Seduta n.361 del 11/10/2012
CCCLXI SEDUTA
Giovedì 11 ottobre 2012
Presidenza della Presidente LOMBARDO
indi
del Vicepresidente COSSA
indi
della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 11.
DESSI', Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del 26 settembre 2012 (353), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Radhouan Ben Amara, Daniele Cocco, Onorio Petrini ed Efisio Planetta hanno chiesto congedo per la seduta dell'11 ottobre 2012.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
DESSI', Segretario:
"Interrogazione Dedoni, con richiesta di risposta scritta, sullo spostamento della sede dello Sportello unico territoriale dell'Alta Marmilla da Ales a Laconi". (965)
"Interrogazione Tocco, con richiesta di risposta scritta, sull'urgente necessità di comprendere le ragioni della prossima interruzione del servizio per lo smaltimento delle pratiche arretrate per il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche e di sanatoria e condoni edilizi nelle aree tutelate paesaggisticamente presso la Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia - Servizio tutela paesaggistica per le Province di Cagliari e di Carbonia-Iglesias". (966)
PRESIDENTE. Considerato che la seduta della Commissione Bilancio è ancora in corso, sospendo i lavori sino alle ore 12 e 30.
(La seduta, sospesa alle ore 11 e 02 viene ripresa alle ore 12 e 32.)
PRESIDENTE. Poiché la Commissione Bilancio non ha ancora concluso i propri lavori, sospendo la seduta del Consiglio sino alle ore 15 e 30.
(La seduta, sospesa alle ore 12 e 33, viene ripresa alle ore 15 e 44.)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della risoluzione numero 12.
(Si riporta di seguito il testo della risoluzione numero 12:
RISOLUZIONE
sulla inaccettabile compressione dell'autonomia regionale e degli enti locali e le restrittive politiche in materia finanziaria adottate dal Governo con gravissime ricadute sul tessuto economico e sociale della Regione
La Terza Commissione permanente, nella seduta dell'11 ottobre 2012,
VISTI gli atti del Governo riguardanti la finanza e il funzionamento degli enti territoriali, le modifiche della Costituzione e la nuova manovra economica e di bilancio;
RILEVATO come tali atti manifestano un complessivo disegno di compressione di tutte le autonomie territoriali e delle regioni nei compiti e nelle prerogative ad esse affidate dalla Costituzione, secondo una visione che riporta indietro di decenni l'ordinamento costituzionale in chiaro contrasto con i suoi principi fondamentali;
CONSIDERATO come tale attacco colpisce la Regione, ma anche gli enti locali, ignorando e annichilendo il ruolo rappresentativo ed esponenziale delle comunità che essi svolgono, sostenendo in prima linea lo sforzo di contenere gli effetti sociali negativi delle politiche economiche restrittive decise a livello centrale nazionale ed europeo;
VALUTATO con fortissima preoccupazione che gli atti del Governo mirano di fatto a introdurre forme opprimenti di controllo sulle autonomie, anche con modifiche costituzionali che consentono al Governo ed allo Stato interventi discrezionali di accentramento di funzioni e competenze;
RILEVATO come:
- risulta più fortemente minata l'autonomia speciale, rispetto alla quale sembra aprirsi ormai un processo di vera e propria neutralizzazione se non cancellazione;
- in tal modo si punta a cancellare l'Autonomia della Sardegna nata da oltre 60 anni nel processo costituente della Repubblica insieme alla Carta costituzionale e come aspetto essenziale di essa, in risposta ad attese di riscatto e di rinascita diffuse tra la popolazione che rivendicavano per i sardi il potere di decidere sul proprio destino dopo lunghi secoli di sfruttamento ed oppressione;
CONSIDERATO che si dispongono ulteriori pesantissimi tagli a carico delle regioni, che tali tagli sono ulteriormente aggravati per le regioni speciali, con inevitabili ricadute sui servizi ed ancor più gravi effetti sulla Sardegna già in ginocchio per le conseguenze della crisi economica e a causa della sua condizione insulare;
AVUTA NOTIZIA che si profila un ulteriore compressione alla capacità di spesa della Regione attraverso i vincoli del patto di stabilità, che vanifica le annunciate misure di riconoscimento delle entrate dovute da anni alla stessa, e il cui diritto è stato di recente ribadito anche dalla Corte costituzionale;
OSSERVATO come queste iniziative del Governo si sommano a un quadro normativo, unilateralmente applicato, che ha già fortemente limitata la disponibilità da parte della Regione delle risorse che le sono dovute, mentre la Regione da subito si è dovuta far carico di interventi che altrove sono sostenuti dallo Stato (Servizio sanitario regionale, trasporto pubblico locale, continuità territoriale) aggravando la già difficilissima situazione economica e sociale della Regione, impedendo quasi del tutto di intervenire anche con misure essenziali ed urgenti a sostegno dei bisogni pressanti della popolazione;
CONSIDERATO che una tale impostazione rischia di travolgere l'intero sistema autonomistico, sostituendolo con forme di accentramento dei poteri di indirizzo politici e normativi in capo al Governo ed allo Stato e riproponendo misure e forme di controllo che già in passato non hanno impedito difetti e violazioni che oggi si dice di voler fermare;
SOTTOLINEATO infine che tale orientamento corre il rischio di minare l'unità dello Stato che oggi può essere mantenuta e rafforzata solo con il rispetto delle identità e comunità locali e territoriali;
EVIDENZIATO che non si può neanche prospettare, per le caratteristiche storiche e geografiche della nostra Isola, una possibilità di recupero e di sviluppo della Sardegna se non attraverso l'adozione di politiche a carattere specificamente regionale che solo una Regione dotata di speciali poteri e che agisce con sovranità responsabile in piena autodeterminazione può sostenere;
RICHIAMATI gli ordini del giorno n. 76 ed 80 e la mozione n. 206 approvati all'unanimità dal Consiglio regionale sulla vertenza entrate e sulla crisi dell'apparato economico regionale e rilevato come le ultime iniziative del Governo non solo colpiscono l'autonomia regionale nelle sue prerogative, ma aggravano ulteriormente la situazione economica muovendosi in senso opposto alle richieste della Regione,
ribadisce
i contenuti e le modalità per la conduzione della vertenza Sardegna come unanimemente approvati dal Consiglio regionale negli ordini del giorno n. 76 e 80 e nella mozione n. 206, ancorandoli alla indispensabile rivendicazione delle prerogative regionali,
impegna il Presidente della Regione
a intraprendere e tenere viva un'azione conflittuale col Governo, contestando in tutte le sedi politiche e giurisdizionali le iniziative adottate e rivendicando la piena attuazione delle prerogative regionali riconosciute dalla Costituzione e dallo Statuto e conseguentemente a impugnare dinanzi alla Corte costituzionale tutti gli atti adottati,
richiama
un impegno forte dei rappresentati eletti in Sardegna per sostenere e dare attuazione alle attese espresse dalla Regione,
dispone
che la presente risoluzione sia portata nei tempi più brevi possibili in discussione in Assemblea ai sensi dell'articolo 51 del Regolamento interno. (12))
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Comunico che la Conferenza dei Presidenti di Gruppo ha deciso di contingentare i tempi e di limitare gli interventi a soli dieci minuti.
E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.
ZUNCHEDDU (Gruppo Misto). Presidente, colleghi, purtroppo non è da oggi che constatiamo che lo Stato italiano esercita la sua violenza economica e politica sulla Regione autonoma della Sardegna mettendo i bavagli alle sue iniziative di politica di difesa dei sardi, censurando e ignorando le leggi e le deliberazioni, arrivando così a tagliare anche la lingua per l'ennesima volta, come è avvenuto recentemente.
Tutto sta avvenendo in questo periodo con l'alibi dei costi della politica e della lotta alla corruzione, come se in questo Consiglio non avessimo già preso dei provvedimenti sui costi della politica, come se il "caso Fiorito" e il dilagare della corruzione e degli scandali in tutta Italia (che hanno portato persino allo scioglimento per collusione camorristica e mafiosa del consiglio comunale di Reggio Calabria) come se tutte queste situazioni fossero delle novità corruttive solo di oggi.
In questo clima il Governo Monti, sostenuto da diverse forze politiche (come il PD il PdL e l'UDC, che nel Consiglio regionale sardo hanno ruoli diversi) ha avuto demagogicamente buon gioco nell'affrontare queste reali emergenze, offrendo soluzioni demagogiche all'indignazione popolare e additando parte delle istituzioni e autonomie regionali come artefici e complici di questi latrocini. Non per niente questo riassetto di bilancio, che concerne i costi della politica, ricade per il 35 per cento sulle regioni autonome, quindi sulla Sardegna, con 300 milioni di tagli che incideranno sul livello di vita delle nostre famiglie, privandole di servizi essenziali, sulle nostre imprese già da tempo in crisi, private del credito e messe in ginocchio dalle riscossioni violente di Equitalia, il braccio lungo dello Stato italiano.
Il Governo tecnico di Monti, che non è espressione della volontà democratica di nessuno visto che non è stato votato, con la riforma del Titolo V della Costituzione di fatto intende mettere mano all'articolo 117 che regola i poteri dello Stato e delle Regioni, cancellando definitivamente, con metodi autoritari, le Regioni autonome a Statuto speciale. Tutto ciò in nome della massima centralizzazione dei poteri; tutto ciò in ossequio ad un'esigenza mondiale di controllo dei mercati e delle economie che devono essere funzionali ai progetti di controllo sociale delle multinazionali della finanza. E' un attacco del Governo Monti alle condizioni di vita, di benessere e di sviluppo delle famiglie e delle imprese sarde.
Ma oltre al danno per noi c'è anche la beffa, visto che lo Stato italiano è a tutt'oggi inadempiente sul fronte delle entrate a noi dovute. In questa crisi economica con forti ripercussioni sulle stesse istituzioni a tutti i livelli, statali e regionali (che per me poi sono nazionali) per la tutela della nostra economia e la qualità della nostra vita dobbiamo inderogabilmente e necessariamente creare l'ufficio sardo delle entrate, che trattenga a monte il dovuto alla Sardegna e ci ripari da eventuali saccheggi e inadempienze italiane.
Questa manovra Monti nasconde la volontà già espressa dal Governo Berlusconi di eliminare qualsiasi tipo di specialità e autonomia regionale riguardante le competenze primarie delle Regioni autonome; di fatto si vuole eliminare qualsiasi conflitto politico con scelte così stataliste e iperliberiste che il Governo italiano intende imporre alla Sardegna eliminando e annullando lo Statuto di autonomia.
La crisi economica italiana e mondiale, gestita dai governi delle multinazionali finanziarie - di cui Monti è fedele espressione - sarà pagata ancora una volta non da chi l'ha generata ma dagli strati più deboli e dai territori più soggetti al dominio e al dispotismo coloniale, che noi sardi purtroppo ben conosciamo.
Noi sardi, con tutte le istituzioni politiche, a partire dal Consiglio regionale della Regione autonoma della Sardegna, dobbiamo respingere immediatamente questo ennesimo attacco al nostro diritto di scegliere autonomamente il futuro economico, politico e sociale; noi sardi non possiamo più pagare la crisi e il fallimento italiano e rispondere ancora agli ordini imposti dalla finanza di Bruxelles e internazionale. È arrivato il momento di chiederci, come classe politica responsabile, che senso ha che noi continuiamo a pagare questi costi per bisogni a noi estranei e che arricchiscono solo la speculazione monetaria internazionale.
Si pone pertanto in maniera forte la necessità di superare la cosiddetta autonomia, che tra l'altro rischia anche di scomparire formalmente, per passare velocemente a una stagione che veda il popolo sardo e le sue istituzioni unite in un percorso di autodeterminazione, di sovranità e di indipendenza: questo è l'unico percorso che può salvarci dal crollo economico italiano e dalle turbolenze della crisi finanziaria internazionale. C'è già in Europa qualcuno che lo sta facendo. Mi riferisco alla Catalogna che è piegata di fatto dalla crisi spagnola e che reagisce con determinazione ai diktat di Madrid e delle multinazionali con una forte richiesta di sovranità e di indipendenza, quindi con il coinvolgimento del popolo e di tutte le istituzioni catalane.
L'esperienza della Catalogna è quindi un modello di dignità politica e di orgoglio nazionale che assolutamente dovremmo seguire, anche se, in realtà, la Catalogna in questo processo non è sola. Infatti in Scozia, governata da una coalizione indipendentista e progressista, si sta organizzando un referendum sulla necessità di staccarsi dalla Gran Bretagna e rendersi anche statuariamente indipendente.
Noi sardi dobbiamo essere coraggiosi come popolo e responsabili come classe politica, respingendo oggi i tagli violenti di Monti e interpretando un percorso di indipendenza nazionale che non può più essere esclusivamente un'aspirazione ma deve essere un'impellente necessità per non morire economicamente e politicamente, per non essere cancellati dalla storia come popolo e come Nazione.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Bruno. Ne ha facoltà.
BRUNO (P.D.). Presidente, colleghi, spenderò solo qualche minuto per cercare di rappresentare, dal mio punto di vista, il momento che viviamo, anche dall'ottica del cittadino che mi sembra che abbia, soprattutto in questo momento di crisi socioeconomica, capito molto bene la situazione che attraversiamo. Forse riesce a comprendere persino la necessità dei tagli, che colpiscono indistintamente tutti, di fronte ad una situazione in cui lo Stato va a rotoli, in cui l'economia internazionale è in crisi, in cui viene quasi apprezzata (se così si può dire) la spending review, in cui persino il Governo Monti viene visto da alcuni come una soluzione, come un tentativo di salvare il Paese.
La Sardegna vive questa fase drammatica, da un lato con una conquista che non si riesce a difendere (penso alla "vertenza entrate", penso a una situazione del bilancio dove come non mai le entrate correnti sono sostanzialmente pari alle spese fisse) dall'altro con l'impossibilità di fare politica, cioè di operare scelte discrezionali. Il patto di stabilità infatti ci pone dei vincoli e le scelte non sempre sono in linea con le esigenze e le attese dei cittadini. Insomma c'è un'impossibilità di manovrare, c'è un'impossibilità di fare politica.
Allora, accanto all'amore necessario per l'economia forse c'è bisogno di amore per le istituzioni, ed è quello che mi sembra manchi in questo momento anche da parte del Parlamento, perché io non credo che queste siano scelte soltanto del Governo, non credo che siano soltanto scelte del presidente Monti. Quando si parla di accorpamento di Regioni, quando si parla di annullamento della specialità e dell'autonomia, quando si cancellano 60 e più anni di storia, quando insomma si fa la semplificazione (perché magari immagino alcune lobby abbiano deciso che i decisori finali devono essere pochi) quando gli interlocutori devono essere ridotti, allora c'è anche, probabilmente, un problema di democrazia, cioè nel nome della spesa c'è una riduzione della democrazia. Penso a come questo poi abbia delle ricadute "a cascata" drammatiche per gli enti locali.
Viviamo un neocentralismo subito dopo l'annuncio mai attuato del federalismo fiscale, una forma di neocentralismo che di fatto, a mio avviso, riduce la democrazia, ed è pericoloso. Leggo così anche la semplificazione che facciamo, la cancellazione dei servizi nel territorio, leggo così tutte le difficoltà che viviamo soprattutto in Sardegna laddove il principio di uguaglianza e il principio di giustizia sociale vengono meno. Vengono meno quando viene eliminata la specialità, vengono meno anche quando non riusciamo ad attuare la nostra specialità.
Io penso, assessore La Spisa, alle responsabilità che avete sulla continuità territoriale che non c'è più, che non c'è più dopo 10 anni e non so se riusciremo a riaverla. Penso a quella marittima e a quella aerea. Penso al fatto che stiamo accettando tutti i benchmark possibili in termini di scuola e quindi di riduzione anche della possibilità per i nostri ragazzi di avere, nei loro territori, nei loro paesi, tenuto conto anche della densità di popolazione della Sardegna, un'istruzione adeguata.
E penso alla sanità. Certo, ce ne siamo fatti carico, assessore De Francisci, ma accanto al farci carico della sanità e della continuità territoriale, abbiamo anche, in un rapporto pattizio con lo Stato, acquisito dei diritti, cioè il diritto ad avere quelle risorse che ci vengono negate dalla vertenza entrate.
Quindi veramente questo è il momento di una mobilitazione. Io chiedo, presidente Lombardo, io chiedo che ci sia non soltanto un doveroso dibattito in questo Consiglio regionale ma che venga al più presto convocata una riunione straordinaria con gli enti locali. So che, per Statuto, prima della finanziaria dovremo fare la riunione con il Consiglio delle autonomie, io credo però che dovremmo anticipare i tempi, dobbiamo fare in modo che tutti gli enti locali, che tutte le istituzioni della Sardegna siano chiamate a raccolta da questo Consiglio regionale per esprimere un dissenso, per esprimere una politica contestativa che se non esprimeremo ad alta voce con l'unità necessaria, con la franchezza necessaria, al di là dei colori politici, al di là del sostegno o meno al Governo nazionale, avremo una responsabilità storica.
Stanno cancellando la specialità, stanno cancellando l'autonomia senza una nostra reazione adeguata. Nel momento in cui si era profilato un mutamento dell'ordinamento della Repubblica in senso federale, avremmo potuto tentare di guidare con la nostra vocazione, con la nostra storia, con la nostra tradizione questo processo, e invece non ne siamo stati all'altezza. Io credo che oggi dobbiamo necessariamente rimediare, dobbiamo necessariamente avere un sussulto di dignità e accompagnare in questo senso anche una mobilitazione di popolo almeno pari a quella che ci ha portato alla conquista, poi non difesa in questi anni, della vertenza entrate.
E' in gioco il nostro destino, è in gioco il destino dei sardi; io credo che le istituzioni meritino amore, più amore, almeno pari a quello per l'economia, almeno pari a quello per una politica che, evidentemente, anche per nostra responsabilità, per non essere stati all'altezza in Italia e in Sardegna, oggi rischia conseguenze gravi proprio sul terreno della democrazia.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri Vargiu, Porcu e Fois si sono iscritti in ritardo e quindi non potranno intervenire.
E' iscritto a parlare il consigliere Cuccureddu. Ne ha facoltà.
CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Presidente, colleghi, sono assolutamente favorevole all'approvazione di questa risoluzione che immagino, spero, penso, verrà approvata all'unanimità.
Però credo che dovremmo stare anche attenti al clima che si respira, a come può essere strumentalizzato, perché se è vero che qualche mese fa, sempre su iniziativa di Monti (e anche dell'Italia dei Valori, per la verità, che parlò di sprechi nelle province) c'è stata la demonizzazione delle province, i referendum sulle province, l'abolizione delle province, oggi se qualcuno dicesse aboliamo le Regioni (chiaramente con referendum non ammissibili perché come le province sono previste dalla Costituzione e dal nostro Statuto anche la Regione è prevista dalla Costituzione) probabilmente il 97 per cento dei cittadini italiani e i sardi voterebbe per l'abolizione della Regione Sardegna, per l'abolizione di tutte e 20 le Regioni italiane.
Quindi io credo che tutti noi che abbiamo responsabilità, tutti coloro che quotidianamente si devono confrontare con l'organizzazione complessa, con la gestione complessa delle problematiche che l'organizzazione dei poteri pubblici implica, debbano muoversi con una cautela assoluta.
Perché faccio questa premessa? Perché il clima che si respira oggi è quello di una centralizzazione a tutti i livelli di tutte le scelte, non una centralizzazione solo a livello romano: c'è la tendenza a centralizzare a qualunque livello. E oggi che molti continuano a portare avanti battaglie rivendicazioniste nei confronti dello Stato, battaglie che hanno un fondamento storico (anche oggi in qualche intervento ne ho sentito parlare, poi magari torneremo sul caso Catalogna è così via) occorre stare attenti a pensare allo Stato così come lo si poteva immaginare cinquant'anni fa, perché oggi lo Stato ha perso tutti e tre gli elementi qualificanti della identità statuale. Non fa più politica estera autonoma (abbiamo gli ambasciatori europei, e tra questi c'è anche un sardo, per cui tra un po' spariranno le ambasciate) non fa più politica di difesa (in Iraq e in Afghanistan ci muoviamo all'interno di azioni multinazionali) ma soprattutto non batte più moneta, non fa più politica monetaria, non fa più politica autonoma neppure dal punto di vista fiscale . E' la "Troika" che stabilisce le aliquote IVA in Italia, è la "Troika" che stabilisce quale deve essere la riforma delle pensioni. Quindi c'è una centralizzazione sempre più accentuata: oggi è Bruxelles che stabilisce le nostre politiche.
Allora io credo che se vogliamo essere coerenti sino in fondo non possiamo pensare che dobbiamo rivendicare poteri e competenze per mantenere l'autonomia o il simulacro di ciò che resta dell'autonomia così come era stata immaginata nel '48, quando non esisteva l'Europa; dobbiamo pensare a un quadro generale, a un sistema che avvicini il cittadino il più possibile alla gestione della cosa pubblica.
Io credo che non esistano scorciatoie, e credo che questa fase - una fase difficilissima per il contesto nel quale viviamo - possa trasformarsi realmente in una vera fase costituente a livello internazionale per la riorganizzazione degli assetti politici, organizzativi, dell'architettura istituzionale in Italia e in Europa. Cogliere questa opportunità dipende solo da noi. La risoluzione, che io voterò a favore, non deve però limitarsi a salvaguardare un po' di potere dell'autonomia regionale centralizzato su Cagliari, ma deve segnare l'avvio un processo di riavvicinamento e di ricoinvolgimento, e quindi una cessione di sovranità ai cittadini, spostando il più possibile il potere decisionale in capo alle organizzazioni più vicine ai cittadini, rendendo la Regione soltanto un organo che regola ma non che gestisce.
Per far questo occorre procedere in due tappe: prima spostare e rendere i comuni il fulcro della nuova architettura istituzionale (e quindi non rivendicare autonomia per conservarla gelosamente in capo all'ente regionale, ma devolverla generosamente ai comuni); poi rendere possibile l'e-democracy, la democrazia elettronica, il coinvolgimento immediato, diretto dei cittadini. Qualcuno non è convinto, ma io credo che i tempi siano già maturi e tra qualche anno si potrebbe conseguire anche a questo traguardo.
Mi auguro pertanto che questo percorso inizi subito, altrimenti daremo la sensazione di condurre battaglie finalizzate a conservare spazi di potere, spazi di autonomia all'interno di questo Consiglio, all'interno dei consigli regionali (così come hanno tentato di fare le province all'interno dei loro consigli provinciali) e i cittadini non ci accorderanno più fiducia, anzi forse l'abbiamo già persa.
Per questo seguiamo con grande interesse ciò che avviene in Scozia e in Catalogna, ma guai a utilizzare l'esperienza di questi paesi come elemento di confronto diretto. La Catalogna, infatti, è "la Lombardia" della Spagna, e oggi che la Spagna è in crisi i cittadini catalani si allontanano dal resto della Spagna così come vuole fare la Lombardia con il Mezzogiorno, troncando quel rapporto solidale sancito dall'articolo 5 della Costituzione. E' vero che la Catalogna ha molte più ragioni storiche, culturali, linguistiche rispetto alla Lombardia, però oggi ne vuole approfittare secondo la logica che dice: scarichiamo i poveri ma salviamoci almeno noi.
Ecco, io credo che in quest'ottica è utile, certo, rivendicare maggiori spazi, maggiori spazi di autonomia, esercitare quell'autonomia che oggi è diventata un freno, ma solo se ragioniamo in termini di generosità. Qualora dovessimo abolire (sappiamo che non è possibile per via dello Statuto) gli altri sette capoluoghi sardi, improvvisamente in Sardegna avremmo tutto concentrato su Cagliari, un unico capoluogo, un piccolo Stato. Riprodurremmo una forma di centralismo.
L'ho detto forse in altre occasioni anche in quest'Aula: a mio avviso per i sardi, il centralismo cagliaritano, il centralismo dell'autonomia regionale non sarebbe meno soffocante, meno asfissiante di quanto non sia stato il centralismo romano. Quindi, d'accordissimo su questa risoluzione, rivendichiamo la nostra autonomia, rivendichiamo la possibilità di poterla esercitare con gli strumenti finanziari, ma finalmente mettiamo i comuni, mettiamo i cittadini al centro di una nuova architettura istituzionale, e solo così penso che potremo dare un futuro alle nostre istituzioni in Sardegna.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Gian Valerio Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Presidente, colleghi, una discussione su questo argomento avrebbe meritato maggiore attenzione, partecipazione, a partire dai componenti della Giunta. Io credo che il giusto approccio a un argomento di questo genere debba essere, da parte di ciascuno di noi, non il senso di appartenenza politica, ma quello di un individuo che si sente prima di tutto padre, e che si interroga sulla realtà che lascia in eredità ai figli e alle nuove generazioni. Questo è l'unico modo per potersi collocare di fronte alla problematica dell'autonomia, ed è spiacevole che si scrivano lettere di protesta e non si venga qua a fare questa riflessione.
Vedete, il punto sostanziale è che scontiamo un tempo nel quale abbiamo lasciato andare troppo avanti chi ha voluto decidere sopra le sorti di questa autonomia. Vorrei ricordare che il disegno regionalistico, quando è stato concepito, conteneva già questa idea di servizio, questa idea di affrancamento delle popolazioni periferiche di questo Stato, e quel disegno sturziano è stato concepito al di là delle classi dirigenti che lo avrebbero dovuto interpretare. E in quel tempo che è trascorso dietro di noi ci sono state classi dirigenti buone e meno buone, ma nessuno mai come ora ha cercato di assaltare quel disegno, che noi dobbiamo difendere perché è l'unico modo per avere una voce, un luogo di mediazione, un luogo di protesta.
E solo il fatto - lo cito perché è ultimo in ordine di tempo - che abbia consentito di ottenere la revisione dell'articolo 8 del nostro Statuto, dimostra che qualche opportunità importante per la nostra Regione, attraverso quella specialità, si è potuta conseguire e si può ancora conseguire, se ne abbiamo il sentimento prima che la percezione. Le Regioni speciali sono a loro volta nate oltre lo schema ordinario statuale delle regioni a statuto ordinario, perché c'era in essere un riconoscimento di peculiarità non confrontabile. E oggi noi non dobbiamo consentire a chicchessia di entrare in questo delicato e preziosissimo tessuto di architettura istituzionale, che, certo, sui poteri deve trovare il proprio aggiornamento, ma che sullo stigma che gli ha dato origine e che ha fondato la cultura politica degli ultimi cinquanta e sessant'anni, nelle nostre forze politiche, nella nostra attività pubblica, non può essere minimamente toccato, se non attraverso quel principio del rapporto pattizio esasperato all'eccesso, ma frutto comunque sempre di un dialogo e di una contrattazione.
Io lo dico perché ci sono, in tutti i partiti (in modo particolare a Roma) dei filosofi del fatalismo secondo i quali ormai questo mondo sta andando, e noi dobbiamo limitarci a provvedere a contenere. Abbiamo conosciuto tempi nei quali probabilmente si è sperperato assai più di quello che si è sperperato in questi anni, e oggi quello sperpero, paragonato alla condizione attuale, rende grande qualcosa che è sempre stata un problema. Ma noi abbiamo sempre detto che la generalizzazione dei problemi che elide i diritti è sempre peggio di una difficoltà, di una durezza delle regole del buon governo che bisognerebbe sempre introdurre prima di cancellare la costruzione statuale di una democrazia che va difesa.
Lo dico perché noi classi dirigenti, noi che siamo classi dirigenti, abbiamo un onere, che è quello di reggere psicologicamente, emotivamente, culturalmente, la deriva populista e forcaiola che gli organi di stampa, interessi diversi, gli stessi interessi politici di chi ci vuole sostituire, diffondono. Noi abbiamo il compito di ragionare oltre questa deriva e questa facile emotività, perché se no non abbiamo dignità a stare qui dentro. Ecco perché è importante trovare un momento nel quale condividiamo questo punto di difesa. E lo dico, Presidente del Consiglio, sostenendo che non sarà sufficiente questo passaggio, che è solo l'avvio.
Abbiamo bisogno di prendere delle posizioni chiare per farci sentire. Io, per esempio, sono dell'avviso (e lo propongo) che bisogna denunciare la circostanza che la nostra appartenenza all'assemblea permanente delle regioni non ci ha tutelato, e le chiedo, Presidente, di assumere un'iniziativa con le altre Regioni a Statuto speciale perché si convochi un'Assemblea permanente delle Regioni a Statuto speciale, perché quello è un luogo dove si difende una peculiarità e non un luogo di generalizzazione, e forse qualche cosa stiamo pagando anche per colpa di quella generalizzazione.
Noi siamo disponibili ad alimentare quella prospettiva e non a coltivare le generalizzazioni. Io credo che ci sia un punto che dobbiamo rendere indispensabile nel nostro ragionamento. Badate, vedo molta gente interessata a questo disegno di legge sulla sanità, ma è come parlare fra adulti e dopo mettersi a giocare con i bambini, perché la sproporzione dei due temi è enorme; quelle lì sono quisquilie. Sarebbe più importante capire che quello che c'è fuori da quest'Aula è la conseguenza dell'aver disperso l'idea che l'autonomia finanziaria è in se la spina dorsale dell'intera autonomia e della specialità.
Noi dobbiamo recuperare posizioni su quel terreno; non è tollerabile che abbiamo, da un lato, un riconoscimento di maggiori entrate e, dall'altro, un vincolo e un commissariamento sulle modalità di spendita, oggi aggravate da un'ipotesi di controllo persino preventivo; non è ammissibile! Le forze sociali dicono di voler costruire un unico problema della crisi della Sardegna, ma quella crisi è la crisi della nostra impossibilità di dare risposte, vanificando anche quell'autorevolezza che ai tavoli del Governo avrebbe posto alcune condizioni di prudenza.
Noi dobbiamo sfondare il Patto di stabilità in maniera programmata, per metterlo al servizio dei bisogni, della fame e della storia di questa Sardegna. Noi siamo qui per servire gli altri, e se è necessario dare la sensazione che ci si ribella a norme che sono in contrasto con la natura della nostra autonomia, lo si faccia, ma - io l'ho detto stamattina ai miei colleghi - semplicemente per obbligo di mandato, non per un senso di appartenenza. L'ho detto in Commissione: non ha senso differenziarsi tra forze politiche in questo contesto, non ha senso, è da imbecilli! Ma proprio per questa ragione dobbiamo compiere dei gesti veri, inviare dei segnali importanti che possano anche aiutarci a compensare le distrazioni di qualche anno, di molti anni, sul terreno della difesa degli interessi della nostra Isola.
E' sempre meglio ottenere un piccolo risultato, piuttosto che coltivare l'ambizione di un'utopia, perché l'utopia rimane utopia, noi vogliamo invece arrivare a difendere quello che già abbiamo. Ecco, se tutti noi diventassimo meno burocrati della politica e più genitori di figli che devono pensare al loro futuro, beh, io credo che avremmo un atteggiamento diverso, e anche la nostra presenza in quest'Aula avrebbe un senso diverso; scriveremmo meno lettere di protesta e saremmo qui a condividere insieme l'idea che i nostri padri ci hanno lasciato - non senza sacrifici, non senza fatiche, non senza dolori - quella secondo la quale la politica è soprattutto ricordarsi di avere la memoria per coloro che ci hanno lasciato un patrimonio in eredità.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Francesco Meloni. Ne ha facoltà.
MELONI FRANCESCO (Riformatori Sardi). Presidente, colleghi, so che questo intervento susciterà qualche polemica, per cui cercherò davvero di limitarmi a poche parole che ritengo indispensabili per chiarire il mio pensiero e il mio voto su questa risoluzione. Io ho la sensazione che si stia facendo una cosa un po' troppo semplice: "Lo Stato ci toglie i poteri, lo Stato ci toglie l'autonomia, lo Stato è cattivo, diamo addosso allo Stato".
Va bene, io capisco il punto di vista, capisco che si possa anche essere d'accordo con questo, ma non me la sento di condividere il grido di dolore che sale da quest'Aula e, soprattutto (ma io non sono un vero politico, quindi può darsi che mi sbagli) non mi pare che questo grido di dolore sia così condiviso dai sardi. Ho invece l'impressione che i sardi siano impressionati più che dalle misure dure varate dall'Esecutivo, da quelle ancora più dure varate dalle Procure della Repubblica: più dalle prodezze di Fiorito e Maruccio, che dall'ipotizzata riforma del Titolo V; più dai provvedimenti giudiziari che imperversano purtroppo un po' su tutte le Assemblee in Italia, che dal fatto che lo Stato si riprenda il controllo della sanità o dell'ambiente.
Colleghi, bisogna che ce lo diciamo onestamente: non abbiamo dato un grande esempio in questi anni (e non mi riferisco, sia ben chiaro, solo a questa legislatura); non abbiamo risolto i troppi problemi dei sardi, anche se ci hanno eletti proprio per svolgere quel compito. Mi pare che emerga complessivamente un quadro - che, peraltro, coinvolge anche i comuni - che fa capire che con i livelli di etica della classe dirigente italiana e sarda di oggi, più si abbassa il livello decisionale vicino alla gente e più aumenta il rischio di pasticci se non, purtroppo, di vera e propria corruzione.
Io mi rendo benissimo conto di quello che ho detto e che sto dicendo, e mi aspetto aspre reprimende dalle vestali del rigorismo democratico e localistico, ma, guardate bene, pensate alla situazione, non possiamo continuare a non fare neppure quel poco che le leggi e le istituzioni oggi ci consentono, e poi gridare allo "Stato cattivo" che non ci dà i soldi e che non ci lascia fare quello che vogliamo, se quello che possiamo fare non lo facciamo.
E' vero, come ripete spesso il collega Maninchedda, abbiamo una massa manovrabile che è inferiore a 1miliardo di euro e quindi non possiamo fare miracoli. Qui nessuno si è pagato le vacanze in costa Smeralda con i soldi dei Gruppi, ma siamo davvero sicuri che abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare? Siamo sicuri che non abbiamo sprecato o speso male i soldi che la gente, dopo esserseli sudati, ci ha affidato con le tasse per avere servizi efficienti?
Io ho difficoltà onestamente a sottoscrivere questa risoluzione, che pure presenta molti aspetti condivisibili. Ho difficoltà a sottoscriverla per i toni generali, per la situazione che si è creata nel Paese, per il deficit di credibilità in cui tutti, volenti o nolenti, colpevoli o innocenti, siamo caduti. E, badate bene, non voglio cadere nel populismo, non voglio fare di tutta l'erba un fascio, io mi considero personalmente un galantuomo che in questi anni si è guadagnato lo stipendio fino all'ultimo centesimo, ho fatto del mio meglio e mi sono impegnato fino in fondo, se non sono riuscito a fare di più è perché non ero capace di fare di più, e credo che la maggior parte di voi possa dire a ragione la stessa cosa, in questa, come nelle passate legislature.
Ciononostante il quadro generale che emerge è desolante: abbiamo fatto promesse enormi e non le abbiamo mantenute, abbiamo fallito, ed è da 15 o vent'anni che questo succede; non è un caso se ogni 5 anni, quando i sardi vanno a votare, cambiano completamente il quadro politico e la classe dirigente. Il collega Sanna ha appena descritto, in maniera magistrale, com'è nato quello che lui ha chiamato disegno autonomistico, delle idee, delle aspirazioni, dei sogni di coloro che l'hanno ispirato; siamo sicuri che vi abbiamo fatto fronte? Non solo noi, e non solo in questa legislatura, torno a ripetere. Siamo proprio certi che siamo nella situazione etica di chiedere più autonomia per le regioni, più soldi per le regioni, più responsabilità per le regioni? Siamo stati davvero all'altezza del compito in questi anni? E non sto parlando della Regione Sardegna, sto parlando proprio del sistema regionale in generale.
Ci sono stati comportamenti eticamente sopra le righe - ripeto, non tanto e non solo in Sardegna - che ci hanno coinvolto tutti in vicende nelle quali la stragrande parte di noi è certamente estranea. Io non sono affatto stupito da questa ondata anti regioni che sorge e temo cresca nel Paese, e mi sorprende ancora meno che lo Stato intervenga così pesantemente, ma - e lo dico con grande dispiacere - non sono affatto contento, temo che lo Stato, il Governo, stia facendo quello che la gente vuole e chiede a gran voce.
Io finisco qui, do per scontato che riceverò qualche rimprovero per scarsa fiducia nell'autonomia, voterò a favore di questa mozione per disciplina di Gruppo, l'avrei fatto più volentieri se in questa risoluzione vi fosse stato un onesto atto di autocritica, un laico atto di autocritica, un'ammissione di colpa e responsabilità che, al di là delle giustificazioni ragionevoli e condivisibili che sicuramente noi abbiamo per i nostri comportamenti - politici, non etici, ovviamente - non possiamo negare.
D'altra parte non condivido neanche quella che mi sembra essere una sostanziale restrizione dei poteri e dell'autonomia degli enti locali, sia pure giustificata dal malaffare che sta emergendo sotto la spinta delle Procure. Non la condivido proprio e quindi questo, nel mio voto favorevole alla risoluzione, mi allevierà un po' la coscienza.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Salis. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Signora Presidente, concordo con le note di pessimismo del collega Meloni che ha testé concluso il suo intervento, ma dobbiamo anche essere coscienti del fatto che se questi provvedimenti governativi sono stati presentati e approvati in fulminea sincronia con l'opinione pubblica - che giustamente si rivolta non contro la politica, ma contro le esasperazioni e, come dire, la vergognosa dinamica di una minoranza di politici che hanno negato l'essenza stessa del loro impegno pubblico- è anch'esso un fatto che merita considerazione.
Io penso che la risposta di oggi del Consiglio regionale della Sardegna debba tenere conto della difficoltà in cui versano attualmente le istituzioni, che sono oggetto, anche per loro colpa, di un attacco inusitato. Mi sembra di poter dire che neanche nel periodo più alto della fase di Tangentopoli le istituzioni regionali e locali si siano trovate sotto attacco come in quest'ultimo periodo. E allora è ben vero che la politica deve fare tesoro di questi errori, deve riuscire a governare questi processi e dare di sé un'idea migliore di quella che ha dato finora, deve riuscire a rigenerarsi, ma è anche vero che noi dobbiamo avere la forza di reagire a un tentativo di utilizzazione strumentale di questo tipo di problemi per imporre un taglio e una limitazione fortissima della democrazia e dei principi dell'autonomismo che sono stati il frutto di battaglie, lotte, riflessioni e dibattiti di intere generazioni.
Caro collega Meloni, io rispetto profondamente il suo "sfogo" di oggi; noi dobbiamo però evitare di pensare che adesso, oggi, in questa situazione non possiamo non rispondere perché il meccanismo che si sta attivando nelle istituzioni, non solo regionali, ma anche nazionali ed europee, è un meccanismo che sta imponendo una progressiva centralizzazione delle decisioni, quella che molti studiosi del recente passato paventavano come l'avvento di una sorta di tecnocrazia invasiva che avrebbe portato, a loro dire, alla limitazione (fino alla cancellazione) degli strumenti democratici così come sono stati determinati dalla storia.
Io sono dell'avviso - e per questo sosteniamo con forza questa risoluzione - che questa battaglia per la difesa dei valori autonomistici della Sardegna (ma complessivamente delle autonomie locali) sia una battaglia assolutamente necessaria. Badate, noi abbiamo criticato come forza politica il fatto che, per esempio, in Parlamento sia passata, senza la benché minima discussione o il minimo approfondimento teorico, la modifica della Costituzione sul pareggio del bilancio, così come è stata approvata e sostenuta la filosofia del fiscal compact, così come è stata approvata, in maniera (a nostro avviso assolutamente insopportabile) la filosofia dell'asservimento degli interessi nazionali e della democrazia e dell'autonomia delle istituzioni locali ai disegni di una tecnocrazia sempre più forte e sempre più invasiva che ormai determina (o sembrerebbe dover determinare) tutti i percorsi delle democrazie e delle istituzioni.
E' un momento molto difficile, molto complesso e molto impegnativo. Ognuno di noi, come forze politiche, chi più chi meno, è stato colpito dalle degenerazioni del sistema della politica, ma di degenerazioni si tratta. Ecco perché sia a livello individuale sia come gruppi politici, sia come istituzioni, noi dobbiamo avere la forza di difendere le elaborazioni teoriche e le battaglie dei nostri predecessori. La bandiera dell'autonomia della Sardegna non può essere ammainata sotto la spinta di colpe che pure la politica ha.
Noi non possiamo assolutamente non vedere il disegno che è sotteso dietro questi provvedimenti. La linea politica che segue il Governo Monti è stata abbastanza chiara e precisa fin dall'inizio: la linea è quella di limitare fortemente le prerogative delle istituzioni, dei consessi istituzionali. Il fatto che un Governo vada avanti a forza di fiducie, rinnovate quasi settimanalmente, che il ruolo del Parlamento sia diventato quello di notaio di decisioni che vengono assunte a Palazzo Chigi o, peggio ancora, dalla "troika" europea, è un elemento che dovrebbe far riflettere, al di là del consenso mediatico che questo Governo ha senza ombra di dubbio, perché è sostenuto da tutte le grandi fonti di informazione presenti in Italia.
Fin dalla nascita di questo Governo, quindi, si registra il tentativo di limitare fino ad esautorare i poteri democratici delle istituzioni. Per questo io auspico che gli ultimi provvedimenti governativi che le regioni (così come il Consiglio regionale della Sardegna oggi, ma anche tutte le altre regioni) stanno affrontando in queste ore, portino alla stessa conclusione che porta la nostra risoluzione, e cioè esprimano la preoccupazione che il clima complessivo dell'antipolitica, che spesso è stato alimentato proprio dalla peggiore politica che potesse essere attivata, porti a limitare fortemente e a cancellare i meccanismi della democrazia e dell'autonomia dei consessi istituzionali, conducendo ad una sempre più chiusa concezione dei gruppi di potere, restringendo sempre di più le aree e i punti dell'economia e della politica per arrivare ad uno snaturamento totale della democrazia, togliendo quelle che sono le basi fondanti della partecipazione e dell'intervento del popolo nelle decisioni importanti che sono legate all'attività politica. Noi esprimiamo questa preoccupazione...
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Giacomo Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Come Gruppo non faremo certamente qualcosa che possa indebolire questa risoluzione in un voto unitario dell'Aula. Non parteciperemo al voto, ma quello che più in questo momento ci tiene dentro con amarezza è quello che non è stato portato all'attenzione dell'Aula stessa.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSSA
(Segue SANNA GIACOMO.) Noi riteniamo che l'esperienza autonomistica vissuta fino ad oggi abbia fatto parte della storia della Sardegna, e quando si parla di storia si accetta tutto: sia la parte positiva sia la parte negativa, perché entrambe sono patrimonio di quest'Isola.
Noi abbiamo sempre ritenuto che fosse arrivato il tempo di andare oltre l'autonomia. Abbiamo rimarcato, abbiamo utilizzato aggettivi diversi a seconda della circostanza perché la parola indipendenza ha sempre un po' intimorito chi indipendentista non lo è mai stato, ma non chi nella non dipendenza e della non dipendenza ha fatto una bandiera, e qua dentro ce ne sono molti. Nessuno di noi, infatti, credo voglia appartenere a quella parte della politica sarda che negli anni si è adeguata, ha fatto quasi da zerbino e che nel momento in cui c'era da risollevare la testa ha continuato a tenerla giù.
Quest'Isola ha necessità di una scossa forte per riprendere a credere in qualcosa, in quel qualcosa che abbiamo dentro di noi e che difficilmente riesce ad emergere. Io pensavo che in momenti come questo, dove l'appartenenza è qualcosa che unisce e che trova significato, si potesse fare qualcosa di più forte. Io credo che quello che stiamo facendo adesso sia un po' riduttivo rispetto ad un ordine del giorno che mette in mora il Governo italiano.
Capisco anche il momento, però mi meraviglia che poi, anche sui quotidiani di oggi, in una intera pagina un ex Presidente della Giunta regionale parli della necessità di riscrivere il patto tra noi e lo Stato italiano. Quel patto noi stiamo cercando di scriverlo da anni nel modo più democratico, quel modo più democratico che lui ha combattuto per primo. Perché mentre noi eravamo e siamo convinti che l'Assemblea costituente sia uno strumento di democrazia e di forza per condurre quest'Isola verso un percorso veramente diverso da quello intrapreso sino a questo momento, oggi chi per primo l'ha combattuto appare sulla stampa quasi come colui che lo vuole proporre.
Io vorrei ricordare che all'onorevole Soddu, nell'83, è bastata una telefonata per impedirgli di costituire la Giunta autonomistica, una telefonata da Roma del suo segretario. Anche quello fa parte della storia. Qualcuno dirà che forse il momento politico non era maturo per fare determinate cose, così come noi diciamo che adesso invece è maturo il momento della non dipendenza per capire che occorre impostare un discorso di carattere unitario fra di noi, senza nessuna bandiera, senza nessuna primogenitura ma con un obbligo unico: quello di lottare per noi stessi e di farlo finalmente nel modo più chiaro, più limpido, non andando a crocifiggerci quasi dicendo che siamo più responsabili noi di quanto non lo siano gli altri.
L'autonomia è stata una ricchezza e come tale va difesa per andare oltre, ma se dovessimo noi per primi rinunciare a quella che è la parte più importante della storia di quest'Isola non ci sarà un passaggio successivo migliore. Altro che non dipendenza, altro che sovranità! Nel momento in cui si deve decidere arriveremo alla conclusione che siamo uguali agli altri, il centralismo romano deciderà che siamo uguali agli altri, poi quando si affronteranno i temi peculiari di un'isola come questa, le diversità emergeranno. E allora non potremo cospargerci la testa di cenere perché saremo fuori tempo massimo.
Guardate, siamo davanti a un colpo di Stato, perché si è abbassato enormemente il livello di democrazia. Con furbizia il Parlamento italiano - quel Parlamento italiano dove molti di voi reggono questo Governo, ed è questa la vostra responsabilità, e ne pagheremo il conto- è riuscito con intelligenza mediatica a dire, prima, che erano i piccoli comuni che disturbavano (e bisognava relegarli e metterli assieme, cancellare le loro identità di territori) poi ha detto che le province non hanno significato alcuno (e abbiamo contribuito a cancellarle) adesso sta mettendo in discussione anche le regioni.
Ma i conti dei Gruppi dei partiti che siedono in quel Parlamento, le regole che loro si sono dati e che noi abbiamo copiato e in base a queste negli anni ci siamo disciplinati, sono regole valide? Non lo sono più? Le riscrivono per loro stessi e ce le trasmettono in modo che possiamo adeguarci. La democrazia serve anche a questo. Il denaro pubblico è a Roma, il denaro pubblico è qua, da tutte le parti.
Quindi questa strumentalizzazione che si sta facendo - e purtroppo devo dire che nelle regioni ci si è attivati perché questa strumentalizzazione potesse emergere in un modo quasi nauseante - non può portare a fare di ogni erba un fascio. Non può far venir meno il nostro modo di essere, non può cancellare la nostra identità, non può cancellare la storia di quest'Isola. Occorre avere la capacità di scrivere pagine diverse, migliori possibilmente, per dare, come diceva Gian Valerio, ai nostri figli qualcosa di meglio di quello che abbiamo avuto noi, non di cancellare tutto pensando che così, nel deserto più assoluto, nell'arretramento, le cose possano cambiare in meglio: cambieranno in peggio per tutti quanti, ed è la dimostrazione, basta leggere.
Poi parleremo del titolo quinto, adesso mi limito a portare un esempio: linee di navigazione. Lo Stato italiano non ha competenze sulle linee di navigazione perché il titolo quinto attribuiva le competenze alla Regione. Oggi invece casualmente riscrive quel titolo quinto per che cosa? Per impedire che quella legge che abbiamo approvato l'altro giorno sulla flotta sarda possa andare avanti e che le competenze ritornino a loro in modo tale che ci possano dire: "Non la potete fare". Perché solo così possono dircelo, e fanno qualcosa di unico contro di noi.
Può essere motivo di ribellione questo? Possiamo stare a guardare? Io credo che si debba motivare con maggior forza, si debba far capire che non ci arrenderemo. Molti di noi non hanno più voglia di stare in quest'Aula, non ci ritorneranno, io per primo! Ma chi verrà dovrà avere la possibilità di dare il meglio, di poter lavorare, di potersi impegnare, di avere strumenti per poterlo fare. Così facendo c'è il rischio di relegare quest'Aula a un semplice consiglio circoscrizionale che esprime solo pareri consultivi, che non può fare altro perché la prepotenza del comune di turno riesce a chiudergli i varchi e a non lasciar passare niente e a non decentrare.
Qua c'è un ritorno al passato, guardate, ma al passato di altri tempi, quando la democrazia era un optional, quando la democrazia non si poteva neanche richiamare all'attenzione della gente. Questo è il livello nel quale ci stiamo confrontando. Ecco perché dico che se riuscissimo ad "incavolarci" una volta di più di quanto abbiamo fatto sino ad adesso, se la rabbia entrasse veramente nei nostri animi forse riusciremmo a trasmetterla anche fuori da questa'Aula.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.
DIANA MARIO (Sardegna è già Domani). Presidente, se non fosse che siamo in una seduta che per certi versi può essere considerata una seduta storica, mi sarei misurato con il collega Franco Meloni probabilmente su argomentazioni diverse. Dico questo perché ci sono dei momenti nei quali ci si misura in rappresentanza delle rispettive parti politiche, ci sono dei momenti nei quali ognuno di noi si dovrebbe ricordare a che titolo è presente in quest'Aula, e che tipo di giuramento ha prestato quando è entrato in questa'Aula. Beh, io non me ne voglio dimenticare!
Io credo di essere in quest'Aula in rappresentanza di un popolo sardo che mi ha investito con il voto, e ha investito peraltro tutti i colleghi presenti, e ho prestato un giuramento. Sono qui in rappresentanza di un popolo che ha partecipato a libere elezioni e che conosce bene la storia della Sardegna, che conosce bene il nostro Statuto, la nostra Carta costituzionale, e in base a quello Statuto di rango costituzionale tutti quanti noi ci siamo presentati alle elezioni, e nel momento in cui siamo stati eletti abbiamo il dovere di difenderlo. Poi decideremo come difenderlo; certo è che non si può abdicare, non si può abbandonare la difesa, perché in forza del voto popolare siamo qui, e in forza di quello dobbiamo difendere la specificità e l'autonomia della Sardegna, che ci si creda o che non ci si creda!
Se ci presenteremo in altre competizioni elettorali, magari nella prossima legislatura, potremmo anche dire che noi all'autonomia di quest'Isola non ci crediamo più, però in quel caso ci dovremmo presentare con quell'intendimento dichiarato. Ma nel momento in cui siamo presenti qui, io credo che sia necessario ed indispensabile mettere da parte un attimo le istanze che abbiamo tutti quanti per molti anni mandato avanti appartenendo a delle formazioni politiche.
Io per esempio provengo da un partito che non era né di questa Repubblica, né della prima Repubblica, ma risale ad assai prima, e fu uno di quei partiti che si schierò apertamente contro le nuove regioni. Però non fece mai proclami contro le Regioni a Statuto speciale, mai, in nessun momento. Faccio questo riferimento storico perché credo che sia fondamentale. La Repubblica italiana non è nata come tale, è nata perché sono state riconosciute all'interno di questa Repubblica tutta una serie di specificità che poi sono maturate con le Regioni a Statuto speciale.
Dico di più: c'è una delle Regioni a Statuto speciale, che è la Sicilia, che mi pare sia stata citata anche dal collega Cuccureddu, che prima ancora che esistesse la Repubblica aveva già un suo Statuto approvato durante la monarchia. Noi non l'abbiamo voluto approvare allora, nel '46, abbiamo tardato (il nostro è stato poi approvato nel '48, per problemi nostri) ma il riconoscimento ce l'avevamo già da allora, con una forma di governo completamente diversa che era la monarchia. E in forza di che cosa avevamo questo riconoscimento? In forza di moltissime ragioni che sono contenute nella Carta costituzionale e che noi abbiamo l'obbligo di difendere.
E allora se abbiamo quest'obbligo - la mia ovviamente non vuole essere una critica al collega Franco Meloni di cui apprezzo tutto, perché persona stimabilissima sia dal punto di vista personale sia dal punto di vista politico- noi siamo qui in rappresentanza di un popolo che ci ha eletto e che ci ha delegato a rappresentarlo. La mia non vuole essere una critica, credo di essere stato il primo a dire che in Italia c'è stato un colpo di Stato. L'ho detto all'indomani dell'incontro a Palazzo Chigi col Presidente della Regione, con il collega Giampaolo Diana e con la Presidente del Consiglio e altri. Lo dissi allora: il colpo di Stato non l'ha fatto il Presidente Monti, il colpo di Stato è stato fatto da altri che avrebbero dovuto avere l'obbligo di salvaguardare l'unità dell'Italia, della Repubblica, e che avrebbero dovuto avere, e dovrebbero avere ancora quell'obbligo che gli viene riconosciuto oggi da una lettera che il Presidente della Regione scrive a nome della comunità sarda al Presidente della Repubblica.
Ora, non lo dico per criticare, però si dimentica il Presidente della Regione che qui c'è un Consiglio regionale, che non è un Consiglio regionale normale, non è un Consiglio di una Regione a Statuto ordinario, perché questo Consiglio regionale e ciò che rappresenta ha una potestà esclusiva, e in forza di questa potestà esclusiva io credo che noi dobbiamo far valere le nostre ragioni. E le nostre ragioni si fanno valere - lo ha accennato mi pare il collega Gian Valerio Sanna - con la forza delle idee.
Guardate, non parlo di battaglie di piazza o di popolo (servono anche quelle in certi momenti) però credo che se siamo veramente coloro che vogliono rappresentare l'autonomia di quest'Isola, dobbiamo essere autentici interpreti di coloro che nel '48 (ma anche prima ancora del '46) si impegnarono a che la Regione Sardegna venisse collocata in una posizione totalmente diversa dal resto delle altre regioni d'Italia, che già erano state ipotizzate da Sturzo e De Gasperi, quindi non abbiamo inventato niente.
Nel '70, allorché vennero istituite le regioni a Statuto ordinario, si volle ridurre l'Italia in pillole, ma nel '70 noi non eravamo una pillola, noi eravamo parte integrante, e siamo parte integrante della Repubblica italiana, e la Repubblica esiste perché esistono anche le regioni a Statuto speciale. Poi nella risoluzione io sono stato uno di coloro che ha suggerito il riferimento storico, perché è indispensabile, e chi dovrà tutelare in tutte le sedi questa Regione lo dovrà far capire.
Non è un problema di Monti! Monti rappresenta un Governo non investito dal voto popolare, rappresenta un Governo che è lì per esigenze che sono le più disparate, che probabilmente non sono le esigenze della Regione sarda. Io non me la sento neanche di mettere sotto accusa il Governo Monti, perché la pressione della piazza ha colpito anche quel Governo, e non doveva essere colpito dalla piazza, perché considerato il contenuto del decreto legge, io mi chiedo: ma è questa la soluzione dei problemi? Si sta disegnando un'architettura diversa per la nostra Nazione? Perché se è così, è ancora di più un colpo di Stato.
Per costituire la Repubblica italiana fu necessario eleggere un'Assemblea costituente, non si fece con una legge normale o con una legge di tipo costituzionale, no! E allora io credo che noi dobbiamo avere la capacità di combattere con le idee, più che con i grandi movimenti di piazza (serviranno anche quelli, ripeto, se non funzioneranno altri strumenti) ma la storia deve essere la nostra strada maestra.
Io oggi mi sarei aspettato la presenza del Presidente della Regione, c'è il Vicepresidente della Regione che è pienamente titolato a rappresentarlo (ci mancherebbe altro!) però, guardate, la partita è appena iniziata, tutto ciò che noi porteremo avanti in quest'Aula sarà un elemento determinante di sostegno a tutte le istanze del Presidente della Regione e di chi lo rappresenta, in tutte le sedi. Gradirei anche che ogni volta che ci fosse un incontro con le autonomie locali, assessore La Spisa (lo dico a microfoni spenti) questo Consiglio venisse preventivamente informato.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Dedoni. Ne ha facoltà.
DEDONI (Riformatori Sardi). Presidente, colleghi, oggi, di fronte a questa risoluzione numero 11, credo che occorra aprirci e comprendere quale sia l'esatta valenza del documento che dobbiamo approvare. Se si tratta, infatti, della solita mozione, che richiama altre mozioni che poi vanno trasmesse a Roma senza che si ottenga alcun risultato, avremmo fatto assai poco nella difesa di quell'autonomia in cui tutti noi crediamo. Se invece così non è dobbiamo essere attenti.
Io ho colto perfettamente quello che ha detto l'onorevole Giacomo Sanna: dovremmo trasmettere la rabbia nella gente. Io ritengo invece che dobbiamo cominciare a trasmettere nella gente ragionamenti, perché capiscano sino in fondo quello che effettivamente si sta verificando seguendo soltanto i motti popolari. Noi comprendiamo le difficoltà che attraversano le regioni d'Italia per ciò che si apprende dai giornali e dai mass media; è inutile insistere sui Fiorito di turno. Credo però che, aldilà dei Fiorito, ci sia una concezione etica e morale che deve venire a galla nella classe politica e, se questo non basta, nella futura classe politica a cui dovremmo dare il buon esempio.
Allora, noi attraversiamo una situazione di crisi finanziaria dovuta all'incremento del debito pubblico e alla necessità di ridurlo, ma per ridurre il debito pubblico si dice che occorra ridimensionare il sistema istituzionale, soprattutto quello regionale che, attraverso la spesa sanitaria, ha fatto sì che questo debito crescesse in misura abnorme. Questo è quello che si dice in Parlamento, quello che si dice nel Governo, per questo si arriva in tarda notte a firmare i decreti che conosciamo e che contestiamo. La realtà è che non si vuole solo dire basta ad una spesa ingiustificata, ma si vuole soprattutto livellare complessivamente un sistema istituzionale di cui la spesa è solo un pretesto
Giustamente si è ricordato che la nostra autonomia non solo trova le sue radici nel 1946, ma è un portato di tutti quelli che rappresentavano a vario titolo la Sardegna nel Parlamento Cisalpino prima e nel primo Parlamento italiano poi. Penso a Giorgio Asproni, alle rivendicazioni per la nostra Isola, per la nostra insularità! Passato il primo dopoguerra, dopo il rientro dei fanti che (dopo aver combattuto per allargare l'Italia e per renderla quella che è nella sua ampiezza) aspettavano una risposta ai tormenti di quest'Isola, nel secondo dopoguerra finalmente si ottenne l'autonomia, quel gattino che avrebbe ruggito come un leone, se avessimo accettato la decisione di estendere alla Sardegna lo Statuto della Regione Sicilia.
Però dobbiamo anche interrogarci: abbiamo fatto buon uso dell'autonomia nella nostra Isola? E' vero che forse da 60 anni a questa parte tutto quello che è stato fatto non è il meglio di quello che potevamo produrre per dare al popolo sardo una situazione migliore di vivibilità civile, di infrastrutture, un sistema economico che fosse più all'altezza dei tempi? O dobbiamo ricordare - come fa oggi un ex Presidente della Regione, dalle pagine del giornale - che abbiamo un territorio pieno di macerie? Ma a quelle macerie hanno contribuito in molti, forse anche l'ex Presidente, quando si è scelto un certo tipo di industrializzazione.
Vogliamo continuare in questo tipo di industrializzazione forzata tenendo comunque in piedi industrie che sono decotte e che è impossibile risollevare? Dovremmo interrogarci se sia un bene per la nostra autonomia continuare a non aprire un dibattito serio su un progetto di sviluppo che superi le difficoltà attuali! Dovremmo interrogarci se saremo capaci di vincere inseriti nel contesto della mondializzazione di una crisi finanziaria che ha inferto i suoi colpi anche nel sistema produttivo più generale, che ha registrato le sue ripercussioni più forti in un'Europa indebolita nel suo euro.
Bene, è vero che dobbiamo pensare a come risolvere quei problemi (dobbiamo concorrere tutti insieme, certamente) ma non si può accettare, non che venga dimezzata la nostra autonomia (cosa neanche pensabile) ma non si può nemmeno pensare che si debba essere trattati in questa maniera, in modo iniquo, da un Governo che taglia non solo l'ordinario ma anche lo straordinario, quello che comunque c'era dovuto!
E' vero che forse si è perso troppo tempo in quest'Aula a discutere mozioni e contro mozioni, anziché approvare leggi serie e di riforma! Ho sentito anche oggi il Presidente della Repubblica che, in risposta ai Presidenti delle Regioni, diceva che bisogna cominciare a pensare di trovare soluzioni alla crisi e agli sperperi, alle condizioni di malo uso del denaro pubblico, ma non bisogna smantellare il sistema regionalistico, ancor meno quello autonomistico, aggiungo io. E forse sarebbe ora che venisse attuato quel riordino preventivato delle province.
Noi abbiamo una scadenza, cari colleghi: entro meno di un mese scadono i termini fissati da una legge che noi stessi abbiamo approvato e che dice basta alle province, che prevede un riordino delle province. Cosa abbiamo fatto? Non possiamo guardare a ciò che hanno fatto gli altri se prima non guardiamo a ciò che abbiamo fatto noi stessi! Non è un voler criticare una mozione, è un voler ricordare a noi stessi se abbiamo adempiuto compiutamente a tutti i nostri doveri, se effettivamente abbiamo perseguito l'interesse del popolo sardo in tutte le sue istanze.
Allora io mi domando, come giustamente si domandava l'onorevole Sanna: si vorrà riprendere, attraverso un Titolo quinto innovato, quello che a suo tempo fu un golpe parlamentare (perché il titolo quinto venne modificato a fine legislatura) che pianificava già da allora la fuoriuscita delle regioni a Statuto speciale (perché le altre regioni potevano modificare il loro Statuto a loro piacimento mentre noi, restiamo legati ad un sistema di Statuto costituzionale)? Ebbene, forse è vero, forse c'è qualche Ministro che pungola affinché le Compagnie delle Indie di vecchia concezione, in cui oggi la CIN si identifica come Tirrenia, possano essere ancora una volta giustificate dallo Stato! Ma noi cosa abbiamo fatto per far comprendere che volevamo tutelare al meglio le potenzialità e le possibilità delle nostre occasioni di sviluppo?
In conclusione voglio dire che noi, come Gruppo, voteremo a favore di questa risoluzione, ma credo che sia ora di aprire un dibattito serio all'interno di questo Consiglio regionale per poter verificare quale sia veramente la voglia e il desiderio di dare risposte serie al popolo sardo, attraverso un programma di sviluppo per il prossimo futuro. Se non faremmo questo resteremmo in mano ai forcaioli, in mano a chi protesta e basta senza offrire risposte di prospettiva. E proprio sulla capacità di offrire risposte di prospettiva si misura la qualità di una classe dirigente.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Uras. Ne ha facoltà.
URAS (Gruppo Misto). Io ho giurato più volte, in ruoli diversi, di difendere la Costituzione repubblicana, questo lo dico a chiunque sia in grado di sentire. C'è gente come me che intende farlo perché per quella Costituzione tanti sono morti, sono morti in condizioni di prigionia, sono morti sui campi di battaglia, sono morti nelle città oggetto della violenza della guerra, e, così come richiama l'articolo 116 ("Il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia secondo i rispettivi Statuti speciali") pezzo fondamentale di quella Costituzione è anche il nostro Statuto speciale. Quindi io intendo difenderlo, difendere la Costituzione repubblicana in questo suo contenuto, anche dall'aggressione di poteri dello Stato.
La Repubblica è costituita da Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane e dallo Stato, e c'è nella nostra Costituzione il principio della sussidiarietà e della equiordinazione dei livelli istituzionali; ogni livello istituzionale raccoglie l'espressione della volontà popolare in funzione del loro governo, che è governo dei problemi. Però gli interessi che muovono questo Governo che opera alla guida dello Stato, non sono interessi generali tutti quanti considerati e valutati in modo equo (perché questa era la parola d'ordine del risanamento della finanza pubblica); l'equità è stata dimenticata e la finanza pubblica ancora una volta viene gestita nell'interesse dei più forti, viene gestita contro i più deboli, e la debolezza non è soltanto una debolezza sociale è anche una debolezza territoriale.
Noi siamo regione di periferia, l'unica isola di questa Repubblica dove, per spostarci, abbiamo bisogno di attraversare il Tirreno, per ricongiungerci con il continente italiano abbiamo bisogno di viaggiare in nave e in aereo. Non siamo uguali a quelli che vivono a Roma e che battono alle casse del Ministero attraversando la strada; per noi la distanza ha un valore! E non è un caso se nei provvedimenti, nelle riforme istituzionali che si propongono, la Sardegna sia stata slealmente abbandonata al suo destino sotto il profilo occupazionale, sotto il profilo sociale, sotto il profilo economico!
Quali sono le vertenze, Assessore, che lo Stato ha chiuso delle decine e decine di vertenze di cui ci racconta? Hanno ripreso a lavorare negli impianti dell'alluminio i lavoratori dell'Alcoa e di Euroallumina grazie agli interventi di finanza pubblica del Governo Monti? Hanno ripreso a lavorare i lavoratori della Vinyls? Hanno ripreso a lavorare i precari della scuola? Hanno ripreso a lavorare i lavoratori di Ottana? Hanno ripreso a lavorare, e hanno solidificato, rilanciato e rinnovato le proprie aziende, i pastori della Sardegna? Qual è il beneficio che noi abbiamo tratto dal Governo Monti!?
Rubano a Roma, a fianco alla stanza del Presidente del consiglio, ruba un capogruppo di un partito, che è partito che sostiene il Governo, e cancelliamo le Regioni! La risposta non è un decreto penale, la risposta è la cancellazione delle autonomie regionali, è la cancellazione di un pezzo di Costituzione, è la cancellazione dello Statuto speciale della Sardegna, delle sue prerogative!
Si vuole procedere ad una riduzione delle spese della politica? Diciamo meglio: si vogliono ridurre al minimo le prerogative dei consiglieri regionali di tutta Italia, ivi compresi quelli di questa Regione? Siamo d'accordo, scrivano quello! Che cosa c'entra inserire "norme civetta" per nascondere un taglio di miliardi di euro destinati alla finanza locale che sarebbero serviti per risolvere i problemi della gente, per risolvere i problemi di coloro che patiscono la fame? Cosa c'entra?
Questo Governo, a cui lei Assessore deve garantire una ferma opposizione, questo Governo non può usare, come in un supermercato della legislazione, le norme civetta sul costo della politica, sulla riqualificazione morale della funzione di rappresentanza politica e di governo, per nascondere il taglio dei servizi della sanità, per nascondere il taglio dei servizi dell'istruzione, per nascondere il taglio dei servizi della mobilità e del trasporto. Non può fare questo e occorre che chi ha coscienza politica prenda il telefono e faccia sentire la sua voce.
Occorre che coloro che devono partecipare alle primarie e che si sono candidati, insieme a tutti coloro che vogliono confermare il proprio seggio in Parlamento, dicano che cosa pensano di questo, di come vive la nostra gente, lo dicano! Non stiano nascosti! Ogni tanto vengono, si prendono una pagina di giornale e chiedono: "a proposito, mi dà notizie sull'assestamento di bilancio che contiene le norme con le quali ci viene riconosciuto il finanziamento che lo Stato ha scippato alla Sardegna nell'articolo 8? Quando è che è stato approvato?" Non è stato approvato! Hanno riempito le pagine, avete gridato al successo! Il successo invece va meritato nella controversia aperta con lo Stato, con la mobilitazione!
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.
STERI (U.D.C.-FLI). Presidente, colleghi, questa discussione giunge dopo che io, a nome del mio Gruppo, ho più volte avuto occasione di intervenire su questi temi. Ho espressamente fatto un'attribuzione di colpa non personale ma alla politica che non in questa legislatura ma in tutte le passate legislature non ha dato risposte sufficienti. Questo è indubbio, dobbiamo fare il possibile per migliorare la nostra azione.
Ho già detto tante altre volte: lasciamo da parte le parole, lasciamo da parte i bisticci e quant'altro, c'è in atto un tentativo (ma non è più quello grossolano posto in essere dalla Lega con la famigerata e disgraziata legge sul federalismo fiscale, ma è un tentativo molto più fine posto in essere forse dietro la spinta degli ambienti finanziari) di comprimere, se non sopprimere, le autonomie, ivi comprese le autonomie speciali.
E' bastato attendere due o tre giorni per vedere che quanto temevamo si è concretizzato. I contenuti dei provvedimenti di cui parliamo li conosciamo tutti, non è questo il momento di soffermarsi su di essi, è evidente però che determinano una fortissima compressione delle autonomie locali, regionali, comunali, provinciali (se vogliamo parlare ancora di province nell'attesa delle riforma). E questa compressione viene realizzata con strumenti legislativi non idonei, perché gli strumenti idonei sono quelli delle riforme costituzionali.
La nostra Repubblica è nata dopo un lungo percorso; semplificando possiamo dire che il regno d'Italia nasce da una serie di aggregazioni di svariati Stati. In presenza di questa aggregazione l'unità in prima battuta è stata creata utilizzando la centralizzazione del potere, un potere quasi assoluto, centrale, che poi, a forma di piramide, si ripartiva sulla periferia del nuovo Regno d'Italia che era stato creato. E alla luce di questo percorso si può comprendere il significato della famosa frase: "Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani", ovvero quanto diceva Giolitti, già nella fine del 1800: "bisogna cambiare per conservare", bisognava creare una comunità.
La Repubblica ha modificato questo quadro; sicuramente l'elemento fondante della Repubblica è stato l'antifascismo, l'unità è stata creata sull'antifascismo. A fronte di questa unità creata sull'antifascismo vi sono state, in attuazione della Carta costituzionale, numerose modifiche, per cui il potere non è più un potere piramidale e centralizzato, è un potere reticolare, il che vuol dire che l'unità la si crea valorizzando le singole comunità e ponendo dei rapporti tra queste comunità. Ciò è stato poi confermato nel 2001 con la riforma del titolo quinto della Costituzione che ha novellato l'articolo 114.
Oggi infatti detto articolo recita: "la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato", e quindi non c'è più l'identità tra Repubblica e Stato. Ebbene, questo modello viene con questi provvedimenti fortemente compromesso.
Io in tutta la mia vita ho difeso la Costituzione, sbagliando come tutti, magari approvando qualche norma che è stata dichiarata incostituzionale, norme che erano volte a tutelare il diritto al lavoro, il diritto alla dignità delle persone. Questo voglio fare anche oggi, questo dobbiamo fare insieme anche oggi. Accettare questi provvedimenti, ferme rimanendo le nostre responsabilità, vuol dire minare l'unità dello Stato, vuol dire, per quanto riguarda la Regione Sardegna, condannarla a uno stato di sottosviluppo.
La situazione della Regione Sardegna, che è un'Isola, e quindi che non è collegata con il resto dello Stato italiano, è ben diversa da quella di tutte le altre Regioni, anche da quella delle altre Regioni a Statuto speciale. Fermo rimanendo quindi che dobbiamo dare ancora di più di quanto sino ad oggi abbiamo dato (e dobbiamo se è necessario essere presenti ogni giorno in questa Aula, lavorare anche fuori di questa Aula per poter ottenere risultati concreti) noi non possiamo accettare queste norme. E non si tratta di sposare o di cercare di giustificare ipotesi di malaffare, perché ipotesi di malaffare, quali quelle descritte dai giornali, sono lontane milioni di anni luce da questa Aula, dai comportamenti a cui questa Aula ci ha abituato.
Noi abbiamo sempre contrastato certe situazioni anche ponendo in essere autonomamente una serie di misure di contenimento delle spese che hanno inciso anche sul nostro trattamento economico, come c'era stato richiesto.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LOMBARDO
(Segue STERI.) In questa situazione non si possono sentire voci dissonanti; chi vuole difendere i sardi deve oggi essere concorde su questa linea di difesa. Potremo poi parlare di come procedere nelle riforme che devono essere realizzate, è un passo successivo, fermo rimanendo che nel momento in cui si pone un pregiudizio e si pongono dei limiti alla sussidiarietà si sta violando non solo la Costituzione ma anche il Trattato dell' Unione europea.
Cosa possiamo fare in questa situazione? Sicuramente dobbiamo cercare tutti insieme - e in questo la Giunta non può che essere, in quanto espressione del Consiglio, non può che essere dalla parte del Consiglio - dobbiamo cercare tutti insieme di alzare forte la voce, di coinvolgere effettivamente (ma non con manifestazioni che abbiamo visto non produrre risultati concreti, tipo stati generali o quant'altro) tutte le forze sociali e politiche affinché tutte facciano sentire la loro voce a Roma.
Noi facciamo parte di un partito nazionale, ma nel momento in cui sono in gioco gli interessi della Sardegna questo viene in secondo piano. Noi siamo pronti a combattere per la Sardegna con chi lo vorrà fare, saremo contro chi questo non farà, saremo contro chi non porrà in essere tutti gli atti necessari, ivi compreso il ricorso alla Corte costituzionale. Questo deve essere fatto, siamo disponibili, l'abbiamo sempre detto. L'abbiamo detto all'inizio della legislatura, lo ribadiamo oggi: noi siamo dalla parte dei sardi, siamo dalla parte della Sardegna, faremo ancor più di quanto abbiamo fatto fino a oggi per ottenere dei risultati.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà.
PITTALIS (P.d.L.). Presidente, colleghi, abbiamo accolto di buon grado l'appello, che ieri ha formulato il Presidente del Gruppo del Partito Democratico, di sospendere i lavori ordinari del Consiglio, pur anche nell'esame di un importante provvedimento come quello sanitario, per dare il giusto spazio all'esito delle notizie che ha riportato la Conferenza dei Capigruppo, la Presidente del Consiglio, e che abbiamo appreso dalle note di stampa. Lo abbiamo fatto e riteniamo che sia davvero importante oggi contrastare, con ogni strumento che mette a disposizione il nostro ordinamento democratico, un'azione che, probabilmente, non ha precedenti nella storia autonomistica.
Autonomia è una parola che forse tutti cittadini sardi conoscono, è una parola che impariamo da bambini, l'abbiamo sempre sentita ripetere, a volte in maniera appropriata, a volte siamo consci che se ne è fatto anche un abuso, a volte non l'abbiamo ben interpretata. Però è un qualcosa che ormai è nel DNA dei sardi, ed è nel DNA dei sardi perché significa avversione verso le istanze centralistiche di una cultura italianista.
Parafrasando Piero Calamandrei - purtroppo non sempre ascoltato testimone del suo tempo - forse oggi possiamo dire che i muri maestri della Carta fondamentale sarda sono stati cementati, come ricordava qualcuno, con il sangue e con le lacrime non certo della signora Fornero, ma dei nostri padri.
Allora, nella storia travagliata della nostra Isola, quella di questi giorni soprattutto, siamo davvero ad una svolta, e non possiamo continuare a rinviare il groviglio delle contraddizioni nel rapporto con lo Stato italiano e con il Governo nazionale. Non possiamo, e lo dico a quei consiglieri per i quali, anche nel dibattito odierno, è forte il richiamo all'appartenenza partitica o di schieramento. Penso che sia davvero arrivato il momento che questa Assemblea non riduca la circostanza ad una mera liturgia, di quelle che abbiamo visto nel passato anche recente, finita a tarallucci e vino. Sarebbe davvero poco dignitoso, per il ruolo e la funzione di questa Assemblea, ma lo sarebbe anche soprattutto in un momento in cui forse le negatività possono e debbono tradursi in un'opportunità per creare un momento di grande tensione e riprendere una strada, quella strada maestra di contrasto in nome e nell'interesse superiore dei sardi e della Sardegna.
Penso che dobbiamo utilizzare questo momento per avviare una grande fase di trasformazione complessiva e di rigenerazione della stessa nostra autonomia, senza perdere speranza e fiducia. Perché, come scriveva Emilio Lussu, molte cose sono sulla carta in Sardegna, ma vi è anche parecchio lievito in fermento, e noi riteniamo che sia venuto il momento di tirare fuori dalla carta le molte cose che il lievito di noi sardi ci permette di far fermentare e portare a maturazione.
Innanzitutto, non si può pensare di condurre una battaglia che rischia di avere come controparte non solo lo Stato italiano e il Governo nazionale, ma anche altre regioni che non sanno cos'è l'autonomia e la specialità, che non hanno vissuto la stessa vicenda storica, culturale, identitaria che ha vissuto la nostra Isola. Allora, bisognerebbe iniziare a far capire questo, iniziare anche a ribadirlo nei consessi dove si riuniscono i presidenti delle regioni e delle assemblee regionali. E deve essere chiaro che questo Consiglio regionale deve aprire a tutto campo un confronto con la classe politica che rappresenta la Sardegna nel Parlamento italiano, nella Camera dei Deputati e nel Senato, perché riteniamo che non sia sufficiente ( anche se è già qualcosa, rispetto al silenzio di molti altri deputati e senatori che sembra che non appartengano a questa terra) il comunicato stampa.
Noi, per parte nostra, chiederemo a tutti i deputati del PdL di votare contro questi provvedimenti, di assumerne la responsabilità financo venisse posta la stessa questione di fiducia. Questo è un modo per reagire contro lo strapotere, contro chi non ha a cuore le sorti della nostra autonomia. Bisognerebbe avere però la consapevolezza che occorre farlo tutti, farlo noi del PdL, farlo gli amici del PD, della sinistra, dell'Italia dei Valori, dell'UDC, tutte quelle formazioni che hanno rappresentanze in Parlamento. Su questi aspetti specifici, almeno, creiamo quella convergenza che nella Catalogna è stata sperimentata con grande successo, che è appunto la convergenza, per la tutela di interessi superiori.
Allora, siamo d'accordo perché possa così iniziare a riaffermarsi una nuova stagione dell'autonomia e della specialità, che riteniamo non abbia assolutamente esaurito la propria spinta propulsiva. E non possiamo assolutamente consentire lo svilimento della nostra autonomia da parte di chi intende relegarla a fatto assolutamente ordinario o irrilevante. Noi non siamo velleitari: velleitario è chi fa della nostra Carta fondamentale straccio; velleitario è colui che ha a cuore solo le istanze centralistiche che ormai pervadono certa cultura politica della classe non solo parlamentare…
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.
DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Presidente, colleghi, pensavo che quest'oggi la seduta del Consiglio potesse concludersi con un pronunciamento unitario. Abbiamo appreso qualche decina di minuti fa che ciò non sarà possibile; ne comprendo le ragioni, anche se credo sia un errore, mi scuso per questo giudizio, che non ha nulla di personale.
Il Consiglio regionale quest'oggi si ritrova per respingere il tentativo in atto di svuotare il valore dell'autonomia e della specialità della nostra Regione. Abbiamo la responsabilità storica - sono d'accordo con chi richiamava questo concetto - di garantire al popolo che rappresentiamo, anche per il futuro, uno strumento di autogoverno e di autodeterminazione, due concetti che hanno segnato la vita dei sardi e delle loro rappresentanze politiche e istituzionali. Badate, lo dico con una metafora che viene dalla cultura e dalla sensibilità ambientalista: noi viviamo in questo mondo e lo abbiamo in affitto, dobbiamo consegnarlo alle future generazioni perlomeno nelle stesse condizioni in cui lo abbiamo trovato, possibilmente migliorato.
Ecco, ciò vale anche per il nostro impianto istituzionale, per l'accordo pattizio che esiste tra noi e lo Stato, che regola appunto i rapporti tra la nostra Regione e lo Stato. Quell'accordo pattizio l'abbiamo riscritto in maniera originale e attraverso una partecipazione straordinaria sul piano istituzionale, politico e sociale, nella passata legislatura. Anche quello è un passaggio storico di carattere straordinario che appartiene a ciò che ci ha consegnato la passata legislatura e che, ahimè, per responsabilità di chi rappresenta questa Regione, per l'inadeguatezza di chi ci ha rappresentato finora nel confronto tra lo Stato e la Regione, è stato sciupato miseramente in questa legislatura.
Potrei sviluppare queste riflessioni con i toni del Partito Democratico che sta all'opposizione; ci rinuncio perché non è utile in questo momento, non serve. Lo voglio fare, invece, in maniera pacata, riprendendo alcuni interventi che mi hanno preceduto, in particolare del Gruppo che rappresento. Le istituzioni e le forze politiche sono alle prese con una crisi drammatica, probabilmente la più grave dal Dopoguerra ad oggi. Questa crisi nasce dalla loro incapacità di rispondere alle attese dei cittadini, e, non ultima, dalla brutale iniquità degli interventi del Governo che ha aumentato, in maniera esponenziale, la rabbia nei confronti delle istituzioni e dei partiti e ha alimentato una sfiducia che spero non abbia un carattere di non ritorno. La riconquista di questa fiducia dipenderà anche da noi, anche da questa Assemblea elettiva.
Quindi la discussione di oggi è una cosa seria, al di là dei protagonisti che intervengono, a partire da me stesso. Spesso le forze politiche hanno utilizzato le istituzioni per fini personali, minando fortemente quel rapporto di fiducia su cui si basa una convivenza civile in uno Stato democratico come il nostro. Noi oggi siamo chiamati, per la parte che ci compete, ed è importante questa parte (ecco perché alcune assenze, senza polemica alcuna, a partire dal Presidente della Regione sono assenze pesanti) a ricostruire il rapporto di fiducia tra istituzioni, forze politiche e il popolo che, continuamente, come diceva qualcuno, è vessato anche in questa Regione.
La risoluzione va bene, va benissimo, in questo momento credo che non si possa fare di più. Tuttavia ritengo che non basti, signor Presidente del Consiglio, signor Vicepresidente della Regione: dobbiamo innanzitutto dimostrare ai sardi - certo a partire da quella risoluzione - che lo Statuto autonomistico, la sua declinazione in specialità, è uno strumento irrinunciabile per tutelare in futuro il popolo sardo. Non ci può essere su questo terreno alcun arretramento; saremmo noi, in quel caso, responsabili in negativo, e storicamente su di noi cadrebbe una sorta di vituperio, come diceva il sommo poeta. Ma non è per non essere oggetto di questo vituperio, è perché, per quel concetto ambientalista, noi non ci possiamo permettere il lusso, come diceva Gian Valerio Sanna con un'altra metafora, di consegnare ai nostri figli o alle nuove generazioni uno strumento di autogoverno, di autodeterminazione derubricato rispetto a quello che noi abbiamo avuto la fortuna di ricevere e che forse non abbiamo utilizzato al meglio.
Ci sono rappresentanti indegni? Bene! Ce ne sono, l'abbiamo visto e, ahinoi, ho paura che non sia finito ciò che abbiamo visto. Questi rappresentanti delle istituzioni indegni vadano cacciati e assicurati alle patrie galere, ma non ci può essere la cancellazione di un impianto istituzionale democratico, come quello che abbiamo, semplicemente perché non si ha la forza di liberarci del marcio. Questo è! E se noi cancellassimo questo impianto istituzionale perché non siamo capaci di avere gli anticorpi necessari per tutelare le Istituzioni che rappresentiamo, io credo che allora sì, saremmo venuti meno al compito più importante.
Pertanto al Presidente del Consiglio, al Governo, va detto con grande determinazione che non si può arretrare sulla qualità della nostra autonomia e specialità. Noi però dobbiamo - lo dico al presidente La Spisa, agli Assessori, ai colleghi della maggioranza, che hanno responsabilità maggiori delle nostre (perché l'esempio che ho fatto sulla passata legislatura nella riscrittura di quell'accordo pattizio che avete sciupato non è cosa di poco conto, e vorrei che vi restasse nelle Trombe di Eustachio) noi dobbiamo dimostrare che non siamo capaci solo di pronunciare parole.
Allora io vorrei riprendere una proposta, una delle due avanzate dall'onorevole Gian Valerio Sanna: noi sfidiamo la Giunta, sfidiamo il Presidente della Regione, sfidiamo la maggioranza, noi siamo pronti, cari colleghi della maggioranza, caro assessore La Spisa, a sforare il Patto di stabilità, noi dobbiamo dire alla gente che rappresentiamo che siamo pronti a correre anche quel rischio, ed è un rischio calcolato che alla fine produrrà un beneficio all'economia e alle attese, alle aspettative della nostra gente, che consentirà di superare anche qualche paura di quella gente e, forse, di rinsaldare quel rapporto di fiducia indispensabile che va al di là della nostra presenza temporanea in quest'Aula.
Per questo noi pensiamo, Presidente del Consiglio, che dobbiamo tenere alta la tensione su questi temi e nei prossimi giorni decideremo attraverso quali forme farlo, onorevole Lombardo. Occorre pensare a una mobilitazione straordinaria di carattere istituzionale, politico e sociale, che sappia davvero rappresentare con determinazione la volontà di un popolo che vuole autogovernarsi e autoregolamentarsi.
PRESIDENTE. Poiché nessun altro è iscritto a parlare, per la Giunta ha facoltà di parlare l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.
LA SPISA, Assessore tecnico della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio. Premetto che noi partiamo da una constatazione di fondo che è assolutamente condivisibile, quasi una constatazione inutile di un fatto evidente e incontrovertibile, cioè che è in atto una azione politica, istituzionale e finanziaria fortemente orientata a cancellare dall'ordinamento italiano il riconoscimento dell'autonomia delle regioni e degli enti locali. L'obiettivo primario tra le autonomie territoriali sono le regioni e, all'interno delle regioni, l'obiettivo primario sono le regioni a Statuto speciale (si veda il decreto legge numero 201, il decreto legge numero 95, il disegno di legge di stabilità e, infine il decreto legge numero 174 sul cosiddetto contenimento della spesa per la politica, che contiene altre norme certamente invasive dell'autonomia delle regioni).
Cosa abbiamo da difendere di fronte a questo attacco e perché difenderlo? Abbiamo da difendere la dignità e la storia della nostra autonomia, di un popolo, di una terra che a buon diritto ha avuto, all'alba della Repubblica italiana, il riconoscimento di una forma speciale del proprio ordinamento regionale. Dobbiamo farlo per difendere questo popolo e questa terra (non per difendere noi) da una deriva populista - uso un'espressione pronunciata in uno degli interventi - che ha, aggiungerei, obiettivi palesi e obiettivi, invece, latenti e addirittura oscuri, quelli cioè dell'affermazione (di cui tutti abbiamo timore, quantomeno, di fronte agli atti che si stanno susseguendo) di una "tecnocrazia" che tende a colmare il vuoto che però la politica ha determinato nelle istituzioni.
Una protesta può bastare se non c'è anche un riconoscimento delle nostre responsabilità? Lo chiedo e credo che questo interroghi ciascuno di noi. C'è - qualcuno di voi ha usato un'altra espressione - una condizione etica per chiedere qualcosa allo Stato? Abbiamo le condizioni? Forse no. Forse no! Perché se il decreto legge numero 174 contiene nell'articolo 1 disposizioni che prevedono che da ora in poi - da ora in poi! - la Corte dei conti dovrà esaminare preventivamente i disegni di legge per la manovra finanziaria, valutandone la corrispondenza tra il livello delle entrate e gli obiettivi della finanza pubblica nazionale, e quindi il raggiungimento dei limiti per la stabilità economica del Paese, vorrà dire non solo che viene riportato indietro l'orologio (perché non siamo solo tornati indietro come qualcuno ha detto, non hanno solo messo in questo decreto legge il rinnovo del controllo preventivo degli atti amministrativi, ma hanno introdotto un controllo preventivo di un progetto di legge) ma che questa Assemblea, nell'atto fondamentale di ogni esercizio finanziario, sarà sottoposta preventivamente a un giudizio esterno.
E' solo colpa di uno Stato centralista? Lo Stato è centralista, la deriva populista è certamente centralista, ma è solo colpa di questa tecnocrazia che vuole sostituire i nostri poteri politici e autonomistici o non è anche colpa del fatto che tante nostre leggi hanno portato a un bilancio ingessato, con una spesa obbligatoria del livello che abbiamo denunciato, che tante leggi hanno avuto una copertura finanziaria non vera, affrettata, non supportata da un calcolo, da un rendiconto effettivo?
Tutto ciò è molto più grave dell'attacco ai costi della politica, e io non ho difficoltà a dire, quindi, che la Giunta non "impugnerà" gli atti che violano lo Statuto, ma "continuerà a impugnare" tutti gli atti legislativi che violano questa autonomia speciale, e non per difendere una casta, ma per difendere questa autonomia.
Tra l'altro - lo dico per inciso - se avete letto attentamente il testo del decreto legge numero 174, gli obblighi derivanti a carico delle regioni speciali, riguardo all'articolo 2, sono diversi e sono stati corretti, credo, proprio per rispettare l'autonomia delle regioni speciali. Ma questo non abbassa per niente il livello di guardia che abbiamo raggiunto. Abbiamo raggiunto davvero un livello di guardia preoccupante perché - è vero - noi possiamo dire tutto quello che crediamo e protestare quanto vogliamo, ma possiamo ignorare che la Repubblica italiana ha accettato di entrare nella "compattezza fiscale" (per non usare il termine inglese) a cui si sono sottoposti tutti i 27 Paesi (o quelli che hanno accettato di farlo) dell'eurozona?
Ci rendiamo conto fino in fondo, abbiamo capito davvero cosa vuol dire questo? Abbiamo capito cosa vuol dire, che significato ha avuto e ha la modifica, approvata questa primavera, dell'articolo 81 della Costituzione, di cui è figlio il disegno di legge di riforma del Titolo V della Costituzione? Vi ricordo che nell'articolo 116 della Costituzione, citato poco fa dall'onorevole Uras, è stato aggiunto alle parole "statuti speciali adottati con legge costituzionale" il seguente periodo: "In materia finanziaria l'autonomia si svolge" - quindi vale per le regioni speciali - "nel rispetto dell'equilibrio dei bilanci e concorrendo con lo Stato e con gli altri enti territoriali ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea".
L'equilibrio di bilancio è stato ormai costituzionalizzato e in questo modo verrà reso statutario, se passerà la riforma di questo Titolo V, anche negli ordinamenti speciali. Le conseguenze saranno enormi. Ma cosa richiederanno? Una semplice protesta da parte nostra? O forse un dibattito politico ben più ampio di quello che possiamo fare in queste poche ore, che pure sono state necessarie, perché tutte le forze politiche capiscano che cosa ne è e cosa ne sarà della nostra autonomia speciale per oggi e soprattutto per il futuro, per quelli che ci seguiranno in quest'Aula? Vogliamo farlo veramente un confronto che non sia influenzato da nostre beghe personali o di partito? Vogliamo farlo realmente? Noi siamo disponibili veramente a farlo perché il momento è davvero grave.
E se il Presidente della Regione oggi è andato dal Presidente della Repubblica ha fatto bene, e se ha consegnato una lettera a nome di tutte le regioni speciali ha fatto bene perché noi speriamo che il Presidente della Repubblica si possa fare garante di tutte le autonomie, locali e regionali ma, tra quelle regionali, delle autonomie speciali. E' assolutamente necessario che in tutte le sedi noi difendiamo questo valore, che è un valore che va ben al di là dei nostri stessi errori, che va ben al di là della nostra capacità etica di sostenere questa battaglia che noi siamo tenuti a condurre, al di là dei nostri limiti, dei nostri errori, delle nostre insufficienze etiche. Noi abbiamo un popolo e una terra che si aspettano questo da noi e dobbiamo farlo in tutte le sedi.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Passiamo alla votazione della risoluzione.
Ha domandato di parlare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.
DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Chiedo di trasformare la risoluzione della Commissione bilancio in ordine del giorno-voto e poi di effettuare la votazione sullo stesso per appello nominale.
PRESIDENTE. Poiché non vi sono opposizioni la proposta è accolta.
Ha domandato di parlare il consigliere Giacomo Sanna per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Presidente, intervengo per ricordare all'Aula che la nostra non partecipazione al voto non è animata dall'intento di sminuire o indebolire questa risoluzione. Collega Diana, lei deve capire che in noi c'è un senso di ribellione, uno spirito rivoluzionario che non si riconosce appieno in questo documento. Noi vorremmo andare oltre perché riteniamo che sia arrivato il tempo di andare oltre. Non ci fidiamo di Roma e posso dire tranquillamente che, nel trentaduesimo congresso che fra sabato e domenica si svolgerà a Cagliari, ci faremo promotori, come Gruppo consiliare, della presentazione di una mozione, che sono sicuro che il mio congresso approverà, sulla dichiarazione di indipendenza della Sardegna, che porteremo all'attenzione di quest'Aula in modo provocatorio, perché vorremo insieme a tutti voi capire sino in fondo quali sono gli strumenti che possiamo utilizzare per contrastare ciò che sta avvenendo, che è avvenuto sino adesso e che peggiorerà con il passare del tempo, visto e considerato l'andamento di questo Governo italiano.
E con quali strumenti potremo contrastare questo Governo? Con strumenti democratici, certo, ma che abbiano la forza necessaria per impedirci di essere annientati, perché la parola annientamento è d'obbligo, soprattutto quando un ministro della Repubblica dice che le regioni sono inutili, che creano solo debiti, che vanno cancellate: siamo già al presupposto di una democrazia che sta scomparendo attraverso un'aggressione brutale.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Cuccureddu per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Intervengo per confermare il voto favorevole all'ordine del giorno nel quale verrà trasformata la risoluzione e per soffermarmi su un aspetto, perché spesso alcune provocazioni poi magari diventano atti e io chiederei che, prima di trasformare in atti gli slogan, ci riflettessimo un attimo. Mi riferisco a ciò che ha detto Gian Valerio Sanna a proposito di sforare il patto di stabilità.
Voglio in proposito ricordare che, a causa delle sanzioni di carattere comunitario e nazionale, in caso di violazione del patto di stabilità graverebbe sui sardi, per i prossimi 10 anni, il massimo dell'imposizione fiscale possibile da parte regionale, dovremmo sottostare al divieto di qualunque genere di assunzione, anche per il turn over al 20 per cento, al divieto di qualunque genere di assunzione temporanea e al divieto di accensione di mutui anche per coprire l'eventuale deficit; pertanto sarebbe disastroso.
Quindi quest'arma bisogna sbandierarla ma chiaramente mai utilizzarla o, al limite, se fossimo proprio costretti, fare come hanno fatto le altre regioni o le altre città. Penso a Roma dove i deputati romani che hanno minacciato di non votare la fiducia al Governo Berlusconi hanno ottenuto la deroga al patto di stabilità. I deputati siciliani hanno fatto la stessa cosa per la Regione Sicilia, ottenendo la rimodulazione. Quindi io credo che l'idea lanciata dall'onorevole Pittalis debba trovare accoglimento.
Oltre al coinvolgimento degli stati generali (cose già fatte, trite e ritrite) all'ordine del giorno voto che approveremo, quello che può essere realmente efficace in questo momento è che i parlamentari sardi, quelli dei partiti che sostengono il governo dicano: "Noi prima di tutto siamo sardi, e anche se ci fosse una votazione di fiducia voteremo no".
L'onorevole Pittalis l'ha detto chiaramente: I parlamentari del PdL si assumano la responsabilità di votare contro questi provvedimenti"; l'onorevole Steri ha assicurato lo stesso per quanto riguarda il deputato dell'UDC, sarebbe bene che lo dicesse anche il PD. Per quanto riguarda la piccola pattuglia dell'MPA che rappresenta solamente due senatori e quattro deputati, garantisco che voteranno certamente contro anche qualora dovesse essere posta la fiducia.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare la consigliera Zuncheddu per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
ZUNCHEDDU (Gruppo Misto). Io non abbandono l'aula, resto qui per assumermi la responsabilità del mio voto contrario perché trovo che la risoluzione numero 11 sia assolutamente inadeguata al livello di scontro in corso tra lo Stato italiano e la Regione autonoma della Sardegna. Un livello di scontro che giorno dopo giorno va in crescendo in modo indisturbato e sempre più violento. Noi a tutt'oggi siamo privi di una rappresentanza seria, credibile e all'altezza degli eventi.
Non è più sopportabile l'assenza, l'inconsistenza e la sudditanza del nostro presidente Cappellacci che a tutt'oggi non comprendiamo dove sia, cosa stia facendo e soprattutto al servizio di chi sia. Oggi non è più tempo di difendere un'autonomia fallita (questo lo voglio dire apertamente, come in altre occasioni) un'autonomia che è durata sin troppo, oltre sessant'anni, e che è stata funzionale solo ed esclusivamente a interessi che sono totalmente estranei ai diritti dei sardi. Oggi ritengo che la classe politica sarda (tutte le istituzioni di ogni ordine e grado) con il popolo sardo, debbano dare delle risposte unitarie, forti e inequivocabili alla violenza del governo Monti.
Dobbiamo prendere atto, una volta per tutte, che l'autonomia è fallita e dobbiamo compiere un passo avanti, dobbiamo intraprendere un percorso che sia assolutamente di rottura della dipendenza politica, economica e culturale dai nostri carnefici. Un percorso all'insegna dell'autodeterminazione, della sovranità, che ci porti ad un'indipendenza di cui tante volte abbiamo parlato ma che continua ad essere criminalizzata. Il mio voto è contro perché è un voto di ribellione anche alla preoccupazione, che emerge dalla risoluzione, che si mini l'unità dello Stato italiano; anzi è un'unità che andrebbe rafforzata. Io non sono in sintonia e sono su percorsi politici democratici diversi, per cui annuncio il mio voto contrario.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Uras per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
URAS (Gruppo Misto). L'articolo 1 della Costituzione recita: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Al di là di tutti i ragionamenti che possiamo fare sulle nostre colpe, vorremmo trovare qualche innocente anche tra i tecnici che oggi bazzicano nelle stanze del Governo. Perché chiamare tecnici coloro che hanno avuto l'onere e l'onore di rappresentare l'Italia per 10 anni dentro la Commissione europea a me pare una contraddizione in termini e un falso storico.
Il Governo attuale è un Governo politico, retto politicamente da uno schieramento parlamentare tra i più ampi che la storia della Repubblica ricordi. Se la Commissione che devono istituire, ha altri poteri che non sono quelli sovrani del popolo (e che non sono forse neppure in questo Paese) e deve smantellare l'articolo 1 della Costituzione, noi non siamo d'accordo e difenderemo la Costituzione, a partire dalla legge costituzionale numero 3 e dalla sua valenza di autonomia per questa Regione.
Io penso che coloro che hanno avuto la fiducia del popolo sardo a rappresentare le loro parti politiche nel Parlamento, abbiano il dovere di stare dentro questa posizione. Ognuno di noi ha fatto, sta facendo e farà tutto quello che è necessario per meglio qualificare anche la classe dirigente sarda e non solo quella che esercita funzioni e responsabilità pubbliche, ma non si prenda scusa da quello per tagliare corto e decidere che i decisori sono quelli nominati e non quelli eletti. La democrazia si fonda sul consenso liberamente e segretamente espresso di ciascuno dei cittadini di questa Repubblica.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Salis per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
SALIS (I.d.V.). Prendiamo atto con favore e soddisfazione delle parole chiare e nette pronunciate dal vicepresidente La Spisa e dai colleghi che sono intervenuti in questo dibattito. Io intervengo perché voglio fare un'altra raccomandazione, quella, Presidente del Consiglio in questo caso, di continuare nel lavoro che abbiamo fatto e che ha collocato la Sardegna ai primi posti tra le regioni italiane, di continuare nell'opera di contenimento dei costi della politica, anche perché solo così riusciamo ad evitare questa campagna mistificatrice che sta unendo lo sdegno per alcune questioni che sono nate in altre regioni italiane al tentativo di limitare fortemente la democrazia e l'autonomia.
Noi siamo convinti che solo così riusciremo a svolgere appieno il nostro compito e a salvaguardare la necessaria battaglia per mantenere e difendere la nostra autonomia e la nostra democrazia.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Steri per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
STERI (U.D.C.-FLI). Presidente, sinceramente taluni interventi che ho sentito mi lasciano stupito ed esterrefatto. Qua si tratta di dire che vogliamo l'applicazione della Carta costituzionale vigente. Si tratta di dire che non vogliamo modifiche della Costituzione pregiudizievoli, e faccio riferimento non tanto al nuovo riparto di competenze che pure urterebbe contro il principio di sussidiarietà, ma anche, per esempio, alla costituzionalizzazione della Conferenza Stato-Regioni, con la previsione che ove vi sia una decisione di detta Conferenza assunta a maggioranza le Regioni non possano proporre ricorso.
La lesività di queste esposizioni, la violazione anche dei principi fondamentali di base è di tutta evidenza, anche perché soprattutto i Consigli regionali non partecipano, non sono neanche informati di quello che avviene in sede di Conferenza Stato-Regioni. Quindi detto questo ribadisco che, per quanto riguarda il nostro Gruppo, il voto sarà a favore. Ribadisco che ieri, oggi e domani noi difenderemo con tutti gli strumenti la Carta costituzionale.
Poi vorrei chiedere due modifiche, di cui ho già parlato con i colleghi, alla risoluzione. In particolare a pagina 2: "dopo le parole "prerogative regionali" aggiungere "e allo stato di insularità".
PRESIDENTE. E' aggiunto nel "considerato" di pagina 3. Si fa riferimento "a causa della sua condizione insulare".
STERI (U.D.C.-FLI). Sì, dovevamo inserirlo anche nel "ribadisce"; è saltato, quindi chiedo l'inserimento.
Poi per conferire una valenza più forte, chiedo di sostituire la frase "impegna il Presidente della Regione", con "vincola il Presidente della Regione"..
PRESIDENTE. Poiché non vi sono opposizioni le modifiche proposte sono inserite nel testo dell'ordine del giorno.
Ha domandato di parlare il consigliere Gian Valerio Sanna per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Siamo d'accordo. Siamo d'accordo perché abbiamo cercato, colleghi, di spiegare che quando si cercano scorciatoie alla pratica della democrazia le strade delle libertà diventano improvvisamente impervie e complicate, i tornanti della storia di questa nostra civiltà ci hanno sempre dimostrato che hanno prodotto degli effetti disastrosi.
Lo dico alla collega Zuncheddu con amicizia: anche le distinzioni di maniera sono scorciatoie che non servono a tutelare i diritti degli uomini. Stiamo parlando di diritti degli uomini, i nostri concittadini e conterranei sono uomini, e hanno diritti dentro quella Carta. Non ci serve operare delle distinzioni, ci serve scoprire anche il valore di una sardità che implica amicizia, fratellanza, intorno agli aspetti fondamentali.
La politica ci ha diviso spesso illogicamente e ha fatto il gioco di quei poteri di cui si è parlato. Io spero che si apra una stagione di dialogo, almeno su questi temi, perché, ripeto, la cancellazione della complessità democratica significa la chiusura di una epopea di libertà e di civiltà. Io credo che dobbiamo fare di tutto per impedirlo, e abbiamo la forza per farlo, perché se le Regioni autonome e i loro partiti in Parlamento dicono da subito che non c'è fiducia che tenga, io credo che un Governo che non vuole finire sotto si fermerà e potrà ragionare in termini diversi.
Votazione per appello nominale
PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale della risoluzione numero 12. Coloro i quali sono favorevoli risponderanno sì; coloro i quali sono contrari risponderanno no.
Estraggo a sorte il nome del consigliere dal quale avrà inizio l'appello. (E' estratto il numero 15, corrispondente al nome del consigliere Cocco Pietro.)
Prego il consigliere Segretario di procedere all'appello cominciando dal consigliere Cocco Pietro.
BIANCAREDDU, Segretario, procede all'appello.
Rispondono sì i consiglieri: Agus - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Barracciu - Biancareddu - Bruno - Campus - Cherchi - Contu Felice - Contu Mariano - Corda - Cossa - Cucca - Cuccu - Cuccureddu - Cugusi - De Francisci - Dedoni - Diana Giampaolo - Diana Mario - Espa - Floris Mario - Floris Rosanna - Fois - Gallus - Lai - Lombardo - Lotto - Lunesu - Manca - Mariani - Meloni Francesco - Meloni Valerio - Moriconi - Mula - Mulas - Murgioni - Obinu - Oppi - Peru - Petrini - Piras - Pittalis - Porcu - Randazzo - Rassu - Rodin - Sabatini - Salis - Sanjust - Sanna Gian Valerio - Sanna Matteo - Sanna Paolo - Sechi - Solinas Antonio - Steri - Stochino - Tocco - Uras - Vargiu.
Risponde no la consigliera: Zuncheddu.
PRESIDENTE. Proclamo il risultato della votazione:
presenti 62
votanti 62
maggioranza 32
favorevoli 61
contrari 1
(Il Consiglio approva).
Comunico che il consigliere Petrini è rientrato dal congedo.
I lavori del consiglio riprenderanno martedì 16 ottobre alle ore 10 e 30.
La seduta è tolta alle ore 18 e 21.
Allegati seduta
Testo delle interrogazioni annunziate in apertura di seduta
Interrogazione Dedoni, con richiesta di risposta scritta, sullo spostamento della sede dello Sportello unico territoriale dell'Alta Marmilla da Ales a Laconi.
Il sottoscritto,
PREMESSO che l'attuale grave crisi economica non risparmia alcun settore produttivo, ma anzi aggrava con pesanti ricadute l'agricoltura sarda già colpita nelle sue varie articolazioni produttive;
CONSIDERATO che il settore agro-pastorale soffre per le carenze strutturali che penalizzano i produttori sardi rispetto a quelli nazionali ed internazionali ed in particolare nella zona dell'oristanese le aziende agricole hanno registrato gravi perdite economiche, peraltro riscontrando che l'agricoltura per questo ambito provinciale rimane l'essenza vera delle possibilità economiche di sviluppo e di occupazione;
PRESO ATTO della decisione del commissario di Laore che ha spostato la sede dello Sportello unico territoriale (SUT) dell'Alta Marmilla da Ales a Laconi nel Sarcidano, spogliando ulteriormente una zona da sempre vocata all'agricoltura delle strutture istituzionali preposte all'assistenza e al sostegno delle intraprese agricole;
VALUTATO che tale decisione ha determinato uno spostamento della sede verso un'area lontana e molto periferica nel territorio di competenza, a discapito di circa il 90 per cento delle imprese agricole interessate e favorendo solo il 10 per cento delle stesse;
CONSTATATO inoltre che la nuova sede risulta difficilmente raggiungibile per la maggior parte degli utenti interessati rispetto alla precedente, che era molto più centrale ed accessibile, anche per la mancanza di collegamenti nei trasporti;
AVENDO APPRESO che i sindaci dei 25 comuni interessati, unitamente alle organizzazioni sindacali, intendono promuovere una giusta e fondata contestazione (compresa una manifestazione di agricoltori a Cagliari che vedrebbe il sottoscritto certamente presente a sostegno degli stessi) che rivendichi la necessità di riportare al centro dell'Alta Marmilla la sede dello Sportello unico territoriale,
chiede di interrogare il Presidente della Regione e l'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale per sapere se:
1) siano a conoscenza della su richiamata inopportuna decisione assunta dal commissario di Laore;
2) non ritengano dover valutare con attenzione le conseguenze di tale decisione che, obiettivamente, risulta poco conveniente per le centinaia di utenti che si vedrebbero costretti ad affrontare viaggi più lunghi e sicuramente meno confortevoli per poter usufruire dei servizi che l'Agenzia regionale è tenuta a fornire;
3) non ritengano, quindi, di dover intervenire presso il commissario di Laore perché riveda la scelta fatta e riporti la sede del SUT ad Ales, che risulta sicuramente meglio confacente alle esigenze del territorio. (965)
InterrogazioneTocco, con richiesta di risposta scritta, sull'urgente necessità di comprendere le ragioni della prossima interruzione del servizio per lo smaltimento delle pratiche arretrate per il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche e di sanatoria e condoni edilizi nelle aree tutelate paesaggisticamente presso la Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia - Servizio tutela paesaggistica per le Province di Cagliari e di Carbonia-Iglesias.
Il sottoscritto,
PREMESSO che:
la Regione, a seguito di una gara d'appalto attribuita ad un raggruppamento temporaneo di imprese, capogruppo la società PROST Srl di Cagliari, ha avviato nel luglio 2011 un'attività con carattere sperimentale che aveva l'obiettivo dello smaltimento di circa 10.000 pratiche arretrate per il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche e di sanatoria e condoni edilizi nelle aree tutelate paesaggisticamente;
la stessa Regione ha espletato la gara per un importo di euro 380.000 (IVA esclusa) e, attraverso tale somma, è stato impiantato dalla società aggiudicatrice, presso gli uffici regionali nella sede di viale Trieste 115, un apparato organizzativo costituito da mezzi e personale specializzato che in dodici mesi di attività ha finalmente definito un elevato numero di pratiche giacenti negli uffici da più di venti anni;
CONSIDERATA la soddisfazione manifestata dal direttore del servizio in capo al progetto, dai dipendenti regionali coinvolti nello svolgimento delle attività, dai professionisti esterni e dai cittadini che hanno apprezzato la professionalità, la competenza e la celerità nella definizione dei procedimenti;
CONSIDERATO che, a fronte di una spesa messa in campo dalla Regione di circa euro 460.000, con l'espletamento del servizio risultano attualmente incamerate somme per circa 1.300.000 euro derivanti dal pagamento del danno ambientale arrecato da interventi edilizi soggetti a condoni e, da valutazioni cautelative, si presume di poter ancora incassare circa 1.000.000 di euro se venisse ancora garantito il servizio;
EVIDENZIATO che si è già manifestato da parte di cittadini e professionisti il disappunto per la prossima interruzione di detto servizio,
chiede di interrogare il Presidente della Regione e l'Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica per sapere:
1) come mai non sia possibile proseguire un così importante servizio ai cittadini a fronte di una situazione così inconsueta e positiva, come quella sopradescritta, che ha prodotto anche benefici economici;
2) quali iniziative si intendano adottare al fine di garantire ai cittadini interessati la definitiva risoluzione delle pratiche che per tanto tempo sono state sospese negli uffici regionali.(966)