Seduta n.84 del 19/01/2010 

LXXXIV Seduta

Martedì 19 gennaio 2009

(ANTIMERIDIANA)

Presidenza della Presidente LOMBARDO

INDICE

La seduta è aperta alle ore 10 e 29.

CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 15 dicembre 2009 (77), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Angelo Cuccureddu, Massimo Mulas, Teodoro Rodin, Renato Soru e Marco Meloni hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 19 gennaio 2010.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Annunzio di interrogazione

PRESIDENTE. Si dia annunzio della interrogazione pervenuta alla Presidenza.

CAPPAI, Segretario:

"Interrogazione Bruno - Cuccu - Meloni Valerio - Solinas Antonio, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di cambiare le norme discriminatorie introdotte nel nuovo bando per gli assegni di merito della Regione Sardegna". (205)

Annunzio di interpellanze

PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interpellanze pervenute alla Presidenza.

CAPPAI, Segretario:

"Interpellanza Zedda Massimo - Uras - Sechi - Zuncheddu sull'incidente mortale sul lavoro a Sale in Provincia di Alessandria avvenuto il 12 gennaio 2010". (62)

"Interpellanza Bruno - Cucca - Solinas Antonio - Salis - Uras - Ben Amara - Diana Giampaolo - Espa - Meloni Marco - Porcu - Zedda Massimo - Zuncheddu - Agus - Barracciu - Cocco Daniele Secondo - Lotto - Mariani - Meloni Valerio - Sanna Gian Valerio - Sechi sulle ipotesi di demolizione dello stadio Sant'Elia e sull'individuazione di un suo utilizzo alternativo". (63)

Annunzio di mozione

PRESIDENTE. Si dia annunzio della mozione pervenuta alla Presidenza.

CAPPAI, Segretario:

"Mozione Espa - Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sui tagli effettuati ai progetti personalizzati per persone in situazione di handicap grave ai sensi della legge n. 162 del 1998, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (33)

PRESIDENTE. Prima di procedere con il primo punto all'ordine del giorno, constatato lo scarso numero di consiglieri presente in Aula, sospendo la seduta. Prego però i Capigruppo di richiamare i consiglieri in Aula perché sono già trascorsi 33 minuti dall'orario previsto per l'inizio della seduta.

(La seduta, sospesa alle ore 10 e 33, viene ripresa alle ore 10 e 45.)

Discussione congiunta delle mozioni Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla crisi occupazionale e industriale della Sardegna, con particolare riferimento allo stato della vertenza Alcoa e delle produzioni energivore del Sulcis-Iglesiente e di quella in corso sulla chimica a Porto Torres e negli altri poli industriali. (29) e Diana Giampaolo - Bruno - Uras - Salis - Zedda Massimo - Cuccu - Meloni Valerio - Solinas Antonio - Espa - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Soru - Zuncheddu sul Piano dell'ENI di riconversione del sito petrolchimico di Porto Torres in deposito nazionale carburanti, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del

Regolamento. (22)

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle mozioni numero 29 e 22.

(Si riporta di seguito il testo delle mozioni:

Mozione Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla crisi occupazionale e industriale della Sardegna, con particolare riferimento allo stato della vertenza Alcoa e delle produzioni energivore del Sulcis-Iglesiente e di quella in corso sulla chimica a Porto Torres e negli altri poli industriali.

IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO che:

- in Sardegna si registrano livelli di crisi produttiva ormai intollerabili con il progressivo inaccettabile smantellamento di ogni stabilimento industriale, anche prescindendo dalla qualità assoluta del prodotto realizzato e dalla possibilità reale delle produzioni di competere sul mercato nazionale ed internazionale;

- in relazione al predetto processo di liquidazione dell'attività industriale in Sardegna non appare accettabile alcuna giustificazione fondata esclusivamente sui limiti posti agli aiuti di Stato in materia di energia dall'Unione europea, tutti superabili, così come avvenuto per altri settori e in altre realtà regionali della Comunità, sulla base delle idonee iniziative da parte dei singoli Stati membri interessati;

- le azioni di difesa del lavoro e delle attività produttive industriali intraprese dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle loro rappresentanze regionali, territoriali e aziendali, e dalle istituzioni locali dei territori più direttamente interessati debbano trovare attiva solidarietà da parte della Regione autonoma della Sardegna e dei suoi organi statutari,

impegna la Giunta regionale

ad adottare gli idonei strumenti e a promuovere i necessari interventi atti:

1) ad affiancare ogni iniziativa democratica e non violenta di difesa dell'apparato produttivo ed industriale sardo, ad iniziare dalla manifestazione prevista per giovedì prossimo a Roma, sostenendo con le modalità consentite dalla legge, l'impegno delle popolazioni interessate, anche economico, tramite le istituzioni locali, comuni e province, e le organizzazioni sindacali di categoria e confederali;

2) a riferire in Aula, entro sette giorni, ai sensi dell'articolo 120 del Regolamento consiliare, sullo stato dell'apparato produttivo industriale sardo e sul suo progressivo indebolimento, sulla natura, intensità e prospettiva delle vertenze in atto, nei diversi poli industriali e nei diversi stabilimenti, nonché sulle necessarie misure di sostegno e sviluppo, comunitario, nazionale e regionale, finalizzate alla difesa della produzione e del lavoro industriale;

3) a riferire al Consiglio, previo confronto con le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria direttamente interessate e le istituzioni locali dei territori coinvolti e a proporre per l'esame in Aula, già nell'ambito della manovra finanziaria e di bilancio 2010, le misure di competenza regionale indicate come necessarie a gestire la contingenza dalle forze sociali e dal sistema istituzionale locale. (29)

Mozione Diana Giampaolo - Bruno - Uras - Salis - Zedda Massimo - Cuccu - Meloni Valerio - Solinas Antonio - Espa - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Soru - Zuncheddu sul Piano dell'ENI di riconversione del sito petrolchimico di Porto Torres in deposito nazionale carburanti, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.

IL CONSIGLIO REGIONALE

CONSIDERATO che:

- l'ENI ha annunciato la chiusura dell'impianto cracking del petrolchimico di Porto Torres; con le motivazioni di un crescente risultato annuo negativo ha considerato di fatto l'impianto petrolchimico strutturalmente inefficiente;

- la fermata del cracking a Porto Torres pone a rischio il futuro di 500 lavoratori;

EVIDENZIATO che:

- dagli incontri tra Governo ed ENI sono state proposte non una ma più soluzioni di rilancio, tra cui, anche la costruzione di una centrale termoelettrica, il tutto a dimostrare la confusione che impera sia nel Governo che nell'ENI;

- secondo quanto è trapelato recentemente l'ENI ha proposto un piano d'investimenti che dovrebbe trasformare lo stabilimento turritano nel più grande deposito costiero di idrocarburi d'Italia con la chiara intenzione di procedere ad una dismissione del petrolchimico;

- secondo i progetti del colosso energetico italiano, con un investimento di 150 milioni di euro per il deposito costiero, a fronte dei 90 milioni destinati a interventi sulle produzioni e dei 550 milioni promessi per le bonifiche, si costruirà invece un parco serbatoi capace di inglobare 1 milione e 650 mila metri cubi di combustibile che L'ENI affiderebbe in gestione alla società R&M (marchio Agip) e che garantirebbe il lavoro ad appena 45 unità a fronte di una perdita di oltre 500 posti di lavoro;

- l'ipotesi di stoccare 1 milione 650 mila metri cubi di carburanti in un deposito costiero ha un evidente impatto ambientale sull'area marina protetta del Parco dell'Asinara, che il territorio non può permettersi di sopportare;

- il traffico delle petroliere nelle acque del Parco dell'Asinara bloccherebbe in maniera irreversibile i progetti dell'Ente parco dando un colpo mortale allo sviluppo turistico dell'intero territorio del nord ovest della Sardegna;

PRESO ATTO che:

- il progetto dell'ENI è destinato a porre fine alla produzione degli impianti e a cancellare non solo un pezzo di economia tra i più importanti della Sardegna, ma l'intera cultura industriale di quel territorio;

- Porto Torres e l'intero territorio non possono sobbarcarsi l'ennesimo rischio ambientale con notevoli ricadute produttive e occupazionali;

- il transito delle petroliere dovrebbe interessare il territorio dell'Area marina protetta del Parco dell'Asinara e delle Bocche di Bonifacio considerate entrambe le zone più belle del Mediterraneo con caratteristiche naturali di assoluta rilevanza ed unicità e per tale motivo, ossia per la valorizzazione e la conservazione delle particolari caratteristiche ecologiche e degli elevati valori ambientali di questo tratto di mare, sono state istituite delle aree protette nazionali ed internazionali,

impegna la Giunta regionale a:

opporsi, com'è necessario, al piano ENI e chiedere allo stesso ENI di impegnare le risorse destinate al deposito costiero per gli interventi strutturali atti a rilanciare le produzioni dell'intero petrolchimico;

verificare che il progetto in questione sia sottoposto alla valutazione di impatto ambientale;

verificare che se l'investimento proposto dall'ENI sia rispettoso degli accordi intrapresi presso il Ministero dello sviluppo economico;

valutare i progetti della Provincia di Sassari e dell'Ente parco dell'Asinara quali utili prospettive di sviluppo per il territorio con la realizzazione di un porto commerciale.(22).)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Uno dei presentatori delle mozioni ha facoltà di illustrarla.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Su un tema come questo sarebbe stata importante la presenza, spero ci raggiunga, del Presidente della Regione. Era nostra intenzione, quando abbiamo presentato le mozioni, coinvolgere il Consiglio regionale nell'esame delle cause che hanno determinato la crisi che ha messo in ginocchio l'economia dell'isola, con ripercussioni drammatiche sulle condizioni di vita di centinaia di migliaia di sardi.

Pensiamo non sia più procrastinabile il coinvolgimento del Consiglio in una discussione nella quale però non ci si può limitare a esprimere, come è avvenuto in questi mesi, solidarietà a chi quotidianamente lotta per conservare il proprio posto di lavoro. Serve invece, signor Presidente, un'azione di governo forte e autorevole che finora è mancata.

E' necessario inserire non una ma più marce se si vuole dare una svolta alle troppe vertenze aperte su tutti i fronti. Presidente, se questo è il clima, su questo tema io rinuncio a intervenire.

PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Diana. Colleghi, per cortesia, accomodatevi.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Mi rivolgo a lei, signor Presidente del Consiglio, in assenza del Presidente della Regione, mi rivolgo anche alla Giunta dicendo che dovete recuperare lucidità e indicare soluzioni capaci di rimettere in moto l'economia della Regione. Noi, come abbiamo fatto finora, non ci limitiamo a chiedervi soluzioni che pure avete il dovere di indicare, ma siamo qui a suggerirvi proposte e soluzioni per affrontare e risolvere le tante emergenze che ancora non siete riusciti a risolvere.

Assistiamo infatti quotidianamente alla chiusura di segmenti produttivi e da parte vostra si affronta il tutto con una semplicità disarmante, quasi fossero questioni di carattere ordinario e non invece quanto di più drammatico stia avvenendo da trent'anni a questa parte. Ogni giorno trascorso registra un ulteriore peggioramento nei settori produttivi; un peggioramento che, dalla chimica al metallurgico, dalle costruzioni all'agroalimentare, investe sia le grandi che le piccole imprese, non risparmiando nessun territorio della Regione. La crisi dei settori produttivi oramai ha raggiunto livelli intollerabili provocando un profondo disagio sociale nonché il rischio di tenuta dell'ordine pubblico.

Nell'anno appena trascorso la congiuntura internazionale ha determinato nel sistema delle imprese un calo sensibile degli ordinativi, con la conseguente diminuzione dei livelli di produzione e dei fatturati. La cassa integrazione interessa oltre 4000 lavoratori, e sono circa 350 le imprese che vi hanno fatto ricorso, con un aumento della stessa nell'ultimo anno pari al 500 per cento, mentre i lavoratori che fruiscono di ammortizzatori sociali in deroga sono oltre 12 mila. Ciò avviene mentre tutti gli istituti di analisi prevedono per i prossimi due anni una ulteriore contrazione della produzione industriale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali.

Forse è utile ricordare che nel 2009 in Sardegna sono stati persi 30 mila posti di lavoro, di cui 20 mila nella sola industria, per cui il tasso di disoccupazione è tornato a crescere attestandosi oltre il 13,5 per cento. Nel sottolineare questo dato è utile non dimenticarci che il sistema produttivo sardo è segnato da un forte squilibrio tra i settori merceologici, dove l'industria rappresenta meno del 13 per cento del contributo di valore aggiunto, contro una media nazionale del 25, e gli addetti in questo settore nell'isola sono appena il 10 per cento della popolazione lavorativa contro il 22 per cento nazionale.

Purtroppo non sono migliori gli indicatori relativi al mercato del lavoro, infatti nell'isola gli occupati superano di poco le 590 mila unità, con una contrazione nell'ultimo anno pari a 20 mila unità lavorative, tra questi i lavoratori dipendenti sono 420 mila, di cui oltre 100 mila sono lavoratori precari. Occorre ricordare che in Sardegna la dinamica della trasformazione dei contratti atipici in contratti a tempo indeterminato è la più lenta del Paese, e ciò colloca la nostra Regione al primo posto in Italia per la percentuale di lavoro precario.

Ci sono ancora due indicatori che contribuiscono a testimoniare la drammaticità della crisi e gli effetti che questa produce su ampi strati della società. Il primo è quello relativo alla qualità dei redditi, di cui l'attuale Assessore del lavoro si è interessato anche recentemente in un'altra veste. I redditi da lavoro dipendente sono il 18 per cento in meno della media nazionale, con punte del 22 per cento rispetto al Nord. Il reddito medio mensile da pensione Inps in Sardegna è pari 614 euro, contro una media nazionale di 781, di 795 nel Centro, e di 845 nel Nord. Questo è un dato che, ahinoi, non è destinato a scomparire rapidamente; infatti, quand'anche risolvessimo nella giornata odierna tutte le crisi industriali e quelle degli altri settori dove si registra il ricorso agli ammortizzatori sociali, quei lavoratori alla fine percepiranno una pensione minima proprio perchè in quei determinati periodi hanno avuto un assegno sensibilmente inferiore.

Questi dati non hanno bisogno di alcun commento e spiegano efficacemente da che cosa trae origine il secondo indicatore, e cioè l'incidenza della povertà relativa. Quest'ultima in Sardegna è aumentata più che in altre regioni, passando dal 17 al 23 per cento, ciò vuol dire che oltre 420 mila persone sono costrette a vivere sotto la soglia della povertà relativa.

Gli effetti della crisi impongono alla Regione l'urgenza di dotarsi di un moderno welfare locale, integrativo a quello nazionale, e per la durata necessaria al superamento della crisi. Per queste ragioni, seppur inascoltati, fin dall'inizio di questa legislatura vi abbiamo sollecitato l'adozione di strumenti idonei, insieme alla necessaria dotazione finanziaria.

Certo, a nessuno sfugge che i fattori alla produzione, a partire dai costi energetici, i costi relativi alla qualità dei trasporti da e per l'isola, così come quelli del credito, rappresentano una significativa diseconomia per l'intero sistema economico isolano; e sappiamo anche che gli stessi non sono riconducibili alla sola responsabilità del Governo regionale. Questo è vero, tuttavia non può rappresentare un alibi per giustificare la totale inconcludenza con cui state gestendo questa difficile fase della crisi economica dell'isola.

È vero, non possiamo non darvi atto della puntualità nell'esprimere la vostra solidarietà ai lavoratori impegnati a difendere il loro posto di lavoro, nell'essere loro accanto nei momenti di mobilitazione, tutto ciò finora ha prodotto solo attestati di solidarietà, importanti, ma che, per carità, non danno da vivere. È il caso dell'Eurallumina, del petrolchimico di Porto Torres, di Vinyls, di Alcoa, della Rockwoll, delle diverse aziende di Ottana, e non continuo per ragioni di brevità, ma l'elenco come sapete è assai lungo.

Presidente, lungi da me la volontà di strumentalizzare, soprattutto in un momento così drammatico per la nostra economia, ma come non capire che la situazione sta precipitando e rischia di sfuggire di mano a tutti? Attenzione, mi rivolgo a tutti, davvero chiedo un minimo di attenzione, è una questione delicata. In questi giorni la tensione sta salendo in maniera pericolosa, è a rischio l'ordine pubblico e la stessa credibilità delle istituzioni e delle organizzazioni sociali. Presidente, non si possono leggere diversamente le scritte e i volantini anonimi diffusi in Alcoa contro le organizzazioni sindacali.

Presidente, Assessori, colleghi della maggioranza, forse sbaglio, spero di sbagliarmi, ma ho l'impressione che da parte vostra non ci sia la percezione esatta della gravità in cui versa il nostro apparato produttivo. Siamo di fronte al rischio di vedere cancellato un ciclo industriale che ha avuto origine a metà degli anni '60, e non c'è da parte vostra un'azione adeguata a evitare che ciò avvenga.

È vero, il 15 luglio dello scorso anno in quest'Aula si sono riuniti i massimi rappresentanti delle istituzioni e delle parti sociali; in quell'occasione un autorevole rappresentante della vostra maggioranza ha insistito sulla necessità di mettere la Sardegna dinanzi a tutto, anche alla stessa maggioranza che governa la Regione. Il giorno dopo, il 16, il Consiglio regionale votò all'unanimità un ordine del giorno in cui si invitava lei, signor Presidente, e la sua Giunta ad assumere una decisa e ferma posizione, all'insegna della ritrovata unità autonomistica, per ottenere dal Governo nazionale misure adeguate volte al superamento dell'eccezionale e straordinario stato di crisi.

Presidente, Assessori, dove sono i risultati a seguito di quella ferma posizione? Che ne è degli impegni assunti nell'ordine del giorno del Consiglio del 16 luglio scorso? Siete forse riusciti a fermare la scellerata politica di dismissione dell'ENI a Portotorres e ad Assemini? Siete forse riusciti a mantenere i livelli occupazionali del comparto industriale? Avete forse definito il piano straordinario per le politiche industriali da adottarsi nei prossimi cinque anni? Vi siete preoccupati a tal fine di assicurare una quota a valere sulle nuove entrate, previste dalla modifica dell'articolo 8 dello Statuto, a partire da quest'anno, e a rivendicare un corrispondente impegno da parte dello Stato?

Avete ottenuto assicurazioni dall'ENI volte a non modificare la sua presenza in Sardegna nei prossimi cinque anni, in attesa che si vedano gli effetti del piano di cui ho appena detto? State negoziando col Governo misure compensative dei maggiori costi dell'energia termica nelle more della realizzazione del metanodotto? A che punto è il piano regionale di servizi, delle politiche del lavoro e per l'occupazione, di cui alla legge regionale numero 20 del 2005? E infine, Presidente, a che punto sono le vostre iniziative per garantire efficacia ed efficienza alla continuità territoriale delle merci?

Finora nessun risultato che metta in sicurezza anche uno solo degli impianti industriali in crisi! Forse è utile chiedersi il perché dell'assenza di questi risultati. Ho l'impressione che ciò derivi principalmente da due ragioni. La prima risiede nella debolezza, per usare un eufemismo, della vostra proposta, segnata da confusione e da un'insufficiente conoscenza delle ragioni delle crisi industriali; e pertanto inadeguata e incapace di affrontare e aggredire i nodi della crisi. La seconda risiede nella scarsissima autorevolezza del Governo regionale della Sardegna nei confronti del Governo nazionale e, nella fattispecie, della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Queste due ragioni stanno provocando la desertificazione del nostro apparato produttivo. E' vero, presidente Cappellacci, lei è stato a diverse manifestazioni svolte a Roma in quest'ultimo periodo. L'ultima in ordine di tempo: la scorsa settimana per Alcoa di fronte all'ambasciata americana. Tuttavia, Presidente, glielo dico con grande rispetto, pur apprezzando la sua disponibilità, per me, che ho una qualche esperienza di manifestazioni, è stato mortificante non essere riusciti a farci ricevere nemmeno da un sottosegretario. Lei, essendo il Presidente, doveva preoccuparsi di far concludere quella manifestazione con un incontro istituzionale, invece si è trasformata in una umiliazione per l'intera Sardegna. Non doveva permetterlo! Vorrei che su questo lei riflettesse, la Giunta riflettesse, l'intera maggioranza riflettesse!

Senz'altro può aiutare, in questa riflessione, il contenuto della lettera che Alcoa ha fatto pervenire nella giornata di ieri ai lavoratori, ricordando loro che da parte del Governo non c'è ancora nessuna risposta esaustiva. Le chiedo: crede davvero che una soluzione, per quanto soddisfacente nel merito, ma che ha una durata di soli sei mesi, possa rappresentare una risposta esaustiva a un grande gruppo industriale che ha bisogno di progettare con un tempo lungo, almeno 5-10 anni, per il medio e lungo periodo? Ma quali garanzie diamo se programmiamo impegni soltanto per una durata di sei mesi, quand'anche questi rispondessero alle aspettative di carattere di merito?

Ancora, i giornali lo riportano oggi, ieri il Ministero ha gelato le delegazioni delle organizzazioni sindacali, ma non soltanto, anche quelle delle amministrazioni locali, dicendo che non intende fare nessuna pressione nei confronti dell'ENI per garantire la continuità lavorativa negli impianti di Vinyls. Bene, nel caso si tratta di una fideiussione; allora noi vi chiediamo di intervenire direttamente, in qualche maniera, per evitare che si fermi anche quel segmento produttivo (significherebbe, badate, il tracollo della chimica in quest'Isola) garantendo, attraverso i rapporti che potete avere con gli istituti di credito, oppure con la stessa Sfirs, le fideiussioni alla Vinyls.

Serve in buona sostanza quello che finora non c'è stato, noi vi chiediamo di fare appello all'autorevolezza, che deve avere, nonostante finora non l'abbiate dimostrata, un Governo regionale in una Regione a Statuto speciale. Voi dovete pretendere per i prossimi giorni un confronto con il Presidente del Consiglio dei ministri che non affronta le singole questioni una per una, è necessario un confronto di carattere negoziale forte tra la Sardegna e il Governo nazionale, con la presenza del Presidente del Consiglio, per affrontare tutte le questioni che abbiamo aperte nel settore del comparto industriale.

Ma, insomma, è possibile, dopo quasi un anno di governo di questa Regione, con una maggioranza omogenea in Sardegna e nel Paese, che non si riesca ad ottenere un incontro che abbia questi connotati? E' possibile che dobbiamo continuare a farci "sfilare" volta per volta pezzi importanti dei nostri settori produttivi, senza che ci sia una responsabilità da parte del Governo e della Regione nell'affrontare queste questioni?

Infine, signor Presidente, fra quindici giorni si svolgerà uno sciopero generale in quest'Isola, io vorrei non fosse liquidato, come qualcuno di voi ha fatto. Uno sciopero generale proclamato dalle organizzazioni sindacali, uno sciopero generale in cui si fermerà la Sardegna, una Sardegna che sta soffocando sotto il peso opprimente di questa crisi. E' uno sciopero non solo delle organizzazioni sindacali, è uno sciopero condiviso dalle province, dai comuni che sono stati mortificati con l'ultima finanziaria rispetto alle aspettative che hanno posto, alle richieste che hanno avanzato, non c'è stata una risposta all'altezza di quelle aspettative.

Ci sono i comuni, ripeto, che sono i primi chiamati a dare risposte ai tanti cittadini che non riescono più a sopportare il peso di questa crisi, e a loro si affianca la Pastorale del lavoro. Ma è possibile che, anche di fronte a questa determinazione, non ci sia da parte vostra, davvero, così come ha richiamato il senatore Pisanu nel luglio scorso…

Il collega Diana, con una mimica eloquente, mi fa capire che sto tediando l'Aula. Pertanto, Presidente, e concludo, io credo che lei tutto possa rimproverarci ma, certamente, non può rimproverare a questa opposizione di non aver lavorato in questi mesi per sostenere con proposte importanti, dal nostro punto di vista, l'azione di governo. Noi siamo arrivati a questa conclusione e manca totalmente, da parte vostra, un'assunzione di responsabilità nel governo di quest'Isola. Una assunzione di responsabilità che, badate, non si esaurisce soltanto partecipando ai sit in, che pure sono importanti, e alle manifestazioni; per voi questo è dovuto ma la Sardegna vi chiede, noi vi chiediamo, anche oggi, di più. E spero che ci sia la volontà di sviluppare una discussione attenta, seria, in cui ci indicate qual è la vostra idea di sviluppo di quest'Isola, che ruolo deve avere l'industria, di quale tipo di Stato sociale integrativo volete dotarvi da ora e fino a quando si esaurirà questa fase difficilissima.

PRESIDENTE. Onorevole Diana, il tempo a sua disposizione è terminato.

Ricordo che i colleghi che intendono prendere la parola devono iscriversi a parlare non oltre la conclusione del primo intervento.

E' iscritto a parlare il consigliere Rassu. Ne ha facoltà.

RASSU (P.d.L.). Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, penso che l'intervento del collega Diana possa essere in buona parte condiviso, eccetto che in un particolare di basilare importanza. Ha sempre citato la maggioranza, ma questa è una battaglia che deve essere affrontata da tutti i sardi, proprio per le motivazioni che il collega Diana ha citato all'inizio del suo significativo intervento, cioè per il fatto che questa situazione di precarietà e di smantellamento ha avuto inizio ormai trent'anni fa e nessun Governo, statale e regionale, malgrado tutte le azioni politiche e sindacali portate avanti dai lavoratori, è riuscito sino ad ora a fermarla.

Ciò vuol dire solo che c'è una chiara intenzione da parte dell'ENI (e non da oggi ma da oltre vent'anni) di smantellare la chimica in Sardegna. L'abbiamo detto altre volte, è una scelta di mercato dell'ENI e non è una scelta economica, in quanto la chimica ha mercato. E' necessario pertanto che ci impegniamo tutti, non la maggioranza di turno. Oggi c'è una maggioranza di centrodestra, fino a qualche mese fa c'era una maggioranza di centrosinistra, né l'una e né l'altra hanno saputo dare risposta nell'immediato. La nostra maggioranza ha come sua scusante, giustamente, l'essere in carica da 10 mesi: i miracoli non li fa nessuno!

Non è però un problema della sola maggioranza (la maggioranza di governo e il Governo hanno la responsabilità di proporre soluzioni, sono perfettamente d'accordo), e credo che in questi trent'anni la nostra debolezza sia stata proprio l'esserci sempre divisi su questo problema. In questi ultimi mesi stiamo assistendo invece ad una azione comune dei sardi, del popolo sardo; azione comune tra sindacato, Governo regionale, Consiglio regionale, Province, Comuni, lavoratori: tutti uniti per difendere il sacrosanto diritto al lavoro.

L'ENI non può sbaraccare e andar via dopo che per trent'anni ha fatto tutto ciò che le è piaciuto in Sardegna! Ci sta lasciando intere zone inquinate, verificate nel territorio di Porto Torres l'incidenza dei tumori, come è da verificare nel Sulcis: questa è l'eredità che ci stanno lasciando i colonizzatori di ieri e di oggi. Io sono chiaro nel dire le cose, e non possiamo permettere all'ENI e all'Enel di continuare con questa politica!

Il Governo centrale deve avere tutto il nostro appoggio, l'appoggio dell'intera Sardegna, perché è una battaglia che può essere vinta se tutti insieme facciamo capire che l'Enel non può dettare il destino economico e il futuro di una regione: noi non siamo una provincia del Burundi, siamo una regione italiana che ha gli stessi diritti e doveri delle altre regioni. Pertanto, se nel Lazio, se nel Piemonte (ma direi anche in Olanda, in Germania, in Francia), l'energia elettrica costa alle industrie 30 euro a megawatt, anche in Sardegna questo dev'essere il costo!

Le industrie non possono pagare l'energia elettrica 60 euro a megawatt, questo è uno dei fattori che concorrono al costo della produzione in Sardegna. E' necessario trovare una soluzione, è necessario far riconoscere l'insularità della nostra regione: questo è il passaggio politico, economico e sociale importante che ci permetterà di stare al passo delle altre regioni europee.

E' necessario che l'Unione europea capisca che noi siamo una regione italiana, una regione europea ma siamo un'isola, con tutte le peculiarità e con tutti gli aspetti negativi che essere un'isola comporta. Un'isola è caratterizzata, purtroppo, da un'economia chiusa, limitata, con un costo dei trasporti che incide molto di più che nelle altre regioni; in Sardegna principalmente è alto il costo del denaro, stante il rischio che corrono gli investimenti trattandosi di una regione la cui economia non è ancora strutturata a dovere, e con un costo energetico che è del 40 per cento superiore a quello delle altre regioni.

Ebbene, bisogna partire da questo punto; è necessario che il Governo regionale, assieme al Governo centrale, individui i settori d'intervento, pensi da subito - ma tutti noi non solo il Governo regionale, tutti noi - alla soluzione migliore. Se crediamo veramente nella chimica, se la chimica deve essere salvata, bisogna decidere quale chimica salvare e, contemporaneamente, indirizzare l'ENI sulla bonifica dei territori, sulla loro riconversione e riqualificazione.

Ma è una battaglia, questa, attenzione collega Diana, che possiamo vincere se siamo uniti, se non recriminiamo responsabilità dell'attuale Governo regionale o del precedente; è una battaglia di tutti i sardi, se ci crediamo uniamoci e la vinceremo, se invece continuiamo a rimbalzarci la responsabilità di mesi e di anni di ogni azione governativa, non ne usciremo mai.

E nel presente - chiedo, signor Presidente, un po' di attenzione - è indispensabile che la Giunta regionale intervenga sull'anticipazione della cassa integrazione per gli operai di Porto Torres, ma anche per i lavoratori apprendisti perché si tratta della sopravvivenza giornaliera di tante famiglie, eppure ci sono dei ritardi in tal senso, non tanto da parte dell'Assessorato quanto degli uffici.

E'indispensabile intervenire anche sull'integrazione del reddito: questo ci hanno chiesto gli operai e i lavoratori nell'immediato. Pertanto, quello che possiamo fare noi, Governo regionale, è indispensabile che venga fatto immediatamente affinché si possa lenire in qualche maniera il sacrificio di questi lavoratori che da mesi non hanno stipendi da portare alle loro famiglie. Lavoratori che stanno solo chiedendo un'accelerazione della concessione di questi proventi affinché, spettandogli di diritto, possano essere incassati al più presto.

Ma ribadisco ancora una volta che, se dobbiamo salvare la chimica in Sardegna, è necessaria un'azione comune; decidiamo qual è il tipo di chimica che vogliamo, individuiamo quali sono i settori di intervento da consolidare, studiamo assieme la strategia! Non è più il tempo né delle analisi, né delle critiche, né dei sit in, né di niente, è il tempo di sederci a un tavolo per studiare una soluzione, e bisogna studiarla assieme al Governo centrale. Non possiamo essere ostaggio oggi dell'ENI, domani dell'Enel, dopodomani chissà di chi!

Noi, tutti assieme, studiamo una soluzione per il comparto chimico, per il comparto metallurgico, per il comparto industriale nel suo insieme; solo così possiamo uscire dalla crisi perché è una battaglia del popolo sardo, è una battaglia istituzionale non è una battaglia ideologica, questo lo sappiamo tutti perché ci troviamo tutti d'accordo quando affrontiamo questi problemi in Commissione, allora restiamo uniti!

E'giusto che l'opposizione, in quanto tale, muova le sue critiche al Governo, le critiche sono anche costruttive e su questo, almeno per quanto mi riguarda, esprimo il mio personale apprezzamento; ma se vogliamo risolvere questa situazione, sediamoci, tutti noi portiamo la nostra proposta al Governo e non facciamo alcun un passo indietro obbligando il Governo, ora di centrodestra ieri di centrosinistra, a rispettare gli impegni, obbligandolo soprattutto ad aprire gli occhi e vedere che la Sardegna non è una provincia africana: è una regione italiana che ha una sua dignità!

Abbiamo dato tanto per l'Italia e per l'Europa, stiamo continuando a dare tanto, è ora di smetterla, è necessaria un'attenzione giornaliera sulle nostre problematiche perchè la situazione sta per scoppiare, con probabili conseguenze anche in materia di ordine pubblico, lo sappiamo perfettamente; prima che questo succeda lasciamo da parte le analisi, lasciamo da parte tutte le azioni eclatanti che possono essere azioni pro forma e di comodo, studiamo la soluzione e andiamo a bussare alle porte del Governo ma facendo pesare la parola del nostro popolo; il nostro popolo è popolo sardo ed è anche popolo italiano e, purtroppo, c'è un'assoluta distrazione sulla nostra regione, e questo non possiamo consentirlo.

Facciamoci sentire, il Governo regionale sta facendo la sua parte e non solo la parte politica; probabilmente, Presidente, non basta però ciò che si sta facendo, è necessario porre in essere le azioni necessarie, all'interno di quest'Aula, affinché la voce di questo Consiglio possa essere sentita una volta per tutte, perché è la voce dei sardi!

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pietro Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO PIETRO (P.D.). Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori, colleghi consiglieri, la discussione di questa mozione è l'occasione, se vogliamo l'ennesima occasione, per discutere della grave difficoltà che attanaglia la Sardegna, con la speranza che si possa contribuire a dare soluzioni.

Travolta da una crisi industriale senza precedenti, la nostra Isola rischia seriamente un tracollo sociale ed economico senza precedenti e uno spopolamento, con dati, che periodicamente vengono forniti, molto preoccupanti. Forse con un po' di ritardo, anche colto di sorpresa dall'improvviso acuirsi della crisi, tutto il mondo politico e sindacale sta cercando soluzioni unitarie, dal punto di vista strategico, per limitare i danni; tuttavia mi pare che i governanti nazionali e regionali non stiano facendo quanto necessario per far valere le nostre ragioni e ottenere risultati sulle numerose questioni aperte.

Forse tramortiti dal quadro di grande difficoltà, che abbraccia tutti i settori produttivi, non si riesce a venire a capo di una sola vertenza e i dati sono davvero incredibili.

Credo che nessuno pensi che debbano essere addebitate tutte a voi le responsabilità della crisi, però non possiamo fare a meno di notare come le scelte di governo di gestione del Paese in questo periodo di amministrazione, quasi anno, non abbiano sortito alcun risultato; non mi riferisco soltanto alla vicenda del G8 a La Maddalena e alla parziale riassegnazione dei fondi per la Sassari-Olbia, mi riferisco allo smantellamento della chimica, alla neanche tanto lenta operazione di abbattimento del polo metallurgico di Portovesme, questioni vitali per la sopravvivenza e straordinarie per la loro importanza; questioni che non hanno visto un Governo regionale all'altezza della situazione.

Spiace dirlo, ma questa non è soltanto una sensazione, la Sardegna sta diventando sempre più un luogo dove disoccupazione e disagio sociale stanno assumendo aspetti drammatici; ogni tentativo della nostra Isola rivendica diritti mentre assistiamo allo smantellamento progressivo di interi apparati produttivi che hanno rappresentato la spina dorsale della nostra economia.

Nella mozione in discussione abbiamo scelto di sottolineare, con particolare riferimento allo stato della chimica, sulla crisi occupazionale e industriale della Sardegna lo stato della vertenza Alcoa e delle produzioni energivore del Sulcis Iglesiente e di quelle in corso sulla chimica a Porto Torres e negli altri poli industriali. L'idea di fondo è che il Governo non sia solo distratto o, se vogliamo, poco incisivo, il sospetto è che la nostra Isola sia stata completamente e volutamente abbandonata al suo destino altrimenti le due più grandi partite di cui stiamo discutendo, la chimica e la metallurgia, non sarebbero a questo punto.

Inoltre, il fatto che il contenuto dell'intesa ENI sia fortemente insufficiente è sotto gli occhi di tutti; trasformare Porto Torres in un luogo di deposito per prodotti petroliferi è una cosa gravissima, depositare oltre 1 milione e mezzo di tonnellate di barili di petrolio significa far transitare in mare oltre seicento petroliere. Questo sarebbe un colpo mortale non solo per la chimica ma anche per gli altri settori dell'economia di quell'area a nord ovest della Sardegna, dal turismo alla pesca, per non parlare del rischio gravissimo per la tutela ambientale di quell'ecosistema.

Il cambio continuo di Assessori nell'Esecutivo non agevola le cose, al contrario, in questi mesi avete dato la sensazione di essere occupati a gestire soltanto i vostri problemi piuttosto che quelli della Sardegna.

La vertenza del Sulcis Iglesiente è emblematica. Un intero comparto metallurgico è stato piegato, messo in ginocchio non solo dall'arroganza e dalla prepotenza di proprietari senza scrupoli ma anche dalla non sempre brillante gestione politica della questione. La vita di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie è appesa a un filo tirato da decisioni prese in altre parti del mondo da Pittsburgh a Mosca, da Ginevra o da Zurigo a Copenhagen. Di fronte a questo scenario è necessario che il Governo nazionale sia chiaro e quello regionale ancora più chiaro e non accondiscendente, a prescindere, nei confronti di un Governo che fino ad ora al di là delle parole non ha concretizzato nulla.

In questi mesi abbiamo tutti quanti cercato di fare la nostra parte dando seriamente dimostrazioni di unità; ritengo giusto continuare a lavorare in questa direzione dando più forza a chi governa per ottenere soluzioni, tuttavia i risultati sono molto deludenti. Per l'Eurallumina, chiusa dal marzo 2009 con la promessa di una riapertura dopo un anno, che sta per passare, non si intravedono soluzioni a breve scadenza dopo quelle fatte durante la campagna elettorale direttamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri agli operai di quella fabbrica di un suo interessamento col Presidente della Russia.

La Rockwool, fabbrica di lana di roccia di proprietà danese realizzata con fondi pubblici, e che può stare concretamente in produzione realizzando utili, è occupata permanentemente degli operai da molti mesi; e ancora l'ILA, fabbrica di laminati di alluminio chiusa, e infine la vertenza delle vertenze di questo momento: la questione dell'Alcoa.

Il colosso americano, terzo produttore mondiale di alluminio, sta per dare il benservito alla Sardegna se non si dà seriamente soluzione al problema del costo energetico. Credo sia il caso di riepilogare brevemente la questione e provare a dire che, se davvero si vuole risolvere il problema, forse si è ancora in tempo. Ciò che è stato prospettato per ridurre il costo dell'energia, e renderlo competitivo rispetto a quello di altri Paesi europei, non è sufficiente e non offre le garanzie richieste.

L'interconnessione, ovvero la possibilità di acquistare energia elettrica da altri Paesi europei; la interrompibilità, ovvero la possibilità di ridurre il costo dell'energia tagliando la fornitura; il dispacciamento, ovvero il prezzo dell'energia elettrica per il trasporto dalla centrale fino alla fabbrica abbattono ovviamente il costo; costo che di partenza è di 65 euro a megawattora. Per portare questo costo a 45 euro a megawattora, anzi a 30 euro a megawatt, come richiesto, l'unica strada percorribile è quella di un accordo bilaterale con l'ENEL e questo accordo può essere richiesto e sottoscritto esclusivamente dal Governo.

Scusate, signor Presidente, e Assessori, in questa partita le cose non stanno esattamente così; mi pare che il Governo più che fare le cose le ha dette. L'Alcoa rimarrebbe in Sardegna per tutto ciò che sta, come dire, avvenendo in questi giorni, e se non avesse avuto la prospettiva di vedere ridotti i costi energetici sarebbe già andata via.

Fino ad oggi ci sono parole, ed è chiaro che di fronte alle sole parole l'Alcoa non cambierà idea, fare intendere che il Governo ha fatto quanto era possibile fare è fuorviante, non utile e offensivo, soprattutto falso. Il Governo ha detto tutto quello che si poteva fare però non ha scritto quello che si poteva fare. Affinché Alcoa deicida di investire su quella fabbrica 14 milioni di euro per riavviare gran parte delle celle elettrolitiche, per riattivare gli impianti, è necessario che il Governo concretizzi le proposte.

Insomma, signor Presidente, ci aspettiamo che lei, seriamente, rappresenti e tuteli le nostra terra, la sua gente, il suo apparato produttivo; la chimica deve stare nella nostra Isola, così come la metallurgia deve continuare a garantire i posti di lavoro. Badate, non sono partite e battaglie di retroguardia, sono battaglie di sopravvivenza di un'economia e di un popolo, 1.600.000 persone; tutti possiamo disquisire sulla necessità che il progresso e lo sviluppo economico della nostra Isola passino attraverso altre questioni, ma questa è materia della quale discuteremo magari più avanti, analizzando i programmi che avete presentato durante la campagna elettorale e che guarderemo in futuro. Adesso dobbiamo difendere, dico difendere perché abbiamo questa necessità, un apparato produttivo che è strategico anche per la nostra nazione, cioè quello dell'alluminio e quello della chimica.

Non difendere queste partite e ascoltare chi dice, si esprimono in tal senso anche alcuni consiglieri regionali, che quella è una partita oramai finita, che bisogna chiudere e rassegnarsi all'evento delle cose che accadono, è sbagliato, decisamente offensivo per tutta la nostra gente e per le lotte che sono state fatte per realizzare un comparto produttivo delle dimensioni di quello chimico, di quello metallurgico, con territori altamente compromessi dal punto di vista ambientale per centinaia di anni a venire, e ad oggi si può permettere di smantellare così le cose senza muovere un dito.

Questo non è assolutamente accettabile; dicevo quindi che la chimica deve stare nella nostra Isola, così come la metallurgia deve continuare a garantire i posti di lavoro. Per far questo è necessario avere grande forza e indipendenza e autorevolezza, superando soprattutto la sudditanza nei confronti di un Governo che alla prova dei fatti sta totalmente trascurando la nostra terra "sedotta e abbandonata" era il titolo dell'editoriale di domenica de "L'Unione Sarda"; un quotidiano non certo a voi ostile, ma che non poteva non evidenziare lo scarso peso politico di questo Governo regionale e il disinteresse sostanziale di quello nazionale.

I suoi mesi di amministrazione, signor Presidente sono stati scanditi da grandi scioperi generali; il primo del marzo 2009 per il quale non siamo riusciti ad avere risposte, il prossimo sarà infatti il 5 febbraio, in mezzo vi è la chiusura di tante realtà produttive. Per le due grandi vertenze in piedi, metallurgia e chimica, ci sono ancora margini per offrire una soluzione; questo dipende esclusivamente da voi. La Sardegna prima di tutto, signor Presidente.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Planetta. Ne ha facoltà.

PLANETTA (P.S. d'Az.). Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, colleghe e colleghi consiglieri, credo che la discussione ancora oggi e di oggi possa e debba rappresentare per noi tutti qualcosa che sappia andare oltre le ben note dichiarazioni sulla crisi dell'industria in Sardegna. Questa non vuole essere una provocazione, ma l'andamento del dibattito che sto intravedendo questa mattina risponde ancora a schemi già visti e sentiti abbondantemente. La stessa genesi della mozione ripercorre prassi collaudate e ben note come in un gioco delle parti in cui alzare i toni del confronto sembra essere l'unica strada per apparire più credibili e più emotivamente coinvolti.

Ho seguito, come tutti voi, con molta attenzione e preoccupazione l'evolversi degli avvenimenti, ho letto le dichiarazioni del Presidente della Giunta, quelle del Presidente del Consiglio, ho seguito le differenti vertenze, la manifestazione di fronte all'ambasciata americana a Roma; e oggi, proprio mentre parliamo in quest'Aula, i segretari nazionali Cgil, Cisl e Uil di categoria sono nello stabilimento Alcoa e si accingono a decidere di intraprendere un nuovo viaggio in massa a Roma per rompere gli indugi, per spingere il Governo all'ultimo sforzo.

Insomma a quanto pare questa sarà la settimana decisiva per capire il futuro dello stabilimento. Anche se, come leggiamo sul noto quotidiano locale, sembra che ciascuno degli attori in scena, a tutti i livelli, cerchi di attribuire ad altri la responsabilità ultima dello stallo e di un eventuale fallimento invece di fare qualcosa per superare l'impasse.

Voglio però rilevare che vi è poi un triste significativo aspetto dell'intera faccenda che dovrebbe destare forte preoccupazione e farci riflettere tutti. Da qualche giorno nello stabilimento Alcoa, sui cartelloni e sui muri adiacenti alla fabbrica, stanno comparendo scritte offensive, volantini anonimi contro i rappresentanti sindacali, accusati apertamente di non aver tutelato i lavoratori nella difficile vertenza che prelude alla chiusura dello stabilimento.

Io credo, colleghi, che ciò rappresenti un sintomo di grave malessere, che rischia di spaccare il movimento proprio nella fase cruciale della vertenza, ma costituisca anche l'opportunità per una riflessione approfondita che può riguardare noi tutti. Infatti, proprio quando ci si trova sul bordo di un precipizio, chi ha la delega a rappresentare e difendere una complessità di interessi comuni, nell'emergenza di una crisi drammatica, viene spesso fatto oggetto di attacchi, più volte strumentali, che mirano alla sua delegittimazione.

Questo genere di attacchi, al grido di "tanto peggio tanto meglio", sappiamo tutti che talvolta risponde a mere logiche e a equilibri di potere. Infatti colpisce indiscriminatamente sia chi è stato delegato a trattare con la controparte per risolvere una vertenza da cui dipende la sorte di quasi 2 mila lavoratori, sia la stessa rappresentanza politica e istituzionale.

Alcoa, il 7 gennaio, ha avviato la procedura di cassa integrazione per l'intero organico della fabbrica, lasciando poche possibilità di rivedere la propria posizione, quantunque le risposte alle tariffe energetiche fornite dal Ministero dello sviluppo economico avrebbero dovuto convincere la società americana a rivedere la propria decisione. Ebbene, colleghi, io su questa questione non sono per nulla ottimista, e lo voglio dire a chiare lettere, questo è anzi l'ennesimo fallimento, l'epilogo dei passati modelli di governo delle nostre risorse, di sviluppo paracoloniale, che ha visto ancora il protagonismo e l'autorevolezza della classe politica sarda mancare.

Uno sviluppo che ha assunto tratti schizofrenici e degenerativi soprattutto con la disastrosa avventura delle Partecipazioni statali e con la genesi della cultura dell'assistenza. Tutto ciò, dunque, non nasce in questi giorni, in questi mesi, e neppure in questi ultimi anni, ma ha origini lontane, strutturali, e ha avuto effetti economici devastanti, con riflessi gravissimi sull'intero corpo sociale che è stato lentamente intossicato e aggredito nella sua vitalità, ritrovandosi quasi stremato, ridotto in una condizione di vulnerabilità, e in molti casi totalmente incapace di difese.

Questo è il vero problema, questo è il reale e drammatico vizio d'origine di tutti i nostri mali. Io credo che oggi, colleghi, le parole vadano soltanto ad aggiungersi alle tante già pronunciate, già sentite in analoghe occasioni; le parole da sole non bastano più, come neppure bastano le cicliche mozioni sull'argomento, anche puntuali nelle loro analisi, che però si allontanano nei fatti dalle ragioni delle finalità proclamate e assumono la valenza di una convenzionale liturgia.

Ho imparato, assieme a tanti sardi, che di parole spesso si campa e si invecchia, mentre oggi vi è bisogno di gesti forti, di azioni eclatanti e unitarie che guardino in faccia i veri nemici della Sardegna che, soprattutto, non devono vederci loro complici solo per partito preso. Dico semplicemente che ora deve arrivare il tempo dei fatti.

Ripeto un concetto: molti di coloro che fanno politica spesso recitano una parte in una commedia a seconda che al momento si governi o si stia all'opposizione, e che il Governo di Roma sia amico oppure no. Ecco, ho detto più volte che il vero peccato originale della classe politica sarda è proprio questa subalternità intermittente, schizofrenica al Governo romano. Oggi anche questa discussione rischia purtroppo, scusatemi, di determinare e alimentare ulteriori divisioni e conflitti fra chi dovrebbe rappresentare solo gli interessi del popolo sardo, ma queste divisioni, questi conflitti fanno anche altre vittime, che oggi, nell'immediato, sono i lavoratori e le loro famiglie. E, per finire, voglio aggiungere all'elenco delle vittime di queste divisioni e di questi conflitti anche la verità e l'onestà intellettuale di alcuni di noi, e pure la nostra consapevolezza del diritto di poter essere davvero noi padroni in casa nostra.

Concludo dichiarando un'evidenza che è ormai sotto gli occhi di tutti: l'avventura dell'industria pesante in Sardegna è finita. Questo è dimostrato dalla palese strategia di progressiva ritirata di Alcoa e dell'ENI in tutta la Sardegna; ma purtroppo questa nefasta avventura è anche finita con una delle più grandi devastazioni dell'ambiente per l'inquinamento da composti chimici e metalli pericolosi; e la salute del nostro popolo credo non si debba e non si possa barattare con la richiesta del mantenimento di quelle medesime iniziative che hanno determinato tali scempi nella nostra Isola, trattata ancora una volta alla stregua di una colonia.

Voglio però precisare che quando affermo che l'industria pesante e la chimica che c'è ancora oggi Sardegna non hanno più futuro, dico qualcosa che vorrebbe innanzitutto richiamare il coraggio e l'onestà delle istituzioni della politica, delle parti sociali a saper guardare avanti, a cercare insomma di prevedere con senso di responsabilità civile quanto accadrà nei prossimi anni. Si tratta, in definitiva, di riprogettare fin da ora il futuro del nostro territorio, sapendo che dobbiamo essere in grado di affrontare per davvero il problema delle bonifiche e la riconversione dell'intero settore, nonché la riqualificazione ambientale e infrastrutturale delle aree interessate. Bisogna rompere i tabù e la retorica della centralità strategica dell'industria pesante, più in generale dell'intero polo chimico ed energetico sardo.

Questo va fatto prescindendo dalla difesa più inflessibile degli attuali livelli occupazionali, che vanno tutelati e mantenuti inderogabilmente; come, con uguale determinazione, vanno ricercate e recuperate le risorse necessarie ad accelerare la stipula degli accordi di programma finalizzati alla bonifica delle aree inquinate.

Io, colleghi, credo che essere concreti e realisti significhi innanzitutto saper guardare al futuro, ed è perciò che io guardo…

PRESIDENTE. Onorevole Planetta, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Sechi. Ne ha facoltà.

SECHI (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Signor Presidente, signor Presidente della Giunta, io credo che già dai primi interventi in quest'Aula emerga la drammaticità della crisi generale, oltre che di quella industriale nello specifico, che attraversa la Sardegna. Il collega Giampaolo Diana, nel suo intervento, ha citato dei dati; fra questi il dato relativo al numero dei cassaintegrati, 4.000, e quello relativo al numero dei posti di lavoro, 30.000, persi nello scorso anno, il 2009,

Io credo che questi dati debbano mettere tutti, responsabilmente, di fronte a questa situazione; una situazione a mio avviso difficile da risolvere, ma che deve vedere tutti impegnati in un tentativo disperato di affrontare (oggi stiamo parlando della crisi dell'industria) una crisi generale che colpisce tutti i settori, anche quelli che definiamo trainanti dell'economia sarda, come l'agricoltura, la pastorizia, la pesca, l'artigianato, il commercio, perfino il turismo sta cominciando a manifestare segni di preoccupante crisi e défaillance.

Sempre per effetto della crisi i settori più deboli della società sarda incominciano a denunciare situazioni di maggiore disagio; è il caso dei portatori di disabilità gravi che oggi a Cagliari protestano contro i preannunciati tagli alla "162", rivendicando un ripristino di quei fondi per far fronte alle loro difficoltà.

Come uscire da questa crisi? Io incentrerò il mio intervento sulla situazione (è quella che conosco meglio) delle industrie di Porto Torres; da anni ormai queste industrie vivono una congiuntura schizofrenica per il verificarsi di alcuni fatti incomprensibili.

Per introdurre questo argomento, porterò l'esempio dell'Innse-Presse, la storica fabbrica milanese ex Innocenti, i cui impianti, benché altamente competitivi (è per questo motivo che faccio questo riferimento), l'estate scorsa hanno rischiato di essere spacchettati e rottamati. All'origine di quel paradossale caso di schizofrenia economica vi era il fatto che, in un momento di grave difficoltà congiunturale, l'azienda era stata svenduta non a un industriale del settore, ma a un commerciante di rottami, un imprenditore d'assalto che, a dispetto di ogni interesse sociale, aveva pianificato di realizzare l'affare della sua vita chiudendo la fabbrica, licenziando le maestranze, vendendo i macchinari e riutilizzando i terreni in una gigantesca speculazione edilizia legata alle alte potenzialità abitative previste dalle aree industriali dismesse nella zona di Lambrate.

Quella fabbrica poi, come è noto, venne salvata grazie all'azione dell'opinione pubblica sostenuta dalla stampa italiana. Da qualche tempo le vicende del Petrolchimico di Porto Torres presentano non poche inquietanti somiglianze con quelle dell'Innse. Certo, l'ENI che controlla il grosso del ciclo petrolchimico di Porto Torres-Assemini non è il commerciante di rottami dell'Innse, eppure la mancanza di investimenti e la scarsità di risorse che l'ENI destina all'efficienza degli impianti, non trovano giustificazione se non all'interno di una calcolata strategia di dismissioni che rinvia all'ormai pluriennale e progressivo disimpegno dell'ENI dall'industria petrolchimica in Sardegna.

Non è questa la sede per analizzare le molteplici cause nazionali e internazionali della crescente marginalità delle produzioni petrolchimiche italiane nel quadro delle nuove strategie finanziarie e commerciali che caratterizzano la recente trasformazione dell'ENI in una Energy Company, ormai presente, come recita una scheda aziendale, in ben 70 Paesi al mondo, e impegnata a tutto campo in attività di ricerca, produzione, trasporto, trasformazione e commercializzazione di petrolio e gas naturale, e quindi di energia.

Ma la comunità regionale e quella nazionale possono permettersi di perdere i pezzi più significativi e pregiati delle loro economie industriali? E, nel caso della zona industriale di Porto Torres, l'intera società sarda e, per essa, i comuni dei territori direttamente interessati, la provincia e la Regione possono rinunciare a difendere un patrimonio industriale, tuttora economicamente valido, che sostiene un ganglio vitale dell'apparato economico isolano, e insieme uno dei pochi pilastri produttivi dell'economia della società del Nord Sardegna?

Ma, oltre che alle conseguenze economiche e sociali, si è davvero pensato alle irreversibili ripercussioni culturali che si determinerebbero sulla società circostante e perfino sull'università, dove sono presenti un corso di laurea e un eccellente Dipartimento di chimica con solidi collegamenti scientifici internazionali? E, proprio in questi giorni, (per questo la cito) il rettore dell'Università di Sassari, Mastino, e i suoi colleghi del rettorato hanno fatto visita agli stabilimenti di Porto Torres, schierandosi al fianco degli operai e assumendo una posizione pubblica in difesa dell'industria petrolchimica in Sardegna, contro la dispersione dei tecnici e delle maestranze altamente qualificate e la conseguente perdita del prezioso patrimonio di esperienze industriali e di competenze tecniche che esse rappresentano.

E si può forse immaginare che l'irrinunciabile attività di bonifica dei siti inquinati possano sostituire il ruolo delle attività produttive che oggi insistono in quell'area? E possiamo davvero pensare che dalla manutenzione dei serbatoi di stoccaggio dei prodotti petroliferi possa scaturire un loro utilizzo su larga scala senza entrare in totale rotta di collisione con le compatibilità ambientali di quel delicato specchio di mare, e non solo, su cui si affaccia il Parco naturale dell'Asinara?

E una volta che si bonificheranno i siti, si potrà davvero sperare in una mirata riqualificazione delle attività produttive, dato che nel frattempo non si è cercato di tenere proficuamente in funzione le infrastrutture industriali ora esistenti?

E come si può pensare che un'opinione pubblica, ferita da tanti anni di irresponsabili disastri ambientali, possa convincersi che anche in Sardegna siano possibili una chimica moderna e un'industria sostenibile quando tutti i giorni si può verificare che ancora stentano a decollare quei controlli pubblici, rigorosi e indipendenti che l'Agenzia regionale per l'ambiente in Sardegna dovrebbe già garantire?

Su un punto, tuttavia, tanto i tecnici che i ricercatori universitari come anche i rappresentanti sindacali e i dirigenti industriali hanno particolarmente insistito con dati inequivocabili, e cioè che il petrolchimico di Porto Torres, integrato con il ciclo cloro-soda dei moderni e competitivi impianti della Syndial ad Assemini e della ex Ineos-Vinyls a Porto Torres, potrebbe migliorare notevolmente la sua efficienza produttiva se solo beneficiasse di alcuni investimenti e di adeguate strategie industriali. Si collegano a questa basilare considerazione due problemi cruciali che toccano alcuni nervi scoperti delle politiche dell'ENI.

In primo luogo l'opportunità di rivolgersi a E.ON, il gruppo industriale subentrato a ENDESA, per negoziare, nel quadro della costruzione della nuova centrale elettrica a ciclo ipercritico di Fiumesanto, la fornitura dell'energia termica necessaria per il funzionamento del petrolchimico. L'accordo presenterebbe notevoli e reciproche convenienze, e consentirebbe all'ENI di spegnere definitivamente una centrale termica costosa, obsoleta e, soprattutto, inquinante.

In secondo luogo la necessità di programmare la ripresa di tutte le linee produttive della zona industriale, compresi gli impianti del cumene e del fenolo per ottimizzare la resa del cuore del sistema, il cracking, il cui equilibrio produttivo appare indissolubilmente legato alla disponibilità dell'ENI a favorire l'integrazione produttiva dei due moderni impianti ex Ineos-Vinyls per la produzione di VCM e del pregiato PVC Emulsion, unico impianto in Italia, ora in amministrazione controllata in attesa di un nuovo acquirente.

Ma come convincere un interlocutore recalcitrante e poco interessato come l'ENI ad assumersi per intero tutte le sue responsabilità e a prestare la sua collaborazione o, quanto meno, a lasciare campo libero ad altri operatori laddove non intendesse assumerle? Come indurlo ad assicurare gli investimenti e le politiche industriali che permettano a stabilimenti e filiere produttive, economicamente valide, di tenersi al passo con i nuovi standard tecnologici e con l'evoluzione dei mercati? La capacità contrattuale dipende dai rapporti di forza nella società, restano decisivi il ruolo e la responsabilità delle classi dirigenti, la sensibilità dell'opinione pubblica, della politica e delle istituzioni.

L'ENI è una enorme SpA in cui le uniche partecipazioni azionarie rilevanti sono nelle mani del Ministero dell'economia - oltre il 20 per cento - e della Cassa depositi e prestiti SpA - quasi il 10 per cento -. E' evidente che il bandolo della matassa è nelle mani del Governo nazionale, ma la compattezza del fronte sindacale (vi facevo riferimento prima per l'esempio lombardo), delle istituzioni locali e della società sarda nel suo complesso sono indispensabile presupposto di un efficace vertenza con il Governo di Roma, o si riprende a rivendicare anche in campo…

PRESIDENTE. Onorevole Sechi, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Campus. Ne ha facoltà.

CAMPUS (P.d.L.). Rinuncio.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Ben Amara. Ne ha facoltà.

BEN AMARA (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, cari colleghi, visto che la memoria è la progettazione verso il futuro preciso che il tasso di occupazione in Sardegna, secondo i dati Istat relativi al primo trimestre 2009, ha subito una forte riduzione rispetto all'anno precedente, attestandosi a un valore del 49,4 per cento; le domande di disoccupazione ordinaria pervenute all'Inps hanno registrato un tasso del 44 per cento, e la cassa integrazione ordinaria ha segnato un aumento dell'87 per cento; peraltro, in alcune aree della Sardegna, quale ad esempio la Gallura, il ricorso alla cassa integrazione nel 2009 sarebbe aumentato del 300 per cento.

Il 2010 rischia, dunque, di essere un anno ancora peggiore. Il quadro è sconfortante, la crisi del lavoro è causa dello stato di povertà che in Sardegna riguarda 330.000 persone. Le multinazionali vanno via dopo aver depredato l'Isola e i fondi dello Stato messi a disposizione per l'investimento, lasciando la triste eredità fatta di inquinamento, desertificazione, crisi occupazionale e sociale che condanna centinaia di migliaia di persone e le loro famiglie alla disperazione.

La Sardegna è priva di valide risorse in alternativa all'industria petrolchimica, e, di conseguenza, è soggetta agli umori delle grandi multinazionali insediate nei territori e alle congiunture di un mercato sempre più globalizzato, veloce, concorrenziale. L'industria sarda va vivendo un momento di inesorabile declino da nord, con Vinyls e Polimeri Europa, passando per la Equipolymers di Ottana per arrivare a sud con Eurallumina e Alcoa, solo per citare le industrie che maggiormente hanno avuto risalto nella cronaca televisiva e sulla carta stampata.

Lo Stato deve intervenire in modo forte per risolvere la situazione, come è avvenuto per la Equipolymers che, dopo la trattativa con il ministro Scajola, ha deciso di non chiudere salvando 160 posti di lavoro; ed è fondamentale poi riuscire a dimezzare i costi dell'energia, il vero problema che accomuna tutte le industrie dislocate nel nostro territorio. Non è accettabile che in Italia il prezzo dell'energia sia esattamente il doppio di quello praticato dal resto dei Paesi europei.

Tutto è partito da un annuncio dell'ENI di chiudere temporaneamente l'impianto di cracking di Porto Torres. Per salvare il salvabile i lavoratori, tramite i sindacati, sono stati costretti a cedere a un ignobile ricatto: l'ENI accetta di non andare via da Porto Torres, ma a condizione che si costruisca il più grande deposito nazionale di idrocarburi, capace di servire tutto il Mediterraneo. Accordo scellerato, non si può definirlo diversamente, dato che con la realizzazione di questo deposito si verificherà l'aumento del traffico di petroliere di sessanta unità all'anno nel Golfo dell'Asinara, proprio in una zona pericolosa, nelle vicinanze del parco marino, dove a causa delle forti correnti marine ed esposizione ai venti è facile che si verifichino incidenti e disastri ecologici.

Inoltre è ormai noto che negli intenti dell'ENI è previsto un abbandono della chimica in ragione dell'energia, e questo comprometterà l'intera economia del territorio, oltre che l'ambiente. L'ENI fa i suoi comodi, fa più soldi, ci espone a pericoli e disastri ambientali tali che, in confronto, il disastro che l'amministrazione della Provincia ha fatto con il Poetto sarebbe nulla.

Dobbiamo impegnarci, innanzitutto, nell'attuazione di una politica energetica che dia vita a un polo energetico delle fonti rinnovabili tra Macomer e Ottana, realizzare velocemente quell'infrastruttura per la quale sono stati stanziati 400 milioni di euro in bilancio, prevedere incentivi fiscali sul costo del lavoro che siano concordati con l'Unione Europea, attivarci perché venga riconosciuto il nostro stato di svantaggio dovuto all'insularità e quindi vengano previste per legge delle tariffe agevolate per i trasporti, studiare per realizzare un progetto per la rinascita economica della Sardegna che miri ai suoi punti di forza: allevamento, agricoltura, incentivazione del consumo e dei prodotti locali, turismo, artigianato e promozione della cultura sarda e dei nostri prodotti all'estero, a iniziare dal bacino del Mediterraneo. Ciò che deve contare è il lavoro come strumento di dignità umana, come strumento di libertà e di autodeterminazione dell'uomo.

Cari colleghi, paradossalmente direi che la decrescita potrebbe essere la soluzione in Sardegna. La decrescita è una buona notizia perché può creare lo shock necessario per risvegliarci e farci uscire dalla nostra schizofrenia, non solo quella dei nostri Governi che hanno firmato il Protocollo di Kyoto e vogliono rilanciare le centrali nucleari o l'industria dell'auto, ma la nostra stessa schizofrenia perché siamo diventati tossicodipendenti della società dei consumi, del lavoralismo e ci siamo lasciati cadere nella trappola del prodotto interno lordo.

Tutto questo ha prodotto inquinamento, malattie, distruzione dell'ecosistema, ingiustizia sociale. Non c'è niente di peggio di una società lavorista senza lavoro, non c'è niente di peggio di una società della crescita senza crescita, visto che una tale società si basa su un modello di economia che ha come unico fine una crescita illimitata. Se la crescita non c'è ci sarà disoccupazione, meno soldi per la cultura, per la ricerca, per la salute e per l'ambiente, ed è per questo che dobbiamo uscire dalla società della crescita e imboccare un'altra strada che porta alla vera crescita, quella dell'autosufficienza e della sicurezza alimentare, senza veleni. Potete anche copiare, plagiare anche altri Paesi, pensate al caso Irlanda. Plagiate un po'!

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Stochino. Ne ha facoltà.

STOCHINO (P.d.L.). Rinuncio.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Massimo Zedda. Ne ha facoltà.

ZEDDA MASSIMO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, nel discutere la mozione presentata da tutti i colleghi del centrosinistra, mi soffermerò sulla situazione di crisi dell'economia, e dell'industria in particolare, in Sardegna. Noi subiamo una crisi economica che colpisce soprattutto coloro che lavorano ma hanno difficoltà ad arrivare a fine mese; coloro che rischiano di perdere il posto di lavoro (il collega Cocco nel suo intervento ha citato diversi esempi); coloro che hanno meno possibilità di trovare lavoro a causa della chiusura delle industrie e delle difficoltà che incontrano anche altre imprese.

In questo quadro si inserisce lo smantellamento dell'industria che, per come la conosciamo, è giustificato da costi non sopportabili; lo spostamento di industrie in Europa di Paese in Paese, di Stato in Stato. Le industrie arrivate anche in Sardegna grazie all'Obiettivo 1, quindi grazie ai finanziamenti europei, stabiliscono in Sardegna la loro sede, utilizzano quelle risorse, la Sardegna interviene economicamente anche creando infrastrutture e quant'altro serve per aiutare queste imprese a operare e, poi, un esempio è la Rockwoll, finite le risorse europee l'impresa si sposta laddove ci sono altri finanziamenti, sempre all'interno dell'Europa.

Noi non abbiamo una grande rappresentanza a livello europeo, ma abbiamo un parlamentare europeo e il Presidente della Giunta regionale partecipa comunque alle riunioni degli organismi dell'Unione Europea, per cui potrebbe sicuramente intervenire anche su questa questione. Non è possibile che un'impresa, a seconda degli incentivi, si sposti di Stato in Stato, utilizzando sempre risorse pubbliche, perchè sono pubbliche anche le risorse europee, e poi lasci disoccupazione ogni volta che effettua uno di questi spostamenti per avere sempre maggiori guadagni.

Ma, in particolar modo la crisi è una crisi di fiducia e di speranza dei lavoratori, delle imprese, degli imprenditori, dei sindacati, dei rappresentanti degli enti locali nei nostri confronti, e cioè nella possibilità che la politica, tutti noi, lei, Presidente del Consiglio regionale, il Presidente della Giunta e gli Assessori, insomma ognuno di noi, sia nelle condizioni e abbia la forza di mettere rimedio, di porre un paletto perché si blocchi questa situazione e vi si sia un'inversione di rotta.

L'ENI, come si è detto, attua una nuova politica economica di smantellamento delle industrie, in particolar modo in Sardegna. Sono colpite, per lo smantellamento di altre industrie, zone come Porto Torres, come ha detto il collega Ben Amara, fino al Sulcis Iglesiente. Inoltre c'è il rischio di una dislocazione in quell'area del maggior bacino di stoccaggio di idrocarburi dell'intero Mediterraneo, e questo contrasta con la richiesta avanzata dalla Corsica e dalla Sardegna di vietare alle petroliere di passare nelle zone di maggior pregio quali l'arcipelago di La Maddalena e l'interno delle bocche di Bonifacio.

Ebbene, la Regione non si potrà limitare ai sit-in, alle manifestazioni, alle assemblee, alla solidarietà nei confronti delle organizzazioni sindacali, dei lavoratori e di quanti soffrono questa crisi. Alle istituzioni, a voi, a ognuno di noi si chiede di esigere che il Governo nazionale svolga al meglio il suo ruolo intervenendo sull'ENI e su queste imprese a livello europeo abbattendo anche i costi dell'energia in modo tale che venga meno la "scusa" del costo e queste imprese possano rimanere in Sardegna. E' un modo di "vedere le carte" per verificare se queste imprese hanno realmente la necessità di un abbattimento del costo energetico o se hanno semplicemente deciso di smantellare le loro imprese in Sardegna.

Non mi convince poi il ragionamento dell'onorevole Planetta sulle Partecipazioni statali; perlomeno allo Stato, al di là infatti dell'ultima fase, pessima, delle Partecipazioni statali degli anni '80, a seguito degli interventi pubblici di sostegno all'industria e alle imprese rimaneva il capannone! Oggi allo Stato, a noi sardi, nonostante gli interventi pubblici di sostegno a quelle imprese (basta vedere che cosa è avvenuto a Ottana con la 488/92), non rimane neanche il capannone, per quanto vuoto sia! Rimane semplicemente l'inquinamento, rimane semplicemente la disoccupazione.

Ebbene, l'ENI, ma di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando forse di un'impresa in crisi che quindi ha bisogno chiudere, di smantellare, di dislocare altrove, di riorganizzare la propria struttura? L'ENI è un'impresa integrata che opera in 70 Paesi e ha 79 mila dipendenti. La rivista "Forbes" pubblica una classifica sulle maggiori società al mondo: su 2 mila gruppi a livello mondiale l'ENI si colloca al trentottesimo posto. E' il quinto gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari. Nel 2006: ricavi 86 miliardi, utile netto 9,2 miliardi. I ricavi nel '96 erano stati pari a 29 miliardi. Nel 2007: ricavi 87 miliardi, utile netto 10 miliardi e più. Nel 2008: ricavi 108 miliardi, partecipazioni per 26,7 miliardi in 368 controllate, 202 collegate e altre 35 aziende.

Non stiamo parlando pertanto di un ente in crisi, stiamo parlando semplicemente di un ente pubblico-economico, quale era l'ENI fino al '92 poi privatizzato nel '95, stiamo parlando di aziende pubbliche di fatto controllate dallo Stato (ricordo che lo Stato detiene il 30 per cento di quota azionaria dell'ENI), che vivono per quanto riguarda la maggior parte delle loro risorse di risorse pubbliche, che operano avendo completamente dimenticato la solidarietà di impresa. Tagliano laddove possono tagliare per avere ulteriori ricavi, perché dietro posti di lavoro non ci sono persone ma ci sono semplicemente costi.

Ebbene, a questo bisogna rispondere perché altrimenti, Presidente, Assessori, Presidente del Consiglio, occorrerebbe ricordare la metafora di Mattei sulla politica. Per carità, Mattei intendeva riferirsi alla corruzione presente all'interno della politica italiana e, ovviamente, non è questo il caso e non uso la metafora in questo senso. Mattei a una domanda di un giornalista, che gli chiedeva che cosa fosse per lui la politica, rispose: "Per me la politica è come un taxi, lo chiamo, ci salgo, lo pago, mi faccio portare dove voglio e scendo".

Mattei sicuramente aveva rilanciato l'ENI nel mondo e viene ricordato ancora oggi come uno dei grandi uomini dell'economia e dell'impresa italiana, però quella metafora (Mattei scherzava perché si sentiva superiore persino alla politica) non vorrei che oggi l'ENI l'applicasse nei confronti della Sardegna: ci sono salito, l'ho utilizzata, ho sistemato lì le mie imprese e poi me ne sono andato.

L'ENI però in questo caso non ci ha pagato, ha lasciato e lascerà per il futuro costi in termini di posti di lavoro persi e in termini economici per la messa in sicurezza e la bonifica dei tanti siti dove ha operato. Io non mi auguro questo, però a tutti noi, a voi, a lei Presidente del Consiglio, Assessori, Presidente della Regione il compito di incalzare il Governo nazionale perché questo non avvenga.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà. Poiché non è presente in Aula, decade.

E' iscritto a parlare il consigliere Lotto. Ne ha facoltà.

LOTTO (P.D.). Presidente, intervengo per svolgere alcune brevi considerazioni su questo tema unico richiamato dalle due mozioni. Di fatto pongono all'attenzione con due argomentazioni precise il gravissimo stato dell'economia della nostra Isola. Due mozioni e un unico problema: lo smantellamento in atto del tessuto industriale sardo. I simboli principali sono rappresentati dalla chimica di Porto Torres, sempre più in agonia e dal polo industriale del Sulcis Iglesiente che sta subendo la stessa sorte. E' una situazione, la crisi di queste due realtà industriali, che la Sardegna non si può permettere, che la Sardegna non può accettare.

L'analisi approfondita, e anche cruda, che ha fatto l'onorevole Diana nell'illustrare le due mozioni ci racconta di una situazione assolutamente drammatica. Quando noi parliamo di 120 mila occupati precari da una parte e di 120 mila, 130 mila disoccupati, di fatto stiamo rappresentando una situazione di una popolazione enorme che in Sardegna sta cercando lavoro.

Noi non possiamo assolutamente sopportare, come Regione, che i posti di lavoro esistenti vengano persi. I posti di lavoro esistenti sono pochi, troppo pochi perché ciascuno di loro non possa essere considerato assolutamente prezioso e salvaguardato. La debolezza del tessuto industriale sardo, già grave ed evidenziata dai numeri che sono stati citati nell'introduzione, non può essere assolutamente accentuata, non può essere aggravata ulteriormente.

C'è una discussione in atto nella nostra Isola sul ruolo che deve avere in prospettiva l'industria e sul ruolo che devono avere in prospettiva il turismo ed i servizi. Credo che se ci attardiamo a discutere di questo perdiamo tempo, secondo me, e non rispondiamo all'esigenza invece di trovare delle soluzioni economiche di sviluppo, non dico alternative al già debolissimo tessuto industriale, ma aggiuntive; perché non siamo in una regione dove possiamo dire: dobbiamo far cambiare lavoro a tanta gente perché quel tipo di lavoro nel settore dell'industria non ci piace perché inquina, "perché qua, perché la".

Noi dobbiamo creare situazioni di lavoro per chi non ce l'ha e persone che lavoro non ne hanno in Sardegna purtroppo ce ne sono tantissime, come anche ce ne sono tantissime, di persone, che hanno un lavoro precario e che da un giorno all'altro possono perderlo. Allora, discutere se il tessuto industriale esistente debba essere o no salvato non può essere un argomento nella nostra disponibilità. Noi non possiamo avere indecisioni al riguardo, l'industria deve essere - quella che c'è - salvata, se possibile va ampliata e questo però, ovviamente, non ci può impedire, anzi ci deve spingere a ricercare lo sviluppo degli altri settori che in situazioni floride non sono.

Qualcuno ha citato il turismo, io ricordo l'agricoltura, avremo occasione di parlarne in una delle prossime discussioni; anche in quel settore abbiamo una situazione drammatica, ma i posti di lavoro stanno reggendo sugli enormi sacrifici che stanno facendo i lavoratori di quel settore. A questo punto le energie vanno destinate verso gli altri settori produttivi riguardo ai quali rimane tantissimo da pensare.

Non possiamo permetterci il lusso, infatti, di cercare alternative a chi già lavora nel settore industriale. Nei confronti di questi lavoratori dobbiamo avere la forza di mantenere fermo l'impegno di salvaguardare le realtà produttive in cui operano. Ecco perché nei confronti del Governo serve che si metta in piedi un'azione forte, unitaria, dell'intero Consiglio e della Giunta regionale affinché il Governo non possa essere neanche sfiorato dal dubbio se intervenire o meno sull'ENI, affinché salvaguardi il polo industriale di Porto Torres e le altre realtà industriali della Sardegna; su queste questioni non possono esserci delle indecisioni.

Noi non possiamo permetterci che l'ENI decida in merito all'intero settore industriale della nostra Isola perchè è un tema che non può essere messo in discussione: ci vuole maggiore convinzione, ci vuole maggiore decisione. Il Governo nazionale deve molto a questa Giunta regionale, deve delle risposte precise e in tempi ragionevoli. Le preoccupazioni, e mi avvio a chiudere, che ci rappresentava l'onorevole Diana sullo stato di tensione che sta crescendo in queste realtà mano a mano che il tempo passa, ci devono assolutamente richiamare alla necessità di pretendere e di ottenere, da chi ha la possibilità di intervenire e di decidere, risposte immediate e positive.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.

ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, ripartendo dall'ENI, l'ENI non solo può andarsene ma, a mio avviso, dopo trent'anni di veleni deve andarsene. Veleni per i sardi e per il nostro territorio; voglio anche ricordare che il 14 per cento della diossina europea è prodotta a Porto Torres. Penso proprio, quindi, che il nostro popolo debba trovare il coraggio di rinunciare alle lotte per il pane avvelenato.

Il modello industriale imposto qui in Sardegna era fallito sin dall'inizio, e adesso cogliamo i suoi frutti ammalati. Negli anni della sua attività nel nostro territorio l'ENI oltre ai disastri ambientali, alle malattie per le popolazioni, nell'ambito di ogni sua organizzazione ha riservato ai sardi, tutte le volte, gravi perdite di posti di lavoro.

E' tempo che la Regione Sardegna prenda atto che l'era dell'industria è finita; perciò, più che orientarsi a richiedere la persistenza di settori industriali nella nostra Isola, magari i peggiori, i più pericolosi, è necessario che esca dalla sua sudditanza e, con la sua grande forza contrattuale, perché ce l'ha, chieda allo Stato italiano di intervenire per risarcire l'Isola dei danni subìti. Danni alle persone, in termini di salute, e all'ambiente.

La Regione Sardegna deve imporre allo Stato di assumersi le sue responsabilità, quantificando i danni prodotti dall'industria e investendo nell'Isola per il ripristino degli equilibri ambientali e per la sua rinaturalizzazione.

E con questo mi riferisco al grave inquinamento terra-mare-aria. I danni sono talmente ingenti che solo con la bonifica territoriale si garantirebbero migliaia di posti di lavoro per decine di anni a operai e a numerosi giovani sardi laureati, e chiaramente a spasso. Alle rovine dell'industria, prima dell'industria mineraria e successivamente di quella petrolchimica, si aggiungono oggi le rovine delle nostre economie tradizionali e culturali ormai al crollo finale e per le quali la Regione Sardegna continua ad essere immobile; e mi voglio riferire anche alla necessità del riconoscimento dello stato di crisi per il settore agro-pastorale ormai allo stremo.

Troppe volte qui si è parlato di autonomia, così giusto per dire, ma se davvero vogliamo salvare ciò che resta dell'autonomia, così mal gestita in questi decenni, è necessario che si proceda verso l'autogoverno nel rispetto delle regole della nostra tradizione.

Per l'autonomia e per l'indipendenza non ci vogliono solo parole, ci vogliono i fatti concreti. La decrescita di cui ha parlato il collega Ben Amara è la sola strada che consentirebbe all'economia sarda producendo beni reali e non merci inutili, sviluppo e lavoro pulito.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Giacomo Sanna. Ne ha facoltà.

SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Io credo che l'ulteriore discussione su questo tema oggi non possa finire come altre volte solo ed esclusivamente con dichiarazioni di solidarietà ai lavoratori, perché se così fosse sarebbe un segnale di assoluta debolezza. Noi, oggi, non siamo in condizioni di trattare questa materia, così delicata e in un momento così grave del sistema economico e sociale di quest'isola, affrontando solo ed esclusivamente battaglie oppure mettendo in trincea le popolazioni, i territori, contro l'ENI, contro le multinazionali nella difesa esclusiva del posto di lavoro. Sarebbe un segnale di debolezza vera.

Parliamo d'Europa, e ne ho sentito parlare anche stamattina per l'ennesima volta, ma proprio quegli europeisti che hanno osannato l'Europa, non molto tempo fa, devono tenere presente che quando si hanno cessioni di sovranità in materie importanti come quella che stiamo trattando, come l'agricoltura ed altro, per cui le regole non dipendono più da noi, ma le stabiliscono altri, in quel di Bruxelles, la nostra debolezza emerge. Emerge in termini tali da far paura, emerge perché non siamo in condizioni di affrontare con le energie a nostra disposizione un mercato come quello.

Siamo la parte più debole, non abbiamo rappresentanti, quindi non abbiamo voce e nessuno ci venga a dire che ci rappresenta o che va al Parlamento europeo per rappresentare la Sardegna. Lasciamo perdere, queste cose le abbiamo già sentite. Non possiamo nasconderci, invece, di essere arrivati al capolinea, con territori estremamente compromessi non solo sotto l'aspetto occupazionale, ma anche sotto quello ambientale perché negli anni, essendo il dio lavoro al di sopra di tutto e di tutti, abbiamo consentito di fare cose indegne, abbiamo consentito di inquinare l'anima, non solo i nostri territori.

Vi voglio ricordare l'indagine attuata cinque anni fa dalla ASL di Carbonia-Iglesias, dalla quale era emerso il dato pauroso, preoccupante, che i ragazzi di quel territorio, quei bambini avevano una presenza di veleni nel sangue cinque volte superiore a quelle di altre realtà. Erano indagini ufficiali che qualcuno ha voluto tenere nascoste (e fummo noi per primi a parlare di quei dati), non le ha voluto portare all'attenzione perchè non si voleva creare preoccupazione; ma la preoccupazione era altra, era quella di non disturbare la multinazionale perché la paura vera era quella che stiamo vivendo oggi. La paura vera era quella che stiamo vivendo oggi!

Guardate, noi abbiamo un obbligo non solo di lamentarci, di "pietire", di dare la responsabilità agli altri, noi abbiamo anche un obbligo, quando un sistema economico chiude il suo percorso dopo tanti anni, di costruirne uno alternativo, non possiamo aspettare che lo facciano gli altri, che da Roma qualcuno arrivi e, decidendo il nostro futuro, ci dica: "da oggi non farete più questo, farete quest'altro.

Questa è la debolezza che ci portiamo dietro: a causa di una classe politica sarda accondiscendente, debole, hanno sempre deciso gli altri, quello che dovevamo fare. Noi ci siamo accontentati di lamentarci: la colpa è degli altri, sono gli altri che stanno sbagliando, noi siamo quelli che subiscono soltanto. Non è così. Abbiamo davanti uno spazio di tempo, anche piuttosto lungo, nel corso del quale procedere alle bonifiche; bonifiche che devono iniziare al più presto, come alternativa alla disperazione, e nel frattempo individuare un sistema economico alternativo a quello che oggi è fallimentare, ha terminato il suo corso, l'ha completamente consumato, si è consumato nei mercati, si è consumato nella realtà delle cose. Noi abbiamo quest'obbligo come Consiglio regionale, come classe politica, come classe dirigente.

Se non abbiamo la capacità di stabilire, noi, che cosa vogliamo fare domani, che cosa vorremmo essere noi per primi domani, ma come pretendiamo di salvare gli altri? Come possiamo pretendere noi di avere voce nel Parlamento italiano, nel Governo di turno? Che non è quello che oggi governa la Regione sarda, perché non credo che qualcuno possa pensare che la responsabilità sia da addebitare solo ed esclusivamente a questo esecutivo in carica da nove mesi; è un qualcosa che viene da lontano, che porta grandi responsabilità, che coinvolge è vero la classe politica, ma anche le stesse organizzazioni sindacali che conoscevano dal vivo la situazione, come la conoscono attualmente.

Queste responsabilità sono arrivate al capolinea. Che cosa possiamo dire? Che cosa vogliamo fare? Come pensiamo di riscrivere o di poter scrivere un futuro economico in quest'isola? Attraverso quali strumenti? Mettendo insieme quali sinergie? Diventando che cosa? Come dice qualcuno "un'isola di turisti"? Sappiamo che non è pensabile, la monocultura sarebbe il suicidio immediato di una realtà come la nostra, e oltretutto non avremmo le potenzialità, gli strumenti e le strutture per poterlo fare.

Il pensiero è allora quello di mettere assieme questa volontà, ognuno di noi assumendosi la parte di responsabilità che ha, e vedendo in modo unitario quale sistema economico è alternativo all'attuale, e attraverso quale percorso, attraverso quali soggetti si può riuscire a realizzarlo. Io credo che questo sia l'elemento cardine, diversamente, guardate, continuiamo ad andare a Roma davanti a Palazzo Chigi, davanti all'ambasciata americana, continuiamo a dare la nostra solidarietà, ma non si risolve il problema. E' una battaglia politica, certo, perché non è l'invito ad arrendersi, ma è l'obbligo di riscrivere una pagina differente: noi siamo in quest'Aula per questo. Se poi un ordine del giorno non si nega a nessuno, come credo succederà anche in questa mattinata, le coscienze degli altri non so cosa potranno dire, ma le nostre iniziano ad avere una fermentazione difficile da digerire.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.

SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, oggi stiamo discutendo, anche se indirettamente, di Piano regionale di sviluppo (il Presidente della Regione purtroppo è andato via), come emerge già dalla lettura dell'ordine del giorno di questa sessione di lavori del Consiglio. Con evidente chiarezza, si sottopone all'attenzione del Consiglio regionale, cioè ai rappresentanti del popolo sardo, con le mozioni numero 29 e 22 sulla crisi industriale della Sardegna, punto 1 dell'ordine del giorno, e con la mozione (sempre del centrosinistra), sulla crisi dell'agro-zootecnia, punto 5 dell'ordine del giorno, la fotografia reale della crisi pesantissima che attanaglia la Sardegna.

Quella proposta nelle mozioni numero 29 e 22 io la definisco una battaglia di difesa, una doverosa e necessaria battaglia di difesa dell'assetto industriale della Sardegna, ancorché molti di noi, e io tra questi, siano convinti che l'affermazione del collega Planetta che "l'avventura dell'industria pesante in Sardegna è finita" sia profondamente giusta.

Io però più prudentemente, correggerei l'affermazione dicendo che "l'avventura dell'industria pesante in Sardegna deve essere avviata a conclusione". Non possiamo considerarla finita perché, come dicevo prima, oggi abbiamo il dovere di difendere strenuamente, con le unghie e con i denti, i livelli occupazionali presenti nel settore dell'industria pesante. Giusta o sbagliata che fosse questa scelta di industrializzazione della Sardegna avvenuta negli anni '60 e seguenti, questo è l'unico tessuto industriale che abbiamo e lo dobbiamo difendere.

Però sta a noi giustamente, come è stato detto, chiarire in quest'Aula e ai sardi quali sono le prospettive verso cui ci muoviamo. E quando dico che stiamo discutendo ancora di Piano regionale di sviluppo, ed è bene che lo facciamo, lo dico anche perché avevamo rilevato un'indubbia debolezza all'interno del Piano regionale di sviluppo (e bisogna continuare a lavorare per sanarla) relativamente alle indicazioni che la Giunta, la maggioranza, hanno fornito sull'industria sarda esistente.

Io leggo solamente due frasi, tratte da quel documento, che costituiscono un'indicazione per quest'Aula e per il mondo sindacale ed economico della Sardegna. Nel capitolo dedicato all'industria, a pagina 30, leggo: "L'industria sarda sconta le forti tensioni in atto nella grande impresa chimica e, di conseguenza, nell'indotto economico, che richiedono alla Regione un'attiva ed energica presenza nei tavoli di discussione e programmazione privati e pubblico-privati, con l'ovvio obiettivo di preservare i livelli occupazionali".

Assessore La Spisa, io mi rivolgo a lei e all'Assessore del lavoro, la Sardegna sta vivendo un momento talmente delicato e difficile dal punto di vista sociale che (bisogna capire questo, vi chiediamo di capire) richiede di impostare una vertenza di carattere nazionale. E' un segnale importante la presenza in Sardegna, oggi, nello stabilimento dell'Alcoa, dei rappresentanti dei sindacati nazionali del settore.

Questa è una vertenza di carattere nazionale e, così come nell'altra legislatura abbiamo chiamato a manifestare tutto il popolo sardo per tentare di vincere la battaglia sulle entrate, che poi ha dato dei risultati, così adesso il presidente Cappellacci e la vostra Giunta, credo debbano chiamare il popolo sardo ad una resistenza per difendere il diritto al lavoro che viene reclamato ad alta voce nelle fabbriche di tutta la Sardegna.

E' un grido, quello che viene dalle fabbriche di tutta la Sardegna, che non può fermarsi alle soglie di Palazzo Chigi, della Camera, del Senato o dei Ministeri competenti, anche perché dobbiamo essere coscienti del fatto - l'ha detto chiaramente il collega Giampaolo Diana nell'illustrare la mozione - che il livello di sopportazione e di delusione dei lavoratori e delle loro famiglie, di interi territori, sta raggiungendo un livello di guardia. Quando i risultati conseguiti sono inversamente proporzionali al numero degli incontri che si tengono e alle rassicurazioni da parte dei ministri competenti è chiaro che vi è il rischio, per lo stress continuo cui sono sottoposti i lavoratori e le loro famiglie, che possano verificarsi situazioni che sarebbero assolutamente da scongiurare.
   
A questo punto noi dobbiamo giocare su due fronti: un fronte di carattere nazionale, con questa vertenza che punti a difendere il tessuto produttivo esistente, definendo per esempio anche quale tipo di chimica vogliamo, perchè non è possibile che noi dobbiamo avere solamente le lavorazioni pesanti con il conseguente inquinamento e i disastri ambientali richiamati nei loro interventi da numerosi colleghi. Soprattutto, dobbiamo rivendicare a livello nazionale l'attivazione immediata delle bonifiche per riparare ai disastri ambientali provocati dalle multinazionali e dalle aziende petrolifere che hanno lucrato sul posizionamento in Sardegna delle loro fabbriche.
   
Non deve essere più consentito che disponibilità finanziarie anche ingenti non vengano utilizzate da subito per creare opportunità immediate di lavoro e di speranza per i lavoratori che temono di perdere il posto di lavoro. Questo è il fronte nazionale. Sul fronte regionale, tutto nostro, abbiamo la responsabilità di chiedere prima di tutto al Governo nazionale che abbia una politica industriale perché il problema di fondo è questo!
   
L'industrializzazione della Sardegna è avvenuta nel quadro di una programmazione, giusta o sbagliata che fosse, da parte di una nazione che si prefiggeva l'obiettivo di stare sul mercato delle potenze mondiali con una propria industria. Oggi questa politica industriale non c'è o non si capisce quale possa essere, perché io non credo che l'ENI possa fare e disfare quello che vuole, a prescindere dal Governo nazionale, non ci credo!
   
A questo punto, è compito della Sardegna e delle altre regioni che stanno subendo una crisi spesso nascosta, irresponsabilmente nascosta, capire quale sviluppo si vuole dare alla Sardegna, nel nostro caso, e rivendicarlo a livello nazionale. Si dice che la crisi è superata, è finita, che si vede già l'uscita dal tunnel. invece noi siamo in mezzo al tunnel! Ci siamo in pieno! Ecco il legame fra le due mozioni, la prima e l'ultima dell'ordine del giorno in discussione. Dobbiamo decidere su quali risorse della Sardegna vogliamo puntare anche per costruire o rafforzare, anzi in alcuni settori si tratta proprio di costruire…
   

PRESIDENTE. Onorevole Salis, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Uras. Ne ha facoltà.

URAS (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, io vorrei andare subito al dunque, come si suole dire. E' inutile fare analisi o controanalisi: siamo di fronte ad una crisi pesante, le imprese chiudono, l'incremento della disoccupazione è evidente, i lavoratori e le loro famiglie sono in una condizione disperata! La prima considerazione che voglio fare riguarda il modo in cui abbiamo gestito queste vertenze perchè non è più accettabile. Noi non possiamo più trattare le questioni separatamente l'una dall'altra; la questione Sulcis in un modo, quella di Ottana e della Sardegna centrale in un altro, il triangolo Sassari-Alghero-Porto Torres e le sue vertenze aziendali in un modo ancora diverso. La Sardegna è investita globalmente da una crisi intollerabile e la vertenza deve essere una vertenza unica; in questo senso si manifesta anche la volontà del sindacato che ha proposto lo sciopero generale.

Seconda questione; non basta più che noi ci sediamo a un tavolo e ci diciamo che nella differenza di ruoli, maggioranza - opposizione, nella differenza di ruoli politici di governo, politico-istituzionali, regionali, locali e sindacali ognuno di noi si renda disponibile ad un sostegno di tipo solidaristico a fianco dei lavoratori, perché questo atteggiamento non ha avuto effetti. Siamo andati a manifestare insieme, abbiamo fatto i sit-in, anche quelli mortificanti per noi; non ci siamo mai tagliati fuori. Nonostante ciò, non sono stati prodotti effetti! Le cose erano gravi prima, sono ancora più gravi adesso. L'attenzione del Governo centrale è stata zero. La risposta degli organi competenti è stata addirittura arrogante, prepotente, inaccettabile.

E' depositata presso il Ministero la richiesta di cassa integrazione, non è firmata dai sindacati, per i lavoratori dell'Alcoa! Il Governo centrale ha responsabilità nella risposta, non so se abbia responsabilità sulla crisi - secondo me sì - però quella responsabilità è molto più diffusa, è una responsabilità che discende anche dall'aver pensato che la risposta ai bisogni delle nostre comunità, di quella europea, di quella nazionale, di quella regionale fosse il libero mercato, il liberismo sfrenato, l'impresa in quanto tale… non è così! Noi oggi paghiamo il prezzo di un'attuazione, priva di freni, di quell'ideologia.

Rimane il fatto che noi oggi abbiamo un Governo che non risponde adeguatamente alla richiesta di affrontare, in modo serio, la situazione di crisi del nostro sistema industriale ma anche, e soprattutto, dell'insieme del nostro sistema produttivo. Noi, perciò, dobbiamo fare un passo in avanti. Abbiamo già detto che non facciamo un'opposizione di tipo ostruzionistico, non andiamo a cercare il "tanto peggio tanto meglio", tanto la crisi la dovete gestire voi! Non ne siete capaci? Non riuscite a risolverla? E noi ci mettiamo ad agitare politicamente le masse per dire che è ora di cambiare, che bisogna tornare forse alle soluzioni, ai progetti, alle impostazioni che avevamo pensato noi; e, siccome le abbiamo abbandonate, anzi qualcuno le ha anche in qualche misura smantellate, paghiamo oggi un prezzo aggiuntivo che non avremmo dovuto invece pagare.

No, noi siamo per fare un'opposizione di governo, ma per fare un'opposizione di governo bisogna partecipare al governo, anche al governo della gestione di questa crisi; bisogna partecipare al governo della gestione di questa crisi intanto individuando insieme le controparti rispetto alle quali la risposta deve essere, da parte nostra, veramente unitaria. Quindi: individuazione delle controparti; strumenti di natura operativa ma anche di natura finanziaria; tavoli comuni; coinvolgimento vero, non fittizio, del sistema delle autonomie locali; un impegno generale della politica che torni ad avere quell'autorevolezza necessaria per risolvere i problemi.

Se l'atteggiamento unitario sarà nei contenuti, perché la proposta dei contenuti in campo sarà condivisibile, come abbiamo fatto fino ad oggi noi avremo un atteggiamento positivo, rispetto alle soluzioni però! Soluzioni che dovremo anche avere l'opportunità di controllare che vengano correttamente attuate, che vengano in modo preciso realizzate.

Terza questione. Si è parlato, l'ha detto benissimo il collega Diana all'inizio quando ha illustrato l'argomento odierno, di un welfare regionale integrativo di quello nazionale. Ma non basta, sono necessarie anche iniziative votate allo sviluppo pensate, costruite su base regionale, e quindi una spendita immediata delle dotazioni finanziarie, anche cospicue, che abbiamo stanziato nel bilancio regionale e che giacciono nei residui oppure nelle competenze, grazie alle norme di salvezza che abbiamo dovuto approvare di quelle dotazioni finanziarie che non sono state minimamente intaccate.

Questo problema va risolto, lo dico vista la presenza dell'Assessore degli affari generali, perché la Regione, la macchina amministrativa e burocratica di questa Regione non è all'altezza di affrontare la crisi! Questa macchina non è solo insufficiente, è un freno, è un danno! E vi è una responsabilità che è individuabile, per cui non possiamo "parlarne al bar" e poi non essere conseguenti! C'è una dirigenza che deve agire, ci sono strutture che devono operare, che devono essere valutate. Io ho potuto verificare, faccio questo esempio perché riguarda l'altra Giunta, il caso di un dirigente che ha percepito un premio di produttività pari a 57.000 euro lordi a fronte di una produttività certificata zero! E noi dobbiamo ancora stare a queste condizioni? Io credo di no!

Se queste cose che ci siamo detti e che ci diciamo verranno fatte, noi sosterremo la battaglia della Sardegna e della sua istituzione, del suo Governo, per uscire dalla crisi.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Vargiu. Ne ha facoltà.

VARGIU (Riformatori Sardi).Presidente, colleghi del Consiglio, certo che verrebbe voglia (ci aiuterebbe nel ragionamento) di ripensare a ciò che successe in questo Consiglio regionale nel 2004, quando il governo Soru portò per la prima volta in Aula il proprio Documento di programmazione economico-finanziaria.

Ritorno a quel momento perché io ho sempre la ventura di parlare immediatamente prima o immediatamente dopo il collega Uras, e in quella circostanza ci fu un episodio che in qualche maniera legò Rifondazione Comunista e i Riformatori. Quel DPEF prevedeva una innovazione interessante. L'allora assessore Pigliaru disse, in Aula, che era arrivato il momento di abbandonare il termine di "Politiche attive e di politiche passive del lavoro", non essendo più il momento di parlare di politiche atte a stimolare il lavoro, perché in realtà si doveva parlare di "politiche di sviluppo". E disse inoltre che se fossero stati in grado di innescare lo sviluppo, considerando questa la grande sfida strategica del loro Governo, non si sarebbe più parlato né di politiche attive né di politiche passive del lavoro.

Rifondazione comunista (allora il Gruppo a cui apparteneva il collega Uras era quello) in quella circostanza disse di non condividere l'impostazione di quel passaggio del DPEF e votò contro; noi Riformatori che non condividevamo il DPEF nel suo complesso votammo però a favore di quel passaggio. Sono passati cinque anni, ma devo dire che noi siamo esattamente nella stessa identica posizione in cui eravamo allora. E oggi, che la parola d'ordine sindacale è "facciamo un grande Piano del lavoro", io dico che noi facciamo in realtà dei grandi piani del lavoro perchè siamo costretti a farlo; siamo diventati tutti keynesiani per cui mandiamo le squadre la notte a fare le buche e la mattina a ripararle.

Purtroppo il momento è talmente tragico, complessivamente, per la Sardegna che anche chi non è keynesiano di testa accetta, perché questo è il dialogo, questo è il confronto, questo è il ragionare con gli altri, che oggi in Sardegna ci siano delle politiche assistenziali. Le accetta perché, come ha detto giustamente il collega Giampaolo Diana illustrando la mozione (io condivido questa parte importantissima del suo ragionamento), fuori da questo palazzo esiste un clima di tensione, di disagio sociale, di sofferenza talmente critico da costituire un potenziale problema di ordine pubblico.

Ha perfettamente ragione il collega Diana nel sostenere queste cose e sarebbe un grave errore se gli ottanta consiglieri, se la Giunta regionale, la classe dirigente della Sardegna, all'interno di questo palazzo, non ne avessero piena consapevolezza e, quindi, non sapessero che non stiamo discutendo del solito risiko della politica a cui ci siamo abituati in tanti anni di permanenza in questo Consiglio regionale, ma stiamo discutendo di un problema che è già oggi parzialmente fuori dal nostro controllo dal punto di vista della nostra capacità di gestire socialmente il problema.

Quando il collega Giampaolo Diana dice che ci sono volantini contro i sindacati all'interno delle aziende, significa che la rappresentanza naturale dei lavoratori in questo momento non è più riconosciuta dai lavoratori, figuriamoci se siamo riconosciuti noi, classe dirigente politica, dentro questo Consiglio regionale. Quindi è giusto che noi abbiamo consapevolezza di questo, ed è giusto che ogni consigliere regionale, ogni Assessore di questa Giunta parta da questo presupposto nel costruire il suo ragionamento.

Ciò detto, però, colleghi del centrosinistra, anche colleghi del centrodestra e del Governo regionale, la mia riflessione parte dal contenuto della mozione. Come si è insediata l'industria pesante in Sardegna lo sappiamo tutti; che cosa ha fatto di buono e di male l'industria pesante in Sardegna negli anni lo sappiamo tutti; che la Sardegna non possa rinunciare all'industria è una cosa che diciamo tutti, che il fiato di questa industria in Sardegna sia un fiato corto è, credo, una consapevolezza diffusa.

A questo punto dovremmo cominciare ad interrogarci se ciò che era strategico negli anni '60 e negli anni '70 è ancora strategico oggi, perché il ragionamento è che noi possiamo con una grande mobilitazione popolare, con un grande intervento del Governo nazionale, con un grande impegno del Presidente della Regione, con una grande solidarietà di tutti i parlamentari sardi e dei consiglieri regionali ritardare (questo è in realtà quello che siamo in grado di fare) un processo che, in assenza di elementi di novità clamorosi, apparirebbe tendenzialmente ineluttabile.

Possiamo invece iniziare a creare delle pre-condizioni perché ci sia una diversificazione nella presenza industriale di cui confermiamo la necessità in Sardegna, perché in assenza di un tessuto primario non esiste nessuna Regione, nessuna società è in grado di reggersi; possiamo iniziare a ragionare sui temi fondamentali dello sviluppo, possiamo iniziare a confrontarci su quale soluzione questo Consiglio regionale, non la maggioranza, questo Consiglio regionale intende dare ad alcuni problemi; una soluzione che sia di rottura rispetto a quella che dal '99 al 2004 cercò di dare il centrodestra, che dal 2004 al 2009 ha cercato di dare il centrosinistra e via dicendo.

Quando parliamo dei temi dell'energia, insomma, possiamo forse dire che Cappellacci ha creato i problemi del costo dell'energia? No, li ha trovati. Quando parliamo del problema della continuità territoriale possiamo forse dire che l'ha creato Cappellacci? No, l'ha trovato.

Quando parliamo della possibilità di avere per aziende sane una fiscalità di vantaggio, quando parliamo della burocrazia regionale (un tema caro al collega Uras, ma altrettanto caro ai Riformatori) e della inadeguatezza delle risposte, quando parliamo del miracolo Irlanda e tutti quanti diciamo che la fiscalità di vantaggio è stata sicuramente una fonte attrattiva per le imprese, chi conosce bene il fenomeno Irlanda spiega che altrettanto importante è stata l'azione eseguita sulla burocrazia, il fatto cioè che un imprenditore in tre giorni sappia se sia possibile localizzare o no e in che modo un'impresa in quel territorio.

In Sardegna, se qualcuno intende "localizzarsi nel territorio" fa la domanda, aspetta risposte e, alla faccia dello Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), le risposte non arrivano. Ha ragione il collega Uras nel sostenere che la burocrazia regionale sembra creata per porre problemi non per risolverli; tutto viene visto in un'ottica formalistico burocratica per cui alla fine nessuno si prende responsabilità, la pratica giace negli uffici e l'imprenditore riceve un "no" nelle cose se non nelle carte. Le esigenze di velocizzazione di questi procedimenti infatti sono tali per cui sapere che altrove per localizzare un'impresa sono sufficienti 4 giorni mentre qui non bastano 4, 8, 12 mesi è già una risposta.

Questo è il ragionamento sul quale noi ci dobbiamo concentrare; oggi sui giornali viene ripreso il tema dell'insularità. Consentitemi di nominare gente che io ho in casa; Mario Segni è stato parlamentare europeo e per anni ha condotto la battaglia sull'insularità spesso da voce inascoltata nel deserto. Perché? Perché il tema del cambiamento dell'autonomia sarda è il tema della proposizione di una condizione (l'insularità appunto) che comunque è peculiare anche se oggi non riveste più il carattere di esclusione di 100 anni fa.

Quindi questi sono i ragionamenti su cui il centrodestra e il centrosinistra si devono confrontare. Noi non stiamo chiedendo (non credo che sia nostro interesse o ragionevole chiederlo) al centrosinistra di prendersi responsabilità che il centrosinistra non ha; non vogliamo costringere il centrosinistra a fare una parte diversa da quella che gli elettori gli hanno affidato e da quella che gli conviene oggi fare, perché è di minore responsabilità rispetto a quella di chi governa la Sardegna in questa crisi drammatica, epocale, mondiale.

Chiediamo però al centrosinistra di mettere sul piatto idee, chiediamo al centrosinistra di ragionare insieme a noi sui progetti, sulle cose concrete, sullo sviluppo; non è pensabile che centrodestra e centrosinistra abbiano parole d'ordine identiche e progetti scarsamente visibili e comunicabili, identici; perché questo è il terreno del confronto.

Se il terreno del confronto parte, poi parte anche il terreno dell'unità di intenti; ma non può essere, colleghi del centrosinistra, come è successo sino a oggi, un'unità degli intenti a frenare il processo ineluttabile. Viene in mente la barzelletta russa che dice: siamo a un passo dal baratro, per fortuna speriamo in futuro di fare un passo avanti. Non è questo il ragionamento da fare, perché noi non dobbiamo essere uniti nel frenare ciò che è ineluttabile.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.

DIANA MARIO (P.d.L.). Presidente, io ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi, la stessa relazione dell'onorevole Giampaolo Diana, e forse ha ragione il collega Uras quando dice che è inutile che continuiamo a dare ipotetiche soluzioni dal punto di vista tecnico; soluzioni che, secondo me, arrivati a questo punto, forse sfuggono anche e alle nostre conoscenze e alle volontà non ben comprese dei soggetti che sono alla nostra attenzione. Soggetti tra i quali, come qualcuno ha detto, non vi è solo l'Alcoa ma vi sono numerosissime aziende che in Sardegna attraversano un momento di grande difficoltà.

Ora pensare che la difficoltà sia determinata solo dalla situazione della Sardegna credo sia limitativo del problema. Stiamo parlando spesso di colossi mondiali, di società che hanno interessi diversificati e sparsi in tutto il mondo. Diventa quindi anche molto difficile affrontare con la dovuta conoscenza ciò che sta accadendo nel settore della chimica, in particolare, ma non solo. E'certo che il problema della chimica per la Sardegna è un problema di una gravità inaudita acuito dal fatto che le aziende dicono determinate cose in alcuni tavoli e le modificano in altri.

Io non credo che sia il caso di agitare le masse, collega Uras, e credo che non sia neanche questa, in fondo in fondo, la volontà che si vuole portare all'attenzione della Giunta. Ad agitare le masse certamente siete più bravi di noi, lo avete dimostrato in tantissimi anni; noi invece non lo siamo e non lo siamo mai stati perchè non è nel nostro DNA. Per voi è più semplice però, attenzione, perché agitare le masse può essere facile, ma poi può diventare molto, molto difficile il controllo della agitazione.

Prima di fare qualunque appello, se qualche appello si deve fare, prima di chiedere un pronunciamento del Consiglio, io aspetto di sentire la replica della Giunta perché credo sia importante capire anche la motivazione (più forte dal punto di vista politico) di chi ha seguito tutti i tavoli, tutte le iniziative e conosce realmente gli intendimenti di queste aziende.

Io mi auguro però che dopo la replica della Giunta ci si fermi un attimino per evitare di votare una mozione che di per sé solleva alcuni problemi ma, devo dire, non credo sia sufficiente se vogliamo tutti quanti insieme trovare non la soluzione del problema, ma cercare di capire se c'è unitarietà e non quella solidarietà di cui ha parlato l'onorevole Uras. Quella solidarietà serve, certamente, ma forse ormai bisogna fare qualcosa di più. Bisogna fare qualcosa di più e per fare qualcosa di più bisogna fare anche delle scelte importanti.

Intanto bisogna capire se il sistema della chimica in Sardegna avrà un futuro, se questo Consiglio regionale e questa maggioranza, ma io dico le forze politiche, ritengono che sia indispensabile continuare la strada della chimica o se bisogna invece andare a cercare altre iniziative anche di tipo industriale, ma non solo, che possano non metterci in questo pericolo costante.

Il comparto della chimica è in crisi in tutto il mondo, c'è una diversificazione delle produzioni, c'è un utilizzo diverso dei sottoprodotti della chimica. La stessa proposta che è stata avanzata per il PET a Ottana è certamente una cosa importante, stiamo parlando di tre colossi mondiali che ruotano attorno quel prodotto; cerchiamo quindi di individuare quel soggetto che, in qualche maniera, possa essere il più credibile, considerando però un dato che mi è stato fornito ieri pomeriggio, e cioè che una tonnellata di quel prodotto per arrivare dalla Cina nel Mediterraneo costa 430 dollari. Per trasportare lo stesso prodotto da Ottana a Livorno, senza andare molto lontano, ci vogliono 480 euro a tonnellata. Questi sono problemi che sfuggono, perché purtroppo sfuggono.

Il trasporto via nave ha un costo certamente inferiore, però nonostante questi costi da parte di grosse aziende c'è la disponibilità a continuare a operare. Non è una cosa facile. Allora, io dico: che strategie vogliamo per il futuro della Sardegna? Perché mi pare di capire che, al di là del numero dei dipendenti che sono occupati nelle aziende di cui stiamo parlando, nessuno si sforzi o faccia il minimo sforzo per pensare che forse non può essere quello il futuro dei sardi, perché, altrimenti, tra i cassintegrati, le industrie decotte, le imprese che non funzionano e i disabili che aumentano continuamente in questa regione, alla fine, questo Consiglio regionale dovrebbe occuparsi solo ed esclusivamente degli emarginati, dei disoccupati, dei cassaintegrati, di tutte quelle persone che comunque certezze non ne avranno mai.

Io, sono un ottimista per natura, non voglio e non posso pensare che il nostro ruolo di consigliere regionale debba essere questo. Io credo che noi tutti dovremmo compiere un grande sforzo senza mettere in discussione le maggioranze di turno, perché se iniziamo a mettere in discussione anche le maggioranze politiche scaturite comunque da una consultazione elettorale che ha dato un suo risultato - questo vale per oggi, ma valeva anche per ieri, e potrà valere anche per domani - allora le difficoltà si acuiscono, aumentano proprio.

Personalmente ognuno di noi può anche avere dei mal di pancia, ma è sufficiente questo per risolvere i problemi della Sardegna? E' sufficiente un malessere momentaneo del Consiglio regionale per trovare la soluzione di questi problemi? Io credo di no. Io credo che dobbiamo fare sacrifici diversi, ma soprattutto dobbiamo studiare di più, forse dobbiamo essere più attenti, lo dico anche alla Giunta, a quello che sta accadendo nel mondo, e non è che molto lontano da noi stiano succedendo cose migliori.

Abbiamo tutti sotto gli occhi che cosa sta accadendo in Spagna: un'economia che era cresciuta vertiginosamente, e oggi si ritrova con una disoccupazione che è oltre il 20 per cento. E' cambiato qualcosa in quattro, cinque anni? Non voglio dare neanche le colpe a Zapatero, non gliele voglio dare, dico solo che sulle economie fragili o si interviene in un certo modo, altrimenti fragili sono e fragili rimangono; e non si risolve il problema con le nostre divisioni, con le nostre contrapposizioni, con quelli che debbono essere i rappresentanti che ognuno di noi, se ne ha la possibilità, indica nei settori più vari della nostra politica regionale.

Per cui, visto che avevo già deciso di non utilizzare tutti i venti minuti, perché i venti minuti sono serviti a illustrare la mozione, sono serviti a quei colleghi che avevano molte cose da dire, che abbiamo apprezzato e che abbiamo anche condiviso in qualche caso, concludo dicendo che, arrivati a questo punto, credo sia importante capire qual è la volontà del Consiglio regionale; volontà però che credo debba essere non solo del Consiglio ma anche dell'intera Giunta regionale.

Ecco perché io non utilizzerò i venti minuti che, chiedo scusa, non sono venti ma dieci. Comunque, l'appello che faccio, ed è l'appello del Popolo della Libertà, è l'appello del partito di maggioranza che certamente decide, è che nel pomeriggio, Presidente, senza terminare i lavori adesso, si possa invece dialogare diversamente e stendere un documento che rappresenti veramente la volontà reale, non quella che ciascuno di noi nasconde.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.

BRUNO (P.D.). Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori Assessori, colleghi consiglieri, io credo che le due mozioni sullo smantellamento del sistema industriale sardo ci offrano la possibilità di fare il punto della situazione. Ci consentano, quindi, di conoscere lo stato dell'arte sulle vertenze, ma soprattutto di valutare le necessarie azioni che il Governo regionale deve intraprendere con l'obiettivo, che noi abbiamo, di salvaguardare intanto ogni posto di lavoro.

E lo facciamo nel momento in cui CGIL, CISL e UIL ammoniscono il Governo regionale con l'annuncio di uno sciopero generale indetto per il prossimo 5 febbraio, che ha tra le motivazioni anche la constatazione, lo dicono i sindacati, che le politiche messe in campo finora dalla Regione non delineano una strada per lo sviluppo.

Così, dopo otto anni, dopo il 28 giugno 2002, la Sardegna scende nuovamente in piazza per uno sciopero generale a significare - dicono ancora CGIL CISL e UIL - che la Sardegna è estremamente debole nel rapporto, nel confronto con lo Stato, quasi a ricordare, assessore La Spisa, quella voce, mai così flebile a livello nazionale, che il presidente Pisanu ha voluto denunciare apertamente qualche settimana fa.

Il problema, infatti, è che non si può chiedere al Consiglio regionale, alla minoranza qual è la strategia, qual è l'indirizzo sulle politiche industriali. Noi in questi dieci mesi non abbiamo visto risolto nessun problema, e non mi riferisco solo a quelli dell'industria; in questi giorni, per esempio, contemporaneamente i Capigruppo stanno incontrando le associazioni di volontariato per il taglio ai piani personalizzaati.

Non si condividono risposte, non sono contenti i territori, i sindacati si sono espressi con lo sciopero generale, gli enti locali, che pure dovevano far parte del nostro progetto di coinvolgimento, sono naturalmente contrari a una politica neocentralista, al taglio che c'è stato sul Fondo unico. Al di là delle nostre posizioni, che sono di parte, naturalmente, giustamente possono essere considerate di parte, ho visto che anche diversi consiglieri della maggioranza in questi giorni hanno lamentato, con un documento molto pesante, molto forte, la messa in campo di politiche inadeguate; hanno parlato di una Giunta opaca, sentono quindi il dovere di esortare i vertici del loro Gruppo, il Popolo delle Libertà, a rompere ogni indugio, ad assumere finalmente un'iniziativa politica all'altezza della gravissima crisi economica che attanaglia la Sardegna. Ciò vuol dire che in questi dieci mesi questo Governo regionale, non lo diciamo soltanto noi, effettivamente non ha dato risposte.

Quando si parla di gestione indolente e opaca qualche risposta bisognerà pur darla; quando si dice che bisogna aprire una fase di positivo confronto con le opposizioni, anche con le opposizioni, noi crediamo che bisogna aprirla, ma bisogna aprirla nella consapevolezza che la minoranza fa la propria parte basandosi su una proposta alternativa a quella della maggioranza, e su quella ci confrontiamo, non su altro. Ma noi non vogliamo sottrarci a nessun confronto, non lo vogliamo, e non vogliamo neanche dividere la Sardegna, come è avvenuto anche qualche giorno fa.

In quella occasione il Presidente dalla Regione e il Presidente del Consiglio erano a Roma a manifestare con qualche sindaco e pochi lavoratori di fronte all'ambasciata americana, nessun parlamentare, nessun consigliere regionale della maggioranza era presente; contemporaneamente si teneva un'altra manifestazione a Porto Torres degli operai della Vinyls. A nostro avviso non bisogna dividere la Sardegna, crediamo che occorra una "vertenza Sardegna" unitaria, crediamo che occorra un confronto autorevole, forte, robusto con lo Stato, e non una divisione. Non possiamo e non potete giocare con le vostre divisioni sulle spalle dei lavoratori.

La situazione che abbiamo di fronte io credo abbia bisogno di una rappresentazione unitaria della crisi in atto, e credo che giustamente anche i sindacati colleghino le prospettive di sviluppo, che non intravediamo, che non abbiamo visto neanche nel Programma regionale di sviluppo presentato dalla Giunta, assessore La Spisa, con il modello di riforma istituzionale e di revisione dello Statuto di autonomia, perché veramente rappresenti quel momento di legame pattizio fra lo Stato e la Regione che consenta di individuare le materie nelle quali siamo speciali e che ci differenziano dalle Regioni a Statuto ordinario. In quella sede va indicata la strada dello sviluppo anche per l'industria.

Con questo scenario di fronte, noi abbiamo voluto inserire nella discussione del Consiglio regionale queste mozioni per porre al centro dell'azione del Consiglio stesso l'attenzione su questa drammatica crisi. Non bastano i sit-in, non bastano le parole, non bastano le rivendicazioni formali del Presidente della Regione; noi riteniamo che anche la manifestazione della scorsa settimana di fronte all'ambasciata americana, che non ha trovato interlocutori nel Governo (non vi ha ricevuto neanche il Capo di Gabinetto del Ministro, figuriamoci se poteva farlo l'ambasciata americana), fosse insufficiente.

La vertenza con lo Stato credo abbia necessità di un rapporto più forte. Cerco di fare queste affermazioni nell'interesse della Sardegna e con l'unico obiettivo di vedere i diritti dei sardi almeno presi in considerazione dal Governo, e così finora non è stato.

Abbiamo visto il Governo nella nostra Isola, solo in campagna elettorale, lanciare promesse fino all'ultimo giorno della campagna elettorale e, poi, sistematicamente, disattenderle. Un esempio, l'indicazione di Sartor, da parte di Scajola, quale salvatore della chimica italiana quindici giorni prima delle elezioni, e la settimana dopo le elezioni Sartor annuncia la presentazione dei libri in tribunale.

Allora io credo che dovrebbe essere il Presidente, ancora oggi assente, stamattina ha fatto una comparsa, a denunciare questo trattamento da parte del Governo nazionale. Ci riferiamo alla ex INEOS di Porto Torres, all'ALCOA, anche i lavoratori della VINYLS da settimane, giorno e notte, nella torre aragonese in segno di protesta, conoscono bene le promesse di Berlusconi e le indicazioni date in campagna elettorale, e attendono da noi, attendono dal Governo regionale qualcosa in più delle parole anche a seguito di quel tavolo al Ministero delle attività produttive dello scorso 21 luglio, mobilitazione unitaria alla quale non ci siamo sottratti, preceduto da quella grande assemblea degli Stati generali della Sardegna svoltasi in quest'Aula. Ma ciò ha significato per Porto Torres un accordo blando tra i sindacati nazionali e l'ENI, un accordo blando di cui non condividiamo né il metodo né il contenuto, e in cui abbiamo riscontrato l'assenza della Regione.

Io credo che noi ci possano soddisfare minimamente né i 100 milioni destinati al cracking e ai servizi, né la semplice manutenzione conservativa degli impianti del fenolo e del cumene; sulla base dell'accordo nel corso di quest'anno ci sarà una verifica, ma significherà un annuncio della morte di quei comparti. Consideriamo un atto dovuto anche i 530 milioni di euro per le bonifiche; abbiamo perplessità, l'ha detto bene il collega Diana nell'illustrazione, sullo stanziamento di quei 150 milioni su un parco serbatoi esistente per realizzare un centro logistico costiero dei prodotti petroliferi.

Insomma, attendiamo ancora dalla Regione un ruolo attivo nel determinare l'apertura del tavolo ministeriale e un impegno concreto dal Governo nei confronti dell'ENI, perché il Governo non può limitarsi a fare da arbitro, deve indicare quali sono le politiche industriali per l'Italia e, di conseguenza, per la nostra Regione. E ci sono le dichiarazioni di oggi dell'ALCOA che afferma di attendere ancora, al di là delle parole, una proposta dal Governo su una bozza di contratto triennale con un prezzo definito, con impegni precisi, con l'indicazione di chi si assume il rischio finale.

Credo che non possiamo dargli torto, credo che un impegno limitato a sei mesi probabilmente sia un impegno debole, perché ci sono lavori di ristrutturazione da fare, perché occorre dare garanzie di continuità. Allora, io penso che un Governo regionale che non indichi idee, che non indichi strategie, che passo dopo passo campi alla giornata, con sit-in, con manifestazioni, senza affrontare i problemi con la necessaria autorevolezza nel rapporto col Governo non possa far andare lontano la nostra Isola.

Credo che per ALCOA occorra un accordo bilaterale con l'Enel, e credo che occorra metterlo in piedi nel tempo più rapido possibile. Credo che dobbiamo andare anche oltre, lo dico alla presidente Lombardo, l'annuncio delle barricate.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, per la Giunta, l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.

LA SPISA, Assessore tecnico della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio. Signor Presidente e signori consiglieri, nel tentare di rispondere alle questioni trattate in questo dibattito importantissimo, in un momento molto, molto delicato per il futuro dell'industria in Sardegna, e per il futuro anche di tutto il sistema economico e sociale, io mi rendo conto che il contenuto dello stesso è influenzato, e non potrebbe essere diversamente, da motivazioni che vanno al di là di quelle proprie della politica industriale.

Intervengono questioni che attengono ai rapporti di forza tra i partiti, di maggioranza e di opposizione, all'interno dell'opposizione e all'interno della maggioranza, questioni più strettamente politiche; di queste, permettetemi, io non voglio assolutamente tener conto, perché credo che in questo momento, nelle ore che hanno preceduto questo incontro, nelle ore che lo seguiranno, l'unica cosa che debba interessare tutti sia l'esito delle vertenze, numerosissime, che sono in carico alla nostra gente, al nostro settore produttivo, alla nostra realtà sociale ed economica.

Credo, spero, che questo Consiglio regionale voglia e possa recuperare la volontà di guardare in questo momento agli interessi di tutta la Sardegna, e questi interessi voglia rappresentare davanti al Governo nazionale e davanti alle aziende che minacciano continuamente di abbandonare quest'Isola dopo averla, possiamo anche dirlo, utilizzata per distribuire rendimenti ai propri azionisti. Di fronte a queste aziende e di fronte al Governo che deve rappresentare gli interessi dell'Isola e di tutto il Paese in questi comparti, in particolare quelli della grande industria metallurgica e chimica, ciò che conta è ancora e sempre l'unità del sistema Sardegna.

Comprendo le motivazioni politiche, ma in questo momento credo che abbiamo il dovere di prescindere da queste; perciò non rispondo, pur nel profondo rispetto dovuto alle critiche formulate dall'opposizione, ad alcune inesattezze e anche ingenerosità emerse nel corso del dibattito. Vorrei che parlassero piuttosto i fatti.

Il Comitato per l'emergenza economica e sociale istituito praticamente quindici giorni dopo l'insediamento del Consiglio regionale e della Giunta ha dovuto affrontare trenta vertenze produttive relative al mondo della produzione. Almeno alcune le vogliamo analizzare, vogliamo sapere qualcosa di queste vertenze? Quella che ci preoccupa di più in questo momento, la più urgente, ma non è l'unica, purtroppo, e non è di per sé la più importante, è quella dell'ALCOA.

E' stato affrontato in questi ultimi giorni, nel Palazzo del Ministero dello sviluppo economico, un confronto serratissimo tra il Governo nazionale, il Governo regionale, i massimi vertici dell'ALCOA, alla presenza anche di Terna, dell'Authority per l'energia e con l'accompagnamento della stessa ENEL. Questa vertenza, importantissima, su che cosa si basa? Apparentemente, ufficialmente sulla questione del costo dell'energia elettrica.

Io credo che chiunque abbia un minimo di obiettività e legga quello che il Governo, in quel momento, ha offerto ai vertici dell'ALCOA, e cioè un prezzo dell'energia elettrica intorno ai 28, 32 euro per megawattora, non possa non riconoscere che cosa significhi questo. Credo non possa non essere rimasto colpito dal fatto che un sistema istituzionale, nazionale e regionale, sia stato in grado di mettere a disposizione di una grande industria un prezzo dell'energia elettrica così basso; prezzo frutto di un lavoro di anni che ha avuto come protagonista tutto il Parlamento (maggioranza e opposizione) che, attraverso alcuni meccanismi, alcuni consolidati e altri nuovi, offre su un piatto d'argento la grande opportunità di questo costo a megawattora con la possibilità, mentre questa misura viene analizzata dall'Unione Europea, di una garanzia contrattuale che metta al riparo l'Alcoa da eventuali procedure di infrazione; procedure che verrebbero ad aggiungersi a quella emessa (pur attenuata dal lavoro svolto dal Governo nazionale) sulle tariffe precedentemente approvate dal Parlamento.

Chi era presente a quell'incontro - noi, l'Assessore dell'industria, molti sindacalisti - ha potuto verificare come Cremaschi, esponente del sindacato della Cgil, abbia concluso l'incontro dicendo che si dava atto al Governo nazionale di avere fatto tutto quello che era possibile; così come si prendeva atto anche che l'azienda non voleva assolutamente chiudere e che, evidentemente, proclamando e avviando le procedure della cassa integrazione, voleva trattare con una pistola sul tavolo.

Lo stesso Cremaschi pochi minuti fa ha dichiarato che saranno portate avanti iniziative di tutti i tipi, che deve intervenire il Governo ai suoi massimi livelli e deve essere chiaro ad Alcoa che gli costerebbe molto di più chiudere che operare con le perdite. Sempre secondo Cremaschi si è alla stretta finale per cui, oggi, avrebbero proposto una grande iniziativa a Palazzo Chigi, chiedendo anche di incontrare il Governo perché Alcoa non abbia più alibi in quanto non sfugge a nessuno che i tre anni di tariffe energetiche bloccate, chiesti dalla multinazionale statunitense, costituiscono esattamente il tempo necessario per mettere a regime la nuova produzione in Arabia Saudita. Mentre Emilio Lonati della CISL dice che nell'accordo tra Alcoa e Governo deve essere inserito, l'impegno di Alcoa a continuare a produrre in Italia negli stabilimenti di Portovesme e Fusina.

Di fronte a che cosa ci troviamo? Siamo di fronte a un sistema industriale, nato con un intervento pesante delle Partecipazioni statali, che ha cercato di avviare in Italia una strategia industriale volta a raggiungere, appunto, obiettivi strategici. Le intenzioni di allora erano evidentemente quelle di supportare un sistema industriale che guardasse agli interessi del Paese. L'Italia è riuscita in questo intento? Purtroppo no.

Le Partecipazioni sono crollate e, con la logica del pendolo, si è passati da un intervento massiccio dello Stato a un totale abbandono delle industrie nelle mani delle multinazionali che hanno comprato a prezzi stracciati. Questo ha fatto l'Alcoa negli anni tra il 1995 e il 1996! Ha acquistato un impianto a prezzi stracciati con un'offerta di energia elettrica bassissima per dieci anni; finito questo beneficio va via, dopo aver lucrato rendimenti altissimi da questo investimento.

Siamo di fronte - tutti - a una politica industriale del nostro Paese in cui le responsabilità, nei decenni, si sono equamente suddivise fra tutte le forze politiche che si sono alternate al governo; una politica industriale che non è riuscita a risolvere due grandi questioni. In primo luogo la questione dell'energia in maniera strutturale se non, quindi, con queste ultime, generose, importanti misure offerte ad Alcoa, in questo caso, e non solo ad Alcoa, anche ad altre industrie metallurgiche e chimiche. Ci sono infatti settanta aziende che hanno sottoscritto questo impegno con il Governo per il sistema dell'interconnessione virtuale che potrebbe portare questi benefici. Ma, comunque, non si è risolto il problema strutturale dell'energia in Italia.

La seconda questione; non è stata trovata una soluzione vera relativamente all'assetto societario, finanziario di un soggetto industriale forte nella grande industria che, dobbiamo ribadirlo, noi non vogliamo perdere. Ci sono opinioni diversificate, espresse anche oggi nell'Aula, equamente distribuite anche qui tra maggioranza e opposizione. Noi crediamo ancora, e lo ribadiamo, che nessuno sviluppo economico può fare a meno dell'industria e che un sistema nazionale non può fare a meno neanche della grande industria, se è possibile, pena l'aggravamento della bilancia commerciale, pena la dipendenza nei confronti dell'estero, pena la perdita di capacità tecniche e di flussi finanziari importanti per il nostro sistema produttivo.

Noi non possiamo permetterci il lusso di uno sviluppo squilibrato e lo abbiamo ribadito nel nostro Programma di sviluppo; abbiamo detto che occorre guardare a uno sviluppo, anche in Sardegna, che veda la partecipazione della componente industriale come una componente determinante, senza la quale non c'è ricchezza. Questo non vuol dire tenere in piedi un apparato industriale non produttivo, non più competitivo. No. Credo che ci siano testimoni del fatto che si possa valutare un mantenimento del sistema industriale che guardi alle filiere produttive.

Questo era il senso dell'Accordo di programma per la chimica firmato dall'allora Governo regionale e da un sindacalista, adesso consigliere regionale di opposizione, che sinceramente stimo, che ha dimostrato di conoscere bene i problemi sottolineando l'intenzione di non rinunciare all'industria puntando sulle filiere che hanno ancora la possibilità di essere competitive, e naturalmente rivolgendo l'attenzione, gli sforzi, la strategia di governo verso una diversificazione sia all'interno del sistema del settore industriale sia nei diversi settori (primario, secondario e terziario) puntando su un fattore fondamentale, quello dell'innovazione.

Io credo che non sia giusto dire che non abbiamo una strategia. Se non l'avessimo noi significherebbe che non ce l'ha la Sardegna, perché questo è un Governo che nel suo programma mette esattamente le cose che da anni tutti i governi e i Consigli regionali stanno dicendo, e cioè che occorre modernizzare questa nostra regione tenendola al passo con lo sviluppo del sistema nazionale e internazionale.

Allora, di fronte a questa crisi, che è una crisi straordinaria perché si sommano deficienze strategiche strutturali a una crisi finanziaria internazionale devastante, noi possiamo pensare che il problema sia il peso specifico particolarmente fragile di questo Governo regionale? Certo, siamo quello che siamo, ma pensate davvero che un Governo regionale possa da solo fronteggiare un'ondata di queste proporzioni, uno smottamento, un movimento tellurico come quello che è accaduto e sta accadendo in questi anni e in questi mesi?

Io credo che non serva sottolineare le debolezze di un sistema che è complessivamente responsabile di tutto quello che è accaduto. Tutti in Sardegna siamo responsabili di quello che è accaduto! Io credo sinceramente che si possa e, anzi, si debba recuperare , al netto di tutte le polemiche che ci sono state, che ci sono, che possono continuare tra le forze politiche, legittimamente; non entro nel merito di quanto è stato detto, non voglio giustificare nostri eventuali errori, nostre eventuali difficoltà, non è questo è il momento, non è ciò che ci interessa. Ci interessa invece dire che siamo al lavoro, che queste trenta vertenze che sta seguendo il Comitato, e sono trenta ferite sul tessuto della nostra regione e del nostro popolo, le stiamo seguendo momento per momento.

La riunione su Alcoa era il 7 gennaio; il 29 di dicembre ci siamo incontrati con il consigliere del sottosegretario Letta, per affrontare il problema di Eurallumina. Stiamo seguendo giorno per giorno queste vertenze con centinaia di lavoratori interessati.

Ora su Alcoa siamo nella situazione che ho descritto, ma possiamo non perderla se seguiamo quel che ha detto Cremaschi. Se non volete seguire quello che dice la Giunta regionale ascoltate Cremaschi, che dice di fare fronte comune per costringere Alcoa a ragionare e a dire che è meglio perdere qualcosa piuttosto che andare via; perché in questo caso bisognerebbe fargliela pagare cara. Fargliela pagare cara con tutti i sistemi legittimi possibili, ma deve evidentemente costare qualcosa abbandonare la Sardegna dopo aver lucrato per anni. Ma la stessa cosa può valere per tutti gli altri.

La situazione di Eurallumina, pur difficile, può avere comunque uno sviluppo. Io oggi sono arrivato in ritardo, e mi scuso, perché ero impegnato proprio in una riunione con Eurallumina e alcuni rappresentanti delle amministrazioni locali del Sulcis. Il problema per Eurallumina è che se anche oggi le condizioni di mercato fossero favorevoli, se anche noi potessimo dire: "C'è il metano e puoi fare la centrale che chiedi di poter fare", non ci sarebbe un bacino per depositare i fanghi rossi perché nessuna delle amministrazioni è in grado o vuole o ha intenzione di dare la disponibilità di un pezzo di terra.

Sia chiaro, se Eurallumina non riprenderà la produzione sarà perché noi in Sardegna non vorremo più questo tipo di produzione, non saremo capaci di trovare una soluzione; io non do la responsabilità a nessuno in particolare, dico che siamo tutti però corresponsabili di una soluzione che va trovata "facendo sistema".

Così come riguardo alla situazione composita del problema chimica in Sardegna, occorre recuperare la logica dell'accordo di programma, e cioè individuare delle filiere produttive che possono avere ancora mercato e investire su queste, con la possibilità da parte della Regione e del Governo nazionale di stanziare risorse per interventi infrastrutturali e strutturali; serve andare avanti decisamente nella strada della metanizzazione in modo tale che a Ottana possa ripartire Equipolymers, perché possa ripartire Eurallumina, perché possa essere data al territorio industriale sardo una chance in più per produzioni che possono trarre vantaggi dalla presenza e dalla disponibilità del metano, non tanto e non solo per l'energia elettrica, ma per l'energia termica.

Bisogna affrontare con decisione il confronto con l'ENI che, giustamente, viene indicata come responsabile di un indebolimento dell'apparato industriale in Italia e in Sardegna; ma l'ENI è oggi il frutto di una politica nazionale che non è riuscita a far crescere un soggetto forte nella chimica permettendo, invece, che crescesse soltanto nel settore dell'energia. Questo è il succo della questione.

Allora, di fronte a ENI noi certamente dobbiamo difendere i nostri interessi stando tutti uniti, come è stato fatto nel luglio scorso nell'incontro al Ministero dello sviluppo economico quando il Presidente della Regione, d'accordo con i sindacati e con le associazioni degli industriali, si è alzato dal tavolo delle trattative e ha detto che non si poteva chiudere, non si poteva accettare questa fermata.

Insieme si è ottenuto uno stop a quella decisione per arrivare a una soluzione che, certo, non è la migliore del mondo, quella dell'accordo citato poco fa, ma che vede favorevoli anche i vertici sindacali, regionali, oltre che quelli nazionali, nonché perfino alcuni parlamentari del Partito Democratico.

Non è il massimo quello che è stato ottenuto, ma è comunque una presenza; così come oggi per Vinyls dobbiamo stare attenti che la procedura di amministrazione straordinaria possa concludersi con un passaggio di consegne, un acquisto che sembra alle porte da parte di un soggetto forte. Abbiamo notizia dell'avvio, proprio nelle ultime ore, della due diligence con un gruppo arabo che potrebbe acquistare l'intera filiera; sarebbe un soggetto finanziariamente certamente più forte di Sartor e che, conseguentemente, potrebbe dare un futuro a questa filiera. Occorre certamente essere vigili, occorre aver presente che il problema è quello del lavoro ma, contemporaneamente, è anche quello di un tessuto produttivo che non può fare a meno della grande industria in questo momento e che deve orientarsi verso una possibile diversificazione produttiva.

Vi sono anche altre vertenze all'attenzione della Regione su cui cerchiamo per quanto possibile di essere particolarmente vigili. Soprattutto in alcuni territori emerge questa grave situazione, per cui abbiamo necessità del massimo dell'unità. Su questo punto io credo sia utile che il Consiglio rifletta, così che dall'incontro odierno possa nascere un confronto forte con le aziende e anche, evidentemente, con il Governo nazionale.

PRESIDENTE. Comunico all'Aula che il consigliere Mulas che aveva chiesto congedo, è presente in Aula. Pertanto il congedo si intende revocato.

Ha domandato di replicare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Anch'io come l'assessore La Spisa, certo con meno autorevolezza, nulla intendo concedere alle divisioni politiche che sono emerse da questo dibattito; però credo che il dibattito che abbiamo tentato di sviluppare quest'oggi, soprattutto per il rispetto dovuto alle persone che vivono sulla propria pelle gli effetti drammatici di questa crisi, avrebbe meritato da parte di quest'Aula una maggiore attenzione e una maggiore sensibilità.

Io davvero non capisco, sarà un limite mio, ne prendo atto, come su un tema come questo si possa continuare a passeggiare ordinariamente in quest'Aula, si possa continuare a essere assenti per gran parte dei lavori, come sta avvenendo in questo momento. Su questo credo abbia ragione, io perlomeno sono d'accordo con lui, l'onorevole Vargiu, quando lancia un monito sulla caduta di credibilità che coinvolge tutti e che non fa bene a nessuno, quale che sia la nostra occasionale posizione politica in quest'Aula. Pensavo, ripeto, a una maggiore attenzione, a una maggiore tensione ideale attorno a questi problemi. Così non è stato, e credo non faccia onore a quest'Aula.

Onorevole La Spisa, lei ha voluto, credo, dal suo punto di vista, giustamente, sollevarsi cinque centimetri da terra per evitare alcune polemiche. Io con molta umiltà voglio ricordarle e ricordarvi che forse sin dal primo intervento, scusate l'autocitazione, io intervengo spesso in quest'Aula, svolto sulle dichiarazioni programmatiche del presidente Cappellacci, ho ripetuto fino a rasentare il tedio che le responsabilità, le cause e le ragioni della crisi non iniziano nel marzo 2009. Credo che questo debba essere riconosciuto.

Non c'è volontà di polemica o di strumentalizzazione da parte del sottoscritto e dell'opposizione. Lo ripeto ancora oggi, la mozione non è connotata da questo carattere. Io e noi non pensiamo, saremmo degli sciocchi, che le ragioni di questa crisi, ripeto, risiedano solo e soltanto nel fatto che da marzo in poi abbiamo un Governo regionale incapace di affrontare i problemi. Io credo che il Governo regionale, comunque, in particolare nel rapporto col Governo nazionale e con la Presidenza del Consiglio, non faccia a sufficienza per porre il problema Sardegna, se non al primo, a uno dei primi punti dell'agenda politica del Governo; credo sia indubbio a tutti che questo non è, nonostante i reiterati tentativi e sforzi anche da parte della maggioranza che governa la Regione.

Certo, non siete responsabili di tutte le disgrazie che affliggono la Sardegna, così come è indubbio che non siete i soli ad avere la responsabilità delle scelte sbagliate che la politica ha fatto in questi anni. Io, spero di non essere il solo in quest'Aula, sono convinto che la politica, chi più chi meno, abbia sbagliato quando ha delegato al mercato il governo delle dinamiche economiche e dei processi industriali; credo che abbia sbagliato.

Non vedo però oggi, nonostante questo riconoscimento che avviene da parte di tutti, emerge anche dalla sua replica, Assessore, e conoscendola so che lo fa con grande onestà intellettuale, una reazione conseguente a questo riconoscimento. Assessore, c'è necessità che anche questa Regione, questa maggioranza, di fronte ad alcune crisi si doti di strumenti che possono in qualche maniera non dico sostituirsi a chi governa quelle dinamiche, ma certamente condizionarle perché ci sono attività, che iniziano e finiscono in questa regione, che aspettano un intervento in cui regole, strumenti di sostegno e di promozione vadano in quella direzione.

Ho parlato di crisi e, ora, per brevità non voglio richiamarle; mi farebbe piacere che prima o poi ci fosse il tempo per discuterne concretamente in questa Aula. Presidente del Consiglio, dedichi una sessione straordinaria che consenta a questa Aula di affrontare concretamente, magari non con la tensione a cui abbiamo assistito oggi, questi problemi auspicando che da quel dibattito venga anche qualche suggerimento, qualche impulso e qualche sollecitazione alla Giunta regionale.

Non siete neanche i soli responsabili, certamente, degli effetti negativi dei costi dei fattori della produzione, in particolare a partire dai costi dell'energia. Tuttavia, Assessore, Presidente del Consiglio, mi dispiace che manchi il presidente Cappellacci, voi governate; eppure, ripeto, pur non caricandovi addosso la croce di tutte le stazioni pregresse di questa via crucis, sarebbe importante che voi portaste almeno la croce delle stazioni che vi vedono protagonisti.

Assessore, i problemi irrisolti, lei lo sa bene, non sono pochi, non sono pochi. La discussione, quest'oggi non è per stabilire se state lavorando o meno; c'è stato infatti qualche Assessore prima di lei, assessore La Spisa, al quale si riconosceva un impegno lavorativo straordinario ma, ahinoi!, a quello straordinario impegno corrispondeva in maniera direttamente proporzionale una altrettante straordinaria inconcludenza e, pertanto, i risultati alla fine purtroppo non arrivavano.

Lei ha citato due casi: Alcoa e Vinyls. Bene, su Alcoa noi riconosciamo il lavoro importante che è stato svolto e che credo sia il prodotto dell'impegno di tanti, in particolare di chi ha responsabilità di governo e delle organizzazioni sindacali. Io le riconosco, Assessore, anche di aver correttamente descritto questa vicenda. In quella ricostruzione mancano però tre cose. La prima, non c'è stata finora, nonostante l'impegno profuso, almeno l'indicazione di una soluzione strutturale di medio e lungo periodo rispetto al fattore energia, rispetto al fattore costo dell'energia elettrica e per certi versi anche dell'energia termica; il problema riguarda anche Eurallumina, e non soltanto.

La seconda questione non affrontata, Assessore, riguarda il limite temporale della soluzione proposta dal Governo. Non si può offrire a un grande gruppo industriale una soluzione che ha una durata di sei mesi. Non c'è nessuno in questa situazione che risponda alla richiesta di impegno soprattutto finanziario...

PRESIDENTE. Onorevole Diana, il tempo a sua disposizione è terminato.

Dichiaro chiusa la discussione.

Il Consiglio è riconvocato alle ore 16 e 30 del pomeriggio.

La seduta è tolta alle ore 13 e 43.



Allegati seduta

LXXXIV Seduta

Martedì 19 gennaio 2009

(ANTIMERIDIANA)

Presidenza della Presidente LOMBARDO

INDICE

La seduta è aperta alle ore 10 e 29.

CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 15 dicembre 2009 (77), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Angelo Cuccureddu, Massimo Mulas, Teodoro Rodin, Renato Soru e Marco Meloni hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 19 gennaio 2010.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Annunzio di interrogazione

PRESIDENTE. Si dia annunzio della interrogazione pervenuta alla Presidenza.

CAPPAI, Segretario:

"Interrogazione Bruno - Cuccu - Meloni Valerio - Solinas Antonio, con richiesta di risposta scritta, sulla necessità di cambiare le norme discriminatorie introdotte nel nuovo bando per gli assegni di merito della Regione Sardegna". (205)

Annunzio di interpellanze

PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interpellanze pervenute alla Presidenza.

CAPPAI, Segretario:

"Interpellanza Zedda Massimo - Uras - Sechi - Zuncheddu sull'incidente mortale sul lavoro a Sale in Provincia di Alessandria avvenuto il 12 gennaio 2010". (62)

"Interpellanza Bruno - Cucca - Solinas Antonio - Salis - Uras - Ben Amara - Diana Giampaolo - Espa - Meloni Marco - Porcu - Zedda Massimo - Zuncheddu - Agus - Barracciu - Cocco Daniele Secondo - Lotto - Mariani - Meloni Valerio - Sanna Gian Valerio - Sechi sulle ipotesi di demolizione dello stadio Sant'Elia e sull'individuazione di un suo utilizzo alternativo". (63)

Annunzio di mozione

PRESIDENTE. Si dia annunzio della mozione pervenuta alla Presidenza.

CAPPAI, Segretario:

"Mozione Espa - Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sui tagli effettuati ai progetti personalizzati per persone in situazione di handicap grave ai sensi della legge n. 162 del 1998, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento". (33)

PRESIDENTE. Prima di procedere con il primo punto all'ordine del giorno, constatato lo scarso numero di consiglieri presente in Aula, sospendo la seduta. Prego però i Capigruppo di richiamare i consiglieri in Aula perché sono già trascorsi 33 minuti dall'orario previsto per l'inizio della seduta.

(La seduta, sospesa alle ore 10 e 33, viene ripresa alle ore 10 e 45.)

Discussione congiunta delle mozioni Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla crisi occupazionale e industriale della Sardegna, con particolare riferimento allo stato della vertenza Alcoa e delle produzioni energivore del Sulcis-Iglesiente e di quella in corso sulla chimica a Porto Torres e negli altri poli industriali. (29) e Diana Giampaolo - Bruno - Uras - Salis - Zedda Massimo - Cuccu - Meloni Valerio - Solinas Antonio - Espa - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Soru - Zuncheddu sul Piano dell'ENI di riconversione del sito petrolchimico di Porto Torres in deposito nazionale carburanti, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del

Regolamento. (22)

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle mozioni numero 29 e 22.

(Si riporta di seguito il testo delle mozioni:

Mozione Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla crisi occupazionale e industriale della Sardegna, con particolare riferimento allo stato della vertenza Alcoa e delle produzioni energivore del Sulcis-Iglesiente e di quella in corso sulla chimica a Porto Torres e negli altri poli industriali.

IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO che:

- in Sardegna si registrano livelli di crisi produttiva ormai intollerabili con il progressivo inaccettabile smantellamento di ogni stabilimento industriale, anche prescindendo dalla qualità assoluta del prodotto realizzato e dalla possibilità reale delle produzioni di competere sul mercato nazionale ed internazionale;

- in relazione al predetto processo di liquidazione dell'attività industriale in Sardegna non appare accettabile alcuna giustificazione fondata esclusivamente sui limiti posti agli aiuti di Stato in materia di energia dall'Unione europea, tutti superabili, così come avvenuto per altri settori e in altre realtà regionali della Comunità, sulla base delle idonee iniziative da parte dei singoli Stati membri interessati;

- le azioni di difesa del lavoro e delle attività produttive industriali intraprese dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle loro rappresentanze regionali, territoriali e aziendali, e dalle istituzioni locali dei territori più direttamente interessati debbano trovare attiva solidarietà da parte della Regione autonoma della Sardegna e dei suoi organi statutari,

impegna la Giunta regionale

ad adottare gli idonei strumenti e a promuovere i necessari interventi atti:

1) ad affiancare ogni iniziativa democratica e non violenta di difesa dell'apparato produttivo ed industriale sardo, ad iniziare dalla manifestazione prevista per giovedì prossimo a Roma, sostenendo con le modalità consentite dalla legge, l'impegno delle popolazioni interessate, anche economico, tramite le istituzioni locali, comuni e province, e le organizzazioni sindacali di categoria e confederali;

2) a riferire in Aula, entro sette giorni, ai sensi dell'articolo 120 del Regolamento consiliare, sullo stato dell'apparato produttivo industriale sardo e sul suo progressivo indebolimento, sulla natura, intensità e prospettiva delle vertenze in atto, nei diversi poli industriali e nei diversi stabilimenti, nonché sulle necessarie misure di sostegno e sviluppo, comunitario, nazionale e regionale, finalizzate alla difesa della produzione e del lavoro industriale;

3) a riferire al Consiglio, previo confronto con le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria direttamente interessate e le istituzioni locali dei territori coinvolti e a proporre per l'esame in Aula, già nell'ambito della manovra finanziaria e di bilancio 2010, le misure di competenza regionale indicate come necessarie a gestire la contingenza dalle forze sociali e dal sistema istituzionale locale. (29)

Mozione Diana Giampaolo - Bruno - Uras - Salis - Zedda Massimo - Cuccu - Meloni Valerio - Solinas Antonio - Espa - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Soru - Zuncheddu sul Piano dell'ENI di riconversione del sito petrolchimico di Porto Torres in deposito nazionale carburanti, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.

IL CONSIGLIO REGIONALE

CONSIDERATO che:

- l'ENI ha annunciato la chiusura dell'impianto cracking del petrolchimico di Porto Torres; con le motivazioni di un crescente risultato annuo negativo ha considerato di fatto l'impianto petrolchimico strutturalmente inefficiente;

- la fermata del cracking a Porto Torres pone a rischio il futuro di 500 lavoratori;

EVIDENZIATO che:

- dagli incontri tra Governo ed ENI sono state proposte non una ma più soluzioni di rilancio, tra cui, anche la costruzione di una centrale termoelettrica, il tutto a dimostrare la confusione che impera sia nel Governo che nell'ENI;

- secondo quanto è trapelato recentemente l'ENI ha proposto un piano d'investimenti che dovrebbe trasformare lo stabilimento turritano nel più grande deposito costiero di idrocarburi d'Italia con la chiara intenzione di procedere ad una dismissione del petrolchimico;

- secondo i progetti del colosso energetico italiano, con un investimento di 150 milioni di euro per il deposito costiero, a fronte dei 90 milioni destinati a interventi sulle produzioni e dei 550 milioni promessi per le bonifiche, si costruirà invece un parco serbatoi capace di inglobare 1 milione e 650 mila metri cubi di combustibile che L'ENI affiderebbe in gestione alla società R&M (marchio Agip) e che garantirebbe il lavoro ad appena 45 unità a fronte di una perdita di oltre 500 posti di lavoro;

- l'ipotesi di stoccare 1 milione 650 mila metri cubi di carburanti in un deposito costiero ha un evidente impatto ambientale sull'area marina protetta del Parco dell'Asinara, che il territorio non può permettersi di sopportare;

- il traffico delle petroliere nelle acque del Parco dell'Asinara bloccherebbe in maniera irreversibile i progetti dell'Ente parco dando un colpo mortale allo sviluppo turistico dell'intero territorio del nord ovest della Sardegna;

PRESO ATTO che:

- il progetto dell'ENI è destinato a porre fine alla produzione degli impianti e a cancellare non solo un pezzo di economia tra i più importanti della Sardegna, ma l'intera cultura industriale di quel territorio;

- Porto Torres e l'intero territorio non possono sobbarcarsi l'ennesimo rischio ambientale con notevoli ricadute produttive e occupazionali;

- il transito delle petroliere dovrebbe interessare il territorio dell'Area marina protetta del Parco dell'Asinara e delle Bocche di Bonifacio considerate entrambe le zone più belle del Mediterraneo con caratteristiche naturali di assoluta rilevanza ed unicità e per tale motivo, ossia per la valorizzazione e la conservazione delle particolari caratteristiche ecologiche e degli elevati valori ambientali di questo tratto di mare, sono state istituite delle aree protette nazionali ed internazionali,

impegna la Giunta regionale a:

opporsi, com'è necessario, al piano ENI e chiedere allo stesso ENI di impegnare le risorse destinate al deposito costiero per gli interventi strutturali atti a rilanciare le produzioni dell'intero petrolchimico;

verificare che il progetto in questione sia sottoposto alla valutazione di impatto ambientale;

verificare che se l'investimento proposto dall'ENI sia rispettoso degli accordi intrapresi presso il Ministero dello sviluppo economico;

valutare i progetti della Provincia di Sassari e dell'Ente parco dell'Asinara quali utili prospettive di sviluppo per il territorio con la realizzazione di un porto commerciale.(22).)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Uno dei presentatori delle mozioni ha facoltà di illustrarla.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Su un tema come questo sarebbe stata importante la presenza, spero ci raggiunga, del Presidente della Regione. Era nostra intenzione, quando abbiamo presentato le mozioni, coinvolgere il Consiglio regionale nell'esame delle cause che hanno determinato la crisi che ha messo in ginocchio l'economia dell'isola, con ripercussioni drammatiche sulle condizioni di vita di centinaia di migliaia di sardi.

Pensiamo non sia più procrastinabile il coinvolgimento del Consiglio in una discussione nella quale però non ci si può limitare a esprimere, come è avvenuto in questi mesi, solidarietà a chi quotidianamente lotta per conservare il proprio posto di lavoro. Serve invece, signor Presidente, un'azione di governo forte e autorevole che finora è mancata.

E' necessario inserire non una ma più marce se si vuole dare una svolta alle troppe vertenze aperte su tutti i fronti. Presidente, se questo è il clima, su questo tema io rinuncio a intervenire.

PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Diana. Colleghi, per cortesia, accomodatevi.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Mi rivolgo a lei, signor Presidente del Consiglio, in assenza del Presidente della Regione, mi rivolgo anche alla Giunta dicendo che dovete recuperare lucidità e indicare soluzioni capaci di rimettere in moto l'economia della Regione. Noi, come abbiamo fatto finora, non ci limitiamo a chiedervi soluzioni che pure avete il dovere di indicare, ma siamo qui a suggerirvi proposte e soluzioni per affrontare e risolvere le tante emergenze che ancora non siete riusciti a risolvere.

Assistiamo infatti quotidianamente alla chiusura di segmenti produttivi e da parte vostra si affronta il tutto con una semplicità disarmante, quasi fossero questioni di carattere ordinario e non invece quanto di più drammatico stia avvenendo da trent'anni a questa parte. Ogni giorno trascorso registra un ulteriore peggioramento nei settori produttivi; un peggioramento che, dalla chimica al metallurgico, dalle costruzioni all'agroalimentare, investe sia le grandi che le piccole imprese, non risparmiando nessun territorio della Regione. La crisi dei settori produttivi oramai ha raggiunto livelli intollerabili provocando un profondo disagio sociale nonché il rischio di tenuta dell'ordine pubblico.

Nell'anno appena trascorso la congiuntura internazionale ha determinato nel sistema delle imprese un calo sensibile degli ordinativi, con la conseguente diminuzione dei livelli di produzione e dei fatturati. La cassa integrazione interessa oltre 4000 lavoratori, e sono circa 350 le imprese che vi hanno fatto ricorso, con un aumento della stessa nell'ultimo anno pari al 500 per cento, mentre i lavoratori che fruiscono di ammortizzatori sociali in deroga sono oltre 12 mila. Ciò avviene mentre tutti gli istituti di analisi prevedono per i prossimi due anni una ulteriore contrazione della produzione industriale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali.

Forse è utile ricordare che nel 2009 in Sardegna sono stati persi 30 mila posti di lavoro, di cui 20 mila nella sola industria, per cui il tasso di disoccupazione è tornato a crescere attestandosi oltre il 13,5 per cento. Nel sottolineare questo dato è utile non dimenticarci che il sistema produttivo sardo è segnato da un forte squilibrio tra i settori merceologici, dove l'industria rappresenta meno del 13 per cento del contributo di valore aggiunto, contro una media nazionale del 25, e gli addetti in questo settore nell'isola sono appena il 10 per cento della popolazione lavorativa contro il 22 per cento nazionale.

Purtroppo non sono migliori gli indicatori relativi al mercato del lavoro, infatti nell'isola gli occupati superano di poco le 590 mila unità, con una contrazione nell'ultimo anno pari a 20 mila unità lavorative, tra questi i lavoratori dipendenti sono 420 mila, di cui oltre 100 mila sono lavoratori precari. Occorre ricordare che in Sardegna la dinamica della trasformazione dei contratti atipici in contratti a tempo indeterminato è la più lenta del Paese, e ciò colloca la nostra Regione al primo posto in Italia per la percentuale di lavoro precario.

Ci sono ancora due indicatori che contribuiscono a testimoniare la drammaticità della crisi e gli effetti che questa produce su ampi strati della società. Il primo è quello relativo alla qualità dei redditi, di cui l'attuale Assessore del lavoro si è interessato anche recentemente in un'altra veste. I redditi da lavoro dipendente sono il 18 per cento in meno della media nazionale, con punte del 22 per cento rispetto al Nord. Il reddito medio mensile da pensione Inps in Sardegna è pari 614 euro, contro una media nazionale di 781, di 795 nel Centro, e di 845 nel Nord. Questo è un dato che, ahinoi, non è destinato a scomparire rapidamente; infatti, quand'anche risolvessimo nella giornata odierna tutte le crisi industriali e quelle degli altri settori dove si registra il ricorso agli ammortizzatori sociali, quei lavoratori alla fine percepiranno una pensione minima proprio perchè in quei determinati periodi hanno avuto un assegno sensibilmente inferiore.

Questi dati non hanno bisogno di alcun commento e spiegano efficacemente da che cosa trae origine il secondo indicatore, e cioè l'incidenza della povertà relativa. Quest'ultima in Sardegna è aumentata più che in altre regioni, passando dal 17 al 23 per cento, ciò vuol dire che oltre 420 mila persone sono costrette a vivere sotto la soglia della povertà relativa.

Gli effetti della crisi impongono alla Regione l'urgenza di dotarsi di un moderno welfare locale, integrativo a quello nazionale, e per la durata necessaria al superamento della crisi. Per queste ragioni, seppur inascoltati, fin dall'inizio di questa legislatura vi abbiamo sollecitato l'adozione di strumenti idonei, insieme alla necessaria dotazione finanziaria.

Certo, a nessuno sfugge che i fattori alla produzione, a partire dai costi energetici, i costi relativi alla qualità dei trasporti da e per l'isola, così come quelli del credito, rappresentano una significativa diseconomia per l'intero sistema economico isolano; e sappiamo anche che gli stessi non sono riconducibili alla sola responsabilità del Governo regionale. Questo è vero, tuttavia non può rappresentare un alibi per giustificare la totale inconcludenza con cui state gestendo questa difficile fase della crisi economica dell'isola.

È vero, non possiamo non darvi atto della puntualità nell'esprimere la vostra solidarietà ai lavoratori impegnati a difendere il loro posto di lavoro, nell'essere loro accanto nei momenti di mobilitazione, tutto ciò finora ha prodotto solo attestati di solidarietà, importanti, ma che, per carità, non danno da vivere. È il caso dell'Eurallumina, del petrolchimico di Porto Torres, di Vinyls, di Alcoa, della Rockwoll, delle diverse aziende di Ottana, e non continuo per ragioni di brevità, ma l'elenco come sapete è assai lungo.

Presidente, lungi da me la volontà di strumentalizzare, soprattutto in un momento così drammatico per la nostra economia, ma come non capire che la situazione sta precipitando e rischia di sfuggire di mano a tutti? Attenzione, mi rivolgo a tutti, davvero chiedo un minimo di attenzione, è una questione delicata. In questi giorni la tensione sta salendo in maniera pericolosa, è a rischio l'ordine pubblico e la stessa credibilità delle istituzioni e delle organizzazioni sociali. Presidente, non si possono leggere diversamente le scritte e i volantini anonimi diffusi in Alcoa contro le organizzazioni sindacali.

Presidente, Assessori, colleghi della maggioranza, forse sbaglio, spero di sbagliarmi, ma ho l'impressione che da parte vostra non ci sia la percezione esatta della gravità in cui versa il nostro apparato produttivo. Siamo di fronte al rischio di vedere cancellato un ciclo industriale che ha avuto origine a metà degli anni '60, e non c'è da parte vostra un'azione adeguata a evitare che ciò avvenga.

È vero, il 15 luglio dello scorso anno in quest'Aula si sono riuniti i massimi rappresentanti delle istituzioni e delle parti sociali; in quell'occasione un autorevole rappresentante della vostra maggioranza ha insistito sulla necessità di mettere la Sardegna dinanzi a tutto, anche alla stessa maggioranza che governa la Regione. Il giorno dopo, il 16, il Consiglio regionale votò all'unanimità un ordine del giorno in cui si invitava lei, signor Presidente, e la sua Giunta ad assumere una decisa e ferma posizione, all'insegna della ritrovata unità autonomistica, per ottenere dal Governo nazionale misure adeguate volte al superamento dell'eccezionale e straordinario stato di crisi.

Presidente, Assessori, dove sono i risultati a seguito di quella ferma posizione? Che ne è degli impegni assunti nell'ordine del giorno del Consiglio del 16 luglio scorso? Siete forse riusciti a fermare la scellerata politica di dismissione dell'ENI a Portotorres e ad Assemini? Siete forse riusciti a mantenere i livelli occupazionali del comparto industriale? Avete forse definito il piano straordinario per le politiche industriali da adottarsi nei prossimi cinque anni? Vi siete preoccupati a tal fine di assicurare una quota a valere sulle nuove entrate, previste dalla modifica dell'articolo 8 dello Statuto, a partire da quest'anno, e a rivendicare un corrispondente impegno da parte dello Stato?

Avete ottenuto assicurazioni dall'ENI volte a non modificare la sua presenza in Sardegna nei prossimi cinque anni, in attesa che si vedano gli effetti del piano di cui ho appena detto? State negoziando col Governo misure compensative dei maggiori costi dell'energia termica nelle more della realizzazione del metanodotto? A che punto è il piano regionale di servizi, delle politiche del lavoro e per l'occupazione, di cui alla legge regionale numero 20 del 2005? E infine, Presidente, a che punto sono le vostre iniziative per garantire efficacia ed efficienza alla continuità territoriale delle merci?

Finora nessun risultato che metta in sicurezza anche uno solo degli impianti industriali in crisi! Forse è utile chiedersi il perché dell'assenza di questi risultati. Ho l'impressione che ciò derivi principalmente da due ragioni. La prima risiede nella debolezza, per usare un eufemismo, della vostra proposta, segnata da confusione e da un'insufficiente conoscenza delle ragioni delle crisi industriali; e pertanto inadeguata e incapace di affrontare e aggredire i nodi della crisi. La seconda risiede nella scarsissima autorevolezza del Governo regionale della Sardegna nei confronti del Governo nazionale e, nella fattispecie, della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Queste due ragioni stanno provocando la desertificazione del nostro apparato produttivo. E' vero, presidente Cappellacci, lei è stato a diverse manifestazioni svolte a Roma in quest'ultimo periodo. L'ultima in ordine di tempo: la scorsa settimana per Alcoa di fronte all'ambasciata americana. Tuttavia, Presidente, glielo dico con grande rispetto, pur apprezzando la sua disponibilità, per me, che ho una qualche esperienza di manifestazioni, è stato mortificante non essere riusciti a farci ricevere nemmeno da un sottosegretario. Lei, essendo il Presidente, doveva preoccuparsi di far concludere quella manifestazione con un incontro istituzionale, invece si è trasformata in una umiliazione per l'intera Sardegna. Non doveva permetterlo! Vorrei che su questo lei riflettesse, la Giunta riflettesse, l'intera maggioranza riflettesse!

Senz'altro può aiutare, in questa riflessione, il contenuto della lettera che Alcoa ha fatto pervenire nella giornata di ieri ai lavoratori, ricordando loro che da parte del Governo non c'è ancora nessuna risposta esaustiva. Le chiedo: crede davvero che una soluzione, per quanto soddisfacente nel merito, ma che ha una durata di soli sei mesi, possa rappresentare una risposta esaustiva a un grande gruppo industriale che ha bisogno di progettare con un tempo lungo, almeno 5-10 anni, per il medio e lungo periodo? Ma quali garanzie diamo se programmiamo impegni soltanto per una durata di sei mesi, quand'anche questi rispondessero alle aspettative di carattere di merito?

Ancora, i giornali lo riportano oggi, ieri il Ministero ha gelato le delegazioni delle organizzazioni sindacali, ma non soltanto, anche quelle delle amministrazioni locali, dicendo che non intende fare nessuna pressione nei confronti dell'ENI per garantire la continuità lavorativa negli impianti di Vinyls. Bene, nel caso si tratta di una fideiussione; allora noi vi chiediamo di intervenire direttamente, in qualche maniera, per evitare che si fermi anche quel segmento produttivo (significherebbe, badate, il tracollo della chimica in quest'Isola) garantendo, attraverso i rapporti che potete avere con gli istituti di credito, oppure con la stessa Sfirs, le fideiussioni alla Vinyls.

Serve in buona sostanza quello che finora non c'è stato, noi vi chiediamo di fare appello all'autorevolezza, che deve avere, nonostante finora non l'abbiate dimostrata, un Governo regionale in una Regione a Statuto speciale. Voi dovete pretendere per i prossimi giorni un confronto con il Presidente del Consiglio dei ministri che non affronta le singole questioni una per una, è necessario un confronto di carattere negoziale forte tra la Sardegna e il Governo nazionale, con la presenza del Presidente del Consiglio, per affrontare tutte le questioni che abbiamo aperte nel settore del comparto industriale.

Ma, insomma, è possibile, dopo quasi un anno di governo di questa Regione, con una maggioranza omogenea in Sardegna e nel Paese, che non si riesca ad ottenere un incontro che abbia questi connotati? E' possibile che dobbiamo continuare a farci "sfilare" volta per volta pezzi importanti dei nostri settori produttivi, senza che ci sia una responsabilità da parte del Governo e della Regione nell'affrontare queste questioni?

Infine, signor Presidente, fra quindici giorni si svolgerà uno sciopero generale in quest'Isola, io vorrei non fosse liquidato, come qualcuno di voi ha fatto. Uno sciopero generale proclamato dalle organizzazioni sindacali, uno sciopero generale in cui si fermerà la Sardegna, una Sardegna che sta soffocando sotto il peso opprimente di questa crisi. E' uno sciopero non solo delle organizzazioni sindacali, è uno sciopero condiviso dalle province, dai comuni che sono stati mortificati con l'ultima finanziaria rispetto alle aspettative che hanno posto, alle richieste che hanno avanzato, non c'è stata una risposta all'altezza di quelle aspettative.

Ci sono i comuni, ripeto, che sono i primi chiamati a dare risposte ai tanti cittadini che non riescono più a sopportare il peso di questa crisi, e a loro si affianca la Pastorale del lavoro. Ma è possibile che, anche di fronte a questa determinazione, non ci sia da parte vostra, davvero, così come ha richiamato il senatore Pisanu nel luglio scorso…

Il collega Diana, con una mimica eloquente, mi fa capire che sto tediando l'Aula. Pertanto, Presidente, e concludo, io credo che lei tutto possa rimproverarci ma, certamente, non può rimproverare a questa opposizione di non aver lavorato in questi mesi per sostenere con proposte importanti, dal nostro punto di vista, l'azione di governo. Noi siamo arrivati a questa conclusione e manca totalmente, da parte vostra, un'assunzione di responsabilità nel governo di quest'Isola. Una assunzione di responsabilità che, badate, non si esaurisce soltanto partecipando ai sit in, che pure sono importanti, e alle manifestazioni; per voi questo è dovuto ma la Sardegna vi chiede, noi vi chiediamo, anche oggi, di più. E spero che ci sia la volontà di sviluppare una discussione attenta, seria, in cui ci indicate qual è la vostra idea di sviluppo di quest'Isola, che ruolo deve avere l'industria, di quale tipo di Stato sociale integrativo volete dotarvi da ora e fino a quando si esaurirà questa fase difficilissima.

PRESIDENTE. Onorevole Diana, il tempo a sua disposizione è terminato.

Ricordo che i colleghi che intendono prendere la parola devono iscriversi a parlare non oltre la conclusione del primo intervento.

E' iscritto a parlare il consigliere Rassu. Ne ha facoltà.

RASSU (P.d.L.). Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, penso che l'intervento del collega Diana possa essere in buona parte condiviso, eccetto che in un particolare di basilare importanza. Ha sempre citato la maggioranza, ma questa è una battaglia che deve essere affrontata da tutti i sardi, proprio per le motivazioni che il collega Diana ha citato all'inizio del suo significativo intervento, cioè per il fatto che questa situazione di precarietà e di smantellamento ha avuto inizio ormai trent'anni fa e nessun Governo, statale e regionale, malgrado tutte le azioni politiche e sindacali portate avanti dai lavoratori, è riuscito sino ad ora a fermarla.

Ciò vuol dire solo che c'è una chiara intenzione da parte dell'ENI (e non da oggi ma da oltre vent'anni) di smantellare la chimica in Sardegna. L'abbiamo detto altre volte, è una scelta di mercato dell'ENI e non è una scelta economica, in quanto la chimica ha mercato. E' necessario pertanto che ci impegniamo tutti, non la maggioranza di turno. Oggi c'è una maggioranza di centrodestra, fino a qualche mese fa c'era una maggioranza di centrosinistra, né l'una e né l'altra hanno saputo dare risposta nell'immediato. La nostra maggioranza ha come sua scusante, giustamente, l'essere in carica da 10 mesi: i miracoli non li fa nessuno!

Non è però un problema della sola maggioranza (la maggioranza di governo e il Governo hanno la responsabilità di proporre soluzioni, sono perfettamente d'accordo), e credo che in questi trent'anni la nostra debolezza sia stata proprio l'esserci sempre divisi su questo problema. In questi ultimi mesi stiamo assistendo invece ad una azione comune dei sardi, del popolo sardo; azione comune tra sindacato, Governo regionale, Consiglio regionale, Province, Comuni, lavoratori: tutti uniti per difendere il sacrosanto diritto al lavoro.

L'ENI non può sbaraccare e andar via dopo che per trent'anni ha fatto tutto ciò che le è piaciuto in Sardegna! Ci sta lasciando intere zone inquinate, verificate nel territorio di Porto Torres l'incidenza dei tumori, come è da verificare nel Sulcis: questa è l'eredità che ci stanno lasciando i colonizzatori di ieri e di oggi. Io sono chiaro nel dire le cose, e non possiamo permettere all'ENI e all'Enel di continuare con questa politica!

Il Governo centrale deve avere tutto il nostro appoggio, l'appoggio dell'intera Sardegna, perché è una battaglia che può essere vinta se tutti insieme facciamo capire che l'Enel non può dettare il destino economico e il futuro di una regione: noi non siamo una provincia del Burundi, siamo una regione italiana che ha gli stessi diritti e doveri delle altre regioni. Pertanto, se nel Lazio, se nel Piemonte (ma direi anche in Olanda, in Germania, in Francia), l'energia elettrica costa alle industrie 30 euro a megawatt, anche in Sardegna questo dev'essere il costo!

Le industrie non possono pagare l'energia elettrica 60 euro a megawatt, questo è uno dei fattori che concorrono al costo della produzione in Sardegna. E' necessario trovare una soluzione, è necessario far riconoscere l'insularità della nostra regione: questo è il passaggio politico, economico e sociale importante che ci permetterà di stare al passo delle altre regioni europee.

E' necessario che l'Unione europea capisca che noi siamo una regione italiana, una regione europea ma siamo un'isola, con tutte le peculiarità e con tutti gli aspetti negativi che essere un'isola comporta. Un'isola è caratterizzata, purtroppo, da un'economia chiusa, limitata, con un costo dei trasporti che incide molto di più che nelle altre regioni; in Sardegna principalmente è alto il costo del denaro, stante il rischio che corrono gli investimenti trattandosi di una regione la cui economia non è ancora strutturata a dovere, e con un costo energetico che è del 40 per cento superiore a quello delle altre regioni.

Ebbene, bisogna partire da questo punto; è necessario che il Governo regionale, assieme al Governo centrale, individui i settori d'intervento, pensi da subito - ma tutti noi non solo il Governo regionale, tutti noi - alla soluzione migliore. Se crediamo veramente nella chimica, se la chimica deve essere salvata, bisogna decidere quale chimica salvare e, contemporaneamente, indirizzare l'ENI sulla bonifica dei territori, sulla loro riconversione e riqualificazione.

Ma è una battaglia, questa, attenzione collega Diana, che possiamo vincere se siamo uniti, se non recriminiamo responsabilità dell'attuale Governo regionale o del precedente; è una battaglia di tutti i sardi, se ci crediamo uniamoci e la vinceremo, se invece continuiamo a rimbalzarci la responsabilità di mesi e di anni di ogni azione governativa, non ne usciremo mai.

E nel presente - chiedo, signor Presidente, un po' di attenzione - è indispensabile che la Giunta regionale intervenga sull'anticipazione della cassa integrazione per gli operai di Porto Torres, ma anche per i lavoratori apprendisti perché si tratta della sopravvivenza giornaliera di tante famiglie, eppure ci sono dei ritardi in tal senso, non tanto da parte dell'Assessorato quanto degli uffici.

E'indispensabile intervenire anche sull'integrazione del reddito: questo ci hanno chiesto gli operai e i lavoratori nell'immediato. Pertanto, quello che possiamo fare noi, Governo regionale, è indispensabile che venga fatto immediatamente affinché si possa lenire in qualche maniera il sacrificio di questi lavoratori che da mesi non hanno stipendi da portare alle loro famiglie. Lavoratori che stanno solo chiedendo un'accelerazione della concessione di questi proventi affinché, spettandogli di diritto, possano essere incassati al più presto.

Ma ribadisco ancora una volta che, se dobbiamo salvare la chimica in Sardegna, è necessaria un'azione comune; decidiamo qual è il tipo di chimica che vogliamo, individuiamo quali sono i settori di intervento da consolidare, studiamo assieme la strategia! Non è più il tempo né delle analisi, né delle critiche, né dei sit in, né di niente, è il tempo di sederci a un tavolo per studiare una soluzione, e bisogna studiarla assieme al Governo centrale. Non possiamo essere ostaggio oggi dell'ENI, domani dell'Enel, dopodomani chissà di chi!

Noi, tutti assieme, studiamo una soluzione per il comparto chimico, per il comparto metallurgico, per il comparto industriale nel suo insieme; solo così possiamo uscire dalla crisi perché è una battaglia del popolo sardo, è una battaglia istituzionale non è una battaglia ideologica, questo lo sappiamo tutti perché ci troviamo tutti d'accordo quando affrontiamo questi problemi in Commissione, allora restiamo uniti!

E'giusto che l'opposizione, in quanto tale, muova le sue critiche al Governo, le critiche sono anche costruttive e su questo, almeno per quanto mi riguarda, esprimo il mio personale apprezzamento; ma se vogliamo risolvere questa situazione, sediamoci, tutti noi portiamo la nostra proposta al Governo e non facciamo alcun un passo indietro obbligando il Governo, ora di centrodestra ieri di centrosinistra, a rispettare gli impegni, obbligandolo soprattutto ad aprire gli occhi e vedere che la Sardegna non è una provincia africana: è una regione italiana che ha una sua dignità!

Abbiamo dato tanto per l'Italia e per l'Europa, stiamo continuando a dare tanto, è ora di smetterla, è necessaria un'attenzione giornaliera sulle nostre problematiche perchè la situazione sta per scoppiare, con probabili conseguenze anche in materia di ordine pubblico, lo sappiamo perfettamente; prima che questo succeda lasciamo da parte le analisi, lasciamo da parte tutte le azioni eclatanti che possono essere azioni pro forma e di comodo, studiamo la soluzione e andiamo a bussare alle porte del Governo ma facendo pesare la parola del nostro popolo; il nostro popolo è popolo sardo ed è anche popolo italiano e, purtroppo, c'è un'assoluta distrazione sulla nostra regione, e questo non possiamo consentirlo.

Facciamoci sentire, il Governo regionale sta facendo la sua parte e non solo la parte politica; probabilmente, Presidente, non basta però ciò che si sta facendo, è necessario porre in essere le azioni necessarie, all'interno di quest'Aula, affinché la voce di questo Consiglio possa essere sentita una volta per tutte, perché è la voce dei sardi!

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pietro Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO PIETRO (P.D.). Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori, colleghi consiglieri, la discussione di questa mozione è l'occasione, se vogliamo l'ennesima occasione, per discutere della grave difficoltà che attanaglia la Sardegna, con la speranza che si possa contribuire a dare soluzioni.

Travolta da una crisi industriale senza precedenti, la nostra Isola rischia seriamente un tracollo sociale ed economico senza precedenti e uno spopolamento, con dati, che periodicamente vengono forniti, molto preoccupanti. Forse con un po' di ritardo, anche colto di sorpresa dall'improvviso acuirsi della crisi, tutto il mondo politico e sindacale sta cercando soluzioni unitarie, dal punto di vista strategico, per limitare i danni; tuttavia mi pare che i governanti nazionali e regionali non stiano facendo quanto necessario per far valere le nostre ragioni e ottenere risultati sulle numerose questioni aperte.

Forse tramortiti dal quadro di grande difficoltà, che abbraccia tutti i settori produttivi, non si riesce a venire a capo di una sola vertenza e i dati sono davvero incredibili.

Credo che nessuno pensi che debbano essere addebitate tutte a voi le responsabilità della crisi, però non possiamo fare a meno di notare come le scelte di governo di gestione del Paese in questo periodo di amministrazione, quasi anno, non abbiano sortito alcun risultato; non mi riferisco soltanto alla vicenda del G8 a La Maddalena e alla parziale riassegnazione dei fondi per la Sassari-Olbia, mi riferisco allo smantellamento della chimica, alla neanche tanto lenta operazione di abbattimento del polo metallurgico di Portovesme, questioni vitali per la sopravvivenza e straordinarie per la loro importanza; questioni che non hanno visto un Governo regionale all'altezza della situazione.

Spiace dirlo, ma questa non è soltanto una sensazione, la Sardegna sta diventando sempre più un luogo dove disoccupazione e disagio sociale stanno assumendo aspetti drammatici; ogni tentativo della nostra Isola rivendica diritti mentre assistiamo allo smantellamento progressivo di interi apparati produttivi che hanno rappresentato la spina dorsale della nostra economia.

Nella mozione in discussione abbiamo scelto di sottolineare, con particolare riferimento allo stato della chimica, sulla crisi occupazionale e industriale della Sardegna lo stato della vertenza Alcoa e delle produzioni energivore del Sulcis Iglesiente e di quelle in corso sulla chimica a Porto Torres e negli altri poli industriali. L'idea di fondo è che il Governo non sia solo distratto o, se vogliamo, poco incisivo, il sospetto è che la nostra Isola sia stata completamente e volutamente abbandonata al suo destino altrimenti le due più grandi partite di cui stiamo discutendo, la chimica e la metallurgia, non sarebbero a questo punto.

Inoltre, il fatto che il contenuto dell'intesa ENI sia fortemente insufficiente è sotto gli occhi di tutti; trasformare Porto Torres in un luogo di deposito per prodotti petroliferi è una cosa gravissima, depositare oltre 1 milione e mezzo di tonnellate di barili di petrolio significa far transitare in mare oltre seicento petroliere. Questo sarebbe un colpo mortale non solo per la chimica ma anche per gli altri settori dell'economia di quell'area a nord ovest della Sardegna, dal turismo alla pesca, per non parlare del rischio gravissimo per la tutela ambientale di quell'ecosistema.

Il cambio continuo di Assessori nell'Esecutivo non agevola le cose, al contrario, in questi mesi avete dato la sensazione di essere occupati a gestire soltanto i vostri problemi piuttosto che quelli della Sardegna.

La vertenza del Sulcis Iglesiente è emblematica. Un intero comparto metallurgico è stato piegato, messo in ginocchio non solo dall'arroganza e dalla prepotenza di proprietari senza scrupoli ma anche dalla non sempre brillante gestione politica della questione. La vita di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie è appesa a un filo tirato da decisioni prese in altre parti del mondo da Pittsburgh a Mosca, da Ginevra o da Zurigo a Copenhagen. Di fronte a questo scenario è necessario che il Governo nazionale sia chiaro e quello regionale ancora più chiaro e non accondiscendente, a prescindere, nei confronti di un Governo che fino ad ora al di là delle parole non ha concretizzato nulla.

In questi mesi abbiamo tutti quanti cercato di fare la nostra parte dando seriamente dimostrazioni di unità; ritengo giusto continuare a lavorare in questa direzione dando più forza a chi governa per ottenere soluzioni, tuttavia i risultati sono molto deludenti. Per l'Eurallumina, chiusa dal marzo 2009 con la promessa di una riapertura dopo un anno, che sta per passare, non si intravedono soluzioni a breve scadenza dopo quelle fatte durante la campagna elettorale direttamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri agli operai di quella fabbrica di un suo interessamento col Presidente della Russia.

La Rockwool, fabbrica di lana di roccia di proprietà danese realizzata con fondi pubblici, e che può stare concretamente in produzione realizzando utili, è occupata permanentemente degli operai da molti mesi; e ancora l'ILA, fabbrica di laminati di alluminio chiusa, e infine la vertenza delle vertenze di questo momento: la questione dell'Alcoa.

Il colosso americano, terzo produttore mondiale di alluminio, sta per dare il benservito alla Sardegna se non si dà seriamente soluzione al problema del costo energetico. Credo sia il caso di riepilogare brevemente la questione e provare a dire che, se davvero si vuole risolvere il problema, forse si è ancora in tempo. Ciò che è stato prospettato per ridurre il costo dell'energia, e renderlo competitivo rispetto a quello di altri Paesi europei, non è sufficiente e non offre le garanzie richieste.

L'interconnessione, ovvero la possibilità di acquistare energia elettrica da altri Paesi europei; la interrompibilità, ovvero la possibilità di ridurre il costo dell'energia tagliando la fornitura; il dispacciamento, ovvero il prezzo dell'energia elettrica per il trasporto dalla centrale fino alla fabbrica abbattono ovviamente il costo; costo che di partenza è di 65 euro a megawattora. Per portare questo costo a 45 euro a megawattora, anzi a 30 euro a megawatt, come richiesto, l'unica strada percorribile è quella di un accordo bilaterale con l'ENEL e questo accordo può essere richiesto e sottoscritto esclusivamente dal Governo.

Scusate, signor Presidente, e Assessori, in questa partita le cose non stanno esattamente così; mi pare che il Governo più che fare le cose le ha dette. L'Alcoa rimarrebbe in Sardegna per tutto ciò che sta, come dire, avvenendo in questi giorni, e se non avesse avuto la prospettiva di vedere ridotti i costi energetici sarebbe già andata via.

Fino ad oggi ci sono parole, ed è chiaro che di fronte alle sole parole l'Alcoa non cambierà idea, fare intendere che il Governo ha fatto quanto era possibile fare è fuorviante, non utile e offensivo, soprattutto falso. Il Governo ha detto tutto quello che si poteva fare però non ha scritto quello che si poteva fare. Affinché Alcoa deicida di investire su quella fabbrica 14 milioni di euro per riavviare gran parte delle celle elettrolitiche, per riattivare gli impianti, è necessario che il Governo concretizzi le proposte.

Insomma, signor Presidente, ci aspettiamo che lei, seriamente, rappresenti e tuteli le nostra terra, la sua gente, il suo apparato produttivo; la chimica deve stare nella nostra Isola, così come la metallurgia deve continuare a garantire i posti di lavoro. Badate, non sono partite e battaglie di retroguardia, sono battaglie di sopravvivenza di un'economia e di un popolo, 1.600.000 persone; tutti possiamo disquisire sulla necessità che il progresso e lo sviluppo economico della nostra Isola passino attraverso altre questioni, ma questa è materia della quale discuteremo magari più avanti, analizzando i programmi che avete presentato durante la campagna elettorale e che guarderemo in futuro. Adesso dobbiamo difendere, dico difendere perché abbiamo questa necessità, un apparato produttivo che è strategico anche per la nostra nazione, cioè quello dell'alluminio e quello della chimica.

Non difendere queste partite e ascoltare chi dice, si esprimono in tal senso anche alcuni consiglieri regionali, che quella è una partita oramai finita, che bisogna chiudere e rassegnarsi all'evento delle cose che accadono, è sbagliato, decisamente offensivo per tutta la nostra gente e per le lotte che sono state fatte per realizzare un comparto produttivo delle dimensioni di quello chimico, di quello metallurgico, con territori altamente compromessi dal punto di vista ambientale per centinaia di anni a venire, e ad oggi si può permettere di smantellare così le cose senza muovere un dito.

Questo non è assolutamente accettabile; dicevo quindi che la chimica deve stare nella nostra Isola, così come la metallurgia deve continuare a garantire i posti di lavoro. Per far questo è necessario avere grande forza e indipendenza e autorevolezza, superando soprattutto la sudditanza nei confronti di un Governo che alla prova dei fatti sta totalmente trascurando la nostra terra "sedotta e abbandonata" era il titolo dell'editoriale di domenica de "L'Unione Sarda"; un quotidiano non certo a voi ostile, ma che non poteva non evidenziare lo scarso peso politico di questo Governo regionale e il disinteresse sostanziale di quello nazionale.

I suoi mesi di amministrazione, signor Presidente sono stati scanditi da grandi scioperi generali; il primo del marzo 2009 per il quale non siamo riusciti ad avere risposte, il prossimo sarà infatti il 5 febbraio, in mezzo vi è la chiusura di tante realtà produttive. Per le due grandi vertenze in piedi, metallurgia e chimica, ci sono ancora margini per offrire una soluzione; questo dipende esclusivamente da voi. La Sardegna prima di tutto, signor Presidente.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Planetta. Ne ha facoltà.

PLANETTA (P.S. d'Az.). Presidente, signor Presidente della Giunta, Assessori, colleghe e colleghi consiglieri, credo che la discussione ancora oggi e di oggi possa e debba rappresentare per noi tutti qualcosa che sappia andare oltre le ben note dichiarazioni sulla crisi dell'industria in Sardegna. Questa non vuole essere una provocazione, ma l'andamento del dibattito che sto intravedendo questa mattina risponde ancora a schemi già visti e sentiti abbondantemente. La stessa genesi della mozione ripercorre prassi collaudate e ben note come in un gioco delle parti in cui alzare i toni del confronto sembra essere l'unica strada per apparire più credibili e più emotivamente coinvolti.

Ho seguito, come tutti voi, con molta attenzione e preoccupazione l'evolversi degli avvenimenti, ho letto le dichiarazioni del Presidente della Giunta, quelle del Presidente del Consiglio, ho seguito le differenti vertenze, la manifestazione di fronte all'ambasciata americana a Roma; e oggi, proprio mentre parliamo in quest'Aula, i segretari nazionali Cgil, Cisl e Uil di categoria sono nello stabilimento Alcoa e si accingono a decidere di intraprendere un nuovo viaggio in massa a Roma per rompere gli indugi, per spingere il Governo all'ultimo sforzo.

Insomma a quanto pare questa sarà la settimana decisiva per capire il futuro dello stabilimento. Anche se, come leggiamo sul noto quotidiano locale, sembra che ciascuno degli attori in scena, a tutti i livelli, cerchi di attribuire ad altri la responsabilità ultima dello stallo e di un eventuale fallimento invece di fare qualcosa per superare l'impasse.

Voglio però rilevare che vi è poi un triste significativo aspetto dell'intera faccenda che dovrebbe destare forte preoccupazione e farci riflettere tutti. Da qualche giorno nello stabilimento Alcoa, sui cartelloni e sui muri adiacenti alla fabbrica, stanno comparendo scritte offensive, volantini anonimi contro i rappresentanti sindacali, accusati apertamente di non aver tutelato i lavoratori nella difficile vertenza che prelude alla chiusura dello stabilimento.

Io credo, colleghi, che ciò rappresenti un sintomo di grave malessere, che rischia di spaccare il movimento proprio nella fase cruciale della vertenza, ma costituisca anche l'opportunità per una riflessione approfondita che può riguardare noi tutti. Infatti, proprio quando ci si trova sul bordo di un precipizio, chi ha la delega a rappresentare e difendere una complessità di interessi comuni, nell'emergenza di una crisi drammatica, viene spesso fatto oggetto di attacchi, più volte strumentali, che mirano alla sua delegittimazione.

Questo genere di attacchi, al grido di "tanto peggio tanto meglio", sappiamo tutti che talvolta risponde a mere logiche e a equilibri di potere. Infatti colpisce indiscriminatamente sia chi è stato delegato a trattare con la controparte per risolvere una vertenza da cui dipende la sorte di quasi 2 mila lavoratori, sia la stessa rappresentanza politica e istituzionale.

Alcoa, il 7 gennaio, ha avviato la procedura di cassa integrazione per l'intero organico della fabbrica, lasciando poche possibilità di rivedere la propria posizione, quantunque le risposte alle tariffe energetiche fornite dal Ministero dello sviluppo economico avrebbero dovuto convincere la società americana a rivedere la propria decisione. Ebbene, colleghi, io su questa questione non sono per nulla ottimista, e lo voglio dire a chiare lettere, questo è anzi l'ennesimo fallimento, l'epilogo dei passati modelli di governo delle nostre risorse, di sviluppo paracoloniale, che ha visto ancora il protagonismo e l'autorevolezza della classe politica sarda mancare.

Uno sviluppo che ha assunto tratti schizofrenici e degenerativi soprattutto con la disastrosa avventura delle Partecipazioni statali e con la genesi della cultura dell'assistenza. Tutto ciò, dunque, non nasce in questi giorni, in questi mesi, e neppure in questi ultimi anni, ma ha origini lontane, strutturali, e ha avuto effetti economici devastanti, con riflessi gravissimi sull'intero corpo sociale che è stato lentamente intossicato e aggredito nella sua vitalità, ritrovandosi quasi stremato, ridotto in una condizione di vulnerabilità, e in molti casi totalmente incapace di difese.

Questo è il vero problema, questo è il reale e drammatico vizio d'origine di tutti i nostri mali. Io credo che oggi, colleghi, le parole vadano soltanto ad aggiungersi alle tante già pronunciate, già sentite in analoghe occasioni; le parole da sole non bastano più, come neppure bastano le cicliche mozioni sull'argomento, anche puntuali nelle loro analisi, che però si allontanano nei fatti dalle ragioni delle finalità proclamate e assumono la valenza di una convenzionale liturgia.

Ho imparato, assieme a tanti sardi, che di parole spesso si campa e si invecchia, mentre oggi vi è bisogno di gesti forti, di azioni eclatanti e unitarie che guardino in faccia i veri nemici della Sardegna che, soprattutto, non devono vederci loro complici solo per partito preso. Dico semplicemente che ora deve arrivare il tempo dei fatti.

Ripeto un concetto: molti di coloro che fanno politica spesso recitano una parte in una commedia a seconda che al momento si governi o si stia all'opposizione, e che il Governo di Roma sia amico oppure no. Ecco, ho detto più volte che il vero peccato originale della classe politica sarda è proprio questa subalternità intermittente, schizofrenica al Governo romano. Oggi anche questa discussione rischia purtroppo, scusatemi, di determinare e alimentare ulteriori divisioni e conflitti fra chi dovrebbe rappresentare solo gli interessi del popolo sardo, ma queste divisioni, questi conflitti fanno anche altre vittime, che oggi, nell'immediato, sono i lavoratori e le loro famiglie. E, per finire, voglio aggiungere all'elenco delle vittime di queste divisioni e di questi conflitti anche la verità e l'onestà intellettuale di alcuni di noi, e pure la nostra consapevolezza del diritto di poter essere davvero noi padroni in casa nostra.

Concludo dichiarando un'evidenza che è ormai sotto gli occhi di tutti: l'avventura dell'industria pesante in Sardegna è finita. Questo è dimostrato dalla palese strategia di progressiva ritirata di Alcoa e dell'ENI in tutta la Sardegna; ma purtroppo questa nefasta avventura è anche finita con una delle più grandi devastazioni dell'ambiente per l'inquinamento da composti chimici e metalli pericolosi; e la salute del nostro popolo credo non si debba e non si possa barattare con la richiesta del mantenimento di quelle medesime iniziative che hanno determinato tali scempi nella nostra Isola, trattata ancora una volta alla stregua di una colonia.

Voglio però precisare che quando affermo che l'industria pesante e la chimica che c'è ancora oggi Sardegna non hanno più futuro, dico qualcosa che vorrebbe innanzitutto richiamare il coraggio e l'onestà delle istituzioni della politica, delle parti sociali a saper guardare avanti, a cercare insomma di prevedere con senso di responsabilità civile quanto accadrà nei prossimi anni. Si tratta, in definitiva, di riprogettare fin da ora il futuro del nostro territorio, sapendo che dobbiamo essere in grado di affrontare per davvero il problema delle bonifiche e la riconversione dell'intero settore, nonché la riqualificazione ambientale e infrastrutturale delle aree interessate. Bisogna rompere i tabù e la retorica della centralità strategica dell'industria pesante, più in generale dell'intero polo chimico ed energetico sardo.

Questo va fatto prescindendo dalla difesa più inflessibile degli attuali livelli occupazionali, che vanno tutelati e mantenuti inderogabilmente; come, con uguale determinazione, vanno ricercate e recuperate le risorse necessarie ad accelerare la stipula degli accordi di programma finalizzati alla bonifica delle aree inquinate.

Io, colleghi, credo che essere concreti e realisti significhi innanzitutto saper guardare al futuro, ed è perciò che io guardo…

PRESIDENTE. Onorevole Planetta, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Sechi. Ne ha facoltà.

SECHI (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Signor Presidente, signor Presidente della Giunta, io credo che già dai primi interventi in quest'Aula emerga la drammaticità della crisi generale, oltre che di quella industriale nello specifico, che attraversa la Sardegna. Il collega Giampaolo Diana, nel suo intervento, ha citato dei dati; fra questi il dato relativo al numero dei cassaintegrati, 4.000, e quello relativo al numero dei posti di lavoro, 30.000, persi nello scorso anno, il 2009,

Io credo che questi dati debbano mettere tutti, responsabilmente, di fronte a questa situazione; una situazione a mio avviso difficile da risolvere, ma che deve vedere tutti impegnati in un tentativo disperato di affrontare (oggi stiamo parlando della crisi dell'industria) una crisi generale che colpisce tutti i settori, anche quelli che definiamo trainanti dell'economia sarda, come l'agricoltura, la pastorizia, la pesca, l'artigianato, il commercio, perfino il turismo sta cominciando a manifestare segni di preoccupante crisi e défaillance.

Sempre per effetto della crisi i settori più deboli della società sarda incominciano a denunciare situazioni di maggiore disagio; è il caso dei portatori di disabilità gravi che oggi a Cagliari protestano contro i preannunciati tagli alla "162", rivendicando un ripristino di quei fondi per far fronte alle loro difficoltà.

Come uscire da questa crisi? Io incentrerò il mio intervento sulla situazione (è quella che conosco meglio) delle industrie di Porto Torres; da anni ormai queste industrie vivono una congiuntura schizofrenica per il verificarsi di alcuni fatti incomprensibili.

Per introdurre questo argomento, porterò l'esempio dell'Innse-Presse, la storica fabbrica milanese ex Innocenti, i cui impianti, benché altamente competitivi (è per questo motivo che faccio questo riferimento), l'estate scorsa hanno rischiato di essere spacchettati e rottamati. All'origine di quel paradossale caso di schizofrenia economica vi era il fatto che, in un momento di grave difficoltà congiunturale, l'azienda era stata svenduta non a un industriale del settore, ma a un commerciante di rottami, un imprenditore d'assalto che, a dispetto di ogni interesse sociale, aveva pianificato di realizzare l'affare della sua vita chiudendo la fabbrica, licenziando le maestranze, vendendo i macchinari e riutilizzando i terreni in una gigantesca speculazione edilizia legata alle alte potenzialità abitative previste dalle aree industriali dismesse nella zona di Lambrate.

Quella fabbrica poi, come è noto, venne salvata grazie all'azione dell'opinione pubblica sostenuta dalla stampa italiana. Da qualche tempo le vicende del Petrolchimico di Porto Torres presentano non poche inquietanti somiglianze con quelle dell'Innse. Certo, l'ENI che controlla il grosso del ciclo petrolchimico di Porto Torres-Assemini non è il commerciante di rottami dell'Innse, eppure la mancanza di investimenti e la scarsità di risorse che l'ENI destina all'efficienza degli impianti, non trovano giustificazione se non all'interno di una calcolata strategia di dismissioni che rinvia all'ormai pluriennale e progressivo disimpegno dell'ENI dall'industria petrolchimica in Sardegna.

Non è questa la sede per analizzare le molteplici cause nazionali e internazionali della crescente marginalità delle produzioni petrolchimiche italiane nel quadro delle nuove strategie finanziarie e commerciali che caratterizzano la recente trasformazione dell'ENI in una Energy Company, ormai presente, come recita una scheda aziendale, in ben 70 Paesi al mondo, e impegnata a tutto campo in attività di ricerca, produzione, trasporto, trasformazione e commercializzazione di petrolio e gas naturale, e quindi di energia.

Ma la comunità regionale e quella nazionale possono permettersi di perdere i pezzi più significativi e pregiati delle loro economie industriali? E, nel caso della zona industriale di Porto Torres, l'intera società sarda e, per essa, i comuni dei territori direttamente interessati, la provincia e la Regione possono rinunciare a difendere un patrimonio industriale, tuttora economicamente valido, che sostiene un ganglio vitale dell'apparato economico isolano, e insieme uno dei pochi pilastri produttivi dell'economia della società del Nord Sardegna?

Ma, oltre che alle conseguenze economiche e sociali, si è davvero pensato alle irreversibili ripercussioni culturali che si determinerebbero sulla società circostante e perfino sull'università, dove sono presenti un corso di laurea e un eccellente Dipartimento di chimica con solidi collegamenti scientifici internazionali? E, proprio in questi giorni, (per questo la cito) il rettore dell'Università di Sassari, Mastino, e i suoi colleghi del rettorato hanno fatto visita agli stabilimenti di Porto Torres, schierandosi al fianco degli operai e assumendo una posizione pubblica in difesa dell'industria petrolchimica in Sardegna, contro la dispersione dei tecnici e delle maestranze altamente qualificate e la conseguente perdita del prezioso patrimonio di esperienze industriali e di competenze tecniche che esse rappresentano.

E si può forse immaginare che l'irrinunciabile attività di bonifica dei siti inquinati possano sostituire il ruolo delle attività produttive che oggi insistono in quell'area? E possiamo davvero pensare che dalla manutenzione dei serbatoi di stoccaggio dei prodotti petroliferi possa scaturire un loro utilizzo su larga scala senza entrare in totale rotta di collisione con le compatibilità ambientali di quel delicato specchio di mare, e non solo, su cui si affaccia il Parco naturale dell'Asinara?

E una volta che si bonificheranno i siti, si potrà davvero sperare in una mirata riqualificazione delle attività produttive, dato che nel frattempo non si è cercato di tenere proficuamente in funzione le infrastrutture industriali ora esistenti?

E come si può pensare che un'opinione pubblica, ferita da tanti anni di irresponsabili disastri ambientali, possa convincersi che anche in Sardegna siano possibili una chimica moderna e un'industria sostenibile quando tutti i giorni si può verificare che ancora stentano a decollare quei controlli pubblici, rigorosi e indipendenti che l'Agenzia regionale per l'ambiente in Sardegna dovrebbe già garantire?

Su un punto, tuttavia, tanto i tecnici che i ricercatori universitari come anche i rappresentanti sindacali e i dirigenti industriali hanno particolarmente insistito con dati inequivocabili, e cioè che il petrolchimico di Porto Torres, integrato con il ciclo cloro-soda dei moderni e competitivi impianti della Syndial ad Assemini e della ex Ineos-Vinyls a Porto Torres, potrebbe migliorare notevolmente la sua efficienza produttiva se solo beneficiasse di alcuni investimenti e di adeguate strategie industriali. Si collegano a questa basilare considerazione due problemi cruciali che toccano alcuni nervi scoperti delle politiche dell'ENI.

In primo luogo l'opportunità di rivolgersi a E.ON, il gruppo industriale subentrato a ENDESA, per negoziare, nel quadro della costruzione della nuova centrale elettrica a ciclo ipercritico di Fiumesanto, la fornitura dell'energia termica necessaria per il funzionamento del petrolchimico. L'accordo presenterebbe notevoli e reciproche convenienze, e consentirebbe all'ENI di spegnere definitivamente una centrale termica costosa, obsoleta e, soprattutto, inquinante.

In secondo luogo la necessità di programmare la ripresa di tutte le linee produttive della zona industriale, compresi gli impianti del cumene e del fenolo per ottimizzare la resa del cuore del sistema, il cracking, il cui equilibrio produttivo appare indissolubilmente legato alla disponibilità dell'ENI a favorire l'integrazione produttiva dei due moderni impianti ex Ineos-Vinyls per la produzione di VCM e del pregiato PVC Emulsion, unico impianto in Italia, ora in amministrazione controllata in attesa di un nuovo acquirente.

Ma come convincere un interlocutore recalcitrante e poco interessato come l'ENI ad assumersi per intero tutte le sue responsabilità e a prestare la sua collaborazione o, quanto meno, a lasciare campo libero ad altri operatori laddove non intendesse assumerle? Come indurlo ad assicurare gli investimenti e le politiche industriali che permettano a stabilimenti e filiere produttive, economicamente valide, di tenersi al passo con i nuovi standard tecnologici e con l'evoluzione dei mercati? La capacità contrattuale dipende dai rapporti di forza nella società, restano decisivi il ruolo e la responsabilità delle classi dirigenti, la sensibilità dell'opinione pubblica, della politica e delle istituzioni.

L'ENI è una enorme SpA in cui le uniche partecipazioni azionarie rilevanti sono nelle mani del Ministero dell'economia - oltre il 20 per cento - e della Cassa depositi e prestiti SpA - quasi il 10 per cento -. E' evidente che il bandolo della matassa è nelle mani del Governo nazionale, ma la compattezza del fronte sindacale (vi facevo riferimento prima per l'esempio lombardo), delle istituzioni locali e della società sarda nel suo complesso sono indispensabile presupposto di un efficace vertenza con il Governo di Roma, o si riprende a rivendicare anche in campo…

PRESIDENTE. Onorevole Sechi, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Campus. Ne ha facoltà.

CAMPUS (P.d.L.). Rinuncio.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Ben Amara. Ne ha facoltà.

BEN AMARA (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, cari colleghi, visto che la memoria è la progettazione verso il futuro preciso che il tasso di occupazione in Sardegna, secondo i dati Istat relativi al primo trimestre 2009, ha subito una forte riduzione rispetto all'anno precedente, attestandosi a un valore del 49,4 per cento; le domande di disoccupazione ordinaria pervenute all'Inps hanno registrato un tasso del 44 per cento, e la cassa integrazione ordinaria ha segnato un aumento dell'87 per cento; peraltro, in alcune aree della Sardegna, quale ad esempio la Gallura, il ricorso alla cassa integrazione nel 2009 sarebbe aumentato del 300 per cento.

Il 2010 rischia, dunque, di essere un anno ancora peggiore. Il quadro è sconfortante, la crisi del lavoro è causa dello stato di povertà che in Sardegna riguarda 330.000 persone. Le multinazionali vanno via dopo aver depredato l'Isola e i fondi dello Stato messi a disposizione per l'investimento, lasciando la triste eredità fatta di inquinamento, desertificazione, crisi occupazionale e sociale che condanna centinaia di migliaia di persone e le loro famiglie alla disperazione.

La Sardegna è priva di valide risorse in alternativa all'industria petrolchimica, e, di conseguenza, è soggetta agli umori delle grandi multinazionali insediate nei territori e alle congiunture di un mercato sempre più globalizzato, veloce, concorrenziale. L'industria sarda va vivendo un momento di inesorabile declino da nord, con Vinyls e Polimeri Europa, passando per la Equipolymers di Ottana per arrivare a sud con Eurallumina e Alcoa, solo per citare le industrie che maggiormente hanno avuto risalto nella cronaca televisiva e sulla carta stampata.

Lo Stato deve intervenire in modo forte per risolvere la situazione, come è avvenuto per la Equipolymers che, dopo la trattativa con il ministro Scajola, ha deciso di non chiudere salvando 160 posti di lavoro; ed è fondamentale poi riuscire a dimezzare i costi dell'energia, il vero problema che accomuna tutte le industrie dislocate nel nostro territorio. Non è accettabile che in Italia il prezzo dell'energia sia esattamente il doppio di quello praticato dal resto dei Paesi europei.

Tutto è partito da un annuncio dell'ENI di chiudere temporaneamente l'impianto di cracking di Porto Torres. Per salvare il salvabile i lavoratori, tramite i sindacati, sono stati costretti a cedere a un ignobile ricatto: l'ENI accetta di non andare via da Porto Torres, ma a condizione che si costruisca il più grande deposito nazionale di idrocarburi, capace di servire tutto il Mediterraneo. Accordo scellerato, non si può definirlo diversamente, dato che con la realizzazione di questo deposito si verificherà l'aumento del traffico di petroliere di sessanta unità all'anno nel Golfo dell'Asinara, proprio in una zona pericolosa, nelle vicinanze del parco marino, dove a causa delle forti correnti marine ed esposizione ai venti è facile che si verifichino incidenti e disastri ecologici.

Inoltre è ormai noto che negli intenti dell'ENI è previsto un abbandono della chimica in ragione dell'energia, e questo comprometterà l'intera economia del territorio, oltre che l'ambiente. L'ENI fa i suoi comodi, fa più soldi, ci espone a pericoli e disastri ambientali tali che, in confronto, il disastro che l'amministrazione della Provincia ha fatto con il Poetto sarebbe nulla.

Dobbiamo impegnarci, innanzitutto, nell'attuazione di una politica energetica che dia vita a un polo energetico delle fonti rinnovabili tra Macomer e Ottana, realizzare velocemente quell'infrastruttura per la quale sono stati stanziati 400 milioni di euro in bilancio, prevedere incentivi fiscali sul costo del lavoro che siano concordati con l'Unione Europea, attivarci perché venga riconosciuto il nostro stato di svantaggio dovuto all'insularità e quindi vengano previste per legge delle tariffe agevolate per i trasporti, studiare per realizzare un progetto per la rinascita economica della Sardegna che miri ai suoi punti di forza: allevamento, agricoltura, incentivazione del consumo e dei prodotti locali, turismo, artigianato e promozione della cultura sarda e dei nostri prodotti all'estero, a iniziare dal bacino del Mediterraneo. Ciò che deve contare è il lavoro come strumento di dignità umana, come strumento di libertà e di autodeterminazione dell'uomo.

Cari colleghi, paradossalmente direi che la decrescita potrebbe essere la soluzione in Sardegna. La decrescita è una buona notizia perché può creare lo shock necessario per risvegliarci e farci uscire dalla nostra schizofrenia, non solo quella dei nostri Governi che hanno firmato il Protocollo di Kyoto e vogliono rilanciare le centrali nucleari o l'industria dell'auto, ma la nostra stessa schizofrenia perché siamo diventati tossicodipendenti della società dei consumi, del lavoralismo e ci siamo lasciati cadere nella trappola del prodotto interno lordo.

Tutto questo ha prodotto inquinamento, malattie, distruzione dell'ecosistema, ingiustizia sociale. Non c'è niente di peggio di una società lavorista senza lavoro, non c'è niente di peggio di una società della crescita senza crescita, visto che una tale società si basa su un modello di economia che ha come unico fine una crescita illimitata. Se la crescita non c'è ci sarà disoccupazione, meno soldi per la cultura, per la ricerca, per la salute e per l'ambiente, ed è per questo che dobbiamo uscire dalla società della crescita e imboccare un'altra strada che porta alla vera crescita, quella dell'autosufficienza e della sicurezza alimentare, senza veleni. Potete anche copiare, plagiare anche altri Paesi, pensate al caso Irlanda. Plagiate un po'!

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Stochino. Ne ha facoltà.

STOCHINO (P.d.L.). Rinuncio.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Massimo Zedda. Ne ha facoltà.

ZEDDA MASSIMO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, nel discutere la mozione presentata da tutti i colleghi del centrosinistra, mi soffermerò sulla situazione di crisi dell'economia, e dell'industria in particolare, in Sardegna. Noi subiamo una crisi economica che colpisce soprattutto coloro che lavorano ma hanno difficoltà ad arrivare a fine mese; coloro che rischiano di perdere il posto di lavoro (il collega Cocco nel suo intervento ha citato diversi esempi); coloro che hanno meno possibilità di trovare lavoro a causa della chiusura delle industrie e delle difficoltà che incontrano anche altre imprese.

In questo quadro si inserisce lo smantellamento dell'industria che, per come la conosciamo, è giustificato da costi non sopportabili; lo spostamento di industrie in Europa di Paese in Paese, di Stato in Stato. Le industrie arrivate anche in Sardegna grazie all'Obiettivo 1, quindi grazie ai finanziamenti europei, stabiliscono in Sardegna la loro sede, utilizzano quelle risorse, la Sardegna interviene economicamente anche creando infrastrutture e quant'altro serve per aiutare queste imprese a operare e, poi, un esempio è la Rockwoll, finite le risorse europee l'impresa si sposta laddove ci sono altri finanziamenti, sempre all'interno dell'Europa.

Noi non abbiamo una grande rappresentanza a livello europeo, ma abbiamo un parlamentare europeo e il Presidente della Giunta regionale partecipa comunque alle riunioni degli organismi dell'Unione Europea, per cui potrebbe sicuramente intervenire anche su questa questione. Non è possibile che un'impresa, a seconda degli incentivi, si sposti di Stato in Stato, utilizzando sempre risorse pubbliche, perchè sono pubbliche anche le risorse europee, e poi lasci disoccupazione ogni volta che effettua uno di questi spostamenti per avere sempre maggiori guadagni.

Ma, in particolar modo la crisi è una crisi di fiducia e di speranza dei lavoratori, delle imprese, degli imprenditori, dei sindacati, dei rappresentanti degli enti locali nei nostri confronti, e cioè nella possibilità che la politica, tutti noi, lei, Presidente del Consiglio regionale, il Presidente della Giunta e gli Assessori, insomma ognuno di noi, sia nelle condizioni e abbia la forza di mettere rimedio, di porre un paletto perché si blocchi questa situazione e vi si sia un'inversione di rotta.

L'ENI, come si è detto, attua una nuova politica economica di smantellamento delle industrie, in particolar modo in Sardegna. Sono colpite, per lo smantellamento di altre industrie, zone come Porto Torres, come ha detto il collega Ben Amara, fino al Sulcis Iglesiente. Inoltre c'è il rischio di una dislocazione in quell'area del maggior bacino di stoccaggio di idrocarburi dell'intero Mediterraneo, e questo contrasta con la richiesta avanzata dalla Corsica e dalla Sardegna di vietare alle petroliere di passare nelle zone di maggior pregio quali l'arcipelago di La Maddalena e l'interno delle bocche di Bonifacio.

Ebbene, la Regione non si potrà limitare ai sit-in, alle manifestazioni, alle assemblee, alla solidarietà nei confronti delle organizzazioni sindacali, dei lavoratori e di quanti soffrono questa crisi. Alle istituzioni, a voi, a ognuno di noi si chiede di esigere che il Governo nazionale svolga al meglio il suo ruolo intervenendo sull'ENI e su queste imprese a livello europeo abbattendo anche i costi dell'energia in modo tale che venga meno la "scusa" del costo e queste imprese possano rimanere in Sardegna. E' un modo di "vedere le carte" per verificare se queste imprese hanno realmente la necessità di un abbattimento del costo energetico o se hanno semplicemente deciso di smantellare le loro imprese in Sardegna.

Non mi convince poi il ragionamento dell'onorevole Planetta sulle Partecipazioni statali; perlomeno allo Stato, al di là infatti dell'ultima fase, pessima, delle Partecipazioni statali degli anni '80, a seguito degli interventi pubblici di sostegno all'industria e alle imprese rimaneva il capannone! Oggi allo Stato, a noi sardi, nonostante gli interventi pubblici di sostegno a quelle imprese (basta vedere che cosa è avvenuto a Ottana con la 488/92), non rimane neanche il capannone, per quanto vuoto sia! Rimane semplicemente l'inquinamento, rimane semplicemente la disoccupazione.

Ebbene, l'ENI, ma di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando forse di un'impresa in crisi che quindi ha bisogno chiudere, di smantellare, di dislocare altrove, di riorganizzare la propria struttura? L'ENI è un'impresa integrata che opera in 70 Paesi e ha 79 mila dipendenti. La rivista "Forbes" pubblica una classifica sulle maggiori società al mondo: su 2 mila gruppi a livello mondiale l'ENI si colloca al trentottesimo posto. E' il quinto gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari. Nel 2006: ricavi 86 miliardi, utile netto 9,2 miliardi. I ricavi nel '96 erano stati pari a 29 miliardi. Nel 2007: ricavi 87 miliardi, utile netto 10 miliardi e più. Nel 2008: ricavi 108 miliardi, partecipazioni per 26,7 miliardi in 368 controllate, 202 collegate e altre 35 aziende.

Non stiamo parlando pertanto di un ente in crisi, stiamo parlando semplicemente di un ente pubblico-economico, quale era l'ENI fino al '92 poi privatizzato nel '95, stiamo parlando di aziende pubbliche di fatto controllate dallo Stato (ricordo che lo Stato detiene il 30 per cento di quota azionaria dell'ENI), che vivono per quanto riguarda la maggior parte delle loro risorse di risorse pubbliche, che operano avendo completamente dimenticato la solidarietà di impresa. Tagliano laddove possono tagliare per avere ulteriori ricavi, perché dietro posti di lavoro non ci sono persone ma ci sono semplicemente costi.

Ebbene, a questo bisogna rispondere perché altrimenti, Presidente, Assessori, Presidente del Consiglio, occorrerebbe ricordare la metafora di Mattei sulla politica. Per carità, Mattei intendeva riferirsi alla corruzione presente all'interno della politica italiana e, ovviamente, non è questo il caso e non uso la metafora in questo senso. Mattei a una domanda di un giornalista, che gli chiedeva che cosa fosse per lui la politica, rispose: "Per me la politica è come un taxi, lo chiamo, ci salgo, lo pago, mi faccio portare dove voglio e scendo".

Mattei sicuramente aveva rilanciato l'ENI nel mondo e viene ricordato ancora oggi come uno dei grandi uomini dell'economia e dell'impresa italiana, però quella metafora (Mattei scherzava perché si sentiva superiore persino alla politica) non vorrei che oggi l'ENI l'applicasse nei confronti della Sardegna: ci sono salito, l'ho utilizzata, ho sistemato lì le mie imprese e poi me ne sono andato.

L'ENI però in questo caso non ci ha pagato, ha lasciato e lascerà per il futuro costi in termini di posti di lavoro persi e in termini economici per la messa in sicurezza e la bonifica dei tanti siti dove ha operato. Io non mi auguro questo, però a tutti noi, a voi, a lei Presidente del Consiglio, Assessori, Presidente della Regione il compito di incalzare il Governo nazionale perché questo non avvenga.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà. Poiché non è presente in Aula, decade.

E' iscritto a parlare il consigliere Lotto. Ne ha facoltà.

LOTTO (P.D.). Presidente, intervengo per svolgere alcune brevi considerazioni su questo tema unico richiamato dalle due mozioni. Di fatto pongono all'attenzione con due argomentazioni precise il gravissimo stato dell'economia della nostra Isola. Due mozioni e un unico problema: lo smantellamento in atto del tessuto industriale sardo. I simboli principali sono rappresentati dalla chimica di Porto Torres, sempre più in agonia e dal polo industriale del Sulcis Iglesiente che sta subendo la stessa sorte. E' una situazione, la crisi di queste due realtà industriali, che la Sardegna non si può permettere, che la Sardegna non può accettare.

L'analisi approfondita, e anche cruda, che ha fatto l'onorevole Diana nell'illustrare le due mozioni ci racconta di una situazione assolutamente drammatica. Quando noi parliamo di 120 mila occupati precari da una parte e di 120 mila, 130 mila disoccupati, di fatto stiamo rappresentando una situazione di una popolazione enorme che in Sardegna sta cercando lavoro.

Noi non possiamo assolutamente sopportare, come Regione, che i posti di lavoro esistenti vengano persi. I posti di lavoro esistenti sono pochi, troppo pochi perché ciascuno di loro non possa essere considerato assolutamente prezioso e salvaguardato. La debolezza del tessuto industriale sardo, già grave ed evidenziata dai numeri che sono stati citati nell'introduzione, non può essere assolutamente accentuata, non può essere aggravata ulteriormente.

C'è una discussione in atto nella nostra Isola sul ruolo che deve avere in prospettiva l'industria e sul ruolo che devono avere in prospettiva il turismo ed i servizi. Credo che se ci attardiamo a discutere di questo perdiamo tempo, secondo me, e non rispondiamo all'esigenza invece di trovare delle soluzioni economiche di sviluppo, non dico alternative al già debolissimo tessuto industriale, ma aggiuntive; perché non siamo in una regione dove possiamo dire: dobbiamo far cambiare lavoro a tanta gente perché quel tipo di lavoro nel settore dell'industria non ci piace perché inquina, "perché qua, perché la".

Noi dobbiamo creare situazioni di lavoro per chi non ce l'ha e persone che lavoro non ne hanno in Sardegna purtroppo ce ne sono tantissime, come anche ce ne sono tantissime, di persone, che hanno un lavoro precario e che da un giorno all'altro possono perderlo. Allora, discutere se il tessuto industriale esistente debba essere o no salvato non può essere un argomento nella nostra disponibilità. Noi non possiamo avere indecisioni al riguardo, l'industria deve essere - quella che c'è - salvata, se possibile va ampliata e questo però, ovviamente, non ci può impedire, anzi ci deve spingere a ricercare lo sviluppo degli altri settori che in situazioni floride non sono.

Qualcuno ha citato il turismo, io ricordo l'agricoltura, avremo occasione di parlarne in una delle prossime discussioni; anche in quel settore abbiamo una situazione drammatica, ma i posti di lavoro stanno reggendo sugli enormi sacrifici che stanno facendo i lavoratori di quel settore. A questo punto le energie vanno destinate verso gli altri settori produttivi riguardo ai quali rimane tantissimo da pensare.

Non possiamo permetterci il lusso, infatti, di cercare alternative a chi già lavora nel settore industriale. Nei confronti di questi lavoratori dobbiamo avere la forza di mantenere fermo l'impegno di salvaguardare le realtà produttive in cui operano. Ecco perché nei confronti del Governo serve che si metta in piedi un'azione forte, unitaria, dell'intero Consiglio e della Giunta regionale affinché il Governo non possa essere neanche sfiorato dal dubbio se intervenire o meno sull'ENI, affinché salvaguardi il polo industriale di Porto Torres e le altre realtà industriali della Sardegna; su queste questioni non possono esserci delle indecisioni.

Noi non possiamo permetterci che l'ENI decida in merito all'intero settore industriale della nostra Isola perchè è un tema che non può essere messo in discussione: ci vuole maggiore convinzione, ci vuole maggiore decisione. Il Governo nazionale deve molto a questa Giunta regionale, deve delle risposte precise e in tempi ragionevoli. Le preoccupazioni, e mi avvio a chiudere, che ci rappresentava l'onorevole Diana sullo stato di tensione che sta crescendo in queste realtà mano a mano che il tempo passa, ci devono assolutamente richiamare alla necessità di pretendere e di ottenere, da chi ha la possibilità di intervenire e di decidere, risposte immediate e positive.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.

ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, ripartendo dall'ENI, l'ENI non solo può andarsene ma, a mio avviso, dopo trent'anni di veleni deve andarsene. Veleni per i sardi e per il nostro territorio; voglio anche ricordare che il 14 per cento della diossina europea è prodotta a Porto Torres. Penso proprio, quindi, che il nostro popolo debba trovare il coraggio di rinunciare alle lotte per il pane avvelenato.

Il modello industriale imposto qui in Sardegna era fallito sin dall'inizio, e adesso cogliamo i suoi frutti ammalati. Negli anni della sua attività nel nostro territorio l'ENI oltre ai disastri ambientali, alle malattie per le popolazioni, nell'ambito di ogni sua organizzazione ha riservato ai sardi, tutte le volte, gravi perdite di posti di lavoro.

E' tempo che la Regione Sardegna prenda atto che l'era dell'industria è finita; perciò, più che orientarsi a richiedere la persistenza di settori industriali nella nostra Isola, magari i peggiori, i più pericolosi, è necessario che esca dalla sua sudditanza e, con la sua grande forza contrattuale, perché ce l'ha, chieda allo Stato italiano di intervenire per risarcire l'Isola dei danni subìti. Danni alle persone, in termini di salute, e all'ambiente.

La Regione Sardegna deve imporre allo Stato di assumersi le sue responsabilità, quantificando i danni prodotti dall'industria e investendo nell'Isola per il ripristino degli equilibri ambientali e per la sua rinaturalizzazione.

E con questo mi riferisco al grave inquinamento terra-mare-aria. I danni sono talmente ingenti che solo con la bonifica territoriale si garantirebbero migliaia di posti di lavoro per decine di anni a operai e a numerosi giovani sardi laureati, e chiaramente a spasso. Alle rovine dell'industria, prima dell'industria mineraria e successivamente di quella petrolchimica, si aggiungono oggi le rovine delle nostre economie tradizionali e culturali ormai al crollo finale e per le quali la Regione Sardegna continua ad essere immobile; e mi voglio riferire anche alla necessità del riconoscimento dello stato di crisi per il settore agro-pastorale ormai allo stremo.

Troppe volte qui si è parlato di autonomia, così giusto per dire, ma se davvero vogliamo salvare ciò che resta dell'autonomia, così mal gestita in questi decenni, è necessario che si proceda verso l'autogoverno nel rispetto delle regole della nostra tradizione.

Per l'autonomia e per l'indipendenza non ci vogliono solo parole, ci vogliono i fatti concreti. La decrescita di cui ha parlato il collega Ben Amara è la sola strada che consentirebbe all'economia sarda producendo beni reali e non merci inutili, sviluppo e lavoro pulito.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Giacomo Sanna. Ne ha facoltà.

SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Io credo che l'ulteriore discussione su questo tema oggi non possa finire come altre volte solo ed esclusivamente con dichiarazioni di solidarietà ai lavoratori, perché se così fosse sarebbe un segnale di assoluta debolezza. Noi, oggi, non siamo in condizioni di trattare questa materia, così delicata e in un momento così grave del sistema economico e sociale di quest'isola, affrontando solo ed esclusivamente battaglie oppure mettendo in trincea le popolazioni, i territori, contro l'ENI, contro le multinazionali nella difesa esclusiva del posto di lavoro. Sarebbe un segnale di debolezza vera.

Parliamo d'Europa, e ne ho sentito parlare anche stamattina per l'ennesima volta, ma proprio quegli europeisti che hanno osannato l'Europa, non molto tempo fa, devono tenere presente che quando si hanno cessioni di sovranità in materie importanti come quella che stiamo trattando, come l'agricoltura ed altro, per cui le regole non dipendono più da noi, ma le stabiliscono altri, in quel di Bruxelles, la nostra debolezza emerge. Emerge in termini tali da far paura, emerge perché non siamo in condizioni di affrontare con le energie a nostra disposizione un mercato come quello.

Siamo la parte più debole, non abbiamo rappresentanti, quindi non abbiamo voce e nessuno ci venga a dire che ci rappresenta o che va al Parlamento europeo per rappresentare la Sardegna. Lasciamo perdere, queste cose le abbiamo già sentite. Non possiamo nasconderci, invece, di essere arrivati al capolinea, con territori estremamente compromessi non solo sotto l'aspetto occupazionale, ma anche sotto quello ambientale perché negli anni, essendo il dio lavoro al di sopra di tutto e di tutti, abbiamo consentito di fare cose indegne, abbiamo consentito di inquinare l'anima, non solo i nostri territori.

Vi voglio ricordare l'indagine attuata cinque anni fa dalla ASL di Carbonia-Iglesias, dalla quale era emerso il dato pauroso, preoccupante, che i ragazzi di quel territorio, quei bambini avevano una presenza di veleni nel sangue cinque volte superiore a quelle di altre realtà. Erano indagini ufficiali che qualcuno ha voluto tenere nascoste (e fummo noi per primi a parlare di quei dati), non le ha voluto portare all'attenzione perchè non si voleva creare preoccupazione; ma la preoccupazione era altra, era quella di non disturbare la multinazionale perché la paura vera era quella che stiamo vivendo oggi. La paura vera era quella che stiamo vivendo oggi!

Guardate, noi abbiamo un obbligo non solo di lamentarci, di "pietire", di dare la responsabilità agli altri, noi abbiamo anche un obbligo, quando un sistema economico chiude il suo percorso dopo tanti anni, di costruirne uno alternativo, non possiamo aspettare che lo facciano gli altri, che da Roma qualcuno arrivi e, decidendo il nostro futuro, ci dica: "da oggi non farete più questo, farete quest'altro.

Questa è la debolezza che ci portiamo dietro: a causa di una classe politica sarda accondiscendente, debole, hanno sempre deciso gli altri, quello che dovevamo fare. Noi ci siamo accontentati di lamentarci: la colpa è degli altri, sono gli altri che stanno sbagliando, noi siamo quelli che subiscono soltanto. Non è così. Abbiamo davanti uno spazio di tempo, anche piuttosto lungo, nel corso del quale procedere alle bonifiche; bonifiche che devono iniziare al più presto, come alternativa alla disperazione, e nel frattempo individuare un sistema economico alternativo a quello che oggi è fallimentare, ha terminato il suo corso, l'ha completamente consumato, si è consumato nei mercati, si è consumato nella realtà delle cose. Noi abbiamo quest'obbligo come Consiglio regionale, come classe politica, come classe dirigente.

Se non abbiamo la capacità di stabilire, noi, che cosa vogliamo fare domani, che cosa vorremmo essere noi per primi domani, ma come pretendiamo di salvare gli altri? Come possiamo pretendere noi di avere voce nel Parlamento italiano, nel Governo di turno? Che non è quello che oggi governa la Regione sarda, perché non credo che qualcuno possa pensare che la responsabilità sia da addebitare solo ed esclusivamente a questo esecutivo in carica da nove mesi; è un qualcosa che viene da lontano, che porta grandi responsabilità, che coinvolge è vero la classe politica, ma anche le stesse organizzazioni sindacali che conoscevano dal vivo la situazione, come la conoscono attualmente.

Queste responsabilità sono arrivate al capolinea. Che cosa possiamo dire? Che cosa vogliamo fare? Come pensiamo di riscrivere o di poter scrivere un futuro economico in quest'isola? Attraverso quali strumenti? Mettendo insieme quali sinergie? Diventando che cosa? Come dice qualcuno "un'isola di turisti"? Sappiamo che non è pensabile, la monocultura sarebbe il suicidio immediato di una realtà come la nostra, e oltretutto non avremmo le potenzialità, gli strumenti e le strutture per poterlo fare.

Il pensiero è allora quello di mettere assieme questa volontà, ognuno di noi assumendosi la parte di responsabilità che ha, e vedendo in modo unitario quale sistema economico è alternativo all'attuale, e attraverso quale percorso, attraverso quali soggetti si può riuscire a realizzarlo. Io credo che questo sia l'elemento cardine, diversamente, guardate, continuiamo ad andare a Roma davanti a Palazzo Chigi, davanti all'ambasciata americana, continuiamo a dare la nostra solidarietà, ma non si risolve il problema. E' una battaglia politica, certo, perché non è l'invito ad arrendersi, ma è l'obbligo di riscrivere una pagina differente: noi siamo in quest'Aula per questo. Se poi un ordine del giorno non si nega a nessuno, come credo succederà anche in questa mattinata, le coscienze degli altri non so cosa potranno dire, ma le nostre iniziano ad avere una fermentazione difficile da digerire.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.

SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, oggi stiamo discutendo, anche se indirettamente, di Piano regionale di sviluppo (il Presidente della Regione purtroppo è andato via), come emerge già dalla lettura dell'ordine del giorno di questa sessione di lavori del Consiglio. Con evidente chiarezza, si sottopone all'attenzione del Consiglio regionale, cioè ai rappresentanti del popolo sardo, con le mozioni numero 29 e 22 sulla crisi industriale della Sardegna, punto 1 dell'ordine del giorno, e con la mozione (sempre del centrosinistra), sulla crisi dell'agro-zootecnia, punto 5 dell'ordine del giorno, la fotografia reale della crisi pesantissima che attanaglia la Sardegna.

Quella proposta nelle mozioni numero 29 e 22 io la definisco una battaglia di difesa, una doverosa e necessaria battaglia di difesa dell'assetto industriale della Sardegna, ancorché molti di noi, e io tra questi, siano convinti che l'affermazione del collega Planetta che "l'avventura dell'industria pesante in Sardegna è finita" sia profondamente giusta.

Io però più prudentemente, correggerei l'affermazione dicendo che "l'avventura dell'industria pesante in Sardegna deve essere avviata a conclusione". Non possiamo considerarla finita perché, come dicevo prima, oggi abbiamo il dovere di difendere strenuamente, con le unghie e con i denti, i livelli occupazionali presenti nel settore dell'industria pesante. Giusta o sbagliata che fosse questa scelta di industrializzazione della Sardegna avvenuta negli anni '60 e seguenti, questo è l'unico tessuto industriale che abbiamo e lo dobbiamo difendere.

Però sta a noi giustamente, come è stato detto, chiarire in quest'Aula e ai sardi quali sono le prospettive verso cui ci muoviamo. E quando dico che stiamo discutendo ancora di Piano regionale di sviluppo, ed è bene che lo facciamo, lo dico anche perché avevamo rilevato un'indubbia debolezza all'interno del Piano regionale di sviluppo (e bisogna continuare a lavorare per sanarla) relativamente alle indicazioni che la Giunta, la maggioranza, hanno fornito sull'industria sarda esistente.

Io leggo solamente due frasi, tratte da quel documento, che costituiscono un'indicazione per quest'Aula e per il mondo sindacale ed economico della Sardegna. Nel capitolo dedicato all'industria, a pagina 30, leggo: "L'industria sarda sconta le forti tensioni in atto nella grande impresa chimica e, di conseguenza, nell'indotto economico, che richiedono alla Regione un'attiva ed energica presenza nei tavoli di discussione e programmazione privati e pubblico-privati, con l'ovvio obiettivo di preservare i livelli occupazionali".

Assessore La Spisa, io mi rivolgo a lei e all'Assessore del lavoro, la Sardegna sta vivendo un momento talmente delicato e difficile dal punto di vista sociale che (bisogna capire questo, vi chiediamo di capire) richiede di impostare una vertenza di carattere nazionale. E' un segnale importante la presenza in Sardegna, oggi, nello stabilimento dell'Alcoa, dei rappresentanti dei sindacati nazionali del settore.

Questa è una vertenza di carattere nazionale e, così come nell'altra legislatura abbiamo chiamato a manifestare tutto il popolo sardo per tentare di vincere la battaglia sulle entrate, che poi ha dato dei risultati, così adesso il presidente Cappellacci e la vostra Giunta, credo debbano chiamare il popolo sardo ad una resistenza per difendere il diritto al lavoro che viene reclamato ad alta voce nelle fabbriche di tutta la Sardegna.

E' un grido, quello che viene dalle fabbriche di tutta la Sardegna, che non può fermarsi alle soglie di Palazzo Chigi, della Camera, del Senato o dei Ministeri competenti, anche perché dobbiamo essere coscienti del fatto - l'ha detto chiaramente il collega Giampaolo Diana nell'illustrare la mozione - che il livello di sopportazione e di delusione dei lavoratori e delle loro famiglie, di interi territori, sta raggiungendo un livello di guardia. Quando i risultati conseguiti sono inversamente proporzionali al numero degli incontri che si tengono e alle rassicurazioni da parte dei ministri competenti è chiaro che vi è il rischio, per lo stress continuo cui sono sottoposti i lavoratori e le loro famiglie, che possano verificarsi situazioni che sarebbero assolutamente da scongiurare.
   
A questo punto noi dobbiamo giocare su due fronti: un fronte di carattere nazionale, con questa vertenza che punti a difendere il tessuto produttivo esistente, definendo per esempio anche quale tipo di chimica vogliamo, perchè non è possibile che noi dobbiamo avere solamente le lavorazioni pesanti con il conseguente inquinamento e i disastri ambientali richiamati nei loro interventi da numerosi colleghi. Soprattutto, dobbiamo rivendicare a livello nazionale l'attivazione immediata delle bonifiche per riparare ai disastri ambientali provocati dalle multinazionali e dalle aziende petrolifere che hanno lucrato sul posizionamento in Sardegna delle loro fabbriche.
   
Non deve essere più consentito che disponibilità finanziarie anche ingenti non vengano utilizzate da subito per creare opportunità immediate di lavoro e di speranza per i lavoratori che temono di perdere il posto di lavoro. Questo è il fronte nazionale. Sul fronte regionale, tutto nostro, abbiamo la responsabilità di chiedere prima di tutto al Governo nazionale che abbia una politica industriale perché il problema di fondo è questo!
   
L'industrializzazione della Sardegna è avvenuta nel quadro di una programmazione, giusta o sbagliata che fosse, da parte di una nazione che si prefiggeva l'obiettivo di stare sul mercato delle potenze mondiali con una propria industria. Oggi questa politica industriale non c'è o non si capisce quale possa essere, perché io non credo che l'ENI possa fare e disfare quello che vuole, a prescindere dal Governo nazionale, non ci credo!
   
A questo punto, è compito della Sardegna e delle altre regioni che stanno subendo una crisi spesso nascosta, irresponsabilmente nascosta, capire quale sviluppo si vuole dare alla Sardegna, nel nostro caso, e rivendicarlo a livello nazionale. Si dice che la crisi è superata, è finita, che si vede già l'uscita dal tunnel. invece noi siamo in mezzo al tunnel! Ci siamo in pieno! Ecco il legame fra le due mozioni, la prima e l'ultima dell'ordine del giorno in discussione. Dobbiamo decidere su quali risorse della Sardegna vogliamo puntare anche per costruire o rafforzare, anzi in alcuni settori si tratta proprio di costruire…
   

PRESIDENTE. Onorevole Salis, il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Uras. Ne ha facoltà.

URAS (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, io vorrei andare subito al dunque, come si suole dire. E' inutile fare analisi o controanalisi: siamo di fronte ad una crisi pesante, le imprese chiudono, l'incremento della disoccupazione è evidente, i lavoratori e le loro famiglie sono in una condizione disperata! La prima considerazione che voglio fare riguarda il modo in cui abbiamo gestito queste vertenze perchè non è più accettabile. Noi non possiamo più trattare le questioni separatamente l'una dall'altra; la questione Sulcis in un modo, quella di Ottana e della Sardegna centrale in un altro, il triangolo Sassari-Alghero-Porto Torres e le sue vertenze aziendali in un modo ancora diverso. La Sardegna è investita globalmente da una crisi intollerabile e la vertenza deve essere una vertenza unica; in questo senso si manifesta anche la volontà del sindacato che ha proposto lo sciopero generale.

Seconda questione; non basta più che noi ci sediamo a un tavolo e ci diciamo che nella differenza di ruoli, maggioranza - opposizione, nella differenza di ruoli politici di governo, politico-istituzionali, regionali, locali e sindacali ognuno di noi si renda disponibile ad un sostegno di tipo solidaristico a fianco dei lavoratori, perché questo atteggiamento non ha avuto effetti. Siamo andati a manifestare insieme, abbiamo fatto i sit-in, anche quelli mortificanti per noi; non ci siamo mai tagliati fuori. Nonostante ciò, non sono stati prodotti effetti! Le cose erano gravi prima, sono ancora più gravi adesso. L'attenzione del Governo centrale è stata zero. La risposta degli organi competenti è stata addirittura arrogante, prepotente, inaccettabile.

E' depositata presso il Ministero la richiesta di cassa integrazione, non è firmata dai sindacati, per i lavoratori dell'Alcoa! Il Governo centrale ha responsabilità nella risposta, non so se abbia responsabilità sulla crisi - secondo me sì - però quella responsabilità è molto più diffusa, è una responsabilità che discende anche dall'aver pensato che la risposta ai bisogni delle nostre comunità, di quella europea, di quella nazionale, di quella regionale fosse il libero mercato, il liberismo sfrenato, l'impresa in quanto tale… non è così! Noi oggi paghiamo il prezzo di un'attuazione, priva di freni, di quell'ideologia.

Rimane il fatto che noi oggi abbiamo un Governo che non risponde adeguatamente alla richiesta di affrontare, in modo serio, la situazione di crisi del nostro sistema industriale ma anche, e soprattutto, dell'insieme del nostro sistema produttivo. Noi, perciò, dobbiamo fare un passo in avanti. Abbiamo già detto che non facciamo un'opposizione di tipo ostruzionistico, non andiamo a cercare il "tanto peggio tanto meglio", tanto la crisi la dovete gestire voi! Non ne siete capaci? Non riuscite a risolverla? E noi ci mettiamo ad agitare politicamente le masse per dire che è ora di cambiare, che bisogna tornare forse alle soluzioni, ai progetti, alle impostazioni che avevamo pensato noi; e, siccome le abbiamo abbandonate, anzi qualcuno le ha anche in qualche misura smantellate, paghiamo oggi un prezzo aggiuntivo che non avremmo dovuto invece pagare.

No, noi siamo per fare un'opposizione di governo, ma per fare un'opposizione di governo bisogna partecipare al governo, anche al governo della gestione di questa crisi; bisogna partecipare al governo della gestione di questa crisi intanto individuando insieme le controparti rispetto alle quali la risposta deve essere, da parte nostra, veramente unitaria. Quindi: individuazione delle controparti; strumenti di natura operativa ma anche di natura finanziaria; tavoli comuni; coinvolgimento vero, non fittizio, del sistema delle autonomie locali; un impegno generale della politica che torni ad avere quell'autorevolezza necessaria per risolvere i problemi.

Se l'atteggiamento unitario sarà nei contenuti, perché la proposta dei contenuti in campo sarà condivisibile, come abbiamo fatto fino ad oggi noi avremo un atteggiamento positivo, rispetto alle soluzioni però! Soluzioni che dovremo anche avere l'opportunità di controllare che vengano correttamente attuate, che vengano in modo preciso realizzate.

Terza questione. Si è parlato, l'ha detto benissimo il collega Diana all'inizio quando ha illustrato l'argomento odierno, di un welfare regionale integrativo di quello nazionale. Ma non basta, sono necessarie anche iniziative votate allo sviluppo pensate, costruite su base regionale, e quindi una spendita immediata delle dotazioni finanziarie, anche cospicue, che abbiamo stanziato nel bilancio regionale e che giacciono nei residui oppure nelle competenze, grazie alle norme di salvezza che abbiamo dovuto approvare di quelle dotazioni finanziarie che non sono state minimamente intaccate.

Questo problema va risolto, lo dico vista la presenza dell'Assessore degli affari generali, perché la Regione, la macchina amministrativa e burocratica di questa Regione non è all'altezza di affrontare la crisi! Questa macchina non è solo insufficiente, è un freno, è un danno! E vi è una responsabilità che è individuabile, per cui non possiamo "parlarne al bar" e poi non essere conseguenti! C'è una dirigenza che deve agire, ci sono strutture che devono operare, che devono essere valutate. Io ho potuto verificare, faccio questo esempio perché riguarda l'altra Giunta, il caso di un dirigente che ha percepito un premio di produttività pari a 57.000 euro lordi a fronte di una produttività certificata zero! E noi dobbiamo ancora stare a queste condizioni? Io credo di no!

Se queste cose che ci siamo detti e che ci diciamo verranno fatte, noi sosterremo la battaglia della Sardegna e della sua istituzione, del suo Governo, per uscire dalla crisi.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Vargiu. Ne ha facoltà.

VARGIU (Riformatori Sardi).Presidente, colleghi del Consiglio, certo che verrebbe voglia (ci aiuterebbe nel ragionamento) di ripensare a ciò che successe in questo Consiglio regionale nel 2004, quando il governo Soru portò per la prima volta in Aula il proprio Documento di programmazione economico-finanziaria.

Ritorno a quel momento perché io ho sempre la ventura di parlare immediatamente prima o immediatamente dopo il collega Uras, e in quella circostanza ci fu un episodio che in qualche maniera legò Rifondazione Comunista e i Riformatori. Quel DPEF prevedeva una innovazione interessante. L'allora assessore Pigliaru disse, in Aula, che era arrivato il momento di abbandonare il termine di "Politiche attive e di politiche passive del lavoro", non essendo più il momento di parlare di politiche atte a stimolare il lavoro, perché in realtà si doveva parlare di "politiche di sviluppo". E disse inoltre che se fossero stati in grado di innescare lo sviluppo, considerando questa la grande sfida strategica del loro Governo, non si sarebbe più parlato né di politiche attive né di politiche passive del lavoro.

Rifondazione comunista (allora il Gruppo a cui apparteneva il collega Uras era quello) in quella circostanza disse di non condividere l'impostazione di quel passaggio del DPEF e votò contro; noi Riformatori che non condividevamo il DPEF nel suo complesso votammo però a favore di quel passaggio. Sono passati cinque anni, ma devo dire che noi siamo esattamente nella stessa identica posizione in cui eravamo allora. E oggi, che la parola d'ordine sindacale è "facciamo un grande Piano del lavoro", io dico che noi facciamo in realtà dei grandi piani del lavoro perchè siamo costretti a farlo; siamo diventati tutti keynesiani per cui mandiamo le squadre la notte a fare le buche e la mattina a ripararle.

Purtroppo il momento è talmente tragico, complessivamente, per la Sardegna che anche chi non è keynesiano di testa accetta, perché questo è il dialogo, questo è il confronto, questo è il ragionare con gli altri, che oggi in Sardegna ci siano delle politiche assistenziali. Le accetta perché, come ha detto giustamente il collega Giampaolo Diana illustrando la mozione (io condivido questa parte importantissima del suo ragionamento), fuori da questo palazzo esiste un clima di tensione, di disagio sociale, di sofferenza talmente critico da costituire un potenziale problema di ordine pubblico.

Ha perfettamente ragione il collega Diana nel sostenere queste cose e sarebbe un grave errore se gli ottanta consiglieri, se la Giunta regionale, la classe dirigente della Sardegna, all'interno di questo palazzo, non ne avessero piena consapevolezza e, quindi, non sapessero che non stiamo discutendo del solito risiko della politica a cui ci siamo abituati in tanti anni di permanenza in questo Consiglio regionale, ma stiamo discutendo di un problema che è già oggi parzialmente fuori dal nostro controllo dal punto di vista della nostra capacità di gestire socialmente il problema.

Quando il collega Giampaolo Diana dice che ci sono volantini contro i sindacati all'interno delle aziende, significa che la rappresentanza naturale dei lavoratori in questo momento non è più riconosciuta dai lavoratori, figuriamoci se siamo riconosciuti noi, classe dirigente politica, dentro questo Consiglio regionale. Quindi è giusto che noi abbiamo consapevolezza di questo, ed è giusto che ogni consigliere regionale, ogni Assessore di questa Giunta parta da questo presupposto nel costruire il suo ragionamento.

Ciò detto, però, colleghi del centrosinistra, anche colleghi del centrodestra e del Governo regionale, la mia riflessione parte dal contenuto della mozione. Come si è insediata l'industria pesante in Sardegna lo sappiamo tutti; che cosa ha fatto di buono e di male l'industria pesante in Sardegna negli anni lo sappiamo tutti; che la Sardegna non possa rinunciare all'industria è una cosa che diciamo tutti, che il fiato di questa industria in Sardegna sia un fiato corto è, credo, una consapevolezza diffusa.

A questo punto dovremmo cominciare ad interrogarci se ciò che era strategico negli anni '60 e negli anni '70 è ancora strategico oggi, perché il ragionamento è che noi possiamo con una grande mobilitazione popolare, con un grande intervento del Governo nazionale, con un grande impegno del Presidente della Regione, con una grande solidarietà di tutti i parlamentari sardi e dei consiglieri regionali ritardare (questo è in realtà quello che siamo in grado di fare) un processo che, in assenza di elementi di novità clamorosi, apparirebbe tendenzialmente ineluttabile.

Possiamo invece iniziare a creare delle pre-condizioni perché ci sia una diversificazione nella presenza industriale di cui confermiamo la necessità in Sardegna, perché in assenza di un tessuto primario non esiste nessuna Regione, nessuna società è in grado di reggersi; possiamo iniziare a ragionare sui temi fondamentali dello sviluppo, possiamo iniziare a confrontarci su quale soluzione questo Consiglio regionale, non la maggioranza, questo Consiglio regionale intende dare ad alcuni problemi; una soluzione che sia di rottura rispetto a quella che dal '99 al 2004 cercò di dare il centrodestra, che dal 2004 al 2009 ha cercato di dare il centrosinistra e via dicendo.

Quando parliamo dei temi dell'energia, insomma, possiamo forse dire che Cappellacci ha creato i problemi del costo dell'energia? No, li ha trovati. Quando parliamo del problema della continuità territoriale possiamo forse dire che l'ha creato Cappellacci? No, l'ha trovato.

Quando parliamo della possibilità di avere per aziende sane una fiscalità di vantaggio, quando parliamo della burocrazia regionale (un tema caro al collega Uras, ma altrettanto caro ai Riformatori) e della inadeguatezza delle risposte, quando parliamo del miracolo Irlanda e tutti quanti diciamo che la fiscalità di vantaggio è stata sicuramente una fonte attrattiva per le imprese, chi conosce bene il fenomeno Irlanda spiega che altrettanto importante è stata l'azione eseguita sulla burocrazia, il fatto cioè che un imprenditore in tre giorni sappia se sia possibile localizzare o no e in che modo un'impresa in quel territorio.

In Sardegna, se qualcuno intende "localizzarsi nel territorio" fa la domanda, aspetta risposte e, alla faccia dello Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), le risposte non arrivano. Ha ragione il collega Uras nel sostenere che la burocrazia regionale sembra creata per porre problemi non per risolverli; tutto viene visto in un'ottica formalistico burocratica per cui alla fine nessuno si prende responsabilità, la pratica giace negli uffici e l'imprenditore riceve un "no" nelle cose se non nelle carte. Le esigenze di velocizzazione di questi procedimenti infatti sono tali per cui sapere che altrove per localizzare un'impresa sono sufficienti 4 giorni mentre qui non bastano 4, 8, 12 mesi è già una risposta.

Questo è il ragionamento sul quale noi ci dobbiamo concentrare; oggi sui giornali viene ripreso il tema dell'insularità. Consentitemi di nominare gente che io ho in casa; Mario Segni è stato parlamentare europeo e per anni ha condotto la battaglia sull'insularità spesso da voce inascoltata nel deserto. Perché? Perché il tema del cambiamento dell'autonomia sarda è il tema della proposizione di una condizione (l'insularità appunto) che comunque è peculiare anche se oggi non riveste più il carattere di esclusione di 100 anni fa.

Quindi questi sono i ragionamenti su cui il centrodestra e il centrosinistra si devono confrontare. Noi non stiamo chiedendo (non credo che sia nostro interesse o ragionevole chiederlo) al centrosinistra di prendersi responsabilità che il centrosinistra non ha; non vogliamo costringere il centrosinistra a fare una parte diversa da quella che gli elettori gli hanno affidato e da quella che gli conviene oggi fare, perché è di minore responsabilità rispetto a quella di chi governa la Sardegna in questa crisi drammatica, epocale, mondiale.

Chiediamo però al centrosinistra di mettere sul piatto idee, chiediamo al centrosinistra di ragionare insieme a noi sui progetti, sulle cose concrete, sullo sviluppo; non è pensabile che centrodestra e centrosinistra abbiano parole d'ordine identiche e progetti scarsamente visibili e comunicabili, identici; perché questo è il terreno del confronto.

Se il terreno del confronto parte, poi parte anche il terreno dell'unità di intenti; ma non può essere, colleghi del centrosinistra, come è successo sino a oggi, un'unità degli intenti a frenare il processo ineluttabile. Viene in mente la barzelletta russa che dice: siamo a un passo dal baratro, per fortuna speriamo in futuro di fare un passo avanti. Non è questo il ragionamento da fare, perché noi non dobbiamo essere uniti nel frenare ciò che è ineluttabile.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.

DIANA MARIO (P.d.L.). Presidente, io ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi, la stessa relazione dell'onorevole Giampaolo Diana, e forse ha ragione il collega Uras quando dice che è inutile che continuiamo a dare ipotetiche soluzioni dal punto di vista tecnico; soluzioni che, secondo me, arrivati a questo punto, forse sfuggono anche e alle nostre conoscenze e alle volontà non ben comprese dei soggetti che sono alla nostra attenzione. Soggetti tra i quali, come qualcuno ha detto, non vi è solo l'Alcoa ma vi sono numerosissime aziende che in Sardegna attraversano un momento di grande difficoltà.

Ora pensare che la difficoltà sia determinata solo dalla situazione della Sardegna credo sia limitativo del problema. Stiamo parlando spesso di colossi mondiali, di società che hanno interessi diversificati e sparsi in tutto il mondo. Diventa quindi anche molto difficile affrontare con la dovuta conoscenza ciò che sta accadendo nel settore della chimica, in particolare, ma non solo. E'certo che il problema della chimica per la Sardegna è un problema di una gravità inaudita acuito dal fatto che le aziende dicono determinate cose in alcuni tavoli e le modificano in altri.

Io non credo che sia il caso di agitare le masse, collega Uras, e credo che non sia neanche questa, in fondo in fondo, la volontà che si vuole portare all'attenzione della Giunta. Ad agitare le masse certamente siete più bravi di noi, lo avete dimostrato in tantissimi anni; noi invece non lo siamo e non lo siamo mai stati perchè non è nel nostro DNA. Per voi è più semplice però, attenzione, perché agitare le masse può essere facile, ma poi può diventare molto, molto difficile il controllo della agitazione.

Prima di fare qualunque appello, se qualche appello si deve fare, prima di chiedere un pronunciamento del Consiglio, io aspetto di sentire la replica della Giunta perché credo sia importante capire anche la motivazione (più forte dal punto di vista politico) di chi ha seguito tutti i tavoli, tutte le iniziative e conosce realmente gli intendimenti di queste aziende.

Io mi auguro però che dopo la replica della Giunta ci si fermi un attimino per evitare di votare una mozione che di per sé solleva alcuni problemi ma, devo dire, non credo sia sufficiente se vogliamo tutti quanti insieme trovare non la soluzione del problema, ma cercare di capire se c'è unitarietà e non quella solidarietà di cui ha parlato l'onorevole Uras. Quella solidarietà serve, certamente, ma forse ormai bisogna fare qualcosa di più. Bisogna fare qualcosa di più e per fare qualcosa di più bisogna fare anche delle scelte importanti.

Intanto bisogna capire se il sistema della chimica in Sardegna avrà un futuro, se questo Consiglio regionale e questa maggioranza, ma io dico le forze politiche, ritengono che sia indispensabile continuare la strada della chimica o se bisogna invece andare a cercare altre iniziative anche di tipo industriale, ma non solo, che possano non metterci in questo pericolo costante.

Il comparto della chimica è in crisi in tutto il mondo, c'è una diversificazione delle produzioni, c'è un utilizzo diverso dei sottoprodotti della chimica. La stessa proposta che è stata avanzata per il PET a Ottana è certamente una cosa importante, stiamo parlando di tre colossi mondiali che ruotano attorno quel prodotto; cerchiamo quindi di individuare quel soggetto che, in qualche maniera, possa essere il più credibile, considerando però un dato che mi è stato fornito ieri pomeriggio, e cioè che una tonnellata di quel prodotto per arrivare dalla Cina nel Mediterraneo costa 430 dollari. Per trasportare lo stesso prodotto da Ottana a Livorno, senza andare molto lontano, ci vogliono 480 euro a tonnellata. Questi sono problemi che sfuggono, perché purtroppo sfuggono.

Il trasporto via nave ha un costo certamente inferiore, però nonostante questi costi da parte di grosse aziende c'è la disponibilità a continuare a operare. Non è una cosa facile. Allora, io dico: che strategie vogliamo per il futuro della Sardegna? Perché mi pare di capire che, al di là del numero dei dipendenti che sono occupati nelle aziende di cui stiamo parlando, nessuno si sforzi o faccia il minimo sforzo per pensare che forse non può essere quello il futuro dei sardi, perché, altrimenti, tra i cassintegrati, le industrie decotte, le imprese che non funzionano e i disabili che aumentano continuamente in questa regione, alla fine, questo Consiglio regionale dovrebbe occuparsi solo ed esclusivamente degli emarginati, dei disoccupati, dei cassaintegrati, di tutte quelle persone che comunque certezze non ne avranno mai.

Io, sono un ottimista per natura, non voglio e non posso pensare che il nostro ruolo di consigliere regionale debba essere questo. Io credo che noi tutti dovremmo compiere un grande sforzo senza mettere in discussione le maggioranze di turno, perché se iniziamo a mettere in discussione anche le maggioranze politiche scaturite comunque da una consultazione elettorale che ha dato un suo risultato - questo vale per oggi, ma valeva anche per ieri, e potrà valere anche per domani - allora le difficoltà si acuiscono, aumentano proprio.

Personalmente ognuno di noi può anche avere dei mal di pancia, ma è sufficiente questo per risolvere i problemi della Sardegna? E' sufficiente un malessere momentaneo del Consiglio regionale per trovare la soluzione di questi problemi? Io credo di no. Io credo che dobbiamo fare sacrifici diversi, ma soprattutto dobbiamo studiare di più, forse dobbiamo essere più attenti, lo dico anche alla Giunta, a quello che sta accadendo nel mondo, e non è che molto lontano da noi stiano succedendo cose migliori.

Abbiamo tutti sotto gli occhi che cosa sta accadendo in Spagna: un'economia che era cresciuta vertiginosamente, e oggi si ritrova con una disoccupazione che è oltre il 20 per cento. E' cambiato qualcosa in quattro, cinque anni? Non voglio dare neanche le colpe a Zapatero, non gliele voglio dare, dico solo che sulle economie fragili o si interviene in un certo modo, altrimenti fragili sono e fragili rimangono; e non si risolve il problema con le nostre divisioni, con le nostre contrapposizioni, con quelli che debbono essere i rappresentanti che ognuno di noi, se ne ha la possibilità, indica nei settori più vari della nostra politica regionale.

Per cui, visto che avevo già deciso di non utilizzare tutti i venti minuti, perché i venti minuti sono serviti a illustrare la mozione, sono serviti a quei colleghi che avevano molte cose da dire, che abbiamo apprezzato e che abbiamo anche condiviso in qualche caso, concludo dicendo che, arrivati a questo punto, credo sia importante capire qual è la volontà del Consiglio regionale; volontà però che credo debba essere non solo del Consiglio ma anche dell'intera Giunta regionale.

Ecco perché io non utilizzerò i venti minuti che, chiedo scusa, non sono venti ma dieci. Comunque, l'appello che faccio, ed è l'appello del Popolo della Libertà, è l'appello del partito di maggioranza che certamente decide, è che nel pomeriggio, Presidente, senza terminare i lavori adesso, si possa invece dialogare diversamente e stendere un documento che rappresenti veramente la volontà reale, non quella che ciascuno di noi nasconde.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.

BRUNO (P.D.). Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori Assessori, colleghi consiglieri, io credo che le due mozioni sullo smantellamento del sistema industriale sardo ci offrano la possibilità di fare il punto della situazione. Ci consentano, quindi, di conoscere lo stato dell'arte sulle vertenze, ma soprattutto di valutare le necessarie azioni che il Governo regionale deve intraprendere con l'obiettivo, che noi abbiamo, di salvaguardare intanto ogni posto di lavoro.

E lo facciamo nel momento in cui CGIL, CISL e UIL ammoniscono il Governo regionale con l'annuncio di uno sciopero generale indetto per il prossimo 5 febbraio, che ha tra le motivazioni anche la constatazione, lo dicono i sindacati, che le politiche messe in campo finora dalla Regione non delineano una strada per lo sviluppo.

Così, dopo otto anni, dopo il 28 giugno 2002, la Sardegna scende nuovamente in piazza per uno sciopero generale a significare - dicono ancora CGIL CISL e UIL - che la Sardegna è estremamente debole nel rapporto, nel confronto con lo Stato, quasi a ricordare, assessore La Spisa, quella voce, mai così flebile a livello nazionale, che il presidente Pisanu ha voluto denunciare apertamente qualche settimana fa.

Il problema, infatti, è che non si può chiedere al Consiglio regionale, alla minoranza qual è la strategia, qual è l'indirizzo sulle politiche industriali. Noi in questi dieci mesi non abbiamo visto risolto nessun problema, e non mi riferisco solo a quelli dell'industria; in questi giorni, per esempio, contemporaneamente i Capigruppo stanno incontrando le associazioni di volontariato per il taglio ai piani personalizzaati.

Non si condividono risposte, non sono contenti i territori, i sindacati si sono espressi con lo sciopero generale, gli enti locali, che pure dovevano far parte del nostro progetto di coinvolgimento, sono naturalmente contrari a una politica neocentralista, al taglio che c'è stato sul Fondo unico. Al di là delle nostre posizioni, che sono di parte, naturalmente, giustamente possono essere considerate di parte, ho visto che anche diversi consiglieri della maggioranza in questi giorni hanno lamentato, con un documento molto pesante, molto forte, la messa in campo di politiche inadeguate; hanno parlato di una Giunta opaca, sentono quindi il dovere di esortare i vertici del loro Gruppo, il Popolo delle Libertà, a rompere ogni indugio, ad assumere finalmente un'iniziativa politica all'altezza della gravissima crisi economica che attanaglia la Sardegna. Ciò vuol dire che in questi dieci mesi questo Governo regionale, non lo diciamo soltanto noi, effettivamente non ha dato risposte.

Quando si parla di gestione indolente e opaca qualche risposta bisognerà pur darla; quando si dice che bisogna aprire una fase di positivo confronto con le opposizioni, anche con le opposizioni, noi crediamo che bisogna aprirla, ma bisogna aprirla nella consapevolezza che la minoranza fa la propria parte basandosi su una proposta alternativa a quella della maggioranza, e su quella ci confrontiamo, non su altro. Ma noi non vogliamo sottrarci a nessun confronto, non lo vogliamo, e non vogliamo neanche dividere la Sardegna, come è avvenuto anche qualche giorno fa.

In quella occasione il Presidente dalla Regione e il Presidente del Consiglio erano a Roma a manifestare con qualche sindaco e pochi lavoratori di fronte all'ambasciata americana, nessun parlamentare, nessun consigliere regionale della maggioranza era presente; contemporaneamente si teneva un'altra manifestazione a Porto Torres degli operai della Vinyls. A nostro avviso non bisogna dividere la Sardegna, crediamo che occorra una "vertenza Sardegna" unitaria, crediamo che occorra un confronto autorevole, forte, robusto con lo Stato, e non una divisione. Non possiamo e non potete giocare con le vostre divisioni sulle spalle dei lavoratori.

La situazione che abbiamo di fronte io credo abbia bisogno di una rappresentazione unitaria della crisi in atto, e credo che giustamente anche i sindacati colleghino le prospettive di sviluppo, che non intravediamo, che non abbiamo visto neanche nel Programma regionale di sviluppo presentato dalla Giunta, assessore La Spisa, con il modello di riforma istituzionale e di revisione dello Statuto di autonomia, perché veramente rappresenti quel momento di legame pattizio fra lo Stato e la Regione che consenta di individuare le materie nelle quali siamo speciali e che ci differenziano dalle Regioni a Statuto ordinario. In quella sede va indicata la strada dello sviluppo anche per l'industria.

Con questo scenario di fronte, noi abbiamo voluto inserire nella discussione del Consiglio regionale queste mozioni per porre al centro dell'azione del Consiglio stesso l'attenzione su questa drammatica crisi. Non bastano i sit-in, non bastano le parole, non bastano le rivendicazioni formali del Presidente della Regione; noi riteniamo che anche la manifestazione della scorsa settimana di fronte all'ambasciata americana, che non ha trovato interlocutori nel Governo (non vi ha ricevuto neanche il Capo di Gabinetto del Ministro, figuriamoci se poteva farlo l'ambasciata americana), fosse insufficiente.

La vertenza con lo Stato credo abbia necessità di un rapporto più forte. Cerco di fare queste affermazioni nell'interesse della Sardegna e con l'unico obiettivo di vedere i diritti dei sardi almeno presi in considerazione dal Governo, e così finora non è stato.

Abbiamo visto il Governo nella nostra Isola, solo in campagna elettorale, lanciare promesse fino all'ultimo giorno della campagna elettorale e, poi, sistematicamente, disattenderle. Un esempio, l'indicazione di Sartor, da parte di Scajola, quale salvatore della chimica italiana quindici giorni prima delle elezioni, e la settimana dopo le elezioni Sartor annuncia la presentazione dei libri in tribunale.

Allora io credo che dovrebbe essere il Presidente, ancora oggi assente, stamattina ha fatto una comparsa, a denunciare questo trattamento da parte del Governo nazionale. Ci riferiamo alla ex INEOS di Porto Torres, all'ALCOA, anche i lavoratori della VINYLS da settimane, giorno e notte, nella torre aragonese in segno di protesta, conoscono bene le promesse di Berlusconi e le indicazioni date in campagna elettorale, e attendono da noi, attendono dal Governo regionale qualcosa in più delle parole anche a seguito di quel tavolo al Ministero delle attività produttive dello scorso 21 luglio, mobilitazione unitaria alla quale non ci siamo sottratti, preceduto da quella grande assemblea degli Stati generali della Sardegna svoltasi in quest'Aula. Ma ciò ha significato per Porto Torres un accordo blando tra i sindacati nazionali e l'ENI, un accordo blando di cui non condividiamo né il metodo né il contenuto, e in cui abbiamo riscontrato l'assenza della Regione.

Io credo che noi ci possano soddisfare minimamente né i 100 milioni destinati al cracking e ai servizi, né la semplice manutenzione conservativa degli impianti del fenolo e del cumene; sulla base dell'accordo nel corso di quest'anno ci sarà una verifica, ma significherà un annuncio della morte di quei comparti. Consideriamo un atto dovuto anche i 530 milioni di euro per le bonifiche; abbiamo perplessità, l'ha detto bene il collega Diana nell'illustrazione, sullo stanziamento di quei 150 milioni su un parco serbatoi esistente per realizzare un centro logistico costiero dei prodotti petroliferi.

Insomma, attendiamo ancora dalla Regione un ruolo attivo nel determinare l'apertura del tavolo ministeriale e un impegno concreto dal Governo nei confronti dell'ENI, perché il Governo non può limitarsi a fare da arbitro, deve indicare quali sono le politiche industriali per l'Italia e, di conseguenza, per la nostra Regione. E ci sono le dichiarazioni di oggi dell'ALCOA che afferma di attendere ancora, al di là delle parole, una proposta dal Governo su una bozza di contratto triennale con un prezzo definito, con impegni precisi, con l'indicazione di chi si assume il rischio finale.

Credo che non possiamo dargli torto, credo che un impegno limitato a sei mesi probabilmente sia un impegno debole, perché ci sono lavori di ristrutturazione da fare, perché occorre dare garanzie di continuità. Allora, io penso che un Governo regionale che non indichi idee, che non indichi strategie, che passo dopo passo campi alla giornata, con sit-in, con manifestazioni, senza affrontare i problemi con la necessaria autorevolezza nel rapporto col Governo non possa far andare lontano la nostra Isola.

Credo che per ALCOA occorra un accordo bilaterale con l'Enel, e credo che occorra metterlo in piedi nel tempo più rapido possibile. Credo che dobbiamo andare anche oltre, lo dico alla presidente Lombardo, l'annuncio delle barricate.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, per la Giunta, l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.

LA SPISA, Assessore tecnico della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio. Signor Presidente e signori consiglieri, nel tentare di rispondere alle questioni trattate in questo dibattito importantissimo, in un momento molto, molto delicato per il futuro dell'industria in Sardegna, e per il futuro anche di tutto il sistema economico e sociale, io mi rendo conto che il contenuto dello stesso è influenzato, e non potrebbe essere diversamente, da motivazioni che vanno al di là di quelle proprie della politica industriale.

Intervengono questioni che attengono ai rapporti di forza tra i partiti, di maggioranza e di opposizione, all'interno dell'opposizione e all'interno della maggioranza, questioni più strettamente politiche; di queste, permettetemi, io non voglio assolutamente tener conto, perché credo che in questo momento, nelle ore che hanno preceduto questo incontro, nelle ore che lo seguiranno, l'unica cosa che debba interessare tutti sia l'esito delle vertenze, numerosissime, che sono in carico alla nostra gente, al nostro settore produttivo, alla nostra realtà sociale ed economica.

Credo, spero, che questo Consiglio regionale voglia e possa recuperare la volontà di guardare in questo momento agli interessi di tutta la Sardegna, e questi interessi voglia rappresentare davanti al Governo nazionale e davanti alle aziende che minacciano continuamente di abbandonare quest'Isola dopo averla, possiamo anche dirlo, utilizzata per distribuire rendimenti ai propri azionisti. Di fronte a queste aziende e di fronte al Governo che deve rappresentare gli interessi dell'Isola e di tutto il Paese in questi comparti, in particolare quelli della grande industria metallurgica e chimica, ciò che conta è ancora e sempre l'unità del sistema Sardegna.

Comprendo le motivazioni politiche, ma in questo momento credo che abbiamo il dovere di prescindere da queste; perciò non rispondo, pur nel profondo rispetto dovuto alle critiche formulate dall'opposizione, ad alcune inesattezze e anche ingenerosità emerse nel corso del dibattito. Vorrei che parlassero piuttosto i fatti.

Il Comitato per l'emergenza economica e sociale istituito praticamente quindici giorni dopo l'insediamento del Consiglio regionale e della Giunta ha dovuto affrontare trenta vertenze produttive relative al mondo della produzione. Almeno alcune le vogliamo analizzare, vogliamo sapere qualcosa di queste vertenze? Quella che ci preoccupa di più in questo momento, la più urgente, ma non è l'unica, purtroppo, e non è di per sé la più importante, è quella dell'ALCOA.

E' stato affrontato in questi ultimi giorni, nel Palazzo del Ministero dello sviluppo economico, un confronto serratissimo tra il Governo nazionale, il Governo regionale, i massimi vertici dell'ALCOA, alla presenza anche di Terna, dell'Authority per l'energia e con l'accompagnamento della stessa ENEL. Questa vertenza, importantissima, su che cosa si basa? Apparentemente, ufficialmente sulla questione del costo dell'energia elettrica.

Io credo che chiunque abbia un minimo di obiettività e legga quello che il Governo, in quel momento, ha offerto ai vertici dell'ALCOA, e cioè un prezzo dell'energia elettrica intorno ai 28, 32 euro per megawattora, non possa non riconoscere che cosa significhi questo. Credo non possa non essere rimasto colpito dal fatto che un sistema istituzionale, nazionale e regionale, sia stato in grado di mettere a disposizione di una grande industria un prezzo dell'energia elettrica così basso; prezzo frutto di un lavoro di anni che ha avuto come protagonista tutto il Parlamento (maggioranza e opposizione) che, attraverso alcuni meccanismi, alcuni consolidati e altri nuovi, offre su un piatto d'argento la grande opportunità di questo costo a megawattora con la possibilità, mentre questa misura viene analizzata dall'Unione Europea, di una garanzia contrattuale che metta al riparo l'Alcoa da eventuali procedure di infrazione; procedure che verrebbero ad aggiungersi a quella emessa (pur attenuata dal lavoro svolto dal Governo nazionale) sulle tariffe precedentemente approvate dal Parlamento.

Chi era presente a quell'incontro - noi, l'Assessore dell'industria, molti sindacalisti - ha potuto verificare come Cremaschi, esponente del sindacato della Cgil, abbia concluso l'incontro dicendo che si dava atto al Governo nazionale di avere fatto tutto quello che era possibile; così come si prendeva atto anche che l'azienda non voleva assolutamente chiudere e che, evidentemente, proclamando e avviando le procedure della cassa integrazione, voleva trattare con una pistola sul tavolo.

Lo stesso Cremaschi pochi minuti fa ha dichiarato che saranno portate avanti iniziative di tutti i tipi, che deve intervenire il Governo ai suoi massimi livelli e deve essere chiaro ad Alcoa che gli costerebbe molto di più chiudere che operare con le perdite. Sempre secondo Cremaschi si è alla stretta finale per cui, oggi, avrebbero proposto una grande iniziativa a Palazzo Chigi, chiedendo anche di incontrare il Governo perché Alcoa non abbia più alibi in quanto non sfugge a nessuno che i tre anni di tariffe energetiche bloccate, chiesti dalla multinazionale statunitense, costituiscono esattamente il tempo necessario per mettere a regime la nuova produzione in Arabia Saudita. Mentre Emilio Lonati della CISL dice che nell'accordo tra Alcoa e Governo deve essere inserito, l'impegno di Alcoa a continuare a produrre in Italia negli stabilimenti di Portovesme e Fusina.

Di fronte a che cosa ci troviamo? Siamo di fronte a un sistema industriale, nato con un intervento pesante delle Partecipazioni statali, che ha cercato di avviare in Italia una strategia industriale volta a raggiungere, appunto, obiettivi strategici. Le intenzioni di allora erano evidentemente quelle di supportare un sistema industriale che guardasse agli interessi del Paese. L'Italia è riuscita in questo intento? Purtroppo no.

Le Partecipazioni sono crollate e, con la logica del pendolo, si è passati da un intervento massiccio dello Stato a un totale abbandono delle industrie nelle mani delle multinazionali che hanno comprato a prezzi stracciati. Questo ha fatto l'Alcoa negli anni tra il 1995 e il 1996! Ha acquistato un impianto a prezzi stracciati con un'offerta di energia elettrica bassissima per dieci anni; finito questo beneficio va via, dopo aver lucrato rendimenti altissimi da questo investimento.

Siamo di fronte - tutti - a una politica industriale del nostro Paese in cui le responsabilità, nei decenni, si sono equamente suddivise fra tutte le forze politiche che si sono alternate al governo; una politica industriale che non è riuscita a risolvere due grandi questioni. In primo luogo la questione dell'energia in maniera strutturale se non, quindi, con queste ultime, generose, importanti misure offerte ad Alcoa, in questo caso, e non solo ad Alcoa, anche ad altre industrie metallurgiche e chimiche. Ci sono infatti settanta aziende che hanno sottoscritto questo impegno con il Governo per il sistema dell'interconnessione virtuale che potrebbe portare questi benefici. Ma, comunque, non si è risolto il problema strutturale dell'energia in Italia.

La seconda questione; non è stata trovata una soluzione vera relativamente all'assetto societario, finanziario di un soggetto industriale forte nella grande industria che, dobbiamo ribadirlo, noi non vogliamo perdere. Ci sono opinioni diversificate, espresse anche oggi nell'Aula, equamente distribuite anche qui tra maggioranza e opposizione. Noi crediamo ancora, e lo ribadiamo, che nessuno sviluppo economico può fare a meno dell'industria e che un sistema nazionale non può fare a meno neanche della grande industria, se è possibile, pena l'aggravamento della bilancia commerciale, pena la dipendenza nei confronti dell'estero, pena la perdita di capacità tecniche e di flussi finanziari importanti per il nostro sistema produttivo.

Noi non possiamo permetterci il lusso di uno sviluppo squilibrato e lo abbiamo ribadito nel nostro Programma di sviluppo; abbiamo detto che occorre guardare a uno sviluppo, anche in Sardegna, che veda la partecipazione della componente industriale come una componente determinante, senza la quale non c'è ricchezza. Questo non vuol dire tenere in piedi un apparato industriale non produttivo, non più competitivo. No. Credo che ci siano testimoni del fatto che si possa valutare un mantenimento del sistema industriale che guardi alle filiere produttive.

Questo era il senso dell'Accordo di programma per la chimica firmato dall'allora Governo regionale e da un sindacalista, adesso consigliere regionale di opposizione, che sinceramente stimo, che ha dimostrato di conoscere bene i problemi sottolineando l'intenzione di non rinunciare all'industria puntando sulle filiere che hanno ancora la possibilità di essere competitive, e naturalmente rivolgendo l'attenzione, gli sforzi, la strategia di governo verso una diversificazione sia all'interno del sistema del settore industriale sia nei diversi settori (primario, secondario e terziario) puntando su un fattore fondamentale, quello dell'innovazione.

Io credo che non sia giusto dire che non abbiamo una strategia. Se non l'avessimo noi significherebbe che non ce l'ha la Sardegna, perché questo è un Governo che nel suo programma mette esattamente le cose che da anni tutti i governi e i Consigli regionali stanno dicendo, e cioè che occorre modernizzare questa nostra regione tenendola al passo con lo sviluppo del sistema nazionale e internazionale.

Allora, di fronte a questa crisi, che è una crisi straordinaria perché si sommano deficienze strategiche strutturali a una crisi finanziaria internazionale devastante, noi possiamo pensare che il problema sia il peso specifico particolarmente fragile di questo Governo regionale? Certo, siamo quello che siamo, ma pensate davvero che un Governo regionale possa da solo fronteggiare un'ondata di queste proporzioni, uno smottamento, un movimento tellurico come quello che è accaduto e sta accadendo in questi anni e in questi mesi?

Io credo che non serva sottolineare le debolezze di un sistema che è complessivamente responsabile di tutto quello che è accaduto. Tutti in Sardegna siamo responsabili di quello che è accaduto! Io credo sinceramente che si possa e, anzi, si debba recuperare , al netto di tutte le polemiche che ci sono state, che ci sono, che possono continuare tra le forze politiche, legittimamente; non entro nel merito di quanto è stato detto, non voglio giustificare nostri eventuali errori, nostre eventuali difficoltà, non è questo è il momento, non è ciò che ci interessa. Ci interessa invece dire che siamo al lavoro, che queste trenta vertenze che sta seguendo il Comitato, e sono trenta ferite sul tessuto della nostra regione e del nostro popolo, le stiamo seguendo momento per momento.

La riunione su Alcoa era il 7 gennaio; il 29 di dicembre ci siamo incontrati con il consigliere del sottosegretario Letta, per affrontare il problema di Eurallumina. Stiamo seguendo giorno per giorno queste vertenze con centinaia di lavoratori interessati.

Ora su Alcoa siamo nella situazione che ho descritto, ma possiamo non perderla se seguiamo quel che ha detto Cremaschi. Se non volete seguire quello che dice la Giunta regionale ascoltate Cremaschi, che dice di fare fronte comune per costringere Alcoa a ragionare e a dire che è meglio perdere qualcosa piuttosto che andare via; perché in questo caso bisognerebbe fargliela pagare cara. Fargliela pagare cara con tutti i sistemi legittimi possibili, ma deve evidentemente costare qualcosa abbandonare la Sardegna dopo aver lucrato per anni. Ma la stessa cosa può valere per tutti gli altri.

La situazione di Eurallumina, pur difficile, può avere comunque uno sviluppo. Io oggi sono arrivato in ritardo, e mi scuso, perché ero impegnato proprio in una riunione con Eurallumina e alcuni rappresentanti delle amministrazioni locali del Sulcis. Il problema per Eurallumina è che se anche oggi le condizioni di mercato fossero favorevoli, se anche noi potessimo dire: "C'è il metano e puoi fare la centrale che chiedi di poter fare", non ci sarebbe un bacino per depositare i fanghi rossi perché nessuna delle amministrazioni è in grado o vuole o ha intenzione di dare la disponibilità di un pezzo di terra.

Sia chiaro, se Eurallumina non riprenderà la produzione sarà perché noi in Sardegna non vorremo più questo tipo di produzione, non saremo capaci di trovare una soluzione; io non do la responsabilità a nessuno in particolare, dico che siamo tutti però corresponsabili di una soluzione che va trovata "facendo sistema".

Così come riguardo alla situazione composita del problema chimica in Sardegna, occorre recuperare la logica dell'accordo di programma, e cioè individuare delle filiere produttive che possono avere ancora mercato e investire su queste, con la possibilità da parte della Regione e del Governo nazionale di stanziare risorse per interventi infrastrutturali e strutturali; serve andare avanti decisamente nella strada della metanizzazione in modo tale che a Ottana possa ripartire Equipolymers, perché possa ripartire Eurallumina, perché possa essere data al territorio industriale sardo una chance in più per produzioni che possono trarre vantaggi dalla presenza e dalla disponibilità del metano, non tanto e non solo per l'energia elettrica, ma per l'energia termica.

Bisogna affrontare con decisione il confronto con l'ENI che, giustamente, viene indicata come responsabile di un indebolimento dell'apparato industriale in Italia e in Sardegna; ma l'ENI è oggi il frutto di una politica nazionale che non è riuscita a far crescere un soggetto forte nella chimica permettendo, invece, che crescesse soltanto nel settore dell'energia. Questo è il succo della questione.

Allora, di fronte a ENI noi certamente dobbiamo difendere i nostri interessi stando tutti uniti, come è stato fatto nel luglio scorso nell'incontro al Ministero dello sviluppo economico quando il Presidente della Regione, d'accordo con i sindacati e con le associazioni degli industriali, si è alzato dal tavolo delle trattative e ha detto che non si poteva chiudere, non si poteva accettare questa fermata.

Insieme si è ottenuto uno stop a quella decisione per arrivare a una soluzione che, certo, non è la migliore del mondo, quella dell'accordo citato poco fa, ma che vede favorevoli anche i vertici sindacali, regionali, oltre che quelli nazionali, nonché perfino alcuni parlamentari del Partito Democratico.

Non è il massimo quello che è stato ottenuto, ma è comunque una presenza; così come oggi per Vinyls dobbiamo stare attenti che la procedura di amministrazione straordinaria possa concludersi con un passaggio di consegne, un acquisto che sembra alle porte da parte di un soggetto forte. Abbiamo notizia dell'avvio, proprio nelle ultime ore, della due diligence con un gruppo arabo che potrebbe acquistare l'intera filiera; sarebbe un soggetto finanziariamente certamente più forte di Sartor e che, conseguentemente, potrebbe dare un futuro a questa filiera. Occorre certamente essere vigili, occorre aver presente che il problema è quello del lavoro ma, contemporaneamente, è anche quello di un tessuto produttivo che non può fare a meno della grande industria in questo momento e che deve orientarsi verso una possibile diversificazione produttiva.

Vi sono anche altre vertenze all'attenzione della Regione su cui cerchiamo per quanto possibile di essere particolarmente vigili. Soprattutto in alcuni territori emerge questa grave situazione, per cui abbiamo necessità del massimo dell'unità. Su questo punto io credo sia utile che il Consiglio rifletta, così che dall'incontro odierno possa nascere un confronto forte con le aziende e anche, evidentemente, con il Governo nazionale.

PRESIDENTE. Comunico all'Aula che il consigliere Mulas che aveva chiesto congedo, è presente in Aula. Pertanto il congedo si intende revocato.

Ha domandato di replicare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Anch'io come l'assessore La Spisa, certo con meno autorevolezza, nulla intendo concedere alle divisioni politiche che sono emerse da questo dibattito; però credo che il dibattito che abbiamo tentato di sviluppare quest'oggi, soprattutto per il rispetto dovuto alle persone che vivono sulla propria pelle gli effetti drammatici di questa crisi, avrebbe meritato da parte di quest'Aula una maggiore attenzione e una maggiore sensibilità.

Io davvero non capisco, sarà un limite mio, ne prendo atto, come su un tema come questo si possa continuare a passeggiare ordinariamente in quest'Aula, si possa continuare a essere assenti per gran parte dei lavori, come sta avvenendo in questo momento. Su questo credo abbia ragione, io perlomeno sono d'accordo con lui, l'onorevole Vargiu, quando lancia un monito sulla caduta di credibilità che coinvolge tutti e che non fa bene a nessuno, quale che sia la nostra occasionale posizione politica in quest'Aula. Pensavo, ripeto, a una maggiore attenzione, a una maggiore tensione ideale attorno a questi problemi. Così non è stato, e credo non faccia onore a quest'Aula.

Onorevole La Spisa, lei ha voluto, credo, dal suo punto di vista, giustamente, sollevarsi cinque centimetri da terra per evitare alcune polemiche. Io con molta umiltà voglio ricordarle e ricordarvi che forse sin dal primo intervento, scusate l'autocitazione, io intervengo spesso in quest'Aula, svolto sulle dichiarazioni programmatiche del presidente Cappellacci, ho ripetuto fino a rasentare il tedio che le responsabilità, le cause e le ragioni della crisi non iniziano nel marzo 2009. Credo che questo debba essere riconosciuto.

Non c'è volontà di polemica o di strumentalizzazione da parte del sottoscritto e dell'opposizione. Lo ripeto ancora oggi, la mozione non è connotata da questo carattere. Io e noi non pensiamo, saremmo degli sciocchi, che le ragioni di questa crisi, ripeto, risiedano solo e soltanto nel fatto che da marzo in poi abbiamo un Governo regionale incapace di affrontare i problemi. Io credo che il Governo regionale, comunque, in particolare nel rapporto col Governo nazionale e con la Presidenza del Consiglio, non faccia a sufficienza per porre il problema Sardegna, se non al primo, a uno dei primi punti dell'agenda politica del Governo; credo sia indubbio a tutti che questo non è, nonostante i reiterati tentativi e sforzi anche da parte della maggioranza che governa la Regione.

Certo, non siete responsabili di tutte le disgrazie che affliggono la Sardegna, così come è indubbio che non siete i soli ad avere la responsabilità delle scelte sbagliate che la politica ha fatto in questi anni. Io, spero di non essere il solo in quest'Aula, sono convinto che la politica, chi più chi meno, abbia sbagliato quando ha delegato al mercato il governo delle dinamiche economiche e dei processi industriali; credo che abbia sbagliato.

Non vedo però oggi, nonostante questo riconoscimento che avviene da parte di tutti, emerge anche dalla sua replica, Assessore, e conoscendola so che lo fa con grande onestà intellettuale, una reazione conseguente a questo riconoscimento. Assessore, c'è necessità che anche questa Regione, questa maggioranza, di fronte ad alcune crisi si doti di strumenti che possono in qualche maniera non dico sostituirsi a chi governa quelle dinamiche, ma certamente condizionarle perché ci sono attività, che iniziano e finiscono in questa regione, che aspettano un intervento in cui regole, strumenti di sostegno e di promozione vadano in quella direzione.

Ho parlato di crisi e, ora, per brevità non voglio richiamarle; mi farebbe piacere che prima o poi ci fosse il tempo per discuterne concretamente in questa Aula. Presidente del Consiglio, dedichi una sessione straordinaria che consenta a questa Aula di affrontare concretamente, magari non con la tensione a cui abbiamo assistito oggi, questi problemi auspicando che da quel dibattito venga anche qualche suggerimento, qualche impulso e qualche sollecitazione alla Giunta regionale.

Non siete neanche i soli responsabili, certamente, degli effetti negativi dei costi dei fattori della produzione, in particolare a partire dai costi dell'energia. Tuttavia, Assessore, Presidente del Consiglio, mi dispiace che manchi il presidente Cappellacci, voi governate; eppure, ripeto, pur non caricandovi addosso la croce di tutte le stazioni pregresse di questa via crucis, sarebbe importante che voi portaste almeno la croce delle stazioni che vi vedono protagonisti.

Assessore, i problemi irrisolti, lei lo sa bene, non sono pochi, non sono pochi. La discussione, quest'oggi non è per stabilire se state lavorando o meno; c'è stato infatti qualche Assessore prima di lei, assessore La Spisa, al quale si riconosceva un impegno lavorativo straordinario ma, ahinoi!, a quello straordinario impegno corrispondeva in maniera direttamente proporzionale una altrettante straordinaria inconcludenza e, pertanto, i risultati alla fine purtroppo non arrivavano.

Lei ha citato due casi: Alcoa e Vinyls. Bene, su Alcoa noi riconosciamo il lavoro importante che è stato svolto e che credo sia il prodotto dell'impegno di tanti, in particolare di chi ha responsabilità di governo e delle organizzazioni sindacali. Io le riconosco, Assessore, anche di aver correttamente descritto questa vicenda. In quella ricostruzione mancano però tre cose. La prima, non c'è stata finora, nonostante l'impegno profuso, almeno l'indicazione di una soluzione strutturale di medio e lungo periodo rispetto al fattore energia, rispetto al fattore costo dell'energia elettrica e per certi versi anche dell'energia termica; il problema riguarda anche Eurallumina, e non soltanto.

La seconda questione non affrontata, Assessore, riguarda il limite temporale della soluzione proposta dal Governo. Non si può offrire a un grande gruppo industriale una soluzione che ha una durata di sei mesi. Non c'è nessuno in questa situazione che risponda alla richiesta di impegno soprattutto finanziario...

PRESIDENTE. Onorevole Diana, il tempo a sua disposizione è terminato.

Dichiaro chiusa la discussione.

Il Consiglio è riconvocato alle ore 16 e 30 del pomeriggio.

La seduta è tolta alle ore 13 e 43.