Seduta n.141 del 23/09/2010
CXLI SEDUTA
Giovedì 23 settembre 2010
(POMERIDIANA)
Presidenza della Presidente LOMBARDO
indi del Vicepresidente CUCCA
indi della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 16 e 31.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del 7 settembre 2010 (134), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Roberto Capelli, Mariano Contu, Simona De Francisci, Domenico Gallus, Massimo Mulas, Adriano Salis e Carlo Sechi hanno chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 23 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Annunzio di presentazione di proposta di legge
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta di legge:
Greco - Diana Mario - Sanna Paolo Terzo - Piras - Zedda Alessandra - Contu Mariano Ignazio - Murgioni - Locci - Pittalis - Cherchi - Ladu - De Francisci - Lai - Sanjust - Tocco - Campus - Peru - Rassu - Pitea - Floris Rosanna - Rodin - Stochino: "Norme a tutela della promozione e valorizzazione dell'invecchiamento attivo". (196)
(Pervenuta il 22 settembre 2010 e assegnata alla settima Commissione.)
Considerata l'assenza della Giunta e constatata la scarsa presenza dei consiglieri in Aula, sospendo la seduta.
(La seduta, sospesa alle ore 16 e 32, viene ripresa alle ore 16 e 51.)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88.
E' iscritto a parlare il consigliere Locci. Ne ha facoltà.
LOCCI (P.d.L.). Presidente e onorevoli colleghi, voglio iniziare questo mio breve intervento dicendo che in effetti in questi due giorni ci siamo chiariti abbastanza bene le idee riguardo ai termini che dobbiamo usare per affrontare una riforma statutaria. Indubbiamente abbiamo capito, se uno avesse avuto dei dubbi, che nello Statuto o in eventuali leggi collegate non si potranno usare termini come indipendentismo e sovranità. Dobbiamo quindi parlare all'interno di un recinto legislativo che è dato dall'autonomia dove lo Statuto deve determinare non i paletti ma tutto quello che vi si può mettere dentro. Devo dire che ho ascoltato con estrema attenzione i numerosi interventi che si sono succeduti sia dai banchi della maggioranza che dell'opposizione e ho apprezzato anche la lungimiranza, per esempio, dell'intervento dell'onorevole Maninchedda che, pur avendo come stella cometa ideologica la stella cometa dell'indipendentismo, applica - a mio modo di vedere - un ragionamento che si rifà, se posso usare un termine anglosassone, alla realpolitik o, meglio, un ragionamento pragmatico.
Lui si rende conto che evidentemente, nel momento in cui dobbiamo legiferare, non si possono inserire dei termini che sarebbero un presupposto di anticostituzionalità e quindi giustamente dice che si deve cercare di riempire di tutti i contenuti possibili e immaginabili per creare uno statuto che sia un abito perfetto che possa vestire tutta la Sardegna e quindi il popolo sardo. Devo dire che ho apprezzato, dai banchi dell'opposizione, l'intervento dell'onorevole Soru che, in maniera compiuta, per la prima volta dopo un anno e mezzo, ha svolto non un intervento di parte ma un intervento di una persona che ha fatto un'esperienza importante nel governo della Sardegna, senza entrare ovviamente nel merito politico dei giudizi, e che oggi si pone in una posizione costruttiva per cercare di dare il proprio contributo. Mi è piaciuto, del suo intervento, il fatto che abbia posto l'accento sull'orgoglio identitario della Sardegna per arrivare all'autodeterminazione, è stato un intervento quasi all'opposto di quello del mio collega Campus, ha preso atto della gravissima situazione economica e sociale in cui versa la Sardegna e ha avuto una sorta di scetticismo nei confronti della possibilità di questo Consiglio di arrivare a una riforma compiuta e condivisa.
Io credo che probabilmente la soluzione stia in mezzo a queste due posizioni, nel senso che, con la buona volontà, si potrà, a mio parere, se ci mettiamo a lavorare da dopodomani mattina, arrivare a soluzioni che possano essere il più possibile condivise. Ho notato che la discussione è stata incentrata anche sul come dobbiamo arrivare all'obiettivo, si parla da anni, se ne è parlato anche in quest'Aula, dell'Assemblea costituente, poi giustamente si è parlato invece di un meccanismo forse più snello, probabilmente più adeguato alle circostanze, la prima Commissione consiliare, che ha la prerogativa di poter affrontare questo argomento, eventualmente trasformata in una Commissione speciale. Personalmente propendo per questa seconda soluzione, come mi sembra sia orientata la maggior parte dei componenti dell'Aula e, se su questo siamo d'accordo, credo che si possa velocemente, alla fine di questo dibattito, mettere in piedi un ordine del giorno condiviso e dal giorno dopo iniziare a lavorare.
Iniziare a lavorare perché il lavoro che ci aspetta è un lavoro che purtroppo non ci dà la possibilità di menar troppo il can per l'aia, come si dice, perché, è stato già detto, lo vorrei ribadire in questo mio intervento, i tempi che abbiamo sono molto ristretti. Sono molto ristretti perché ci troviamo di fronte alla possibilità di dover avere un incontro, che potrebbe essere anche uno scontro, con lo Stato per quanto riguarda i decreti attuativi sulla legge del federalismo fiscale; questa è una partita che, secondo i termini della legge, andrebbe chiusa a maggio 2011. Badate bene, non è che cito questo per dire che sia importante, la cosa non può essere messa in relazione con la discussione delle riforme, a mio parere, le due cose devono andare parallelamente. La materia, di cui si discuterà nel momento in cui ci sarà il confronto Stato-Regione, per arrivare, per esempio, dal costo storico, alla definizione del costo e del fabbisogno standard (che poi è un po' il nucleo della legge sul federalismo fiscale), è quella che determinerà il futuro economico della nostra Isola; questo discorso infatti andrà poi collegato a quello delle nuove entrate. Il rischio, cari colleghi, è che a noi, recati a Roma per questo confronto, ci possa venir detto che, almeno per quanto riguarda la sanità, il trasporto pubblico locale o la continuità territoriale, siamo stati già perequati con le nuove entrate.
Quindi la battaglia a cui dobbiamo prepararci è una battaglia di merito, perché dal fabbisogno standard, che dobbiamo identificare, dobbiamo capire quali sono i deficit infrastrutturali che noi ci portiamo dietro da sessant'anni e quali sono i costi; questo lo dobbiamo rapportare alle Regioni più virtuose, che saranno quelle che determineranno il cosiddetto costo standard, quindi le Regioni del nord Italia.
Caro collega Maninchedda, è proprio su questo argomento, sul quale spesso ci troviamo d'accordo, che dovremo fare una valutazione molto attenta, per esempio quando si parlerà di viabilità stradale, di viabilità ferroviaria, di fogne, di sanità, di tutte quelle varie strutture sociali in cui noi abbiamo delle carenze che dire decennali è dire poco. Dovremo pretendere, in quella sede evidentemente, la perequazione rispetto ai fabbisogni standard di una popolazione media, che sarà rapportata al Nord Italia. Quindi è lì che noi dovremo cercare di incidere, cercando di portare a casa questa differenza. Se noi non saremo in grado di fare questo, evidentemente falliremo anche la discussione sullo Statuto. Infatti, se andiamo ad analizzare, per esempio, alcuni articoli che, a mio parere, si incroceranno con la discussione sulla legge del federalismo fiscale (per esempio gli articoli 10 e 12 dello Statuto della Sardegna, dove si indicano i punti franchi), vediamo che si collegano alla fiscalità di vantaggio, contemplata dall'articolo 2 e dall'articolo 27 della legge numero 42 del 2009; pertanto quando parleremo di fiscalità di vantaggio, noi dovremo cercare di ottenerla non per i punti franchi, come viene previsto nello Statuto, ma per tutta la Sardegna. Questo sarà un altro argomento che ci porterà a fare un'ulteriore modifica dello Statuto.
Quindi questi due articoli andranno visti nel momento in cui si farà la discussione, come dicevo, e si incroceranno con gli articoli 2 e 27 della legge sul federalismo fiscale; allora noi dovremo adeguarli e modificarli parallelamente, ma questo lo vedremo nei prossimi 7 o 8 mesi, non fra un anno, fra due anni.
Un altro articolo dello Statuto che, secondo me, è altrettanto importante e sul quale bisognerà cercare di avere una perequazione nel momento in cui discuteremo la legge, attraverso il patto che dovremo fare con lo Stato, è l'articolo 14; questo articolo riguarda le possibilità di acquisire per esempio il demanio, però specifica "escluso il demanio marittimo" che invece per la Regione sarda è fondamentale per poter costruire uno Statuto moderno e per poter porre le nuove generazioni nella possibilità di operare all'interno di un sistema sardo che sia veramente autonomista, autodeterminato e autodeterminante.
La sfida che ci attende è una sfida che deve andare su due binari, come dicevo prima, da una parte dobbiamo favorire la discussione della Commissione che dovrà discutere a livello centrale, e dall'altra parte la Commissione statutaria che dovrà discutere qui in seno al Consiglio regionale. Bisognerà cercare di seguire passo passo questo percorso perché, se noi non lo faremo, rischieremo di perdere il treno e allora lo scetticismo del mio collega, Nanni Campus, purtroppo potrebbe diventare una realtà. Però questo è lasciato alle nostre possibilità e a quella che sarà la nostra volontà. Chiaramente dobbiamo cercare di far andare i nostri rappresentanti dell'Esecutivo a Roma possibilmente con la schiena dritta, evitando di chinarla, e affrontare, nel bene o nel male, le conseguenze di un mancato accordo e, se ci sarà questo, dovremo cercare di ragionare tutti insieme e, tutti insieme, in maniera unitaria, dovremo cercare di far valere le nostre ragioni.
La nostra Autonomia va intesa, a mio parere, come un'Autonomia che deve rappresentare la sovranità popolare e, in questo, riempirla di contenuti per creare le condizioni di una Sardegna che, con le proprie gambe e con le proprie forze, riesca a uscire dall'arretratezza in cui è stata cacciata negli ultimi cinquant'anni.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Gian Valerio Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Presidente, colleghi, sappiamo tutti che ci sono stati tempi più intensi nella storia autonomistica, certamente più intensi di quelli di oggi. Lo dico senza far polemica, colleghi, ma per dare un senso compiuto al nostro operare, al nostro parlare. Certamente stride il fatto che qualche settimana fa abbiamo affrontato un argomento, in quest'aula, nell'ambito delle nostre competenze, con la Giunta al completo, in piena solennità; ovviamente la Giunta accompagnava il Presidente, in un momento difficile, per solidarietà, ma la solidarietà a una persona, a ciascuno di noi, per importante che sia, vale di più della solidarietà che dobbiamo alla nostra terra? Al suo futuro, alla costruzione di condizioni diverse? Esiste una sola ragione di convocazione mondiale dei nostri vertici istituzionali che possa venir prima di accompagnare, di assecondare, una tappa che stiamo dicendo voler essere una tappa importante? Non commento, lo lascio alla riflessione ma, badate, i termini, attraverso i quali noi siamo chiamati a paragonare i nostri comportamenti, sono esattamente quelli attraverso i quali veniamo percepiti dalla gente. Non è per noi, non è per noi, non è un capriccio nostro pretendere questo riconoscimento, è un dovere che dobbiamo a noi stessi per la credibilità che dobbiamo infondere nel popolo, al quale ci richiamiamo e che, qualcuno giustamente dice, è del tutto avulso da questa discussione, anche per questi comportamenti. E' per quello che ci sono stati tempi diversi più intensi della nostra autonomia, tempi di una tensione politica e civile che ha dato anima, in generazioni di politici sardi, alla dimensione della politica dell'autonomia, altrimenti declinante verso prospettive aride di un potere senza storia.
Abbiamo vissuto ultimamente altalenanti fasi attraverso le quali abbiamo declinato l'aspirazione di un'autonomia compiuta, che oggi chiamiamo con nomi diversi, qualcuno sovranità, altri indipendenza, secondo parametri che ci siamo sempre costruiti noi, attraverso una contrapposizione di un concetto monistico della nostra autonomia, cioè individuale, pretendendo un'autonomia che invece vive solo se comprende e impone un principio di dualità. Da qui, da anni quindi di esaltante coscienza dell'autonomia, abbiamo via via virato verso tempi di stagnazione di un'autonomia affievolita attraverso uno Stato sempre più severo, burocrate, custode di centralismi, di rinascite incompiute, di speranze che si sono infrante nelle decisioni mai prese e di processi inesorabili che hanno reso sterili le stesse libertà sancite dal nostro Statuto.
Colleghi, dove abbiamo mancato? Se abbiamo mancato, dove abbiamo mancato? Prima di tutto c'è un problema, si diceva stamattina giustamente: tutti insieme, mai sotto nessuno! Quando diciamo "sotto nessuno" evochiamo l'idea che dobbiamo individuare ed eliminare i vincoli che ci tengono legati a qualche elemento che impedisce la nostra capacità di disegnare la compiutezza della nostra autonomia. Come pensare che questi legami siano così lontani quando dimentichiamo di cominciare a osservare, ad analizzare e a rimuovere quelli che abbiamo più vicini?
Vi ricordo solo questo: gli anni più intensi dell'autonomia e delle grandi battaglie autonomistiche avevano, nel personale politico che lo incarnava, certo, uomini che provenivano da diverse appartenenze politiche, la cultura dell'autonomia nascente era così forte che ha sempre prevalso sulle loro appartenenze, memtre i decenni che abbiamo passato hanno segnato invece un radicamento della concezione autonomistica nella storia delle nostre appartenenze. La nostra funzione è diventata sempre più provinciale, sempre più localistica, sempre più derivante da una dipendenza di partito. Come potremmo dire? Se davvero volessimo, uso un paradosso, se davvero dovessimo fare quello che è stato detto qui dentro, sarebbe persino necessario che ciascuno di noi decidesse, su questo tema e sui temi della riforma della Sardegna, di autosospendersi dal suo partito. Siamo capaci di incarnare questo momento attraverso questa consapevolezza? Quella che ci chiede di mantenere le prudenze, quella che ci dice che oggi c'è al Governo qualcuno che bisogna trattare in un certo modo? Ma l'autonomia è prima di tutto dualismo! Quindi dobbiamo prima slegare questi legami che vincolano noi stessi in legittime appartenenze, che devono esistere e vivere nella dimensione della dialettica sui problemi ordinari ma che sui problemi di questo livello impongono di assumere un'assoluta, personale e intangibile autonomia anche dalle nostre appartenenze.
Io leggo questo come un vincolo, lo percepisco, lo percepisco nelle sfumature anche dei nostri interventi; giochi, aspetti, che vogliono denotare e non denotare il posizionamento dei Gruppi e questo è un legame che andrebbe superato.
Peraltro, è stato detto molto bene stamattina e io lo voglio ripetere con un po' di riferimenti, dobbiamo liberarci anche di un altro legame, il legame di questa idea (che abbiamo sempre percepito come un feticcio) di non poter declinare alcune parole, disconoscendo che, nella storia, nell'evoluzione costituzionale di oggi, quelli non sono più feticci, non sono più elementi di paura. Vedete, la concezione federalista, che sta pervadendo il contesto europeo, si basa stanzialmente su due filosofie, una filosofia federalista di tipo anglosassone che vede la sovranità come concetto necessario e utile per la realizzazione del federalismo e una tradizione federalista italiana che ha invece solidamente assunto come concezione della sovranità quella classica della filosofia politica continentale europea, ovvero una concezione assolutamente monista, quindi unitaria, cercando delle formule che ne permettessero l'adattamento in un quadro teorico di federalismo. Questa è un'operazione difficile perché parte da un presupposto sbagliato, mentre invece nella concezione ideale del federalismo, la sovranità non è attribuita e non è attribuibile né al governo federale né ai governi federali. Questo è il punto!
Questo sta avvenendo in maniera tale che, avendo noi assunto nel tempo una configurazione secondo la cultura federalista italiana, continuiamo ad avere un'organizzazione costituzionale incentrata sullo Stato, flussi decisionali che vanno dal centro alla periferia o dal vertice alla base, come vi pare. Questa visione delle istituzioni politiche è in crisi, è drammaticamente in crisi anche in Italia perché non è più adeguata alla situazione costituzionale; la democrazia pluralista infatti ha frantumato l'omogeneità politica che ha segnato i precedenti decenni, e quindi lo Stato liberale, e ha detronizzato lo Stato sovrano; cominciano a vedersi i sintomi di un leggero, ma comunque evidente, decentramento dello Stato, dell'apparato statale, in molti centri decisionali autonomi, questi sono i sintomi della deflagrazione di quel sistema che però non ha pari nell'assetto che la Costituzione si deve accingere a dare.
Badate, se noi accettiamo che nella partita del federalismo che si gioca, posto che dobbiamo dare tutta l'attenzione possibile sul livello prettamente ragionieristico, non si mette al primo posto la percezione di una modifica che la Costituzione si deve dare nel concetto della sovranità (nel quale noi ci dobbiamo allineare nell'assunto che la sovranità non è dello Stato, non è neanche degli Stati federali, ma è l'elemento che mette insieme un sistema a rete policentrico, non più verticistico), se noi non prendiamo atto, colleghi, che la storia della nostra Carta costituzionale (alla quale va sistematicamente il nostro rispetto) va accompagnata, proprio per il rispetto che le dobbiamo, assecondando anche alcuni cambiamenti coerenti, noi, invece di essere coloro che appariranno dei sovversivi, rischiamo di essere coloro che aiutano lo Stato italiano a darsi un assetto di tipo costituzionale, coerente con la sua aspirazione federalista, e concretizzeremo nello stesso tempo un doppio obiettivo.
Vedete, su questo aspetto, stamattina Ladu citava una vecchia sentenza della Corte costituzionale che censurava il concetto di sovranità, ma ce n'è una interessantissima del 2007 che ha censurato anch'essa il concetto di sovranità e che sarebbe utile mettere agli atti del Consiglio, perché dice: la sovranità, se è intesa, a costituzione vigente, come un elemento che intacca la centralità dello Stato nella sua concezione piramidale, nel rapporto con le altre autonomie, non è ammissibile, può essere ammissibile un discorso di sovranità riconosciuta al sistema delle regioni laddove si realizza un sistema federalista puro.
Ora, se noi partiamo da questo, ci togliamo di mezzo queste visioni antiche, perché, voglio dire, la storia dei nostri padri è importantissima ma è importantissimo anche seguire l'evoluzione della dottrina costituzionale. Badate, allo Stato fa comodo mantenere questa situazione, gli fa comodo, è ovvio, ha il controllo, mentre noi abbiamo l'interesse a distribuire una sovranità maggiore, posto il fatto che, quando sono nate le Regioni a statuto speciale, non solo è stata decisa nella Costituzione una differenziazione marcata con le Regioni a statuto ordinario, ma la specialità significava un'altra cosa, non che noi siamo con le altre Regioni ad autonomia speciale una cosa seconda, ma ciascuna autonomia nella Costituzione è definita speciale per la sua singolarità, non perché sono un genere diverso, ma perché ognuna aveva una ragione sua per aver riconosciuta una specialità.
Questo si è smarrito e si è smarrito soprattutto nel fatto che noi possiamo arrivare a questo obiettivo, accompagnare questo cambiamento, se teniamo conto che, anche a legislazione vigente, l'articolo 116 della nostra Costituzione ci dà tutti quegli spazi, di cui parlava anche Soru stamattina, che sono delle praterie che accompagnano e rafforzerebbero l'idea di raggiungere l'obiettivo di una sovranità federale.
Poi ci sono altri temi e anche obiettivi da raggiungere di cui parlerò dopo, ma vi voglio citare un'indipendenza che non fa scandalo da nessuna parte, che vive, produce, riconosce e che è assolutamente coerente con lo spirito di autonomia, è quella dei due grandi esempi di autonomia insulare, quella della Groenlandia e quella delle Isole Far Oer. Vedete, una delle ragioni per cui noi abbiamo affievolito la nostra autonomia, io credo che sia anche nel fatto che, dovendo rispondere la nostra autonomia a un organo unico di controllo costituzionale, negli anni si siano piallate le nostre peculiarità, e non era questo lo spirito che ha dato origine alle specialità, perché se c'è una specialità io chiedo di essere trattato coerentemente a questa specialità, mentre invece, come le Regioni a statuto ordinario, siamo stati piallati dalla Corte costituzionale.
Queste due isole non dispongono della nostra stessa norma, hanno rivendicato nella loro Carta costituzionale un organismo di tipo imparziale, che si chiama in un'isola Committee, nell'altra Board. Sostanzialmente sono degli organismi composti da due membri designati dal Governo centrale e da due membri espressi dalle autorità autonomistiche, integrati da tre giudici della Corte costituzionale, con il compito specifico di risolvere gli eventuali conflitti di competenze. Che cosa succede? Il meccanismo è questo: non è che la Corte costituzionale agisce, ma quando nascono i conflitti, in ragione della specialità, si confrontano i due componenti dello Stato centrale, federale, e i due componenti dell'autonomia e cercano di comporre il conflitto; solo se non ci riescono intervengono i tre giuristi della Corte costituzionale. Vi sembrerà un artificio ma nella sostanza esprime una concezione di autentica autonomia.
Sapete che cos'è accaduto in tutto questo tempo da quando sono stati istituiti? I tre giudici della Corte costituzionale non sono mai dovuti intervenire perché tutti i conflitti sono stati risolti in sede pattizia tra gli organismi bilaterali del Governo e dell'autonomia. Questa è una forma di indipendenza declinata come si deve declinare oggi, che salvaguarda la specialità, che non rende simili all'ordinarietà e che fa vivere delle peculiarità che orientano verso un federalismo compiuto, che è quello che chiediamo noi, poi declinatelo come volete. Noi stiamo chiedendo un'autonomia compiuta, se questa si chiamerà in un modo o in un altro, interdipendenza, eccetera, non m'interessa, io credo che questi concetti siano superati, però non è superata la nostra diversità. Noi siamo oggi combattuti, stiamo passando da un concetto della sovranità dello Stato soggetto, a una sovranità oggettiva dei valori, gli esperti parlano di valori intendendo le comunità, le etnie, le specificità, questo cambiamento è in atto, è davanti a noi, noi dovremmo poterlo interpretare in termini avanzati perché ne abbiamo maggiore cultura, ne abbiamo più possibilità, ma dovremmo trovare la forza di una nostra unità che spesso disperdiamo nelle nostre appartenenze.
E' possibile che, rispetto alle nostre appartenenze, sul tema delle riforme e della riforma dello Statuto, stabiliamo e comunichiamo ai nostri partiti di appartenenza che noi siamo in time out, perché prima vengono i sardi e poi vengono le altre cose? Io credo di sì! Se fosse così, in questo time out, entro l'anno, noi potremmo approvarci tranquillamente e unitariamente la legge statutaria e dare un segnale fortissimo, spogliando lo Statuto di tutte quelle materie che ci faciliterebbero poi la scrittura del nuovo Statuto. Insomma, vi dico solo la questione dei beni demaniali: è possibile che ancora in Sardegna gli oneri dei beni demaniali siano incassati dallo Stato? Che vengono, fanno, disfano sul nostro territorio e i soldi vanno altrove? La riscossione delle imposte: ci sono terreni ancora esplorati.
Ecco perché dico, e ho concluso, di sollevarci con questo spirito dalle nostre appartenenze, dovremmo essere davvero gli interpreti moderni di un federalismo che non sia il federalismo che ci viene imposto di tipo ragionieristico, che ha solo una promessa di futuro migliore per chi già ha un futuro migliore di noi, e non una prospettiva di federalismo avanzato, moderno, che contenga anche il federalismo fiscale, in una condizione di unità ma non di subordinazione a nessuno.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mario Floris. Ne ha facoltà.
FLORIS MARIO (Gruppo Misto). Signor Presidente, colleghe e colleghi, avrei fatto a meno di intervenire, se non mi fossi reso conto che, alla fine di questo dibattito, ho l'impressione che ci stiamo un po' incartando rischiando di andare a finire in un binario morto.
Il dibattito ha consentito di sviluppare un confronto a tutto campo, necessario per aprire un percorso che è un percorso ancora lungo di lavoro, che deve coinvolgere, come abbiamo detto tutti, non soltanto le forze politiche ma l'intera comunità sarda, tutte le articolazioni istituzionali, culturali, sociali ed economiche della Sardegna. Si tratta, infatti, come molti hanno detto, di ridisegnare un nuovo quadro istituzionale che dovrà supportare e orientare il cammino dell'autonomia regionale non soltanto nei prossimi anni ma nei prossimi decenni. Dobbiamo essere consapevoli che siamo davanti a un percorso lungo e che si tratta di un lavoro impegnativo e complesso in cui spendere le nostre forze e al quale far appassionare le migliori energie della nostra Regione.
Dal dibattito sono emersi alcuni punti comuni: è condivisa la convinzione che la questione delle riforme (delle riforme, non "della" ma "delle riforme") sia un passaggio necessario; che non si tratta di aspetti formali bensì di questioni che riguardano da vicino lo sviluppo della nostra Regione e quindi le nostre riforme sono i problemi della nostra gente. Il lavoro, l'energia e tutto quello che è stato richiamato dall'onorevole Soru, oltre che da tanti altri interventi, sono problemi di dimensione tale che possono essere affrontati solo con una Regione forte. Siamo inoltre tutti convinti che la questione vada affrontata subito, anche se è lunga, perché sono urgenti i temi che ho richiamato e perché il contesto in cui dovremo muoverci non è un contesto facile, è difficile.
Nel contempo, alcune questioni, ad esempio il federalismo fiscale, la nuova carta delle autonomie e a breve la nuova riforma costituzionale (che vedrà il bicameralismo), sono di fatto già nell'agenda delle forze politiche, quindi noi rischiamo di arrivare in ritardo rispetto a quello che viene fatto dal Parlamento nazionale. Sono però emersi alcuni punti di divergenza non lievi che riguardano la concezione di fondo dell'autonomia, il federalismo e l'indipendentismo. Sono posizioni già note che erano evidenti anche all'avvio di questo dibattito, ma non possiamo fermarci a questo, bisogna passare all'elaborazione dei singoli temi e all'individuazione delle soluzioni praticabili e utili. Si deve agire rispetto a una pluralità di questioni intrecciate fra loro e dipendenti l'una dall'altra. Io ho sentito parlare di commissione speciale, non lo so, non sono contrario a niente, però ogni decisione e iniziativa condizionano necessariamente tutti gli altri aspetti.
La riforma dello Statuto deve definire un nuovo quadro di poteri regionali, senza i quali non si possono allestire politiche regionali adeguate ad affrontare le grandi questioni dell'Isola. Abbiamo detto che serve una Regione forte sul piano della rappresentanza e dell'unità d'azione, occorre però dare equilibrio e coerenza a una forma di governo appena abbozzata e affidata all'incertezza e alla prassi del mutevole rapporto tra le forze politiche, ma queste decisioni attengono alla legge statutaria e sono condizionate dalle previsioni dello Statuto che ancora interferiscono in questa materia.
Inoltre, alcune scelte dipendono da ciò che ci aspettiamo dalla nostra autonomia e come intendiamo rinnovarla. Le strutture organizzative e l'apparato legislativo hanno bisogno di importanti riforme dinanzi alle sfide sempre più impegnative da affrontare, ma un loro nuovo assetto è legato al disegno della forma di governo. La dialettica tra le forze politiche va ricondotta a un quadro di regole aggiornato, ma la riforma del Regolamento interno del Consiglio regionale è strettamente legata alla forma di governo e deve essere attagliata a esso.
Riforma dello Statuto, assetto di governo e legge statutaria, riforma dell'organizzazione amministrativa, nuove regole sul funzionamento del Consiglio regionale sono dunque intrecciate l'una con l'altra. Logica vorrebbe che si procedesse dal livello più alto per poi passare a quelli successivi, ma alcuni processi sono già in atto e quindi urgono interventi di riordino; da subito si deve poter procedere su più fronti, se è necessario per incrementi successivi, ma ciò è possibile solo se si è delineato nelle sue linee il quadro di insieme. Senza un ben delineato orizzonte e un quadro coordinato, qualsiasi iniziativa di riforma non solo rischia di risultare inefficace e insufficiente, ma addirittura di non poter prendere forma.
Su questi temi, l'abbiamo detto da sempre, anche in questo dibattito, è necessario il concorso di tutti oltre che una sede di elaborazione adeguata in cui sia possibile un confronto non solo costruttivo ma anche operativo. Sappiamo anche che le questioni che ci interessano attengono a più piani differenti e vanno affrontate con procedure diverse, ma anche che sono strettamente correlate tra loro, ci sono questioni che attengono allo Statuto, altre alla legge statutaria, altre all'organizzazione regionale e altre al Regolamento interno. Ad esempio, il ruolo del Presidente della Giunta e il suo rapporto con gli Assessori attiene certamente alla forma di governo ma ha riferimenti nello Statuto e la sua soluzione si riflette sull'organizzazione regionale; il tema elettorale può essere affrontato in un'apposita legge di natura statutaria, ma alcuni principi devono inevitabilmente trovare posto nella legge statutaria, e sulla forma di governo occorre considerare i vincoli che comunque rimangono nello Statuto; il rapporto tra Giunta e Consiglio è delineato in parte ancora nello Statuto, va definito nella legge statutaria ma deve trovare i riflessi conseguenti nel Regolamento interno. Più in generale l'organizzazione regionale e la stessa forma di governo (penso alla distribuzione dei compiti normativi, alle leggi, ai regolamenti, ai programmi, ma vale anche per molti altri aspetti che non sto qui a citare) dipendono dai compiti che pensiamo di attribuire alla Regione e dal livello di autonomia che ci attendiamo. E' necessaria quindi, colleghi e colleghe, una cornice unitaria che faccia maturare i temi e, senza predeterminare le discussioni successive, li orienti e assicuri un quadro di insieme che può essere mano a mano affinato e messo a punto.
Lo stato del dibattito, che chiuderemo martedì, è tale che richiede ancora un lavoro intenso del Consiglio, non è finito, non è che si nomina una commissione e poi arrivederci e grazie! Non sembra possibile ora individuare una sede diversa: il confronto tra le forze politiche è necessario ed è difficile che altrove possa trovare una sintesi se la politica non delinea la cornice e non dà la prospettiva; sarà la maturazione del dibattito poi a suggerire eventualmente come procedere nelle fasi successive.
E' dunque necessaria una fase istruttoria che coinvolga tutte le forze politiche, anche ricorrendo a soluzioni originali e non ordinarie, perché il Consiglio regionale possa svolgere il suo ruolo su questi temi. Io credo che l'impegno potrebbe essere duplice: da una parte si può pensare all'ordine del giorno voto nei confronti del Parlamento, non quello che è stato presentato (guardate, colleghi, io ho sottomano una trentina di ordini del giorno voto del Consiglio, non è vero che l'abbiamo usato una sola volta, l'abbiamo usato sempre dal Piano di rinascita, abbiamo fatto voti al Parlamento, ma quei voti sono rimasti quelli che sono rimasti), dall'altra un ordine del giorno che possa indicare, alla Giunta e al Consiglio regionale, principi e obiettivi ai quali ancorare le istanze da presentare al Parlamento e le riforme che sono di nostra stretta competenza. E' evidente dunque che il ruolo motore è comunque del Consiglio regionale, al quale è attribuito l'onere di muovere l'una e l'altra ruota sulle quali poggia il futuro della nostra autonomia e della Regione.
Il nuovo quadro di poteri e di risorse deve essere costruito in relazione a questi obiettivi, servono poteri e risorse per compensare le diseconomie e i ritardi, organizzare autonomamente - in funzione del territorio e della sua morfologia - servizi e uffici, tutelare e valorizzare i tratti peculiari della cultura e dell'ambiente, sviluppare la particolare proiezione internazionale dell'Isola e la sua collocazione nel Mediterraneo; inoltre dovrà basarsi sul più ampio trasferimento di competenze e sulla piena autonomia, calibrando - anche in modo originale - potestà, funzioni, forme di raccordo con lo Stato, con le specificità che questa situazione richiede e che giustifica ampiamente un disegno differenziato.
Dovrà essere riaffermato il necessario concorso dello Stato allo sviluppo della Sardegna, quale dovere di solidarietà e ristoro per lo sfruttamento e la non equa amministrazione del passato: il piano di rinascita, gli obiettivi, le procedure per la sua approvazione; il dovere dello Stato deve essere espressamente stabilito in forme vincolanti e necessarie; questo intervento, pur superando i limiti della programmazione separata, che in passato ne hanno condizionato l'efficacia, dovrà avere chiari i caratteri dell'aggiuntività e della perequità.
Poi c'è il problema delle autonomie territoriali; sono parte integrante del patto per i sardi, occorre dare loro il ruolo da protagonisti della nuova autonomia. Lo Statuto deve contenere alcuni principi essenziali che integrino la competenza esclusiva in materia di ordinamento, sottolineandone le finalità, in particolare la partecipazione, il concorso delle specificità, le specialità regionali, la coesione fra territori e la perequazione fra le diverse parti dell'Isola nell'ottica di uno sviluppo diffuso. La proposta è, dunque, di impegnare la Commissione competente, e non lo dico per ragioni personali, allargandola a una rappresentanza di tutte le forze politiche, data la dimensione dei temi si può pensare ai Presidenti di Gruppo. L'organo così composto dovrà essere un laboratorio, avere il mandato cioè di elaborare un documento generale sulle riforme sull'autonomia, nei diversi livelli (statuto di autonomia, leggi statutarie, forme di governo, legge elettorale, incompatibilità e ineleggibilità, organizzazione regionale, regolamento interno), e la Commissione allargata dovrebbe, in una prima fase, attraverso l'individuazione puntuale dei temi e delle riforme dei livelli su cui operare, delineare un quadro complessivo come riferimento per le molteplici questioni (che abbiamo detto che si intrecciano) da affrontare, e possibili alternative e implicazioni che ne discendono, indicando le priorità e i tempi per affrontare i diversi aspetti, e successivamente portarlo all'attenzione del Consiglio anche attraverso uno o più dibattiti.
In una fase successiva si possono mettere a punto, insieme alla Giunta, e agli altri organi consiliari, iniziative e proposte per dar seguito operativo alle linee che emergeranno dal dibattito, per quanto possibile unitarie, senza trascurare anche quelli che non sono d'accordo, in modo che siano proposte aperte e differenziate, in modo che il Consiglio regionale possa scegliere. Istruire e proporre al Consiglio atti di competenza dell'Assemblea, che sono conseguenti al quadro elaborato tenendo conto del percorso e dei tempi necessari per ciascuno di essi. Proporre forme di iniziativa e di mobilitazione per coinvolgere, questo lo deve fare il Consiglio, e sensibilizzare altri organi istituzionali nazionali e di raccordo fra Regioni. Quindi deve essere impegnata non soltanto la Commissione, ma deve essere impegnato il Consiglio regionale, con tutte le sue strutture, che devono lavorare su questo progetto e devono magari lasciare qualche altra cosa per lavorare a questo progetto, e ci vuole la consulenza di esperti, indicati in forma paritaria tra le forze politiche, le forme di consultazione di organismi istituzionali o culturali, le occasioni di raccordo e di confronto con la società civile e le rappresentanze istituzionali e delle autonomie a vari livelli.
Anche la Giunta avrà un suo ruolo, ma la Giunta non deve far venire meno lo spirito bipartisan, deve partecipare attivamente alle iniziative e in particolare deve partecipare alle iniziative per le questioni afferenti alle riforme istituzionali, riferire regolarmente sulle attività delle sedi di confronto interistituzionale e con altri livelli di Governo, quello che si fa nella Conferenza Stato-Regione, al tavolo per il federalismo fiscale, alle Commissioni paritetiche, in modo da orientare man mano, noi che lavoriamo, quelle che sono le nostre scelte che devono andare di pari passo con i processi in corso; partecipare all'elaborazione dei documenti generali e delle singole iniziative mediante proposte ed elementi utili per la Commissione e per il Consiglio regionale.
E' naturale che la Giunta potrà presentare sue autonome proposte, ma esse non sono legate a nessun vincolo di maggioranza, sono proposte aperte, è il contributo politico-istituzionale che la Giunta da al Consiglio regionale. Il criterio deve rimanere quello delle maggioranze possibili e probabilmente dell'unità e del massimo consenso, in particolare per le proposte di maggior rilievo che riguardano l'autonomia regionale per la vita istituzionale.
Allo stesso tempo l'obiettivo va perseguito con determinazione. Si tratta di dare, come abbiamo detto tutti quanti, alla nostra gente, alla nostra terra, i diritti, gli strumenti, le risorse per governare il progresso e costruire un nuovo pezzo di storia della Sardegna. Guardate, se noi non partiamo con questi presupposti e cerchiamo invece di scaricare le nostre responsabilità, dopo questo lungo e faticoso dibattito, dopo che tutti quanti noi ci siamo impegnati, riteniamo di risolvere i problemi costituendo Commissioni speciali o scaricando su altre forze che non hanno neanche la dimestichezza con questi problemi, perché qui si tratta di conoscere a fondo anche la nostra storia, la nostra autonomia e le nostre cose. Chi meglio delle forze politiche del Consiglio regionale e meglio della Commissione, che ha sempre trattato questi problemi, può mandare avanti un processo di riforma così impegnativo e così importante.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.
DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Presidente, il tema in discussione avrebbe dovuto richiamare una certa solennità; in parte c'è stata in questi due giorni di dibattito e probabilmente ci sarà nelle conclusioni dei Capigruppo martedì prossimo. Abbiamo avviato una discussione, un dibattito che ha i connotati della straordinarietà, così come straordinaria è la stagione che viviamo, lo è nel Paese dove parti importanti del Governo sono impegnate a smantellare lo Stato e ad aumentare le sperequazioni. Questo è quello che sta avvenendo e che avverrà, in particolare per la parte più debole del Paese, col federalismo fiscale.
E' una stagione straordinaria per la crisi economica che non riusciamo a scrollarci di dosso, basta leggere attentamente i dati riportati nei giorni scorsi dalla Confindustria. Viviamo una stagione straordinaria in Sardegna dove, insieme alla crisi economica, attraversiamo forse il momento più basso della specialità e dell'autonomia, soprattutto, permettetemi di dirlo senza polemiche, per responsabilità di chi oggi guida questa Regione, in particolare per la responsabilità del Presidente della Regione e della maggioranza che lo sostiene. Dico questo perché stiamo parlando di un tema importantissimo, fondamentale, per il nostro futuro e questo Governo regionale non è stato ancora capace (speriamo di essere smentiti nei prossimi giorni) di far rispettare una parte importante dello Statuto come quella relativa alla riscrittura dell'articolo 8 dello stesso. Svolgiamo questa discussione in un contesto dove il bisogno di forme di autogoverno, di specialità, di autodeterminazione, di nuovo rapporto pattizio Stato-Regione, e forse di indipendenza, attraversa, come non mai, tutti i partiti, e credo che possiamo dire, senza essere smentiti, che è un sentimento diffuso in tutta la società sarda, non è soltanto dei partiti.
In questo contesto, cercherò di sviluppare davvero con umiltà una riflessione, certo dentro i contenuti portati a questa Aula dal mio Partito, ma, allo stesso tempo, tentando, cercando di rappresentare un punto di vista parziale. Credo che sia utile discutere anche di questo. Un punto di vista parziale che mi deriva dall'esperienza che ho maturato negli anni scorsi e che certamente ha contribuito a sviluppare meglio la mia sensibilità su alcuni temi, in particolare i valori del lavoro nell'accezione più ampia. Provo a mettere le ansie, le preoccupazioni, le incertezze, le paure, l'assenza di prospettiva nel futuro del mondo del lavoro in rapporto con la discussione di questi giorni per chiederci, per interrogarci se la riscrittura dello Statuto, quale essa sia, o il nuovo testo o il nuovo rapporto pattizio, fino a spingerci a parlare di indipendenza, è ciò che serve per intercettare e soddisfare i bisogni della gente che noi rappresentiamo. Sarà il nuovo Statuto, sarà un nuovo rapporto, ripeto, pattizio Stato-Regione, sarà l'agognata indipendenza che faranno diventare esigibili i diritti universali, i diritti di cittadinanza del popolo sardo, indipendentemente dal censo sociale e dall'appartenenza geografica?
E ancora perché non chiederci con severità qual è la qualità dell'istruzione e della formazione in Sardegna, qual è la qualità della nostra università, qual è la qualità delle prestazioni sanitarie, di quelle socioassistenziali, qual è la qualità dei servizi, qual è la qualità della mobilità interna e quella da e per la Sardegna, qual è la qualità delle infrastrutture, in particolare di quelle materiali, ma anche di quelle immateriali. E ancora, l'opprimente livello di povertà relativa e assoluta, che ormai tocca centinaia di migliaia di sardi. Chiediamoci inoltre se il basso tasso di occupazione (di cui parlava anche l'assessore Manca nei giorni scorsi in una conferenza stampa), il troppo alto tasso di disoccupazione, il vergognoso tasso di disoccupazione giovanile che colloca la Regione Sardegna al primo posto in Europa, il basso tasso di crescita economica, da troppi anni registrato in questa Regione, che fa aumentare progressivamente la forbice tra noi e il resto del Paese, e potrei continuare, mi chiedo, lo chiedo all'Aula, se tutto ciò è il prodotto di un insufficiente livello di autogoverno o c'è anche dell'altro.
Io voglio pensare, voglio credere che sia dovuto a un basso livello di autogoverno, di autodeterminazione, di un'autonomia insufficiente. Voglio convincermi che la ragione sia questa perché se così è, di fronte a una risposta affermativa a questo quesito, noi dovremmo chiederci quale forma di autogoverno risponde meglio a questa necessità. Questo dovrebbe essere quello che dovremmo e che stiamo cercando, mi pare, di fare in questo dibattito.
Questa riscrittura dello Statuto passa attraverso, ripeto e mi scuso, un nuovo rapporto pattizio con lo Stato oppure la strada è quella dell'indipendenza, declinata così come ci ha suggerito l'altro ieri il collega Maninchedda? Per quanto mi riguarda, timidamente e sottovoce, perché credo di avere il senso della misura, dico che preferirei un nuovo Statuto frutto di un nuovo rapporto pattizio Stato-Regione, uno statuto dei diritti, uno statuto dei diritti di cittadinanza. Questo in via teorica. Noi abbiamo però la possibilità di verificare l'esperienza della gestione da parte dello Stato nella nostra Regione su alcune materie e della gestione da parte della Regione su altre.
Facciamo un esempio banalissimo. Prendiamo quattro settori: istruzione (scuola e formazione), giustizia, ambiente e sanità. In particolare sulla scuola, abbiamo assistito e abbiamo ovviamente una gestione dello Stato (penso che si possa dire, senza paura di essere smentiti) tale da non garantire a quest'isola pari opportunità. Sarebbe dovuta essere una gestione capace di garantire, su tutto il territorio nazionale, una scuola uguale, capace di offrire la stessa qualità ai ragazzi di Milano così come ai ragazzi dei nostri paesi. E' forse avvenuto ciò? Non credo assolutamente! Basta guardare il tasso di diplomati che registriamo in questa Regione, tra i più bassi d'Italia, il tasso di laureati che è, ahinoi, il più basso d'Italia; guardiamo il tasso di dispersione scolastica, il taglio delle classi, il taglio degli insegnanti, tagli che stanno colpendo, insieme a noi, drammaticamente le Regioni del Sud, in particolare noi e la Calabria.
La situazione non è diversa nella giustizia. Cambia invece, a me pare, vorrei che riflettessimo, sugli altri due settori che ho citato. Non posso dilungarmi per ragioni di tempo. Con tutte le critiche, le discussioni e le accuse che vicendevolmente ci si scambiano anche in quest'Aula, certamente credo che la sanità e il governo del territorio siano un esempio di gestione più attenta e più rispondente alle attese e alle aspettative della gente che noi rappresentiamo.
Che cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire una cosa semplicissima. Vuol dire che la sensibilità dimostrata dallo Stato non è stata sufficiente a intercettare i bisogni reali dei sardi e tanto meno ha avvertito la responsabilità di fornire risposte alle attese di tutti noi. Sto cercando di declinare questo dibattito su questi temi concreti per vedere in che rapporto sta questa discussione con i problemi reali che vive la gente e con le attese, con le speranze, che la gente ha anche nel guardare a quest'Aula. Se la risposta deve essere un nuovo modello istituzionale, io credo che noi dovremmo concentrarci esclusivamente su una nuova autonomia, su una nuova forma di autogoverno, sul bisogno di sovranità, sull'indipendenza, che ha evocato sentimenti diversi anche nel dibattito in quest'Aula, in rapporto all'una o all'altra forma che meglio ci può permettere di soddisfare le nostre attese e i bisogni della gente che rappresentiamo.
Questo deve essere, credo, il minimo comune denominatore che mi pare in certa misura stia caratterizzando questo dibattito. Noi dovremmo tentare di definire quale forma statutaria o quale forma statuale ci consente di rappresentare meglio gli interessi della gente che rappresentiamo. In questo senso, credo che noi abbiamo il dovere e direi che dovremmo sentire anche l'orgoglio di pretendere un nuovo rapporto con lo Stato; non dobbiamo censurarci di fronte a nessuna delle possibili soluzioni, non ce ne sono alcune possibili e altre sulle quali non si può discutere. Maninchedda citava Soddu, citava Cabras e diceva che noi dobbiamo innanzitutto rappresentare gli interessi della gente che rappresentiamo. Allora io credo che dobbiamo declinare questa affermazione nel tentare di decidere quale forma organizzativa istituzionale meglio ci consente di garantire, di tutelare e di rappresentare questi interessi. Non dobbiamo censurarci di fronte a nessuna di queste soluzioni, nemmeno di fronte all'opzione della indipendenza se insieme, a partire da quest'Aula, valutassimo che questa è la forma che meglio risponde alle nostre aspettative.
Credo che l'uso che facciamo oggi di indipendenza, l'uso che se ne fa in quest'Aula, non possa e non sia declinato in separazione e isolamento; penso invece che, senza nessuna timidezza, dovremmo inserire il concetto di indipendenza nella rinegoziazione di un rapporto pattizio tra noi e lo Stato. Credo, con molta modestia, molto umilmente, che questa debba essere una delle strade da esaminare. Credo che lo dovremmo fare anche alla luce dei nuovi rapporti ed equilibri che esistono tra gli Stati e l'Unione europea e dei nuovi rapporti che esistono tra l'Unione europea e le soggettualità regionali. Anche su queste questioni dovremmo riflettere e soffermarci meglio, magari nel lavoro della Commissione allargata, come suggeriva il presidente Floris, o attraverso altri strumenti.
Abbiamo fatto bene (in particolare alcune forze politiche più di altre) a volere questa sessione straordinaria, dobbiamo avere la consapevolezza che le conclusioni di questo dibattito non possono non trovare le forze politiche concordare su un dispositivo finale. Non possiamo permetterci il lusso di concludere questo dibattito senza un dispositivo che rappresenti una sintesi di tutte le forze politiche presenti in quest'Aula. Se non siamo capaci di farlo, davvero è bene abbandonare i sogni e anche le prospettive più modeste dei sogni.
Ci sono alcuni temi sui quali, nonostante l'articolazione tra le forze politiche, le stesse non possono che ritrovarsi. Per esempio, ne cito uno, penso alla necessità che il nuovo Statuto, il nuovo rapporto con lo Stato, debba essere lo strumento capace di compensare gli svantaggi competitivi che sinora hanno ostacolato il nostro sviluppo economico e, permettetemi, di conseguenza anche quello civile. Ancora, penso che il nuovo Statuto debba essere strettamente legato al concetto dell'insularità, sono d'accordo con chi, prima di me, ha sollevato con forza questo aspetto. Se riusciamo a fare questo, probabilmente colmiamo una lacuna che caratterizza il nostro Statuto speciale fin dalla sua nascita nel 1948.
A tal proposito è utile ricordare che gli stessi Trattati europei giustificano l'adozione, da parte delle Regioni, di misure volte a compensare gli svantaggi di cui accennavo prima. Penso che l'insularità sia un tema che merita una particolare attenzione da parte del Consiglio regionale anche alla luce, purtroppo, della deludente politica a livello europeo e del limitato riconoscimento da parte del nostro Paese. Ho citato l'insularità, ma ci sono altri temi, per carità, coloro che mi hanno preceduto li hanno citati nei loro interventi, perché penso che oggi noi non possiamo pretendere di trovare un punto di ricaduta comune nella sostanza dei temi che stiamo trattando. Sono riflessioni che non possono esaurirsi in un dibattito, per quanto esaustivo cerchiamo di farlo diventare. Dobbiamo invece, questo è possibile, condividere l'avvio di un processo e porre un termine per la sua conclusione, un anno, come suggerivano i colleghi del Partito Sardo d'Azione, quattro mesi, sei mesi, non mi appassiona questa discussione, ma troviamo le forme possibili, nei prossimi giorni, stabiliamo anche un termine, ma avviamo questo processo. qUindi condividere l'avvio di questo processo, definire un termine e sintetizzarlo in uno strumento che può essere un ordine del giorno o altro, lo dobbiamo a noi stessi innanzitutto e a chi guarda a noi con l'auspicio di dare un contributo a questo dibattito. Questo è l'altro aspetto che vorrei sottolineare.
Dobbiamo avere la sensibilità politica di far condividere questo processo a chi non è rappresentato in quest'Aula, al sistema delle autonomie locali, alle forze sociali. Non commettiamo l'errore di non far vivere questa stagione alla generalità della società sarda. Per ottenere un risultato importante come quello che ci prefiggiamo, abbiamo l'obbligo di unire non soltanto le forze politiche ma l'intera società sarda. Pertanto sta a tutti noi decidere attraverso quale strumento e in quale sede riscrivere il rapporto con lo Stato e far sì che lo strumento e la sede siano capaci di ospitare tutti. Se questo sapremo fare, avremo contribuito...
PRESIDENTE. Onorevole Diana, il tempo a sua disposizione è terminato.
E' iscritto a parlare il consigliere Dedoni. Ne ha facoltà.
DEDONI (Riformatori Sardi). Signor Presidente, signori della Giunta, colleghe e colleghi, intervengo come mio solito senza avere una traccia scritta perché, pur riconoscendo la disorganicità che viene da un simile modo di intervenire, preferisco dare all'Aula suggestioni che provengono dal cuore e dalla mente. Intervengo ancorché avessi qualche difficoltà, perché da più parti è stato dichiarato che si stava realizzando un dibattito basso, un dibattito non sentito, una mortificazione dell'Aula. Debbo invece riconoscere che, pur nella difficoltà di ascoltarci, come capita spesso, molti interventi hanno dato respiro ampio al dibattito che stiamo ponendo davanti al popolo sardo.
Poiché vado a recuperare alcune delle proposizioni che sono venute da chi mi ha preceduto, mi sia consentito ricordare l'excursus storico per cui oggi noi ci troviamo qui a parlare di innovazione di uno Statuto. Io sono firmatario di una mozione (ringrazio Felicetto Contu, anziché essere lui a ringraziare me che tecnicamente gli ho consentito di presentare questa mozione) e, in termini di sensibilità, in termini di partecipazione umana, credo che l'indipendentismo lo sentiamo tutti noi in una maniera più accentuata o meno. Soprattutto quando percorriamo la "131", da anni, da decenni, quando ci sediamo su un treno che da Sassari viene a Cagliari o da Cagliari va a Sassari, per non parlare dei treni che vanno verso Nuoro, quando prendiamo un bus (qualcuno è stato acquistato nuovo), chi ha praticato le strade della Sardegna sa quanto ci vuole e quale difficoltà c'è: viabilità, trasporti, mobilità interna e mobilità esterna.
Chi è che non rivendica seriamente non solo di sentirsi autonomo ma anche indipendente da uno Stato che non ha saputo dare quello che alla Sardegna serviva e doveva esserle dato! Anno 1847, decreto del Re del 20 dicembre, fusione perfetta della Sardegna, quando alcune menti illuminate andarono a consegnare la nostra Regione, anzi il nostro Stato, nelle mani di Vittorio Emanuele, con il convincimento che ci fosse… anzi leggo quello che è stato scritto nella petizione, che è ancora più importante: "rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati Regi di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…". Vorrei che ciascuno di noi riflettesse sul fatto che abbiamo dato a uno Stato per piatire qualcosa che non abbiamo avuto. Mi si dirà che faccio demagogia!
Ebbene, io chiedo a tutti i presenti se è vero che le condizioni della Sardegna non sono quelle che ho prima enunciato a grandi linee, se non ci sono difficoltà nei servizi, sia primari che secondari, se non c'è una difficoltà oggettiva anche perché siamo Isola, essere Isola è bello e potrebbe essere fruttifero ma allo stesso tempo comporta una seria difficoltà nel raccordarci e competere con gli altri. Se questo è vero, dobbiamo pensare in quale clima, in quel periodo risorgimentale, si creava lo Stato unitario, si parlava di federalismo da una parte e di Stato centralistico dall'altra. Vinse lo Stato centralistico e lo Stato centralistico era Cavour, erano quelli che hanno costruito l'unità d'Italia anche con i garibaldini. "Federalismo" era Cattaneo, che aveva come suo mentore Rosmini, si scelse il centralismo. Quella decisione ci ha dato lo Stato unitario che abbiamo vissuto e rinnegato, non tanto da noi che siamo stati sempre in prima linea a difendere lo Stato nella sua unitarietà e che siamo ancora convinti che ciò debba essere ma alla condizione che vengano riconosciuti effettivamente tutti quei rapporti deficitari che ci sono stati negli anni da parte di questo Stato centralista.
Oggi la Lega ha incominciato a separare ed è una forza di governo; Bossi reclama sempre e io sono spaventato dal fatto che è passata sotto silenzio la dichiarazione di Napolitano secondo il quale l'importante è che si sia riconosciuta Roma quale capitale d'Italia, poi i Ministeri possono essere dislocati dappertutto. Mi capite? I Ministeri possono essere dislocati in tutto il territorio d'Italia, così ci aiuterà molto se per caso è a Napoli o a Reggio Calabria o ancora, come si pensa, a Milano o in quel di Venezia oppure nella sabauda Torino. E la Sardegna? Ancora a piatire? Ancora a trovare soluzioni? A pretendere che un Ministero sia qui? Io credo che questo tipo di federalismo, di cui molti parlano in termini geometrici di variabili, di asimmetricità, vada analizzato nei dati e nei frutti che esso produrrà, sarà che chi è ricco continuerà a essere ricco e chi è povero diventerà sempre più povero? Cioè che la Sardegna, che non ha avuto, continuerà a non avere niente e sarà azzerata nelle sue rivendicazioni?
Ecco, questa è la motivazione per cui questa nobile assemblea doveva dibattere di innovare lo Statuto sardo. Costituzione sarda, costituzioni sarde? Credo di sì. Qualcuno stamattina ricordava la Sicilia, io non sto più a parlare né di ruggiti e né di miagolii, sta di fatto che la Sicilia era uno Stato nello Stato, Parlamento per le aule parlamentari, Corte dei conti e batteva moneta, questo era scritto per chi non lo sa, e vi era la Corte costituzionale per chi non lo sa. Questo era lo Statuto della Regione siciliana! Questo è lo Statuto della Regione siciliana! Per alcuni versi, la Regione siciliana ha rinunciato a qualcosa per convenienza, perché ha trovato soddisfazione nelle richieste verso lo Stato, nei dieci decimi che percepisce di ogni introito che va alla Sicilia. Ecco perché c'è un dibattito che dovrebbe invece infervorare questa Aula!
Se noi siamo i rappresentanti legittimi del popolo sardo, io mi chiedo quale raccordo effettivo ci sia con il popolo sardo. Ho apprezzato molto l'onorevole Mariolino Floris qualche minuto fa, il quale ha proposto una serie di modificazioni legislative, una serie lunga di interventi operativi che questa Aula dovrebbe fare, però alla fine chiude tutto dicendo: "Ce la vediamo a casa", nell'aula che lo diventa per il popolo che è fuori e lo stiamo vivendo per tutte le circostanze, dagli agricoltori ai chimici, a chi ha problemi e che vive lontano da quest'aula, in un'aula che, in altre epoche, verrebbe detta sorda e grigia. Allora io penso che sarebbe molto più importante che questa Aula vada in mezzo al popolo, apra un dibattito in mezzo al popolo; mi chiedo perché quelli che non vogliono la Costituente vogliono ancora essere considerati come persone chiuse all'interno del Palazzo e non vogliono confrontarsi col popolo.
Perché non far aprire le porte del Palazzo e considerare che un'Assemblea costituente sarebbe libera e avrebbe l'espressione libera anche di chi non è rappresentato in quest'aula, in questi giorni, penso ai movimenti indipendentistici che sono fuori da quest'aula, che non sono complessivamente rappresentati. Credo invece che un'assemblea costituente darebbe l'opportunità che un fermento vivo in tutta la società sarda prendesse coscienza dello sviluppo nuovo in un rapporto con uno Stato centrale e di un rapporto nuovo con l'Europa. Se queste cose non avverranno, sarà ancora una volta uno statuto fatto nel chiuso che non sarà degno neanche di un miagolio. Allora chi si assume questa responsabilità, onorevole Floris?
Il "presto" è nemico dell'"ottimo" e se arriviamo al "tardi" è perché ci siamo attardati a far niente, a non risolvere i problemi istituzionali che ci stavamo ponendo sinora. E se la Sardegna non fosse così rappresentata? Allora io credo che dovremmo dibattere, no? Se uno Stato federale si costruisce come si sta costruendo, perché è uno Stato federale che va a costruirsi, potremmo poi discutere di quale tipo di federalismo si realizza, e siccome gli Stati federali - come ben diceva l'onorevole Sanna - sono una dualità non una monade, io ritengo che (ed è giusto che sia così) in una pattuizione vi siano almeno due soggetti che si incontrano. Chi potrebbe non dire, anche nella nostra Costituzione e Statuto di Sardegna, che noi lasciamo allo Stato centrale la delega dell'economia e quindi del battere moneta? Della difesa e quindi dell'esercito? Della politica estera? Ma non rinunceremo ad altro perché tutto è qui e tutto deve essere svolto qui con quelle capacità di autogoverno che, sono sicuro, questo popolo potrà sapersi dare. Non è un cantone svizzero, è l'applicazione del federalismo. O si è coraggiosi quando si naviga in mare aperto per portare la nave in porto, oppure si affonda, e noi siamo in questo crocevia. Ci sono le forze egoistiche ricche, che reclamano sempre di più. Se noi non saremo all'altezza di fare la voce grossa e richiedere, per la nostra Sardegna, giustizia, possibilità di espandere il proprio autogoverno, ci troveremo chiusi e affonderemo con questa nave.
Allora io mi chiedo se abbiamo coraggio o se ci attardiamo ancora a discutere. Caro onorevole Diana, parlo di Diana all'opposizione, lei ha detto che i servizi scolastici non vanno bene, ed è vero, e che l'università non va meglio, ma siamo stati incapaci di organizzarci e di promuovere una riforma noi! Dove c'è danaro, dove c'è risorsa e dove c'è capacità di agire, al di là delle riforme che si sono fatte, Bossi oggi dice che il privilegio di entrare nelle università milanesi è solo dei lombardi! Ecco l'egoismo dove si spinge! Se noi non sappiamo rintuzzare queste posizioni oltranziste, se non sapremo richiedere al Governo tutto quello che ci compete come Regione autonoma, noi non sapremo dove poter andare l'indomani.
Non voglio dilungarmi perché non credo che servano molte parole, ma sono sicuro che, se riflettiamo, colmeremo le divisioni interne fra partiti e all'interno dei partiti, perché a nessuno è sfuggito che tutti i partiti sono divisi in questo posizionamento. Ciò non mi meraviglia, io vado sostenendo da un bel po' che destra e sinistra sono retaggi dell''800 e del '900, sono accidenti filosofici che vengono attribuiti in quel mentre. Oggi c'è un centrodestra e un centrosinistra che sono, come dire, "cose appiccicaticce", ma la vera differenza, il vero discrimine, sono la conservazione e l'innovazione; spesso l'innovazione sta nella posizione che meno qualcuno si aspetta, ho trovato molta conservazione e timidezza nell'affrontare i problemi dell'autonomismo spinto nella sinistra, questo mi addolora perché non trovo quell'afflato necessario per poter dare una spinta forte, un colpo di reni anche a quest'Aula perché decida definitivamente.
Sardegna, Italia, Europa, identità nazionale, lingua, cultura, Sardegna che è in mezzo al mar Mediterraneo, con tante difficoltà, con sviluppo a ciambella, con la voglia di trasformarlo in amaretto soffice nel suo insieme. Bene, io credo che ci sia da lavorare, da approfittarne da parte di tutti, da non fare egoismi di partito, o di parte, o di personalismo, credo che ci sia la necessità di un rapporto corale che ci identifichi con lo stesso Popolo che diciamo di rappresentare. E in questa logica la coesione sociale, un autonomismo spinto, se non dico ben altro, una sovranità certamente e un'autodeterminazione di questa Regione potranno darle una forza e dovranno darle una corazza in un federalismo asimmetrico, in un federalismo in cui le forze della ricchezza, che il Nord esprime, rischiano ancora una volta di veder frantumare l'unitarietà dello Stato centrale, ma soprattutto far perire quelle che sono le richieste, l'emergenza, le necessità della nostra Isola e del Meridione.
Quindi ci vuole un moto forte da parte di questo Consesso, verso l'innovazione, verso una posizione che sia di apertura. Degli amici del Partito Sardo, mi è piaciuto molto il ragionamento di Paolo Maninchedda, l'indipendentismo non è una parola che deve fare paura, è un posizionamento culturale, è il fatto di ritrovarsi consci di avere una sovranità propria, non è lo staccarsi solo da uno Stato, né il frantumare uno Stato, è il dare la piena autodeterminazione a un Popolo sardo, che da decenni lo aspetta, dopo aver veduto sacrificato tutto il proprio interesse nel governare un processo unitario, che certo non lo ha pagato.
Ecco, in questa logica credo che si potranno superare molte argomentazioni che dividono fittiziamente quest'Aula, sia nei partiti che all'interno dei partiti, e guardare con interesse, con rinnovata fiducia, quella che sarà la capacità che noi sapremo porre nel risolvere il problema che oggi dibattiamo e che sicuramente il Popolo sardo aspetta che sia risolto, perché in quella risoluzione vi è anche la coesione sociale, lo sviluppo economico e l'occupazione che tanto mancano oggi in Sardegna, e non solo in Sardegna.
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.
ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente Lombardo, signori colleghi, ringrazio la Presidente del Consiglio, e l'assessora Corona per aver assolto alle proprie funzioni, garantendo per tutto il tempo, al contrario del resto della Giunta, la propria presenza allo svolgimento dei lavori in quest'Assemblea. Può sembrare un'anomalia questo ringraziamento, ma purtroppo ci hanno abituato a questa strana normalità, visto che il nostro Governo, cioè il Governo dei Sardi è amputato, e non da oggi, della sua Giunta e del suo stesso presidente Cappellacci, un Presidente assente o, quando raramente c'è, un po' evanescente. Per cui, come ha sottolineato il collega Capelli stamattina, e anche qualche altro collega, pongo anch'io il problema della credibilità di questa Assemblea straordinaria che, per la levatura dei temi in corso di trattamento, dovrebbe firmare una pagina importante della nostra storia.
Nel corso del dibattito svolto in questi due giorni e dall'esposizione delle mozioni presentate dalle diverse rappresentanze politiche in questo Parlamento, emerge un dato importante che accomuna tutte le nostre diversità ideologiche e politiche, cioè la consapevolezza che esiste il Popolo sardo con la sua identità, la sua lingua, la sua storia, la sua cultura e la Piattaforma continentale che delimita i confini territoriali della Sardegna. Preso atto concretamente che non si può prescindere dal diritto all'autodeterminazione del nostro popolo, nella scelta della propria strada politica, giuridica e istituzionale, possiamo ribadire in modo unitario che la Sardegna è una Nazione, e che il suo Popolo rivendica la propria sovranità, l'autogoverno e l'autodeterminazione: diritto sancito anche dalle Nazioni Unite e dalla Comunità Europea, attraverso processi democratici e di partecipazione condivisa.
In un momento drammatico di genocidio economico e culturale per il popolo sardo, con la negazione del diritto a esistere, di fronte alla crisi che investe tutti i settori economici, sociali e culturali, la svendita del patrimonio ambientale, l'imposizione delle servitù militari, la minaccia di nuove servitù nucleari, su cui nessuno di noi qua dentro può permettersi il lusso di distrarsi, la negazione del diritto allo studio, l'infelice modello di sviluppo industriale, che ha seminato povertà, desertificazione e malattie, la classe politica sarda, di fronte alle responsabilità che le sono proprie, per il fallimento e la cattiva gestione della stagione dell'autonomia (che noi riteniamo superata), oggi è chiamata all'apertura di una nuova pagina istituzionale che deve vedere la partecipazione attiva, nella sua scrittura e nella sua determinazione, del Popolo sardo, in modi da definire e in tempi reali, che siano veloci e certi.
Questa riscrittura, per essere veramente condivisa e partecipata, deve andare oltre la routine del Consiglio regionale, spesso distratto, strabico e in certi casi inadeguato. Il metodo di un'Assemblea popolare costituente nel caso della riscrittura dello Statuto potrebbe essere uno strumento condiviso se ampiamente rappresentativo dei territori, dei saperi e delle differenze storico-culturali del nostro Popolo e non un ennesimo momento di lottizzazione partitica e politica.
Questo dibattito politico istituzionale di ridefinizione dello Statuto e dei rapporti fra noi e lo Stato italiano non può e non deve prescindere dal riconoscimento di un nuovo soggetto giuridico che è la Nazione sarda. Se così non fosse, dobbiamo chiederci, in questa sede, di che stagione di sovranità stiamo parlando. Questo status non può essere solamente definito fra la Regione Autonoma della Sardegna e lo Stato italiano, in quanto rischieremmo di impantanarci nelle sabbie mobili della cosiddetta Riforma federale. Una riforma che, in realtà, di federale non ha niente ma prospetta, sin dalle prime avvisaglie, vedi il federalismo fiscale, una nuova forma di statalismo di stampo nordista che ambisce a concentrare sempre di più le ricchezze nel Settentrione d'Italia, impoverendo, penalizzando e discriminando il Meridione e la Sardegna.
Bisogna superare la politica unilaterale delle concessioni e per far ciò dobbiamo coraggiosamente metterci in relazione anche con la Comunità europea e trovare soluzioni e nuove forme alle nostre esigenze di sovranità anche istituzionalmente e giuridicamente con essa. Questo certamente è un percorso nuovo e difficile ma che non possiamo non praticare. Se c'è la nostra volontà unitaria, come Governo dei sardi, se sappiamo suscitare partecipazione popolare e condivisione democratica su queste scelte all'interno della nazione sarda, è possibile l'apertura di una nuova stagione di sovranità e, per quanto riguarda noi, mi riferisco alla mia formazione politica, RossoMori, la rottura della dipendenza con la costruzione di un nuovo percorso di prosperità, di libertà e di indipendenza per la Sardegna.
Su questi temi, con la chiarezza dovuta, i RossoMori sono a disposizione di questa Assemblea per trovare le migliori condizioni giuridiche nel rapporto con l'Italia e con l'Europa, per la realizzazione del diritto inalienabile dei sardi all'autodeterminazione e all'indipendenza.
Con preoccupazione, nel corso del dibattito, anche questo pomeriggio, sono emerse addirittura delle censure su terminologie come "sovranità" e "indipendenza", definite dal consigliere Locci in antagonismo con la Costituzione; tutto ciò in una fase storica in cui il mondo punta gli occhi sui sempre più grandi e diffusi fermenti indipendentisti in tutta Europa.
Così pure, come ho colto, si crea ancora confusione, io credo volutamente, fra "separatismo" e "indipendentismo". La confusione è creata da chi ha privilegi da difendere o responsabilità da nascondere. Ripeto che, alla base dell'indipendentismo moderno, c'è il pensiero di Simon Mossa, grande internazionalista indipendentista che sostiene: "Noi vogliamo conquistare l'indipendenza per integrarci, non per separarci, nel mondo moderno". A parte l'effetto della demonizzazione del concetto di "indipendentismo", confuso con "separatismo", io ho la certezza che il sentimento indipendentista, in quest'aula e fra i sardi, sia molto più diffuso di quanto non si pensi.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cuccu. Ne ha facoltà.
CUCCU (P.D.). Presidente, Assessori e colleghi, il compito di intervenire è abbastanza arduo dopo tanti interventi di autorevoli colleghi e dopo che tante cose sono state già dette e argomentate, anche perché non è la prima volta che il Consiglio si occupa di Statuto, più volte il Consiglio, nella scorsa come nelle precedenti legislature, ha affrontato direttamente la questione delle riforme istituzionali, con mozioni, risoluzioni e ordini del giorno. Nella passata legislatura approvammo anche una legge che istituiva la Consulta per il nuovo Statuto di autonomia arenatosi poi per responsabilità che non sto qui a ricordare. Senz'altro penso di non sbagliare se dico che si arenò per responsabilità riconducibili a rigidità frutto di logiche di schieramento.
Ecco, se una utilità rilevo nell'intervenire quasi per ultimo è che in questi giorni ho potuto registrare che in questo dibattito è venuta meno la logica maggioranza-opposizione che bloccò quello strumento. Anzi spesso non sono mancate diversità di posizioni all'interno degli stessi Gruppi. Penso che sia un buon segnale, che sia una ricchezza, per il dibattito, oltre che per trovare delle soluzioni, il fatto che non stiamo più a parlare di divisioni negli schieramenti dei partiti ma stiamo parlando di diversità di opinioni all'interno degli schieramenti all'interno dei partiti. E' un segnale di maturità, penso che debba essere questo lo spirito per animare il dibattito sulla riscrittura dello Statuto. Questo è un processo che deve vederci tutti più liberi.
Nel corso del dibattito, tutti gli interventi (pur manifestando orientamenti diversi sulle diverse declinazioni di autonomia e sullo strumento da utilizzare per conseguire tali obiettivi) hanno ribadito la necessità e l'urgenza di procedere a una organica revisione dello Statuto speciale della Sardegna, nessuno escluso mi pare. Non è necessario dare un giudizio severo sulla storia dell'autonomia per sostenere che è necessario riscrivere lo Statuto, ma è sufficiente registrare i notevoli cambiamenti intervenuti nelle condizioni storiche, sociali, economiche e istituzionali della nostra Regione per rendersi conto che diventa necessario l'avvio di un processo di revisione dello Statuto. Ormai tra le forze politiche e sociali della nostra Isola emerge una consapevolezza diffusa che lo Statuto non sia più adeguato ai tempi, dimostra chiaramente di essere stato scritto in un periodo storico ormai completamente mutato, come è mutato lo scenario internazionale.
Oggi la Regione concorre infatti, con lo Stato e le altre Regioni, alla definizione delle politiche e alla realizzazione di obiettivi comunitari per esempio, cosa che non avveniva sicuramente nel '48. Abbiamo di fronte nuove domande sociali, nuove povertà, sono cambiate le regole del sistema elettorale, sono intervenute profonde modifiche istituzionali nei poteri e nelle competenze delle Regioni e delle autonomie locali, ed è del tutto evidente che il mondo, all'interno del quale si muoveva la società sarda quando è stato scritto l'attuale Statuto, è profondamente cambiato. Oltretutto, ed è stato più volte ribadito, ma vale la pena ricordarlo, nel 2001 sono intervenute, con le riforme costituzionali, delle modifiche significative attraverso le quali non solo la Regione Sardegna ma tutte le Regioni speciali e le province autonome hanno visto un significativo cambiamento dei loro spazi di autonomia.
Sono riforme che noi abbiamo subito, erano e sono riforme modellate sulle Regioni ordinarie che non tenevano conto delle ragioni che hanno dato vita agli Statuti della specialità. Sono state modificate le parti significative del nostro Statuto, per alcuni versi sono state riformate le Regioni ordinarie, abbiamo subito la violenza dell'abrogazione di parti dello Statuto, quali la forma di governo, l'elezione del Consiglio, con il referendum abrogativo, per citarne solo alcune. La disciplina di queste materie è stata demandata a una legge rinforzata o a una legge statutaria, com'è stata comunemente definita. Penso che la violenza che abbiamo subito renda ancora più urgente e improcrastinabile ridefinire i confini costituzionali della nostra autonomia speciale, ribadendo però allo stesso tempo che non sono venute meno le ragioni della specialità: l'insularità (anche il collega Diana ricordava poc'anzi che rappresenta ancora oggi un ostacolo alla mobilità), l'identità culturale (che caratterizza i tratti distintivi di un popolo), la peculiarità geografica (che caratterizza la nostra Isola collocata in un punto strategico del Mediterraneo), e non ultimo il persistere di ritardo di sviluppo economico che, nonostante i notevoli progressi, ancora soffoca diversi settori, territori, specie nelle zone interne.
Ecco, io penso che queste specialità siano ancora attuali, ovviamente vanno ripensate, attualizzate, in una declinazione nuova che non può prescindere dai profondi mutamenti che hanno interessato gli scenari economici e internazionali. Alla luce di queste considerazioni, è chiaro che un'operazione di mero adeguamento non appare sufficiente; è necessario riscrivere lo Statuto. Però, pur essendo convinto che siano ormai maturi i tempi per una sua riscrittura completa che rispecchi la nuova identità della Regione e che delinei le ragioni dell'unità e l'equilibrio dei poteri, che riconfermi i veri motivi e le ragioni della specialità, ripeto, pur avendo queste convinzioni, ritengo che dovremo essere molto chiari sui solchi all'interno dei quali ci dobbiamo muovere. Io vengo da un paesino, sono cresciuto per strada e non ho neanche il tono professorale di alcuni colleghi, pertanto non sono neanche avvezzo a giri di parole, quindi quando dico che dobbiamo delineare i solchi, penso che la nostra autonomia debba essere esercitata dentro i larghi confini dettati dalla Carta costituzionale. Non faccio neanche una questione di fedeltà acritica alle basi del nostro vivere comune, ma cerco per lo meno di muovermi all'interno di un ragionamento.
La Costituzione, come ci insegnarono i nostri padri costituenti, è nata per unire e non per dividere e chi la usa per questo è come se la tradisse. La Carta è ancora oggi un testo di straordinario valore e attualità e l'idea del Presidente del Consiglio (non del nostro Presidente del Consiglio ovviamente, di quello che sta a Roma) di trasferire nelle mani di una sola persona il potere legislativo è senz'altro estranea alla Costituzione; come è estranea alla Costituzione l'idea leghista di tanti staterelli che si mettono assieme senza che ci sia una visione di insieme.
Il patto costituzionale costituisce l'argine alla deriva egoistica delle Regioni più forti. Anziché farmi trascinare dalla suggestione dell'autosufficienza, io preferisco pormi alcune domande. Qual è il miglior modo per interpretare e dare risposte ai bisogni dei sardi? Con quale strumento facciamo gli interessi della nostra gente? I sardi staranno meglio in una Sardegna indipendente inserita in uno Stato confederale o staranno meglio con maggiori livelli di autonomia ma all'interno dei principi di solidarietà e sussidiarietà garantiti dalla Costituzione italiana? Io dico solo questo: stiamo attenti a non farci trascinare su una strada in discesa che fa presa sui cittadini, ma che è assolutamente, a mio avviso, irresponsabile. La Sardegna può senz'altro funzionare meglio, ma questo può essere fatto nel rispetto del patto costituzionale.
Certo, i trasporti, l'ambiente, la sanità, l'istruzione, l'università, l'archeologia e quant'altro vogliamo aggiungere, se lasciati alle nostre determinazioni, possono funzionare meglio, possono rispondere meglio al nostro sentire e alle nostre esigenze. Certo, noi saremmo più motivati di quanto non lo siano a Roma, per citare un termine abusato da Bossi. Saremmo più motivati a migliorare la qualità di questi servizi, ma è anche vero che l'attuale Costituzione e lo Statuto del 1948 non costituiscono un limite. Se un limite c'è, non sono gli articoli 116 o 117 che anzi delineano tutti gli spazi possibili, né limiti io vedo nello Statuto. Per migliorare questi servizi, se c'è un limite è la nostra iniziativa politica.
In buona sostanza, io penso che, per migliorare questi servizi, sia sufficiente sedersi ai tavoli e non per chiedere allo Stato centrale di delegarci spazi di autonomia, ma è la nostra autonomia che deve essere riconosciuta dallo Stato come una ricchezza, come un patrimonio di tutti, la nostra specialità come parte integrante di un'entità più grande che è lo Stato italiano. Questa è una posizione. In quest'Aula ce ne sono altre e tutte hanno pari dignità, tutte hanno diritto di cittadinanza. Per esempio, io non mi riconosco nell'ordine del giorno voto, presentato dall'onorevole Contu, ma l'ho sottoscritto per consentirgli la possibilità di discuterlo in quest'Aula perché avesse, anche quell'ordine del giorno voto, cittadinanza dentro quest'Aula.
Adesso però è il tempo per incominciare a essere operativi. E' necessario che tutti facciamo uno sforzo per incominciare a condividere il metodo di lavoro per la scrittura dello Statuto, individuiamo un percorso nel quale tutti ci ritroviamo e poi sul merito avremo modo di confrontarci ancora più serenamente di quanto non stiamo facendo in questi giorni. Per fare questo è necessario che il percorso del dibattito non sia limitato ai soli livelli istituzionali. Non può avvenire esclusivamente in quest'Aula. Non può essere appannaggio di pochi eletti. Deve coinvolgere tutta la comunità regionale. Allo stesso tempo, dobbiamo avere la capacità di arrivare a una condivisione la più ampia possibile, al di là delle singole posizioni politiche, per far sì che sia lo Statuto di tutti i sardi e non quello del Presidente, della Giunta, della maggioranza o lo Statuto di pochi eletti.
A nostro avviso, è sempre valido il principio secondo il quale le riforme e le regole fondamentali del vivere democratico, che si tratti di statuto, di forma di governo, di legge elettorale, appartengono a tutti, maggioranza e opposizione, e vanno necessariamente definite insieme. Ma qual è lo strumento più idoneo al raggiungimento dell'obiettivo? Qual è quello che può consentire di portare in porto il risultato nel più breve tempo possibile? A mio avviso, un'assemblea straordinaria di durata limitata potrebbe assolvere adeguatamente il compito. Una commissione straordinaria potrebbe essere; la sua composizione dovrebbe essere rappresentativa dell'intera comunità regionale, delle sue parti più importanti e nelle sue espressioni politiche, sociali, culturali, economiche, territoriali. Non si può scrivere lo Statuto solo all'interno del Consiglio senza tener conto della complessità della società sarda. Allo stesso tempo non è pensabile che il Consiglio abdichi al suo compito affidandosi completamente all'esterno.
La commissione speciale o commissione straordinaria, chiamiamola con i termini che vogliamo, non impicchiamoci sui termini, non abbiamo neanche la primogenitura e io non ci tengo nemmeno… dicevo che io penso che potrebbe essere una commissione straordinaria composta per metà da consiglieri regionali e per l'altra metà da rappresentanti dell'università, del mondo del lavoro, dell'impresa, del terzo settore. Alla commissione potrebbe essere affidato il compito di esaminare, discutere e proporre al Consiglio una bozza di Statuto, riscritto sulla base di principi e linee guida che lo stesso Consiglio dovrà indicare nella legge istitutiva. Contemporaneamente sarà necessario promuovere una vasta campagna di coinvolgimento della società, enti locali, scuola, università e altre istituzioni, utilizzando tutti gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione. Potrebbe essere avviata, come è già avvenuto anche in altre regioni, una vasta campagna istituzionale con strumenti bilingui, multimediali, multicanali, allo scopo di informare e sensibilizzare i cittadini affinché si apra un dibattito consapevole e partecipato e che si stimoli anche il dibattito consapevole e partecipato, affinché lo Statuto sia costruito anche con il contributo dal basso.
Una volta che lo Statuto verrà approvato dal Consiglio, lo stesso, a mio avviso, dovrà essere sottoposto a un referendum consultivo, come hanno già detto alcuni colleghi che mi hanno preceduto e che hanno sottoscritto con me la mozione numero 88. Perché sottoporlo a referendum consultivo? Affinché lo Statuto abbia la legittimazione e la forza di un manifesto popolare per accompagnare il negoziato sul federalismo che ci vedrà impegnati nella prossima primavera. Il Consiglio regionale, aprendo questo percorso riformatore, ha l'opportunità di ribadire, di rafforzare e di dare maggiore concretezza a quelli che sono naturalmente i suoi compiti centrali. Oltre che titolare di competenze di legislazione, indirizzo e controllo, il Consiglio regionale, non dimentichiamocelo mai, è anche organo di rappresentanza democratica del popolo sardo, punto di riferimento privilegiato del sistema policentrico delle autonomie territoriali.
Pertanto - e mi avvio a concludere - il Consiglio regionale, se non vuole vedere mortificato il suo ruolo, deve darsi gli strumenti adeguati e deve scommettere su se stesso. Questa è una scommessa per tutti quanti noi. E' evidente che la riscrittura dello Statuto comporterà un paziente e faticoso lavoro preparatorio e che impegnerà tutte le componenti politiche presenti in quest'Aula, ma noi dobbiamo avere l'ambizione di scrivere assieme, maggioranza e opposizione, le regole che siano in grado di rispondere alle attese e di durare nel tempo, per l'oggi ma soprattutto per il domani. A prescindere da quale sarà l'esito finale, penso che valga la pena battersi, spendersi per mantenere ancora alti i valori che stanno alla base della nostra specialità. Noi siamo disponibili al confronto, aperti a trovare soluzioni, purché non prevalgano tatticismi, arroganze, presunzioni. Ecco, se prevalessero questi atteggiamenti, noi non saremmo interessati, ma poco importa se noi non fossimo interessati, quel che importa è che i sardi ne trarrebbero la conclusione che il Consiglio regionale non è interessato al nuovo Statuto per la nostra Regione. I sardi non ci capirebbero se, mentre le imprese e il nostro popolo si confrontano con la globalizzazione, noi ci attardassimo su disquisizioni che poco hanno a che fare con il sentire comune.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Maninchedda. Ne ha facoltà.
MANINCHEDDA (P.S.d'Az.). Presidente, approfitto del dibattito perché la Conferenza dei Capigruppo ha deciso, date appunto le modalità con cui il dibattito si è svolto, di non dar corso alle repliche dei presentatori delle mozioni e, siccome sono state dette cose importanti e dobbiamo anche, credo, abituarci alla capacità di dialogare tra di noi alla luce di quello che diciamo, non per polemizzare, ma almeno per dimostrare che ci siamo ascoltati, vorrei dedicare questi minuti a precisare alcuni contenuti alla luce di ciò che il dibattito ha fatto emergere.
Per cortesia istituzionale, vorrei iniziare da ciò che è emerso dai banchi dell'opposizione. Dai banchi dell'opposizione emerge questo primo contenuto: si accetta l'idea che l'autonomismo sia in una fase critica, che il pensiero autonomista non sia sufficiente oggi a esprimere le attese di efficacia del potere rispetto ai bisogni che noi abbiamo. Tutta l'opposizione dice… uso l'espressione "l'opposizione" perché non siamo in una fase in cui abbia molto senso riperimetrare "maggioranza" e "opposizione", per semplificare. Allora, tutta l'opposizione dice che bisogna rinegoziare il patto con lo Stato perché lo Statuto, inevitabilmente, ha una dimensione, se si vuole, pattizia, visto che abbiamo anche l'onere di farcelo approvare dal Parlamento italiano.
Detto questo si rilevano due posizioni. La posizione che ultimamente ha rappresentato l'onorevole Cuccu, che è la stessa dell'onorevole Cucca, che è la stessa (articolata in maniera ancora più estesa e in cui si è spinto anche più avanti) dell'onorevole Sabatini, che, se la si vuole, è la posizione della tradizione del cattolicesimo democratico, che io conosco bene. Questi nostri colleghi è da diverso tempo che nel Consiglio regionale stanno offrendo analisi di dettaglio, stanno dicendo di non essere disponibili a indulgere al populismo, di non essere disponibili alla demagogia, ma a fare discorsi seri, inoltre ci avete detto oggi che, se vogliamo mandare gambe all'aria la Costituzione repubblicana fondata sulla resistenza, non siete disponibili.
Prima di entrare nel merito di questo, io vorrei dire a questi colleghi, perché stanno dicendo queste cose da mesi, due o tre cose che è bene dire alla luce di ciò che è stato pubblicato nei giornali in questi giorni. Io vi reputo migliori di quelli che voi citate come maestri perché, a differenza dei Cossiga, dei Segni, dei Parisi, non avete quell'ansia di potere, quella bocca più grande del cuore e del cervello che loro hanno iscritto nella storia della Sardegna, perché quella non è scuola, quel mondo non è la scuola del cattolicesimo democratico, quel mondo è il mondo dei sardi che hanno studiato per fare carriera in Italia; il vostro discorso è superiore, perché è più onesto. Talvolta, mi permetto di dirlo, pur avendo la possibilità di essere maestri, continuate a fare i glossatori di gente che non ha più niente da insegnare, non ha proprio più niente da insegnarvi! Allora, è questo il primo punto che, a questa tradizione di pensiero, non alle persone, a questa tradizione di pensiero, si può opporre.
Non abbiamo detto la stessa cosa quando abbiamo detto qui che non siamo rivoluzionari, che non vogliamo iscrivere, in atti legislativi del Consiglio, processi eversivi, ma vogliamo aver chiaro qual è il progetto politico e vogliamo che il progetto politico sia distinto da questi atti che potremmo mettere in campo. Come facciamo ad andare a riscrivere in maniera positiva uno Statuto, come dite voi, se non è chiara l'impostazione e una nuova impostazione culturale del problema che riguarda la nostra sovranità. Il problema, se lo mettiamo nel perimetro autonomista, è il seguente: lo Stato è titolare della sovranità, noi la esercitiamo per delega; da quello che dite, voi non concepite l'autonomia in questi termini, voi ritenete che ci sia una radice dell'autonomia che è di sovranità originaria. Stamattina Soru diceva: "Io voglio un patto 'uno a uno'". Per avere un patto "uno a uno", occorre che ci siano sovranità che si riconoscono. Ma quando Soddu dice: "Più sovranità e meno autonomia", sta dicendo un po' la stessa cosa!
Allora, nessuno sta dicendo di voler fare gli eversori, però stiamo dicendo che, se un Consiglio regionale non decide di liberarsi di padri che non sono padri e non incomincia a riconoscersi come padre di una cosa nuova e non scrive domani o martedì una pagina importante che in futuro possa essere il punto di riferimento delle cose che andiamo a fare nelle leggi, noi non abbiamo il punto di partenza forte con cui sederci con lo Stato. Ciò che vi si sta chiedendo è di ragionare su un'unità, su un progetto politico-culturale che ci consenta di aver la bussola sui percorsi istituzionali. Questo si sta dicendo! Non si sta dicendo di far niente di eversivo, non si vuole compiacere le folle! Si vuole scrivere una pagina decisiva che muti radicalmente rispetto a un autonomismo, badate, che noi non possiamo guardare come un miraggio, qual era quello rappresentato da coloro che citiamo come padri.
Non è vero che queste sono state grandi pagine, non è il momento di analizzarle, ma un giorno ci sarà pure un luogo dove si potrà dire che cosa è stato il nucleo sassarese di partecipazione alla vita democratica della Repubblica e che cosa ha portato per la Sardegna? Ci sarà un luogo dove parlarne? Ci sarà un luogo! Perché si cita sempre quello e non si cita mai l'apporto che è venuto dalle zone interne che ha posto il problema del riequilibrio della ricchezza in Sardegna e non è stato mai posto su? Allora, bisogna non guardare a quei modelli, guardiamo a modelli nuovi. Noi abbiamo detto che l'idea che abbiamo di indipendenza è l'idea della rivendicazione di una sovranità originaria e chiediamo di scrivere questo percorso in un atto separato dagli atti legislativi. Su questo è possibile avere una risposta e un confronto leale?
La posizione che oggi hanno rappresentato sia l'onorevole Sanna che l'onorevole Soru è "l'interdipendenza". Ci stiamo, ma noi non possiamo affermare un'interdipendenza, cioè sovranità distinte che si integrano, se non abbiamo un solido pensiero della nostra libertà e della nostra sovranità. Qua dentro l'ultimo liberale rimasto in Sardegna, che è l'onorevole Vargiu che ogni tanto ci distilla delle vere lezioni di liberalismo, ci ha ricordato nella sua scaletta: "Io sono sardo, sono italiano, sono europeo"; uno dei principi del liberalismo. Il liberalismo che fonda l'Europa nasce per dire allo Stato che il limite del suo potere è la mia libertà e che deve costruire l'organizzazione delle leggi rispettando la mia libertà e che anche il suo potere è sotto l'ordine delle leggi. Quindi ha ricordato qual è l'origine della sovranità, che è la libertà, il patto intorno alla libertà. Lui è l'ultimo liberale rimasto, ma se lo ascoltiamo pone un problema di organizzazione della sovranità, di integrazione che è esattamente, dice, quello "dell'interdipendenza", su cui ci sta benissimo il problema che pone l'onorevole Sanna sul potere livellante ed egemonico della Corte costituzionale.
Però queste cose anziché affidarle a un dibattito che ci facciamo fra di noi, noi stiamo proponendo di scriverle in un documento che sia storico, perché non abbiamo paura di fare la storia, perché qui dentro c'è gente migliore di chi è venuto prima di noi, non fosse altro perché ha mangiato molto meno e ha sprecato molto meno, e non ha voglia di mangiare. Vogliamo scrivere un patto, un progetto politico che segni che cosa facciamo da qui a 5, 10, 15 anni, poi lo facciamo piano piano.
Ora giungo a ciò che è venuto dal mondo invece della cosiddetta maggioranza. Il problema che ha la maggioranza è lo Stato. Quando Pietro Pittalis dice che lo affascina l'idea della Nazione senza Stato, è perché ha la preoccupazione dello Stato! Ha la preoccupazione dello Stato, stessa cosa l'onorevole Lai, poi arrivo a dire due cose in conclusione su ciò che ci ha ricordato l'onorevole Campus. Allora, il problema è: state scardinando lo Stato? No, qui c'è un problema diverso. La Costituzione, di cui parlano i colleghi del centrosinistra, che legittima il potere dello Stato che si sta esercitando, come sta funzionando rispetto alle libertà individuali e collettive di cui parla l'onorevole Vargiu? Sta funzionando correttamente? Mi sono riletto i programmi elettorali di chi si è candidato al premierato, non ce n'è uno che non ponga il problema che l'equilibrio dei poteri non funziona, non ce n'è uno che non dica che i rapporti tra il cittadino e l'amministrazione non funziona, che il cittadino è oppresso dalla burocrazia, che la giustizia non funziona, che c'è metà dell'Italia dove la sicurezza non è garantita!
Allora il problema è: vogliamo cambiare lo Stato oppure no? La Costituzione che lo regola è efficace oppure no? Abbiamo la forza di dire che vogliamo partecipare a un cambiamento? Da dove si parte? Si parte, noi proponiamo, dall'affermazione che lo Stato deve diventare un sistema di sovranità coordinata, che ha responsabilità e doveri. Badate non difendiamo, più di quanto lo difendano altri, il feticcio dell'unità dello Stato che praticamente è per aria, leggiamo ciò che oggi l'ANSA rivela (me lo faceva notare l'onorevole Sanna) della Polverini, sulla Conferenza Stato-Regioni, che dice: "Sul federalismo si sta aprendo un problema Nord-Sud". Certamente! Vi faccio anche altri esempi: quando all'onorevole Soru hanno regalato, fra virgolette, l'articolo 8 e gli hanno imposto il patto di stabilità, dov'era l'unità d'Italia? Per colpa di quell'imposizione del Governo i nostri limiti di spesa sono fermi al 2006! In nome dell'unità economica d'Italia che non esiste! Non esiste l'unità economica d'Italia. L'Istat dice che neanche i beni costano allo stesso modo in tutta l'Italia, calcola la media! Non funziona.
Vogliamo fare un altro esempio? Il fondo di funzionamento ordinario dell'Università è strutturato in maniera tale da togliere non agli atenei meno capaci, noi possiamo avere le università migliori del mondo, ma quando si inserisce un parametro che è quello degli studenti che trovano lavoro nel primo triennio, allora ci tolgono soldi. Sapete quanto è il taglio per il 2011? Ammonta a 1 miliardo e 250 milioni. In Sardegna taglieranno 20 milioni di euro. E' questa l'unità d'Italia che sta funzionando? Noi non siamo per il disordine, mettiamoci d'accordo, noi sappiamo che il potere difende i deboli, quando è ben organizzato, però si può dire solennemente: "Questo potere non funziona"? Se lo si dice, possiamo dire solennemente che ne vogliamo un altro organizzato in sovranità coordinate? Possiamo dire che deve essere distinguibile ciò che finanzia le funzioni dello Stato generale da ciò che finanzia le funzioni che esercito io? Se lo dobbiamo dire bene, vuol dire che io devo essere libero di calibrare il mio fisco.
Sapete che l'Agenzia delle entrate non riesce a calcolare neanche quanto è il gettito fiscale delle imprese individuali del centro Sardegna? Lo sapete? Non ci riesce tanto è piccolo. Noi potremmo fare una grande free tax nella zona centrale rurale della Sardegna che l'Agenzia delle entrate neanche se ne accorge. Sapete cosa fanno poi gli studi di settore? Dicono che il livello lì è lo stesso di Cagliari. Questa è l'Italia! Ce ne vogliamo occupare o tutto va bene? Non abbiate paura di vederci come gente che vuole scardinare lo Stato, lo vogliamo riformare! Ma per stare in questo momento che è drammatico, badate, ve lo dico fuori dai denti, se passano i decreti attuativi che hanno in mente, che sono stati pubblicati, noi andiamo a gambe all'aria! Occorrono posizioni forti, non vi stiamo chiedendo di tradurle in atti di ribellione, ma in atti politici che diano la rotta agli atti possibili. Su questo vi abbiamo chiesto una riflessione.
Poi ciò che ha detto l'onorevole Campus è tutto vero, cioè, come ci presentiamo noi allo Stato dicendo che siamo autosufficienti e abbiamo 2 miliardi e mezzo di disavanzo, non tornano i conti: o mi hai finanziato poco oppure io spendo male. Poniamo seriamente questa questione? La mettiamo dalla prossima finanziaria. Allora stiamo dicendo che, nella prossima finanziaria, non possono continuare a esistere le otto province perché non è possibile che la Germania dica che sono troppi i länder e noi diciamo che otto province vanno bene, non è possibile! Ce la facciamo a dirlo oppure io mi alzo a difendere l'ospedaletto di Macomer e l'onorevole Barracciu si alza a difendere l'ospedaletto di Sorgono? Perché non diciamo che dobbiamo chiudere i piccoli ospedali? Sapete quant'è la spesa sanitaria in Sardegna? Ammonta a 3 miliardi e 7 di cui 2 e 4 o 2 e 5 per la sanità e poi c'è l'assistenza. Non li reggiamo più. Li chiudiamo? Non li chiudiamo definitivamente, li trasformiamo, abbiamo la forza oppure il nostro bacino elettorale ci porta a dire che non si può fare? Lo facciamo?
Mandiamo a "zero" tutte le leggine che non servono a niente in questo momento? Ci possiamo permettere il lusso di dire che non finanziamo in questa fase le squadre sportive professionistiche? Lo facciamo? Io sono pronto, però bisogna essere conseguenti, cioè se vogliamo veramente fare ciò che si dice, siamo disponibili a dire che abbiamo dipendenti regionali che non sappiamo quello che fanno? Siamo disponibili? Siamo disponibili a dire che dobbiamo svecchiare e ne mandiamo un po' con gli incentivi, proteggendo tutto, perché spendiamo troppo in quel settore? Vogliamo chiedere a LAORE perché c'è LAORE che dovrebbe fare l'assistenza tecnica in agricoltura e c'è anche l'ARA che fa l'assistenza tecnica in agricoltura, però l'ARA non può essere assunta in LAORE perché non si sa cosa fanno quelli che lavorano in LAORE? Questi sono milioni, questi sono milioni! Ci vogliamo chiedere che cosa vuol dire che il 34 per cento del bilancio è fatto di spese che compensano le entrate e nessuno capisce di che cosa si tratta e sono miliardi!
Allora, se si vuole aprire la fase della trasparenza, la prossima sessione di bilancio è eccezionale. Facciamolo, facciamolo. Iniziamo da lì a fare le riforme e state tranquilli che recuperiamo veramente molte risorse, ma noi ne siamo capaci, a patto che siamo capaci di rinunciare a ciò che lega il bilancio regionale ai consensi. Nel 2008 sono stati reclutati 850 dirigenti medici, ce li abbiamo sul collo, "Il Sole 24 Ore" ci ha ricordato che sono in eccesso. Che cosa facciamo? Si tratta di 850, non 200, 850 dirigenti medici in eccesso. Che cosa facciamo? Sono questi i temi che riguardano la possibilità di presentarsi con i conti in ordine allo Stato. Ma, fatto tutto questo, badate che funziona sempre meglio un potere che è vicino ai diritti, di un potere che è lontano.
C'è da chiedersi, e lo voglio chiedere a tutti, se stiamo riflettendo sufficientemente su una cosa che lo Stato ci ha imposto, ossia la doppia amministrazione, c'è l'amministrazione regionale e c'è l'amministrazione dello Stato. Quanto costa? Noi siamo per percorsi condivisi, non abbiamo problemi. Nel prossimo Statuto diciamo: "Lo Stato in Sardegna siamo noi, una sola amministrazione, le funzioni dello Stato le esercita la Regione"? Siamo capaci di farlo? Se siamo capaci, facciamo uno Statuto pienamente costituzionale, ma di cui rimane il segno.
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Alessandra Zedda. Ne ha facoltà.
ZEDDA ALESSANDRA (P.d.L.). Presidente, colleghe e colleghi, Assessori, è difficile intervenire dopo questo accorato intervento dell'onorevole Maninchedda, ma io proverò a rubare qualche minuto per dare il mio contributo in questa importante sessione straordinaria. Abbiamo la grande opportunità di occuparci di riforme fondamentali per la nostra Regione. Dopo sessant'anni emerge la consapevolezza che la vecchia autonomia, scaturita con legge costituzionale, è ormai superata. Sono convinta che il processo di riforma debba partire e finire con il ruolo principale del Consiglio regionale. Mi piace pensare tuttavia che il nuovo Statuto, in particolare, debba essere opera di tutti i sardi. Come fare? Credo che la Commissione autonomia, integrata con le più qualificate espressioni del mondo della cultura, dell'università, del sociale, del campo scientifico, dei sindacati e delle imprese, dell'associazionismo, sia l'organismo deputato a porre in essere i lavori preparatori che dovranno poi essere approvati dal Consiglio regionale.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CUCCA
(Segue ZEDDA ALESSANDRA.) In questo organismo, un ruolo primario deve essere riconosciuto ai rappresentanti degli enti locali, amministratori pubblici che, come noi, vivono quotidianamente le discrasie del patto di stabilità e le grosse responsabilità nella gestione della cosa pubblica. E' importante che lo Statuto sardo ribadisca la centralità dell'amministrazione locale. Riaffermo, come già hanno espresso moltissimi colleghi anche oggi, la necessità di ricomporre un fronte autonomistico compatto per essere più credibili nei confronti del Parlamento nazionale, ma soprattutto per parlare con l'intero popolo sardo un'unica lingua, chiara, concreta e comprensibile a tutti. In questi giorni, come anche il collega Campus ha sottolineato nel suo intervento, forse anche a causa della non adeguata attenzione da parte dei media, i sardi si interrogano su che cosa stiamo discutendo e che cosa vogliamo portare avanti.
E' necessario essere chiari, tempestivi e soprattutto, considerato che il processo di riforme è ormai partito con la nostra sessione straordinaria, dobbiamo essere concludenti e determinati. L'auspicio è di andare al di là delle logiche di schieramento così come delle stesse posizioni personali e di ogni singolo partito. La nostra forza, colleghi, risiede nell'unità e nella riforma dell'istituto autonomistico, si può e si deve realizzare con il contributo di tutti. A questo proposito voglio dire, in particolare al collega Capelli, che stasera non vedo, e anche agli amici Riformatori, che l'assemblea costituente esprime di certo il massimo coinvolgimento del popolo sardo ma, anche come lo stesso Capelli ha sostenuto, è la strada più impervia, più difficile, per il raggiungimento del risultato che noi tutti auspichiamo.
La Sardegna non ha più tempo, è necessario che, prima di chiunque altro, questo Consiglio regionale porti a compimento il progetto di riforma entro un tempo relativamente breve. Il processo di riforma, che è stato avviato a livello nazionale, vede nel maggio 2011 una tappa forzata, ci impone con assoluta rigorosità il raggiungimento di un obbligato risultato. E' una sfida affascinante che, come ho detto, prevede una sola strada senza limiti di velocità da percorrere spediti. Penso che un termine di sei mesi, che poi, come qualche collega ha detto, può essere più o meno inferiore, mi sembra il più consono per la definizione del processo di riforma che sicuramente deve prevedere la modifica dello Statuto sardo e l'approvazione della legge statutaria in primis, di seguito poi si interverrà anche con un'altra modifica necessaria che è la legge di organizzazione della macchina regionale. Stiamo attraversando un periodo di crisi come mai verificatasi nella storia dell'autonomia, è necessario programmare e pianificare e non solo affrontare le emergenze seppur impellenti e degne di risoluzione.
Colleghi e Assessori, è giunto il momento di invertire la rotta in modo deciso, occorre avere il coraggio, la capacità, di incidere a tutti i livelli per uscire dalla crisi e credo che in questo senso il progetto di riforma appaia quanto mai necessario. Il dibattito, che si sta svolgendo in questi giorni, è ricco di interventi puntuali, articolati e di profondo interesse e valenza e ha annoverato tanti termini e parole per definire i concetti di autonomia, indipendenza e sovranità.
Personalmente mi piace considerare l'indipendentismo come sovranità della Sardegna, l'esaltazione del concetto di "nazione", in particolare credo però che due elementi siano fondamentali e debbano essere la stella polare che ci deve accompagnare in questo processo di riforma: l'esaltazione della nostra specialità e, ahimè, lo stato di sottosviluppo della nostra terra. Sicuramente con la massima attenzione verso questi due fattori verrà più facile parlare e valutare i contenuti della fiscalità di vantaggio, i costi standard, parlare di autodeterminazione della nostra identità e, in buona sostanza, essere protagonisti nel progetto complessivo di riforma che sta avvenendo in tutto il Paese. La nuova autonomia dunque deve trattare della soggettività del popolo sardo e del riconoscimento della sua identità-diversità, in Italia e in Europa, di un federalismo cooperativo e solidale interno all'isola, di un nuovo rapporto con l'Italia e con l'Europa ma anche della necessaria coesione sociale ed economica, della tutela della biodiversità, della democrazia economica, dell'acquisizione delle risorse finanziarie quanto mai necessarie per garantire le basi materiali dell'autonomia, dell'autogoverno e del principio di sussidiarietà.
Per inciso, anche la rinegoziazione dell'Intesa istituzionale di programma, se non vorrà essere acquisita a livello di saldi, deve essere accompagnata da un percorso di condivisione e da una sensibilità totalmente diversa da ciò che si è visto fino a oggi. E' indispensabile l'unità, occorrono contenuti chiari con obiettivi ben definiti, capaci di annullare anche quel deficit di forza politica che accompagna da anni lo scarso peso numerico elettorale che, nel Parlamento italiano, la Sardegna ha rispetto alle altre Regioni. E' indubbio che il confronto, anche duro e forte, qualora fosse necessario, con lo Stato italiano deve esistere. In questo periodo storico così difficile è necessario però dialogare col Governo centrale, certamente avendo sempre come cartina di tornasole lo sviluppo della nostra Isola e soprattutto il benessere dei sardi. Ciò anche al fine di un confronto feroce, atto a far capire a tutti che non si tratta solo di mere rivendicazioni.
Il nuovo Statuto, per ora non voglio entrare nel merito dei suoi contenuti, anche perché avremo modo di parlarne nel corso di questo processo, deve nascere senza debolezze politiche e istituzionali, ha necessità di idee chiare, di obiettivi praticabili con una grande unità e partecipazione di tutte le rappresentanze politiche, sociali e istituzionali. Sottolineo il fatto che lo Statuto è un atto che vede la partecipazione dello Stato ma deve essere l'esaltazione dell'iniziativa regionale, della nostra specialità, della nostra diversità e soprattutto dello stato di sviluppo della Sardegna. Potremmo ritrovare l'unità, la fiducia e il fervore patriottico dei nostri avi con un'azione illuminata che sia volta però a promuovere la rinascita dell'isola in un'Italia libera e rinnovata.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Christian Solinas. Ne ha facoltà.
SOLINAS CHRISTIAN (P.S.d'Az.). Presidente, signor Assessore, onorevoli colleghe e colleghi, esiste un momento nel percorso esistenziale di un popolo e di una nazione in cui la storia cessa di essere narrazione per divenire azione. Un tempo in cui la storia ci chiama a una scelta impegnativa e responsabile tra chi la subisce e chi, pur nell'umile consapevolezza dei propri limiti, la fa e la scrive. Noi sardisti la nostra scelta l'abbiamo fatta da tempo, fin da quel lontano aprile 1921 quando a Oristano nacque ufficialmente il partito e prima ancora come sardi combattenti che assumevano consapevolezza di sé, delle proprie radici, della propria lingua e della propria terra nelle trincee del Carso, del monte Sabotino, del monte Zebio, dell'altipiano di Asiago. Noi siamo gli eredi del combattentismo reduce della prima grande guerra, la nostra bandiera è listata a lutto perché su di essa e con essa migliaia di giovani inconsapevoli hanno perso la propria vita per soddisfare la causa savoiarda dell'unità geografica della penisola italiana. E' proprio per questo, per il sangue che è costato alla Sardegna questa utopia, che noi, prima e più di tutti, non proviamo vergogna e abbiamo buon diritto di riportare finalmente in quest'aula, nella massima Assemblea rappresentativa del popolo sardo, questa parola sopita per secoli nelle coscienze ma che riprende quotidianamente, ineludibilmente, vigore tra la gente, i giovani, gli intellettuali e finanche alcuni economisti: "indipendenza".
Di questo crescente sentimento popolare vogliamo essere interpreti fieri e autentici, senza infingimenti e senza le infinite aggettivazioni della politica politicante. Aggettivazioni che sterilizzano i concetti, i sentimenti, anche i sogni, li rendono tendenziali, fino a diluirli in un linguaggio incomprensibile e senza prospettiva. Sia chiaro, noi non siamo per il regionalismo, non siamo per il decentramento, non siamo per l'autonomia, né speciale né al limite; noi non siamo per nessuna sua declinazione delle infinite possibili: fiscale, solidale, perequativa, regionale. Non ci interessa la retorica del nominalismo che affascina con termini roboanti, per i quali però non c'è riscontro sul piano della concretezza. Noi ci proponiamo, attraverso l'azione politica, di affermare la sovranità del Popolo sardo sul proprio territorio e di condurre la Sardegna all'indipendenza.
Accolgo l'appassionato intervento di ieri del collega Vargiu perché questa sessione dei lavori consiliari non sia un'occasione mancata, nonostante l'Aula si trascini, Presidente, un po' distratta, e manchi forse la dovuta attenzione da parte dell'opinione pubblica su queste giornate e, ahimè, devo notare, non solo di quelle. Il rischio concreto è che la vastità degli argomenti, ben dieci mozioni e una risoluzione, esaltando la diversificata gamma di sensibilità all'interno dell'Aula, conduca infine a una discussione esteticamente gradevole, dotta, ma generale e, per via dei tempi contingentati, necessariamente generica. Consapevole di ciò, cercherò di tenere come filo conduttore la nostra mozione sull'indipendenza della Sardegna, sul perché crediamo che sia giunta l'ora di segnare l'avvio della chiusura della "questione nazionale sarda", dopo 163 anni da quella, più volte richiamata da diversi colleghi, fusione perfetta con gli ordinamenti di terraferma, con le istituzionie le leggi dei duchi di Savoia, che solo una parte della classe dirigente sarda, non il Popolo sardo, petì querula a Carlo Alberto sancendo la fine delle secolari prerogative e dei diritti di autogoverno dell'isola. "Errammo, errammo tutti", ebbe a dire solo qualche anno dopo Giovanni Siotto Pintor, autorevolissimo fusionista che campeggia ancora sulla toponomastica di alcune nostre strade.
Ma questa non è certo la sede per una seppure interessante indagine storica sulle ragioni dell'indipendenza, io credo che si debba invece partire da due interrogativi di fondo e da una premessa, che rendono giustizia in merito alla proposta politica. Il termine "indipendenza" non può essere uno slogan, ma va sostanziato di contenuti, di significati chiari e apprezzabili anche in termini normativi. Per noi ha una dimensione anche culturale e sociale, prima che politica ed economica. Ma torniamo ai due interrogativi che ci pare spieghino meglio il senso dalla nostra mozione: "perché" l'indipendenza e "come", secondo quale percorso. Sarebbe fin troppo facile liquidare il primo interrogativo con una risposta ricca di idealità e mutuata dalle parole di Antonio Simon Mossa, perché "quando un popolo non ha i poteri di autogovernarsi e decidere il suo avvenire, esso perde non soltanto la libertà collettiva e comunitaria, ma anche quella individuale".
Invero però oggi la risposta è tragicamente più stringente e, direi, incombente. Noi non possiamo più preoccuparci di sapere se l'indipendenza come soluzione della questione nazionale sarda si debba o non si debba realizzare, se cioè sia giusta, bella, buona o magari graduale o progressiva, noi pensiamo soltanto che oggi sia inevitabile, nel senso che chiunque voglia governare i processi economici, politici e sociali, in corso in Italia e nel mondo, in questo tempo, non potrà farlo seriamente senza riconoscere che, nello scorcio del XXI secolo in cui stiamo vivendo, sia arrivata a conclusione un'intera fase della storia dello Stato moderno, si è esaurito il tempo in cui questo organismo ha dominato tutte le forme associative minori, con la staticità, l'immobilità quasi sacrale della sua imponente presenza e l'unitarietà delle sue istituzioni.
Punto di riferimento fermo e incrollabile per ogni azione volta a negare e distruggere qualsiasi disprezzato particolarismo, esso ha tenuto a battesimo una grandissima civiltà, la civiltà moderna, ma oggi, proprio e in primo luogo per le sue grandi dimensioni e per la sua vocazione all'unità, lo Stato moderno non è più in grado di soddisfare, rendendole prima uniformi, le sempre più diversificate esigenze dei cittadini. Esigenze che, sospinte dall'incoercibile capacità inventiva delle nuove tecniche produttive, si moltiplicano e si specificano senza posa a tutti i livelli, sfuggendo a ogni pretesa, appunto, di uniformità, e possono venire fronteggiate soltanto da strutture politico-amministrative incomparabilmente più articolate e diversificate di quelle tradizionali. Ciò che sta andando in crisi è la nozione dell'unità dei grandi aggregati politici.
In secondo luogo, e ancora più in profondità, tende ormai a essere contestata la staticità, l'immutabilità della struttura "Stato". Ciò che qui va in crisi è l'idea che i cittadini debbano essere inquadrati, una volta per tutte, in un determinato - e soprattutto uniforme - contesto istituzionale. Ciascun cittadino, vedendo accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato, è infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della burocrazia pubblica, che già oggi è avvertita come inadeguata a soddisfare i suoi standard di vita. L'elevata produttività dei paesi emergenti e la vittoria definitiva dell'economia di mercato su quella pubblica sta portando a nuove forme di aggregazione politica, al cui interno i cittadini saranno destinati a contare in misura maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in cui si trovano inseriti.
Gli stati democratici, come li abbiamo conosciuti, ancora fondati su istituti rappresentativi risalenti all''800, non riusciranno più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica di questo secolo. Fin dal crollo di Berlino e con la fine della guerra fredda, si sono create le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei cittadini. La fine degli Stati moderni porterà verosimilmente alla costituzione di comunità neofederali, dominate non più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi. Fuori da quest'Aula la società fluente - come è stata felicemente definita - corre, mentre qui mi è parso di cogliere alcune posizioni di rassegnata retroguardia, di impaurita difesa di un ordine che non esiste più nei fatti, dello status quo tipico delle aristocrazie decadenti.
La nave affonda e l'orchestrina continua a suonare. Viviamo una congiuntura dove la scienza muta di continuo l'esistenza, l'iPad, che molti anche oggi hanno con sé in quest'Aula, estende le facoltà mentali e riproduce in un istante gli esiti di processi secolari. Oggi una Corporation come Microsoft o come Google ha un valore strategico e conta nel mondo come o forse più di uno Stato del G8. E' cambiata e continua a cambiare la geografia economica e politica del pianeta. Centocinquanta anni di esperienza unitaria sono un tempo minimo, un tempo non sviluppato sull'asse dei secoli della storia. Se cambia la geografia, la politica non può restare uguale. Di fatto è già cambiato il rapporto tra rappresentanza e potere. Dinanzi a questo contesto sarebbe davvero miope, colleghi, avvitarci in sterili conflittualità e distinguo che si fondano su categorie storiche superate e fuori dal tempo. Come classe dirigente abbiamo l'obbligo della lungimiranza e in essa di ripensare e riscrivere il contratto sociale che unisce il nostro popolo e con esso il rapporto con il resto dell'Europa e il ruolo che vorremmo avere nel mondo. Per fare questo, occorrono sobrietà e chiarezza, di pensiero e di linguaggio. Onorevole Sabatini, questo dibattito è utile, anche se le tribune del Consiglio sono desolatamente vuote, ed è vero, si riempiono più facilmente quelle degli stadi e dei concerti, ma è così da secoli: panem et circenses. Nei tempi di crisi la gente rifugge anche dalla realtà.
Occorre anche il coraggio, onorevole Cucca, pur nelle comprensibili ansietà che questo può destare in alcune coscienze, di ridiscutere i miti, di rileggere i momenti della storia con la lente della razionalità, piuttosto che del sentimento e della propaganda. E' la realtà dei nostri giorni che ci richiama alla necessità di ridisegnare le nostre istituzioni, al di là delle pur consistenti considerazioni di ordine storico, geografico, sociale ed etno-culturale che ci spingono oramai da secoli a sostenere la causa della nostra Nazione senza Stato. Non credo, onorevole Campus, che sia un esercizio sterile e privo di utilità con riguardo a tutti quei provvedimenti che lei citava e che comunque dovremo adottare. Non credo che non abbia riscontro nei pensieri della società sarda. Invero, onorevole Cherchi, non ritengo che la nostra condizione sia inquadrabile nella questione meridionale, la nostra storia non è la storia del Mezzogiorno di terraferma, né della Sicilia, seppure anche queste realtà abbiano buone ragioni di lamentare i danni dell'unità, o meglio della "piemontesizzazione" della penisola.
Sul punto dobbiamo, credo, un tributo di chiarezza e verità storica che ci accomuna. Scientemente, l'annessione dei territori peninsulari al Regno ha rappresentato allora per Cavour soltanto l'opportunità di uno sfruttamento massiccio delle risorse per il potenziamento economico, commerciale e industriale del solo Settentrione. E' emblematico citare il caso della Ansaldo, nata per l'intervento diretto dell'allora ministro Cavour, che affidò a un gruppo di cortigiani torinesi le strutture della fallimentare azienda meccanica Taylor & Prandi. Mentre prima dell'unità questa società arrancava nella competizione con le fiorenti industrie meridionali (basti pensare che rappresentava, in termini di dimensioni, fatturato e occupazione, meno della metà del "Real Opificio Borbonico di Pietrarsa"), già nel 1862 proprio Cavour, a un anno dall'Unità, agli albori dell'Italia del favore e delle cortesie, delle consorterie e dei gruppi di pressione, che nascono guarda caso al Nord, avviò un piano di progressivo smantellamento delle più grandi officine siderurgiche del Mezzogiorno che determinò una crescita smisurata e artificiosa della Ansaldo, alla quale furono indirizzate, non solo tutte le commesse statali per la realizzazione di locomotive, materiale ferroviario, bellico e navale ma anche tutte le commesse degli opifici meridionali che venivano smantellati.
E la Sardegna? Lasciatemelo dire con le parole di Giuseppe Mazzini (che non credo nessuno possa tacciare di separatismo): "la povera, la buona, la leale Sardegna, che pure è la culla d'Italia, i Re l'hanno sempre tradita e non risorgerà se non sotto una bandiera di popolo". E' vero, questa nostra terra è stata appaltata a terzi, sfruttata nelle sue risorse, umiliata nella propria lingua, nella propria cultura e nelle proprie tradizioni. Eppure, fiera, sopravvive per riscrivere oggi la propria storia. Oggi parliamo di indipendenza, che nessuno può confondere con separatismo, secessionismo o autarchia e che noi intendiamo come migliore integrazione. E parliamo di indipendenza per negare, per condannare il suo contrario che ben conosciamo: la dipendenza.
Noi abbiamo proposto l'idea di una marcia pacifica del Popolo sardo per l'indipendenza, per coinvolgere le coscienze e l'opinione pubblica, per far comprendere allo Stato che è cessato il tempo degli indugi. Bene, credo che questa marcia potrebbe avere come simboli i luoghi dalla dipendenza, a cominciare dalla speculazione nei boschi quando migliaia di ettari sono stati concessi agli amici liguri e piemontesi, che hanno disboscato un quarto della superficie dell'Isola per produrre rovere per le traverse di ferrovia e carbone per alimentare l'industria della Francia alleata di Cavour; o i giacimenti minerari, anch'essi concessi agli amici d'oltremare, sfruttati e, dopo essersi esauriti, comprati a spese dello Stato con i fondi per lo sviluppo. E poi la chimica, l'idea della chimica nell'Isola era stata concepita sull'onda del Piano di rinascita, già nel 1960 l'ingegner Rovelli circolava a Cagliari nei vecchi uffici del Credito industriale in cerca di udienza per farsi finanziare i progetti. Dopo un po' di anticamera trovò il canale giusto per farsi finanziare il piano per Porto Torres con un espediente: i finanziamenti erano stati previsti per le piccole e medie imprese con un massimo di 6 miliardi di lire, non bastava e la Sir ripartì l'intero investimento del ciclo produttivo in una miriade di società. Mentre al CIS andavano avanti le pratiche di Sir e Rumianca con il tramite della Cassa per il Mezzogiorno e la Bei, il modello per il quale si optò fu quello dell'industria pesante. La Sir comprò la Rumianca di Renato Gualino, a Villacidro la Snia Viscosa rilevò una fabbrica di fibre, a Sarroch spuntò la raffineria. Nella chimica, il giro del tavolo portò i manager ad amministrare prima aziende pubbliche e poi private.
E' sempre la solita beffa! Apparentemente i soldi vengono stanziati per la Sardegna, nella realtà questo denaro serve a finanziare le speculazioni di gruppi imprenditoriali che non hanno lasciato ricchezza nell'Isola ma disagio, inquinamento e, tutt'al più, un po' di Cassa Integrazione. Noi crediamo sia giunto il tempo di dire basta a tutto ciò! Sulla partita degli interessi vitali della Sardegna, dalle risorse all'ambiente, vogliamo essere sovrani. La via maestra è per noi l'indipendenza in una nuova architettura costituzionale ed europea federale. Di fatto la stessa Unione europea è già su una frontiera avanzata con la definizione delle macro regioni che, partendo sul quadrante Baltico, si propongono con forza anche nel Mediterraneo e inevitabilmente disarticoleranno gli Stati nazionali, per come li conosciamo ora, per riaggregarli sotto nuove forme. Di fatto, il pensiero federalista, sconfitto nel XIX secolo, non sul piano delle idee e del consenso ma da trame diplomatiche e dalla forza militare, non si è mai spento come ipotesi politica alternativa di autogoverno. Oggi il federalismo non è più solo argomento di dotti o accademici ma è divenuto bandiera di lotta cosciente di forti masse, proposta di rinnovamento, di progresso democratico.
Questa sfida non può essere limitata a una sfida di Governo ma Governo e popolo devono marciare uniti. Per noi, l'unica via perché questo avvenga è l'Assemblea costituente. Non inganniamoci, i tempi ci sono, abbiamo fatto leggi in un giorno in questa legislatura, approvare una legge per l'elezione dell'Assemblea costituente necessita, al più, di qualche settimana. Il procedimento elettorale può chiudersi in novanta giorni e se dessimo 6 o 8 mesi all'Assemblea costituente per elaborare la bozza di Statuto-Costituzione, tra un anno esatto questa potrebbe essere in quest'Aula per ricevere la sanzione ufficiale per avviare il procedimento costituzionale di approvazione parlamentare. E' un fatto di volontà politica! Occorre confrontarsi e dal confronto, come ha già anticipato il collega Maninchedda, siamo pronti ad accettare altre e migliori soluzioni che riescano a garantire la partecipazione popolare al processo.
Alle solite Cassandre dell'impossibile, alle Cassandre del "non si può", consentitemi di riservare pochi istanti per concludere con le parole di una famosa opera di Pablo Neruda: "Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,… lentamente muore… chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,… lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce…". Grazie.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Lotto. Ne ha facoltà.
LOTTO (P.D.). Signor Presidente, signori Assessori, signora Assessora, colleghi consiglieri, esprimerò pochissime considerazioni su un grande tema su cui tutti siamo chiamati a misurarci in queste tre giornate. Sono trascorsi 15 mesi dalla data in cui veniva presentata la mozione numero 6, è stata la prima che ha messo all'attenzione del Consiglio regionale un tema di così ampia portata. Era il 21 maggio, poi sono arrivate altre iniziative, fino a quelle presentate nel corrente mese. In questo periodo di oltre un anno tutte le forze politiche si sono orientate a considerare quello delle riforme un nodo ineludibile per questa XIV legislatura. Un'esigenza antica quella delle riforme e della rivisitazione dei rapporti tra la Sardegna e il Governo, tra il popolo sardo e il Governo nazionale. Sono passati 60 anni da quel lontano 1948 e come la Costituzione, pur validissima e fondamentale sull'impianto generale, ha avuto momenti di adeguamento, così anche allo Statuto della nostra autonomia serve un'opera per ridefinirne i confini e per ridefinire con esso il patto costituzionale con lo Stato centrale.
Più di uno ha richiamato gli svariati tentativi che, negli anni, in più legislature, sono stati fatti per costruire un percorso, per ricostruire un nuovo edificio costituzionale. Per un motivo o per un altro, nessuno è andato in porto. Che cosa è mancato? Qual è la causa? Gli insuccessi si sono ripetuti nel tempo, forse lo strumento adottato, le commissioni speciali, a cui ha fatto riferimento il presidente Felice Contu, o forse più propriamente è mancata la volontà, la forza politica e la convinzione di tutte le forze politiche interessate sulla opportunità di cimentarsi in un processo di grande rilevanza ma anche molto impegnativo. Si è scelto di lasciare cadere e di non andare avanti. Dicevo, si è scelto allora, oggi però non abbiamo più l'opportunità di scegliere, infatti, con la tabella di marcia data dal Parlamento nazionale con la legge delega numero 42 del 2009 sul federalismo fiscale, questo Consiglio ha l'obbligo di cimentarsi su questi temi, sempre evocati ma mai affrontati veramente.
Il nuovo quadro che si è delineato sul federalismo fiscale e le imminenti scadenze del 2011 ci impongono di non sottovalutare e di non ignorare che siamo comunque a un passaggio epocale per i futuri rapporti tra la Sardegna e lo Stato centrale. Infatti, anche se noi dovessimo stare fermi, le situazioni comunque evolveranno e, se noi non ci saremo, la direzione di questa evoluzione la decideranno altri e non certo nell'interesse del popolo sardo che noi ambiamo rappresentare. Facciamo quindi di necessità virtù e affrontiamo questo compito scegliendo innanzitutto il percorso più idoneo a raggiungere il miglior risultato: un ordine del giorno voto, unitario, di cui si fa cenno nella mozione numero 87, presentata dal Capogruppo Bruno, un ordine del giorno comunque che coinvolga tutto questo Consiglio e che dia avvio al percorso; un mandato alla prima Commissione, rafforzata per quanto più è possibile con i necessari supporti tecnici, affinché, attraverso un largo coinvolgimento della più ampia rappresentanza del popolo sardo, predisponga un nuovo Statuto nell'arco dei prossimi quattro mesi e non di più.
La proposta dell'Assemblea costituente, pur affascinante, non si concilia con le scadenze che comunque incombono e a questa Assemblea elettiva resta pertanto l'obbligo di farsi carico del momento storico in cui è chiamata a operare. Certo, la situazione è paradossale e controversa: a fronte di un'Assemblea che fino a oggi ha prodotto quasi esclusivamente le leggi finanziarie, e quindi protagonista di un'azione debole e non adeguata ai gravissimi problemi che affliggono la Sardegna e il popolo sardo, a fronte di una Giunta il cui Presidente e la cui maggioranza si apprestano a cambiare e non senza motivo, a fronte di un confronto in atto con lo Stato che ha visto la bilancia dei risultati pendere paurosamente sempre da una parte sola, quella dello Stato centrale, a fronte di tutto ciò, è paradossale che questo Consiglio e questo Presidente siano chiamati a un compito apparentemente più grande di loro.
Qual è il percorso per non registrare l'ennesimo fallimento che questa volta noi non ci possiamo permettere? Serve, a mio modesto parere, un percorso interno a questa Assemblea, il lavoro della Commissione autonomia di cui ho già detto, e un percorso esterno a questo palazzo, con il coinvolgimento della società sarda nel suo complesso, il sindacato, il mondo dell'impresa, della cultura, della scuola e dell'università, il sistema delle autonomie locali, il coinvolgimento cioè del popolo sardo in tutte le sue espressioni. Un popolo sardo oggi deluso e disincantato, preoccupato per una crisi economica senza precedenti, un popolo sardo forse poco propenso a lasciarsi coinvolgere in grandi battaglie ideali, un popolo sardo del cui consenso e della cui mobilitazione abbiamo però assoluta necessità per dare forza e credibilità alla nostra azione nel confronto, che potrà anche essere scontro, col Governo centrale e con chi, nel Governo centrale, ha ispirato e costruito un'idea di Stato federale che guarda principalmente agli interessi di quelle Regioni più ricche, che già hanno avuto più di tutte e ancor di più pretendono di avere con i nuovi assetti che si vogliono costruire.
Ma il popolo sardo non si mobiliterà, non mostrerà interesse verso l'operato di questa Assemblea se in quest'Aula non prenderà forma una proposta unitaria, se cioè non sapremo trasmettere fuori da questo Consiglio il necessario messaggio unitario che, indicando obiettivi alti, consenta e favorisca l'opera di portare alla luce quello spirito dei sardi oggi sopito di cui parlava questa mattina il presidente Soru, se non sapremo infondere nei nostri conterranei la convinzione e la fiducia nelle proprie capacità, nei propri mezzi, nell'attitudine a determinare meglio di altri il proprio destino e la consapevolezza dei propri limiti ma anche delle grandi qualità di cui questo popolo può disporre. Tutto questo non sarà possibile se non avremo la capacità di tenere ben distinti i due livelli di confronto politico: le riforme e la costruzione di un nuovo assetto istituzionale e di un nuovo patto con il Governo centrale da una parte, il confronto e lo scontro sul Governo della Regione dall'altra.
I due livelli, i due piani vanno tenuti assolutamente distinti e a nessuno dovrà essere consentita la reciproca strumentalità delle posizioni tra i due piani. Né alla maggioranza ma neanche all'opposizione dovrà essere possibile sfuggire all'obbligo di lavorare per costruire una nuova proposta di assetto istituzionale il cui tratto caratterizzante sia l'interesse del popolo sardo e nuove frontiere della propria autodeterminazione in un nuovo rapporto con il Governo centrale. Io non so se questo Consiglio regionale e questa Giunta sapranno dare risposte adeguate ai gravissimi problemi dell'Isola (scuola, industria, lavoro, agricoltura e sanità), tutti ne hanno parlato e non li voglio riprendere, anzi, se guardo a quanto si è fatto fino a oggi, non posso che essere molto pessimista, così come sono convinto che non ci sono purtroppo le condizioni per risolvere, nell'immediato e a nostro favore, le numerose vertenze in atto tra il Governo regionale e il Governo centrale.
Una maggioranza tanto forte numericamente esprime un governo politicamente troppo debole che credo lascerà molte questioni ancora aperte ad altri che dovranno affrontarle e risolverle. Quello che però appare impossibile, sul fronte dell'azione quotidiana di governo dell'attuale Giunta, potrebbe rivelarsi possibile sul fronte dell'azione riformatrice istituzionale dell'intero Consiglio; mentre sul primo piano, il Governo locale, l'azione del centrosinistra sarà di severa, ferma, forte e intransigente opposizione, e non può essere altrimenti se si vorrà partecipare con credibilità al processo riformatore, su quest'ultimo parimenti ci sarà, ne sono certo, una partecipazione convinta.
Quello che stiamo intraprendendo è un sentiero molto stretto, dove tutti siamo chiamati a muoverci con impegno e responsabilità; serviranno grande lungimiranza e grande idealità per individuare nuove prospettive e nuovi rapporti con uno Stato che molto ha preso, a cui molto abbiamo dato e da cui molto dobbiamo avere. Servirà grande intelligenza per individuare un sogno da realizzare e servirà anche grande realismo per evitare che i sogni che costruiamo siano destinati a rimanere tali. Certo è importante che si sia tutti consapevoli che bisogna evitare di inseguire l'impossibile e lasciarsi sfuggire il possibile, ma non possiamo neanche pensare però che l'unico possibile sia l'esistente. I concetti di interdipendenza, di parità e altri, così come declinati in quest'Aula da diversi colleghi, sono termini attorno ai quali dovranno costruirsi i nuovi documenti costituzionali che siamo chiamati a offrire al popolo sardo nei prossimi mesi.
Certo, mi avvio a concludere, i nostri limiti, i limiti della nostra capacità di governo (che oggi appare ancora più evidente che in passato), non dovranno essere di ostacolo e nessuno dovrà invocarli contro nuove prospettive per conseguire risultati più ambiziosi sul fronte delle riforme. Della nostra capacità di governo non è al Governo centrale, e tanto meno ai governanti della "Padania", che dovremo rendere conto, bensì al nostro popolo, perché esso e solo esso ha diritto di chiederci, ed eventualmente farci pagare, il conto.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LOMBARDO
PRESIDENTE. Comunico che la consigliera De Francisci è rientrata dal congedo.
E' iscritto a parlare il consigliere Peru. Ne ha facoltà.
PERU (P.d.L.). Signor Presidente, Assessore, colleghi, quello che stiamo affrontando in questi giorni è l'inizio di un percorso che segna un punto di svolta all'interno di questa legislatura. La riforma dello Statuto può risolversi in due soli modi: marcando un punto indelebile nella storia della Regione Autonoma della Sardegna e più in generale dell'Isola, oppure con un fallimento, l'ennesimo, che, per le condizioni in cui versa oggi la nostra terra e per il contesto politico istituzionale in cui ci troviamo ad agire, è assai più grave di quelli che lo hanno preceduto. Talvolta in passato si è parlato di legislatura costituente in termini piuttosto velleitari.
Cari colleghi, le riforme istituzionali e la riforma statutaria sono inserite d'obbligo nei programmi di governo di tutti gli schieramenti da almeno due decenni a questa parte, più per elevare il tono della proposta politica che per una reale volontà di portare avanti dei contenuti ben definiti su come strutturare la Regione, rapportarsi con lo Stato centrale e su che cosa scrivere nel nuovo Statuto di autonomia. Oggi la situazione è ben diversa, non tanto per un'improvvisa e generalizzata ispirazione riformatrice che avrebbe colto l'intera classe politica isolana, ma per una più prosaica condizione di necessità che ci impedisce di procrastinare ulteriormente il momento in cui dovremo affrontare le questioni che finora sono state relegate sotto il tappeto.
A rendere non più rinviabile l'avvio della riforma statutaria sono due elementi esterni che hanno messo alla luce quanto l'attuale forma istituzionale della Regione e l'articolazione dei suoi rapporti con lo Stato siano inadeguati ad affrontare i problemi contingenti e strutturali dell'isola. Il primo è la crisi economica che ha colpito tutti i Paesi industrializzati, seppure con differenti livelli di gravità. In Sardegna, purtroppo, la crisi si è abbattuta in modo ben più grave che altrove perché ha trovato terreno fertile nell'atavico deficit infrastrutturale che contraddistingue il nostro sistema economico e che finora lo ha tenuto inchiodato a un sottodimensionamento che non gli consente di essere competitivo sui mercati nazionali e internazionali. Il secondo elemento, che ci obbliga ad accelerare la riforma statutaria, è la riforma federale dello Stato che ha preso il via con l'introduzione del federalismo fiscale.
La riforma federale comporterà l'assunzione di crescenti responsabilità da parte delle Regioni che, per potervi far fronte, dovranno dotarsi di strumenti nuovi che consentano da un lato una corretta definizione dei rapporti finanziari con lo Stato centrale, pena il rischio di ritrovarsi senza i mezzi materiali necessari per ricoprire le nuove funzioni attribuite alle Regioni, e dall'altro una maggiore capacità decisionale che consenta di sfruttare pienamente le opportunità che il nuovo ordinamento porta con sé. Lo hanno capito per prime le Regioni a Statuto ordinario che, arrivando addirittura ad anticipare l'arrivo del federalismo, già dall'entrata in vigore della riforma Bassanini, hanno cominciato a dotarsi di statuti sempre più moderni e autonomistici giungendo di fatto a superare il grado di autonomia e di potere decisionale delle Regioni a statuto speciale. In questo contesto, la Sardegna è rimasta indietro e si trova oggi al punto di doversi mettere al passo con i tempi e anche in fretta se non vuole essere travolta da una riforma federalista che invece, se saputa affrontare nel modo giusto, può aprire all'isola nuove possibilità di sviluppo.
Agli amici Sardisti va riconosciuto il merito, con la loro mozione sull'indipendenza della Sardegna e la tenacia con cui hanno perorato la convocazione di una sessione consiliare straordinaria da dedicare al tema della riforma statutaria, di aver portato alla luce una necessità che non poteva assolutamente aspettare un'altra legislatura prima di essere affrontata. Ciò detto bisogna cominciare a definire i principi che stanno alla base del nuovo modello statutario che vogliamo darci. Il Popolo della libertà non è favorevole all'idea di una Sardegna indipendente dallo Stato italiano, laddove per indipendenza si intende la costituzione di uno Stato a sé, distinto e separato da quello italiano.
Le ragioni sono molteplici e vanno da quella di natura storica fino all'inevitabile opposizione che una simile proposta incontrerebbe a Roma e che finirebbe per affossare sul nascere il tentativo di riforma, come già è accaduto quando si è prospettata l'istituzione di un'Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto. Il problema è forse di natura squisitamente lessicale perché la parola "indipendenza" è destinata a innescare un conflitto insanabile con le istituzioni statali trasformando in controparte un interlocutore con cui invece dobbiamo per forza trovare un terreno di confronto e di intesa, perché nessuna riforma statutaria è possibile senza l'approvazione del Parlamento. Allora penso sia il caso di domandarsi se è proprio necessario discutere di indipendenza e se è necessario fissarsi su una questione di principio, su una singola parola dalla forte valenza simbolica, anziché discutere di contenuti, di quali poteri e di quali funzioni vogliamo che la Sardegna sia dotata e di come la Regione dovrebbe rapportarsi con lo Stato e con l'Unione europea.
Siamo in un'epoca in cui lo Stato centrale, con l'avvento della moneta unica e il rafforzamento delle istituzioni comunitarie, può essere definito a sovranità limitata. A che cosa dovrebbe portare, dunque, la conquista dell'indipendenza dall'Italia? Al potere di battere moneta che oggi neppure lo Stato italiano può esercitare? L'ipotesi prospettata dal Partito Sardo d'Azione, nel corso del dibattito, che prevede il riconoscimento della sovranità sarda nel contesto di una Repubblica federale italiana, sgombra il campo dalle preoccupazioni per un dibattito che altrimenti avrebbe rischiato di isterilirsi in una contrapposizione tra affermazioni e oppositori dei principi.
Oggi sussistono le condizioni perché la Sardegna, pur restando legata all'Italia, possa ritagliarsi un grado di autonomia e uno spazio decisionale pari a quello che l'Italia ha all'interno dell'Unione europea. Davanti a una possibilità così concreta penso che abbia poco senso intestardirsi a perseguire un obiettivo astratto come quello dell'indipendenza. Proprio il processo federalista che si sta avviando in campo nazionale disegna una possibile forma da dare a una nuova autonomia regionale sarda. Una Sardegna federata con lo Stato italiano potrà ritagliarsi uno spazio decisionale ben più ampio di quello attuale, a patto che non accetti di subire passivamente una riforma calata dall'alto, ma che si proponga come parte attiva nella fase di riscrittura dell'ordinamento statale, non accontentandosi dei poteri e delle funzioni che lo Stato vorrà delegarle, ma rovesciando il concetto e concertando con lo Stato quali poteri e quali funzioni delegare, individuandoli in un ambito ben circoscritto (per esempio sicurezza, difesa, politica estera e poco altro) e tenendo il resto per sé. A ben vedere questa proposta è quella su cui i padri fondatori del Partito Sardo d'Azione hanno fondato la loro battaglia politica, pertanto non credo debba essere difficile trovare su queste basi un'intesa con gli amici Sardisti.
Mi fa piacere sottolineare anche la mozione dell'onorevole Porcu che traccia una rotta molto vicina alla proposta portata avanti dal Gruppo del Popolo della libertà. E' da condividere in particolare il richiamo al principio di autogoverno, ben più ampio e meglio definito rispetto a quello di un'autonomia, ma al tempo stesso distante dal campo dell'astrazione politica in cui albergano concetti quali sovranità e indipendenza. Così come è positivo il fatto che la proposta dell'onorevole Porcu sia calata nel contesto politico istituzionale caratterizzato dalla riforma federalista dello Stato; tra le mozioni in discussione, si spera di riuscire a trovare dei punti comuni (tra proposte della maggioranza e proposte dell'opposizione), in vista dell'elaborazione di un documento unitario su cui possa convergere l'intero Consiglio regionale, elemento pressoché indispensabile affinché la riscrittura dello Statuto possa prendere il via. Lo Statuto, infatti, è la Carta costituzionale dei sardi e non può esistere se in esso non si riconoscono tutti i cittadini isolani.
Inoltre un risultato non sorretto dall'unanimità degli schieramenti sarebbe politicamente debole, avrebbe davanti un cammino assai più difficile nel Parlamento nazionale. Non intendo, cari colleghi, soffermarmi più di tanto in questo mio intervento sui contenuti che il nuovo Statuto dovrà avere, ma è questa la sede adatta per farlo, dal momento che ancora non abbiamo deciso quale percorso dovremo seguire nella stesura della nuova Carta e presso quali sedi essa dovrà svolgersi; penso invece che sia indispensabile terminare questa sessione straordinaria con un'indicazione ben definita su quali organismi dovranno essere coinvolti nella riforma statutaria, come dovranno essere composti e come dovranno operare. L'idea di rilanciare l'Assemblea costituente mi ha trovato contrario. Il tentativo è già stato fatto e sappiamo tutti a quale risultato ha portato: uno stallo nel processo di riforma che si protrae ormai da quasi un decennio. Inoltre, ritengo che questo Consiglio regionale sia pienamente legittimato a portare avanti la riforma in prima persona, dal momento che questo è quanto prevede il nostro Statuto vigente all'articolo 54.
Allo stesso modo ritengo che non abbia senso una Consulta statutaria quale quella che si è tentata di istituire nella passata legislatura; sarebbe un organismo ridondante, dalla costituzione complessa, soprattutto se si dovesse andare alle urne per eleggerne i componenti e, per giunta, con una funzione tale da non giustificare il dispiego di tempo, energie e risorse finanziarie. Sono convinto che il Consiglio regionale possa trovare al suo interno le sedi appropriate per elaborare un nuovo Statuto di autonomia. Potrebbe farlo (perché no?) la prima Commissione, cui sono attribuite le competenze in materia di riforme, oppure, se non vogliamo tenere una delle Commissioni permanenti impegnate per alcuni mesi nell'esame di un singolo provvedimento, per quanto di importanza così fondamentale, possiamo istituire una Commissione speciale che si occupi di elaborare la bozza da sottoporre all'approvazione dell'Aula, facendo sintesi delle istanze provenienti da tutti i settori della società sarda. Possiamo anche immaginare di costituire una sorta di comitato tecnico con funzioni consultive, a supporto della Commissione speciale o della prima Commissione, formato da giuristi e costituzionalisti.
Lo Statuto, così riscritto, dovrà poi essere sostenuto da una forte e unanime azione politica durante il suo iter parlamentare, affinché non finisca per arenarsi o per venire stravolto. Un percorso così strutturato può essere portato avanti in un tempo definito che, compreso l'iter parlamentare, può ricadere nell'orizzonte di questa legislatura che, a quel punto, potremo fregiare con pieno diritto del titolo di legislatura costituente a differenza di quelle che l'hanno preceduta, che tali sono state solo nel campo delle buone intenzioni.
Cari colleghi, le condizioni, perché oggi si riesca a portare a termine ciò che mai finora è stato possibile realizzare, ci sono tutte, sta a noi dimostrare di essere all'altezza del compito che ci stiamo prefiggendo, perché solo nostra sarà la responsabilità di un eventuale fallimento che, mai come in questa occasione, finirebbe per condannare la Sardegna alla subalternità e al sottosviluppo per i decenni a venire.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Porcu sull'ordine dei lavori. Ne ha facoltà.
PORCU (P.D.). Presidente, senza voler fare polemiche, perché certamente nella Conferenza dei Capigruppo ci saranno state le migliori intenzioni, però, io le faccio rilevare lo sconcerto di alcuni consiglieri che sono partiti con l'idea, che è stata presentata a quest'Aula, che fosse possibile intervenire nel corso del dibattito, anche se sollecitati da colleghi, quindi un dibattito ampio, un dibattito durante il quale si poteva intervenire anche su riflessioni che venivano fatte e dove non si seguiva la tradizionale procedura di iscriversi entro il primo intervento; questo proprio per far sì che fosse un dibattito libero.
Alcuni di noi sono rimasti su questo schema, non hanno avuto modo di venire a conoscenza del fatto che, nel frattempo, lo schema fosse cambiato; stasera anche altri colleghi, almeno quattro o cinque, so i colleghi Rodin, Cocco, Moriconi, Caria, hanno provato a iscriversi per degli interventi che io credo validi e stimolanti che sono stati fatti nel corso della serata, e avrebbero voluto proseguire con quello spirito che ci era stato illustrato, cioè di un dibattito libero, non contingentato, dove si potesse intervenire una volta, fino all'ultimo intervento. Questo doveva essere lo spirito di un dibattito straordinario, dove si costruisce l'uno sulla posizione dell'altro con la finalità comune di capire l'esistenza in quest'Aula della volontà di arrivare a tracciare un percorso tale da poter sbloccare una situazione che certamente non avvantaggia la Sardegna, cioè quella di non essere capaci neanche di avviare un percorso di riforme!
Allora, Presidente, senza creare polemiche precedenti, mi appello a lei, e ovviamente mi rimetto alla sua decisione, ma mi appello fortemente a lei perché sia ripristinato lo schema iniziale e sia data la possibilità a questi colleghi di iscriversi eventualmente spostando parte di questo dibattito, perché non deve essere un dibattito che avviene all'ora di cena, nella stanchezza dell'Aula, nella distrazione di qualcuno, deve essere un dibattito tenuto nella pienezza della lucidità politica e mentale di ognuno di noi. Quindi io le chiederei, se sono d'accordo i colleghi Capigruppo, o di riconvocare una Conferenza di Capigruppo o di valutare la possibilità che, nella mattinata di martedì, si dia corso agli ultimi interventi; tanto, anche se intervengono tutti, e addirittura qualcuno che non si era ancora iscritto, stiamo andando verso la conclusione del dibattito e sinceramente non vedo questo problema. Magari il fine settimana porta a una riflessione utile, che è proprio quella che ci fa compiere il passo in avanti.
Abbiamo aspettato mesi, anni, per fare questo dibattito, adesso all'improvviso dobbiamo chiuderlo martedì. Io le chiedo di tornare allo spirito iniziale e di dare la possibilità di iscriversi ancora. Eventualmente i Capigruppo, che hanno la comprensibile esigenza di chiudere il dibattito, che tutti riconosciamo loro, sposteranno le loro considerazioni finali a martedì sera o a mercoledì mattina. Sinceramente non capisco perché all'improvviso si decida di accelerare un dibattito che, tra l'altro, sta offrendo ancora, nel pomeriggio, nella serata, riflessioni di estrema rilevanza.
Presidente, non si renda responsabile di un imbavagliamento e di un contingentamento, mi appello a lei, mi appello ai Capigruppo, certo della loro attenzione, perché questo dibattito continui esattamente nelle forme con le quali lo abbiamo iniziato con libertà di iscrizione fino all'ultimo iscritto.
PRESIDENTE. Onorevole Porcu, soprattutto queste sue affermazioni finali sulla richiesta alla Presidente di non rendersi responsabile dell'imbavagliamento del Consiglio, mi convincono ancora di più all'applicazione rigorosa del Regolamento, perché la deroga, che è stata concessa per l'eccezionalità di questo dibattito, è stata contestata questa mattina stessa, durante le riunioni a cui non ha partecipato, da alcuni rappresentanti del Consiglio che si sono lamentati della deroga di doversi iscrivere entro il primo intervento e hanno chiesto una programmazione puntuale dei lavori. La Conferenza dei Presidenti di Gruppo ha fatto il punto sugli iscritti a parlare e, su quella base, si è decisa la programmazione. Quindi, nessun imbavagliamento e nessuna fretta di chiudere il dibattito. Chi non era presente in aula aveva il dovere di informarsi su quanto accaduto, per cui quando ci diamo le regole, queste devono essere, non possiamo mettere continuamente in discussione le decisioni assunte, perché questo non significa garantire un regolare e corretto svolgimento dei lavori di questo Consiglio.
dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (88)
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Barracciu. Ne ha facoltà.
BARRACCIU (P.D.). Presidente, colleghi, assessore Corona, riprendere Lussu, Bellieni, com'è stato fatto in queste ore, e le rivendicazioni storiche che non siamo riusciti a far valere per mezzo secolo e da mezzo secolo fa, arrivare ad ammettere i temi di una nuova forma del rapporto Stato-Regione, magari adottando i presupposti della confederazione, è intellettualmente appagante, concettualmente interessante; lo è perché stimola l'idea di una Sardegna che reagisce e urla in una parola la sua libertà. E' un quadro addirittura dai tratti romantici. Vorrei che ci ancorassimo, però, al principio di realtà, se non altro per il rispetto dovuto ai cittadini e alle cittadine che qui rappresentiamo e che versano nelle condizioni di un disagio non interamente giustificato dalla crisi, ma sanzionato dalla dubbia efficacia dei Governi.
Il principio di realtà è un principio regolatore che rinvia la gratificazione del nostro ego in funzione delle condizioni poste dal mondo esterno, quel mondo esterno cui ci riportava nel suo intervento ieri l'onorevole Vargiu. Il principio di realtà richiede, tra l'altro, attenzione, giudizio e memoria. L'attenzione oggi deve essere tenuta alta di fronte al processo di trasformazione dello Stato in senso federale, purtroppo nell'accezione federal-leghista, la cui riscrittura del nuovo sistema fiscale, che mi pare nessuno qui intenda sottoscrivere, si oppone alla promozione di possibilità virtuose di rinnovamento per le Regioni in ritardo di sviluppo economico, infrastrutturale e anche di cultura politica, ma non solo, poiché apertamente mira anche a portare i Ministeri a Milano, in primis quello dell'economia, ad applicare il modello "Roma capitale" alle Regioni del Nord e a prevedere strumenti che immancabilmente peroreranno lo sviluppo del Nord a svantaggio del Sud e della nostra isola.
Fino a ora non si è levata abbastanza, secondo me, la voce contro il pensiero unico e fortemente discriminatorio di questo tipo di federalismo che, come attestato qualche giorno fa da eminenti studiosi, trasferisce ricchezze dal Sud al Nord limitando di fatto l'autonomia e sottraendo i principi costituzionali di solidarietà e perequazione. Credo anch'io, come diceva nei giorni scorsi il collega Maninchedda, che standardizzare le spese relative alle prestazioni minime essenziali, che sono poi quelle che riguardano i diritti civili e sociali, sia un processo lento e inesorabile di egemonia. Per questo, la riscrittura del nostro Statuto, in particolare degli articoli che seguono l'articolo 8, è una delle priorità da concludere prima che si compia la riforma federalista. E' vero che siamo sempre nell'emergenza (un'emergenza che davvero ci attanaglia), che le questioni aperte sono tali da permetterci di lavorare per un'intera legislatura occupandoci soltanto delle emergenze, però non avremmo risolto un bel niente se ci fermassimo a queste, se non affrontiamo alla radice le questioni delle garanzie che devono rendere sicure le nostre attribuzioni. E' necessario quindi prevedere regole certe, insormontabili, affinché siano nella disponibilità della Regione competenze (quelle che abbiamo e nuove, quelle che sceglieremo di avere) e risorse utili ad ampliare la sfera delle libertà e dei diritti democratici del popolo sardo.
Il giudizio, che è il secondo presupposto per agire secondo il principio di realtà, ci porta davanti a una domanda antica ma sempre cruciale: sono più importanti regole e istituzioni o la qualità degli uomini e delle donne (poche donne, a dire il vero) chiamati a far funzionare quelle regole e quelle istituzioni? Ebbene, sono certa che qui sta un altro nodo imprescindibile. Sappiamo di avere un sistema scolastico tra i peggiori d'Europa - stasera l'onorevole Diana richiamava questo aspetto - e tale è anche il sistema universitario, quello della creazione e diffusione della conoscenza. Se non ci emancipiamo prima di tutto culturalmente, se non disponiamo di strumenti capaci di elevare la nostra capacità critica, di inventiva e di eticità, qualsiasi progetto, quello che pensiamo perfetto in quest'Aula, sarà destinato a fallire. Ci è stato ricordato più volte quanti siamo noi, gli abitanti della Sardegna, ma nessuno ha detto - ed è importante forse dirlo - che, su 1 milione e 600 mila abitanti, appena 273 mila sono bambini e ragazzi fino a 18 anni, appena un 15 per cento che però, parafrasando Gordon Brown, costituisce il 100 per cento del nostro futuro.
Vorrei che tenessimo a mente anche in queste discussioni e in quello che faremo nei prossimi mesi i bambini di oggi, cioè il totale della popolazione di domani di cui siamo anche noi responsabili con le scelte che compiamo oggi. La qualità degli uomini e delle donne chiamati a far funzionare le regole di cui noi oggi vogliamo iniziare a porre le basi è, se non maggiore, almeno uguale all'importanza delle regole stesse. E' un impegno a cui non dobbiamo sfuggire, ma che dobbiamo assolvere nel migliore dei modi. L'autodeterminazione, la capacità di autogoverno, la lotta per le libertà presuppongono un forte investimento sulle intelligenze di coloro che sono chiamati a essere la prossima futura classe dirigente. In questo frangente occorre allora ricostruire autonomamente un sistema oggi allo sfascio, rielaborando in chiave moderna, in quanto ormai società postmoderna, i presupposti culturali, identitari, di solidarietà e di cooperazione e collaborazione delle nostre comunità.
Arrivo finalmente alla memoria. La memoria è il terzo dei presupposti per agire secondo il principio di realtà. Ci serve per ricordare che la pratica delle riforme era stata avviata anche nella precedente legislatura e non soltanto nella precedente legislatura, avviata in quel caso, messa in opera e non soltanto pensata. Molte iniziative sono state prese proprio nel senso di allargare gli ambiti di sovranità e competenze, ma anche per mettere in campo gli strumenti attraverso cui sviluppare l'emancipazione culturale, in cui ricomprendo anche quella linguistica. La valorizzazione dell'insularità, la tutela del territorio, dell'ambiente, le prime forme di federalismo anche interno nel senso della sussidiarietà, la battaglia per la smilitarizzazione dei nostri territori in cui si continuano a combattere giochi di guerra con armi vere e sperimentare prototipi di cui non è nota ancora la pericolosità né l'incidenza sul territorio e sulle popolazioni, il protagonismo sul piano internazionale e per ultimo, la cito naturalmente, la vertenza per le entrate.
Sono tutte azioni che hanno portato negli scorsi anni a esercitare di fatto maggiore sovranità di quanto altre volte non sia avvenuto, però veniamo all'oggi. Oggi forse per il gioco delle parti e per non voler riconoscere quella prospettiva si è lasciato cadere, si sta lasciando cadere nel vuoto qualsiasi progresso, incatenati dal gioco delle parti e dalle appartenenze politiche di cui parlava l'onorevole Gian Valerio Sanna. Questo evidentemente, quando si tratta di riforme, quando si tratta anche di rivendicare una nuova autonomia, maggiore sovranità, impoverisce la Sardegna e vanifica molto del lavoro e del tempo che è trascorso. Certo è che il tema della discussione, sintetizzato nei termini che oggi stiamo utilizzando, autonomia, sovranità, indipendenza, a seconda dei presupposti e di fini politici sposati, è un tema anche paradossale, non è paradossale soltanto adesso, è sempre stato paradossale utilizzarli in quest'Aula, perché assistiamo e abbiamo assistito, non certo soltanto in questa legislatura e con questo Governo nazionale, al vilipendio della nostra autonomia.
La nostra mozione porta con sé l'idea di un documento possibilmente condiviso di carattere non separatista e oggi anche gli interventi di poco fa dei colleghi del P.S.d'Az. negano le tendenze separatiste delle loro posizioni, l'hanno specificato ulteriormente, il nostro documento ha un carattere che non è separatista e non è neanche utopistico, però è imperniato sul principio di realtà che corrisponde all'evidenza imprescindibile della grande costruzione sovranazionale a cui apparteniamo e alla cui legislazione rispondiamo e a quella altrettanto imprescindibile dello Stato a cui siamo legati dai diritti e doveri espressi in una Carta costituzionale e in uno Statuto regionale in cui la Regione è soggetto di diritto al pari dello Stato. Come si diceva stamattina, non ero presente ma poi ho rivisto le registrazioni, insieme ma alla pari. I tempi sono fondamentali e saranno loro a dirci se esiste una concreta volontà di procedere in tal senso, di trovare una sintesi e di mettere insieme tutti i punti che, in quest'Aula si è visto e sentito, ci accomunano, anche se ce ne sono alcuni che certamente ci tengono distanti, il tempo consentirà di elaborare anche quei punti distanti.
Mi sembra più che ragionevole la proposta avanzata di un periodo massimo di dodici mesi, ma sarebbe importante anche accorciare quel tempo. Non ha senso stare a tirare le questioni troppo per le lunghe, se esiste la volontà politica, il tempo si può accorciare, altrimenti vorrà dire che, ancora una volta, il mito delle riforme istituzionali potrebbe svelarsi come una copertura di un voto politico e spero che questo non avvenga.
Voglio ancora aggiungere qualcosa sul contenuto delle riforme. Molto è stato detto, quindi rischiamo anche di ripeterci, certo, servirà riscrivere le regole che governano i rapporti tra lo Stato e la Regione, ma il nuovo Statuto dovrà servire anche per rinnovare il patto interno del popolo sardo. Il richiamo al popolo sardo è stato fatto già molte volte nel corso della discussione e io non credo che l'opinione pubblica stia aspettando noi per essere risvegliata. E' stato detto questo più di una volta. Non credo che risieda solo qui l'élite che incarna le istanze autonomistiche dell'Isola, forse invece è vero il contrario, non sarà che il popolo sardo già aspetta da decenni, in verità, che questo Consiglio, che è già sua espressione, noi siamo espressione del popolo sardo, si rimbocchi le maniche e cominci a lavorare concretamente? Dovrebbe essere valido il principio secondo il quale la società civile è sempre più avanti rispetto alla politica; perché questo principio non deve valere anche in questo caso? Io credo che i cittadini e le cittadine della Sardegna abbiano maturato una consapevolezza importante che probabilmente non hanno modo di esprimere, forse questo sì, per la mancanza anche dei partiti, delle loro organizzazioni per cui anche per noi è difficile sentire quale consapevolezza è stata raggiunta, però io credo che siamo pronti.
Sono certa inoltre che il popolo sardo parteciperà a questo percorso se verrà svegliata semmai appunto la sua passione politica e questo accadrà se la riforma partirà proprio da esso cioè se lo Statuto conterrà il nucleo dei valori in cui si sostanziano le aspirazioni dei cittadini e delle cittadine sarde del XXI secolo. Il problema si pone semmai in termini di equa rappresentanza democratica e spero che nessuno alzi gli occhi al cielo, le donne della Sardegna sono qui estremamente sottorappresentate, sottorappresentate in quest'aula, sottorappresentate nella Giunta regionale e spero che il rimpasto porti a una equa rappresentanza delle donne nella Giunta regionale che hanno dimostrato di lavorare bene, tutte, dicevo che le donne della Sardegna sono estremamente sottorappresentate qui, in questa Aula, e la rappresentanza è completamente inesistente anche all'interno della Commissione autonomia. Questo è un deficit democratico se si vuole riscrivere anche il percorso per la Carta, la nuova Carta dei sardi. Mi appello alla Presidente del Consiglio che ha sempre dimostrato nel concreto e nei fatti una grande sensibilità su questo tema, che assuma su di sé la necessità di capire come si può integrare una partecipazione maggiore delle donne anche nei ragionamenti che faremo in Commissione, non lo so, negli strumenti che ci vorremo dare nei prossimi mesi.
Il lavoro che ci attende è quello di tessere le basi di un grande progetto per il futuro, capace di fondarsi sulle relazioni sociali prima ancora che politiche e sulla coesione sociale. Mi ha molto colpito l'intervento dell'onorevole Radhouan Ben Amara che ha detto un po' le cose che sto per dire io, quindi le condivido: uno degli effetti della globalizzazione, che ha ridotto gli spazi dell'autonomia allargando quelli dell'interdipendenza, è stato quello di sgretolare l'identità proprio nei Paesi che avevano identità forti e al contempo ha creato l'insorgenza di senso di identità dove queste erano culturalmente e storicamente deboli, dove erano addirittura inesistenti, il caso della Padania è emblematico.
Ebbene, è ora di preparare gli strumenti utili a governare il processo della trasformazione, significa che serve stipulare un nuovo patto anche sociale, oltre che istituzionale, poiché non è possibile né auspicabile intraprendere il cammino inverso ignorando le trasformazioni avvenute e rimpiangendo un passato nel quale, a ben guardare, non c'è molto da rimpiangere e sottoscrivo alcune delle affermazioni rispetto al passato che ha pronunciato l'onorevole Maninchedda. Serve innovazione, innovazione politica, creatività, per individuare le regole utili a risvegliare il senso di appartenenza e la passione politica di tutti noi e di coloro che rappresentiamo, dove passione politica è coraggio di interrogarsi sulle grandi scelte del futuro col principio di realtà, ci vuole coraggio anche per questo, piuttosto che la rassegnata e fatalistica sottomissione. Infatti a noi il compito di andare oltre quel concetto di specialità che è già superato nei fatti dalla storia.
Abbiamo una lunga prateria, ci sono tante priorità: una nuova legge elettorale che riequilibri anche la rappresentanza tra i generi, istituzione di agenzie regionali funzionali al perseguimento delle politiche pubbliche, una rete adeguata di infrastrutture, giusti stimoli per sviluppare il partenariato tra pubblico e privato, una specializzazione dei prodotti regionali che riesca a massimizzare il valore aggiunto all'interno dell'economia regionale. Tutte cose, ripeto, anche già avviate, leggermente avviate direi, che, se migliorate e se intraprese con la stessa passione, attività e cura che sappiamo dedicare alle cose e alle persone che amiamo, creino una governance regionale che non solo promuova la crescita e il reddito pro capite ma soprattutto attui il vero fine di una società capace di garantire la libertà di tutti di potersi realizzare al meglio.
Perché ciò accada, l'azione politica deve porsi l'obiettivo di uscire dall'immobilismo sociale e di opportunità (l'immobilismo delle opportunità è un grande freno anche in quest'isola) e mirare dritto alla realizzazione delle pari opportunità, largamente intese, ovverossia pari opportunità fra territori, generazioni, e così via. Da questo dibattito ci auguriamo emerga, ma mi sembra che piano piano sta prendendo corpo, ci vorrà un po' di tempo, una base per poter avanzare nel terreno dell'autonomia, della sovranità, ridefinendone (sarà necessario credo alla fine del dibattito ritrovarci anche sul lessico da utilizzare perché forse c'è un po' di confusione, ciascuno di noi, non tutti certamente, senz'altro un po' di confusione io la faccio) i principi fondamentali e facendoci portatori dei nuovi valori che ne sono alla base.
Sosteniamo lo strumento dell'ordine del giorno voto perché ci sembra uno strumento, mi sembra, uno strumento efficace, ma la discussione potrà ancora affinare quale prospettiva e quale decisione prenderemo. Nel proseguo del lavoro non procediamo, cerchiamo di non procedere, vigilando in cagnesco l'uno sull'altro schieramento ma tutti quanti vigiliamo su noi stessi affinché non venga meno la coerenza politica di perseguire tutti, non interessi a volte piccoli e di parte o dei partiti dai quali proveniamo, ma, nel nome di una compiuta sovranità, esclusivamente l'interesse del nostro popolo. Mettiamo la Sardegna in postazione di avanguardia così daremo una mano anche nel contesto nazionale a chi lavora per sottrarre l'avanguardia e l'orizzonte federalista dalle mani dei fautori di uno sviluppo diseguale e disarticolato dello Stato.
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera De Francisci. Ne ha facoltà.
DE FRANCISCI (P.d.L.). Presidente, assessore Corona, colleghi, devo dirvi che partecipo ai lavori di sessione consiliare con alcune preoccupazioni di fondo che il dibattito, seppure autorevole, non ha saputo fugare. Sebbene almeno su una cosa credo che siamo tutti d'accordo: lo Statuto sardo deve essere riscritto. Registro però che gli interventi che hanno caratterizzato il dibattito in quest'aula si sono prevalentemente concentrati sul metodo, sulle procedure per arrivare alla approvazione della nuova Carta costituzionale della Sardegna. Si è parlato di costituente, di consulta, di commissione paritetica, di referendum, sui contenuti vedo ancora posizioni distinte e distanti, come ha appena detto l'onorevole Barracciu. E questo mentre intorno a noi nel resto d'Italia ci sono Regioni come il Veneto che hanno già provveduto a utilizzare l'opportunità che deriva dall'avvenuta modifica del Titolo V della Costituzione e dall'avvio della riforma federalista per definire, con un nuovo Statuto, un nuovo rapporto col Governo della Repubblica italiana.
A questo punto credo che sia opportuna una precisazione. In Italia siamo soliti attribuire definizioni aggiuntive a qualsiasi cosa ed ecco che i primi passi verso la trasformazione in Repubblica federale dello Stato italiano sono stati definiti "federalismo fiscale", salvo poi aggiungere ulteriori definizioni, federalismo fiscale solidale, federalismo fiscale egoistico, federalismo nordista, federalismo del Mezzogiorno. Il federalismo è federalismo, punto! E' un rapporto tra comunità e territori, un patto istituzionale attraverso cui alcune funzioni vengono delegate a una entità superiore a quelle preesistenti perché i singoli da soli avrebbero altrimenti difficoltà a garantire determinate funzioni pubbliche e sociali, per esempio la difesa militare, gli aspetti legati alla politica monetaria, sicurezza e giustizia, politica internazionale, è già stato ricordato. E' logico che, per costruirlo, occorra predisporre un'impalcatura primaria, quella appunto del prelievo fiscale, le risorse, attraverso la quale precostituire le condizioni economiche per adempiere alle funzioni istituzionali.
La Repubblica italiana sta viaggiando verso questa direzione, quella di un nuovo patto istituzionale che unisca in modo diverso l'unità nazionale, la trasformazione dello Stato risorgimentale nato sulla base di conquiste militari e non tanto per vera volontà diffusa. Certo avrebbe avuto più senso un federalismo nato dal basso, dall'incontro tra le realtà regionali della nostra Italia, un patto tra le Regioni ancora prima che un processo di devoluzione di poteri dal Governo della Repubblica alle nuove Regioni federali. Ma è il risultato finale che è importante, l'avrei detto all'onorevole Dedoni, quello che porterà ciascuna Regione a una vera autonomia, una vera sovranità sul proprio territorio, a un rapporto al contempo competitivo ma anche solidale, capace di accrescere le capacità di sviluppo endogene di ciascuna realtà.
A questo dobbiamo prepararci, a questo dobbiamo preparare le nostre istituzioni e il popolo della Sardegna, dobbiamo farlo in fretta perché è vero che il rischio è che fuori da qui la gente, il popolo sardo, tante volte evocato in questi due giorni, non ci comprenda. La riforma federalista che, con l'approvazione della legge numero 42, ha avviato i suoi primi passi, modificherà totalmente il patto istituzionale e sociale che lega territori e popolazioni delle diverse realtà regionali e locali del nostro Stato, ma lo Statuto speciale, il nostro Statuto speciale, rischia di creare oggi un limite nella partecipazione della nostra Regione a questo nuovo processo fondante dello Stato italiano, di un nuovo Stato italiano federale. Il comma 2 dell'articolo 1 della legge numero 42 stabilisce infatti, e non poteva essere diversamente stante la realtà di valenza costituzionale del rapporto tra Stato e autonomie speciali, che alle Regioni a statuto speciale, alle Province autonome di Trento e Bolzano, si applicano, in conformità con gli Statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27 della stessa legge numero 42, ovvero il finanziamento delle città metropolitane, la perequazione infrastrutturale, il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.
Al di là di questo, le procedure e i meccanismi di concertazione e di attuazione, previsti dalla legge, concentrano l'attenzione sulle Regioni ordinarie, riservando a comuni, province e città metropolitane un ruolo più circoscritto e marginale. Il pericolo che possiamo e dobbiamo evitare è che, a un centralismo statale, si sostituisca di fatto un neocentralismo regionale; in questo processo i problemi irrisolti di alcune aree del Paese, in particolare mi riferisco alla Sardegna, finiscono per condizionare profondamente e minare alle basi le opportunità che invece possono derivare da un nuovo Patto di unità nazionale, fondato sui principi del federalismo. Ma questa Assemblea ha anche la possibilità di trasformare i limiti in opportunità, definendo col Governo della Repubblica un nuovo patto istituzionale.
Davanti a noi, si presenta invece una grande occasione, attraverso la riscrittura della nostra Carta costituzionale, lo Statuto della Regione autonoma della Sardegna, possiamo superare molti dei problemi evidenziati a tutti i livelli, dai dibattiti politici e istituzionali a quelli accademici, ai confronti sociali e sindacali, e non di oggi. Possiamo migliorare il rapporto tra istituzioni e cittadini, aumentando il livello di trasparenza di norme e regole, introducendo il metodo della codificazione in testi unici come regola di base dell'iniziativa legislativa, ponendo Governi e Presidenti nella condizione di esprimere con maggiore chiarezza e fedeltà gli impegni sottoscritti nel momento elettorale, attraverso l'obbligo di traduzione normativa dei programmi in leggi obiettivo, snellire e ridurre il Consiglio regionale, abbassando il numero dei componenti eletti, ricontrattare col Governo della Repubblica e le altre Regioni le materie di competenza regionale.
Solo in questo modo la Sardegna potrà inserirsi realmente nel processo di trasformazione federale in corso e creare le basi per costruire un sistema capace di stare al passo con i tempi, di concorrere alla nuova realtà del mercato globale e della competizione istituzionale, quindi di avviare una vera nuova realtà di sviluppo, perché è sulla programmazione e lo sviluppo territoriale locale che si esplica la vera autonomia, ma come questo possa essere efficacemente realizzato senza le necessarie risorse resta ovviamente incomprensibile.
Il rischio vero è quello di scivolare in logiche volte esclusivamente al risparmio e al contenimento della spesa, piuttosto che alla qualità dei servizi e delle prestazioni erogate, nelle logiche preminenti dei Patti di stabilità, piuttosto che nell'azione propulsiva per la crescita dell'economia dei territori, nella semplice riduzione dei costi piuttosto che nel miglioramento dell'efficienza, nello scaricare sulle realtà periferiche, progressivamente, tutto il peso del debito pubblico del bilancio dello Stato. L'attuazione del federalismo deve essere un'occasione per migliorare il nostro sistema politico e istituzionale, per attuare politiche virtuose, garantire le condizioni per governare i processi di sviluppo locali in un quadro di vera autonomia, anche competitivo tra i territori, se competizione significa crescita comune, di un vero governo del territorio al di fuori di presenze statali che spesso condizionano e appesantiscono l'azione delle comunità locali. Penso alle servitù militari e delle varie Amministrazioni ministeriali, penso alle varie authority attraverso le quali è lo Stato a gestire importanti situazioni infrastrutturali. In previsione di questo nuovo rapporto si continua progressivamente a far carico alle istituzioni territoriali e agli enti locali di nuove incombenze, nuovi compiti, nuove responsabilità, senza al tempo stesso creare i fondamenti perché si possa disporre delle conseguenti e opportune risorse finanziarie. Questa considerazione di base mi porta a sottolineare la valenza e l'importanza che, nell'ambito della riforma federalista, ha il Fondo perequativo, i meccanismi e le regole della sua implementazione e della successiva distribuzione delle risorse in esso confluenti. Sono principi fondamentali che dovranno essere la base del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Allora, ben venga l'impegno, da parte del Consiglio regionale, di un atto politico di indirizzo per andare a trattare con lo Stato, come auspica l'onorevole Maninchedda, ma dentro un contesto di unità nazionale. Siamo Sardi, ma siamo anche Italiani, come ha detto l'onorevole Vargiu, e siamo Europei. Il criterio, a base del funzionamento di perequazione del fondo, non può essere definito unicamente dalla valenza di carattere fiscale, cioè dall'equiparazione del gettito sulla base del Pil prodotto in ciascuna realtà e colmando le differenze nella disponibilità di risorse, occorre contemperare anche la differenza dei costi dei servizi delle diverse realtà territoriali sulla base delle funzioni attribuite; la nostra insularità innanzitutto e le condizioni storiche di differenziale infrastrutturale, che rendono più onerosa la vita delle attività economiche e dei cittadini sardi. E la valenza del funzionamento del fondo perequativo non può limitarsi alla compensazione delle spese di funzionamento ed erogazione dei livelli standard di prestazioni e servizi pubblici. Ma di questo parleremo ancora.
Esistono nel nostro Paese differenziali infrastrutturali e di sviluppo che occorre colmare con analoghi interventi perequativi; si tratta di una logica fondata sul concetto che l'impalcatura federale dia spazio alla vera autonomia, solo nell'ambito delle spese ordinarie, di erogazione dei servizi di base e standard e della capacità fiscale e non sulla programmazione e attuazione di politiche vere di sviluppo. Qualcuno si chiede se non occorra considerare se permangono ancora, almeno per alcune Regioni, stanti i nuovi assetti politici ed economici mondiali e il processo di integrazione europea da tempo in atto, alla luce del nuovo assetto federalista, le ragioni di una nuova specialità. Certamente, ne sono fermamente convinta, da cittadina della Sardegna, io ritengo che la nostra condizione di insularità giustifichi appieno e renda assolutamente necessario il permanere di una realtà istituzionale capace di assorbire e superare i limiti, soprattutto economici, che tale condizione geografica comporta rispetto ad altre realtà dell'Italia.
La riforma federalista deve essere considerata un patto equitario, che rispetti la pari dignità di popoli e territori che compongono l'Italia, una intesa che parta dal basso, non calata dall'alto, perché altrimenti non più di intesa si tratterebbe e non il frutto di un patto tra territori. Una vera intesa avrebbe dovuto prevedere la rappresentanza, negli istituti e organismi in cui vengono assunte decisioni, di tutte le Regioni e dii esponenti di comuni e province, forse avrebbe trovato piena valenza in quest'ottica la trasformazione del Senato in Camera federale con equità di rappresentanza regionale nella sua composizione. E anche questo è stato già detto.
Lo stesso principio deve permeare l'equiparazione degli standard di qualità di servizi e prestazioni tra tutte le realtà territoriali locali del nostro paese. Uguali opportunità, uguali servizi. Se riusciremo a impostare il nuovo patto federale su queste basi, ecco che allora potremo dire di costruire una vera unità nazionale, in cui tutti gli italiani si riconoscano realmente, in cui sardi, padani, siciliani, friulani, possano convivere senza diffidenze e recriminazioni di alcuna sorta. Queste non sono regole o principi di destra o di sinistra, ma universali, e ci devono vedere tutti accomunati dallo spirito di creare le migliori condizioni di convivenza civile degli italiani, di costruire un vero e nuovo popolo. Ma le potenzialità e le opportunità che le realtà locali possono avere da questa riforma possono essere la chiave di volta per restituire ai territori e alle comunità locali dignità vera di cittadini dello Stato e protagonisti dello sviluppo delle comunità locali.
La Sardegna in particolare può, attraverso le nuove regole del federalismo, portare a compimento il cammino che abbiamo avviato, per costruire una Regione capace di superare i limiti storici che, dal Risorgimento a oggi, sembrano non volerci dare tregua, e che recuperi velocemente il ritardo storico dalle principali realtà europee e del mondo occidentale. Dobbiamo andare oltre; alla pari e in una sana competizione con le realtà che si affacciano sul Mediterraneo, tanto care all'onorevole Ben Amara, capaci di alimentare crescita e sviluppo con sane e produttive politiche economiche e sociali.
PRESIDENTE. Comunico che la seconda Commissione è convocata mercoledì 29 settembre 2010 alle ore 9
Il Consiglio è riconvocato martedì 28 settembre, alle ore 10.
La seduta è tolta alle ore 20 e 32.