Seduta n.139 del 22/09/2010
CXXXIX Seduta
Mercoledì 22 settembre 2010
(POMERIDIANA)
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 16 e 31.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 1° settembre 2010 (132), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Pietro Fois, Domenico Gallus, Adriano Salis e Renato Soru hanno chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 22 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Annunzio di presentazione di proposta di legge
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta di legge:
Stochino - Diana Mario - Pittalis - Peru - Sanna Matteo - Piras - Contu Mariano Ignazio - Zedda Alessandra - Cherchi - De Francisci - Floris Rosanna - Bardanzellu - Randazzo - Gallus - Murgioni - Greco - Lai - Locci - Petrini - Pitea - Rassu - Rodin - Sanjust - Sanna Paolo Terzo - Tocco - Amadu - Artizzu - Campus - Ladu:
"Misure urgenti in materia di lavori pubblici: accelerazione dei tempi di realizzazione delle opere, sostegno al reddito dei lavoratori e sicurezza nei luoghi di lavoro". (195)
(Pervenuta il 21 settembre 2010 e assegnata alla quarta Commissione.)
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Interrogazione Mulas - Cuccureddu - Manca - Fois - Sechi - Meloni Valerio - Bruno - Cocco Daniele Secondo - Amadu - Milia - Peru - Rassu - Campus - Lotto, con richiesta di risposta scritta, sulla soppressione da parte della Grimaldi delle tratte Porto Torres - Barcellona e Porto Torres - Civitavecchia". (408)
"Interrogazione Espa - Cuccu - Caria - Meloni Valerio - Barracciu - Cucca - Mariani - Bruno, con richiesta di risposta scritta, sull'impiego dei fondi per la prevenzione e dispersione scolastica (legge regionale n. 1 del 2009, articolo 3, comma 18 - legge finanziaria), con particolare riguardo al supporto organizzativo per gli studenti con disabilità per l'anno scolastico 2010/2011". (409)
PRESIDENTE. Si dia annunzio dell'interpellanza pervenuta alla Presidenza.
CAPPAI, Segretario:
"Interpellanza Lai - Bardanzellu - Sanna Matteo sulla sospensione del rinnovo e del rilascio delle concessioni demaniali per l'esercizio delle attività di molluschicoltura, arsellicoltura, raccolta e pesca di frutti di mare e maricoltura nel mare territoriale della Sardegna, con particolare riferimento alla situazione riguardante gli operatori del Golfo di Olbia". (144)
PRESIDENTE. Considerata la poca presenza in Aula sospendo i lavori per dieci minuti. Riprenderanno alle ore 16 e 45.
(La seduta, sospesa alle ore 16 e 33, viene ripresa alle ore 16 e 46.)
dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (88)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88.
Ricordo ai colleghi che hanno a disposizione eccezionalmente venti minuti per ogni intervento e che in occasione della sessione straordinaria la Conferenza Capigruppo ha deciso che, data l'importanza dell'argomento, non ci sia il vincolo dell'iscrizione entro il primo intervento per cui ci si potrà iscrivere in qualsiasi momento del corso del dibattito.
E' iscritto a parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.
STERI (U.D.C.). Grazie Presidente. Sicuramente questa seduta è una seduta importante. E' stato detto che è una seduta estremamente rilevante che è un momento particolare. Penso che sarà un momento particolare in tanto in quanto questa seduta non rimanga improduttiva e abbia un seguito effettivo e sostanziale. Solo a queste condizioni possiamo dire che stiamo attraversando un momento particolare. Del resto del problema della riforma dello Statuto non è un problema di oggi è un problema che ci portiamo avanti da decenni e che più e più volte è stata richiamata l'attenzione anche del popolo sardo. Tant'è che oggi evidentemente il popolo sardo è totalmente assente in questa Aula. Quindi dobbiamo fare anche un'operazione di sensibilizzazione per far capire l'importanza di questo problema. Ma come si è arrivati a questa fase, questa esigenza di modifica dello Statuto? Noi partiamo dallo Statuto del 1948 lo Statuto di autonomia del 1948 che era vista, e in questo senso l'ha chiaramente interpretata la dottrina cito per tutti Pinna il diritto costituzionale sardo: come una forma di risarcimento da parte dello Stato per non aver contribuito allo sviluppo della Sardegna. Sviluppo della Sardegna che aveva indotto la delegazione degli stamenti a chiedere l'unione alla rinuncia dell'indipendenza a suo tempo. Delegazione come ha precisato Felicetto Contu senza che gli stamenti si fossero a suo tempo pronunciati.
Questo Statuto che sicuramente ci dava questa parola grossa che aveva tanto significato di autonomia per altro non ha soddisfatto le attese e non ha soddisfatto le attese perché c'è stato un atteggiamento immediatamente da parte dello Stato, atteggiamento che poi si è confermato anche negli anni 70 appena sono state attivate le Regioni a statuto ordinario un atteggiamento di rigida chiusura. Atteggiamento di rigida chiusura che operava sia con la cosiddetta tecnica del ritaglio con cui alcune materie anche di competenza esclusiva ritagliava con materie trasversale e riservava la propria competenza sia ponendo degli ostacoli alla piena attuazione dei principi statutari.
Si pensi che il problema delle norme di attuazione la prima Regione che lo ha sollevato in Corte costituzionale è stata nel 1956 la Regione Sardegna che in quella occasione con quella sentenza per la prima volta la Corte costituzionale ha affermato che le norme di attuazione servono solo esclusivamente qualora si fosse in presenza di disposizioni di non immediata applicazione. Cioè quelle che sono le norme programmatiche.
Quindi un atteggiamento di delusione per questo comportamento dello Stato che non ha consentito un pieno sviluppo dell'autonomia. Questo forte atteggiamento di delusione connesso alla introduzione delle Regioni a statuto ordinario che avevano svilito in parte l'importanza di questa autonomia aveva portato in un primo momento a quella che era stata chiamata la politica contestativa cioè la Regione avanza una posizione forte nei confronti del Governo nazionale e avanza una serie di rivendicazioni prevalentemente di carattere economico. Siamo quindi ancora nell'orbita di quelle istanze di quelle esigenze che avevano indotto in un primo momento a rinunciare all'indipendenza in un secondo momento a battersi per avere lo statuto per l'autonomia.
Questa politica contestativa qualche piccolo risultato l'ha portato però non ha portato a dei risultati assolutamente soddisfacenti è nato così a fine degli anni 70 quello che era stato chiamato il progetto Sardegna Pietrino Soddu e gli scritti raccolti recentemente in un libro sono esemplificativi di questo progetto. Era stata avanzata già da allora l'ipotesi di una Giunta autonomistica unitaria. Le condizioni politiche per altro non consentirono il crearsi di questa forma di maggioranza.
Progetto Sardegna però era poggiato non più solo sulle esigenze economiche ma sulla affermazione che vi era un popolo sardo, che la Sardegna aveva una sua identità, aveva una sua cultura ben precisa era qualcosa di diverso dal resto dell'Italia anche se ne faceva parte. Si inizia parlare di popolo sardo, si inizia a parlare di sovranità, termine poi successivamente cassato dalla Corte costituzionale. Ecco quindi che già col progetto Sardegna si affermano quelle che sono oggi che ancora oggi in questo dibattito portiamo avanti le due esigenze fondamentali che vogliamo soddisfare: lo sviluppo è affermare la nostra diversità, la nostra identità di popolo sardo. Queste sono le nostre esigenze che ancora oggi sono molto presenti.
Detto prima che la riforma dello Statuto è risalente, risale appunto a questi anni, c'è questo progetto Sardegna che ha creato il vento autonomistico che poi ha portato nell'84 ad un successo da parte del Partito Sardo d'Azione proprio in quegli anni assistiamo ad un fortissimo risveglio di quest'esigenza. Viene costituita una Commissione speciale per rifare la riforma dello Statuto. A Roma il Parlamento costituisce una Commissione che deve indagare sulle autonomie speciali per vederne quali erano le ragioni giustificatrici, qual era il valore attuale di queste Commissioni. Tutto questo lavorio va avanti per anni e anche per tutti gli anni successivi ogni legislatura si parla. Nel 2001 è stato approvato, ed è l'unico atto al di là dell'ordine del giorno votato a fine anni 70, unico atto approvato dal Consiglio la proposta di legge costituzionale per l'istituzione della Costituente.
La legge di proposta nazionale per l'istituzione della Costituente nasceva fondamentalmente da due esigenze: una prima esigenza era quella appunto di rendere partecipe il popolo sardo di questa grossa riforma che doveva andare a modificare la società in cui vivevamo. Ma la seconda esigenza è un'esigenza pratica, la stessa esigenza pratica cui assolve nel 1993 il referendum sulle elezioni presentato dal Gruppo Segni, perché in quell'ipotesi, anche a livello nazionale, c'erano state tutta una serie di Commissioni: Commissione Bozzi, Commissione De Mita-Iotti e, da ultimo, Commissione D'Alema, che studiavano le riforme, però, queste riforme non erano mai state fatte, perché mancava qualche cosa, mancava lo stimolo finale per arrivarci. Il referendum Segni aveva reso obbligatorio intervenire e porre mano finalmente alle riforme. Ecco, la legge costituzionale del 2001 voleva adempiere anche a questo scopo, anche a questa finalità. Quindi, siamo in presenza di esigenze sempre vive. Sia chiaro, noi avremmo potuto esercitare ulteriori spazi di autonomia rispetto a quelli in concreto svolti; lo Statuto ci affida molti spazi di autonomia che non abbiamo mai esercitato. Ancor più spazi di autonomia ci ha affidato la riforma costituzionale del 2001 del Titolo V. In teoria, noi oggi avremmo la competenza per tutta una serie di materie per legiferare, per emanare centinaia di norme di legge all'anno. Purtroppo, le attuali strutture del Consiglio non consentono questa attività, pertanto è auspicabile che venga quantomeno potenziato per poter dare una risposta effettiva a quelle che sono esigenze sentite a cui non potremo sottrarci. In questo quadro è rilevante la riforma del titolo V della Costituzione. Perché? Perché cambia completamente l'assetto, il rapporto Stato-Regione. Faccio riferimento all'articolo 114 della Costituzione; nella vecchia formulazione diceva: "La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni", cioè, siamo in presenza di una struttura piramidale, richiama ancora la concezione dello stato unitario quando era uscita nel 1800, in cui al vertice c'è lo Stato, c'è la Repubblica, sotto, in posizione di subordinazione ci sono tutte le altre istituzioni. E' inutile che richiami il grosso dibattito che si è svolto nel 1800 in ordine alla configurazione che doveva avere il nuovo Stato, i grossi scontri che ci sono stati tra chi proponeva soluzioni federaliste, tra chi proponeva soluzioni regionaliste e la posizione di Cavour, che poi è uscita vincente, di questo Stato unitario che andava a ricercare l'unità non negli ideali, ma nell'esercizio di un potere accentrato. Questa è la configurazione che è uscita dalla Costituzione del 48 all'articolo 114. Ma oggi l'articolo 114 dice qualcosa di completamente differente. Infatti oggi l'articolo 114 è così formulato: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato", cioè, la Repubblica è costituita dalle Regioni e dallo Stato, non c'è più un vertice unitario, siamo in presenza di un sistema di democrazia diffusa, non arriviamo ancora a quel ulteriore passo che ha fatto la nuova Costituzione spagnola, che ha accettato un regionalismo cosiddetto "differenziato e graduale", in quanto, al di là delle province e delle comunità a cui è stata già concessa l'autonomia, una forte autonomia, sono previsti procedimenti in cui dal basso le singole province possono chiedere l'autonomia. Però, è chiaro che siamo in presenza di un modello completamente e totalmente differente; questo è estremamente rilevante. Non si tratta più di un rapporto di un suddito che va a chiedere, si tratta di un rapporto tra soggetti che sono sullo stesso piano: la Repubblica è costituita dalle Regioni e dallo Stato, e le Regioni a Statuto speciale hanno un'autonomia differenziata; questi sono dei punti fermi essenziali. Se, seguendo anche quanto ha detto l'onorevole Maninchedda, noi vogliamo in questa fase ottenere una maggiore autonomia nell'ambito di quello che oggi consente il sistema giuridico vigente, questo è essenziale, questo vuol dire che noi possiamo ottenere forme di autonomia estremamente rilevanti e del tutto differenti da quelle che avevano ottenuto le altre Regioni. Non ci sono limiti, al di là degli interessi essenziali della Repubblica, all'ampia autonomia che ci può essere concessa; questa dell'articolo 114 è una rivoluzione copernicana che non è mai stata sufficientemente valorizzata. E' ben vero che tutte le riforme sul federalismo fiscale sembrano minare questo principio, ma questo è un altro aspetto di cui andrò a parlare successivamente. Allora, che cosa dobbiamo andare a chiedere? Si parla di regionalismo, federalismo, tanti termini, ma, signori, la dottrina costituzionale ha chiarito che oramai parlare di federalismo, parlare di regionalismo o quant'altro sono solo delle etichette vuote, non esiste il federalismo, esistono i federalismi, esistono i regionalismi, per cui l'esperienza storica ci dimostra che ci sono Stati federati che hanno meno poteri di Stati regionali, ci sono Costituzioni, ad esempio quella belga, che parla di federalismo, però continua a qualificare Regioni le entità subordinate, per cui, attaccarci alle etichette mi sembra un discorso non produttivo. Noi dobbiamo andare a chiarire, a precisare quelli che sono i contenuti dell'autonomia che vogliamo ottenere, poi chiamateli regionalismo, chiamateli federalismo, chiamateli come volete, l'importante è che ci sia condivisione su questi contenuti e che questi contenuti ci vengano concessi. Quindi, al bando le etichette, andiamo avanti guardando la sostanza dei problemi. Sicuramente nel fare questo dobbiamo muoverci su quelle due matrici che hanno condotto tutta la nostra storia dal 48 in poi che sono le esigenze di sviluppo, l'esigenza affermatasi col progetto Sardegna di popolo sardo, di individualità, di garanzie e di tutela di questo popolo. E' evidente che nel momento in cui individuo determinate caratteristiche che mi differenziano, devo dare anche un corrispondente regime di autonomia che mi consenta di disciplinare, di governare adeguatamente queste forme di autonomia. E' inutile parlare di sentenza del Kosovo e quant'altro, andiamo avanti e combattiamo per ottenere questo risultato. Possiamo parlare, sono sicuramente interessanti i discorsi storici che ci ha molto puntualmente svolto Felicetto Contu nel suo intervento, possiamo andare a parlare del trattato di Utrecht, possiamo andare a parlare di tutti gli altri trattati che si sono succeduti quando la Spagna cedette la Sardegna all'Austria e poi arrivò per altra via, dopo lo scambio con la Sicilia, alla Savoia, possiamo andare a vederci questi trattati e dire che una delle condizioni essenziali previste in questi trattati era che venisse assolutamente garantita l'autonomia e l'indipendenza della Sardegna. Abbiamo un punto giuridico a cui agganciarci, però, consentitemi, è un discorso a lunga gittata, a noi ci interessa avere uno statuto che ci consenta di governare la Sardegna. Sia ben chiaro, ottenere il nuovo Statuto non significa aver risolto i problemi, la riforma non è un fine, è semplicemente un mezzo per dotare la Regione degli strumenti per poter governare e risolvere la gravissima crisi in cui oggi ci troviamo. Possiamo accusare lo Stato di avere inquinato e così via, la responsabilità, se mi consentite, è anche nostra che l'abbiamo consentito; questo, da oggi, non deve più accadere, non deve più avvenire. Allora, una volta affermato questo, una volta individuate le due direttrici che devono guidare la nostra azione, riempiamole di contenuti, riempite queste direttrici di contenuti si pone il problema di individuare i procedimenti tramite cui ottenere il risultato. Si è parlato di Costituente, ho detto prima quali erano le esigenze che avevano indotto ad accettare la Costituente. Oggi è stato rimesso in ballo il discorso, lo stesso Pierpaolo Vargiu ci dice: attenzione che si contesta che questo metodo è un metodo che porta a tempi lunghi. Ora, in effetti sarebbe stato meglio iniziare questo discorso un anno fa, perché la nostra azione deve essere coordinata con quella del Parlamento, quella legge costituzionale che noi andremo ad approvare dovrà poi essere approvata dal Parlamento. Ma è innegabile che la Costituente presenta un vantaggio assoluto. Con la Costituente noi dovremmo fare una legge costituzionale che disciplina il procedimento di formazione di questo organo straordinario, però poi questo organo straordinario approverà lo Statuto senza intermediazione dello Stato. Ossia se noi approviamo in Aula una riforma dello Statuto facendo una proposta di legge costituzionale, questa proposta di legge costituzionale andrà al Parlamento che potrà modificarla come meglio ritiene. Se, invece, il Parlamento mi approva una legge costituzionale che istituisce un organo costituente è questo organo costituente che stabilisce i margini di autonomia. A quel punto potrà essere solo ed esclusivamente verificato se io ho rispettato i limiti massimi che mi ha posto la Costituzione. Questo è l'elemento fondamentale sostanziale che anche nella scorsa legislatura ha portato l'U.D.C. a battersi fortemente per la Costituente. Noi riponiamo il problema, ma quello che conta è, una volta al termine di questa discussione, che non può a nostro avviso concludersi con la votazione delle singole mozioni, che sarebbe estremamente riduttivo, è una discussione che dovrà chiudersi con un ordine del giorno unitario in cui dovremmo confrontarci per arrivare tutti, possibilmente congiuntamente, a scegliere insieme quello che è il procedimento che noi vogliamo seguire per andare avanti.
Ma fare la riforma dello Statuto non è sufficiente. E' già stato detto: oltre allo Statuto c'è da fare tutta un'altra serie di altre norme. Cito le più importanti: parliamo di statutaria, di legge elettorale, parliamo di riforma della legge numero 1, di riforma della legge del personale, la numero 31, leggi numero 1 e 31 che evidentemente non potranno che seguire, secondo logica, l'approvazione della nuova legge statutaria. E' ben vero che potremmo dire che anche la statutaria non ha senso se poi modifichiamo lo Statuto, però c'è un'esigenza immediata. A fronte di questa esigenza di riforme che dovranno andare su tutte e due, Statuto su un piano e statutaria su un altro piano parallelo, su un altro piano parallelo ancora devono essere affrontate tutte le emergenze che in questo momento attanagliano la nostra regione.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Planetta. Ne ha facoltà.
PLANETTA (P.S.d'Az.). Signora Presidente del Consiglio, Assessore, colleghi del Consiglio, oggi abbiamo l'opportunità tutti noi indistintamente di scrivere una pagina importante nella storia della Sardegna. Abbiamo l'opportunità per le nostre coscienze, per la nostra coerenza, per il periodo drammatico che attraversiamo e per tutti quelli che abbiamo già attraversato, di trasmettere al nostro popolo, di trasmettere al Governo italiano, un segnale finalmente forte, un segnale di dignità, di responsabilità e di consapevolezza. La mozione sardista che ha innescato questo dibattito si colloca nel solco della storia politica del sardismo con la riconferma oggi degli antichi obiettivi, adattati questi a tempi moderni e anche alle possibilità buone, concrete di riuscita. Avviamo perciò oggi una seria riflessione sui limiti politici, sui limiti culturali e anche una riflessione sull'oggettiva dipendenza da Roma, che impedisce a noi tutti, classe politica sarda, di domandarsi se parole come "autonomia", "identità", "specialità" necessitino di una riformulazione originale. Tutti noi dobbiamo chiederci se l'autonomia speciale risponda ancora ai bisogni di una società moderna oppure dobbiamo prendere atto che sia uno strumento ormai consunto, consumato e dunque oramai irrimediabilmente inadeguato. Dobbiamo chiederci con franchezza, con coraggio, se il nostro sguardo debba rivolgersi altrove, ad altri strumenti che diano luogo, come diceva Camillo Bellieni nel 1922, al riordinamento in senso autonomistico volto all'instaurazione di uno Stato federale. Allora dobbiamo decidere qui noi tutti se rompere un tabù e misurarci con il complesso tema dell'indipendenza, o se volete chiamatela non dipendenza, senza la quale io credo nessun federalismo abbia un senso. Insomma la penso come la pensava Lussu nel 1938 che scriveva: "Per oggi basta dire che la Sardegna aspira a una Repubblica sarda, Repubblica sarda nella Repubblica federale italiana".
Allora, cari colleghi, dobbiamo tutti riconoscere che la lunga stagione dell'autonomismo deve con oggi iniziare la via del tramonto e che è arrivato finalmente il momento in cui il Parlamento della Sardegna, attraverso la sovranità, smetta una buona volta di mendicare ruolo e risorse e si assuma definitivamente la responsabilità di governare. E la smetta ancora di essere l'intermediatore locale delle classi dirigenti romane, delle classi dirigenti politiche, delle classi dirigenti partitiche. E la sovranità, quest'aspirazione di sovranità nazionale e nazionale in senso sardo, è possibile solo se iniziamo a pensare che ce la possiamo fare da soli con le risorse che sono le nostre, e ne abbiamo, e che qualsiasi governo tende sempre sistematicamente a rapinarci. Questo, colleghi del Consiglio, noi Sardisti lo abbiamo sempre detto, lo abbiamo sempre ripetuto dal 1921 e su questo non abbiamo mai fatto e mai faremo dei passi indietro. Proprio gli avvenimenti recenti ci mostrano con maggiore evidenza quello che adesso si sta verificando in Italia a proposito del federalismo e della devoluzione. Il tutto si sta verificando in Italia, fuori da quest'aula, mentre noi ancora ci tratteniamo a discutere se occorra qui in Sardegna uno Statuto con la costituente o uno Statuto senza la costituente, continuando così a non decidere su cosa realmente, avvocato Steri, dobbiamo metterci dentro. Dobbiamo decidere se farci o non farci carico delle responsabilità di autogoverno e di sovranità a cui noi tutti siamo chiamati. Ebbene, noi crediamo, io credo che all'indipendenza o alla non dipendenza, chiamatela come volete, non ci sono alternative autosufficienti. Tutto questo ho avuto modo di prospettarlo in una mia proposta personale di riscrittura del nuovo Statuto di autonomia e vorrei che altri avessero la stessa opportunità di lavoro per riscrivere anche loro uno Statuto. Vi ricordo che sono presenti in Consiglio regionale proposte nazionali dell'onorevole Massidda, dell'onorevole Cabras e basta!
Ebbene, tutto questo cade in un'annunciata stagione di riforme che in quest'Aula si richiama ormai da anni con enfasi sospetta e ciclica urgenza, spesso spinta dall'incalzare della piazza a cui però ha sempre fatto seguito l'inconcludenza più totale. Ebbene, allora, autonomia, federalismo, sovranità, indipendenza, sono tutte parole che noi abbiamo già acquisito da lungo tempo e su cui siamo riusciti finalmente ad accendere oggi un dibattito. Il termine sovranità, per esempio, è stato utilizzato nel passato anche in testi di legge di questa Regione. E' stato ricordato che la Corte costituzionale l'ha cassato e l'ha cassato il Governo Prodi. Poi c'è il termine di indipendenza, ripeto che significa semplicemente non dipendenza, ebbene io credo, signori, colleghi, che nessuno voglia mai essere dipendente nella vita da qualcuno, però non per questo desidera rimanere da solo, ma nel mondo di oggi tra essere dipendenti ed essere soli c'è una via di mezzo che è quella delle interdipendenze e anche lo Stato italiano fa già parte di una rete di interdipendenze, compresa l'interdipendenza con l'Europa. Ebbene, noi tutti auspichiamo che in un sistema ancora più complesso, ancora più coeso, più permeato di nuove interdipendenze, si vada a formare, come noi abbiamo desiderato, noi Sardisti, e lo stesso Camillo Bellieni, si vada a formare un'Europa dei popoli. Allora dobbiamo comprendere bene, prima di parlare di questi temi, che tipo di Sardegna abbiamo in mente, che tipo di consapevolezza abbiamo sulla nostra reale capacità di autogovernarci, di decidere alla pari la quota di indipendenze e di sovranità che dobbiamo e che vogliamo condividere con gli altri. Decidere alla pari, confrontarsi alla pari significa anche la necessità di porsi alla pari dal punto di vista dell'indipendenza economica. Da più parti ci si è domandato e ci si domanda se noi ce la facciamo a bastare a noi stessi o meglio se i sardi oggi sono talmente fieri, talmente dignitosi, talmente orgogliosi da porre al primo posto l'essere padroni in casa propria.
Siamo chiamati, colleghi, a delle responsabilità che non avevamo mai immaginato nel recente passato ed io credo che ne valga la pena e non dobbiamo avere paura, non abbiate paura, nessuno deve avere paura perché io credo che in una Sardegna che è già una nazione a sé sia dal punto di vista culturale ed economico esiste e non può che essere tale e non è impossibile, assolutamente impossibile, pensare di potercela fare da noi, anche se è vero che probabilmente ancora non bastiamo a noi stessi. Ricordo che a chi chiedeva come avrebbe fatto la Sardegna a vivere da sola, un amico, Antonio Simon Mossa così rispondeva: "Ma forse oggi la Sardegna non vive da sola?". Se poi teniamo conto di tante cose e perfino dei diritti dell'autonomia che non abbiamo mai voluto esercitare fino in fondo, compreso il diritto dell'imposizione fiscale e del fatto che sia l'Italia ad essere in debito con noi e che l'autonomia ci ha ricambiato con servitù militari, con sfruttamento delle nostre terre, delle nostre risorse, con l'inquinamento, col sottosviluppo, con la mortificazione della nostra lingua, della nostra cultura e non applicando ancora l'articolo 12 dello Statuto che prevedeva la zona franca, allora ecco perché io credo si debba riconoscere che la Sardegna sia una nazione e questo riconoscimento deve essere contenuto nel nuovo Statuto e noi crediamo che la Sardegna prima o poi diventerà indipendente, lo diventerà, forse non lo vedremo noi, forse neanche i miei figli, ma i figli dei miei figli lo vedranno perché questo è l'obiettivo e questo sarà prima o poi. Come credo fermamente che abbiamo davvero un orizzonte di futuro nel quale noi possiamo badare a noi stessi e che possiamo tranquillamente dire che possiamo badare a noi stessi.
Cari colleghi, vi dico subito che decisioni di questo genere si prendono innanzitutto col cuore, non con un calcolatore alla mano, aprite i vostri cuori, cari colleghi, aprite i vostri cuori alla Sardegna, ai sardi e oggi esprimete un voto di adesione che sia soprattutto dettato con il cuore.
Grazie a tutti, grazie Presidente, grazie Assessore e a tutti Fortza Paris!
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Matteo Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA MATTEO (P.d.L.). Signor Assessore degli affari generali, colleghe e colleghi del Consiglio, la discussione che ha preso avvio stamattina con la conclusione della presentazione delle mozioni oggi all'ordine del giorno costituisce il miglior preludio del processo di riforme che dopo questa seduta, come mi auguro vivamente, si avvierà definitivamente per consentire ai sardi una pronta rivisitazione in chiave moderna del proprio sistema autonomistico. Sono consapevole che la prima vera riforma è quella di riformare, passatemi la ripetizione, noi stessi dimostrando di essere all'altezza del difficile compito che ci attende ed emancipati dalle logiche di potere romane che troppo spesso interferiscono nella vita della nostra Sardegna e questo spesso scientemente porta anche a dividerci. Non da oggi aleggia la domanda in merito all'effettiva capacità del nostro Parlamento regionale di essere in grado di rivedere l'attuale sistema politico per portarlo ad un contenimento effettivo dei costi e ad una sensibile riduzione delle rappresentanze assembleari per adeguare la nostra Isola agli standard qualitativi e di efficienza ed efficacia raggiunti dai Parlamenti e dagli esecutivi di altri territori europei sia perché ben consapevole che ai lavori odierni ogni parola così come ogni ragionamento debbano essere pesati al fine di favorire la nascita di un clima unitario fra tutte le forze politiche in Consiglio per favorire il cammino che ci attende. Una riforma della portata di quella contenuta nelle mozioni descritte in aula dai relatori delle stesse non può che essere il frutto di un'amplissima condivisione che dia luce a una dimensione alta e nobile del nostro operato politico. In questo senso raccolgo l'invito che sin dal suo insediamento ci ha rivolto, poi in seguito più volte reiterato, la Presidente del Consiglio Lombardo a porre in secondo piano le divisioni e le polemiche figlie della nostra militanza e schieramenti politici diversi per agire come la sola volontà quando si tratta di difendere gli interessi primari del nostro popolo e della nostra terra. E quand'anche non sarà possibile raggiungere l'unanimità in tema di riforma dello Statuto sempre dovremmo adoperarci per raggiungere il massimo del consenso possibile.
Riconoscere le ragioni di tutti è un primo passo per far sì che il contributo della riscrittura della nuova carta d'autonomia sia il frutto che rifletta la più ampia partecipazione di tutte le stratificazioni sociali, economiche e culturali del nostro popolo. Riscrivere le norme che dovranno regolare la vita dei sardi nei propri rapporti interni e nelle relazioni con le altre entità territoriali, con lo Stato e con l'Unione europea non sarà tuttavia del tutto esaustivo della grande riforma che ancora ci attende. Riformare lo Statuto infatti significa anche dar corso a una serie di azioni legislative forti, collaterali, per adeguare la macchina organizzativa e la burocrazia regionale alle mutate condizioni derivanti da nuovi e spero più vasti poteri. Una macchina che come lo Statuto ha subito il trascorrere del tempo e oggi richiede un deciso intervento per adeguarla ai criteri di modernità, immediatezza nelle risposte al fine di favorire una governabilità che in tempi di piena globalizzazione richiede decisioni in tempi rapidi e certi. Mi riferisco, è ovvio, alla necessità una volta approvato il nuovo Statuto di adottare una serie di provvedimenti finalizzati a rinforzare il nuovo quadro istituzionale e specificamente fra questi primo fra tutti la riforma del Titolo III che si renderà necessaria per allacciare lo Statuto alla riforma del federalismo fiscale e per detta norma in tema di diritto della Regione a emettere tributi propri. La legge statutaria la quale oltre a normare i rapporti interni in ossequio alla sussidiarietà e al federalismo interno comprende anche la legge elettorale che dovrà essere necessariamente adeguata alla nuova fisionomia del Parlamento e della Giunta regionale non ultima la legge numero 1 del '77 in quanto l'approvazione di un nuovo Statuto richiede un nuovo modello organizzativo che (...) da rivedere assetti, compiti e attribuzioni degli Assessorati. E' chiaro che questi provvedimenti necessitano di un intervento legislativo che sia successivo alla adozione dello statuto, questo non solo per rendere armonica l'architettura istituzionale ma perché scrivere queste norme su di un tessuto di norme che tutti riconosciamo superato da oltre sessant'anni di vigenza e con evidenti limiti di potestà sarebbe come costruire un nuovo edificio sui ruderi di quello precedente senza gettare nuova fondamenta. Quindi è un impegno di eccezionale portata quello che ci attende, è corretto a questo punto chiedersi proprio quale debba essere la portata di questa riforma. Molte discussioni sul tema avvenute sia in convegni organizzati e presso le pagine degli autorevoli quotidiani sardi hanno caratterizzato i giorni precedenti e questi nostri lavori con diversi accenti ma tutti sempre convergenti verso la rivendicazione di maggiori competenze esclusive. Tutti infatti hanno messo in evidenza la necessità che la nostra Regione acquisisca il massimo dei poteri per raggiungere un autogoverno effettivo. Taluno si è spinto fino al punto di rivendicare una vera e propria statualità da inserire in un quadro confederativo con l'Italia. Pur tuttavia in tutti è prevalso il senso di appartenenza alla Repubblica e alla volontà di agire sempre in un quadro unitario che rispetti il dettato costituzionale e le norme comunitarie. Ciò non toglie che le nuove potestà conferite, da conferire in capo alla regione con l'adozione del nuovo Statuto rendono necessaria una modifica della Costituzione repubblicana affinché ci vengano riconosciute nuove e più estese competenze. In Sardegna su questo fronte si è raggiunta la consapevolezza che i tempi siano maturi per cambiare il superato statuto di autonomia trasformandolo in un vero e proprio Statuto di sovranità che realizzi il diritto dei sardi all'autodeterminazione. Per moltissimi di noi parole come indipendenza e sovranità erano impensabili, impronunciabili solo pochi anni fa. Da quei tempi nell'isola una nuova sensibilità si è fatta strada, una nuova cultura di noi stessi che ci ha portato a considerare la sovranità e l'indipendenza come una forma evoluta di autonomia che si presenta alla stregua di un approfondimento della democrazia e si compie attraverso l'affermazione che seppure all'interno dell'unità giuridica la Repubblica italiana in Sardegna lo Stato siamo noi. Un'affermazione che molti sardi illustri hanno usato ma che nell'accezione moderna del termine meglio si presta ad illustrare lo stato d'animo con il quale noi moderni legislatori regionali ci apprestiamo alla redazione di un nuovo Statuto. Come consiglieri regionali siamo consapevoli che dobbiamo ispirarci ai principi più avanzati che l'attuale Costituzione repubblicana e la normativa europea prevedono con l'adozione di misure eccezionali che colmino le diseconomie determinate dalla condizione di insularità e riconoscano ai sardi il ruolo storico e la specifica politica derivante dalla nostra grande civiltà nazionale. Lo facciamo attraverso i lavori odierni proprio nel momento in cui la Repubblica è attraversata da un vento forte riformista, un vento del Nord per rivedere la Costituzione in senso federale. Noi perciò dobbiamo essere pronti, dobbiamo essere preparati, non possiamo farci cogliere impreparati. Il nuovo Statuto attesterà certamente la volontà dei sardi di essere parte dell'Italia ma rinegoziando pariteticamente con lo Stato le condizioni pattizie. Non vogliamo più subire imposizioni dall'alto a causa della mancanza di uno specifico progetto che segni la posizione della Sardegna nel contesto della riforma federale. Un processo già nato di cui il federalismo fiscale costituisce il primo vagito intenso a modificare l'ordinamento della Repubblica. Spero questa sia l'occasione propizia per fare in modo di evitare che ancora una volta, lo ribadisco, dall'alto non ci venga calata una riforma a causa dell'inerzia di iniziative da parte della nostra classe politica. Non abbiamo più scuse, noi sia chiaro a questa riforma delle istituzioni repubblicane vogliamo partecipare per dare il nostro contributo di sardi e per collocare l'isola in un quadro di relazioni che rompano gli attuali soccombenti rapporti con lo Stato e l'Europa. Rapporti che vedono i sardi troppo spesso subire violazioni di propri diritti senza la possibilità di difendersi per mancanza di strumenti, lo Statuto in primis. Ma per dare un nostro contributo dobbiamo anzitutto acquisire la dimensione di quello che come popolo e come nazione sia in Italia che in Europa e nel resto del Mediterraneo vogliamo essere.
Se infatti la proposizione di un nuovo modello di Statuto deve partire dai tre livelli esistenti, quello regionale e quello statale e quello europeo noi da sardi non possiamo fare a meno di sviluppare, migliorare e rafforzare i rapporti con tutti gli altri territori che come noi si affacciano nel bacino del Mediterraneo condividendo nel tempo la storia, la cultura e gli scambi commerciali di tutte le civiltà che si sono succedute in questo mare. E' proprio sulla nuova dimensione di regione euromediterranea che noi dobbiamo ripensare a noi stessi, e fondare le basi del nostro futuro sviluppo economico attraverso una rete di relazioni di cooperazione, che allarghi i nostri scambi commerciali, e ci consenta di raggiungere nuovi ambiti mercati. Sul fronte interno del rapporto negoziale con lo Stato, dobbiamo rivendicare a pieno titolo la conservazione dello status di specialità, per non perdere i caratteri della nostra cultura identitaria e nazionale, posto che oggi è venuta a maturazione la consapevolezza che anche in Italia ormai si parla apertamente di Stato plurinazionale e plurietnico, in quanto ha trovato accoglimento un concetto già contemplato nel Diritto internazionale, che prevede come uno Stato possa essere composto da più nazioni, e che una nazione possa convivere in più stati, senza nessuna rottura della sovranità degli stessi. In questa moderna concezione, che di fatto supera quella ottocentesca obsoleta e rigida dello stato-nazione, dobbiamo collocare le nostre aspirazioni all'autodeterminazione del Popolo sardo, per ottenere una sovranità pari a quella dello Stato, nel rispetto dello spirito unitario della Costituzione, che conferisca ai Sardi il pieno governo dell'Isola. Una domanda nasce spontanea, e il collega Planetta, che mi ha preceduto nell'intervento, diceva e asseriva: "Ma la Sardegna basta a se stessa?", con lo Statuto vigente i dubbi e le perplessità renderebbero negativa l'asserzione, ma con un nuovo Statuto di specialità essa si rovescia, da negatività si trasforma in positività, se verrà affermato il diritto dei Sardi all'autogoverno, verrà riconosciuta e compensata la nostra particolare condizione geografica, trasformando l'insularità da dato negativo in fattore vincente, verrà realizzato il federalismo interno secondo i principi di sussidiarietà, coesione sociale e solidarietà, verrà incentivata la vocazione euro-mediterranea dell'Isola, e se otterremo finalmente un'effettiva continuità territoriale per tutti i trasporti, nei collegamenti con l'Italia e con l'Europa, così come recita la nostra mozione del gruppo del P.d.L., che convintamente ho sottoscritto, nella certezza che potrà esserci, e può esserci, per noi Sardi un futuro migliore, solo se lo vogliamo. Grazie.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Sanjust. Ne ha facoltà.
SANJUST (P.d.L.). Gentile Presidente del Consiglio, cortese e soprattutto paziente assessore Corona, colleghe e colleghi, lo Statuto di Autonomia speciale della Sardegna è stato conferito, come sappiamo, con legge costituzionale, il 26 febbraio del 1948, stabilisce i principi fondamentali sui quali è costituita la personalità giuridica della Sardegna, il suo territorio, le funzioni dell'ente Regione, le finanze, il patrimonio, regole e rapporti della Regione con la Repubblica italiana e gli enti locali presenti nel territorio, e si può dire senza paura di essere smentiti che dopo sessant'anni mostra tutti i segni del tempo. Quando si parla di riscrivere lo Statuto di autonomia speciale s'intende attivare pertanto una procedura prevista per la modifica delle leggi costituzionali. A tal proposito l'articolo 54 del nostro Statuto prevede che i progetti di modifica siano ad iniziativa del Governo e del Parlamento della Repubblica, in questo caso il Consiglio regionale è chiamato ad esprimersi in merito entro due mesi dalla ricezione della proposta, altrimenti l'iniziativa di modifica dello Statuto regionale può essere esercitata dal Consiglio regionale stesso, o da almeno 20 mila elettori sardi, sottoscrittori di una proposta di legge d'iniziativa popolare. Nella scorsa legislatura grande è stata la polemica quando la allora maggioranza ha voluto adottare una legge statutaria, senza prima aver modificato lo Statuto di autonomia speciale. La Statutaria, che trova origine nella previsione contenuta nell'articolo 15 dello Statuto regionale, infatti è una legge rinforzata, che regola cioè i rapporti interni, l'organizzazione della Regione, la forma di governo e la legge elettorale per l'elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale. In sintesi possiamo dire che la legge statutaria detta le regole interne di organizzazione della Regione sulla base dei principi contenuti nello Statuto regionale, per questo la polemica era dettata dal fatto che si erano volute dettare nuove norme di organizzazione interna della Regione, sulla base d'uno Statuto obsolescente, e in più parti superato. E' come, cari colleghi, se si fosse voluta costruire una casa partendo dal tetto, anziché dalle fondamenta. La Statutaria è stata definitivamente, come tutti sappiamo, bocciata dai giudici costituzionali poco dopo l'inizio di questa legislatura, ma il suo percorso è sempre stato in salita, dall'approvazione da parte del Consiglio regionale il 7 marzo 2007, con una votazione - vi ricordo - inferiore ai due terzi dei consiglieri assegnati. Per questo è nata l'iniziativa, il 13 giugno 2007, di 19 consiglieri regionali, che hanno imposto il referendum svoltosi il 21 ottobre di quello stesso anno. Una chiamata elettorale che non raggiunse il quorum richiesto, ma che nonostante tutto il 10 luglio dell'anno dopo, cioè del 2008, vide la promulgazione della Statutaria da parte dell'allora Presidente della Regione.
Credo che questa legislatura debba essere decisiva per le riforme istituzionali, senza però fare gli errori grossolani fatti da chi governava nel precedente mandato. Infatti, l'errore più grave è stato quello di imporre una indisponibilità assoluta a trovare una larga intesa con tutte le forze politiche. Dalle ceneri dei non risultati ottenuti in passato noi, oggi, chiamati a governare la Sardegna, dobbiamo ricercare l'intesa più ampia per riscrivere la Carta fondamentale del nostro Popolo. Contemporaneamente al cammino tortuoso imposto alla Statutaria regionale nella passata legislatura, lodevole è stata invece la costituzione di un Comitato, denominato "Firma per la tua Sardegna", che aveva coinvolto nel lavoro di studio e ricerca insigni personalità del mondo accademico e culturale della Sardegna, e il Presidente emerito della Repubblica, il recentemente compianto senatore a vita, Francesco Cossiga. Questo Comitato aveva come finalità quella di definire il testo di un progetto di legge di iniziativa popolare, in virtù dell'articolo 54 dello Statuto speciale, questo stava procedendo attraverso l'attività di consultazione e promozione in tutto il territorio dell'Isola, e fra i sardi non residenti, di tutte le tematiche inerenti la proposizione di un nuovo Statuto di autonomia speciale, da sottoporre alla raccolta di firme dei cittadini sardi. Spero che il lavoro di queste persone non si sia fermato, ma che invece possa essere da stimolo e possa essere propositivo per il compito di noi legislatori. Per quanto detto, e per quella che è stata la nostra battaglia nella legislatura precedente, ritengo che per la riforma statutaria occorra innanzitutto proporre una metodologia che veda innanzitutto il coinvolgimento di tutti gli schieramenti politici, delle parti sociali, degli enti locali, e di tutti i sardi, cosicché il nuovo volto della Regione debba essere delineato con il concorso di tutti, a prescindere dai rapporti di forza espressi in un Consiglio regionale, che risulta composto sulla base di una legge elettorale che attribuisce un vistoso premio alla coalizione vincente, al solo fine però di assicurare la stabilità di governo, non certo per modificare le norme fondamentali del nostro ordinamento regionale. Il coinvolgimento e il confronto con tutte le forze politiche sociali ufficialmente coinvolte nel procedimento di elaborazione del nuovo Statuto arricchirà il dibattito di parti importantissime della vasta materia da riformare. E per la preoccupazione di un coinvolgimento globale di tutte le realtà isolane, nel 2001 era nata la scelta dell'Assemblea costituente, che però aveva un grande limite di fondo, che oggi ha anche citato l'onorevole Vargiu, vale a dire la impraticabilità del percorso parlamentare, e soprattutto la tempistica, dato che la riforma dello Statuto speciale, con tutti i complessi passaggi, implica la difficoltà di far coincidere i tempi della politica con i tempi istituzionali. E il dibattito sul nuovo Statuto di Autonomia speciale della Sardegna purtroppo stenta a prendere corpo, nonostante in tanti ritengano che si debba mettere il Parlamento nella condizione di approvare la Carta fondamentale del Popolo sardo entro l'attuale legislatura, e comunque che questo avvenga prima dell'emanazione dei decreti delegati e delle norme di attuazione del federalismo fiscale, sulla base delle proposte e delle indicazioni provenienti da questa autorevole Assemblea, così come si legge nella mozione che vede come primo firmatario l'ex Presidente della Regione, l'onorevole Mario Floris. Per questo, riprendere in mano oggi il problema della riforma dello Statuto costringe tutti noi a ripartire da un'esigenza elementare, che allo stesso tempo è seria ed impegnativa: come costruire una proposta che sia presentabile al Parlamento, con qualche speranza di accoglimento, e quindi forte nella rappresentatività rispetto a tutte le forze politiche e sociali, senza che ciò costituisca un merito di una sola parte politica, che ovviamente coinciderebbe con chi detiene la maggioranza in Consiglio regionale? Credo fermamente in questo, e ritengo di non essere il solo, a sostenere che la qualità e la statura di un sistema politico, e lo stesso confronto politico, si esprima innanzitutto nella capacità di usare al meglio i poteri che la Costituzione mette a disposizione. La politica sarda, e non solo quella purtroppo, è attraversata da un confronto tra i due schieramenti che si esprime in modo molto aspro, atteggiamento assorto in coincidenza con l'affermarsi della forma di governo presidenziale. Nella dialettica politica attuale, inoltre, vi è un luogo dell'elaborazione e dell'azione in cui il mondo politico ha difficoltà a cimentarsi e confrontarsi, cioè quando si comincia a parlare di modifiche di sistema e di riforme istituzionali, e questo accade anche nella nostra Sardegna.
Vorremmo sia imminente la modifica dell'assetto costituzionale della nostra autonomia regionale perché sappiamo che è necessaria proprio in considerazione del fatto che lo Statuto speciale della Sardegna è stato formulato all'inizio dell'esperienza repubblicana, e non da oggi però ci siamo accorti che esso contiene caratteristiche certamente ridotte rispetto ad altre Regioni speciali, anche se allora nel panorama istituzionale erano originali ed innovative. Vent'anni prima rispetto alle Regioni ordinarie alla Sardegna infatti vennero attribuite prerogative legislative e amministrative, un sistema di trasferimenti che inizialmente era vantaggioso, ma soprattutto il riconoscimento di un flusso specifico di risorse straordinarie aggiuntive rispetto agli interventi ordinari dello Stato su tutto il territorio italiano e anche su quello del resto del meridione. Questa diversificata capacità legislativa e amministrativa di cui ha goduto la nostra Regione rispetto alle altre è stata prima raggiunta e poi superata dai sistemi regionali delle aree più forti del nostro Paese. Sicuramente non abbiamo ancora indagato bene sui motivi per cui è caduta, o almeno si è affievolita, la cultura autonomistica dei sardi - purtroppo in tanti, da tempo, si domandano con sempre più insistenza se abbia ancora senso conservare la specialità dell'istituzione regionale -, diversamente, altre realtà territoriali, soprattutto quelle più forti del Nord, rivendicano nei confronti dello Stato il riconoscimento di nuove forme di autonomia, chiedono maggiori spazi decisionali, legislativi e gestionali, per essere più determinati nelle dinamiche del proprio sviluppo. Ancora, per le Regioni del Nord, l'attribuzione di poteri aggiuntivi nella realizzazione e gestione di infrastrutture e servizi pubblici essenziali è da tempo considerata come l'avvio di una nuova fase legislativa in materia fiscale, nell'ottica attuativa dell'articolo 119 della Costituzione sull'autonomia tributaria delle Regioni, e noi invece da tempo siamo fermi a guardare. E ora, con la legge delega numero 42 dello scorso anno, la Sardegna è chiamata ad adeguare lo Statuto regionale entro ventiquattro mesi dalla sua entrata in vigore, ed è qui che dovremmo aprire un confronto serio per evitare, come detto, che la nuova Carta della Sardegna sia espressione di una sola parte politica o, come è accaduto di recente, una imposizione al Consiglio regionale da parte del Governo regionale.
Come abbiamo evidenziato nella mozione sottoscritta da tutto il Gruppo del P.d.L. - mozione che pone il diritto a esistere come Nazione sarda -, il nuovo Statuto dovrà, previo il riconoscimento del diritto al proprio autogoverno, essere rispettoso delle aspirazioni storiche, politiche e culturali della Sardegna, dovrà partire dall'affermazione che i diritti dei sardi, quindi la nostra specialità di rango costituzionale, deve sempre costituire la precondizione - cito testualmente - "per un adeguato riconoscimento all'interno dell'ordinamento della Repubblica e della normativa dell'Unione europea", e in questo non appare superfluo puntualizzare la costituzionalizzazione della lingua sarda e degli svantaggi che derivano dalla nostra condizione territoriale e geografica che prevedono adeguate misure di compensazione per realizzare la zona franca, per la continuità territoriale di persone e di merci, l'approvvigionamento di energia elettrica e dei carburanti a coprire il gap infrastrutturale che è uno dei mali endemici che penalizzano la nostra economia. Tutto questo si deve mettere a difesa delle nostre peculiarità e della nostra identità plurimillenaria: senza il riconoscimento della nostra identità non saremo capaci di un cambiamento per la nostra terra e per il nostro popolo.
Noi tutti vogliamo un cambiamento, un vero cambio di passo, la nostra autonomia azzoppata merita di essere posta in condizione di correre e di misurarsi con la concorrenza internazionale. Un grande progetto politico dipende dalla forza, dal coraggio e dalla intelligenza degli uomini. Pur con grandi limiti, la Sardegna in passato è cresciuta grazie alla cultura di libertà vissuta in quella sana coesistenza di cattolici, laici e socialisti non ideologici che hanno garantito, nella Regione come nel Paese, spazi di reale democrazia e di libertà; volere oggi ripartire per affermare un progetto politico di libertà è forse velleitario se non si riparte dalla radice stessa della libertà, e quindi dalla radice di un'identità sarda che è cultura, e lo è sempre stata, di libertà. Credo che siano questi i concetti che saremo chiamati a difendere nel preambolo del nuovo Statuto per la Sardegna.
Chiarito ciò, la riforma in senso federale, le rivendicazioni, le nostre spettanze, la nostra autodeterminazione dovranno essere posti a cardine del rapporto nuovo con lo Stato italiano, ben convinti che lo Stato italiano non regalerà mai nulla a un popolo che si dovesse vergognare della propria storia, della propria lingua, della propria insularità; così come il mondo emergente non regalerà mai nulla ad un Occidente infiacchito nella dimenticanza delle proprie radici e della propria coscienza.
Se la questione sarda è questione di identità e di libertà potremmo aggiungere che la questione sarda è questione di autonomia e di responsabilità, perciò un grande movimento costituente deve impostare una riforma epocale destinata a durare nei prossimi decenni, in questo senso non servono, e anzi sono controproducenti, battaglie nominalistiche: non dobbiamo dividerci sulle parole, indipendenza in primis, ma possiamo e dobbiamo approfondire i contenuti concreti del nuovo ordinamento regionale, senza pericolose fughe in avanti, magari frutto di velleità, e senza la difesa dell'esistente.
E' tempo di dimostrare, dopo tanti tentativi abortiti, che siamo una classe politica degna delle sfide del nostro tempo e fedele al mandato popolare che ci impegna e ci obbliga a segnare un nuovo cammino di responsabilità.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Ben Amara. Ne ha facoltà.
BEN AMARA (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Grazie, Presidente. Chiunque conosca anche solo un po' il funzionamento della cultura sa che il fatto di definire una cultura, di dire ciò che essa rappresenta agli occhi dei suoi membri, dà sempre luogo ad un largo e democratico scambio di colpi, anche nelle società che democratiche non sono. Occorre dunque selezionare autorità canoniche, sottometterle regolarmente a una critica, farle dibattere, disegnarle di nuovo o congedarle; occorre precisare, discutere e discutere di nuovo sull'idea del bene e del male, sull'appartenenza e sulla non appartenenza, su ciò che è uguale e differente e poi la gerarchia dei valori, ed essere d'accordo o non d'accordo su queste questioni, secondo i casi.
Il tema dell'identità, dell'autonomia, della ricerca delle radici, del nuovo bisogno di appartenenza sembrano apparire quasi come la cifra distintiva dell'era della globalizzazione economica; potrebbe sembrare un facile paradosso eppure è di questo segno la riflessione che meglio interpreta le contraddizioni di un mondo che celebra l'apertura dei mercati planetari, i crolli di muri e frontiere, l'estinzione dell'antico ruolo degli Stati-Nazione.
Al linguaggio neoidentitario - che usiamo ogni giorno perché ormai sono slogan - continua a mancare un adeguato vocabolario che sappia definire i rapporti tra i micronazionalismi e il sistema economico mondiale, tra il dato comunitario e quello della complessità e delle differenze che emergono in società sempre più interconnesse le une con le altre.
Oggi anche il linguaggio politico è abusato, un esempio: che significa la parola "nazionalitario"? Quali associazioni ci sono dentro? Nazionalità, nazionalismo, nazione? Capisco parole come comunitario, identitario, cosmopolita, multiculturale, ma mi sfugge il vero significato di "nazionalitario" che mi fa pensare ad una forma di leghismo non dichiarato, forse una sublimazione, un nascondino linguistico per non dire "nazionalismo". Tutto questo non significa che non bisogna avere un'identità, sappiamo bene per esempio che qualsiasi persona strappata, volontariamente o meno, alla propria cultura paga un alto prezzo. Ecco perché è così importante possedere un'identità propria e definita insieme alla ferma convinzione della forza, del valore e della maturità di tali identità. Solo così l'uomo può affrontare serenamente un'altra cultura, in caso contrario avrà la tendenza a chiudersi nella sua tana a isolarsi pauroso del mondo che lo circonda. Mentre l'altro non è che il riflesso della sua propria immagine, come egli stesso lo è per l'altro, un riflesso che lo smaschera, lo mette a nudo, cose che in generale si preferisce evitare.
Io direi che l'origine di un uomo non è genealogica, è la ricerca dei pezzi di straniero che fanno la sua identità. Chi trova dolce la sua patria è un tenero dilettante solo e perfetto che si sente straniero in ogni luogo, non bisogna mai dimenticare che il metizzaggio ha sempre ricreato la diversità pur favorendo l'intercomunicazione; la creazione artistica per esempio si nutre di influenza e di confluenza, così una tradizione che oggi sembra la più anticamente originale, ricordiamoci dei Rom, come il flamenco e come il popolo andaluso stesso, è il prodotto di infiltrazioni arabe, giudee, spagnole trasmutata nel e dal genio sofferto del popolo gitano. Possiamo comprendere e vedere nel flamenco la fecondità e il rischio del duplice imperativo: preservare l'origine e aprirsi a ciò che è estraneo. Così il flamenco è un esempio di ritorno alle origini e insieme di metizzaggio due processi apparentemente antagonisti e nei fatti complementari.
Prendo il jazz, il jazz fu all'inizio un ibrido afro americano prodotto singolare di New Orleans che si diffuse negli Stati Uniti conoscendo numerose mutazioni senza che i nuovi stili facessero scomparire quelli precedenti. Esso è diventato una musica negro - bianca ascoltata, ballata e poi suonata dai bianchi e in tutte le sue forme si diffuse nel mondo mentre il vecchio stile New Orleans apparentemente abbandonata la sua origine rinasceva nelle cantine di Saint-Germain-des-Prés a Parigi, tornava negli Stati Uniti e si insediava nuovamente a New Orleans. Poi dopo l'incontro del ritmo del rhythm and blues, è nella sfera bianca che il rock compare negli Stati Uniti per diffondersi nel mondo intero, esprimersi in tutte le lingue prendendo ogni volta un'identità nazionale. Così talvolta per il peggio ma spesso anche per il meglio, le culture del mondo intero si fecondano a vicenda senza tuttavia saper ancora che mettono al mondo figli planetari.
Quanto alla omogeneizzazione essa sicuramente deriva dalla McDonaldizzazione generalizzata ma non da incontri di contaminazione. Ogni contaminazione crea diversità. Guardate per esempio le belle ragazze euro-asiatiche e brasiliane. Così bisogna lasciare andare negli uomini la cultura verso il metizzaggio generalizzato e diversificato, a sua volta diversificante, così le culture singolari resistono e si difendono. Ma precisiamo qui che una cultura ricca è una cultura che salvaguarda e integra, è una cultura aperta e chiusa contrariamente all'idea che ogni cultura porta con sé una completezza. Si può forse dire che ogni cultura ha qualcosa di disfunzionale, difetto di funzionalità, di misfunzionale che funziona in senso negativo, di sub funzionale che ha un funzionamento a livello minimo e di toxi funzionale che crea un danno al suo funzionamento.
Le culture sono imperfette in sé come noii stessi siamo imperfetti. Tutte le culture come la nostra costituiscono mescolanza di superstizione, finzione, fissazione, saperi accumulati non criticati, errori grossolani, verità profonde ma poiché questa mescolanza non è discernibile a primo acchito occorre essere attenti a non bollare come superstizioni saperi millenari. Da qui deriva il paradosso che sarà quello del nostro secolo: occorre perseverare e aprire le culture, questo del resto non ha nulla di innovativo alle fonti di tutte le culture ivi comprese quelle che sembrano più singolari c'è incontro, associazione, sincretismo mescolanza.
Tutte le culture hanno una possibilità di assimilare in loro stesso ciò che all'inizio è loro estraneo almeno fino ad una certa soglia variabile secondo la loro vitalità e al di là della quale essi si fanno assimilare o disintegrare. Dobbiamo dunque al tempo stesso difendere le singolarità culturali e promuovere le ibridazioni e i metizzaggi, abbiamo bisogno di congiurare la salvaguardia dell'identità e la diffusione di un'identità meticcia e cosmopolita che tende a distruggere quest'identità. Come integrare senza disintegrare, il problema si pone in modo drammatico per le culture arcaiche. Bisognerebbe mettere in condizione di trarre profitto dai vantaggi della nostra civiltà, salute, tecniche, comfort ma sapendo aiutare conservare i segreti della loro medicina per esempio, del loro sciamanismo, della loro abilità nella caccia, delle loro conoscenza della natura eccetera.
Crediamo anche che a dispetto delle loro avanzata fulminé i processi di standardizzazione e gli imperativi del profitti saranno controbilanciati dai processi di diversificazione e dai bisogni di individualizzazione. Si tratterebbe di andare verso una società universale fondata sul genio delle diversità e non sulla mancanza di generi dell'omogeneità cosa che ci porta ad un duplice imperativo che porta in sé la propria contraddizione ma che non può fecondarsi se non nella contraddizione. Ovunque dunque preservare ed estendere, coltivare, sviluppare l'unità planetaria. Noi possiamo e dobbiamo comunicare gli uni con gli altri nella stessa identità terrestre, aggiungo che anche nella sua forma più ambiziosa, espansiva la prospettiva universalistica nel momento in cui costruisce la propria identità e incontra prima e poi il nodo della differenza al proprio che una identità dell'uomo che cerca la propria legittima realizzazione si pone l'alieno di un'esistenza estraniata.
Certo definire un popolo non è affare da poco, tutto volge sull'esiguità, l'allontanamento e la vicinanza, l'identità culturale appare relativa e mutevole, oggettiva e largamente soggettiva al punto che sarebbe meglio forse parlare di sentimento dell'identità culturale più che di identità culturale in sé e per sé.
Essere sardi per esempio diventa quindi un modo di cogliere se stessi, di definirsi in rapporto ad una tradizione, una situazione culturale senza scordarsi che questa relazione con se stessi con i dati culturali cambia ad ogni occasione. Un sardo non pensa né si comporta alla stessa maniera di suo nonno, o meglio il sentimento di appartenenza può variare in uno stesso individuo nel corso della sua breve vita, che può allontanarsi o avvicinarsi alla sua comunità. Le crisi dimostrano. C'è qualcosa di paradossale in ogni identità culturale, essa è affermata, rivendicata come perno della personalità collettiva e di ogni personalità e, tuttavia, è fluida e suscettibile di profonde trasformazioni. Il nodo di questo paradosso consiste forse in questo e il cambiamento fa paura e si cerca disperatamente di negarlo fino a che non si è integrato nel quotidiano. Ciò non significa che (…) o ingannevole, dato che non si tratta qui unicamente di biologia o di storia concreta, ma piuttosto e più precisamente di cultura, in altre parole di ciò in cui si crede, sia l'identità della propria coscienza e della propria memoria fossero parzialmente ingannevoli. In definitiva, il fatto più importante dell'identità culturale non è la sua realtà, è la sua efficacia, una ricostruzione che parte da elementi reali e immaginari, con un (…) che ha evidenti finalità, una macchina di sopravvivenza che utilizza il passato e il futuro per confrontare il presente (…) sulle quali costruire non mancano in Sardegna, ma al giorno d'oggi è banale confondere la volontà di esprimersi con l'artificio di esibirsi; ci si abbandona a un rilancio in cui tutto ciò che si proclama è autorizzato a non significare nulla, l'apologia del genio corteggia l'adulazione dell'imbecille, l'ignoranza è bramata dal sapere e l'incredulità non è meno feticista della convinzione; quando le identità cedono a un vasto inganno dove essi si abbandonano alla consuetudine dello spontaneo appagamento gli spiriti divengono più (…) le idee più stupide, le opinioni (…) i sentimenti più grossolani, si dovrà constatare, anche nel caso della Sardegna, soprattutto presso alcuni nazionalisti non confessati che si nascondono dietro parole vuote, che la cultura non è più degna di appartenere all'ordine superiore delle acquisizioni, ma che sta ruzzolando verso il disordine rudimentale (…) Siamo debitori forse di una storiografia troppo edificante, che ha trasformato l'esperienza moderna in riferimento ideale e assoluto per qualsiasi progetto storico. Bisogna creare un territorio di transizione a partire dal quale pensare, decidere, progettare un'altra cultura, fare delle scelte tattiche, guardarsi dai pensieri illusori, tranquillizzanti e consolatori. Io, personalmente, non ho nessuna identità, ma una serie di identità multiple, l'identità per me è data solo dalla nascita, in fondo l'identità è sempre modellata da colui che la porta; io sono multiplo in me, il mio di fuori si rinnova sempre, appartengo alla domanda della vittima, sono quel che sono, sono soprattutto il mio altro in un dualismo armonioso tra (…) . Dire che io sono quattro, o forse cinque (…) il bello culturale è sempre stato per me saper accostarsi all'adeguato, e il buonismo culturale è sinonimo di xenofobia e negazione dell'altro, non bisogna mai confondere il multiculturalismo col separatismo, anche quello non confessato o dichiarato, il separatismo non è un contributo alla libertà multiculturale, ma proprio il suo opposto. Poi c'è un altro paradosso, quello del nazionalismo o, come viene chiamato da alcuni, nazionalitarismo; è un aspetto che già il medico psichiatra e scrittore Frantz Fanon aveva messo in luce parlando di trappola della coscienza nazionale. Occorre insomma superare il paradosso scritto nel nazionalismo indipendentista, trasformando nazionalismo in coscienza sociale che supera ogni sorta di separatismo autoreferenziale, muovendo verso quel concetto di elaborazione gramsciana in una elaborata e compiuta coscienza di sé che non sostituisce (…) di autorità e dogmi con un altro, un centro con un altro. L'autonomia non significa strategia della passività, non è un dormitorio per il re e i consiglieri dell'isola assieme al nuovo Cristo, l'autonomia ha la sua grammatica, basta rispettarla e lottare per concretizzarla. L'autonomia è l'unico strumento che abbiamo. Vedo che il tempo sta terminando, non vorrei tagliare il concetto e mi fermo qui.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pitea. Ne ha facoltà.
PITEA (P.d.L.). Grazie, Presidente, signori Assessori e signori consiglieri. Quello di questi giorni appare come l'impegno più importante, e per certi versi storico, di questo scorcio di legislatura, che con franchezza, per una serie complessa di motivi e cause, è apparso condizionato da una crisi più grave del previsto, da difficoltà obiettive, da inaspettate contraddizioni e contrapposizioni ora aggravate dal perdurare di imbarazzi anche decisionali nel ridisegnare nuovi equilibri interni alla maggioranza. Oggi l'argomento delle riforme sembra imporsi autorevolmente su tutto e tutti, anche se, a ben ricordare, in ogni legislatura della storia autonomistica sarda, puntualmente analoghe discussioni sono state proposte e presentate con ambiziosi propositi, ma con scarsi risultati. Forse devo anche una precisazione, perché il dibattito di questi giorni si muove anche vincolato a posizioni individuali che fanno riferimento alle speranze di ognuno di noi, all'idealismo, anche a certe utopie, al contrario … c'è e fa riferimento un realismo programmatico-riformista, che fa riferimento principalmente all'esigenza di dare concretezza e possibilità alle decisioni che saranno assunte. Io mi identifico in questa seconda posizione, per questo motivo, anche per evitare fraintendimenti su quello che dirò, mi identifico certamente nella proposta del P.d.L., anche se ritengo che debba essere integrata da una serie di altri arricchimenti che emergeranno nel dibattito di questi giorni. Bisogna innanzitutto dare atto alla mozione del Partito Sardo d'Azione di aver dato avvio all'iniziativa, che segna l'inizio di un processo di riforma che, almeno questa volta, non potrà non produrre risultati, tranne che non si voglia veramente accentuare il distacco e la disaffezione verso la politica da parte di ampi spazi dell'opinione pubblica dell'Isola, attraverso messaggi che già mi sembra ci siano pervenuti. Un merito che discende certamente dall'aver scelto soluzioni forti, forse non nuove nello scenario politico sardo, ma intrise di un ribellismo credo solo provocatorio, ma proprio per questo più vincolante per l'intero Consiglio regionale. In tal modo non si potrà più sfuggire nel ricercare soluzioni, infatti, a ridosso della mozione con primo firmatario l'onorevole Maninchedda, si sono susseguite tantissime iniziative che, al di là delle distinzioni procedurali, credo abbiano completato il quadro di riferimento per l'individuazione di un corretto avvio delle riforme. Vedo certamente all'interno di questa Assemblea un diffuso sentimento ed auspicio di rivalutazione dell'autonomismo, che solo ai margini di un accesa dialettica sconfina nelle scelte separatiste e indipendentiste, con sottili differenze, peraltro prospettate recentemente in un articolo su L'Unione Sarda dall'onorevole Zuncheddu, sentimenti questi che scaturiscono dalle delusioni e dalle speranze riposte proprio in quel vecchio concetto di autonomismo che non ha prodotto risultati significativi, anche perché compresso in quella generale condivisione da parte di tutti i partiti nazionali che lo hanno svuotato di contenuto. Ricorderete che all'epoca ci fu qualcuno che parlò anche di strumentalizzazione di questa scelta, proprio per arginare l'avanzata forza elettorale di un partito. Ma nel contesto temo anche che la concentrazione metropolitana e lo svuotamento delle campagne abbiano prodotto nei giovani una certa disaffezione al problema. Consentitemi di aggiungere: io vivo in questa terra da oltre quarant'anni, quarant'anni della mia vita produttiva. I miei figli sono decisamente sardi. Consentitemi, quindi, di aggiungere che non mi sembra di avvertire una grande cultura dell'autonomia. Non vedo grande passione all'esterno. I bambini crescono senza sapere cosa è lo Statuto, come nasce, cos'è l'autonomia e la specialità, per non parlare degli adulti e degli adolescenti. Ma senza scadere in critiche dietrologiche, mi chiedo se la mancata attuazione dell'autonomia possa essere addebitata esclusivamente allo Stato italiano o non si debbano, invece, riconoscere le proprie responsabilità e omissioni.
In termini altrettanto provocatori e idealistici confesso - e chi ha buona memoria ne comprende le ragioni - una certa simpatia per l'opzione indipendentista. Mi affascina, per esempio, l'idea di vedere la vicina Corsica avviare un percorso identico a quello che oggi ci proponiamo di concretizzare, magari per intraprendere un comune cammino nel rispetto delle regole costituzionali e democratiche, senza spinte eversive che spesso si annidano nei progetti estremistici e culturalmente rivoluzionari. E incide, nell'alimentare queste simpatie, il convincimento che il riscatto di ogni popolo è possibile solo con il fare, con l'assumere decisioni senza rinviare e senza tergiversare. Va bene analizzare con senso di responsabilità i mali della nostra terra, come mi sembra abbiano affermato le mozioni firmate dall'onorevole Floris e dall'onorevole Bruno, specie quando denunciano, e leggo testualmente, "il cronico ritardo accumulato negli anni nell'affrontare i processi di riforma delle istituzioni e nell'assumere le necessarie decisioni, in primo luogo quelle relative allo Statuto di autonomia, con il conseguente ammodernamento della pubblica amministrazione locale e regionale alle mutate esigenze della società civile". Ma non bisogna ridurre la riforma statutaria alla mera e sola enunciazione di principi, pur importanti che essi siano. Io ho sentito più volte in quest'Aula riecheggiare una serie di concetti e credo, senza presunzione, che forse dovremmo chiarirci su alcuni punti, proprio per distinguere tra concetti che hanno valore politico e concetti che hanno, invece, valore giuridico. Sovranità: sovranità significa non avere altri poteri sopra il proprio, significa pienezza e indipendenza del proprio potere statuale. Autonomia è, invece, la capacità di decidere e agire liberamente, ma anche capacità di governarsi e amministrarsi con un proprio statuto, con propri organi, con proprie norme, con leggi, ordinanze, facoltà questa concessa dallo Stato. Indipendenza vuol dire non essere soggetti alla sovranità di altri Stati, essere liberi da ogni vincolo. Appare l'indipendenza quasi un'accentuazione del concetto di autonomia a cui si sovrappone nell'esercizio delle funzioni proprie la non soggezione ad altra autorità.
Cos'è che si vuole perseguire? Credo che questo sia un punto fondamentale del nostro dibattito. Se si deve predisporre un progetto originale, in linea con la Costituzione italiana, e credo che la giurisprudenza costituzionale non ci consenta evasioni, e in linea anche con il diritto comunitario internazionale, bisogna perseguire l'obiettivo del superamento della crisi della specialità. Per anni la Sardegna ha trovato la ragione giustificatrice della propria specialità in condizioni oggettive quali l'insularità, la povertà economica, le condizioni ambientali e paesaggistiche, oltre che in motivazioni storiche, identitarie e culturali. L'ultimo decennio, invece, o poco più ha segnato un mutamento della realtà. Sono emerse nuove problematiche legate ai servizi - mi pare che proprio stamane l'onorevole Vargiu ne abbia diffusamente parlato -, problematiche legate al settore del terziario, ai beni ambientali e culturali, alla tutela del paesaggio, a un'ormai consolidata avversione alla grande industria, quella inquinante, che ha lasciato alle spalle dispendio di ingenti risorse finanziarie, inquinamento, cassa integrazione e disoccupazione. Il percorso che dobbiamo seguire. Mi sembra che è la stessa Costituzione che ha aperto la strada a un ripensamento e aggiornamento di questa specialità tramite la modifica del Titolo V. Ma dobbiamo ricordare a noi stessi che quella modifica è datata al 2001? Cosa si è fatto, a parte mere enunciazioni di intenti, per contribuire alla sua attuazione? Si è mai pensato che per riformare l'autonomia della Sardegna sarebbe stato indispensabile ridisegnare i rapporti tra regione ed enti locali, proprio per eliminare quel centralismo regionale che non è meno incalzante di quello statale? Vorrei ricordare, per esempio, l'inattuazione della legge regionale numero 9 del 2006 sul conferimento delle funzioni e compiti degli enti locali. Con molto realismo credo che bisogna puntare a un progetto riformatore della nozione di autonomia per far prevalere garanzie e difese della particolare posizione regionale, per far prevalere opportunità e potenzialità di crescita, dialogo con enti locali, altre regioni, Stato e Unione europea, interdipendenza, sussidiarietà, coordinamento, coesione e partecipazione. L'autorevolezza di quest'Assemblea dipenderà dal coinvolgimento delle diverse posizioni politiche, sociali, culturali e dell'intera società sarda, autorevolezza che potrà affermare una nuova specialità solo se avrà il sostegno di una matura e diffusa coscienza autonomistica con un progetto realistico, elastico, aperto alle reali esigenze ma soprattutto sviluppato con l'interazione, il dialogo e il contributo delle comunità infraregionali, delle realtà economiche, sociali e culturali. Non sarà un percorso facile né rapido. Questa volta sarà opportuno fare sul serio anche perché credo sia in gioco il futuro delle nuove generazioni che, ci piaccia o meno, non stanno vivendo un periodo di serenità e benessere per colpe che non sono proprie ma, se ci si sofferma su un'autocritica riflessione, per colpe facilmente individuabili.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Agus. Ne ha facoltà.
AGUS (P.D.). Presidente, onorevole colleghi, colleghe, Assessori, la materia è stimolante e sicuramente impegnativa, anche se mi sembra la stiamo affrontando con una flemma che non si addice, è anche difficile, tenuto conto che questi argomenti ci vengono proposti così, senza una sensibilizzazione della comunità sarda e, qualcuno l'ha detto, nelle scuole non si studia lo Statuto regionale, non si studia l'autonomia, non si studia la storia della Sardegna, eppure la Sardegna ha avuto diverse occasioni storiche per rendersi autonoma. Io mi rifaccio solo al ricordo del Trecento quando, grazie al Giudicato di Arborea, sul finire, appunto, del Trecento, la Sardegna tentò l'unificazione con le armi, però ci fu quasi riuscita. Purtroppo gli eventi storici poi, peraltro esterni alla Sardegna, ci affidarono alle mani della Catalogna e non siamo riusciti ancora a trovare la forza della nostra autonomia per quanto l'abbiamo perseguita, l'abbiamo tentata e abbiamo in certi momenti anche spuntato delle opportunità dallo Stato italiano, non foss'altro l'ultima ridefinizione dell'articolo 8 dello Statuto che, almeno sulla carta, fino a questo momento, ci ha dato quelle risorse che ci consentono uno sviluppo organico, uno sviluppo endogeno che purtroppo per certi aspetti rimane zoppo per le questioni di questi giorni, di questi ultimi dibattiti che ci hanno portato a rivendicare questa norma legislativa che purtroppo lo Stato italiano non sembra, sino a questo momento, intenzionato ad attuare ampiamente. Quindi, oggi in quest'Aula mi pare si stia facendo, nonostante la flemmaticità (io lo considero comunque un tentativo) un grande sforzo, ossia quello di tentare il superamento di tutte le nostre divisioni, perlomeno mi auguro in questa specifica tornata di Consiglio. Un Consiglio regionale che cerca, pur con mille argomentazioni e differenziazioni, un punto comune che allontani definitivamente, mi auguro, il nostro popolo dalla storia dei vinti a causa della nostra atavica disunione, perlomeno lo spirito mi sembra tale pur nella differenziazione delle mozioni che sono sul tavolo. Comunque anch'io, rispetto ad altri mi sento fiducioso che da questo dibattito comunque qualcosa di buono nascerà, proprio pensando allo stimolo e alla volontà che manifesta di voler dare comunque una sterzata alla nostra indole flemmatica, alla nostra capacità di autodeterminazione, però l'incapacità di prendere con forza, come si suol dire, il toro per le corna.
Senza andare molto indietro, appunto, la nostra disunione nel tempo come ho detto è ormai consolidata, ma basta guardare ancora alle rivalità diffuse dei campanili per trovare la massima rappresentatività della nostra disunione, ma senza parlare di due storici e sempre attuali detti: "Pocos, locos y male unidos" oppure "Centu concas, centu berrittas", cioè la dice lunga il travaglio storico di quest'Isola per quanto riguarda appunto la sua capacità di individuare elementi di unitarietà e quindi di forza per combattere questa nostra atavica precarietà, consci dei nostri limiti ma forti della consapevolezza che ci rende necessario e urgente individuare al più presto la nostra via allo sviluppo, non commettendo più lo storico errore, richiamato peraltro a più riprese in quest'Aula, della fusione perfetta del novembre 1847. Tutti questi richiami storici fanno della discussione una discussione aulica, ma credo che dobbiamo essere concreti e cercare di determinare le cose che in questo momento possono trovare unitarietà e concretezza con un progetto di nuovo Statuto, un progetto di nuova autonomia.
In quest'ultimo periodo è stata da molti richiamata l'urgente necessità di ricontrattare con lo Stato italiano tutti quegli aspetti dell'imminente sistema federale che, mi pare, se non ci muoviamo rischia di nascere più in funzione della Padania che in funzione di uno Stato federale delle regioni che dovrebbe assurgere, come in quest'Aula mi pare in parte si accarezzi, di una Sardegna federata e indipendente. Indipendenza o non indipendenza, come i colleghi del Partito Sardo ci hanno richiamato, con le più ampie prerogative in buona parte richiamate dalle diverse mozioni presentate, quindi in un caleidoscopio di proposte che certamente non possono prescindere dal diritto del popolo sardo dell'autodeterminazione, della propria sovranità e della sua specificità. Argomenti fondamentali, importanti, che richiamano appunto la capacità e la possibilità di un documento forte che sottolinei e marchi questi aspetti da sempre richiamati.
La riforma del Titolo V della Costituzione ha ribadito il riconoscimento delle Regioni speciali, ma al di là del principio di pariteticità con lo Stato, le Regioni a Statuto speciale risultano nei fatti addirittura svantaggiate rispetto alle Regioni a Statuto ordinario. Quindi, credo che anche da questo aspetto può partire, può essere stimolante, può darci motivo perché il Consiglio nella sua completezza senta alto il senso istituzionale, ma una rivoluzione costituzionale, sorretta da un forte spirito riformatore, superi il Titolo III dello Statuto, con l'assunzione di nuove competenze, autonomia finanziaria e fiscale in particolare. Io credo che non dobbiamo aver paura di farci carico dei servizi, di tutti i servizi che abbisogna la nostra comunità perché di questo si tratta. Se è vero com'è vero che teniamo alla nostra autonomia, alla nostra autodeterminazione, credo che non si possa prescindere da questa forma di governo. Se è vero quanto l'onorevole Maninchedda peraltro afferma, che la capacità fiscale della Regione sia sufficiente per sostenere i costi dei servizi, pur a fronte della dislocazione degli stessi e della popolazione, ma comunque io credo che non andrebbe abbandonato e pertanto perseguito il meccanismo della compensazione per le funzioni fondamentali, non foss'altro perché in quest'Aula più volte è stata richiamata con forza l'autonomia, ma non l'isolamento o l'autosufficienza. Sono d'accordo con chi dice: "La Sardegna può essere il motore propulsivo dal quale partire per un'Italia federata", più di una volta la Sardegna è stata richiamata come laboratorio politico. Allora perché non andare orgogliosi anche di queste affermazioni e impegnarsi con urgenza per stabilire un percorso condiviso che a mio avviso dovrà essere dettato all'interno di quell'ordine del giorno auspicato e sono certo ricercato a sottolineare la solennità del tema in atto tanto caro all'Isola di Sardegna, ma anche utile e necessario per una nuova Costituzione italiana.
Questo spirito dovrà da subito ripercuotersi anche dentro il nostro Stato, ossia perseguire un federalismo interno che deleghi sempre più funzioni agli enti locali. Più volte abbiamo parlato di province, province e comuni, comuni che sono l'anello, a mio avviso, più debole della Costituzione, ma l'anello più rappresentativo e significativo di uno Stato. Senza i comuni, io credo, non esisterebbe lo Stato. I comuni sono quegli strumenti, quelle organizzazioni statuarie statali, visto che hanno adesso anche loro i loro statuti, più vicini alla gente. La gente prima di richiamare o di riferirsi alla Regione o allo Stato si rivolge al sindaco, si rivolge agli organismi locali, quindi l'importanza di non guardare un federalismo statale, ma dobbiamo nel nostro impegno verso lo Statuto regionale, guardare a rafforzare e a cedere potere ai comuni e alle province, non foss'altro perché ci sono province non statali, ma addirittura provincie regionali che, a mio avviso, andrebbero riempite di contenuti. Quindi, anche la Regione Sardegna dovrebbe cedere potere, come si suol dire, verso gli enti locali per superare la concezione centralistica e dirigistica di governo che ormai è risaputo esserci pienamente anche a livello regionale, peraltro qualche altro collega l'ha richiamato, quindi avere una Regione più snella, una Regione che svolga più le sue funzioni legislative, perché di questo si tratta, e meno quelle gestionali, quindi l'operatività, che andrebbe affidata agli enti locali. La nuova elaborazione statutaria dovrà contenere e rendere esplicita questa nuova centralità affidata, appunto, agli enti locali.
Questo alto momento di riflessione e di dibattito non deve soffermarsi solo nell'orizzonte locale o nazionale, ma ha l'obbligo di andare oltre, in particolare guardare a quel regionalismo europeo e internazionale nell'Europa comunitaria. Uno sguardo lungo che attinga anche dalla Costituzione e dai Trattati europei che già convergono nel tracciare una nuova visione del rapporto tra le istituzioni e tra queste e i cittadini, non più gerarchico e conflittuale, ma paritario e relazionale. In alcune mozioni ho condiviso in modo particolare il pensiero del presidente Floris quando sottolinea la condizione difficile in cui si trova la Sardegna ed una delle cause del sottosviluppo la ricerca, la ritrova anche nella mancanza di un nuovo organico progetto di sviluppo che valorizzi le risorse materiali e immateriali proprie della Sardegna e nel contempo inserisca l'isola nei nuovi percorsi dell'economia globale. Anche questo tema che abbiamo affrontato più volte anche se in maniera marginale della possibilità di una Sardegna diversa, una Sardegna che forse deve cominciare a pensare all'alternativa alla industrializzazione petrolchimica che appunto per i mercati internazionali che si aprono per questa industria è appetibile la dislocazione in altri ambiti quindi con la desertificazione regionale che ho paura costi parecchi posti di lavoro. Allora condivido nel dire che ci vuole un altro progetto per la Sardegna, sicuramente un progetto che parte dalle sue risorse locali, un progetto endogeno che si sviluppi come in tutti i Paesi industrializzati che sfruttano le risorse locali e le verticalizzano non come sinora è stato, anche nel nostro mondo minerario la Sardegna ha vuotato dalle viscere della terra, materia prima importante, questa materia prima è stata trasferita nel continente per le lavorazioni secondarie e terziarie. Chiaro è che la ricchezza non resta più nell'isola ma la ricchezza ripeto si sposta in altri ambiti nazionali. Quindi è un elemento che è fondamentale perché si riesca davvero a riprogrammare un progetto di sviluppo che più volte abbiamo detto, purtroppo non abbiamo un progetto di sviluppo. Questo è uno degli elementi che va considerato e forse va ripensato o va pensato appunto ex novo come si suol dire. Come quindi non si può condividere che le riforme sono strettamente connesse con i tre tipi di crescita civile e di sviluppo economico? Allora anche per una risposta ai cittadini sardi che non colgono quest'altro orizzonte e si è detto, qualcuno, l'onorevole Pitea lo ha accennato poco fa, non abbiamo una sensibilizzazione scolastica delle prerogative dell'isola di Sardegna, del suo Statuto, della sua ricchezza culturale, non esiste nella nostra Isola nonostante la nostra tra virgolette autonomia scolastica un processo formativo che faccia della comunità locale e quindi dei nostri ragazzi la base fondamentale perché questi argomenti, queste sensibilità possano essere diffuse. E sono convinto che faticheremo non poco a trasferire la nostra volontà appunto di innovazione statutaria, di innovazione federata con lo Stato italiano, avremmo difficoltà a mio avviso a trasferire queste nozioni proprio perché non abbiamo, la nostra comunità non è formata a queste argomentazioni. Allora, anche questo è un elemento su cui riflettere e su cui appunto pensare e programmare. Appunto quindi non colgono questo lungo orizzonte perché tesi a perseguire purtroppo l'affanno della vita che è appunto l'occupazione certa e duratura, una scuola per i propri figli, una sanità all'altezza dei bisogni, i trasporti e così via, cioè la nostra comunità vive il dramma del tempo, appunto del sottosviluppo e quindi non ha sicuramente l'attenzione e la cultura, diciamo non è predisposta perché per dirla in poche parole chi ha fame sicuramente non è dedito a studiarsi le pagine culturali della nostra storia, quindi ha necessità e quindi abbiamo la necessità tutti forse di operare perché questa sensibilizzazione comunque sia diffusa nell'opinione pubblica e venga coinvolta in questo processo riformatore che appunto tutti noi auspichiamo. Bisogna quindi che da questa Aula salga alta e con forza la volontà di osare, quella forza che ci consenta di governare i processi di sviluppo e non subirli come è stato tanto per ricordare il piano di rinascita o l'industrializzazione degli anni '60 e '70 con le partecipazioni statali. Le forme per cogliere questo indifferibile obiettivo possono seguire percorsi diversi, certo è che la funzione del massimo organo istituzionale della Sardegna deve risultare fondamentale, non può abdicare a forme pasticciate o pubblicitarie ma deve mantenere lo scettro del percorso e semmai chiamare a sé e coinvolgere tutte quelle forze sociali, culturali, imprenditoriali, intellettuali e così via, così come in altri momenti è avvenuto, non ultimo la commemorazione del 60º anniversario dello Statuto regionale sardo.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Lai. Ne ha facoltà.
LAI (P.d.L.). Assessori, colleghe e colleghi, nonostante gli statuti siano stati visti come la più importante opportunità di affermazione dell'autonomia e dell'identità delle regioni speciali, ci pare innegabile per le premesse di identità e diritti connaturati alla Sardegna la necessità di una vera e propria opera di radicale riforma della posizione della nostra autonomia speciale nel sistema repubblicano da attuare non tanto in termini di adeguamento quanto di radicale intervento di innovazione dello Statuto legge costituzionale. E' necessario perciò uno sforzo unitario, questo si evince dalla presentazione di tutte le mozioni per avviare un ampio e aperto dibattito che permetta la riscrittura di uno statuto che risulta ormai inadeguato per governare una realtà che negli ultimi decenni è profondamente cambiata in termini sociali, economici, politici, costituzionali. E sarebbe davvero triste constatare che le forze politiche isolane non riescano a elaborare una proposta di un nuovo Statuto sardo o quantomeno un progetto articolato e condiviso di modifica che sappia dare significato ed efficacia alle prerogative differenziate autonomistiche e che sia in grado di incidere sulla vita e sul progresso dei sardi. Ciò premesso sorge spontanea una riflessione, un po' la stessa che ha fatto l'onorevole Pitea: "L'autonomia è ancora un cemento unitario per la Sardegna?" Io credo di sì ma ritengo che ancor più lo sarà in futuro se noi rappresentanza politica sapremo riscrivere lo Statuto con lo stesso assetto mentale che contraddistinse gli estensori di quello vigente. Oggi raccogliamo anche quei frutti e credo che chi come noi ha l'onore di sedere in questa assemblea fa anche il dovere di salvare il meglio di quella idea autonomistica per la quale tanto lottarono figure come Emilio Lussu, Bellieni, Mastino. Nuovi sviluppi che stanno interessando l'Italia con la riforma federale dello Stato non solo non devono trovarci impreparati ma richiedono uno sforzo di sintesi da parte nostra per approntare una via sarda alla costituzione del futuro Stato federale che ci riconosca una specialità unica nell'ambito della quale i sardi divengano artefici responsabili delle scelte politiche fondamentali per il proprio futuro come recita la mozione presentata dal nostro Gruppo. Per far questo occorre inquadrare il nuovo Statuto in un contesto diverso, appunto l'Italia federale e la nuova Europa dei popoli e delle nazioni che si allarga ad est ma che deve ricordarsi delle sue isole maggiori, la Sardegna in fondo è la sua unica isola, vera isola maggiore aiutandole ad essere realmente unite al resto del vecchio continente uniformando le nostre infrastrutture, garantendoci la fiscalità di vantaggio e sviluppo, una zona franca e una salda continuità territoriale delle persone e delle merci, riprendo anche in questo le enunciazioni della nostra mozione. Nell'ambito di un processo di così vasta portata noi ci dobbiamo preoccupare di salvaguardare la nostra identità nell'accezione più ampia che questo termine assume, allo stesso tempo dobbiamo essere in grado di svolgere un ruolo positivo e partecipativo al processo di globalizzazione salvaguardando la nostra cultura tutta e le ricchezze ambientali e paesaggistiche di cui disponiamo. Ritengo quindi che i tempi siano maturi perché i sardi siano i veri interpreti dell'essenza dello Statuto sardo che scriveremo. Più volte in quest'aula è stata richiamata la necessità di essere uniti nelle grandi battaglie, per l'interesse e l'autogoverno della Sardegna. Vedi la questione delle entrate e la sua legittima rivendicazione. Noi dobbiamo immedesimarci nella straordinaria forza di tutti quei Sardi, rappresentanza politica e classi dirigenti incluse, che nel dopoguerra si impegnarono sul terreno dell'Autonomia speciale, dando alla Regione quella configurazione che ha raggiunto oggi, e che ci permette di governare e risolvere le questioni fondamentali dell'isola. Lo Statuto non deve quindi essere solo un complesso di norme e garanzie giuridiche, ma un'occasione per inserire a pieno titolo la Sardegna nella vita economica sociale e politica della nuova Italia federale, e dell'Europa delle regioni, rivendicando quel carattere speciale d'isola periferica rispetto all'Europa continentale, ma centrale nel Mediterraneo. Quindi, più che per un'altra rinascita, dobbiamo batterci per un'integrazione definitiva nel sistema più efficiente dell'Italia e dell'Europa, che ci affranchi dai grandi e annosi problemi storici, quali la disoccupazione e il divario infrastrutturale in tutti i settori, e possa garantire una continuità territoriale davvero illimitata. E tutto questo nella visione più ampia di una vera e propria Carta dei principi e dei diritti, che per quanto concerne lo sviluppo economico e sociale preveda che la Regione abbia assicurate, sia da parte dello Stato italiano che dalla Comunità europea, le risorse per la programmazione e la realizzazione delle infrastrutture decisive per compensare il divario connaturato all'insularità, nel pieno rispetto dell'ambiente e del paesaggio, per promuovere iniziative volte a migliorare la cultura d'impresa, lo studio, il lavoro, l'occupazione, per costruire reti di comunicazione e scambio con altri territori, impegnandosi a rimuovere le situazioni di svantaggio delle aree più disagiate delle zone montane e a rischio di spopolamento. In questo senso lo statuto dei diritti della Sardegna deve essere concepito come strumento per arricchire i valori e i principi del patrimonio costituzionale comune italiano ed europeo, non come strumento di contrapposizione fine a se stesso. E sono enunciazioni che non impediscono di accogliere l'appello rivolto al Consiglio dall'onorevole Maninchedda, al quale va riconosciuto il merito in Commissione bilancio di aver assunto iniziative importanti per approfondire i temi del federalismo, e ritengo appunto che questo richiamo possa essere preso in considerazione proprio come appello rivolto al Consiglio, a fissare - parole sue - il presupposto politico culturale con cui trattare con lo Stato italiano, insieme al richiamo all'esigenza di un percorso consiliare che determini l'insieme delle proposte di riforma per mettere in sicurezza la Sardegna. Dobbiamo certamente fare i conti con il sistema politico-istituzionale che c'è in Italia e in Europa, ma dobbiamo affermare il diritto al suo autogoverno. Oltre il piano di rinascita, i cui limiti i Sardi stanno ancora sperimentando, dobbiamo rivendicare la nostra esigenza di far parte di un programma di sviluppo nell'ambito dell'Unione Europea, in virtù di una specialità riconosciuta non solo dalla Repubblica italiana, ma anche da tutte le istituzioni di Bruxelles. Queste sono le grandi battaglie che dobbiamo condurre. Il fatto di avere pochi spazi di rappresentanza in sede comunitaria dovrebbe indurci a una lotta comune, che veda la Sardegna riconosciuta come regione d'Europa, rappresentata a Bruxelles con dignità ed efficacia. Non dobbiamo attendere che qualcuno si prenda a cuore i nostri problemi, dobbiamo essere artefici del nostro destino anche in Europa. Ecco, questo Statuto, che vorremmo, deve contenere i semi dello sviluppo per i sardi, e non essere una mera rivendicazione di popolo o nazione. Dobbiamo elaborare uno Statuto che non sia antistorico e dia prospettive alla Sardegna. Se con lo Statuto vigente, l'articolo 13, relativo al piano di rinascita, abbiamo visto riconosciuto dal punto di vista costituzionale il principio di solidarietà nazionale, adesso dobbiamo chiedere che la nuova Italia federale ci dia strumenti necessari per attuare il principio di solidarietà continentale ed europea. E' opportuno domandarci quale potere contrattuale abbiamo nei riguardi delle istituzioni europee, e se questo non sia ancora troppo mediato dal far parte di uno Stato italiano, che sì sta per diventare federale, ma non ci può garantire costituzionalmente un ruolo diretto ed efficace verso le istituzioni europee. Appare di tutta evidenza quindi come tutte le forze politiche dovrebbero togliersi le casacche che indossano, per approdare ad una visione unitaria di quella che sarà la nostra Carta fondamentale, nell'interesse dei sardi e della Sardegna.
Forse che fino ad oggi la nostra Isola non ha espresso una classe dirigente che è stata sia sarda che italiana? Penso a tanti esponenti, come Cossiga, Berlinguer, Lussu, Segni, Pisanu, tutti armonicamente inseriti nel panorama politico nazionale, e che hanno saputo anche unirsi quando si doveva legiferare in materie fondamentali e delicate. Adesso rivendichiamo una maggiore autonomia, e nessuno potrà accusarci di separatismo, in virtù di quell'apporto di personaggi politici di spessore che abbiamo dato all'Italia. Allora possiamo e dobbiamo pensare a uno Statuto che, pur essendo armonicamente inserito nella Costituzione italiana, ci permetta di avere sovranità pari a quelle dello Stato per alcune materie, ma anche di estendere le materie di competenza esclusiva in capo alla Regione, in un quadro di autodeterminazione che rappresenterà il punto di arrivo della futura riforma della Repubblica in senso federale. Il fare parte del quadro unitario della vita e dell'organizzazione dell'Italia prima, e dell'Europa poi, è l'unica strada seria per affrontare i problemi attuali, e quelli che stanno arrivando con l'impetuoso processo di globalizzazione, dal quale anche la nostra Sardegna è pienamente investita. Noi allora dobbiamo essere classe dirigente sarda qui in Consiglio, italiana in Parlamento, ed europea a Bruxelles. Vorrei citare le parole di Michelangelo Pira, studioso ed intellettuale tanto caro alla Sardegna, riguardo allo Statuto sardo vigente, scritte nel 1958 e secondo me ancora attuali: "Sino a pochi anni fa - dice - per quelli di noi che lo erano dal 1945, essere autonomisti significava molto meno di quanto non significhi oggi. Nel 1949 significava essere in modo totale dalla parte della Sardegna, ma non si trattava di una Sardegna storica, bensì di una Sardegna, direi, metafisica, posizione dello spirito e, forse sì, anche evasione letteraria di tipo dialettale. Ci attendevamo messianicamente tutto dall'applicazione dello Statuto, che naturalmente immaginavamo automatica. C'era la prospettiva di uno sviluppo economico e sociale che riscattasse le plebi sarde, ma ritenevamo, ed era orgoglio puerile, che la Regione, l'istituto autonomistico in quanto tale, avrebbe avuto la forza di promuovere direttamente la rinascita, imponendo allo Stato il rispetto dell'articolo 13 dello Statuto. Oggi, 1958, che i limiti del rapporto dialettico stato-regione sono ben chiari, ci è anche chiaro che la realizzazione del Piano di rinascita è problema di rapporto di forze politiche, e ci è anche chiaro che la forza politica esistente in Sardegna, Regione compresa, non è sufficiente per imporre allo Stato di onorare la promessa di rinascita fatta all'isola dalla Costituente. Le forze politiche sarde sinora non hanno saputo trovare alleati al di fuori dell'isola, è una constatazione che si deve fare nei confronti di tutti i partiti. Così dobbiamo dire francamente che non tutte le energie dell'isola sono state mobilitate, che anzi molte di esse sono state respinte ai margini della battaglia autonomistica, e mortificate in ruoli subalterni".
Di queste parole possiamo raccogliere un segnale importante, il nuovo Statuto dovrà essere capace di trasmettere a tutti i sardi la forza di mobilitarsi insieme per cambiare positivamente le sorti dell'isola, salvaguardando l'identità, e facendone non più un'occasione di chiusura, ma di sviluppo e apertura ad un'Italia ed ad un'Europa sempre più inserite nel processo di globalizzazione. Naturalmente dal 1958 sono mutate molte cose, in particolare si è aggiunto un interlocutore importantissimo che è l'Unione Europea, alla quale dovremo in futuro chiedere di considerarci. Colleghe e colleghi, ritengo che il dibattito svolto finora non rappresenti solo una dichiarazione di buone intenzioni per arrivare ad una sintesi delle diverse posizioni: ho percepito uno sforzo propositivo, pur da posizioni e presupposti ideologicamente diversi; ho colto quell'apertura che ci potrà permettere di arrivare alla formulazione di uno Statuto che sia la più ampia e condivisa, e non solo all'interno di quest'Aula.
La nostra non è solo un'occasione storica ma una nuova responsabilità che il popolo ci ha dato quali rappresentanti della Sardegna; se arriveremo ad una soluzione unitaria di riscrittura dello Statuto quest'ultimo, quando arriverà al Parlamento italiano, avrà certamente una maggiore forza morale e politica, una maggiore dignità per essere approvata con la considerazione e il rispetto che merita.
Il nuovo Statuto sardo può e deve avere oggi, nella nuova Italia federale e nell'Europa delle regioni, tutta la dignità e il valore per riscattare la Sardegna e i sardi. Grazie.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Luciano Uras. Ne ha facoltà. L'intervento è sull'ordine dei lavori, onorevole Uras?
URAS LUCIANO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Sì, signor Presidente, per chiedere una Conferenza dei Presidenti di Gruppo.
PRESIDENTE. Facciamo intervenire l'onorevole Murgioni, dopodiché convochiamo la Conferenza dei Capigruppo.
dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (88)
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Murgioni. Ne ha facoltà.
MURGIONI (P.d.L.). Signor Presidente del Consiglio, signor Assessore, colleghe e colleghi, i colleghi che hanno avuto l'onore e l'onere di relazionare sulle mozioni presentate ieri mattina e stamattina hanno evidenziato che la necessità di rivedere lo Statuto di autonomia speciale del quale è dotata la Sardegna non è un bisogno di oggi ma affonda le sue ragioni nella stessa essenza dell'autonomia. E' quella nostra, infatti, un'autonomia negata o incompiuta, come molti intellettuali e politici di lusso l'hanno definita, ovvero vi sono state colpe da parte della classe dirigente dell'Isola nel suo non saper utilizzare a fondo tutte le potenzialità di di cui l'attuale Statuto è portatore. Forse la verità sta nel mezzo, tuttavia non possiamo fare a meno di considerare che tutta la cronaca che ha accompagnato questi anni di esperienza autonomistica ha visto un andamento altalenante, una parabola contrassegnata da una serie ciclica di crisi ed emergenze sociali alternate a momenti di esaltante sviluppo; di fatto però gli strumenti statutari, anche quando applicati come nel caso delle leggi di rinascita previste dall'articolo 13, si sono rilevati contingenti e privi di ricadute positive durature. E' chiaro dunque che lo Statuto da solo non poteva bastare e che l'Isola avrebbe dovuto contare su una maggiore capacità decisionale che la affrancasse da una politica assistenzialistica e subalterna per un percorso di responsabilità certamente più difficile ma più esaltante e appagante, e non è che di questo, sin dal 1948, mancasse una precisa coscienza nei sardi, i quali auspicavano uno Statuto di reale autogoverno dell'Isola per spezzare le catene di una dipendenza che già allora nelle menti più illuminate appariva sciagurata e perdente.
Lo Statuto uscito dall'Assemblea costituente rappresentò un surrogato delle nostre aspirazioni che accettammo con rassegnazione, possiamo dire infatti che, sin dall'alba della sua adozione, in tutta la società sarda pervase un senso di delusione per una Carta che, seppur conteneva una spiccata apertura verso le istanze regionaliste, non convinse assolutamente sotto il profilo delle potestà autonomistiche a noi attribuite. Lo stesso confronto con lo Statuto siciliano, adottato qualche anno prima e poi ratificato insieme al nostro, denotava una marcata prevalenza a favore dei compiti e attribuzioni per l'isola nostra sorella, infatti non furono pochi quelli che guardavano allo Statuto siciliano: in molti, a più riprese, denunciarono la miopia dei nostri consultori regionali per non aver voluto accogliere l'invito pressante di Emilio Lussu il quale proponeva di adottare come nostro progetto da presentare all'Assemblea costituente lo Statuto siciliano già allora in vigenza. Evidentemente l'uomo politico sardo, con la sua lungimiranza, aveva già subodorato che nell'Assemblea costituente il clima andava mutando e la spinta verso l'apertura in senso autonomistico si andava attenuando in modo preoccupante, come di fatto poi avvenne.
Ho voluto ricordare i tempi che fecero da preludio e da sfondo al varo del nostro Statuto non a caso, per dire che arriviamo oggi, con la trattazione delle mozioni all'ordine del giorno, a colmare un ritardo storico. E' senza dubbio un fatto assodato che tutta la società sarda riconosca che gran parte dei ritardi nello sviluppo e nelle mancate occasioni di crescita siano da imputarsi, se non principalmente almeno in gran parte, alle ben note insufficienze del nostro Statuto. Più volte questo Consiglio ha tentato di occuparsi della riforma della nostra specialità autonomistica, ma sempre è mancato il necessario clima e la spinta politica a procedere; troppo spesso hanno prevalso le divisioni e le visioni di parte che hanno finito per costituire un freno alla volontà riformatrice, anche quando comunque hanno pervaso tutte le correnti di pensiero e i movimenti politici di questo nostro Parlamento nelle passate legislature.
Troppe sono le occasioni sprecate, a prescindere dalle ragioni di parte che ciascuno può addurre, per poterci permettere di reiterare ancora gli errori sciagurati che hanno portato i precedenti tentativi di riformare il nostro Statuto al fallimento. Lo stato di grave crisi emergenziale, che da economico è divenuto anche sociale, la crescita di nuove povertà, la grande sete di lavoro, la crisi del comparto agricolo e di quello industriale sono ragioni sufficienti per richiamarci a uno sforzo supremo di volontà. Oggi noi siamo chiamati a dire quale Statuto vogliamo per ridare speranza nel domani al nostro popolo; non bastano più le parole oggi servono fatti concreti, ma nessuna riforma è possibile senza condivisione e unità. Se oggi noi finalmente possiamo passare dalle parole ai fatti, bisogna riconoscere che è stata determinante la grande carica motivazionale e la determinazione ad andare avanti nel cammino delle riforme che ci hanno trasmesso il mondo sindacale, le associazioni di categoria, la Chiesa sarda, la scuola, e non ultima nei suoi richiami anche la Presidenza del Consiglio. I continui inviti pervenuti da tutti a non dividerci sulle questioni di interesse generale per il nostro popolo, e a guardare al processo di riforma delle nostre istituzioni come un momento di crescita unitario da sostenere coralmente per il bene della nostra Isola, sono stati uno stimolo che ha avuto un ruolo determinante per arrivare alla sessione straordinaria dei lavori dell'Aula oggi in corso, ora spetta a noi favorire un corretto clima di confronto e collaborazione democratica per poggiare le basi di una grande riforma che ci porti a superare i limiti e le insufficienze dello Statuto in vigore, per dare alla nostra terra e al nostro popolo una nuova Carta dei sardi - come molti l'hanno ribattezzata - che ci guidi verso la modernità e il progresso. Dobbiamo farlo se vogliamo impedire che le distanze attuali fra l'Italia e la nostra Isola aumentino ulteriormente; dobbiamo attuare ogni iniziativa in nostro possesso, non solo per diminuire queste distanze, ma per favorire ogni migliore processo di integrazione che porti la Sardegna ad abbattere il secolare isolamento del quale ancora oggi ci trasciniamo le conseguenze in termini economici e di infrastrutturazione. Dobbiamo farlo abbandonando una volta per tutte quella strisciante sudditanza psicologica e culturale che ci ha sempre impedito di volare alto, facendo emergere un senso di sottomissione a quanto arrivava dal mare in termini di colonialismo culturale e di indirizzi economici imposti da egemonie politiche mutuate dal continente.
Altre realtà di Nazioni senza Stato in Europa si sono affrancate con successo conquistando, nell'ambito delle proprie realtà statali, amplissimi riconoscimenti sul versante dell'autodeterminazione, fino a divenire Stato nello Stato. Il punto di partenza, come evidenziato nelle mozioni in discussione, è la rinegoziazione di un patto costituzionale che, all'interno dell'ombrello costituzionale, ci porti a conquistare quegli ambiti di autogoverno ai quali aspiriamo.
E' chiaro che un patto deve nascere da una reciproca volontà di negoziare e da un altrettanto reciproco riconoscimento tra Regione sarda e Stato; oggi le condizioni ci sono dal momento che in tutta Italia è avviato un comune percorso che attraversa e infervora tutte le formazioni politiche nella loro conclamata volontà di rivedere in senso federale l'ordinamento regionalistico dello Stato che fu frutto della volontà costituente del rinato Parlamento italiano. È quanto mai opportuno, dunque, che la Sardegna si presenti con le carte in regola per prendere parte attiva alla discussione in atto, e può farlo solo portando un proprio specifico contributo progettuale che decreti la riconferma delle ragioni profonde poste a fondamento nella nostra natura di Regione speciale all'interno dello Stato. Anzi io andrei perfino oltre nell'affermare in linea di principio che a prescindere da qualsivoglia architettura costituzionale, federale o meno assumerà l'Italia alla Sardegna debba essere riconosciuto uno status etno-linguistico che le conferisca una capacità pari a quello dello Stato in tutte le materie che hanno ricadute, influenze sui destini della nostra Isola.
Per rafforzare questo punto di vista mi sia consentito citare anche la posizione sulla materia della Chiesa con un passo della Populorum progressio che recita: "Niente è più conforme alla giustizia che l'azione svolta dai poteri pubblici per migliorare le condizioni di vita delle minoranze etniche, specie in ciò che concerne la loro lingua, la loro cultura, i loro costumi, le loro risorse e le loro imprese economiche." E' necessario dunque che lo Stato riconosca la questione sarda legata all'arretratezza delle infrastrutture e dei servizi oltre al ritardo nello sviluppo imputabili alle condizioni di insularità costruendo un percorso giuridico differenziato per restituire alla Sardegna la differenza del gap rispetto alla media nazionale in termini di mancata unità economica e di abbattimento dei costi per i collegamenti. Solo attraverso questo riconoscimento di carattere costituzionale che esalti la peculiarità etnica e geografica della Sardegna la Repubblica potrà riconoscere quelle misure particolari oggi mancanti di supporto alla nazione sarda al fine di rilanciare tutto il sistema produttivo valorizzando con strumenti opportuni le risorse locali legate soprattutto al turismo e a economie storiche come l'agricoltura e l'artigianato. Ecco perché e senza indugio si rende necessario procedere alla riscrittura di un nuovo Statuto di specialità non solo a causa della sua vetustà ma perché segni il riscatto del popolo sardo e lo renda consapevole del suo ruolo di portatore nella Repubblica di una cultura originale fondata dal suo essere popolo dotato di lingua e territorio e dell'abitare orgogliosamente in un'isola. Valori che danno diritto ai sardi di costruire intorno alle proprie necessità una nuova carta costituzionale della Sardegna valore dei quali questo Parlamento regionale deve farsi fiero e forte interprete. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Murgioni. L'onorevole Uras ha chiesto la convocazione di una Conferenza dei Capigruppo che viene immediatamente convocata. I lavori si concludono qui, riprenderanno domani mattina alle ore 10. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Antonio Solinas.
La seduta è tolta alle ore 19 e 07.
Allegati seduta
Testo delle interrogazioni e dell'interpellanza annunziate in apertura di seduta
Interrogazione Mulas - Cuccureddu - Manca - Fois - Sechi - Meloni Valerio - Bruno - Cocco Daniele Secondo - Amadu - Milia - Peru - Rassu - Campus - Lotto, con richiesta di risposta scritta, sulla soppressione da parte della Grimaldi delle tratte Porto Torres - Barcellona e Porto Torres - Civitavecchia.
I sottoscritti,
PREMESSO che a seguito del non concretizzarsi di un riconoscimento dal punto di vista finanziario "comprendente un indennizzo sul carburante e una spesa per quanto riguardava la pubblicità istituzionale per la tratta in oggetto" da parte della Regione, la società di navigazione Grimaldi sospenderà temporaneamente dal prossimo autunno le tratte per Porto Torres - Civitavecchia - Porto Torres e Porto Torres - Barcellona - Porto Torres per i successivi sei mesi, in quanto la diminuzione della clientela nel periodo invernale giustifica, in mancanza di idoneo sostegno economico, la chiusura del servizio;
CONSIDERATO che la sospensione dei collegamenti comporterà enormi disagi al traffico, sia dei passeggeri che delle merci in quanto la località catalana e il porto romano erano serviti dalle navi Grimaldi con frequenze plurisettimanali nel periodo tra ottobre e aprile per poi passare ai collegamenti giornalieri durante il periodo estivo;
EVIDENZIATO che sono state espresse vive preoccupazioni da parte delle categorie imprenditoriali e portuali per le conseguenti ricadute di forte impatto negativo per le realtà economiche regionali già fortemente penalizzate, legate al commercio e al turismo, dopo il crescente rafforzamento, negli ultimi mesi, dell'interscambio commerciale tra i due porti,
chiedono di interrogare il Presidente della Regione e l'Assessore regionale dei trasporti affinché forniscano le dovute spiegazioni in merito al mancato accordo con la compagnia di navigazione e per sapere quali iniziative intendano intraprendere per far sì che vengano ripristinati al più presto i collegamenti, mantenendo un impegno preso, ma mai concretizzato nei fatti. (408)
Interrogazione Espa - Cuccu - Caria - Meloni Valerio - Barracciu - Cucca - Mariani - Bruno, con richiesta di risposta scritta, sull'impiego dei fondi per la prevenzione e dispersione scolastica (legge regionale n. 1 del 2009, articolo 3, comma 18 - legge finanziaria), con particolare riguardo al supporto organizzativo per gli studenti con disabilità per l'anno scolastico 2010/2011.
I sottoscritti,
PREMESSO che:
- è fatto obbligo agli enti locali di fornire il servizio di trasporto e l'assistenza specialistica da svolgersi con personale qualificato come segmento della più articolata assistenza all'autonomia e alla comunicazione prevista dall'articolo 13 della legge n. 104 del 1992 e dalla nota del MIUR del 30 novembre 2001, n. 3390;
- la vigente normativa (legge n. 104 del 1992, decreto legislativo n. 112 del 1998 e legge regionale n. 9 del 2006) di riferimento in materia di supporto organizzativo a favore degli studenti con disabilità o in situazioni di svantaggio, assegna agli enti locali una serie di funzioni e compiti tra cui il servizio di trasporto e l'assistenza specialistica (per le scuole primarie e secondarie di I grado ai comuni e per le scuole superiori alle province);
CONSIDERATO che gli enti locali, attraverso i finanziamenti regionali, sono responsabili dell'attuazione del processo di integrazione scolastica degli alunni e studenti con disabilità e che il trasporto e l'assistenza specialistica rappresentano livelli essenziali dell'inclusione e fanno parte del progetto educativo individualizzato dell'alunno perché ne garantiscono la stessa frequenza scolastica;
SOTTOLINEATO che molti enti locali a tutt'oggi non stanno garantendo un servizio di trasporto e assistenza specialistica adeguato alle richieste e alle esigenze di tutti gli alunni e studenti iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado dell'Isola, in quanto lamentano una mancanza di fondi regionali a cui attingere per assolvere ai loro compiti;
RILEVATO che:
- anche quest'anno ad anno scolastico iniziato, da segnalazioni pervenuteci, gli studenti con disabilità delle scuole superiori di tutta la Sardegna, si sono trovati con solo 5 o 6 ore di assistenza alla settimana e pertanto molti di loro non possono frequentare la scuola regolarmente per tutto l'orario scolastico;
- è reale il pericolo di discriminazione del loro diritto allo studio;
- le famiglie, per evitare questa discriminazione, sono costrette, in mancanza degli assistenti previsti dalla legge, addirittura a presidiare le scuole pronti ad intervenire in aiuto dei loro figli o devono pagare personalmente il servizio che dovrebbe essere garantito dalla legge;
- le famiglie devono inoltre provvedere al trasporto dei propri figli a scuola (anche questo un servizio in realtà garantito dalla legge), spesso sobbarcandosi molti chilometri giornalieri;
CONSIDERATO che:
- proprio per far fronte a queste situazioni, con la finanziaria regionale 2009, all'articolo 3, comma 18, è stato autorizzato con 5 milioni di euro un programma di intervento contro la dispersione scolastica, per favorire il diritto allo studio degli studenti disabili a favore delle scuole di ogni ordine e grado della Sardegna, già previsto dall'articolo 27, comma 2, lettera b), della legge regionale n. 2 del 2007, da garantire anche attraverso servizi degli enti locali per il supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con disabilità o in situazioni di svantaggio (articolo 73 della legge regionale 12 giugno 2006, n. 9) (UPB S02.01.006 - cap. SC02.0101);
- la Giunta regionale, con deliberazione n. 51/40 del 17 novembre 2009, aveva ripartito i fondi per comuni e province relativi all'anno scolastico 2009/2010, permettendo così agli stessi di migliorare qualitativamente e quantitativamente il servizio di supporto agli alunni e studenti con disabilità;
- quest'anno non sono ancora stati ripartiti dalla Giunta regionale i fondi relativi, e il provvedimento assume carattere d'urgenza, data l'ulteriore penalizzazione nei confronti della scuola sarda a causa delle decisioni del Governo italiano in materia di ridimensionamento della rete scolastica,
chiedono di interrogare il Presidente della Regione e l'Assessore regionale della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport per sapere se intendano:
1) garantire tempestivamente l'emanazione della delibera di Giunta che ripartisca i finanziamenti previsti dall'articolo 3, comma 18, della legge regionale n. 1 del 2009 (UPB S02.01.006 - cap. SC02.0101), affinché tali fondi siano utilizzati dagli enti preposti per programmare il supporto organizzativo necessario in favore degli alunni e studenti con disabilità per permetterne la loro piena integrazione e non discriminazione;
2) verificare che gli enti locali garantiscano comunque lo storico dei finanziamenti ordinari previsti dal fondo unico assegnato dalla Regione, onde evitare il solo impiego dei finanziamenti previsti dal precedente punto, che come è noto hanno carattere integrativo. (409)
Interpellanza Lai - Bardanzellu - Sanna Matteo sulla sospensione del rinnovo e del rilascio delle concessioni demaniali per l'esercizio delle attività di molluschicoltura, arsellicoltura, raccolta e pesca di frutti di mare e maricoltura nel mare territoriale della Sardegna, con particolare riferimento alla situazione riguardante gli operatori del Golfo di Olbia.
I sottoscritti,
PREMESSO che:
- in data 3 febbraio 2010 è stata presentata dai Consiglieri regionali Lai, Diana Mario, Sanna Matteo, Bardanzellu, Pittalis, Gallus, Murgioni, Contu Mariano Ignazio, De Francisci, Locci, Stochino, Zedda Alessandra, Cherchi, Peru la proposta di legge n. 107 per la disciplina delle concessioni di aree demaniali per l'esercizio e lo sviluppo delle attività di molluschicoltura, arsellicoltura, raccolta e pesca di frutti di mare e maricoltura nel mare territoriale della Sardegna;
- in data 19 giugno 2009 circa, venti aziende di Olbia, operanti nel settore della mitilicoltura e arsellicoltura, hanno fatto richiesta di ottenere autorizzazioni per regolarizzare e giustificare le attuali occupazioni di specchi acquei demaniali, al fine di poter superare le problematiche poste in essere dall'Unione europea, dallo Stato italiano e dalla stessa Regione Sardegna;
- a distanza di ben 15 mesi dalla presentazione, tali richieste non hanno ancora avuto risposta da parte degli uffici competenti;
- il decreto del Presidente della Regione 30 dicembre 2008, n. 75/7, aveva sospeso "i procedimenti in corso per il rinnovo delle concessioni esistenti e per il rilascio di nuove concessioni demaniali" facendo salve esclusivamente quelle per l'attività di tonnare (impianti fissi);
- le problematiche scaturite dall'applicazione di questo decreto, anche con riferimento alla "Declaratoria della eccezionalità degli eventi meteorologici che si sono verificati nel mese di agosto nel Golfo di Olbia di cui al decreto n. 2782/Dec A/121 del 4/11/09", hanno fin qui impedito anche la corresponsione dei contributi per la morìa di cui al sopracitato decreto, nonostante le apposite disponibilità di bilancio;
CONSIDERATO che:
- a causa del blocco nel rinnovo e rilascio delle concessioni gli operatori non hanno potuto e non possono ottenere aiuti dalle banche, né fare richieste di agevolazioni a valere sui fondi FEP ecc.;
- non si conoscono, ad oggi, i risultati cui è pervenuta l'apposita commissione regionale predisposta per elaborare "Strumenti giuridici, criteri e procedure per il rilascio delle concessioni ai fini di pesca";
- si ha difficoltà a giustificare i ritardi nel predisporre gli strumenti normativi per disciplinare questa importante materia, in quanto in precedenza gli operatori del settore erano stati anche sollecitati dalla Regione, dalla Capitaneria e dalla stessa Autorità portuale, a fornire gli elementi per il perfezionamento delle relative pratiche,
chiedono di interpellare il Presidente della Regione e l'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale, per sapere se:
1) non ritengano necessario predisporre, nelle more della discussione della citata proposta di legge, gli atti necessari a regolarizzare la situazione amministrativa delle concessioni nel Golfo di Olbia, che si protrae da almeno un trentennio e che ha procurato difficoltà e diseconomie agli operatori;
2) la Regione, in attesa delle nuove leggi, possa provvedere all'immediato sblocco delle concessioni predette, ricercando le opportune convergenze con le altre istituzioni, onde evitare le conseguenze di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea;
3) sia possibile che la Regione, nelle more dell'approvazione delle nuove direttive, modifichi l'ultimo comma della deliberazione n. 75/7 del 30 dicembre 2008, al fine di estendere la non applicazione della deliberazione stessa, oltre che alle concessioni riguardanti spazi acquei per l'esercizio dell'attività di tonnare, anche agli impianti di mitilicoltura, arsellicoltura e frutti di mare in genere che operano o intendono operare nel Golfo di Olbia, in ottemperanza alle prescrizioni del decreto dell'Assessore regionale della difesa dell'ambiente 12 dicembre 1995 n. 2875 "Situazione molluschicoltura nel Golfo di Olbia - Direttive per il rilascio delle concessioni". (144)