto tra noi, che non comporta nulla nei confronti di uno Stato che, secondo me, ci marcia da un po' su queste nostre divisioni, ottenendo oggettivamente quello che gli pare, compreso quello che spetta dalla battaglia sul federalismo.
Io non sono spaventato e credo che nessuno di noi, se esistesse davvero questa volontà attuativa, si potrebbe spaventare o potrebbe muovere censure sui diversi termini. Qualcuno dice: "Sovranità? Ehi, attenzione!". Sovranità lessicalmente vuol dire "sommatoria dei poteri riconosciuti a un soggetto"; non è niente di preoccupante sul piano lessicale, eppure noi siamo stati in altri tempi costituzionalmente censurati nell'uso di questo termine e forse dovremmo cominciare a fare un approfondimento, tra noi, dei termini che usiamo, perché se l'obiettivo vero è l'autonomia non dobbiamo neanche ingarbugliarci sui termini, che a volte dicono e a volte non dicono. Io potrei chiedervi: che cos'è l'indipendenza? L'indipendenza può essere un disegno utopistico, può essere un qualcosa che mette in discussione l'unità nazionale, ma potrebbe anche essere la strada naturale segnata dall'articolo 116 della Costituzione, che dà alle Regioni speciali una prerogativa del tutto inesplorata, perché per poter dire che cosa comporta quell'articolo dovremmo aver potuto cimentarci fino in fondo su quel terreno.
Per cui io ritengo che non si debbano esprimere pregiudizi sui termini, ma che debbano raccogliere le volontà e tradurle in un atto concreto, in un atto possibilmente unitario del Consiglio regionale, che fa una scelta di fede preventiva e dice: "Prima di appartenere al Partito Democratico, al Partito del Popolo della Libertà, all'Unione di Centro o a quello che vi pare, noi siamo sardi e su questo punto non accettiamo condizioni di distinzione, da qualunque parte esse provengano". Se un ordine del giorno o una risoluzione contenesse questa sorta di giuramento, che bisogna però avere il coraggio di fare una volta per tutte, per poter avere la forza e la base concettuale per fare il passaggio successivo, che è il passaggio del mare, è il passaggio che traduce questo profilo nell'apertura di un tavolo romano, un tavolo paritetico fra Regione e Stato che apra una stagione di rilettura aggiornata del nostro patto costituzionale, potremmo in quella sede far naturalmente liberare le nostre peculiarità. Io ritengo che queste peculiarità, che culturalmente contengono tutte un aspetto di rispettabilità, debbano essere valorizzate perché vanno nella direzione dell'esaltazione del ruolo di specialità della Sardegna, che è solo la precondizione di un governo diverso da quello di oggi. E bisogna anche fugare un altro luogo comune, quello di chi non crede nell'autonomia e la richiama solo per dire: "Siccome io chiedo l'autonomia vi sto promettendo una qualità di governo diversa". Noi potremmo avere l'autonomia migliore del mondo, ma se fossimo accompagnati da una classe dirigente scadente avremmo comunque un governo scadente. E lo dimostrano i fatti di oggi, perché quello che si è concretato anche in questi ultimi anni - parlo così perché non voglio generare profili di contrasto nei confronti di questa maggioranza che possano indurla ad opporre resistenza a un dialogo libero, perché errori ne hanno fatto tutti -, salvo piccolissimi spunti di rivalsa, è un graduale arretramento rispetto a quello che avremmo potuto ottenere.
Fondamentalmente abbiamo fatto questo ragionamento anche sul tema delle nuove entrate, però, vedete, se esistesse il giuramento di cui parlavo prima anche su questo argomento probabilmente non ci saremmo divisi. E quella è una partita dell'autonomia, non è una partita della gazzosa! Discutere, una volta tanto, delle tre parti sostanziali sulle quali dobbiamo confrontarci con lo Stato, ovvero il ruolo della Corte costituzionale in materia di controllo, il ruolo della legittimazione, cioè la possibilità di darci una legge elettorale che rispetti le condizioni nelle quali noi viviamo e vogliamo essere legittimati, e i rapporti finanziari sono i tre perni sui quali si misura anche la sincerità con la quale noi ci rapportiamo a questo tipo di argomento. La nostra sollecitazione alla discussione era tesa a chiedere se c'è davvero - noi siamo pronti - questa volontà.
E' vero che il Presidente della Regione non c'è, e questo dice molto. Per noi sarebbe sufficiente per dire che siamo a un passaggio ordinario, perché la mancata presenza, anche silenziosa, del Presidente della Regione, nel rispetto che deve avere nei confronti del Consiglio su questo argomento che sta al di sopra di qualunque impegno, anche di un richiamo del Presidente del Consiglio dei Ministri, perché questo è l'argomento centrale della vita dell'autonomia, è in qualche modo un elemento che non ci aiuta, diciamo così, e non dà certezza e solennità a questo appuntamento, che ha l'obiettivo di dialogare, certo, ma dovrebbe avere anche l'obiettivo di fare una sintesi concreta. E la sintesi concreta deve essere fatta, perché questi documenti esprimono un aspetto di sincerità di fondo, io credo, verso questa necessità, ma se rimanessero cose scritte che ci passiamo tra i nostri banchi senza raggiungere Roma, la capitale della nostra Nazione, per porre l'esigenza allo Stato di aprire un tavolo per il nuovo regime di federalismo, ma anche per rinegoziare il patto costituzionale, rimarrebbero un evento simile a quelli che si sono succeduti in questi anni.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, siamo alla conclusione dell'illustrazione delle mozioni oggi in discussione. Con l'illustrazione della quarta mozione, la numero 46, presentata dai colleghi Contu, Dedoni e Cuccu, si conclude la seduta odierna, per poi riprendere i lavori domani. Noi non possiamo non rilevare l'assenza della parte più rilevante della Giunta regionale, e lo facciamo di mala voglia, perché in Conferenza dei Capigruppo abbiamo accettato, condiviso e in parte orientato la decisione che questa discussione fosse solenne, straordinaria, svincolata dai giochi di Gruppo e di partito, e manifestasse al popolo sardo l'unità totale, la ricerca quantomeno dell'unità delle forze politiche, nel tentativo addirittura - e questo è un obiettivo eccezionale a cui noi non ci sottrarremo - di coinvolgere in questo dibattito tutto il popolo sardo.
Signora Presidente, dobbiamo dire che questa assenza è inaccettabile a conclusione dell'illustrazione delle quattro mozioni, la più importante delle quali è forse proprio la quarta, che pone implicazioni e rivendicazioni nei confronti dello Stato e nei confronti della storia della Sardegna assolutamente importanti, innovative e per certi aspetti rivoluzionarie. Non so chi la illustrerà, forse il decano dell'Assemblea, l'onorevole Felice Contu, ma è una mozione di tale rilevanza che la contemporanea assenza del Presidente della Regione, del Vicepresidente della Giunta regionale e dell'Assessore alle finanze, cioè del grosso della Giunta, è francamente insopportabile e offensiva delle ragioni che hanno portato tutto il Consiglio regionale ad aprire una sessione così importante!
Ai convegni vanno gli Assessori delegati, il Presidente deve stare qui in Consiglio! Il Consiglio è più importante dei convegni! Anche se nessuno nega l'importanza della convegnistica, questa seduta non può concludersi - ma di fatto si concluderà stamattina, perché la stiamo chiudendo con l'illustrazione della quarta mozione - con l'assenza quasi totale della Giunta, con tutto il rispetto e l'apprezzamento per i due Assessori che stanno presenziando ai nostri lavori.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Noi riteniamo grave l'assenza del Presidente della Regione anche per un altro motivo. Quindici giorni fa abbiamo presentato una mozione che non riguardava un tema svincolato da quello che affrontiamo in questa sessione sulle riforme, anzi abbiamo detto chee con la mozione sull'applicazione del nuovo regime delle entrate iniziava di fatto la sessione sulle riforme. Tra l'altro analoga mozione era stata presentata dal Gruppo dell'U.D.C. Ricordo che in quella data abbiamo concluso la discussione con la decisione della maggioranza di non votare la nostra mozione, ma di votare un ordine del giorno che avrebbe dovuto tener conto del fatto che, sulla base delle indicazioni fornite dal sottosegretario Vegas e delle rassicurazioni fornite alla Giunta regionale, il 20 settembre si sarebbe riunita la Commissione paritetica per esaminare lo schema di norme di attuazione e si sarebbe detto alla Sardegna: "E' tutto risolto, abbiamo le risorse, abbiamo le entrate previste dall'articolo 8".
Oggi, l'assenza del Presidente della Regione e degli Assessori competenti non ci dà la possibilità di essere aggiornati: non sappiamo se la Commissione paritetica si sia riunita, non sappiamo a quale conclusione sia arrivata, se si continua un percorso oppure, così come ha detto solennemente il Presidente della Regione, se ne debba intraprendere un altro. Prima di scrivere un nuovo Statuto bisogna attuare lo Statuto vigente e difenderlo in tutte le sedi. Noi avevamo chiesto in quella sede di aprire il conflitto di attribuzione e di impugnare ogni legge finanziaria che non contenesse l'indicazione di quelle risorse. Avevamo anche preannunciato una mobilitazione che comunque ci sarà, presidente Lombardo, sabato 25 settembre.
L'assenza del Presidente della Regione è grave anche perché non abbiamo elementi che diano al Consiglio regionale, in termini di chiarezza, la percezione di un percorso che non si sa se sia cominciato e con quali strumenti sarà portato avanti. Ecco, è arrivato il Presidente della Regione, che immagino ci fornirà adesso, in merito anche alla riunione della Commissione paritetica, che noi sappiamo doveva riunirsi ieri, tutte le notizie utili per permettere al Consiglio di intraprendere eventualmente altre iniziative istituzionali.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.
DIANA MARIO (P.d.L.). Io sono rimasto piuttosto sconcertato dall'intervento del collega Salis. Mi aspettavo che le cose non andassero e non le si volesse far andare come avevamo deciso in Conferenza dei Capigruppo.
Nel momento in cui questo Consiglio regionale, parlo di questo Consiglio regionale, in assenza di documenti presentati dalla Giunta, in assenza di mozioni, si arroga il diritto - e io credo che ne abbia la piena legittimità - di discutere ciò che i Gruppi politici hanno presentato alla sua attenzione, sollevare un problema di questo genere mi pare che sia fuori luogo. Poi il collega Bruno ovviamente ci ha messo del suo, ma è stato smentito, perché il Presidente della Regione è qua.
Non me ne voglia il presidente Cappellacci, ma credo che sollevare un problema di questa natura nella giornata odierna, in cui noi consiglieri regionali dobbiamo cercare di delineare un percorso senza neanche entrare nel merito dell'argomento, perché così abbiamo deciso, significhi voler minare fin dall'inizio quello che deve essere il percorso di una grande giornata, di un grande periodo...
(Interruzione del consigliere Salis.)
DIANA MARIO (P.d.L.). Non mi interrompa collega Salis, perché io non sono disponibile ad accettare il suo comportamento, così come non sarei stato disponibile ieri notte ad ascoltare il suo leader. La prego veramente di non interrompere.
Dico solo che in una giornata così solenne come questa, come dagli interventi che ci sono stati, mi è parso di capire, sollevare un problema di questo genere è quanto meno fuori luogo.
PRESIDENTE. Proseguiamo con l'esame del punto all'ordine del giorno.
Uno dei presentatori della mozione numero 46 ha facoltà di illustrarla.
CONTU FELICE (U.D.C.). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, pochi minuti fa il collega Gian Valerio Sanna ha dichiarato che il dibattito che si tiene oggi in quest'Aula è un dibattito freddo, probabilmente senza pathos. Io potrei anche condividere questa opinione, avendo partecipato ad altri dibattiti, ad altri momenti certamente più solenni e anche più entusiasmanti. Tuttavia questo dibattito su un tema così importante come quello di cui trattiamo oggi onora la nostra Assemblea e certamente induce tutti noi a riflettere e a partecipare.
Devo dire subito, per onestà intellettuale, che la mozione che ho presentato, unitamente ai colleghi Cuccu e Dedoni, che ringrazio per avermelo consentito, a norma di Regolamento, non è frutto della mia attività intellettuale, ma è invece il risultato del lavoro degli amici della Fondazione Sardinia. Questa mozione ha preso, diciamo, la veste di ordine del giorno voto, ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto sardo. E' ovvio che il documento della Fondazione Sardinia io lo condivido, se no non l'avrei sottoscritto.
Perché ordine del giorno voto e non semplice mozione? Perché la mozione si configura come interna corporis, cioè rimane dentro questa Assemblea; l'ordine del giorno voto previsto dal nostro Statuto, invece, per legge costituzionale va al Parlamento italiano. Io che sono un po' la memoria storica - consentitemelo - di questa Assemblea, ricordo che l'unico precedente, ovvero la sola altra volta in cui il Consiglio regionale sardo approvò un ordine del giorno voto fu nel 1966. Quell'ordine del giorno fu inviato al Parlamento nel 1967, il Senato lo esaminò e nonostante la difesa appassionata dei senatori sardi lo bocciò quasi per intero. Ricordo che era Presidente della Giunta regionale l'onorevole Del Rio e che anch'io - consentitemi un piccolo peccato di vanità - facevo parte di quella Giunta, come Assessore degli enti locali. Il presidente Del Rio protestò e volendo parlare alla radio per spiegare al popolo sardo quello che accadeva chiese il permesso di poter parlare alla RAI. La RAI glielo vietò. Questa era l'autonomia!
Allora, amici, nell'illustrare la mozione devo dire che tutti ormai abbiamo avuto la sensazione che lo Statuto sardo sia, come dire, obsoleto e vada certamente rivitalizzato, anche se bisogna riconoscere che sin dall'inizio esso fu sottoposto a critiche feroci. Non ho mai dimenticato la colorita espressione usata da uno dei padri dell'autonomia, Emilio Lussu, il quale disse: "Questo Statuto assomiglia più a un gatto che a un leone, nonostante si tratti della stessa famiglia, quella dei felini". Ma a parte questa boutade, consentitemela, dobbiamo riconoscere che abbiamo l'obbligo, il diritto-dovere di rivisitare lo Statuto, non foss'altro per riparare a qualche errore anche storico, come quello che fu illegittimamente perpetrato nel 1847, perché gli Stamenti sardi non deliberarono, quando rinunziammo, chissà per quale motivazione ideologica, alla nostra sovranità e alla nostra autonomia. Non dobbiamo più commettere errori!
Vorrei ricordare a tutti voi che nel 1995 si decise che una commissione speciale avrebbe affrontato il problema ponendo al Parlamento la questione della nuova forma di autonomia. Quella commissione si sciolse con un nulla di fatto. Nel novembre del 1999 il presidente Floris - gliene do atto - nelle sue dichiarazioni programmatiche propose la costituzione di una commissione speciale che in tempi rapidi predisponesse una proposta politica e legislativa per elaborare un modello sardo-catalano - così disse - di autonomia particolare. Anche di questa commissione si è persa la traccia.
Quindi dobbiamo riprendere l'opera, non possiamo non farlo. Da dove ripartire? Giustamente il collega Sanna e altri dicono che è opportuno ripartire dalla mozione sulla sovranità, che mi pare fu approvata - io non c'ero - all'unanimità da questo Consiglio. Una mozione, come dire, molto orgogliosa, senza dubbio ambiziosa, giacché il suo titolo era: "Mozione di sovranità del popolo sardo".
L'altro giorno, su La Nuova Sardegna, ho letto un articolo del professor Melis, il quale paventa che noi possiamo arrivare a costruire una cosiddetta "repubblichetta delle banane", e devo dire che questa espressione mi ha un po' offeso. Bene, amici, nonostante i miei anni io ho ancora fiducia che questa Assemblea saprà difendere comunque la nostra identità storica, geografica, culturale e linguistica in maniera seria e responsabile, raggiungendo perciò un'identità politica che non può che essere caratterizzata da un forte autogoverno.
Io sono d'accordo con l'amico Sanna quando dice che sarebbe già un obiettivo ambizioso per tutti noi riuscire, a conclusione di questo dibattito, a redigere un ordine del giorno unitario. Il problema è, ahimè, che da un'analisi attenta delle varie mozioni presentate si registrano tali differenze sostanziali, sia sul metodo da seguire, sia sui contenuti concreti di una riforma da tutti auspicata, per cui questo obiettivo non sarà certamente facile da raggiungere. Il primo problema che abbiamo di fronte e che ci ha tenuto fermi in questi anni è, a mio giudizio, il problema dello strumento: c'è chi propone la Costituente, chi la Consulta, chi l'Assemblea del popolo sardo, chi lo stesso Consiglio regionale. Tutte ipotesi valide, ma ugualmente soggette a ragioni e criticità. Sul piano etico-politico a me pare indiscutibile che una riforma epocale dello Statuto sardo non debba riguardare solo gli addetti ai lavori, cioè noi, ma debba necessariamente scaturire da un'ampia e articolata consultazione del popolo sardo, o perlomeno delle sue entità maggiormente rappresentative.
Sul piano etico, quindi, mi parrebbe utile, e perché no auspicabile, anche l'Assemblea costituente, forse eletta con metodo proporzionale, cui affidare il compito di sintetizzare le esigenze della società sarda. Se, però, meditando sull'argomento andassimo ad analizzare la situazione, avremmo la percezione che arroccandoci nella ricerca del contenitore, dimentichiamo l'obiettivo principale, che è quello di dare un contenuto al contenitore. Sono anche convinto che i tempi di approvazione non saranno certamente lenti. Credo, per esempio - tanto per fare anch'io una proposta - che nulla ci vieterebbe di convocare, in tempi rapidi, una grande assemblea degli eletti del popolo sardo. Abbiamo centinaia e centinaia di sindaci, abbiamo forse anche centinaia di consiglieri provinciali e così via, potremmo convocare una grande assemblea del popolo sardo, con una sessione di tre o quattro giorni, o anche di una settimana, in modo tale che questa assemblea ci dica onestamente qual è il desiderio del nostro popolo, che cosa vuole il nostro popolo: autonomia, indipendenza, federalismo, confederalismo? Ci dia un indirizzo, poi è chiaro che saremo noi, nelle sedi competenti, come Commissione autonomia, come Consiglio regionale, a tradurre questo indirizzo in fatti concreti da tutti auspicati.
Io penso che una volta che ci saremo accordati, senza integralismi, senza inutili dogmatismi sulla definizione del contenitore, sarà utile che ci concentriamo sul contenuto. E qui si registrano, purtroppo, posizioni non facilmente conciliabili. Infatti, i problemi posti dalle varie mozioni occupano uno spettro ampio dello scenario istituzionale possibile e futuribile. Si passa dal rafforzamento dell'autonomia regionale all'indipendentismo senza se e senza ma, dal federalismo solidale a vari altri modelli intermedi di superamento del modello autonomistico. Abbiamo quindi di fronte a noi una vasta gamma di opzioni, però, se ci pensiamo un attimo ci accorgiamo che le scuole di pensiero sono essenzialmente due: una ritiene che l'importante sia portare a casa le riforme, e a tal fine ha in mente proposte cantierabili, cioè adatte, idonee a superare gli scogli costituzionali e soprattutto quelli della Corte costituzionale; l'altra ritiene invece prioritaria una vasta battaglia politica, di principio, per riaffermare una più ampia visione istituzionale che va dal federalismo all'indipendentismo. Io confesso di appartenere, almeno idealmente, a quest'ultima scuola di pensiero, non foss'altro per il fatto che nel 1945, quando molti di voi non erano ancora nati, io ero segretario giovanile del Partito Sardo d'Azione - avevo diciassette anni - e facevo parte dell'ala indipendentista del partito. Ricordo di aver partecipato al primo convegno indipendentista, che si è tenuto nel 1945, a Paulilatino, sotto la presidenza dell'allora segretario provinciale del Partito Sardo, Giovanni Maria Angioy. Scusate l'excursus storico, ma è per farvi capire che idealmente io mi sento ancora un po' indipendentista, un po' per modo di dire, forse anche molto indipendentista. Devo prendere atto che si tratta, però, di un sogno filosofico-politico; gli strumenti procedurali sono certamente diversi. Martin Luther King diceva: "I have a dream", ho un sogno. Se Martin Luther king aveva un sogno, anch'io posso sognare, tutti possiamo sognare, anche perché non è detto che i sogni qualche volta non si realizzino. Se le cose stanno così, devo anche affermare che da legislatore non posso non tener conto del quadro normativo vigente; da politico, certo, il mio orizzonte è molto più vasto. Il collega Sanna ha parlato di tappe, sono d'accordo, bisogna procedere per tappe, ma le difficoltà sul nostro cammino non devono mai farci perdere di vista l'obiettivo finale, l'obiettivo principale.
Voglio però portare qualche proposta di natura quasi costituzionale. Per esempio, il nostro status di regione insulare potrebbe permetterci di pensare a un federalismo differenziato. Questa per me è una proposizione che andrebbe esaminata. Non è strettamente necessario che la riforma della Costituzione italiana sia pensata in termini complessivi. La Sardegna potrebbe aspirare a un ristretto pacchetto di riforme, sino ad acquisire una dimensione istituzionale analoga almeno a quella di un cantone svizzero o di un Land tedesco, che pure fanno parte di Stati che sono certamente presenti nella scena politica europea e mondiale. Quindi ben venga l'apertura della discussione, io la auspico, ben vengano le proposte alternative, ben vengano i confronti anche aspri su contenitori e contenuti, però, onorevoli colleghi, guardiamoci in faccia, il nostro lavoro sarà stato inutile se non avremo prima conquistato la fiducia, il consenso e l'adesione del popolo sardo. Credo che questo sia l'obiettivo principale di questa sessione.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Vorrei chiederle, sulla base di quanto comunicato nell'intervento precedente, se è possibile che il Presidente della Regione renda noto all'Aula se nella giornata di ieri si è riunita, come previsto, la Commissione paritetica per affrontare il tema dello schema delle norme di attuazione, ai sensi dell'articolo 8 del nostro Statuto, e qualora non si fosse riunita se è stata individuata un'altra data. Insomma vorremmo sapere quali sono eventualmente i motivi che hanno ostacolato questa riunione annunciata con solennità in Aula dallo stesso Presidente della Regione e quale percorso intende egli intraprendere, tenuto conto anche delle sollecitazioni che sono venute, mi pare il 9 settembre, dal Consiglio regionale.
Le chiederei se è possibile avere queste informazioni, tenendo conto anche del fatto che stiamo affrontando l'argomento della riscrittura dello Statuto e non possiamo non difendere lo Statuto che abbiamo. Non saremo credibili neanche di fronte allo Stato, oltre che ai concittadini sardi, se non riusciremo con tutti gli strumenti che abbiamo a difendere e ad attuare lo Statuto in vigore.
PRESIDENTE. Onorevole Bruno, se lei sta chiedendo al Presidente soltanto di riferire in merito alla convocazione della Commissione paritetica e la discussione si chiude con tale comunicazione è un conto, se invece si intende aprire eventualmente un dibattito, trattandosi dell'inserimento di un altro punto all'ordine del giorno occorre una votazione a maggioranza dei quattro quinti dei votanti. Se il Presidente è disponibile chiudiamo i lavori odierni con la sua comunicazione, altrimenti si deve esprimere l'Aula, perché si tratta dell'inserimento di un altro punto all'ordine del giorno rispetto alla programmazione che ci eravamo dati.
BRUNO (P.D.). Va bene.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.
CAPPELLACCI (P.d.L.), Presidente della Regione. Credo che il tema meriti un approfondimento che va ben oltre una semplice comunicazione. Io ho ricevuto questa mattina la relazione dei funzionari che hanno partecipato alla Commissione paritetica, quindi mi riservo di esaminarla per poter dettagliare al Consiglio in modo esaustivo. Sarebbe veramente riduttivo fare oggi una comunicazione che potrebbe basarsi semplicemente su quella che è una percezione epidermica.
BRUNO (P.D.). Ma la Commissione si è riunita?
PRESIDENTE. Nel momento in cui il Presidente dice di aver ricevuto una relazione, evidentemente la Commissione si è riunita. Il Presidente ha chiesto di poter fare un approfondimento per poter rispondere più dettagliatamente all'Aula sulla questione.
PRESIDENTE. Comunico che in data 16 settembre 2010 il Presidente della Giunta delle elezioni ha fatto pervenire la seguente nota: "Si comunica che la Giunta delle elezioni, ai sensi dell'articolo 17 del Regolamento interno del Consiglio, ha esaminato la posizione dell'onorevole Pierluigi Caria in relazione alla sentenza della Corte d'appello di Cagliari numero 132 del 2010, con la quale veniva dichiarata la decadenza dal munus di consigliere regionale dello stesso per ineleggibilità. La Giunta ritiene di dover riferire al Consiglio, ai sensi del precitato articolo 17, l'esito della relativa procedura svoltasi nelle sedute dei giorni 7 e 14 settembre 2010. Avendo considerato la complessità della materia e la non univocità della relativa normativa, visti anche i pareri legali acquisiti agli atti, la medesima Giunta ha rilevato l'assenza di assolute certezze giuridiche che possano suggerire un'immediata decadenza dalla carica dell'onorevole Caria. La stessa Giunta ha preso atto della circostanza che a oggi la precitata sentenza non è da considerarsi definitiva in quanto non ancora passata in giudicato, poiché risulta essere stata gravata di ricorso per Cassazione. La Giunta delle elezioni ha deciso, all'unanimità dei presenti, di proporre all'Assemblea di attendere l'esito del procedimento pendente nanti la Suprema Corte per la definizione della posizione dell'onorevole Pierluigi Caria".
Se non ci sono iscrizioni a parlare, procediamo alla votazione della proposta formulata dalla Giunta delle elezioni, all'unanimità dei presenti, di attendere l'esito del procedimento pendente nanti la suprema Corte di Cassazione per definire la posizione dell'onorevole Pierluigi Caria. Votando a favore si approva la proposta della Giunta delle elezioni. Prego i consiglieri Segretari di stare al banco della Presidenza.
PRESIDENTE. Indico la votazione nominale, con procedimento elettronico, della proposta formulata dalla Giunta delle elezioni.
(Segue la votazione)
Prendo atto che i consiglieri Cappai, Cocco Daniele, Oppi, Sanna Paolo e Zedda Alessandra hanno votato a favore.
Rispondono sì i consiglieri:Agus - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Barracciu - Ben Amara - Bruno - Campus - Capelli - Cappai - Cherchi - Cocco Daniele - Cocco Pietro - Contu Felice - Contu Mariano - Cucca - Cuccu - Cuccureddu - De Francisci - Dedoni - Dessì - Diana Giampaolo - Diana Mario - Espa - Floris Mario - Floris Rosanna - Greco - Ladu - Lai - Locci - Lotto - Manca - Maninchedda - Mariani - Meloni Francesco - Meloni Marco - Meloni Valerio - Milia - Moriconi - Mula - Mulas - Murgioni - Obinu - Oppi - Peru - Petrini - Pitea - Pittalis - Planetta - Porcu - Randazzo - Rassu - Rodin - Sabatini - Salis - Sanjust - Sanna Giacomo - Sanna Gian Valerio - Sanna Paolo - Sechi - Solinas Antonio - Solinas Christian - Steri - Stochino - Uras - Vargiu - Zedda Alessandra - Zedda Massimo - Zuncheddu.
Si è astenuta: la Presidente Lombardo.
PRESIDENTE. Proclamo il risultato della votazione:
presenti 70
votanti 69
astenuti 1
maggioranza 35
favorevoli 69
(Il Consiglio approva).
Il Consiglio è riconvocato per domani mattina, alle ore 10, con l'illustrazione delle restanti mozioni all'ordine del giorno. La prima mozione a dover essere illustrata è la mozione numero 80, Sechi e più.
La seduta è tolta alle ore 12 e 01.