Seduta n.285 del 20/12/2011 

CCLXXXV SEDUTA

MARTEDI' 20 DICEMBRE 2011

(ANTIMERIDIANA)

Presidenza della Presidente LOMBARDO

La seduta è aperta alle ore 10 e 52.

DESSI', Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 9 dicembre 2010 (164), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Cuccureddu e Salis hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 20 dicembre 2011.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Seduta congiunta del Consiglio regionale con il Consiglio delle autonomie locali sullo stato del sistema delle autonomie in Sardegna (articolo 10 legge regionale 17 gennaio 2005, n. 1)

PRESIDENTE. Signori componenti del CAL, colleghe e colleghi, l'odierna seduta congiunta in prossimità dell'esame della manovra finanziaria da parte dell'Assemblea regionale vede l'esordio del nuovo Consiglio delle autonomie, che si è insediato a seguito delle elezioni per il rinnovo dell'organismo avvenute lo scorso mese di settembre. Mi è gradita, quindi, l'occasione per rivolgere al confermato presidente Milia, al vicepresidente Mauro Contini, a tutti i componenti e all'Ufficio di presidenza gli auguri miei personali e di tutto il Consiglio regionale di buon lavoro.

Il nostro, per molti versi, è un cammino che riprende dalle esperienze già consolidatesi nel recente passato nell'affrontare e assolvere i compiti che la norma attribuisce ai nostri organismi. Sui rapporti instaurati dalla legge permangono ancora aspetti che necessitano di valutazioni e ragionamenti giuridici approfonditi. E' doveroso attivare, in tempi brevi, un serrato confronto per avviare un dibattito sull'opportunità, o meno, di introdurre eventuali modificazioni finalizzate a rendere più organici gli obiettivi posti dalla legge sul CAL, senza però appesantire il procedimento legislativo. Penso, per esempio, all'introduzione di una cabina di regia con la funzione di studio e valutazione dell'efficacia che le norme regionali, nelle materie oggetto di interesse per il sistema delle autonomie locali, producono una volta applicate.

La valutazione di questi fenomeni, alla luce dei risultati prodotti dalle valutazioni oggetto di analisi interpretative successive, può costituire un valido strumento per l'espletamento della funzione pubblica. Si creerebbe così, per i nostri due organismi, un'ulteriore possibilità di dialogare in modo costruttivo sulle ricadute che, nel sistema locale, seguono l'applicazione e l'attuazione delle leggi di settore. Lo scambio continuo di informazioni, studi ed esperienze tra CAL e Assemblea sul corpo delle leggi regionali in materia di autonomie locali si porrebbe al servizio del legislatore regionale come strumento di ausilio nella puntuale valutazione sull'andamento delle leggi, con un controllo continuo e attualizzato, finalizzato a ottimizzare il sistema.

Nei lavori odierni, per brevità, voglio limitarmi ad auspicare l'intensificarsi di questi legami istituzionali di reciproca collaborazione, per il bene della nostra Sardegna e nel pieno rispetto dei ruoli a ciascuno attribuiti. Sono certa che, di fronte alle difficoltà che ci attendono, agiremo con il senso di responsabilità che ci deriva dall'essere chiamati ad adempiere al bene comune, soprattutto in ragione del fatto che quello presente non è un momento facile per il popolo sardo, per cui ci troveremo ad agire in un contingente irto di difficoltà aggiuntive. L'evoluzione della crisi internazionale, come è noto, coinvolge con forme particolarmente acute l'economia della nostra isola, finendo per avere pesanti ripercussioni sul sistema economico e sociale. La situazione internazionale ricorda pochi altri momenti simili, sia per la complessità dei problemi economici e finanziari sia per le ricadute di carattere così invasivo sullo stato sociale dei singoli Stati. L'Europa sta subendo in modo formidabile la pressione della crisi, sino a una paventata recessione, al punto di vedere inaspettatamente coinvolte anche quelle economie nazionali che in un primo tempo sembravano reggere l'urto della crisi senza particolari scosse. Per questo, oggi più che mai, ci troviamo di fronte alla necessità di adottare provvedimenti di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica con tagli rigorosissimi alle nostre risorse finanziarie, destinati a pesare enormemente sulle tasche dei cittadini e sul nostro futuro.

Queste difficoltà in Sardegna hanno assunto una più intensa caratterizzazione per le note insufficienze infrastrutturali ed economiche che si accompagnano alla nostra condizione, cui si è aggiunto un insoddisfacente tenore di rapporti con il Governo centrale. Nei mesi scorsi, proprio poco prima dell'insediamento dell'Esecutivo Monti, questi rapporti hanno registrato una particolare asprezza sulla vertenza delle entrate, oltre agli altri nodi irrisolti riguardanti lo sviluppo, che la nostra Assemblea ha voluto stigmatizzare attraverso una mozione contenente anche la richiesta di intervento del Presidente della Repubblica; una situazione oggettivamente penalizzante, che richiede una forte presa di coscienza di tutta la classe dirigente regionale per affrontare con la giusta determinazione e autorevolezza il momento di grave difficoltà economica e sociale. In particolare, in ragione delle difficoltà finanziarie nelle quali ci dibattiamo, anche a causa delle mancate entrate fiscali, a noi viene pretesa una maggiore attenzione nell'adozione dei provvedimenti legislativi, che infatti devono essere tali da poter operare delle ricadute positive sotto il profilo economico-sociale e nel contempo essere rispettosi delle necessità di contenere la spesa regionale nei termini imposti dal patto di stabilità. E' un compito non agevole, che riduce i margini finanziari per sostenere la debole economia regionale, aggravato dall'assenza di concrete politiche di sostegno dello Stato per adottare interventi indirizzati al rilancio produttivo ed economico. Tutti i livelli istituzionali sono tenuti a impegnarsi a fondo, e con profonda convinzione, investiti come sono di una grande responsabilità, al fine di superare i limiti attuali dedicando ogni energia agli sforzi comuni per uscire dallo stallo della crisi.

La produzione legislativa acquista, dunque, una valenza straordinaria, che va oltre la funzione di codificare norme che regolino la società sarda, per affrontare l'emergenza con il duplice obiettivo del rilancio produttivo e dell'utilizzo oculato delle poche risorse a disposizione. Dobbiamo porci l'esigenza di economizzare la spesa pubblica non solo con i tagli ai costi della politica, che pur rappresentando un segnale importante di attenzione non risolvono i problemi, ma utilizzando i fondi a nostra disposizione in modo scrupoloso per non pregiudicare il livello dei servizi e la qualità della vita di cittadini. Per questo abbiamo la necessità di ricercare il massimo delle convergenze e del consenso possibile con tutte le componenti del popolo sardo, perché coadiuvino le nostre scelte in un ritrovato clima di collaborazione e fiducia. Bisogna, dunque, moltiplicare i nostri sforzi per concorrere a determinare un clima di positività fra cittadini e istituzioni, precondizione indispensabile per determinare, anche con scelte difficili, la ripresa economica e lo sviluppo della nostra Isola.

La classe politica sarda, però, per essere riconosciuta anche come classe dirigente deve essere in grado di dare un esempio concreto di attenzione verso il suo popolo accettando di essere la prima ad accollarsi i contributi più gravosi. La finanziaria regionale, prossima all'esame dell'Aula, dovrà rispondere a questi requisiti per fare, se mi passate la battuta, di necessità virtù. Il senso di questo momento storico deve essere sublimato da una comunanza di intenti e da una forte coesione fra tutti gli organismi che concorrono a regolare la vita pubblica regionale, in primis il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie locali. In questo contesto si inseriscono vecchie e nuove problematiche legate all'ammodernamento dell'ordinamento regionale. I ruoli e i compiti degli enti locali, dopo oltre vent'anni dalla legge di riforma delle autonomie locali e dopo sei da quella che ha istituito il CAL, sono soggetti a un'evoluzione che va studiata sulla base delle esigenze attuali. La titolarità delle funzioni amministrative nei servizi sociali, nell'assetto e nell'utilizzazione del territorio per lo sviluppo economico deve entrare in sintonia non solo con le competenze esercitate dall'organo regionale, ma anche con quelle in capo ai vari enti regionali e di interesse regionale, sviluppando azioni sinergiche e coordinate. Il divenire di un nuovo sistema Sardegna che rafforzi i legami di solidarietà, di collaborazione e di coesione sociale può essere l'obiettivo ambizioso che come Consiglio regionale, Regione ed enti locali ci ripromettiamo di assolvere nel corso della durata del mandato del CAL. Ne deriva, quindi, un impegno per l'adeguamento del nostro modello organizzativo locale e regionale per renderlo funzionale all'esigenza di evolvere la nostra dimensione, da regionale e statale ad europea, al fine di interagire con le dinamiche di sviluppo economico, civile e sociale dell'Unione senza segnare ulteriori ritardi.

Il modello federale che guida i processi di riforma in Italia e in Europa deve divenire il faro della riorganizzazione amministrativa e politica della Regione. Non si tratta di trasferire, semplicemente, eventuali competenze esercitate dalla Giunta regionale o dai singoli Assessorati, ma di rovesciare il concetto di governabilità con funzioni decisionali che partendo dal basso si evolvano verso il vertice. La rivisitazione degli ambiti potestuali in capo a comuni, province e Regione deve espandersi secondo un principio di cerchi concentrici che siano riferiti a precise e determinate sfere di competenza territoriale, da quella più piccola comunale a quella più vasta regionale e per materia. Ecco perché il tenore dei rapporti tra Regione ed enti locali e la loro attuale organizzazione interna necessitano di una riforma che ne superi le attuali insufficienze e innovi il sistema in linea con le esigenze europee di governance del territorio. Se la Sardegna non vuole ridursi a essere solo un'espressione geografica marginale ha necessità di ammodernare il proprio sistema regionale e quello degli enti locali; una rivisitazione che risponda a criteri di funzionalità e di efficienza interni e che nella proiezione esterna sia in grado di consentirci di affrontare i mercati ai più alti livelli concorrenziali, che sono richiesti per essere perfettamente integrati con la realtà economica, sociale e politica europea. Per affrontare le sfide del futuro e inserirci organicamente nel contesto politico europeo come Regione peculiare "euromediterranea" abbiamo bisogno di un'organizzazione regionale nuova e avanzata con un respiro istituzionale e strategico più ampio degli attuali orizzonti, basati quasi esclusivamente sul rapporto con lo Stato.

Dobbiamo ragionare sui diversi livelli di impegno regionale, nazionale ed europeo delle istituzioni sarde per ritagliarci delle competenze che siano all'altezza di affrontare la sfida e di portare la Sardegna al centro dell'Europa. Per la stessa Europa la crisi in atto costituisce un momento di passaggio epocale per superare definitivamente tutti gli ostacoli che si frappongono al processo unitario. Infatti, a causa della crisi, o si torna indietro alla titolarità dei singoli Stati, annullando in parte o del tutto l'efficacia dei trattati, o si fa un ulteriore balzo in avanti conferendo ulteriori quote di sovranità statale per la costruzione dell'unità politica dell'Europa. Tutto ciò necessita di un Parlamento e di un Governo degli Stati membri funzionale al nuovo ordinamento federale per la cura e la tutela degli interessi generali.

Questo progetto è ancora in fase di elaborazione e molto dipenderà dalle scelte comuni per superare la crisi. Ma la strada è tracciata e dobbiamo essere consapevoli che il nostro futuro di sardi e italiani si realizzerà in questa nuova dimensione europea. Se, come affermiamo spesso, ci sentiamo lealmente europei allora, esaltando le nostre radici identitarie, dobbiamo inserirci organicamente in un nuovo e più ampio precetto normativo descrivendo la nostra specialità affinché assuma una funzione che non si limiti al solo rapporto con lo Stato per rappresentare la tutela dei nostri diritti in Europa.

Il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie locali devono esaltare i tratti del loro comune impegno ricercando tutte le sinergie possibili e sviluppando tutte le potenzialità in loro possesso per tracciare questo nuovo percorso, per costruire il nuovo sistema Sardegna e proiettarci verso il futuro. Questa unità di intenti può renderci protagonisti di una nuova e appagante stagione iniziando ad agire e pensare in una dimensione sociale, politica ed economica europea su tutte le problematiche che rilevano la loro funzione pubblica.

Il sistema degli enti locali sardi può essere il motore di una crescita che partendo dal basso spinga Regione, Stato e Unione europea a creare un fitto rapporto di interrelazioni che siano in grado di conseguire l'interesse generale partendo dalla soddisfazione della domanda sociale e dei bisogni locali. Il rafforzamento dell'attività parlamentare del Consiglio regionale e un'accresciuta funzione del CAL per determinate materie e competenze sono dunque auspicabili ed è in questa direzione che dobbiamo lavorare. Grazie.

Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio delle autonomie locali, Graziano Milia.

MILIA GRAZIANO, Presidente del Consiglio delle autonomie locali. Signora Presidente del Consiglio regionale, signori Assessori, signore e signori del Consiglio regionale, signore e signori del Consiglio delle autonomie locali, voglio anzitutto, molto brevemente, esprimere gratitudine e ringraziamento alla presidente Lombardo per l'attenzione che sta dedicando e mostrando nei rapporti col Consiglio delle autonomie locali, pur in presenza di un quadro normativo che sicuramente deve essere rivisitato, come la stessa presidente diceva poc'anzi. Mi limiterò, partendo da questa considerazione, ad alcune brevi riflessioni, rimandando agli interventi in questo dibattito dei componenti del CAL, e più particolarmente al parere che abbiamo inviato a questo Consiglio regionale, in merito alla finanziaria che sta discutendo in queste settimane, gli approfondimenti e le osservazioni che noi del CAL all'unanimità ci siamo sentiti di assumere.

La presidente Lombardo faceva bene a inserire il rapporto tra le istituzioni in un quadro più generale, facendo riferimento anche ai tempi difficili che stiamo attraversando. Ecco allora che vi sono innanzitutto due riflessioni da fare. La prima è che noi, che a diverso titolo e con diverse funzioni e competenze, ma anche con diverse culture, dobbiamo comprendere che il periodo difficile che stiamo attraversando, la condizione di crisi che stiamo attraversando non deve essere vissuta come un elemento che inibisce le nostre possibilità di dare risposte in ordine alla crisi stessa. In poche parole, noi non possiamo limitarci all'individuazione dei problemi. Su di noi, anzitutto su di noi ricade la grande responsabilità di trovare soluzione ai problemi che abbiamo dinanzi. Quindi può essere, e qualcuno lo teorizza di questi tempi, che nei momenti di crisi si possano addirittura fare grandi passi avanti lungo un cammino riformatore. C'è qualcuno che teorizza che solamente in gravi momenti di difficoltà si possono fare quelle riforme che in altri momenti non si riesce a fare. Questo può essere, anzi in parte è sicuramente vero, però noi dobbiamo stare attenti, nell'avvertire il pericolo e nel ricercare le soluzioni, le vie di salvezza, a non generare quasi inconsapevolmente altro pericolo. Intendo dire che dobbiamo comprendere - e il mio pensiero va sia a quanto accade in Europa che a quanto accade in Italia in queste settimane - che la necessità di rispondere celermente e di intervenire con una velocità superiore rispetto al passato non può restringere gli spazi di democrazia e quindi, per quanto riguarda noi che siamo qui, nemmeno la necessità di velocizzare il rapporto dialettico tra istituzioni diverse che operano in territori diversi e con diverse competenze. La necessità di velocizzare le risposte non deve produrre un'alterazione dei rapporti democratici, perché questo naturalmente si ripercuoterebbe anche nel rapporto tra le istituzioni nel loro complesso e i cittadini.

Vedete, si parla in continuazione, giustamente e inevitabilmente - lo fate voi, lo facciamo noi -, dei problemi che genera il patto di stabilità; problemi che sentite voi qui, in Consiglio regionale, e che sentiamo noi nei luoghi che amministriamo. Faccio l'esempio che più conosco, quello dell'ente che amministro: la Provincia di Cagliari dispone di 130 milioni di euro che però noi amministratori non possiamo utilizzare e che per giunta siamo costretti a tenere non nell'istituto che ci fa da tesoriere, ma presso la Banca d'Italia, ottenendo una cifra di interessi pari alla bellezza di 19 mila euro all'anno! Pensate, 130 milioni di euro e 19 mila euro all'anno di interessi! Ebbene, è vero che il patto di stabilità è una delle colonne portanti del Trattato di Lisbona, è vero che è una delle colonne portanti degli accordi intergovernativi stipulati la settimana scorsa, dai quali l'Inghilterra è rimasta momentaneamente o definitivamente - questo non lo so - esclusa, però è anche vero che nel Trattato di Lisbona si dice un'altra cosa importante, e cioè che i due cardini sono il patto di stabilità e il programma nazionale di riforme. Pensate quanta democrazia c'è in questo elemento. In poche parole, con quel trattato noi abbiamo detto che quando è necessario - e in questo momento lo è - dobbiamo fare dei sacrifici, ma dobbiamo anche dire ai nostri cittadini, ai nostri popoli, in che modo le risorse risparmiate grazie a quei sacrifici verranno utilizzate per rilanciare la crescita e lo sviluppo. Ecco, questo è il problema che noi abbiamo in Europa, in Italia e in Sardegna, e questo è l'aspetto che probabilmente, forse anche più di altri, allontana i cittadini dalla politica. Badate, i cittadini giudicano male la politica per tanti motivi; alcuni vengono affrontati, vi ha fatto riferimento poc'anzi la presidente Lombardo. Questo Consiglio regionale negli ultimi mesi ha dato prova anche di grande responsabilità, di grande sensibilità, però non dimentichiamoci mai che la lontananza dei cittadini dalla politica cresce soprattutto quando la politica non è in grado di dare risposte ai problemi che essi devono affrontare. Questo è il punto centrale. E' vero, si parla di casta, privilegi, tutto quel che volete, ma se voi confrontate le statistiche di appeal - passatemi il termine - della politica, in realtà in Paesi dove i costi della politica sono molto diversi e molto più bassi rispetto al nostro Paese, la situazione non è migliore. Vi ricordo che l'Italia è il Paese europeo dove, solo per fare un esempio, la Presidenza della Repubblica, pur non avendo poteri diretti (ma ultimamente qualche potere in più lo ha avuto), costa di più.

E' vero che ci sono questi problemi, ma la realtà che emerge è l'incapacità delle classi politiche nel dare risposte ai problemi dei cittadini. Ecco perché dobbiamo costruire un modello di governo che vada sotto quella che viene definita oggi in Europa "governance multilivello". Che cosa significa? Significa che laddove ci sono dei poteri, dei governi, questi devono fra loro intrecciarsi, comunicare, costruire insieme soluzioni condivise, anche con livelli di sovranità diversa e molto più avanzata. Io sono uno di quelli che ritengono che noi sardi abbiamo diritto a un livello di sovranità molto più avanzato rispetto a quello che esercitiamo oggi, ma tutto questo deve essere fatto, appunto, con un intreccio tra i diversi livelli di potere. Solo così possiamo affrontare al meglio problemi come la vertenza sulle entrate e solo così possiamo affrontare al meglio un percorso riformatore non solo delle istituzioni, ma anche dell'economia e della burocrazia, la quale continua a essere troppo spesso un ostacolo allo sviluppo e alla crescita. Dobbiamo procedere avendo ben chiaro che dal livello di partecipazione e di democrazia nei nostri rapporti reciproci dipende anche il livello di partecipazione che riusciremo a costruire con le nostre genti, con il nostro popolo.

Vedete, noi viviamo in una parte del mondo, l'Europa, l'Italia, la Sardegna, che nel secolo scorso ha espresso grandi culture politiche. In quel mondo così diverso da quello di oggi eravamo abituati a ritenere (così, se notate, si sono svolti i passaggi cruciali della vicenda italiana e della nostra storia autonomistica) che in presenza di quelle grandi culture fosse sufficiente delegare alle classi dirigenti la risoluzione dei problemi. Oggi questo non è più possibile; oggi dobbiamo comprendere che non possiamo più bypassare, attraverso i vertici di quelle grandi culture politiche, la partecipazione dei cittadini e il fatto che a essi dobbiamo rendere conto.

Noi siamo disponibili, come Consiglio delle autonomie locali, ad avviare insieme a voi una discussione sui percorsi riformatori che devono riguardare i rapporti tra le diverse istituzioni. Lo faremo anche di nostra iniziativa, a cominciare dalla proposta di revisione della legge istitutiva del CAL, ma chiediamo a voi di farlo insieme a noi quanto prima, per rimettere mano una volta per tutte al cosiddetto codice delle autonomie locali, anche perché quanto sta accadendo in Italia, nel Parlamento e nel Governo, ci imporrà comunque delle scadenze. Alcune scelte dovremo farle, pensiamo ad esempio all'articolazione sovracomunale, al governo di territori più ampi del territorio comunale, che oggi chiamiamo province. Su questo dovremo confrontarci e discutere con serietà e senso di responsabilità, avendo però ben presente che prima dobbiamo chiarire a noi stessi qual è l'assetto complessivo che vogliamo dare al rapporto tra istituzioni e cittadini e qual è l'assetto complessivo che vogliamo dare al rapporto tra istituzioni. Nel momento in cui avremo fatto chiarezza su questo, che in poche parole significa decidere che cosa si è e che cosa si vuole essere, allora potremo mettere mano alle norme. Noi rifugiamo dalla tentazione di discutere un giorno di provincia, un giorno di unione di comuni, un giorno di comuni sotto i 1.000 abitanti, un altro giorno non so ancora di che cosa. E' sbagliato, dobbiamo discutere di tutto l'insieme.

Sono convinto che, pur con tutti i problemi sul tappeto, queste capacità e queste risorse culturali e umane noi le abbiamo. Dobbiamo utilizzarle in fretta e nel migliore dei modi. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Gairo, Roberto Marceddu.

MARCEDDU ROBERTO, Sindaco del Comune di Gairo. Signora Presidente, rivolgo un caro saluto a tutti i colleghi del Consiglio delle autonomie locali e a tutti i consiglieri regionali. L'occasione è ghiotta per esimersi dall'intervenire, per cui vorrei dare un piccolo contributo al dibattito nell'ottica proprio di ricercare soluzioni unitarie che in qualche modo possano contribuire, se ci mettiamo tutti insieme, a superare o almeno ad attenuare gli effetti di questa crisi dilagante che sta facendo riflettere tutti sulla necessità di individuare i giusti percorsi di riforma dell'architettura dello Stato e della Regione e i giusti e più efficaci provvedimenti al fine di attenuare una recessione ormai in essere e la spaventosa situazione economico-occupazionale della nostra Isola, alla quale non si può più assistere inerti, discettando inutilmente e lasciandosi andare, ai vari livelli, a mere enunciazioni di principio, con l'adozione di provvedimenti isolati e inefficaci o senza attrezzarsi nei modi dovuti.

Il Consiglio delle autonomie locali è di certo un organismo concepito dalla norma quale strumento importante, ma lo diventa realmente solo se si riesce davvero a dargli gambe tramite un confronto costante e serrato degli amministratori locali (che meglio di tanti altri conoscono la quotidianità e le difficoltà della vita delle comunità) con il legislatore regionale, per poter più agevolmente individuare situazioni normative condivise e unitarie nell'interesse del popolo sardo. E' sempre più opportuno che i rappresentanti delle autonomie locali siano chiamati non con lo spirito di adempiere a un fastidioso obbligo normativo, ma con quello che li vede quali soggetti che possono, per il loro importante ruolo, dare un proficuo contributo alla società. Essi andrebbero chiamati sempre preventivamente, nei tavoli ufficiali ove le materie succitate e le altre priorità possono essere discusse prima di essere legiferate, non per esprimere un mero e inutile fastidioso parere, ma per essere davvero ascoltati. La Costituzione dice, al Titolo V, articolo 114, che la Repubblica è formata dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni, tutti soggetti con pari dignità, ma sinora è emerso un centralismo statale persistente che fa il paio con un neocentralismo regionale che occupa gli spazi lasciati liberi talora da quello statale, assolutamente invasivo e soffocante, tale da impedire alle autonomie locali di poter esprimere, come potrebbero, il loro ruolo.

I comuni, in particolar modo, sono pronti a far valere i loro bilanci e i servizi comunali, a fare il proprio dovere; sui fabbisogni standard sono pronti alla riforma della pubblica amministrazione, poiché consapevoli che se essa è efficiente questo si traduce in un servizio migliore per tutta la comunità. I comuni, tranne eccezioni - sono i dati ad attestarlo -, fanno già sino in fondo il proprio dovere e stanno da anni contribuendo alla riduzione della spesa pubblica: 3 miliardi di euro di saldo positivo rispetto alla crescita della spesa centrale. Il debito in Italia è determinato per il 95 per cento non dalle autonomie locali, ma dalle amministrazioni centrali, e da meno del 3 per cento dai comuni.

I comuni non sono un peso, come taluni vogliono lasciar credere, ma una straordinaria risorsa. I sindaci dei piccoli comuni, in particolar modo, non sono lo spreco di questo Paese, ma la certezza e il riferimento per intere comunità. Si deve partire da questo paradigma per poter trovare una soluzione adeguata di riordino delle autonomie locali anche in Sardegna, tale che esse possano svolgere la funzione, oggi purtroppo negata, di motore propulsivo per la nostra società e per lo sviluppo locale. In Sardegna dovremo riorganizzare la presenza della Regione, per alleggerirla e semplificarla. La Giunta centrale è troppo lontana per leggere informazioni ed esigenze dei comuni e non è possibile organizzare la riforma dei piccoli comuni, magari stando dietro una scrivania, da parte dei burocrati di turno, perché non si conosce la realtà, non si vive quella vita e non si sa che cosa essa significa. Per questo serve confrontarsi e dare ciascuno il proprio contributo, ragionare e sentire con un approccio positivo le proposte degli amministratori locali.

Nella Costituzione tedesca vige il principio della corrispondenza. E' un principio importante, in base al quale viene attribuita una funzione a un livello della Repubblica, ma ad esso si trasferiscono anche le risorse certe per poterla svolgere al meglio. Da noi, invece, spesso si usa la prassi di trasferire funzioni e oneri sempre più gravosi, ma si tagliano le risorse e si assumono provvedimenti assurdi; nuova burocrazia che di fatto paralizza la comunità. E' chiaro che così non si può continuare. Diversamente, stante la situazione della Sardegna, se non si mettono le autonomie locali al centro del processo di riforma sarà, anche per la Regione, sempre più difficile confrontarsi con le spinte sempre più forti che arrivano dai territori che non trovano risposte adeguate ai loro bisogni e contro la crisi dilagante. Diventa sempre più difficile, anche per gli amministratori locali, far fronte alle emergenze quotidiane e trovare delle giustificazioni. L'attuazione concreta dell'articolo 118 della suprema Carta costituzionale deve essere la nostra stella polare: "Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza". Si restituisce concretamente pari dignità, però, alle autonomie territoriali se alla Regione rimangono mere funzioni di programmazione e di coordinamento e se davvero lo svolgimento delle funzioni amministrative viene messo in capo ai comuni e alle autonomie locali, e non mantenuto in capo a un invasivo e assurdo sistema burocratico, qual è quello che oggi abbiamo anche in Sardegna, che viola i principi costituzionali, condiziona la vita dei sardi, ne impedisce l'affrancarsi da fenomeni di involuzione economica e culturale.

E' chiaro a tutti che occorre fare i conti con le novità portate negli ultimi tempi dai vari provvedimenti dello Stato, che non sto a citare, dalla finanziaria 2010 all'ultimo provvedimento di una settimana fa. Sono tutti provvedimenti che incidono sugli italiani e che modificano profondamente il sistema politico e organizzativo degli enti locali. Ma è anche vero, per parafrasare il Presidente della Provincia di Nuoro, Roberto Deriu, che la Regione Sardegna deve dire in maniera molto chiara, noi dobbiamo dire maniera molto chiara che cosa vogliamo fare, se vogliamo o meno esercitare la nostra competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali e far valere, quindi, le nostre prerogative costituzionali che potrebbe consentirle di individuare un percorso di riforma adeguato alla peculiarità dell'Isola, senza che questo naturalmente debba tramutarsi in una mera inapplicazione di norme tendenti a eliminare o perlomeno a limitare lo sperpero di risorse pubbliche.

Non si può che essere d'accordo sullo svolgimento associato delle funzioni, anche se non si ritiene opportuno il meccanismo coercitivo che dovrebbe sostituirsi con quello dell'incentivo, ma non è certo vista con favore la previsione sulla cancellazione dei piccolissimi comuni, dettata dall'articolo 16 della legge numero 148 del 2011. Ecco perché occorre che la Regione persegua l'obiettivo fondamentale della Sardegna di una riforma condivisa del sistema delle autonomie locali, che rispetti le singole realtà sarde e ne riconosca il ruolo strategico, che incentivi l'associazionismo su base volontaria degli enti locali, prevedendo risorse aggiuntive rispetto al fondo unico, il quale dovrebbe - lo ricordiamo - incrementarsi in linea con quanto disciplinato dalla legge regionale numero 2 del 2007, articolo 10, e cioè anche secondo l'andamento annuale delle entrate.

La consapevolezza della recessione in atto e le sfide della globalizzazione non possono far perdere altro tempo. Occorre agire presto con i giusti provvedimenti e le giuste riforme, ribaltando la visione centralistica e accentratrice che si ha nella nostra Regione, che da sempre a parole lamenta il centralismo statale, ma poi, contraddicendo se stessa, esprime - ormai da troppo tempo - un centralismo matriarcale verso gli enti territoriali e cattive politiche capaci solo di generare macrofenomeni negativi, quale quello dello squilibrio territoriale, vero cancro del nostro sistema.

Le autonomie locali, e particolarmente i comuni, non vanno cancellate o considerate come peso perché, in una logica di glocalizzazione, rappresentano anzi il punto di partenza, il perno per uno sviluppo possibile della nostra Isola che può partire dai municipi, a condizione che si eliminino questi fastidiosi e deleteri centralismi, che si elimini la pluralità di organismi basati sul parassitismo inutile e generatori di spreco delle risorse dei cittadini, che si trasferiscano funzioni e risorse, che cessi o almeno si attenui l'esasperante ed eccessiva burocrazia, che si snellisca la giungla di un quadro normativo incerto, spesso contraddittorio e ormai soffocante per i cittadini, e che i sardi capiscano che occorre rimboccarsi le maniche, tramutando ingiustificate e ormai insopportabili pratiche improduttive di natura assistenziale in processi virtuosi basati sulla produttività dei comparti e sul lavoro. Penso, per fare un esempio, all'Ente foreste della Sardegna.

Il futuro della Sardegna è nelle mani dei sardi, ognuno dei quali deve dare il proprio contributo in una prospettiva di cooperazione, di reciproco ascolto e con uno spirito unitario che consenta di rimuovere assurde contrapposizioni che, se persisteranno, determineranno un ulteriore aggravamento nell'Isola della situazione in atto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Sestu, Aldo Pili.

PILI ALDO, Sindaco del Comune di Sestu. Vorrei fare alcune considerazioni in merito a delle funzioni particolari che possono essere svolte o a degli atteggiamenti o comportamenti che indubbiamente in questo momento di grande difficoltà potrebbero tornare utili all'economia sarda. I valori dell'ordinamento delle autonomie locali e le ragioni di sostegno e di contributo ai piccoli comuni chi mi ha preceduto li ha illustrati molto bene, vorrei perciò focalizzare la mia attenzione su alcuni aspetti fondamentali che riguardano essenzialmente le politiche di bilancio.

Oggi indubbiamente inizia un percorso che riguarda un momento veramente fondamentale dell'intera nostra realtà. Tutto ciò che oggi viene fatto sarà senz'altro indirizzato a governare gli atteggiamenti e i comportamenti a cui dovremo ispirarci nel prossimo anno. Quindi non possiamo oggi, in questo momento di grande crisi economica e sociale, sottostimare le azioni che potremmo mettere in campo e che potrebbero tornare utili proprio per sostenere la nostra società, la nostra economia.

Oggi, non solo a livello nazionale e regionale, ma anche nei piccoli comuni, bisogna prestare molta attenzione alla gestione delle politiche di bilancio. Siamo tenuti a fare questo e non possiamo prescinderne, perché diversamente incorriamo in sanzioni che sono veramente penalizzanti per le comunità che amministriamo. Per consentire, quindi, di sostenere, incrementare e incentivare lo sviluppo locale bisogna cercare di coordinare le politiche regionali con le politiche degli enti locali. Solo così, forse, potremo dare quell'input necessario perché la nostra economia possa riprendersi, perché è innegabile che le attività di investimento che possono svolgere gli enti locali e le attività di investimento che può svolgere la Regione, indirizzate soprattutto alle opere pubbliche, possono dare quello stimolo e rappresentare quel volano che mette in moto un'economia che oggi langue a tutti i livelli. E la Sardegna, più di altre regioni, è dipendente da questo settore, cioè dal settore edilizio delle opere pubbliche. Quindi bisognerebbe prestare particolare attenzione a tutte le attività che oggi voi potete mettere in campo, perché veramente sia data ai comuni la possibilità di intervenire in questo campo.

Il presidente Milia prima ha fatto riferimento ai residui passivi che le province e i comuni oggi hanno a loro disponibilità; residui passivi che non possono essere assolutamente toccati. Vi dirò di più: come tutti sapete, a seguito della manovra approvata ad agosto dal Governo, oggi gli enti locali sono sottoposti a una riduzione di obiettivi che è veramente penalizzante: non c'è soltanto la riduzione dei trasferimenti, c'è anche la riduzione degli obiettivi, cioè della capacità di avere dei flussi di cassa sufficienti a sostenere lo sviluppo e gli investimenti, che comporterà in modo indiretto un ulteriore incremento dei tributi che le amministrazioni locali devono adottare per poter compensare la diminuzione di risorse che è stata definita a livello centrale. Quindi un'azione che dovrebbe essere messa in campo, attraverso gli atti esecutivi del bilancio regionale, è quella di consentire agli enti locali di annullare l'effetto negativo della riduzione degli obiettivi. Quest'anno la Giunta regionale ha messo a disposizione una certa somma per compensare la riduzione di obiettivi imposta agli enti locali. Nel corso del 2012 questa operazione dovrebbe essere moltiplicata, perché non c'è soltanto l'interesse ad avere dei flussi di cassa sufficienti per sostenere gli investimenti, ma c'è anche l'esigenza forte di attenuare gli effetti negativi di questa riduzione di obiettivi che è stata imposta con la manovra finanziaria. Questa è dunque un'operazione che deve essere presa in considerazione e che consentirà ai comuni, in concorso con la Regione, di poter stimolare la nostra economia, perché ricordiamoci bene che la Regione più dei comuni ha dei vincoli, ha delle lentezze insite che non le consentono di sviluppare la programmazione nel corso di un esercizio finanziario, perché di questo stiamo parlando. Cioè noi dobbiamo valutare le nostre azioni nell'arco di un esercizio finanziario, perché oltre quello dobbiamo riprogrammare continuamente le nostre attività. Per cui - mi rivolgo soprattutto all'assessore Rassu, che negli ultimi incontri avuti con noi, a ottobre, ha mostrato molta sensibilità verso queste tematiche - noi dobbiamo veramente mettere in campo già dai primi dell'anno prossimo queste operazioni, perché la possibilità di avviare le opere immediatamente cantierabili è maggiore nel periodo marzo-aprile piuttosto che a ottobre-novembre, perché a novembre l'esercizio finanziario è ormai chiuso e non c'è più la possibilità di dare risposte in termini di soddisfacimento delle eventuali opportunità che si sono create.

L'altro aspetto che vorrei mettere in evidenza, ed è uno dei problemi che si trascinano ormai da anni, è quello del calcolo del fondo unico. Signori, il calcolo del fondo unico non può più sottostare al doppio conteggio. Viene infatti calcolato per il patto di stabilità per la Regione e per il patto di stabilità per gli enti locali, e questa è una misura veramente mortificante che sacrifica le nostre opportunità. Quindi bisogna che il calcolo del fondo unico venga riconsiderato, perché anche questa è un'ulteriore opportunità che potrebbe essere concessa alla Regione direttamente oppure agli enti locali per poter operare nel campo degli investimenti.

Sono queste le valutazioni che volevo proporre all'Assemblea regionale perché ne tenga debito conto. Credetemi, se l'Assemblea regionale, nel rispetto di quello che è il ruolo dei partiti e delle valutazioni che verranno fatte, ritiene che sia necessaria un'azione comune con gli enti locali per conseguire questi obiettivi, penso che i comuni saranno pronti a seguire queste logiche. Il mio invito è quindi questo: poiché oggi più di ieri, ripeto, anche presso i comuni le gestioni delle politiche di bilancio sono diventate fondamentali, da esse non si può prescindere in nessun modo e tutti dobbiamo essere esperti di bilancio, chiedo che queste considerazioni, queste valutazioni siano tenute presenti nei vostri discorsi, nei confronti tra di voi e nelle decisioni che assumerete. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Cagliari, Massimo Zedda.

ZEDDA MASSIMO, Sindaco del Comune di Cagliari. Presidente Lombardo, presidente Milia, colleghi, rappresentanti degli enti locali, vorrei iniziare la mia riflessione sugli aspetti della crisi economica più generale e su alcune questioni che riguardano una crisi ancora peggiore di quella economica. Siamo cioè di fronte a una crisi economica drammatica che non colpisce in egual misura i cittadini italiani, ma colpisce in particolar modo il ceto medio, la media borghesia e, ovviamente, in maniera ancora più grave, i ceti medio bassi, coloro che vivono da sempre una condizione di crisi, anche nei periodi in cui molti altri comunque vivevano bene.

Ma la drammaticità del momento è data soprattutto, a mio parere, dalla crisi di fiducia dei cittadini italiani, e tra questi i sardi, nei confronti delle istituzioni, nei confronti del Paese, nei confronti della politica e di ogni singolo politico. Questa crisi si sente, tanto è vero che i dati riportati ed enfatizzati anche dagli organi di informazione dicono che al primo posto c'è una buona fiducia nei confronti delle forze armate, mentre la fiducia verso i partiti e la politica ha toccato il livello minimo nella storia della Repubblica. E allora, nella drammaticità di questa situazione, sarà certamente difficile superare la crisi e rilanciare il sistema Paese, ma sarà ancora più difficile riacquistare la fiducia dei cittadini nei confronti della politica.

E quando la politica, come è accaduto nell'ultimo periodo, dimostra di voler persino incentivare questi aspetti di sfiducia, questo non va certamente in direzione del recupero della distanza tra la popolazione e la politica. Lo dico perché nel chiacchierare, nel discutere, nell'ascoltare quello che viene detto passa questo postulato: ogni quindici anni al governo di questo Paese bisogna mandare un tecnico per rimediare agli effetti drammatici prodotti dai politici, che poi torneranno al governo per riportare, dopo quindici anni, il Paese indietro dal punto di vista economico. Credo che sia la peggiore dimostrazione che la politica possa dare, quella cioè di delegare a un tecnico il compito di risolvere i problemi creati proprio da colui che cede questa delega. Io non condivido questo modo di ragionare, però è vero che questa è l'immagine complessiva che la politica ha dato di sé, che anche noi abbiamo dato in questa fase. Si è corsi a nominare senatore a vita, per farla diventare Presidente del Consiglio dei Ministri, una persona garbata, un galantuomo, uno stimato professore, al quale si sono affidate le sorti del Paese. Credo che con questa operazione la distanza tra la politica e i cittadini anziché diminuire sia aumentata.

A fronte di questo, vista la manovra che è stata posta in essere, coloro che hanno sempre pagato continueranno a pagare e coloro che non hanno mai pagato continueranno a non pagare. Se è vero, come purtroppo lo è, che un precario che guadagna 800 euro al mese paga un'aliquota IRPEF del 23 per cento è persino offensivo discutere se possa essere applicata un'aliquota dell'1 o 1,5 per cento per il rientro dei capitali dall'estero. Credo che quel precario, quel lavoratore, quel pensionato, quel cittadino, che rappresenta la maggioranza dei cittadini italiani, non comprenda in quale direzione stiamo andando. Ci è stato raccontato che eravamo al tracollo economico-finanziario, ma credo che le cose non stiano esattamente così. Il Paese vive delle difficoltà, però ha risorse, strumenti, mezzi, anche economici, persino società che sono tra le più forti al mondo, per esempio l'ENI che opera nel campo petrolifero e genera da solo un fatturato di oltre 100 miliardi di euro. Credo che un Paese così non possa essere sull'orlo del baratro un giorno sì e l'altro pure. Credo invece che debbano essere messe a correre risorse per risolvere quei problemi di distanza, per eliminare gli sprechi in modo tale da ridurre l'ammontare delle risorse che vanno in una direzione sbagliata rispetto ai benefici che dovrebbero assicurare ai cittadini.

Per quanto riguarda gli enti locali, i tagli colpiscono tutti in modo indistinto. I cosiddetti tagli lineari colpiscono il comune cosiddetto virtuoso così come l'ente locale sprecone. Si applica un taglio percentualmente uguale per tutti, non vengono dati indirizzi, non vengono stabiliti criteri per il risparmio, non viene premiato chi spende meglio le risorse pubbliche, ma vive la mortificazione di avere poche risorse, così come la vivono coloro che sprecano. E il combinato disposto di questa manovra, con i tagli dei trasferimenti erariali alle Regioni che si ripercuotono sui trasferimenti di risorse regionali agli enti locali, massacra il sistema degli enti locali anche in Sardegna. Per quanto riguarda la nostra Regione, pur essendo d'accordo che debbano essere fatte delle riforme per migliorare la macchina regionale, non mi convince la costituzione di un'altra assemblea per decidere su ciò che di fatto è in capo al Consiglio regionale. Si individuino figure terze, esterne al Consiglio regionale, per formare una commissione ristretta di lavoro che estenda la rappresentanza presente nel Consiglio regionale, affinché si possa ampliare la discussione coinvolgendo tutte le forze sociali. Le assemblee costituenti vengono elette in assenza di parlamenti o di assemblee elettive che abbiano la delega per fare le riforme. Laddove sono invece presenti delle assemblee elettive, come questo Consiglio regionale, nonché parlamento dei sardi, è in capo a quelle assemblee, allargate a rappresentanze sociali esterne, secondo le modalità che esse stesse individuano, elaborare le riforme. Credo che la duplicazione di funzioni e di strumenti che sono già in capo al Consiglio regionale porti lontano e crei semplicemente ulteriori enti od organismi inutili.

Quanto ai servizi, sapete bene che i tagli agli enti locali comportano tagli in termini di mobilità, istruzione, cultura. E quando parliamo di mobilità, considerato che la benzina che ha raggiunto il costo di 1 euro e 70 centesimi al litro, parliamo anche di come rispondere ai bisogni dei cittadini e alleggerire i costi che ogni giorno sopportano anche per spostarsi per motivi di lavoro o di studio. Quando parliamo di istruzione e di cultura sappiamo anche che i dati ci dicono che dovremmo investire molto di più in questo settore, perché siamo agli ultimi posti in classifica a livello europeo, e quindi dovremmo incentivare l'istruzione. Se poi i dati dicono che i Paesi dove sono più diffusi titoli di studio elevati sono anche quelli che crescono di più economicamente forse l'insieme di questi due dati indica già una direzione di investimento per il futuro.

Credo inoltre che, come fece la Spagna nei primi anni '90, dovremmo investire nella formazione delle classi dirigenti della pubblica amministrazione, che conoscano l'iter delle norme europee per riuscire a ottenere i finanziamenti comunitari. Occorre saper progettare per ottenere quei finanziamenti e spenderli al meglio in modo da superare la soglia del 18 per cento nella spendita in Sardegna dei fondi europei, perché il blocco non è dovuto solo alla Regione, ma anche agli enti locali, che molto spesso programmano senza avere una visione strategica d'insieme degli investimenti realmente utili al proprio territorio. Molto spesso, infatti, presentano progetti persino irrealizzabili rispetto alle finalità o ai bisogni reali dei loro territori.

Per quanto riguarda invece i rapporti tra gli enti locali e la Regione, io dialogo con i presidenti e gli assessori, però credo sia inopportuno, e mi limito a questo termine, che capi di gabinetto o altre figure di seconda, terza o dodicesima fila, discutano di aspetti relativi alle competenze degli enti locali pur avendo l'ente locale e chi lo rappresenta tenuto sempre ottimi rapporti con l'amministrazione regionale dal punto di vista istituzionale, tenendo conto che si dialoga tra istituzioni pubbliche che non hanno lo stesso colore politico. E quand'anche avessero lo stesso colore politico, si tratta pur sempre di istituzioni pubbliche e siccome quello che ho detto in premessa lo penso realmente, ribadisco che in questa fase è semplicemente folle sparare a zero sulle istituzioni mortificando alla fin fine sé stessi, perché nel calderone della politica ci rientriamo tutti e i cittadini non fanno distinzione, ma accomunano tutti alla cattiva politica, mentre vorremmo essere tutti accomunati alla buona politica. Credo che non giovi a nessuno questo tipo di atteggiamenti, soprattutto perché chi li attiva rischia di ricevere risposte in linea e magari ancora più drastiche di quelle espresse in precedenza. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Gonnosfanadiga, Sisinnio Zanda.

ZANDA SISINNIO, Sindaco del Comune di Gonnosfanadiga. Rivolgo un saluto al Presidente del Consiglio regionale, ai consiglieri e ai colleghi delle autonomie locali. Sono voluto intervenire per cercare di mettere al centro di questa giornata un problema che ho rilevato, anche perché non so se il Consiglio regionale abbia perfetta coscienza di quello che è successo. Parlo del nubifragio del 21 e 22 novembre, a causa del quale alcuni comuni del Medio Campidano, e cioè Gonnosfanadiga, Arbus, Guspini, Villacidro e Pabillonis, ma mi risulta anche altre località della Sardegna, hanno subito ingenti danni e ci sono stati rischi seri anche per l'incolumità delle persone. Il nostro comune ha subito un danno che abbiamo quantificato in oltre 10 milioni di euro.

Io sicuramente ringrazio per la cortesia dimostrata sia il Presidente della Regione, che ci ha voluti ricevere, sia tutti gli altri enti che ci hanno risposto molto cortesemente, però quello che rilevo è che in effetti noi, e presumo anche gli amministratori di tutti gli altri comuni, siamo stati lasciati completamente soli nell'affrontare questa situazione. In Sicilia, dopo appena qualche giorno, lo Stato aveva già dichiarato lo stato di calamità naturale. Da noi, per fortuna, non c'è scappato il morto, ma è davvero una magra consolazione pensare che solo se muore qualcuno i tempi della politica forse riescono ad essere congrui alla risoluzione dei problemi. Questa è un'amara constatazione che anche il nostro consiglio comunale ha fatto in una riunione svolta in questi giorni. Io ho la sensazione che il Consiglio regionale non abbia davvero il polso di questa situazione, ma penso che solo una sua decisione, quella di chiedere il riconoscimento dello stato di calamità naturale, possa sbloccare questa situazione.

Nessuno ha risorse finanziarie: per i lavori pubblici non ci sono risorse, l'Assessorato dell'ambiente non ha risorse. Noi stiamo quindi affrontando le prime emergenze con le poche risorse a disposizione e il resto senza copertura finanziaria, perché in effetti non possiamo lasciare le aziende isolate e le strade impraticabili. Ci sono situazioni di rischio per quanto riguarda il letto del fiume che attraversa il nostro comune tuttora presenti, perché un altro nubifragio, di portata anche inferiore, a questo punto porterebbe davvero a valle quel che è rimasto degli argini del fiume. Credo che questo problema debba essere affrontato, perché non è pensabile che non ci siano fondi a valere sulla legge numero 28 del 1985, che non ci sia comunque un sistema per fare in modo che perlomeno i comuni abbiano certezza che se intervengono saranno aiutati. Se anche noi, come ente locale, dovessimo stanziare i fondi dei nostri residui e delle nostre economie rischieremmo, se non venisse riconosciuto lo stato di calamità naturale da parte dello Stato, di andare oltre i limiti del patto di stabilità.

Credo, quindi, che in questo momento sia necessario, non solo per il mio comune, ma anche per gli altri comuni del Medio Campidano, per Olbia e altri comuni della Sardegna, che questo problema venga affrontato urgentemente. E' sicuramente utile che la Giunta abbia sentito il dovere di vincolare, nella manovra finanziaria, 6 milioni di euro per la pulizia dei sistemi idrografici, ma è anche vero che quei 6 milioni di euro sono stati stanziati togliendoli dal fondo destinato ai comuni, cioè dal fondo unico. Credo che a questo problema dovrebbe essere prestata sicuramente più attenzione e dovrebbero essere destinate più risorse. In particolare, in momenti come questi, è essenziale la vicinanza del Consiglio e della Giunta, e di conseguenza devono essere adottati gli atti necessari dal punto di vista finanziario per rimettere a posto il territorio. Grazie.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Gian Valerio Sanna. Ne ha facoltà.

SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Signora Presidente del Consiglio regionale, signor Presidente del Consiglio delle autonomie locali, credo che l'appuntamento di oggi abbia un rilievo se lo viviamo un po' meno come fase di constatazione delle posizioni in atto e invece un po' più come occasione di orientamento; orientamento peraltro a noi già abbastanza noto, grazie alle audizioni effettuate durante le attività d'esame della manovra di bilancio, e che pertanto ci porta a dire che in una congiuntura complessivamente difficile neanche sul versante regionale si registra una visione univoca di come affrontare il futuro.

Noi siamo convinti che non sia corretto attendere che sia trascorso il 2012 per registrare l'acuirsi di una condizione, ma che competa alla responsabilità del Governo regionale prima di tutto, ma anche del Consiglio, la capacità lungimirante di anticipare alcuni fattori ed eventi e pertanto contenerne gli sviluppi. D'altra parte, si può convenire o no, però è indubitabile che affrontiamo una fase nazionale, che interessa tutte le Regioni, ma anche i comuni, nella quale registriamo la fine di una stagione che ha conosciuto la devastazione di una pretesa illimitata della politica. Quando dico questo, dico che questa affermazione di supponenza della politica, la smisuratezza della politica rispetto alla funzione equilibrata che invece dovrebbe avere impone a noi un comportamento diverso, che è esattamente quello che oggi porta a far confliggere la posizione della Giunta regionale, che afferma di aver presentato il miglior bilancio possibile, con quella del Consiglio regionale, che percepisce invece una difficoltà complessiva che non trova risposta in quello stesso documento.

Non è una contrapposizione politica, è un dato di fatto. Da qui la necessità di un protagonismo diverso del Consiglio regionale, che preveda anche una sanzione morale per una stagione politica che ha visto questa spropositata supponenza della politica. E dunque anziché usare tanti tecnicismi nell'approcciarsi al bilancio della Regione, occorrerebbe, al contrario, un po' più di sentimento e di cuore nel definire le strategie più giuste. Io ritengo, ma credo lo pensino anche molti di voi, che gli enti locali siano gli interlocutori più importanti e decisivi in questo momento per attraversare un guado senza sapere cosa vi sia dall'altra parte, ma dovendolo comunque attraversare nella maniera più seria e concreta.

Vorrei dire che viviamo una realtà strana: abbiamo 270 comuni piccoli e piccolissimi e più di 100 grandi comuni, e non è vero che la sofferenza è leggibile nello stesso modo, perché nei nostri piccoli paesi la gente che si sta trovando numerosa vicino alla soglia della povertà difficilmente si presenta dal sindaco o dall'assistente sociale, poiché vive una dimensione di dignità e di orgoglio diversa rispetto ad altre realtà. Sono 270 le comunità nelle quali questo fenomeno si sviluppa e per le quali noi dobbiamo trovare strumenti idonei a intercettare una giusta solidarietà, perché queste persone hanno diritto ad avere risposte, così come ce l'hanno coloro che vivono nelle grandi città e possono avere servizi o anche ricevere una solidarietà diversa, come quella offerta dalle mense della carità, per esempio, che nei piccoli comuni non ci sono.

Ecco perché dobbiamo fare uno sforzo, nel bilancio regionale, per trovare quelle risorse che vanno sottratte a uno sfrenato "normalismo". Voglio dire che è un bilancio fatto con l'idea che viviamo una stagione normale, però, signori Assessori, noi non ci possiamo permettere di spendere milioni di euro, uno per ogni Assessorato, per incarichi e convenzioni; non ci possiamo permettere di spendere risorse per far fare la ricreazione ai dipendenti regionali; non ci possiamo permettere livelli alti e non misurati di produttività nell'apparato regionale senza chiedere anche a esso dei sacrifici. Siamo tutti chiamati a fare sacrifici ed è per questo che la richiesta di un protagonismo diverso del Consiglio regionale tende rispondere a questa domanda: siamo in condizioni, in un momento speciale, di fare una cosa speciale? E nel fare una cosa speciale facciamo assolutamente quello che io credo ciascuno di noi desidera, cioè ristabilire un equilibrio della nostra funzione rispetto alla percezione che ne hanno i cittadini sardi.

Vorrei poi dire una cosa agli amministratori locali: anche voi dovete evitare le cose che si facevano prima e che in questo momento non è più utile fare. Dovete anche pensare che la vostra condizione di componenti del Consiglio delle autonomie è una condizione di importante terzietà rispetto al Consiglio regionale. E allora quando nella finanziaria dell'anno scorso noi abbiamo scritto che il fondo unico per gli enti locali doveva avere carattere di priorità rispetto agli impegni del patto di stabilità della Regione abbiamo voluto dire che nella formazione del budget di trasferimento agli enti locali la Regione non aveva alcuna ragione per trattenere quel fondo, come invece ha fatto. Quindi voi dovete attrezzarvi per ricorrere contro la Giunta quando non rispetta le leggi approvate dal Consiglio regionale. Quella era una norma di tutela della priorità che noi avevamo indicato nella finanziaria a favore degli enti locali, perché non è solo una questione di cifre. Badate, il meccanismo è semplice: il fondo unico cresce, o sarebbe dovuto crescere, con l'incremento delle entrate tributarie, ma se aumentano le tasse, crescono le entrate tributarie e il fondo unico rimane fermo è chiaro che la conseguenza è che gli enti locali aumenteranno a loro volta i tributi, generando così un aumento improprio perché conseguente all'applicazione di una modalità sbagliata.

Ecco perché dal 2009 a oggi bisognava fare una battaglia diversa nei confronti della Giunta regionale, che non ha rispettato il dettato delle norme istitutive del fondo unico, tant'è che anche quest'anno questo fondo è fermo. Io dico solamente questo: daremo dimostrazione, siamo in condizione di farlo, del fatto che nel bilancio che ci è stato presentato - bilancio meraviglioso, a detta dell'assessore La Spisa - si possono trovare svariati milioni di euro da mettere al servizio degli enti locali, in un momento di difficoltà, per far fronte alla condizione di crisi, senza con questo consentire che il Consiglio regionale e la politica vengano superati dal populismo di altri sistemi organizzati che non dispongono degli strumenti che invece noi abbiamo per incidere sul futuro.

Questa era l'occasione, secondo me, più importante per stabilire questo orientamento. Credo che, al di là delle questioni di parte, dentro il Consiglio regionale in questo momento sia diffusa la consapevolezza che dobbiamo assumerci insieme una responsabilità diversa, nuova, contro corrente, se ci riusciamo, e forse lasceremo un segnale importante al futuro dei nostri figli che pretende, come sempre, in questo momento una rinuncia all'egoismo da parte dei loro padri.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.

Questo sarà l'ultimo intervento prima di quello della Giunta.

STERI (U.D.C.-FLI). Presidente del Consiglio regionale, Presidente del Consiglio delle autonomie, signori, è questo un momento di confronto con gli enti locali particolarmente importante. Dico questo perché ritengo che nel momento in cui assistiamo all'annuncio di riforme che vanno a incidere sull'organizzazione degli enti locali quale oggi la conosciamo (province e comuni) tutti, Regione, Consiglio regionale ed enti locali, si devono stringere insieme per difendere le autonomie e potenziarle. In un momento in cui, soprattutto grazie agli interventi di talune forze politiche, si assiste a un fenomeno tendente a porre in crisi il concetto di unità e coesione dello Stato, questa unità e questa coesione noi possiamo costruirle solo partendo dal basso, partendo cioè dagli enti locali. Questo perché? Perché quando il Regno sardo-piemontese si trasformò nel Regno d'Italia l'unità fu creata utilizzando il sistema del centralismo amministrativo, cioè non basandosi su ideali e valori, ma concentrando in alto i poteri che poi calavano verso il basso in forma piramidale. Questo meccanismo oggi non esiste più. Oggi il potere amministrativo è reticolare, cioè ci sono svariati centri che svolgono questo potere. In questa situazione è evidente che la coesione dello Stato non può che nascere dal basso, non può che nascere dagli enti locali. Ecco perché gli enti locali devono essere difesi, ecco perché i piccoli comuni (compreso Baradili, che ha 95 abitanti) devono mantenere la propria autonomia e noi dobbiamo difenderla.

Si parla di riduzione delle spese, ma questo risultato non lo si ottiene di certo riducendo il numero dei consiglieri comunali. Non sto qui a dire agli amministratori degli enti locali, che meglio di me conoscono le cifre, che è poco quello che si spende per loro; la riduzione delle spese va fatta razionalizzando i processi amministrativi e riducendo le spese inutili. Noi dobbiamo tutelare gli enti locali, credo che questa sia una volontà di tutto il Consiglio regionale. Auspico che a breve, quando il Consiglio regionale dovrà, necessariamente entro il mese di febbraio, dettare le norme sulla composizione dei consigli comunali per le prossime elezioni amministrative, questo principio venga difeso e venga garantita effettivamente la rappresentatività di tutti i cittadini.

Ma il rapporto con gli enti locali va rinforzato anche nel rapporto col Consiglio regionale. Noi partecipiamo oggi a questa riunione in cui gli enti locali hanno la loro voce e io ritengo che sia giunto il momento di intervenire sulla legge istitutiva e modificarla. Questa riunione, a nostro avviso, deve essere preceduta da una serie di tavoli tecnici, in maniera tale che poi si venga qui ad assumere decisioni essendo effettivamente a conoscenza delle esigenze di tutti gli enti locali. Da qui la necessità di procedere a una rapida riforma di quella norma di legge.

Quello che stiamo vivendo è sicuramente un momento di crisi, che aveva già dato i primi segnali nel 2008; nel 2009 l'attendevamo e abbiamo visto anche che cosa è successo a livello nazionale. E' stato fatto cenno agli interventi posti in essere dal Governo Monti. Sicuramente si poteva fare di più e meglio, ma questo avviene in ogni momento. Il Governo Monti è intervenuto in un momento di emergenza, in cui non aveva neanche un mese a disposizione per predisporre quei provvedimenti, quindi io non me la prendo con il Governo Monti, ma semmai con chi non ha saputo gestire in precedenza la crisi e ci ha posto in questa situazione. Sicuramente ci saranno altri interventi, ma se noi oggi vogliamo salvare l'Italia dobbiamo, pur con tutte le critiche, appoggiare in tutti i modi il tentativo del Governo Monti. Si può collaborare, si possono dare suggerimenti per migliorare i provvedimenti, ma in questo momento non abbiamo alternative.

Per quanto riguarda la nostra Regione c'è una grossa difficoltà economica che discende dal non essere riusciti ancora a chiudere il confronto con il Governo. Non mi riferisco solo alla partita sulle entrate, mi riferisco anche al problema del patto di stabilità, che oggi comprime ancora di più le somme che possono essere poste in pagamento. Cioè noi possiamo porre in pagamento una somma ben inferiore a quella impegnabile, da qui l'esigenza di uno sforzo che veda tutti uniti e veda il Consiglio regionale partecipe in prima persona per cercare, in tutte le forme e i modi che concorderemo, di dare una spinta alla soluzione di questi problemi.

Sicuramente sulla finanziaria dovremo reintervenire in Commissione e in Aula. Il decreto Monti, come sapete tutti, ha determinato delle riduzioni di spesa a carico sia delle Regioni a statuto ordinario sia di quelle a statuto speciale. La quota di minore spesa che dovrebbe gravare sulla Regione sarda presuntivamente è di 160 milioni di euro. Si può criticare il decreto Monti perché, in effetti, per poter essere adottato occorreva la presenza, in Consiglio dei Ministri, dei Presidenti delle Regioni interessate, cosa che a quanto mi consta non è avvenuto. E' stato formalmente rispettato l'articolo 8 dello Statuto, perché le somme non ci sono state sottratte, ma sono state accantonate, meccanismo di nuova invenzione, però, al di là dei sofismi, sappiamo tutti che dovremo ridurre il bilancio regionale di 160 milioni, quanto meno.

Quando faremo questa riduzione ovviamente dovremo procedere anche a talune razionalizzazioni, individuare ulteriori spese non prioritarie e dare la precedenza a quelle prioritarie. Già in Commissione, e su questo si è espressa in senso favorevole anche la Giunta regionale, abbiamo raggiunto l'accordo che non sarà più una finanziaria con cui il Consiglio mette a disposizione delle somme e poi la Giunta (o meglio i funzionari regionali) decide tra tutti gli interventi previsti quale realizzare. Quest'anno indicheremo le spese che secondo noi sono prioritarie, in maniera tale che non possa più avvenire che un intervento che oggettivamente è prioritario non venga realizzato perché nel frattempo è stato esaurito il plafond necessario per la sua copertura. Sicuramente all'interno della macchina regionale ci sono spese inutili o non proficue, non prioritarie; dovremo sforzarci di individuarle per recuperare risorse da mettere a disposizione degli enti locali e del sistema produttivo e avviare azioni di contrasto alla povertà e alla disoccupazione che siano mirate e abbiano l'effettivo potere di incidere sull'attuale situazione. Esigenza quest'ultima tanto più sentita oggi in cui si stima un aggravamento della crisi che porterà a un'ulteriore riduzione dell'occupazione che andrà a incidere in misura rilevante sulla Sardegna. Attenzione, però, perché gli indici sull'occupazione - anche questo è stato detto - non sono veritieri, in quanto non tengono conto delle persone che sono talmente prostrate da non avere più neanche la forza per iscriversi ai centri di disoccupazione.

La crisi è effettivamente grave e dobbiamo tutti rimboccarci le maniche per cercare di affrontarla. Sicuramente in quest'attività tutti i suggerimenti, tutti gli apporti che dovessero venire dagli enti locali sono graditi e auspicati. Chi vive direttamente la realtà del territorio sicuramente è in grado, molto meglio di noi, di segnalare le esigenze e i problemi concreti sui quali intervenire. Ripeto, l'attuale situazione di crisi deve vedere tutti preoccupati e deve richiedere il massimo sforzo e il massimo impegno da parte di tutti. Si sentono oggi critiche contro la casta, giustificate o ingiustificate che siano; nella casta però non ci rientra solo il Consiglio regionale, ma ci rientrano tutti gli amministratori. Si parla dei costi della politica, io sostengo che questo è un falso problema. Sicuramente è un problema a cui la demagogia può dare rilevanza; sicuramente è un problema a cui tutti prestano attenzione. Il problema però non sono i costi della politica, bensì i costi della democrazia e dell'amministrazione, perché riducendo indennità e appannaggi non risolviamo nessun problema. I problemi li risolviamo se riusciamo a creare una macchina amministrativa efficiente, che dia effettivamente risposte in tempi brevi ai cittadini e che non sia semplicemente creata per consentire burocraticamente ai funzionari di assumere una serie di provvedimenti all'unico scopo di evitarsi responsabilità.

Per quanto riguarda la razionalizzazione del sistema, in Commissione abbiamo già parlato di una serie di interventi per giungere a questo scopo e consentire l'effettivo raggiungimento degli obiettivi. Nella finanziaria c'è una norma che riguarda le ASL che va tecnicamente rivista, perché è una ripetizione non tecnicamente perfetta di una norma già esistente. A nostro avviso, questa norma va migliorata e l'attribuzione degli obiettivi e la risoluzione dei rapporti, qualora gli obiettivi non venissero raggiunti, non deve essere riferita sono alle ASL, ma a tutto il sistema regionale. Cioè noi riteniamo che tutti gli enti, le agenzie, le società in house debbano avere degli obiettivi ben precisi, ovviamente realizzabili, e a fronte della mancata realizzazione degli obiettivi, del mancato rispetto dei tetti di spesa, coloro che amministrano devono darci giustificazione di questo mancato risultato. Questo intervento può essere previsto già nella prossima finanziaria, ma molti altri interventi di questo genere possono essere realizzati. Auspico quindi che ci sia un'effettiva collaborazione con gli enti locali e che entro breve tempo possa essere rivista la legge regionale che disciplina questo settore, valorizzando ulteriormente l'apporto che può essere dato. Grazie.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare l'Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. Ne ha facoltà.

RASSU (P.d.L.), Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. Presidente Lombardo, presidente Milia, signori sindaci, colleghi, affrontiamo oggi questo importantissimo dibattito che mi auguro d'ora in avanti, come auspicato anche dal presidente Milia e dalla presidente Lombardo, possa ripetersi, al di là di quello che predispone la norma, più frequentemente. Qualcuno, ne siamo tutti consci, ha parlato di momento speciale e del fatto che nei momenti speciali è necessario - e io concordo - fare cose speciali. Le cose speciali in un momento speciale possono essere fatte con l'apporto indispensabile di tutte quelle istituzioni che in una nazione e in una regione come la nostra concorrono alla realizzazione del bene comune. Da qui l'importanza del rapporto privilegiato che, per quanto riguarda me e l'intera Giunta regionale, deve esserci tra la Regione e il Consiglio delle autonomie locali. Posso affermare, senza falsa modestia, che nessuna decisione di carattere politico e ordinamentale da parte dell'Assessorato degli enti locali, tanto meno quindi da parte della Giunta regionale, è stata intrapresa senza aver sentito le associazioni degli enti locali e l'Unione delle province sarde. Questo perché quando si tratta di fare norme per tentare di risolvere le problematiche, attualmente di una gravità assoluta, che riguardano il nostro popolo questa funzione non può essere delegata. E' stata delegata politicamente senz'altro alla Giunta regionale e al Consiglio regionale, ma è necessario l'apporto di tutti coloro che possono, in questo senso, dare un contributo per risolvere una situazione davvero difficile.

Non voglio fare un intervento rituale, ma voglio direttamente illustrare, dal punto di vista tecnico, l'operato dell'Assessorato degli enti locali e della Giunta nel suo complesso conseguentemente agli impegni presi nell'incontro con il CAL tenutosi l'anno scorso in questa prestigiosa aula. Vorrei però cogliere l'occasione anche per affrontare alcuni aspetti significativi che oggi vessano gli enti locali della Sardegna e quindi parlare dei rapporti tra la Giunta e gli enti locali. Credo che l'anno che sta per concludersi - spero non accada altrettanto l'anno venturo - sarà ricordato come uno dei più difficili per le istituzioni locali, non solo sotto l'aspetto economico e finanziario, ma anche sotto tutti gli altri aspetti: sociali, storici e politici. E' questa la situazione che ha determinato e determina tuttora un acceso dibattito, che molte volte travalica quelli che sono i normali rapporti tra i livelli istituzionali, ma credo che questo fatto sia giustificato dalla delicatezza e dalla gravità del momento. Le manovre finanziarie varate dal Governo hanno avuto, lo sappiamo tutti, effetti devastanti sui bilanci delle Regioni e delle autonomie locali, già falcidiati dalle precedenti manovre, dai vincoli del patto di stabilità e dalla crisi in atto a livello internazionale, che colpisce l'Italia e all'interno del contesto nazionale principalmente la nostra regione, caratterizzata dall'insularità, che potrebbe essere un elemento di forza, ma che paghiamo purtroppo come elemento di debolezza, in quanto non essendo state sviluppate, da un ventennio a questa parte, adeguate politiche di export ci confrontiamo con un sistema economico chiuso, basato principalmente sulla grande industria. Ora si sta ritornando, o si vuole ritornare, a un'economia agropastorale, a cui qualche collega poc'anzi ha accennato, però dobbiamo misurarci con un settore che è malamente strutturato e non può pertanto competere con le realtà economiche della penisola italiana e dell'Europa.

E' chiaro che la generale ristrettezza di risorse finanziarie ha comportato anche per la Regione un ammanco di ingenti risorse in bilancio. E' di questi giorni il confronto acceso all'interno del Consiglio regionale, ma anche tra la Giunta regionale e il Governo, sulle mancate entrate fiscali, a cui ha accennato poc'anzi la presidente Lombardo. Credo che in un momento come questo sia assolutamente necessario fare massa critica, stare uniti, coesi, portare avanti la rivendicazione di un popolo, lasciando da parte le appartenenze di partito e ricordandoci invece dell'appartenenza al popolo sardo, del quale siamo i rappresentanti al livello regionale più alto. Questa non è retorica, non è pretendere chissà che cosa. Prima di tutto, a mio parere, deve coscienziosamente prevalere in noi l'appartenenza al nostro popolo, e il dovere che ci impone l'essere stati eletti come rappresentanti di quel popolo è principalmente quello di difenderne i diritti. Lo Stato e il Governo nazionale, calpestando l'accordo Stato-Regione stipulato alcuni anni fa, quando la Regione, giustamente o meno, si è accollata gli oneri per la continuità territoriale, per la sanità e per l'istruzione pubblica, non hanno adempiuto all'impegno di darci 800 milioni di euro all'anno per due anni più una compartecipazione alle entrate. Tutti noi, quindi, non il centrodestra da una parte e il centrosinistra dall'altra, ma tutti insieme, come popolo, dobbiamo rivendicare ciò che lo Stato non ha mantenuto per via del divieto imposto da una forza politica, la Lega Nord per essere chiari, che non ha niente a che vedere con determinate nostre esigenze. Questo richiamo lo faccio sinceramente, al di là della mia appartenenza politica. Se veramente crediamo in quello che diciamo, se veramente il momento è speciale, se veramente sono necessarie azioni speciali, queste debbono essere fatte all'unisono, oppure non diciamo cose veritiere. Dimentichiamoci per un certo periodo dell'appartenenza ai partiti e delle diverse ideologie e teniamo presente il fatto che siamo espressione politica del popolo sardo, e al popolo sardo dobbiamo dare risposte.

Comunque sia, malgrado le difficoltà per il mancato accreditamento delle risorse spettanti alla Sardegna, la Giunta regionale ha voluto lasciare invariati gli stanziamenti a favore degli enti locali, in primo luogo il fondo unico, che il Consiglio regionale ha provveduto a integrare con ulteriori risorse. Onorevole Sanna, siamo consapevoli del fatto che i limiti imposti dal patto di stabilità, da una parte, e le difficoltà di reperimento di risorse, dall'altra, non hanno consentito l'erogazione complessiva delle somme spettanti a ciascun ente locale, ma siamo comunque intervenuti a favore dei comuni che hanno segnalato le maggiori criticità. Sono state infatti impegnate in diversi casi, e anche liquidate, somme riguardanti i programmi straordinari per l'occupazione, i fondi regionale e nazionale per la montagna, i contributi per la mobilità del personale delle cessate comunità montane, nonché i premi per l'attività svolta dalle compagnie barracellari. Mi direte: inezie. Non sono inezie, perché in molti casi questo ha determinato - è assurdo dirlo, ma purtroppo così è - la sopravvivenza dell'ente locale. Inoltre, a dicembre del 2011, sono state predisposte le direttive di attuazione delle misure di sostegno a favore dei piccoli comuni, previste nella legge numero 12 del 30 giugno 2011 - bisogna darne atto alla Commissione bilancio - e che avranno copertura nel bilancio del 2012.

La Giunta, nonostante si trovi in grosse difficoltà a causa della rigidità delle norme sul patto di stabilità, con la deliberazione numero 65 dell'8 febbraio 2011 ha destinato, come ho accennato poc'anzi, 50 milioni di euro agli enti locali per aumentarne la capacità di spesa; la ripartizione di tale somma si è conclusa a fine ottobre, così da agevolare gli enti locali soggetti al patto immettendo nuova liquidità nel sistema, soprattutto a favore delle famiglie e imprese già strangolate dalla crisi, e le ultime anche dal patto di stabilità. Tutti infatti sappiamo ciò che il patto di stabilità rappresenta e sta continuando a rappresentare per gli enti locali, poi su questo sarò più preciso.

Ritengo che per il futuro sia necessario, così come concordato con le associazioni degli enti locali, dotarsi di un regolamento per la compensazione verticale, eventualmente esteso alla compensazione orizzontale, sinora rimasta inapplicata, che tuteli i comuni in difficoltà e garantisca la migliore trasparenza possibile dell'intervento regionale. Ritengo altresì necessario applicare, già a decorrere dal 2012, l'articolo 5 della legge regionale numero 16 del 2010, per evitare il cosiddetto "doppio computo" (somme che vengono conteggiate ai fini del patto di stabilità sia dalla Regione che dagli enti locali) e far sì che le risorse del fondo unico, in quanto compartecipazione regionale all'esercizio delle funzioni delegate, possano non essere computate nel calcolo del patto di stabilità dei singoli enti territoriali. Le somme così ottenute devono essere computate una sola volta dalla Regione, dando la possibilità di liberare importanti risorse per gli enti locali. E' una proposta che abbiamo verificato e stiamo portando avanti, ripeto, con le associazioni degli enti locali. Sentir dire che il Presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia, non riesce a utilizzare 130 milioni di euro, di cui pure dispone, ed è per di più costretto a chiedere anticipazioni alla tesoreria (con l'aggravio di pesanti interessi passivi) per far fronte alle esigenze dell'amministrazione provinciale, certamente non fa piacere. E' necessario trovare insieme una soluzione, una formula per risolvere questo problema che ha dell'assurdo, ma che impone agli enti locali e alle Regioni una norma rigidissima che fino a oggi non abbiamo potuto eludere.

L'auspicio che formulo è che in questa sede si arrivi in tempi rapidi al comparto unico della finanza locale, che darebbe indubbiamente maggiore respiro ai bilanci degli enti locali unitamente a maggiori spazi nei saldi degli impegni e dei pagamenti per la Regione, da conquistarsi in sede di trattativa con il Governo nazionale. Ancora una volta rivolgo un appello all'unità e alla coesione. Siamo pochi e disuniti, come sempre, ma siamo un grande popolo che quando è stato il momento ha dimostrato quello che vale, e lo Stato con noi era ed è sempre debitore!

Tentiamo di unire le nostre forze, lasciando da parte in questo momento, come dicevo poc'anzi, l'appartenenza ai partiti. Ne va della sopravvivenza della nostra economia. Inoltre, al fine di dare un minimo di liquidità alle imprese e strapparle, è proprio il caso di dirlo, al rischio di fallimento, perché di questo si tratta, e poiché il nostro sistema economico sta fallendo per via di una norma perversa, mi auguro che nel prossimo anno possa essere davvero operativa la cessione di crediti pro soluto. Su questa strada dobbiamo batterci e dobbiamo essere assolutamente intransigenti. Questi interventi di certo non costituiscono la panacea di tutti i mali degli enti locali, ma in questo momento di forte crisi sono senz'altro una boccata d'ossigeno per i loro bilanci, se si riesce a intervenire subito, ed è nostra intenzione, in sintonia con le autonomie locali e con le relative associazioni.

Sul piano più strettamente ordinamentale mi preme sottolineare alcuni punti: l'Assessorato ha predisposto un disegno di legge sull'ordinamento degli enti locali, ormai definito, che costituirà norma generale organica di riferimento per il funzionamento e l'organizzazione istituzionale e operativa degli enti locali. Il disegno di legge, che è stato già predisposto in collaborazione con l'associazione degli enti locali, sarà presentato quanto prima in Giunta, sentite le forze politiche. Comunque sia, in questo momento confermo che in proposito sarà senz'altro sentito il Consiglio delle autonomie locali, perché si tratta di una legge fondante sull'ordinamento degli enti locali e quindi è necessario che ci sia l'apporto di tutte le forze politiche, comprese le associazioni degli enti locali, così come fino a oggi è avvenuto.

Il disegno di legge, tra l'altro, una volta approvato, doterà la Sardegna, per la prima volta nella storia autonomistica, di una legge regionale di disciplina del sistema delle autonomie locali. Nel corso del 2011 sono stati portati avanti altri interventi, come gli interventi attuativi della legge regionale sulla polizia locale. E' stato predisposto un disciplinare, anche in accordo con le organizzazioni sindacali sentito il Comitato tecnico per la polizia locale, relativo agli strumenti operativi nel settore. Questo è uno strumento di legge approvato nel 2007, la cui attuazione negli ultimi due anni ha incontrato diverse difficoltà. Siamo arrivati al rush finale grazie, lo ripeto ancora, alla collaborazione stretta con le organizzazioni sindacali e con le associazioni delle autonomie locali. E' stato inoltre presentato un nuovo disegno di legge concernente disposizioni in ordine alle compagnie barracellari. Tale attività, come del resto tutta l'attività dell'Assessorato, è stata improntata alla massima collaborazione e concertazione con i rappresentanti delle autonomie locali, perché solo con il contributo di tutte le forze istituzionali, politiche e rappresentative degli enti locali si possono raggiungere ottimali obiettivi per rispondere alle esigenze sempre più pressanti e problematiche del nostro territorio.

Voglio tornare un attimo all'ultimo provvedimento a cui ho accennato. Sappiamo perfettamente che il decreto numero 138 del Governo ci impone determinati obblighi per quanto riguarda l'esercizio obbligatorio in forma associata. La Giunta regionale, proprio la settimana scorsa, ha approvato un disegno di legge concernente la razionalizzazione dell'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali dei comuni, di cui all'articolo 21 della legge numero 42 del 2009, resosi necessario a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 16 della manovra di correzione della finanza pubblica approvata la scorsa estate (legge numero 148), il quale, com'è noto, ha introdotto significative modifiche nell'ambito delle autonomie locali. Se volete ve le leggo, ma comunque credo che i sindaci siano a conoscenza del contenuto della legge numero 42.

In proposito, occorre tenere presente - e di questo ne abbiamo fatto un punto di forza - che in Sardegna, con l'entrata in vigore della legge 2 agosto 2005, numero 12, è stato avviato un percorso innovativo e anticipatore della disciplina dell'associazionismo tra enti locali incentrato sul riordino territoriale. Tale percorso, sorto per assicurare un efficace esercizio delle funzioni e dei servizi in ambiti territoriali ottimali, e ormai concluso, ha consolidato in questi anni un assetto aggregativo di comuni di diversa dimensione demografica, portando alla costituzione di 35 unioni di comuni e all'istituzione di 5 comunità montane, che coinvolgono complessivamente 334 comuni su 377, di cui 116 su 118 sotto i 1.000 abitanti. I comuni non associati, salvo pochissime eccezioni, riguardano enti non obbligati, ricadenti prevalentemente nelle aree metropolitane e nelle zone costiere.

Questi numeri rappresentano emblematicamente il raggiungimento dello scopo insito nella legge regionale numero 12 del 2005, in termini di associazionismo degli enti locali e in particolare dei piccoli comuni. Dare applicazione al predetto articolo 16 per la parte riguardante l'obbligatorietà, per i comuni con popolazione sino a 1.000 abitanti, dello svolgimento di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi loro spettanti mediante unione di comuni significherebbe abbandonare l'assetto organizzativo di tipo aggregato ormai consolidato per intraprendere un nuovo percorso, con evidente aggravio di costi e di tempi, dai risultati molto incerti.

Se consideriamo, inoltre, la realtà storico-geografica e socio-culturale dei comuni, con una distribuzione polverizzata sul territorio regionale, e teniamo conto del percorso associativo già attuato ai sensi della legge regionale numero 12 che ho citato, appare del tutto evidente la non opportunità di operare una dicotomia tra i comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, che in base alla nuova normativa statale dovrebbero svolgere obbligatoriamente tutte le loro funzioni e tutti i loro servizi tramite unioni di comuni e convenzioni, e quelli con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti, che dovrebbero invece svolgere obbligatoriamente in forma associata le sole funzioni fondamentali. Per queste motivazioni riteniamo opportuno, sotto il profilo economico e finanziario, da un lato integrare le norme regionali vigenti in materia, con riguardo particolare alla gestione obbligatoria in forma associata delle funzioni fondamentali anzidette, e dall'altro confermare l'attuale impianto ordinamentale di tutti i comuni della Sardegna, coerentemente con le disposizioni dell'articolo 3 dello Statuto speciale. E' infatti nostro convinto intendimento lasciare inalterato l'impianto istituzionale attuale, vale a dire consiglio, giunta e sindaco, con relative attribuzioni, in tutti i comuni, compresi quelli con popolazione inferiore a 1.000 abitanti.

Concludo dicendo che la democrazia non può assolutamente pagare i disavanzi di bilancio. Il sindaco e le popolazioni dei comuni fino a 1.000 abitanti, per quanto ci riguarda, hanno la stessa dignità istituzionale dei sindaci con 5 mila, 10 mila o 100 mila abitanti. Non possiamo perdere una conquista fatta con la Costituzione, per cui la Regione autonoma della Sardegna tutela e salvaguarda nella sua norma e nel disegno di legge presentato dalla Giunta la propria autonomia. In tali norme vengono stralciate dalla legge sull'ordinamento degli enti locali due delle funzioni fondamentali che dovranno essere assolutamente normate entro il 31 dicembre 2011, salvaguardando quindi i piccoli comuni al di sotto dei 1.000 abitanti che hanno diritto come gli altri di avere il sindaco, la giunta e il consiglio comunale, così come democraticamente sancito dalla Costituzione.

Saluto tutti voi e vi auguro buon lavoro.

PRESIDENTE. Grazie, assessore Rassu.

I lavori si concludono qui. Alle ore 13 è convocata la Conferenza dei Capigruppo, mentre il Consiglio è riconvocato alle ore 16.

La seduta è tolta alle ore 12 e 43.