Seduta n.373 del 19/12/2012 

CCCLXXIII SEDUTA

(ANTIMERIDIANA)

Mercoledì 19 dicembre 2012

Presidenza della Presidente LOMBARDO

Indi

del Vicepresidente COSSA

La seduta è aperta alle ore 10 e 32.

SANJUST, Segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 21 novembre 2012 (365), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Radhouan Ben Amara, Mario Diana, Rosanna Floris, Antonio Pitea, Alberto Randazzo, Adriano Salis e Paolo Terzo Sanna hanno chiesto congedo per la seduta del 19 dicembre 2012.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

PRESIDENTE. Considerate le numerose assenze sospendo la seduta sino alle ore 10 e 40.

(La seduta, sospesa alle ore 10 e 33, viene ripresa alle ore 10 e 43.)

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.

STERI (U.D.C.-FLI). Chiedo la verifica del numero legale.

(Appoggia la richiesta il consigliere Cocco Daniele)

Verifica del numero legale

PRESIDENTE. Dispongo la verifica del numero legale con procedimento elettronico.

(Segue la verifica)

Prendo atto che i consiglieri Ben Amara, Capelli, Dessi e Mulas sono presenti.

Risultato della verifica

PRESIDENTE. Sono presenti 28 consiglieri.

(Risultano presenti i consiglieri: Amadu - Ben Amara - Capelli - Cocco Daniele - Contu Mariano - Cuccureddu - Dessi' - Floris Mario - Greco - Lai - Locci - Lombardo - Lunesu - Maninchedda - Mulas - Murgioni - Obinu - Peru - Piras - Pittalis - Planetta - Sanjust - Sanna Giacomo - Sanna Matteo - Solinas Christian - Steri - Stochino - Zuncheddu.)

PRESIDENTE. Poiché non sussiste il numero legale, sospendo la seduta sino alle ore 11 e 15.

(La seduta, sospesa alle ore 10 e 44, viene ripresa alle ore 11 e 19.)

Discussione della mozione Sanna Giacomo - Dessì - Maninchedda - Planetta - Uras - Sechi - Cugusi - Zuncheddu - Cuccureddu - Mulas - Capelli - Cocco Daniele Secondo - Pittalis - Petrini - Peru - Stochino - Amadu - Floris Rosanna - Gallus - Contu Mariano Ignazio - Murgioni - Piras - Lai - Randazzo - Rodin - Porcu sulla dichiarazione di indipendenza del popolo sardo, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento. (224)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione numero 224.

(Si riporta di seguito il testo della mozione:

Mozione Sanna Giacomo - Dessì - Maninchedda - Planetta - Uras - Sechi - Cugusi - Zuncheddu - Cuccureddu - Mulas - Capelli - Cocco Daniele Secondo - Pittalis - Petrini - Peru - Stochino - Amadu - Floris Rosanna - Gallus - Contu Mariano Ignazio - Murgioni - Piras - Lai - Randazzo - Rodin - Porcu sulla dichiarazione di indipendenza del popolo sardo, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento.

IL CONSIGLIO REGIONALE

RICHIAMATA la dichiarazione solenne di sovranità del popolo sardo sulla Sardegna approvata dal Consiglio regionale nel 1999;

RICHIAMATI altresì i contenuti della mozione per l'indipendenza presentata in Consiglio regionale nel maggio del 2009;

RICORDATI i tentativi di riforma dello Statuto sardo da parte dei Parlamentari eletti nell'Isola e le iniziative di modifica costituzionale approvate dal Consiglio regionale della Sardegna;

SOTTOLINEATO il vano tentativo di riscrivere lo Statuto dell'autonomia sarda per il tramite dell'Assemblea costituente del popolo sardo nonostante l'approvazione dell'apposita legge di modifica costituzionale approvata dal Consiglio regionale nella XII Legislatura e il pronunciamento favorevole del popolo sardo in occasione della consultazione referendaria del 6 maggio 2012;

CONSTATATO che in sessantaquattro anni di autonomia speciale il Parlamento italiano non ha mai approvato alcuna proposta di legge costituzionale votata dal Consiglio regionale della Sardegna;

PRESO ATTO dell'attacco centralista portato dal Governo italiano alla Sardegna e alle specialità regionali;

CONSTATATO altresì l'affermarsi in Europa delle cosiddette nazioni emergenti ad incominciare dalla Catalogna e dalla Scozia che nel 2014 sottoporrà al popolo scozzese attraverso un referendum la scelta dell'indipendenza dalla Gran Bretagna;

DENUNCIATA la crisi economica e sociale che investe la Sardegna e le inefficaci risposte dello Stato italiano per far fronte alla emergenza occupazionale nell'Isola;

DENUNCIATO altresì che le strutture centrali non rappresentano adeguatamente gli interessi del popolo sardo in sede internazionale ed europea;

EVIDENZIATA la violazione dei diritti umani nei riguardi dei sardi per l'oppressione della lingua sarda e per la politica d'assimilazione linguistica portata avanti dall'Italia in Sardegna;

AFFERMATO il diritto della nazione sarda alla propria lingua e all'insegnamento della storia, della cultura e della lingua sarda nelle scuole di ogni ordine e grado dell'Isola,

dichiara solennemente

la Sardegna nazione indipendente,

fa voti affinché

la dichiarazione di indipendenza della Sardegna sia sottoposta al voto del popolo sardo attraverso il referendum consultivo.)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Uno dei presentatori della mozione ha facoltà di illustrarla.

SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Presidente del Consiglio, Presidente della Giunta, colleghe e colleghi, ringrazio quanti con la loro firma hanno permesso di poter dibattere in quest'Aula un tema storico per quest'Isola: l'indipendenza della Sardegna dallo Stato italiano. Sono dunque grato ai colleghi della maggioranza e dell'opposizione che hanno sottoscritto la mozione, che dichiara solennemente l'indipendenza della Sardegna, consentendone così la discussione in Consiglio regionale.

E' un fatto politicamente rivoluzionario, e in premessa mi corre l'obbligo di rassicurare tutti, ribadendo che il documento è perfettamente lecito sul piano formale, oltre che, a mio giudizio, su quello sostanziale. Si plachino, dunque, i custodi della sacralità costituzionale, gli italianisti ad ogni costo e i complottisti di maniera. La dichiarazione di indipendenza è infatti ammessa persino dal diritto internazionale, che non stabilisce alcuna proibizione nei confronti del popolo che sceglie di autodeterminarsi. Non può che essere così. Ed è proprio ciò che ha affermato la Corte internazionale di giustizia, il 22 luglio del 2010, a proposito della dichiarazione di indipendenza del Kosovo.

Il dispositivo della mozione odierna è dunque lecito, sebbene il diritto internazionale non definisca una procedura in applicazione della quale i popoli possono arrivare all'indipendenza. Significa, cioè, che la forma con la quale il popolo sardo esprime la propria volontà di non dipendere più dall'Italia è libera, e noi vogliamo che il Consiglio regionale della Sardegna possa liberamente esprimersi sull'autodeterminazione del popolo sardo e consentire a tutti i sardi di fare altrettanto, esprimendosi liberamente attraverso un referendum consultivo.

Non cerchiamo né scorciatoie, né facile propaganda, molto più semplicemente vogliamo che il Parlamento dei sardi, non soltanto si confronti e voti sull'indipendenza, ma offra anche a tutti i sardi la possibilità di fare altrettanto attraverso una consultazione democratica. Non cerchiamo scontri e neppure rotture, considerato che lo Stato italiano ha già rotto unilateralmente tutti patti con la Sardegna: ha cancellato accordi e impegni, calpestato le intese istituzionali e disatteso il dettato della Costituzione repubblicana. Non ci interessa rivendicare alcunché, né fare un'altra volta l'elenco infinito dei torti subiti e delle ingiustizie consumate in danno del nostro popolo. Sarebbe un esercizio sterile, forse noioso e ripetitivo, certamente improduttivo visto che l'onda lunga del rigurgito centralista rischia oggi di travolgere persino quei brandelli di autonomia delegata che fino ad oggi hanno consentito alla Regione e ai nostri enti locali ritagli di sopravvivenza istituzionale.

Cancellare la specialità costituzionale e trasformare la Regione sarda in un ufficio periferico del Governo romano è quanto in questi anni è accaduto. Cancellare persino quel che resta dell'autonomia è l'obiettivo ormai dichiarato di quei poteri che dal 1948 gettano sabbia negli ingranaggi della nostra specialità e che mai, in 64 anni di Statuto sardo, hanno consentito al Parlamento italiano di approvare una legge di modifica costituzionale votata dal Consiglio regionale della Sardegna.

E' questa la certificazione della rottura del patto di convivenza che ha legato la Sardegna all'Italia. Questo Consiglio, i sardi e i loro rappresentanti, hanno infatti tentato a più riprese, in diversi momenti storici e in differenti contesti politici ed economici, di riscrivere il patto dei poteri tra l'Isola, l'Italia e l'Europa. Lo abbiamo fatto nel rispetto della Costituzione, delle leggi che governano lo Stato e delle regole parlamentari, ma in nessun caso, alla Camera come al Senato, le proposte di legge costituzionale presentate dai sardi hanno avuto l'onore dell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori di Montecitorio o Palazzo Madama. Ad onore del vero una soltanto ha avuto l'onore di essere votata, sebbene difficilmente potrà essere approvata per lo scioglimento anticipato di Camera e Senato, o peggio, rischia di essere approvata a Camere sciolte, come mai è accaduto prima per una riforma di carattere costituzionale. Mi riferisco alla proposta di legge costituzionale proposta da questo Consiglio che stabilisce la riduzione dei consiglieri regionali dagli attuali 80 a 60.

Il tutto serve per sottolineare che mentre l'autonomia a Roma è considerata al rango di spreco e ruberia, il Parlamento non ha mai ridotto il numero di deputati e senatori, né tantomeno ha ridimensionato indennità e privilegi. Anzi, si prepara alle elezioni politiche anticipate con una legge definita "porcellum" e lasciando intatte le province italiane per numero e confini. Significa che in tempi di crisi e di rinunce nelle famiglie, la Sardegna taglia i costi della politica, mentre il Parlamento non taglia i suoi privilegi, non riduce le poltrone né le indennità, non riforma gli enti locali ma scarica, però, sulla nostra Regione, la rabbia dell'antipolitica, l'onda degli anticasta e la comprensibile indignazione popolare.

E' evidente che questo non può più rappresentare un rapporto tra istituzioni che operano all'interno di uno stesso Stato e neppure può considerarsi una normale dialettica tra potere centrale e Regioni. Quello che si delinea ormai da tempo in Italia è l'affermarsi di uno stato truffaldino e bancarottiere che agisce con la menzogna e le furberie in danno dei più deboli. Anche per questo affermiamo che l'autonomia è superata, perché non dà ai sardi gli strumenti per difendersi da una vera e propria antistorica aggressione che quotidianamente subiscono la Regione, gli enti locali, i cittadini e le imprese di questa terra martoriata. Un'aggressione condotta per mano del fisco iniquo, per conto delle banche "continentali" o per mandato delle multinazionali; un'aggressione ai nostri territori, alle nostre risorse, al nostro immenso patrimonio materiale e immateriale, fatto di cultura, storia, lingua e identità, ma soprattutto un'aggressione al diritto a sperare di prosperare in pace nella nostra terra, dove tutti noi meritiamo di vivere con più dignità, benessere e orgoglio.

L'impossibilità nel perpetrare le politiche assistenzialistiche fa così cadere la maschera di uno Stato che, nell'immaginario di molti, ha dato e dà ai sardi molto di più di quanto prende dalla Sardegna. E' questa la favola patriottarda che per lustri è stata raccontata in Sardegna agli operai, agli agricoltori, ai pastori, ai dipendenti pubblici, agli imprenditori e anche a tanti politici. Molti sardi, qualcuno in buona fede ma molti altri no, l'hanno ripetuta e ancora oggi la vanno ripetendo per tentare di mantenere qualche rendita assistita e qualche spicciolo di assistenzialismo.

La verità è che lo Stato qui in Sardegna prende più di quel che dà ai sardi. E non solo prende i soldi, le case e le aziende dei sardi, ma rapina il futuro dei nostri giovani negandogli la dignità di un lavoro e la speranza di un'occupazione stabile.

Il debito pubblico, le esigenze di bilancio e la mancata crescita fanno il resto, rendendo impossibile non solo la riproposizione delle politiche assistenziali con le quali lo Stato italiano ha comprato per decenni il consenso dei sardi, ma compromettendo persino gli interventi e i sostegni doverosi che il Governo doveva e deve garantire al sistema produttivo sardo. Il tutto serve per dire che in Sardegna è in atto una spinta straordinaria verso l'indipendenza e non già, o non soltanto, per credo politico o adesione ideale, ma perché sempre più sardi si convincono che l'autogoverno significa meno spreco, meno "casta", più benessere, più equità, più giustizia, più felicità.

Il fenomeno è perfettamente in linea con quanto accade nel resto dell'Europa, dove non sono più le minoranze estremistiche a puntare con fermezza alla disgregazione degli stati storici, ma ampi strati di popolazione che operano pacificamente e democraticamente chiedendo il referendum per l'autodeterminazione. La crisi conclamata dell'Unione europea accelera le dinamiche indipendentiste e gli Stati emergenti dell'Europa sono esempi che incoraggiano e rilanciano positivi fenomeni emulativi in tutti i paesi del Vecchio continente.

Qualche mese fa il premier britannico David Cameron ha firmato col leader del Governo scozzese Alex Salmond l'accordo per lo svolgimento entro il 2014 del referendum sull'indipendenza della Scozia. Meno di un mese fa le elezioni in Catalogna hanno visto la maggioranza degli eletti a favore dell'indizione del referendum per l'indipendenza dalla Spagna e hanno fatto degli indipendentisti del CIU il primo partito della maggioranza di governo e degli indipendentisti dell'ERC il primo partito dell'opposizione, e la notizia dell'ultim'ora è che il referendum si farà nel 2014. Non cambia lo scenario nelle Fiandre, dove per la prima volta un candidato indipendentista è eletto sindaco nella strategica città di Anversa.

Sono questi gli Stati emergenti della nuova Europa che rilanciano e rafforzano i processi di liberazione nazionale nei Paesi baschi, in Galizia, in Corsica, in Galles, in Slovenia e persino in Transilvania. Ed è a questa Europa dei popoli che guardiamo con fiducia, perché siamo convinti che i successi dell'Unione europea non siano quelli del ritiro di un premio Nobel, ma dimostrare di saper governare i processi di libertà dei popoli. Ribadiamo che in questi processi non solo ci deve essere spazio per i sardi, ma riteniamo che la tradizione autonomista, federalista e indipendentista che ci onoriamo di vantare, attribuisca alla Sardegna un ruolo guida nelle grandi trasformazioni che investono l'Europa. Ed è anche per questo che diciamo che per la Sardegna è arrivata l'ora dell'indipendenza e dell'autogoverno per affrancare i sardi da uno Stato oppressivo ed estraneo, allo stesso modo di come definiamo ostile una monolitica Unione europea in sostituzione degli stati tradizionali, un'Unione che lascia il potere delle decisioni nelle mani degli Stati più grandi a cominciare dalla Germania.

Vogliamo che la Sardegna diventi attrice e non vittima del livello europeo, partecipando con gli altri Stati emergenti all'allargamento interno dell'Europa sulla base del principio dell'autodeterminazione dei popoli. Nuovi Stati per noi non significa isolazionismo né tantomeno separatismo, al contrario significa nuove opportunità per costruire l'Europa dei cittadini e delle sovranità condivise. E, così come gli scozzesi o i catalani, riteniamo che anche i sardi siano pronti ad assumersi tutta la responsabilità per fare della Sardegna un nuovo Stato dell'Unione europea.

Oggi, con la dichiarazione di indipendenza chiediamo all'Assemblea dei sardi di esprimersi con responsabilità e coscienza. Lo facciamo nel rispetto delle istituzioni, delle sensibilità politiche di ciascuno, delle antiche e nuove appartenenze dei colleghi, ma lo facciamo convinti che in tanti possano lasciarsi attraversare dall'idea dell'indipendenza e decidere di votare mettendo i sardi al primo posto. Ed è questo l'unico appello che mi sento di rivolgere a tutti voi: votate in libertà, pensando al futuro del nostro popolo e nell'esclusivo interesse dei sardi.

Votate perché la lingua sarda possa salvarsi insieme con le altre seimila lingue che nel mondo sono a rischio a estinzione. Votate perché la dichiarazione di indipendenza possa essere il lievito dell'Assemblea costituente sarda che dovrà riscrivere il patto che lega i sardi alla nuova Europa. Votate perché siano i sardi a scrivere il loro futuro, a decidere del proprio sviluppo, a scegliere il proprio destino.

Dite sì all'indipendenza per liberare questa terra da chi questa terra ha sfruttato e affamato. Dite sì perché tutti i sardi possano democraticamente e liberamente esprimersi in un referendum per l'autodeterminazione.

Noi lo faremo convintamente, e in ogni caso non compileremo certo noi la lista degli amici e dei nemici dell'indipendenza sarda perché non è un compito che ci spetta. Spetterà alla storia scriverla e sarà la storia a dire se oggi abbiamo ragione noi a dichiarare l'indipendenza della Sardegna o altri a tenere il popolo sardo sottomesso allo Stato Italiano. Per una volta, senza presunzione e con immutato rispetto per le altrui opinioni, riteniamo di essere nel giusto e chiediamo ai giusti di camminare insieme a noi in un percorso di libertà, pace e democrazia, per sperare in una Sardegna migliore, in una Europa più giusta e in un popolo più felice.

PRESIDENTE. Ricordo che i consiglieri che intendono prendere la parola devono iscriversi a parlare non oltre la conclusione del primo intervento.

E' iscritto a parlare il consigliere Mario Floris. Ne ha facoltà.

FLORIS MARIO (Gruppo Misto), Assessore degli affari generali, personale e riforma della Regione. Signor Presidente, colleghi del Consiglio, ritengo opportuno riappropriarmi delle mie prerogative di consigliere regionale per partecipare a questo dibattito e offrire il contributo della mia parte politica e mio personale, avendo la convinzione che in un futuro, che auspico il più vicino possibile, la Sardegna potrà essere una nazione indipendente e che il popolo sardo potrà essere totalmente autonomo nel determinare i tempi e i ritmi del proprio divenire. Ovviamente è un percorso legittimamente e costituzionalmente legittimo.

Io ho la convinzione che la questione sarda non sia un fatto confliggente con la questione nazionale generale, ma si collochi nel dibattito politico contemporaneo sul rinnovamento istituzionale dello Stato italiano inteso come Stato plurinazionale, o meglio, come Stato nazionale plurietnico, non centralistico e non ottocentesco. Detto questo, però, ho la convinzione che siano presenti condizioni oggettive di criticità, non tanto nella forza dell'utopia, quanto nella debolezza della coscienza dei sardi, della coesione, nei valori etici, morali, politici che sono l'anima di un popolo.

E' difficile oggi intravedere prospettive e conseguenze immediate, effetti concreti, anche perché siamo in presenza di una fase politica istituzionale ed economica irta di difficoltà. In primo luogo quelle della quotidianità e della crisi che ha investito il mondo e contro le quali dobbiamo trovare gli antidoti che riteniamo necessari per ridare fiducia e speranze ai popoli nel terzo millennio per tutto quello che sta avvenendo a livello della globalizzazione e delle nuove tecnologie. La mozione, paradossalmente, contiene i germi di questa debolezza e di questa insufficienza che sono i principali ostacoli che dobbiamo affrontare e superare e che abbiamo discusso tante volte in quest'Aula.

Con questa mozione si chiede di dichiarare solennemente la Sardegna nazione indipendente e si fanno voti affinché la dichiarazione d'indipendenza della Sardegna sia sottoposta a referendum consultivo del popolo sardo. Obiettivi certamente chiari, ma oggi appaiono utopistici. Mancano le condizioni politiche-giuridiche, ma soprattutto quelle civili e morali di coesione vera e forte della gente di Sardegna. Esistono, è vero, partiti - l'ha sottolineato Giacomo Sanna prima - movimenti, proposte, progetti, molteplici iniziative, dibattiti e confronti in sede diversa che si pongono questi obiettivi. Quasi tutti però appaiono orientati a conseguire soprattutto nuove rendite di posizione, piuttosto che a porre le basi e creare le condizioni di un percorso possibile, di un processo culturale e ambientale virtuoso in grado di rendere compatibile, quindi accettabile, la nostra aspirazione all'autogoverno e all'autodeterminazione.

In questi giorni abbiamo potuto riscontrare altre iniziative di questo genere, in Italia (nel Veneto), in Spagna (in Catalogna), altri riferimenti in Europa, negli Stati Uniti, oltre che l'atavica questione mediorientale.

Emblematico è il caso della Catalogna che portiamo sempre a riferimento in quest'Aula: "Catalogna indipendente: la strada ora è in salita, si allontana il sogno di una Catalogna indipendente". Così hanno titolato nei giorni scorsi alcuni organi di informazione nel commentare i risultati delle elezioni regionali che hanno ridimensionato il partito centrista di Artur Mas che puntava al referendum sulla Catalogna Stato indipendente. Gli osservatori ci dicono che a Barcellona la strada è ora in salita e lo è ancora di più al di fuori delle frontiere di quella regione, in Spagna e in Europa, dove incertezze e dubbi sono tanti e per ora insuperabili. Mancano infatti anche lì le condizioni morali e sociali, non solo politiche, per fare passi concreti in avanti.

Potremmo allora dire, come nella favola della volpe e l'uva, che la situazione non è ancora matura, così come tutti gli irridentismi che travagliano l'Europa e il mondo, anche se riscontriamo momenti di positività come il recente caso di riconoscimento della Palestina all'ONU. Non meno emblematiche sono le tematiche del nazionalismo scozzese, così come quello degli Stati del Texas e della Florida, che stanno segnando negli USA una voglia di nuova libertà e di nuova autonomia, l'affermazione cioè di nuovi ideali e non solo di rivendicazioni economiche dei diritti negati.

La mozione del Consiglio è fondata, colleghi, su questi presupposti e sconta, lasciatemelo dire, prevalentemente nostre manchevolezze, deficienze e inefficienze del presente e del passato, sia sul fronte del rivendicazionismo istituzionale, sia sotto il profilo dell'economia e dello sviluppo, l'uno e l'altro tra loro complementari e funzionali ai poteri di piena autonomia che abbiamo sempre posto alla base del rapporto con lo Stato. E questo, non solo con la forma di Stato della prima Costituzione (lo Stato era sinonimo di Repubblica fino agli anni '90) ma anche con lo Stato della riforma del Titolo V della Costituzione, che è solo una componente della nostra Repubblica, in quanto equiordinato a regioni, province, città e comuni.

Il Governo Monti pone in discussione questa articolazione, fa compiere un passo indietro alle autonomie, soprattutto alle autonomie speciali come la nostra, sacrificate sull'altare del Moloch del debito pubblico, sull'altare di quel debito che il Governo ha con la Sardegna e che non vuole onorare e che noi non siamo stati capaci di porre all'incasso.

Noi denunciamo tutto con la mozione: denunciamo la violazione dei diritti umani dei sardi, denunciamo che lo Stato e le strutture centrali non rappresentano in maniera adeguata gli interessi della Sardegna nelle sedi europee e internazionali, denunciamo che in 64 anni di autonomia il Parlamento italiano non ha mai approvato una proposta di legge costituzionale votata dal Consiglio regionale della Sardegna, denunciamo che la lingua e la cultura sarda sono calpestate dalle istituzioni nazionali nonostante istituti giuridici importanti, di importanti nazioni europee come la Germania, siano improntati ai principi giuridici della nostra Carta de Logu. Dimentichiamo però che non siamo stati capaci di trasferire questo nei partiti politici cosiddetti nazionali, che non sono riusciti a portare in maniera adeguata nel cuore del Paese, del Governo e del Parlamento, le istanze delle quali ci siamo fatti carico in tanti anni in quest'Assemblea.

Come la politica, anche le forze sociali e dell'economia hanno condiviso con noi iniziative, proposte, azioni: intendo riferirmi nello specifico al secondo capoverso della mozione nella quale si richiamano contenuti della mozione per l'indipendenza presentata dal Partito Sardo d'Azione nel maggio del 2009. Orbene, la discussione di quella mozione, la numero 6, accompagnata dalle mozioni numero 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88, si concluse con la presentazione di un ordine del giorno (il numero 41 approvato nella seduta antimeridiana del 18 novembre 2010, due anni fa) senza produrre quegli effetti e conseguire quegli obiettivi che ritenevamo essenziali e irrinunciabili.

Quella mozione rappresentava, in buona sostanza, le tre condizioni per il rilancio dell'autonomia e per la ripresa dell'economia. Io leggo testualmente dall'ordine del giorno che avevamo approvato in quest'Aula: "Attraverso un processo ampio e partecipativo è possibile farci pervenire al superamento e all'ampliamento delle competenze autonomistiche confermando le ragioni che hanno reso e rendono la Sardegna speciale per la sua condizione geografica, storico-culturale e linguistica e quindi condurci ad un duraturo e maggiore sviluppo attraverso la più ampia sovranità da definirsi nel rispetto del quadro istituzionale".

Di questo io credo dobbiamo tener conto e dare conto al popolo sardo perché è nelle risposte che daremo, che sapremo dare su questi temi, che potremo coinvolgere e indirizzare la gente di Sardegna verso quella più ampia sovranità che l'ordine del giorno poneva come obiettivo di un procedimento partecipativo ampio e diffuso in tutti gli strati della società sarda e della comunità dei sardi diffusi nel mondo.

Certo, la strada è lunga e difficile, non per questo dobbiamo arrenderci e non tentare di percorrerla. E' evidente però, onorevoli colleghi, che non può essere un percorso solitario o di pochi, nessuno ha esclusive e privative, deve essere un percorso di popolo, di coscienze, di valori e ideali condivisi non solo da parte della politica e delle istituzioni ma dall'intera società civile, dalle donne e dagli uomini sardi che a tutti i livelli di responsabilità e in ogni contesto si trovano ad operare. Solo con la nostra unità potremo avere l'autorevolezza di chiedere al popolo sardo di seguirci nella strada e nel cammino verso la nazione indipendente che segnerebbe il trionfo e l'appagamento di aspirazioni delle lotte di intere generazioni.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Capelli. Ne ha facoltà.

CAPELLI (Sardegna è già Domani). Presidente, colleghi, non nascondo qualche imbarazzo nel prendere la parola su un tema di tale importanza che con la mia firma, tra le altre, ho promosso e ho consentito che venisse discusso in quest'Aula. Già ieri dissi nel mio intervento che comunque la mia posizione rimaneva ferma, contraria all'indipendenza così intesa, ma sono profondamente convinto che in un momento di confronto come questo se ne debba parlare.

L'imbarazzo nasce da che cosa? Dal fatto che probabilmente questa mozione discussa dieci anni fa, quindici anni fa, vent'anni fa, avrebbe avuto un senso diverso e anche un significato profondo; quest'aula probabilmente sarebbe stata gremita, quest'aula avrebbe attratto l'attenzione realmente del popolo sardo ma, prima di tutto, l'attenzione degli stessi consiglieri regionali. Già l'atmosfera dell'aula, infatti, la disattenzione della gente (giusta, corretta a mio avviso) dimostra quanto inopportuna e antistorica potrebbe essere questa via. E' difficile far capire alla gente che un tema di tale significato e tale portata possa costituire un passaggio determinante per lo sviluppo economico, sociale e culturale della nostra Isola. Ma è tanto difficile perché noi stessi, a mio avviso, non ne siamo convinti .

E' difficile parlare di temi così alti nel momento in cui giusto ieri siamo stati tutti salassati da un'ulteriore iniqua tassazione imposta per risollevare le sorti economiche del Paese. E' difficile parlare di temi di tale importanza in un momento in cui non solo tanti nostri concittadini (come si diceva fino a poco tempo fa) non riescono ad arrivare alla fine del mese, ma non non riescono ad arrivare neppure alla terza settimana, con difficoltà riescono a mettere insieme giornalmente il pranzo con la cena. E' difficile parlare di questo argomento nel momento in cui la politica sta toccando i livelli più bassi della sua storia, sotto il punto di vista etico e sotto il punto di vista morale. E' difficile parlare di questo argomento e inserirlo, logicamente e razionalmente, nel tema europeo.

Ricorderete che i temi economici e sociali del mondo venivano discussi un tempo tra i G7, le sette nazioni più avanzate economicamente, che pensavano impropriamente di essere punto di riferimento del mondo anche nel sistema europeo, e di queste nazioni l'Europa era parte fondante. Poi ci si rese conto che forse c'era qualcun altro che poteva dettare le condizioni, e si passò al G8. Infine queste otto nazioni si resero conto che il loro debito era nelle mani di altri Paesi che a quel tavolo non sedevano e che erano i veri attori e possessori del futuro del mondo, e così si arrivò al G20 che includeva anche l'India, la Cina e il Brasile. E a quel tavolo l'Italia, la nostra Italia, che pensava di essere una delle potenze economiche che potevano determinare gli indirizzi del sistema mondiale, ha iniziato a perdere di consistenza, ha iniziato a perdere d'importanza, ha iniziato a perdere di autorevolezza.

Allora io mi chiedo: "ma pensate davvero che la nostra Isola, il nostro popolo, indipendente come nazione, possa essere determinante in un mondo di 7 miliardi di persone, con quei G20 che determinano il futuro del mondo, e che possiamo avere la possibilità, da soli, con la nostra presunzione, di poter entrare nel sistema mondiale nel momento in cui tutti vanno ad aggregarsi, vanno a costituire massa critica, vanno verso (volenti o nolenti) una globalizzazione sistematica? Mentre stiamo cercando di aprirci al mondo dobbiamo chiuderci?

E' la storia della Lega Nord, mi permetto di dire che è anche la storia della Catalogna. La Catalogna è quel sistema economico della Spagna non inclusivo che determina, che condiziona l'economia della Spagna con la stessa forza della presunzione dell'essere popolo che ha la Lega Nord, che si inventa come popolo perché ha uno sviluppo economico più fiorente determinato anche da scelte strabiche dello Stato a cui appartiene. E' da riconoscere questo.

Però non parliamo dei Baschi che manifestano invece un profondo senso di autonomia e vogliono esercitare l'autonomia in uno Stato, e non chiedendo l'indipendenza. Diversa la storia delle Fiandre, diversa la storia della Scozia, diversa la storia dell'Irlanda a suo tempo: è un'altra storia. Questo lo dico perché sono profondamente convinto che la maggior responsabilità di questa ulteriore decentralizzazione della Sardegna rispetto allo Stato è soprattutto nostra responsabilità. E' la grande responsabilità di non aver dato attuazione con autorevolezza, conoscenza, proposta, ai valori progettuali del nostro Statuto, dello Statuto dalla Sardegna (per non parlare della Costituzione italiana di cui lo Statuto della Sardegna è parte integrante).

Si dice - e lo dico con senso critico e autocritico - che più autogoverno vuol dire meno casta. Non è il momento di parlare di questo. La realtà ci dimostra che è esattamente il contrario. Si pensi, per esempio, al fatto che alcuni combattono in commissione per ridurre la casta (parlo dei consigli d'amministrazione) mentre altri, appartenenti a gruppi politici che oggi non sono presenti, per dimostrare la loro contrarietà sul mancato inserimento all'ordine del giorno della legge sulle Province in quest'aula fanno mancare il numero legale nella Commissione competente impedendo che si parli di cancellazione dei consigli d'amministrazione.

Oppure si pensi a quegli stessi gruppi propositori dei referendum, che però, dopo il referendum, con un'interpretazione abbastanza particolare, ritengono che occorra mantenere quattro Province nella nostra Isola, dopo un referendum che ha deciso che tutte devono essere cancellate. Ma di questo parleremo al momento opportuno, discutendo quella legge, discutendo degli atteggiamenti, discutendo della comunicazione falsa che la politica manda fuori da quest'Aula per continuare ad ingraziarsi voti populistici e demagogici. Questa è la Sardegna!

Allora cerchiamo prima di tutto di essere noi indipendenti, prima di pensare ad un nuovo stato o ad una Regione indipendente, e soprattutto questo lo pensi e faccia un esame chi governa, chi siede nei posti di potere, di governo, e parla da oppositore. Non ci capisce più niente nessuno! La gente non capisce e non capirà! E c'è un referendum che darà l'indirizzo…

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. Comunico che i colleghi Radhouan Ben Amara e Floris Rosanna sono rientrati dal congedo.

E' iscritto a parlare il consigliere Gallus. Ne ha facoltà.

GALLUS (P.d.L.). Signora Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, signori Assessori, colleghe e colleghi, la storia della Sardegna è costellata di occasioni mancate, rinunce e sottomissioni che sempre hanno sotteso un animus millenario dei sardi verso forme di autogoverno del proprio territorio, che però non hanno mai trovato soddisfazione compiuta.

In tempi recenti, come riporta la mozione in discussione, la questione del diritto all'autodeterminazione dei sardi è stata posta prepotentemente in evidenza attraverso due atti significativi, quali la Dichiarazione solenne di sovranità del 24 febbraio del 1999 e la mozione sull'Indipendenza del 21 maggio del 2009, alle quali non è mai stato seguito, anche perché il processo di riforma del nostro istituto autonomistico, che poteva farci guadagnare notevoli aumenti di quote di sovranità verso un autogoverno del popolo sardo, è ancora una chimera.

E proprio l'occasione della mozione odierna ci riporta duramente alla realtà in quanto, a prescindere dal suo contenuto, più o meno condivisibile, ci induce a dare risposte ad una serie di domande di fondo che rimangono sempre irrisolte sul tappeto delle future riforme. E cioè: i sardi possono bastare a se stessi? E se sì, sono in grado di bastare a se stessi? Perché qui con la mozione non ci si pone semplicemente di fronte alla sola scelta di essere indipendenti o meno, ma a quella più complessa ed impegnativa cui rispondere per capire se davvero siamo in grado e abbiamo le risorse per governare i nostri destini col successo che noi tutti auspichiamo. Se non si dipana questo dubbio di fondo, ancora oggi latente, qualsiasi discussione, ancorché portata su di un piano squisitamente accademico e retorico, rischia di diventare una sagra delle ipocrisie fra chi si dichiara favorevole e chi si dichiara contrario al contenuto della mozione, considerati anche i limiti costituzionali del nostro mandato.

Dico questo perché, essendo il mio animo profondamente autonomista e federalista, e quindi convinto di una dimensione statuale della Sardegna nell'ambito di un ordinamento federale o confederale dello Stato italiano, mi risulta difficile comprendere come oggi ci si possa pronunciare sulla mozione senza aver rimosso le nostre passate, presenti ed anche future criticità. Quelle cioè di un'Assemblea che ha mosso i suoi passi sotto l'egida dei migliori auspici e l'impegno lodevole della presidente Lombardo, e il costante ed altrettanto lodevole impegno del nostro governatore Cappellacci, il quale sta svolgendo una precisa azione nei confronti dello Stato centrale e centralista per il riconoscimento di tutto quanto deve essere riconosciuto, non soltanto dal punto di vista fiscale.

Però questo dibattito avviene oggi in tono alquanto dimesso. Dove sono in Sardegna le folle, come avviene in Catalogna, che sostengono i nuovi entusiasmi popolari verso forme più evolute di sovranità? Dove sono gli stati generali del popolo sardo, sempre presenti ogni qualvolta si parla di questione sarda o di tematiche fondamentali per il nostro futuro? Qual è l'attenzione dei mezzi di informazione? E allora mi chiedo e vi chiedo: è utile discutere di questo argomento così impegnativo e coinvolgente? A questo proposito, credo di non sorprendervi, io dico comunque di sì. Sì, è possibile, e sapete perché? Perché ogni qualvolta ci si presenta l'occasione per dare una dimensione compiuta alla nostra voglia di sovranità, che sia o meno, a seconda delle visioni, all'interno dell'unità dello Stato, un buon legislatore ha il preciso dovere di sviluppare ogni possibile ragionamento per valutarne la portata ed indicare la strada per un effettivo autogoverno del proprio territorio, o anche (perché no?) per un miglioramento e un'accelerazione del processo autonomistico, di quello vero intendo.

Io ho una visione laica del problema, e vedo qualsiasi miglioramento delle nostre potestà come un innalzamento verso quote di sovranità e di autogoverno del popolo sardo, che ritengo strumento ineludibile per il nostro futuro, se vogliamo parificare lo sviluppo dell'Isola a quello europeo e delle Regioni più progredite. Non a caso nella passata legislatura, con i miei colleghi di Gruppo, ho sostenuto convintamente il lavoro del comitato "Firma per la tua Sardegna", composto da studiosi ed esperti della materia di aria sardista, del centrodestra e non solo, guidato da un funzionario del nostro Gruppo, Antonello Carboni, che dopo diversi mesi di intensi e proficui lavori, approfondimenti e studi, esitò una proposta compiuta di nuovo Statuto di sovranità per l'Isola, una proposta che (opinabile o meno) resta oggi la più avanzata verso le istanze di autodeterminazione del popolo sardo, in un quadro ordinamentale a dimensione europea, e costituisce una valida piattaforma sulla quale confrontarsi per il futuro.

Ma, come sempre in queste discussioni, purtroppo, ci si perde in divisioni pregiudiziali che impediscono di affrontare seriamente la questione. Ed è proprio questo il nodo. Infatti siamo sempre più orientati a discutere del mezzo per rinnovare la nostra Carta di sovranità, ma mai dei reali contenuti che deve avere e recepire. E cioè: come vogliamo essere sovrani? Quale nuovo contratto pattizio vogliamo stipulare con l'Italia e con l'Europa? Di quale dimensione giuridica, organizzazione amministrativa e politica deve essere dotata la nostra Isola per raggiungere quelle quote di sovranità che ne rendano effettiva l'azione di autogoverno? Ancora oggi si parla di un'assemblea per la riscrittura dello Statuto. Benissimo, io sono d'accordo, ma poi chi andrà in giro a spiegare ai sardi che quest'assemblea dovrà, con ulteriori costi, occuparsi di un compito demandato al legislatore regionale e quindi a noi?

Ho premesso tutto questo per affermare, in conclusione del mio intervento, che apprezzo comunque, e sottolineo comunque, l'iniziativa degli amici consiglieri sardisti di proporre una mozione che ha il pregio, se l'affrontiamo col piglio e lo spirito giusto, di portarci a considerare che le attuali sofferenze e carenze nel rapporto con lo Stato necessitano di una organizzazione e di una dimensione giuridica della Sardegna che siano davvero in grado di rappresentarla come nazione-stato nello scenario italiano ed europeo, con tutte le tutele e gli strumenti giuridici adeguati per esprimere una personalità forte ed appagante nell'ambito di questi stessi contesti.

Del resto il processo di riforma dell'Istituto autonomistico è rimasto al palo perché ancora privo di contenuti e di una visione strategica adeguata. Contenuti magari da sottoporre a referendum, che la mozione prevede, ma per una nuova dimensione di sovranità all'interno di una visione europea e federale, italiana dei sardi e della Sardegna aggiungo e auspico io. Nessuno può avere paura del giudizio dei sardi, perché nessuno ci può negare il diritto fondamentale di esprimerci sul nostro futuro, un giudizio che noi osserveremo con l'ossequio dovuto se davvero, al di là delle belle parole che spesso echeggiano in quest'Aula, ci sentiamo i legittimi rappresentanti di una nazione ed i veri difensori dei diritti inalienabili del popolo sardo. E concludo ringraziando i colleghi Lai e Murgioni che hanno condiviso con me questo intervento.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.

ZUNCHEDDU (Gruppo Misto). Presidente e colleghi, come sarda impegnata nelle istituzioni e come esponente del movimento indipendentista Sardigna libera, in questi anni ho portato avanti i temi politici del diritto dei popoli all'autodeterminazione, all'autogoverno, alla sovranità e all'indipendenza. Diritti riconosciuti e sostenuti dal diritto internazionale e, ovviamente, disconosciuti dallo Stato italiano.

Oggi l'indipendenza per il popolo sardo non è più una reliquia della storia o un'aspirazione di una ristretta élite di intellettuali, oggi è una necessità, è un'opportunità che in questi anni si è fatta sempre più forte e necessaria per salvarci dalla crisi internazionale e dal crollo economico dell'Italia. Da ciò la necessità che il referendum consultivo sulla Sardegna nazione indipendente, al di là delle nostre convinzioni personali, sia un libero diritto di espressione del nostro popolo. E' nostro dovere, come classe politica responsabile al di sopra delle proprie convinzioni e divisioni partitiche, dare questa opportunità di libertà e di democrazia ai sardi, qualsiasi sia la risposta che essi esprimeranno.

E' dovere di tutti noi, intanto, mettere in atto tutte le iniziative possibili come difesa imprescindibile dei diritti dei sardi al proprio autogoverno e al proprio benessere e come rottura democratica, pacifica e condivisa dal popolo, del processo di dipendenza dallo Stato italiano e con l'apertura di una nuova stagione di sovranità, di autodeterminazione e d'indipendenza.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSSA

(Segue ZUNCHEDDU.) Tutti, questi, temi ideologici ma legati in modo indissolubile al diritto del popolo sardo, al lavoro che non uccide, e a un percorso economico che, partendo dalle economie tradizionali, dal commercio, dalla piccola e media impresa, costruisca un'economia compatibile e rispettosa del bene ambiente, in modo tale da permettere al nostro popolo di resistere e respingere gli attacchi di vecchi e nuovi colonizzatori (lo Stato italiano, il principale) fino agli ultimi arrivati, gli sceicchi e gli emiri del Qatar che, a nostra insaputa, di cittadini sardi e di consiglieri della Regione autonoma della Sardegna, dialogano con il Presidente Cappellacci e con il Presidente del Governo italiano Monti, decidendo in solitudine (non per conto dei sardi) il nostro destino e quello delle nostre future generazioni.

In questo scenario politico ed economico, sicuramente difficile e drammatico per noi sardi (il livello di occupazione e precarietà economica ci vede fra gli ultimi in Italia) la Regione autonoma della Sardegna e questo Consiglio sono chiamati a dare un chiaro esempio di resistenza agli attacchi economici delle multinazionali che, garantendo solamente i loro interessi e i loro profitti, hanno contribuito a creare questo scenario di disoccupazione, di desertificazione industriale che ha messo ancora più in crisi l'economia dei territori e con la disoccupazione ha minato la stessa coesione e aggregazione sociale che nessuno oggi può più garantire.

Non possiamo permettere che la Sardegna sia terra di discariche, di rifiuti non ben identificati ma sicuramente pericolosi per la salute degli uomini e dell'ambiente, di nuovi inceneritori spacciati in modo ingannevole dietro le targhe di Green economy o di interventi di revamping di impianti di bio metanizzazione, di infinite distese di serre fotovoltaiche, di trivellazioni, (con relativo sconvolgimento del sottosuolo) per la ricerca dei combustibili fossili. Tutti questi eventi continuano a creare ricchezza per pochi stranieri ed impoverimento per noi sardi.

Non possiamo più permettere che la Sardegna sia, ieri come oggi, il contenitore della peggior criminalità internazionale con i mafiosi camorristi del "41 bis" importati clandestinamente e all'insaputa delle Istituzioni sarde. Non possiamo più permettere che lo Stato italiano continui ad ingannarci con la promessa delle bonifiche dei poligoni militari in Sardegna, propagandando l'assegnazione di 75 milioni di euro, che sarebbero comunque briciole rispetto agli altissimi costi di una bonifica seria come quella prevista dai protocolli internazionali, e con la beffa di essere destinati non solo ai tre poligoni sardi ma anche, come molti politici sardi presenti nel Parlamento italiano ci hanno fatto capire, ad altri 10 poligoni presenti nel territorio della Penisola.

Non possiamo più permettere che multinazionali delle industrie ed enti di Stato come l'Eni, in violazione delle stesse leggi costituzionali, abbandonino l'Isola impuniti dopo aver usufruito di fiumi di finanziamenti pubblici regionali, destinati al sostegno e al superamento delle povertà in Sardegna, dopo aver inquinato e impoverito le nostre risorse e il nostro ambiente oppure aver simulato riconversioni, ovviamente senza bonificare i siti inquinati. Non possiamo più permettere che il credito sia gestito dalle filiali delle banche multinazionali che decidono arbitrariamente a chi concederlo privando le famiglie e le imprese sarde di questo sostegno assolutamente indispensabile per continuare a vivere e difendere l'occupazione.

Bisogna pensare all'istituzione al più presto di una banca sarda che abbia al centro gli interessi del nostro popolo e all'agenzia delle entrate sarde che gestisca i nuovi tributi e salvi le famiglie e le imprese dallo strozzinaggio di Equitalia che ci sta portando al fallimento. Affrontare il problema della dipendenza che subiamo oggi è più che mai urgente, anche alla luce dell'operato politico del nostro Presidente Cappellacci che usa il suo ruolo come Presidente della Regione autonoma della Sardegna per occuparsi di affari internazionali senza che le istituzioni sarde siano a conoscenza del come e del quando, come se la Sardegna e il suo popolo fossero una sua proprietà.

Forse troppo spesso abbiamo sottovalutato il Presidente Cappellacci pensando davvero che fosse solo un ingenuo, come lui si è autodefinito in qualche occasione. Purtroppo l'affare dell'emirato del Qatar per il quale il Presidente si sta prodigando è di dimensioni inimmaginabili, gestito in solitudine dal nostro Presidente insieme al Presidente del Governo Monti. La Sardegna, pertanto, ancora una volta rischia di essere svenduta per affari e interessi italiani ed internazionali, come avvenuto nello scorso secolo. Il nostro Presidente non è da sottovalutare perché, mentre in altri tempi le occupazioni dei territori nazionali avvenivano attraverso le guerre, oggi con la globalizzazione della finanza, come lui ben sa, tutto è più facile e nascosto.

In barba alla nostra sovranità territoriale, infatti, le nostre terre vengono conquistate e acquistate dal Qatar con i petroldollari e diventano di proprietà non dell'Emiro come soggetto privato, ma dello Stato arabo con i suoi fondi sovrani. Quindi una monarchia assoluta islamica diventa padrona di vasti territori della Sardegna. L'affare Qatar, per quel che ci è dato conoscere, prevede transazioni azionarie di acquisizione del 51 per cento della Smeralda holding, (quindi con Cala di Volpe, Pitrizza, Romazzino e Cervo Hotel) la marina con 700 posti barca, il cantiere di Porto Cervo, il Pevero Golf Club, oltre 2.400 ettari sul mare intorno ad Arzachena e Olbia, come Liscia Ruja, Razza e Juncu ect. per non parlare di ulteriori interessi su Teulada e gran parte delle coste del Sulcis con l'alberghiero e l'allevamento dei cavalli, tuttora pare preservate dalla "legge salva coste" voluta dalla precedente Giunta.

Ci ritroviamo nella situazione in cui uno Stato diventa proprietario di una parte del territorio di un altro Stato. Il fondo sovrano del Qatar ha disponibilità pari a 60 miliardi di euro, è un veicolo di investimento pubblico controllato direttamente dal Governo. Di fatto un fondo sovrano non investe: acquisisce beni diventandone il proprietario! Nel caso specifico della Sardegna con 1 miliardo il Qatar diviene proprietario di vaste zone della nostra Isola. E' un'operazione che ci ricorda tanto il miliardo messo a disposizione da Mussolini per comprare i sardi ribelli e per garantire migliori condizioni di vita al nostro popolo, ma il risultato di quell'operazione oggi è sotto gli occhi di tutti e della storia.

C'è da chiederci, anche legittimamente, se il Presidente sia il governatore della Sardegna o un commercialista dell'Emiro del Qatar. Conosco le diverse opinioni politiche dei colleghi sul tema del federalismo, dell'autonomia, della sovranità e dell'indipendenza, ma conoscendone la grande sensibilità e generosità ritengo che nella storia ci siano delle occasioni, come queste, in cui le divisioni vanno superate per perseguire…

PRESIDENTE. Onorevole Zuncheddu, il tempo a sua disposizione è terminato.

E' iscritto a parlare il consigliere Sanjust. Ne ha facoltà.

SANJUST (P.d.L.). Presidente, colleghi, la discussione della mozione cade in un momento di particolare crisi, che non investe solo l'economia ma le stesse ragioni che sino ad oggi hanno legittimato le istituzioni regionali; intendo dire che se l'indipendenza e diventata una questione "sdoganata" lo si deve, tra l'altro, al fatto che ormai l'Istituto autonomistico ha forse fallito il suo scopo. Non si tratta di addossare le colpe né a sinistra né a destra, o di cercare fumose interpretazioni, i fatti sono sotto gli occhi di tutti: in oltre sessant'anni di autonomia regionale non siamo stati capaci di uscire dal cerchio della dipendenza, e lo dico senza polemica: non basta avere la buona volontà di cambiare le cose se poi non si hanno istituzioni adeguate per farlo.

La verità è che ai diritti sacrosanti dei sardi non corrispondono poteri adeguati per attuarli, e non parlo solo del mancato riconoscimento dell'insularità (che pure tanto gioverebbe allo sviluppo complessivo della Sardegna) ma mi riferisco alle tante questioni irrisolte che vanno dalla continuità territoriale alla fiscalità di compensazione, dai costi energetici alle infrastrutture. Ebbene, se la Sardegna avesse poteri adeguati per progettare il proprio futuro senza chiedere il permesso allo Stato ad ogni piè sospinto, con ogni probabilità molte delle sterili contrapposizioni che hanno caratterizzato le ultime legislature perderebbero parte della loro ragion d'essere.

Non mi dilungo, perché penso che lo faranno adeguatamente altri colleghi, sulle ragioni della crisi delle istituzioni nel mondo globale e neppure sulle gravi tendenze all'accentramento statale in una fase che vede gli stessi Stati sempre più spogliati della propria sovranità, tuttavia devo sottolineare che è in atto una tendenza sempre più marcata verso istituzioni multilelvel, verso forme di coordinamento sovranazionale, verso strumenti di collaborazione tra livelli istituzionali diversi. In un panorama così fluido, di difficile interpretazione e a tratti persino incoerente, parlare di indipendenza può essere un valido contributo per uscire dal cerchio magico dello statalismo e del regionalismo, così come li abbiamo conosciuti e sperimentati fino ad oggi.

Naturalmente riconosco ai colleghi Sardisti una coerenza politica su temi che solo da pochi anni sono entrati nel normale confronto, e riconosco che una mozione non è una proposta di legge e pertanto è comprensibile che il testo non scenda nell'esame delle questioni particolari, ma poiché, come legislatori, siamo chiamati a contemperare le ragioni ideali con gli strumenti operativi, mi permetto di proporre alcune osservazioni di merito sulla sostanza della proposta.

Dico subito, a scanso di equivoci, che se l'indipendenza postulata fosse riconducibile al folclorismo di alcuni gruppuscoli sedicenti indipendentisti, non avrei scrupolo a dire che voterei contro la mozione, ma poiché conosco la serietà e le intenzioni di un partito di governo come il Partito Sardo d'Azione sono certo che quando ci si riferisce all'indipendenza si intende una prospettiva più articolata, in linea con le indicazioni delle maggiori esperienze europee sul tema. Perciò mi chiedo se davvero l'indipendenza debba per forza ridursi alla proclamazione di uno Stato indipendente, anzi meglio di un micro-staterello sovrano, con rappresentanza all'ONU, o se siano possibili altre forme giuridiche, ad esempio la logica federale, che se non ricordo male è contenuta anche nella formulazione dello statuto Sardista.

Dico questo anche per rassicurare molti cittadini sardi che sarebbero molto ben disposti verso un rinnovamento istituzionale ma non seguirebbero probabilmente mai un progetto velleitario che porterebbe, a mio parere, ulteriore dipendenza. Senza falsa retorica, non vorrei che qualche fuga in avanti si creasse con il "dipendentismo", cioè una sciagura peggiore del male che vogliamo combattere. La discussione dovrebbe pertanto convergere verso l'analisi di fattibilità, anzitutto economica, del progetto indipendentista.

Vorremmo capire meglio i vantaggi della fiscalità di compensazione e sarebbe importante capire quale progetto istituzionale sia compatibile con una semplificazione del cosiddetto federalismo interno, perché è ben chiaro, ad esempio, che non basta proclamare la Sardegna come Nazione indipendente e poi ricalcare l'assurdo e inefficiente assetto istituzionale attuale, a partire dalle Province. C'è poi l'intera questione delle modalità con cui, anche ammesso che si trovasse un accordo, dovremmo proporre allo Stato italiano, e forse anche all'Unione Europea, il progetto di uscire dai limiti della Costituzione repubblicana, perché è evidente che qualsiasi progetto che appena rimoduli l'istituto regionalistico si pone al di fuori della Costituzione, con tutto quello che ciò comporterebbe.

Ma forse qualcuno potrebbe obiettare che stiamo correndo troppo e che prima di pensare alle concrete forme istituzionali occorre avere un idem sentire. La Sardegna dovrebbe innanzitutto sentirsi Nazione e poi proclamare un'indipendenza che non sia di facciata ma sia la conseguenza di un ragionamento complessivo di liberazione dai vincoli della dipendenza. In questo senso mi chiedo che fattibilità possa avere la stessa idea, assolutamente condivisibile, di organizzare un referendum consultivo per chiedere ai sardi cosa pensino dell'indipendenza. Sappiamo che allo stato attuale del nostro ordinamento al popolo sardo è stato finora negato il diritto fondamentale di esprimersi su argomenti decisivi: ecco, semmai la prima vera battaglia di civiltà potrebbe essere quella di rivolgersi alle massime autorità giurisdizionali europee per chiedere se l'Italia non discrimini pesantemente la Sardegna. Catalogna e Scozia, solo per citare esperienze incontrovertibili, possono invece proporre il referendum per l'indipendenza.

E allora, se si tratta di questioni che non riguardano solo gli affari interni dello Stato italiano ma diventano ormai una questione europea, non sarà il caso di attivarsi perché anche alla Sardegna sia riconosciuto il medesimo diritto? La cosa è ancora più grave se si pensa, come altri colleghi pure hanno detto, che non si sta chiedendo di celebrare un referendum eversivo ma una semplice consultazione democratica.

Altra questione, che mi pare abbastanza centrale, riguarda la lingua sarda nazionale. In effetti, se guardiamo a esperienze come la Catalogna, la questione della lingua è strettamente legata allo sviluppo economico. Ogni comunità che ambisce a diventare Nazione, inevitabilmente deve porsi il problema della lingua. Da questo punto di vista trovo interessante che la questione linguistica sia trattata dai Sardisti fuori dagli schemi folcloristici e dalle sparate ad effetto. E per quanto riguarda l'insegnamento nelle scuole non ho nessuna pregiudiziale, semmai occorre chiedersi in che modo sarà possibile trovare nuove risorse per creare nuovi, stabili e produttivi posti di lavoro nella scuola. Credo che su questi temi il confronto possa trovare convergenze positive.

Io capisco bene che per i colleghi Sardisti la parola "indipendenza" evochi un'offerta politica alternativa e costituisca un potente simbolo politico alternativo alle offerte politiche dei partiti italiani, e altrettanto bene so che questa prospettiva talvolta non ha goduto di adeguata considerazione perché veicolata da forze e movimenti che non sono stati capaci di spiegare in modo convincente in che modo l'indipendenza possa creare sviluppo. Però, al di là delle formule, comunque importanti in politica, penso che una maggiore convergenza su questo tema possa trovarsi a partire dall'analisi dei problemi concreti; in particolare io credo che anche nella mozione sia implicito un punto fermo: o risolviamo i gap strutturali che impediscono qualsiasi politica settoriale, o continuiamo a bloccarci con formule ormai perdenti.

Occorre partire da ciò che costituisce il limite di qualsiasi, anche seria, proposta politica sull'industria, sull'agroalimentare, sul turismo, e soprattutto, se vogliamo creare sviluppo strutturale, dobbiamo mettere le imprese sarde in grado di fronteggiare la concorrenza. Siamo d'accordo che senza una seria e ampia sovranità energetica nessuna impresa può ragionevolmente sperare di competere in Italia ed in Europa? Siamo d'accordo che senza una piena, vera ed effettiva, continuità territoriale di persone e merci ogni intrapresa e ogni politica turistica troveranno ostacoli insormontabili? Siamo d'accordo che, stante la condizione di insularità, la Sardegna avrebbe diritto ad una reale forma di fiscalità di compensazione, tale da attrarre capitali?

Se l'indipendenza porta innanzitutto a risolvere questi reali blocchi, allora è difficile non essere indipendentisti. In altri termini, ben venga finalmente una discussione sull'indipendenza fuori da schemi ideologici e orientata sui reali problemi che ci impediscono di volare; ben venga un confronto sulle emergenze strutturali se questo serve ad impostare, almeno sulle grandi questioni, superiori convergenze politiche. Su questi temi io credo che tantissimi cittadini sardi, sfiduciati e traditi, troverebbero un punto di incontro e una ragione per votare senza turarsi il naso.

Perciò, sia che la vogliamo chiamare indipendenza, sia che la intendiamo chiamare sovranità più o meno aggettivata o in un altro modo, deve essere ben chiaro che il progetto politico ha senso solo se è in grado di spiegare il netto…

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Planetta. Ne ha facoltà.

PLANETTA (P.S.d'Az.). La mozione che oggi stiamo discutendo ha un carattere per noi di solennità, ma anche di consapevolezza unita al disincanto. Sessantaquattro anni di autonomia incompiuta che spesso ci hanno relegato nello scomodo ruolo di spettatori paganti impossibilitati ad operare per il bene della nostra terra. Sessantaquattro anni trascorsi ad incassare soprusi, a cercare di migliorare il vivere quotidiano della nostra gente, ma molto più spesso passati ad ingoiare sempre di più decisioni estranee alle nostre necessità, ad adottare provvedimenti sempre più monchi sulla spinta dell'emergenza della crisi che da noi ormai è diventata un fatto strutturale.

Ebbene, l'indipendenza che oggi vogliamo affermare è una conseguenza quasi naturale della nostra storia, un fatto che scaturisce proprio da un vero e proprio istinto di sopravvivenza della nostra Isola; è la Sardegna a chiederla a gran voce, e ce lo rivelano molti sondaggi. Una ricerca condotta dall'Università di Cagliari ha evidenziato che la maggioranza dei sardi è insoddisfatta del livello di autonomia che lo Stato italiano riconosce alla Sardegna e reclama più sovranità, soprattutto in campo fiscale, mentre il 40 per cento degli intervistati si è addirittura dichiarato favorevole alla indipendenza della Sardegna.

Assistiamo ancora oggi all'inerzia di chi si ostina a non guardare la realtà, di chi si oppone alle pressanti richieste del nostro popolo con argomentazioni e palliativi che si risolvono di fatto nell'inconcludenza più totale. Eppure ci dovrebbe tutti far riflettere che la manifesta inadeguatezza del nostro stato di autonomia dovrebbe riuscire a rappresentare uno stimolo sufficiente per avviare una riflessione sui limiti politici e culturali che impediscono alla classe dirigente sarda liberamente di parlare di indipendenza. Sappiamo che qualunque forma di autonomia, per quanto ampia essa sia, è sempre l'espressione di un rapporto di subalternità e non di un rapporto tra eguali, cioè tra popoli titolari entrambi di una sovranità originaria. Ciò significa che i poteri, le competenze, le libertà saranno sempre concesse da altri e pertanto sempre revocabili in ragione del clima culturale e delle contingenze politiche che si determineranno in un dato momento storico.

Ecco perché noi Sardisti guardiamo con attenzione e rispetto agli scozzesi, ai catalani, ai baschi, ai fiamminghi e a tutte le altre nazioni senza stato che si battono per ottenere una propria soggettività statuale tale da determinare il proprio sistema istituzionale, fiscale, economico, culturale e sociale; tutti noi sardi dobbiamo pensare seriamente all'indipendenza e dobbiamo cominciare a riflettere se parole come autonomia, identità, specialità, abbiano mantenuto inalterato il loro significato o abbiano la necessità di una riformulazione originale. Ci dovremmo chiedere, insomma, senza raccontarci bugie, se l'autonomia speciale risponda ancora ai nostri bisogni e, in caso contrario, prendere atto che essa è ormai uno strumento consunto, consumato e quindi irrimediabilmente inadeguato e deciderci di misurarci finalmente con il complesso tema dell'indipendenza.

Per quel che riguarda il Partito Sardo d'Azione, autonomia, federalismo, sovranità, indipendenza sono tutte parole che abbiamo già acquisito da tempo. Voglio ricordare che il termine sovranità, per esempio - il presidente Soru lo sa - è stato utilizzato nel passato anche in testi di legge della Regione autonoma della Sardegna, e sappiamo anche che è stato cassato nonostante molta dottrina lo avesse ormai già acquisito. Dunque vi è una sovranità in capo all'Europa, una sovranità dello Stato, una sovranità delle Regioni ma c'è anche una sovranità di cui abbiamo diritto, di cui dobbiamo farci carico responsabilmente. Di conseguenza dobbiamo acquisire nuovi margini, nuovi spazi, nuove aree di sovranità. Credo che ciò sia importante e debba essere non semplicemente auspicio, ma un nostro dovere immediato.

Colleghi, indipendenza significa dunque nient'altro che non dipendenza, la volontà, insomma, di rifiutarci di mediare soltanto gli interessi della nostra dipendenza . E se è vero che anche lo Stato italiano si trova in una rete di interdipendenza, compresa la interdipendenza con l'Europa, noi guardiamo invece, e da tempo, come è stato già detto, così come teorizzato da Camillo Bellieni, ad un'Europa dei popoli che ha come valore aggiunto quello delle differenze, delle diversità culturali e linguistiche.

Insomma, io credo ad un sistema di interdipendenza che contempli interdipendenze che responsabilizzino sempre di più ma che, allo stesso tempo, sappiano restituire maggiori spazi di sovranità senza mai arrivare all'isolamento.

Allora dobbiamo comprendere bene, prima di parlare di questi temi, che tipo di Sardegna abbiamo in mente, che tipo di consapevolezza abbiamo sul significato di indipendenza, che per noi sardisti consiste nella capacità di autogovernarci e di decidere alla pari e confrontarsi alla pari. Mi riferisco, per esempio, all'archiviazione definitiva del nostro rapporto di sudditanza con l'ENI, che oggi è ancora mediato disastrosamente dallo Stato italiano, che poi sta mediando i propri interessi, con l'unico risultato di avvelenare la nostra salute, il nostro ambiente, privandoci insomma del nostro diritto fondamentale alla vita.

Attento, presidente Cappellacci, alla chimica verde (non è il futuro); attento alle nubi nere della SARAS. Dobbiamo stare attenti a non essere noi, classe politica, complici di ingiustizie e di conflitti.

Nei tanti tavoli tra Stato e Regione, convocati per l'urgenza di trovare soluzione ai nostri problemi, lo Stato italiano ha sempre preteso di dettare lui le condizioni per poi lasciare le cose come stanno se non peggio. La realtà è che noi purtroppo stiamo pagando anche in questi casi il fatto di essere una nazione che, per le vicissitudini della storia, è priva di una soggettività statuale propria. L'autonomia di cui gode oggi la Sardegna, infatti, fu il frutto delle mediazioni tra chi allora, nel lontano 1948, si batteva per un modello di Stato di tipo federale con potestà legislativa ampia, finanziaria e doganale, e chi invece era contrario a qualsiasi forma di autonomia.

Ebbene, cari colleghi, l'esperienza di questi sessant'anni di autonomia speciale ha dimostrato soltanto tutta la sua limitatezza, tutta la sua insufficienza a garantire e difendere gli interessi primari della Sardegna proprio nei confronti dello Stato italiano, con danni incommensurabili nella scelta dei nostri modelli di sviluppo (non continuiamo a fare ancora gli stessi errori, cara classe politica sarda) danni incommensurabili nella nostra politica fiscale, nella politica economica, nella politica ambientale e nella politica energetica.

Voglio tralasciare il riferimento alla vertenza per le entrate che è ancora aperta, alla politica di occupazione del territorio attraverso le basi militari, alla gestione lobbistica dei trasporti e dei collegamenti interni ed esterni che non ci hanno mai consentito una compiuta continuità territoriale. Voglio aggiungere un'ultima cosa: fra gli atti peggiori da imputare a questo Stato coloniale, vi è la mancata ratifica della carta europea delle lingue regionali e minoritarie. Un Governo sostenuto trasversalmente che si proponeva addirittura di cancellare le regioni a Statuto speciale con l'intento di demolire il livello di cultura…

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Agus. Ne ha facoltà.

AGUS (P.D.). Intervengo per una breve riflessione. Questo processo, che guarda all'indipendenza della Sardegna, proviene da lontano, e fino ad oggi - la storia lo sottolinea - si è sempre infranto sulle sabbie mobili della divisione di un popolo che è stato spesso oggetto, e mai soggetto di riferimento per un percorso di autodeterminazione che andrebbe presentato e condiviso con la più ampia partecipazione.

Diversi degli aspetti denunciati nella mozione sono certamente condivisibili, e in questo Consiglio abbiamo spesso registrato posizioni che tendono a soluzioni che a stento trovano risposte convergenti. Si è parlato del riconoscimento della lingua: è ormai un concetto acquisito da tutti che un popolo senza la propria lingua non possa essere considerato popolo, però spesso, su questo tema, giochiamo a assumere posizioni differenti, non attribuendo così il giusto rilievo al fatto che, pur nelle diverse articolazioni territoriali, di fatto ci troviamo di fronte a una lingua unitaria.

Abbiamo anche parlato dell'insularità, un tema importantissimo, ne facciamo oggetto di richiamo, ma abbiamo anche parlato della possibilità di questa Regione di poter incamerare le risorse e le tasse che si pagano al suo interno, invece sappiamo che parte di esse le condividiamo con lo Stato nazionale.

Abbiamo parlato - e i colleghi che mi hanno preceduto lo hanno sottolineato - di continuità territoriale, che interessa le merci e i passeggeri, ed è stata fra le più importanti discussioni che abbiamo affrontato, e che ci spinge, in certi momenti, anche oggi, anche in questa giornata sicuramente, ad accarezzare l'idea di una indipendenza che ci aiuterebbe a risolvere questi annosi problemi, come del resto ha fatto un'altra nostra isola consorella, Malta, che da tempo ha conquistato questo status.

Le idealità sono certo importanti e vanno tenute in doverosa considerazione, però credo che, per la Sardegna, non sia sufficiente la considerazione di essere isola come la nostra consorella mediterranea, credo che prima di lasciarci andare a facili illusioni sia importante considerare che la Sardegna ha una debole antropizzazione rispetto alla sua superficie, e la popolazione non è concentrata sui due principali poli di Cagliari e di Sassari. Già questo aspetto comporta la necessità di un'attenta analisi sui costi dei servizi, che sono sicuramente più onerosi rispetto alle aree più sviluppate d'Europa. A questo aspetto si raccorda quello dell'ampio sviluppo delle infrastrutture necessario per garantire i servizi e la comunicazione, e che pesa in termini strutturali e gestionali, perché si abbia una nazione integrata e pienamente unita.

Il tema dell'indipendenza mi affascina ed è senza dubbio un alto obiettivo, e specie in questo momento è stimolante perché, di fronte alle gravi difficoltà economiche e sociali che stiamo attraversando (peraltro con la complicità di uno Stato che, a fronte di maggiori entrate riconosciute, tiene bloccato il Patto di stabilità, ingessando di fatto l'economia regionale e rischiando di impoverire irrimediabilmente i suoi amministrati) potrebbe apparire una soluzione.

Però prima di avventurarci in situazioni di non ritorno, bisogna avere piena consapevolezza della nostra reale capacità di affrancarci dalle dipendenze, come, per esempio, quella energetica. Se per un verso potremmo sfruttare le nostre risorse naturali rappresentate dal sole e dal vento (cosa che ancora non facciamo pienamente, anzi le stiamo regalando alle multinazionali) tutto diventerebbe più complesso se accettassimo l'ineluttabile dipendenza, per esempio, dal gas algerino, con il Galsi, che mi pare allontanarsi ulteriormente nel tempo.

Il Galsi è una infrastruttura importantissima, ma forse, come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere. Non si potrebbe, per esempio, avviare uno studio serio ed approfondito che ci consenta di capire se possiamo anteporre al Galsi un nostro progetto che, sfruttando le aree industriali portuali dell'Isola, ci permetta di installare serbatoi idonei ad accogliere il metano liquido, da acquistare nel mercato libero senza dipendere da un unico fornitore? Oppure, siamo in grado di strutturarci per controllare e gestire le grandi imprese che sceglieranno la Sardegna per le loro attività industriali?

Anche poc'anzi qualche collega ha fatto riferimento ad un'innovazione importantissima: Matrica. Ma siamo certi che questa non condizionerà il nostro mondo agricolo e che non diventeremo dipendenti da produzioni di vasta estensione che richiederanno quattro mezzi agricoli e dieci dipendenti, sacrificando le peculiarità di un'agricoltura che noi riteniamo un bene assoluto, primario, peraltro anche di nicchia, che ci distingue dal resto della nazione? Tutti interrogativi…

PLANETTA (P.S.d'Az.). Dobbiamo cacciare l'ENI dalla Sardegna!

AGUS (P.D.). Quello è un altro elemento, ma ne parleremo ancora, non siamo ancora capaci di farlo. Dicevo, siamo in grado di controllare e gestire queste grandi imprese e le loro attività industriali, magari spinte dalle opportunità incentivanti o di altra natura che non conosciamo (ma che sicuramente chi decide di venire in Sardegna misura attentamente) o, perché no, favorite dal tema di cui tanto amiamo parlare, quello di una zona franca integrale? Non come oggi, che ci si richiama alle otto zone franche portuali, oppure all'istituzione di aree franche urbane, solo in alcuni centri dell'Isola, innescando disgregazione e diseguaglianze che non sono certo utili al pensiero unitario di dipendenza.

Certo, rifarci alle esperienze scozzesi e catalane può essere un obiettivo percorribile, ma credo manchino ancora i presupposti per capire se con le nostre forze siamo in grado di governare la nostra Isola e farla progredire in un contesto che non può che essere internazionale. In un mondo in cui i grandi Stati controllano l'economia mondiale, è pensabile che la Sardegna vada per conto proprio? Oppure, non è opportuno che si guardi a quell'Europa delle regioni, dove la sussidiarietà, la condivisione e la partecipazione alle scelte internazionali in mano a uno Stato europeo federato, speriamo, possano darci più garanzie di sviluppo che isolarci più di quanto già oggi siamo?

La globalizzazione non lascia scampo, occorre misurarsi, e non credo possiamo istintivamente scegliere una strada così impegnativa senza la consapevolezza che possiamo da soli stare in Europa e nel mondo. Allora, come spesso diciamo, confidiamo, sì, sulla nostra diversità, guardiamo a quel valore aggiunto di cui disponiamo fondato sulla cultura, sulle tradizioni, sul territorio, sul paesaggio, sull'accoglienza, e cerchiamo di giocare un ruolo importante e partecipativo in uno scenario che ci veda davvero attori principali di un possibile sviluppo autoctono, adeguato ai tempi, proiettato nel futuro, e in simbiosi, credo, con quell'Europa delle regioni che possiamo davvero concorrere a formare.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Dessì. Ne ha facoltà.

DESSI' (P.S.d'Az.). Presidente e colleghi, per quanto riguarda il merito della mozione, credo che la storia del mio Partito e chi mi ha preceduto, i colleghi che mi hanno preceduto, abbiano bene reso l'idea di quali siano le nostre idee, i nostri ruoli in merito a questa mozione. Più che un intervento la mia sarà una riflessione, riflessione che vuole tentare di spiegare come matura la mia consapevolezza in una Sardegna indipendente, e quale è il significato che attribuisco al termine. Per farlo devo però ripercorrere velocemente alcuni anni della mia vita e tornare a 32 anni fa, quando, convinto, da giovane ufficiale sognatore, giurai fedeltà alla Patria italiana.

Oggi mi ritrovo a votare una mozione che vede prendere le distanze da quello Stato per il quale avrei sacrificato tutto. Cos'è cambiato, allora? Sicuramente l'esperienza maturata in questi 17 anni, 17 anni di impegno amministrativo nella cosa pubblica, nel mio Comune, ha influenzato molto il mio pensiero e politicamente mi ha portato, oggi, a sedere tra questi banchi come consigliere regionale . Mi sento tradito in quanto ho toccato con mano alcune dinamiche che governano i rapporti tra la Nazione italiana e la nostra Regione, e non sono dinamiche improntate a rapporti di lealtà.

Oggi sardo, e giovane sardista, che siede in Consiglio regionale, e amministratore di una comunità, sono coinvolto drammaticamente nella gestione della cosa pubblica, in uno dei periodi più bui che stiamo attraversando, e mi sono reso conto che per la Sardegna in modo particolare, molte delle responsabilità sono da attribuire alla scarsa attenzione che lo Stato ha mostrato verso questa Terra. Non sono però così cieco da non capire che forse il peggior male e il peggior nemico dei sardi sono stati i sardi stessi, che delegati dal popolo hanno supinamente acconsentito che si avverasse questa condizione.

Da dove partono le pulsioni indipendentiste, quindi? Si può parlare di indipendentismo solo rispetto alla condizione di Regione Sardegna, che fa parte dello Stato italiano, condizione nella quale il popolo sardo si è ritrovato senza sapere dove sarebbe andato a finire e senza capire le vere ragioni di questa fusione, se non a cose fatte. Parliamo di 150 anni fa, quindi dell'Unità d'Italia. Ma in questo percorso entrano in gioco discorsi molto più complessi su continuità storiche, politiche, e dinamiche che sono scritte nella storia del popolo sardo, e nessuno le può cancellare, e sono state ricordate in quest'Aula da chi mi ha preceduto, dal mio Capogruppo, dall'onorevole Planetta, dall'onorevole Mario Floris.

Ma la storia racconta le vicende del popolo sardo come quelle di un popolo mortificato dall'Unità d'Italia, dal processo di espropriazione culturale perpetrato celando la storia dell'Isola e determinando la progressiva estinzione linguistica del sardo e delle sue lingue locali, decretando così la morte stessa del concetto di cultura e nazione sarda. Parlo di uno Stato che invece di valorizzare la ricchezza di un popolo che portava in dote, in quell'ideale di unità ha fatto svanire un patrimonio immenso di cultura e di senso di appartenenza . Oggi capisco e do una lettura molto più critica di come è stato gestito nei contenuti il rapporto tra Stato e Regione, è per questo che credo di caratterizzare il mio impegno politico scegliendo la mia Terra come unica ragion d'essere.

Ma a voi colleghi, in modo particolare ai più giovani, voglio porre una domanda. Io so quanto ognuno di voi ha lavorato sodo, si è impegnato per portare avanti gli impegni presi con la propria gente, con il proprio popolo, con i propri paesi, per cercare di migliorare la loro vita, ma quanto di questi vostri impegni trova oggi soddisfazione vera? Quanto? Non sareste più soddisfatti, gratificati, se il vostro, il nostro impegno potesse creare quelle condizioni fondamentali necessarie per ridarci la dignità, la responsabilità vera di gestire il futuro, non il nostro, ma quello dei nostri figli?

Ma si può essere fieri di far parte di uno Stato, e poi essere ingannati nel modo peggiore, e in quest'Aula vedere svanire tutti i propositi proclamati in campagna elettorale, per poi trincerarsi nel dire: "Ma non è colpa mia! Cosa posso fare, io sono un consigliere regionale, la colpa è dello Stato che non ci trasferisce i soldi!" E non è vero, come affermano molti, che questa sia una delle legislature peggiori della storia dell'Autonomia regionale, io credo invece che sia una delle migliori, primo, perché almeno in questa legislatura stiamo discutendo di questi argomenti, secondo, perché se ci troviamo in queste condizioni è perché chi ci ha preceduto ci ha fatto finire in queste condizioni con la sua incapacità di amministrare.

Oggi purtroppo siamo costretti a trincerarci dietro i patti di stabilità, dietro i vincoli di bilancio impostici dallo Stato, e nonostante i vari passaggi che in questa legislatura sono stati fatti nei confronti del Governo nazionale (l'ultimo è quello che rimetteva in discussione i rapporti con lo Stato e la Regione Sardegna) quest'ultimo è rimasto sordo alle nostre rivendicazioni.

Credo che oggi le ragioni su cui si fonda la richiesta di autonomia siano diverse, e sicuramente vanno oltre le condizioni di insularità linguistica, culturale e storica. Io riconosco le mie motivazioni di indipendenza nelle condizioni di subalternità economica e politica nei confronti di uno Stato incapace di vedere oltre e di riconoscere alla Sardegna quello che per legge le spetta. Pertanto mi domando: l'espressione "popolo sardo", quelle affermazioni che in quest'Aula risuonano, belle e pompose, di autonomia, di autodeterminazione, di federalismo, che arrivano da tutti, trasversalmente, che significato concreto possono avere? Indipendenza cosa vuol dire?

Indipendenza è il diritto al riconoscimento dell'insegnamento della lingua sarda, alla gestione di beni archeologici e culturali, il riconoscimento del giusto valore della nostra storia, il riconoscimento delle entrate, di politiche di fiscalità di vantaggio, che tengano ben presente la nostra condizione e la nostra realtà, il riconoscimento dello stato di insularità, e quindi, con esso, il sistema dei trasporti, merci e persone, di cui ancora oggi, nel 2013, stiamo dibattendo.

Indipendenza è il diritto a un seggio nel Parlamento europeo, diritto che ci viene negato dallo Stato, diritto che ci spetta per poter difendere la nostra specialità, la nostra peculiarità, che pure lo Stato non ci concede, mettendocie a competere con la Sicilia. Forse se ci avesse messo a competere con Palermo, ce la saremmo cavata!

Indipendenza magari vuol dire anche parlare di demanio, di arie di gestione delle servitù militari. Avrei voluto presentare un' interpellanza qui, in aula, in diretta, per capire qual è il rapporto del Masterplan col poligono di Teulada, quali sono i benefici per la Sardegna, quali saranno i benefici di quel Masterplan per il mio Paese, per il mio territorio. Voglio sapere se la Regione Sardegna ne sa qualcosa, o se è lo Stato che sta macchinando situazioni che ci metteranno ancora in una condizione di debolezza nei confronti delle servitù militari, perché trasferirà in quel territorio i militari sardi, per i quali noi non potremo poi fare niente.

Salto una parte del mio discorso, perchè il tempo a mia disposizione stà per scadere, e chiudo con una frase che mi ha colpito, che è del nostro intellettuale Antonio Simon Mossa: "Fare a meno dell'Italia diviene oggi per noi una necessità, in assoluto. Non vi sono altre strade da percorrere. Noi vogliamo conquistare l'indipendenza per integrarci, non per separarci dal mondo moderno. E la scelta non può essere che nostra, autonoma, cosciente e decisiva". Forza Paris.

PRESIDENTE. Comunico che l'onorevole Randazzo è rientrato dal congedo. Ha domandato di parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.

STERI (U.D.C.-FLI). Chiedo la verifica del numero legale.

(Appoggia la richiesta il consigliere Campus.)

Seconda verifica del numero legale

PRESIDENTE. Dispongo la verifica del numero legale con procedimento elettronico.

(Segue la verifica)

Prendo atto che i consiglieri che i consiglieri Cucca, Diana Giampaolo, Espa, Mariani, Sabatini e Soru sono presenti.

Risultato della verifica

PRESIDENTE. Sono presenti 43 consiglieri.

(Risultano presenti i consiglieri: Agus - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Bruno - Campus - Cherchi - Cocco Daniele - Cocco Pietro - Contu Mariano - Cossa - Cucca - Cuccureddu - Cugusi - Dessi' - Diana Giampaolo - Espa - Floris Rosanna - Gallus - Greco - Lai - Locci - Lunesu - Mariani - Moriconi - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pittalis - Planetta - Randazzo - Sabatini - Sanjust - Sanna Giacomo - Sechi - Solinas Antonio - Solinas Christian - Soru - Steri - Tocco - Uras - Zuncheddu.)

PRESIDENTE. Poiché il Consiglio è in numero legale possiamo continuare con i lavori.

E' iscritto a parlare il consigliere Soru. Ne ha facoltà.

SORU (P.D.). Presidente, l'intervento che mi ha preceduto ha avuto un grande merito: quello della chiarezza. Un autorevole esponente del Partito sardo d'azione, primo firmatario di questa mozione, ci ha chiarito nelle conclusioni quel che pensa, ci ha chiarito con le parole di Simon Mossa le ragioni della necessità di separarci dallo Stato italiano per garantire le prospettive di maggior benessere per il futuro del nostro Paese e ci ha chiarito anche come effettivamente stiamo vivendo una delle migliori legislature di questa autonomia regionale dovendo di fatto superare le difficoltà che il disastro nella precedente legislatura ha lasciato.

Ha avuto la chiarezza di dire esattamente che cosa intendete per quella parola "indipendenza", separazione dal resto d'Italia, e ha avuto la chiarezza di dire che stiamo parlando di un Partito sardo d'azione di destra. E' capitato altre volte nella storia che il Partito sardo d'azione si sia trovato davanti a due opzioni, a due percorsi diversi. In passato ha deciso che probabilmente quell'istanza di affrancamento, di crescita, di sviluppo del popolo sardo potesse essere affidata al dittatore di turno, con grande sofferenza anche dei suoi leader storici con divisioni profonde mai più ricomposte.

Qualche anno fa l'opzione si è riproposta e anche in quell'occasione è stato deciso che gli ideali di maggiore autonomia, di autogoverno, di autodeterminazione, di crescita, di maggior benessere per il popolo sardo potessero essere perseguiti affidando la bandiera dei quattro mori, come è stato fatto al Nuraghe Losa, al capetto di turno che poi credo non abbia risposto a quelle aspettative. Anche qualche anno fa il Partito sardo di azione ha deciso di andare a destra. E' legittimo, ma è bene non confondersi e non lasciare le cose nella vaghezza. Per questo io ringrazio veramente il precedente intervento.

Era un po' un clima da circo del sole, Cirque du soleil, dove si gioca con le cose, con qualunque oggetto, in questo caso con le parole, e si fanno capriole e salti mortali nella velocità di un baleno. Per cui, ci conosciamo, l'ho conosciuta come sindaco di Forza Italia, e sentirla oggi parlare, con quella veemenza, di separazione dall'Italia e di un "Forza Sardegna" veramente mi ha fatto una certa impressione, così come stessa impressione mi ha fatto sentirla parlare, come ha parlato, di beni demaniali e di tutela da quello che accade a Teulada, dopo che è rimasto un mese sotto il palazzo della Giunta regionale a difendere le servitù militari, e magari massimizzare il ricavo che dalle servitù militari si potesse conseguire. Veramente è una cosa che vale una giornata in questo Consiglio regionale…

DESSI' (P.S.d'Az.). Presidente, voglio parlare per fatto personale! Mistifica le cose!

PRESIDENTE. Onorevole Dessì, per cortesia. Eventualmente interverrà a fine seduta. Onorevole Soru, prego.

SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Riesce a dire tutto e il contrario di tutto, ha ancora questa capacità!

SORU (P.D.). Sono ancora vivo e quindi ho ancora questa capacità, non se ne dispiaccia! Io l'ho ascoltata con attenzione…

SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Io le auguro lunga vita perché lei per me è un divertimento.

SORU (P.D.). Invece lei per me non è un divertimento, è un vero dispiacere. E' un vero dispiacere aver sentito le cose che ho sentito dire ancora oggi e allora…

(Interruzione del consigliere Sanna Giacomo)

SORU (P.D.). Signor Presidente, io le chiedo di fare in modo che io non venga disturbato. Ho il diritto di parlare con lo stesso livello di attenzione senza essere interrotto come chiunque altro.

PRESIDENTE. Ha ragione onorevole Soru, ci mancherebbe altro.

SORU (P.D.). E ho il diritto di chiedere che sia rispettato quel principio elementare di democrazia, e anche di rispetto umano, oltre che politico, che necessariamente deve albergare in quest'Aula.

SANNA GIACOMO (P.S.d'Az.). Quando lui rispetterà il pensiero degli altri lo faremo anche noi.

PRESIDENTE. Onorevole Sanna, per cortesia!

DESSI' (P.S.d'Az.). Io non l'ho citata come Presidente della Regione! Non l'ho citata!

PRESIDENTE. Onorevole Dessì, per cortesia! Prego onorevole Soru.

DESSI' (P.S.d'Az.). Allora prestate attenzione a quello che dite, nel rispetto di tutti.

(Interruzioni)

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Presidente, però o ci sono le condizioni per continuare…

(Interruzioni)

PRESIDENTE. Onorevole Dessì, non mi costringa a sospendere la seduta.

DESSI' (P.S.d'Az.). Io non l'ho cercata, non mi provochi. Rimanga delle sue idee ma non mi cerchi!

SORU (P.D.). Io vorrei recuperare tutto il tempo perduto e avere anch'io la possibilità di sviluppare un ragionamento come hanno potuto fare gli altri e non dovermi perdere in questo tipo di interlocuzioni. E' stato detto che è un momento solenne e io rispetto l'opinione di chi ritiene che questo sia un momento solenne e vorrei anch'io fare la mia parte. Forse avrei preferito stare zitto perché veramente credo pochissimo in questo dibattito, però voglio fare la mia parte e avere la possibilità di esprimere quello che sento.

E allora io sono per una maggior autodeterminazione, per un maggiore autogoverno, per una maggiore articolazione e per la conquista, ogni giorno di più, di spazi di sovranità, sono per farlo tutti assieme, questa comunità sarda dentro una comunità italiana, sono per farlo dentro una comunità più vasta che si è data un obbligo imprescindibile di solidarietà economica, politica e sociale, che ha saputo in un momento storico importante scrivere una Costituzione con 12 articoli e con dei principi fondamentali che mi onoro di condividere, sono per avere maggiori spazi di sovranità, di autodeterminazione, di autogoverno dentro la comunità italiana e dentro la comunità europea.

Penso che il dibattito di oggi sia totalmente sbagliato perché cerca semplicemente di mandare la palla fuori campo e di parlare di altro, mentre credo che dovremmo parlare di che cosa è utile a migliorare la qualità della vita in Sardegna oggi. Se la sanità sarda sta perdendo 370 milioni di euro all'anno rispetto a quanto stimato dal Fondo sanitario nazionale ciò è dovuto alla cattiveria dello Stato italiano, è dovuto al fatto che abbiamo poca capacità di autodeterminazione in questi argomenti o è dovuto forse al fatto che questa capacità di autodeterminazione ce l'abbiamo tutta e la gestiamo malissimo? E quei 370 milioni di euro di disavanzo rispetto all'FNS ci impediscono di spendere 370 milioni di euro per mille altre cose, compreso il trasferimento ai comuni, compreso l'esperimento di servizi essenziali e così via.

Chiunque frequenti l'aeroporto di Cagliari o di Alghero sa che da 8 voli al giorno per Milano siamo arrivati a un volo la mattina e un rientro la sera. Ciò è imputabile all'incapacità dello Stato italiano o al pressappochismo, alla retorica inutile, anche alla tracotanza del nostro comportamento? C'è qualcosa che ci manca per governare meglio il nostro sistema dei trasporti interni e dalla Sardegna verso l'Italia? Esiste dal 2006: è una norma che trasferisce persino la responsabilità per la continuità territoriale alla Sardegna. E questa norma poteva essere attuata, si sarebbe potuta attuare se avessimo voluto ripercorrere una strada già avviata verso la conclusione. Non si è voluto fare, si è voluto invece credere a quel signore che ci ha detto che ci avrebbe garantito il riconoscimento dell'insularità e che avrebbe risolto tutto fuori dai percorsi normali, che sono quelli della gara europea, della gara europea anche sulla continuità territoriale marittima, che sono quelli per l'attuazione di una norma che è già legge dello Stato dal 2006 e che non si è voluta attuare.

Se i trasporti sono quelli che sono oggi in Sardegna è colpa nostra e di nessun altro e in particolare dell'assessore Sardista in questa Giunta. Abbiamo pochissime competenze in materia di scuola, le abbiamo volute concentrare tutte nella formazione professionale, con il risultato che la scuola in Sardegna è disastrata, e l'università non è meglio nonostante i maggiori livelli di autonomia. Ma se la scuola in Sardegna è quello che è (eppure in questi anni ha compiuto dei passi avanti nei test OCSE-PISA, nei test Invalsi, come è risultato dalle ultime rilevazioni) se la scuola è quella che è il sistema della formazione professionale che abbiamo vissuto per anni in Sardegna è stato migliore? Abbiamo speso meglio le risorse e abbiamo avuto dei risultati migliori dal mondo della formazione professionale? Io credo di no.

Vogliamo maggiore autonomia per avere maggiori poteri nel governo del territorio o vogliamo maggiore autonomia per travolgere più facilmente il piano paesaggistico regionale, la tutela del territorio, la tutela delle coste, onorevole Sanna, che è stato un altro tema importante Sardista? Eppure in questa legislatura si è cercato di cancellare quella tutela in più occasioni: prima col primo piano casa, poi col secondo, poi col terzo ancora, ed è grazie ad una rigidità di un patto con lo Stato in attuazione alle norme sui beni culturali che quel piano paesaggistico e la tutela delle coste è ancora legge in Sardegna e non si è potuta travolgere.

Sull'energia avremmo potuto fare molto meglio di quello che abbiamo fatto in questi ultimi anni. Avevamo una risorsa in casa e non lo sapevamo; ce la siamo fatta razziare. Dietro ogni impianto di una qualche importanza in Sardegna ci sono interessi che non hanno niente a che fare...

PRESIDENTE Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Cuccureddu. Ne ha facoltà.

CUCCUREDDU (Gruppo Misto) Forse sarebbe opportuno che si concludessero i dialoghi. Cosa ne pensa Presidente?

Sull'ordine dei lavori

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare sull'ordine dei lavori il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Io vorrei farle notare che suo malgrado si è impedito all'onorevole Soru di svolgere un intervento nelle condizioni in cui l'hanno svolto tutti gli altri consiglieri regionali; ripeto, questo è avvenuto suo malgrado, quindi non per responsabilità della Presidenza. Evidentemente non c'è un rapporto di rispetto da parte dell'Aula e della maggioranza nei confronti della Presidenza. Le pongo comunque una domanda.

Noi ieri abbiamo spostato ad oggi questo dibattito proprio perché abbiamo ritenuto fondamentale su questa mozione (la nostra posizione è quella che stiamo esprimendo e continuerà ad essere quella) fosse presente il Presidente della Regione che peraltro, attraverso un rappresentante della Giunta, aveva espresso il desiderio di essere presente. L'assenza del Presidente della Regione, presidente Cossa, è un'offesa a quest'Aula. Io la prego di verificare se il presidente Cappellacci ha intenzione di partecipare al dibattito oppure no, perché da ciò dipenderà anche il nostro atteggiamento nei prossimi minuti.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà.

PITTALIS (P.d.L.). L'onorevole Giampaolo Diana ha potuto constatare di persona che il presidente Cappellacci era presente sin dall'apertura dei lavori. Probabilmente poi è intervenuta anche qualche incombenza ma non si può sempre sparare così, avere come bersaglio il Presidente. Allora si ponga il problema, si chieda la presenza del Presidente ma non si addebitino al Presidente questioni che non sono nella disponibilità...

PRESIDENTE. Onorevole Pittalis il suo intervento è irrituale, lasci alla Presidenza questo ruolo. Onorevole Diana, sulla prima questione la Presidenza ha fatto quello che poteva fare, cioè ha consentito all'onorevole Soru di recuperare il tempo che gli era stato sottratto a causa delle interruzioni verificatesi durante il suo intervento. Sulla seconda questione io sentirò il Presidente della Regione per capire se ha la possibilità di stare ancora in aula. Il Presidente della Regione ovviamente ha anche altre incombenze da seguire. Comunque verificheremo subito la situazione.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Chiedo 10 minuti di sospensione.

PRESIDENTE. Aveva già iniziato a parlare l'onorevole Cuccureddu, onorevole Diana.

Continuazione della discussione della mozione Sanna Giacomo - Dessì - Maninchedda - Planetta - Uras - Sechi - Cugusi - Zuncheddu - Cuccureddu - Mulas - Capelli - Cocco Daniele Secondo - Pittalis - Petrini - Peru - Stochino - Amadu - Floris Rosanna - Gallus - Contu Mariano Ignazio - Murgioni - Piras - Lai - Randazzo - Rodin - Porcu sulla dichiarazione di indipendenza del popolo sardo, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento. (224)

CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Sarò breve anche perché ritengo che la discussione di oggi, al di là dell' enfasi e della solennità, quantomeno un obiettivo lo debba raggiungere, quello di non discutere di Cappellacci e di non discutere di Soru, perché quello della forma da dare alla sovranità, all'autonomia, all'indipendenza, alla statualità della Sardegna è un problema che ha un periodo di gestazione un po' più lungo delle ultime legislature e una prospettiva un po' più lunga di ciò che accade oggi o che è accaduto nel recente passato. Pertanto ridurlo a polemiche più o meno sterili può portare solo a rendere impossibile il conseguimento di qualsiasi risultato.

Lo diceva forse Sanjust in uno degli interventi precedenti: in Catalogna, in Scozia dietro le rivendicazioni c'è il popolo; come possiamo allora noi pensare di unire il popolo anche su rivendicazioni marginali se ogni intervento è l'occasione per dividerci? Dobbiamo porci obiettivi importanti, ambiziosi, forse utopistici, perché se non si fanno grandi progetti, se non si ha il coraggio di grandi visioni probabilmente non si riesce ad ottenere neanche il piccolo risultato.

Io ho firmato la mozione, e la mia non era una firma solo tecnica, pertanto voterò a favore di essa pur non essendomi mai ritenuto un irredentista, un separatista, un secessionista e neppure un indipendentista, ma la voterò perché nella mozione non si parla di Sardegna stato indipendente ma si parla di Sardegna nazione indipendente: nazione, quindi, non stato. Poi possiamo discutere su quali siano gli elementi della statualità, perché secondo me oggi neppure l'Italia, al di là della forma, può ritenersi uno Stato vero e proprio. Considerato, infatti, che anche alla Repubblica italiana mancano oggi alcuni elementi essenziali che distinguono una statualità, come il potere di batter moneta, di adottare politiche monetarie ed economiche, di effettuare politiche di difesa e politica estera (oggi le fa la Merkel per l'Italia). è meglio limitarsi al concetto di nazione.

Ho consultato tre diversi dizionari, e qui ho la definizione che dà il dizionario Sabatini Colletti: "Si definisce Nazione una collettività etnica di individui coscienti di essere legati da una comune tradizione storica, linguistica, culturale e religiosa". Ora io credo che queste caratteristiche, un po' forzando chiaramente, la Sardegna le possa avere. Io, molto sinceramente, mi sento forse più legato ad alcuni ambienti della Corsica, anche per comunità linguistica (parliamo il corso come loro) che non agli ambienti cagliaritani. I galluresi non capiscono i cagliaritani quando parlano tra loro, mentre capiscono benissimo i corsi. Ma, al di là di questo, credo che gli altri elementi sussistano.

Credo che non diciamo niente di grave se affermiamo che c'è questa unità etnica, di tradizioni, di comunanza storica, culturale e religiosa. Ecco, allora è evidente che l'obiettivo è un altro, l'obiettivo è quello di creare le condizioni per una provocazione. Forse la risoluzione approvata dal Veneto non ha suscitato grande interesse sulla stampa nazionale, ma io credo che la nostra, soprattutto se dovesse essere approvata, soprattutto se dovesse essere approvata a grande maggioranza, potrebbe avere una risonanza a livello nazionale, potrebbe essere il sasso gettato nello stagno per ripensare, per creare le condizioni innanzitutto per ridare dignità alle nostre rivendicazioni, e poi perché potrebbe in qualche maniera far capire che non siamo più disponibili ad accettare supinamente qualunque decisione da uno Stato che non ha più la legittimazione - anche perché gli mancano gli elementi di statualità - per imporre decisioni così come sono state imposte oggi.

L'onorevole Floris ha citato il caso ultimo del riconoscimento, quale stato non membro, della Palestina nell'ONU. Ecco, volevo dire, a questo proposito, che io presentai una mozione, firmata da altri ventotto consiglieri regionali, proprio su quell'argomento, sul riconoscimento dello Stato palestinese, richiedendo l'iscrizione urgente all'attenzione del Consiglio molto prima che se ne discutesse per la prima volta, però quando venne posto il problema la Presidenza con una serie di escamotage (perché pare che il Presidente della Repubblica avesse detto che non era opportuno discutere di politica estera) fece in modo che non se ne discutesse. Ciononostante qualche giorno fa la mozione comunque è arrivata nelle mani delle primo ministro Fayyad dell'Autorità Nazionale Palestinese, ANP, che attraverso il suo ministro della cultura, la Barghouti, ci ha comunque ringraziato per aver posto il problema, riconoscendoci quindi come un popolo, riconoscendoci quindi come coloro che conducono una battaglia per rivendicare i propri ambiti di autogoverno. Peccato, abbiamo perso un'occasione! Altre regioni d'Europa, altre regioni del mondo, altre istituzioni hanno dato sostegno a quella battaglia legittima del popolo palestinese, noi abbiamo perso una grande occasione per farlo.

Chiusa questa parentesi, io vi dico come la penso io, per quel poco che può valere. Io non credo che domani otterremo l'indipendenza, e forse neppure ritengo che sia l'obiettivo più auspicabile in questo momento, anche dal punto di vista economico, per i sardi, ma credo che esistano tante soluzioni intermedie: i Länder tedeschi hanno una capacità di incidere e di autonomia assai più forte delle regioni speciali e della Sardegna, la Svizzera è una confederazione di stati. Quindi forme intermedie per riuscire a conquistare maggiori ambiti di autogoverno esistono.

Io credo che la mozione sia una provocazione che vada portata avanti per cercare di ripensare ad una nuova architettura istituzionale dei poteri pubblici in Europa, dove forse le entità più recenti, le regioni con i loro quarant'anni di storia, o quelle speciali con i sessantadue- sessantatré anni (lo diceva bene Planetta) sicuramente non hanno inciso, sicuramente non hanno risolto i problemi che ci si aspettava potessero risolvere.

Io credo che, in una nuova architettura istituzionale europea, un ruolo centrale lo debbano avere i comuni, che da mille anni hanno metabolizzato quel rapporto fiduciario tra eletti ed elettori che si rinnova in maniera quasi quotidiana, e non chi ha un rapporto a distanza, in virtù di una delega che si rinnova ogni cinque anni, oggi peraltro fortemente delegittimata dai mass-media e dall'opinione pubblica. Quindi io credo che questa possa essere l'occasione per ragionare, per ripensare i nostri modelli istituzionali.

Non piccole riforme, quindi, ma riforme importanti, nell'ambito di una nuova organizzazione dei poteri pubblici, nell'ambito di una nuova organizzazione anche dei trattati europei che vedano le città, le comunità protagoniste più degli stati, più delle regioni.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Porcu. Ne ha facoltà.

PORCU (P.D.). Presidente, colleghi, io non utilizzerò tutti i miei dieci minuti e pronuncerò un intervento molto breve, anche perché questo è un tema che ritorna nel dibattito del Consiglio, lo abbiamo affrontato all'inizio della legislatura quando abbiamo discusso della revisione dello Statuto, riaffiora periodicamente in questo Consiglio, purtroppo spesso senza trovare efficacia e sbocco. Io vorrei innanzitutto chiarire il senso della mia firma sulla mozione.

E' evidente che si tratta di una firma tecnica, non aderisco alla richiesta della mozione in termini d'indipendenza, ma aderisco invece, e credo che abbia fatto bene quindi il partito sardista a presentarla, alla necessità di un dibattito e di una discussione su forme più avanzate di autonomia e di autogoverno regionale. L'unica perplessità che io ho espresso anche altre volte in questo Consiglio - ma non è una perplessità che trova fondamento nel Gruppo sardista, quindi non sono tra coloro che gli rivolge critiche di strumentalità - è dovuta al fatto che per il Governo regionale, e per questo Presidente, spesso il tema dell'indipendenza, della sovranità e dell'autonomia, è stato una foglia di fico, un totem per mascherare incapacità ed inadeguatezze dell'azione dell'Esecutivo.

Io credo che molto di più si sarebbe potuto fare e molto di più si può fare per dare un senso compiuto alle rivendicazioni di autonomia e di autogoverno, che se fossero pienamente compiute aprirebbero davvero ad una stagione che potrebbe convincere una fetta assai più ampia di sardi che l'indipendenza o la sovranità, la separazione dall'Italia (anche se una separazione politica e non necessariamente economica) potrebbe rappresentare una speranza e una soluzione.

Però, veda Presidente, se chi ci governa, e lei per primo, non riesce a trasmettere ai sardi la sensazione che il Governo regionale ha a cuore le battaglie dei sardi e rivendica i diritti dei sardi, anche quelli già esigibili all'interno della cornice istituzionale attuale, all'interno dell'attuale Statuto, diventa poi difficile mascherare questa incapacità di salvaguardare quei diritti (dalla piena attuazione della vertenza entrate, al tema onnipresente della continuità territoriale, all'aspirazione di una fiscalità di vantaggio) per far credere a qualcuno che cambierebbe qualcosa con una forma che possa tendere alla sovranità e all'indipendenza.

Quindi io credo che noi, al contrario, dovremmo innanzitutto, all'interno della cornice istituzionale attuale, batterci in maniera assai più vigorosa per far sì che quei principi costituzionali, di solidarietà, di perequazione economica, di coesione sociale siano effettivamente esercitati. Probabilmente la stagione del federalismo volge al termine per tanti motivi, a cominciare dall'articolo 22 della legge numero 42 del 2009, ma certamente la Regione, questa Regione, la vostra Regione, la Regione a guida del centrodestra, del presidente Cappellacci, non è riuscita a dare un senso compiuto ai sardi anche di quella fase e di quella stagione.

Io credo, pertanto, che ancora una volta dobbiamo uscire dalla retorica e dire che anche questa discussione non può essere un alibi per le manchevolezze dell'attuale classe dirigente politica. Io credo che, da questo punto di vista, faccia bene il partito sardista ha rimarcare queste manchevolezze, probabilmente farebbe anche altrettanto bene a sottolineare che anche chi aspira alla sovranità e all'indipendenza deve innanzitutto allenarsi ed esercitarsi nella pratica quotidiana del buon governo, ed è esattamente quello che non siete riusciti a fare.

Quindi io, alla fine di questa mozione, voterò contro. Sono contento però di aver acconsentito alla discussione e spero che anche da questa si possa aprire una fase nuova, una fase che veda un nuovo Governo, una nuova Giunta, una nuova stagione che possa finalmente chiudere quel divario che c'è oggi tra la politica e i bisogni dei sardi. Certamente non ne sarete capaci voi, magari ne saranno capaci insieme a noi gli amici sardisti in un diverso contesto politico.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Maninchedda. Ne ha facoltà.

MANINCHEDDA (P.S.d'Az.). Presidente, onorevoli colleghi, il partito Sardo d'azione ha proposto la mozione sull'indipendenza, in prossimità delle elezioni politiche del Parlamento della Repubblica italiana. Come vedremo questo evento non è un evento banalmente di contesto, ma è un evento decisivo. Noi siamo perfettamente consapevoli - sempre che la cosa interessi il P.D. - che il percorso per l'indipendenza è un percorso che deve in qualche modo iniziare, che si svolgerà principalmente nelle istituzioni europee (perché non si è mai verificato il caso di un popolo che sia diventato Stato senza il supporto delle cancellerie europee) e non avere dinnanzi a questi temi questo orizzonte testimonia della pochezza culturale che ha animato alcuni interventi recenti di questo Consiglio regionale.

Noi ci stiamo avvicinando alla data delle elezioni, e i colleghi sanno perfettamente che con le elezioni non si effettuano le scelte decisive, ma si sceglie la minoranza che opererà le scelte. Grazie a Dio, noi viviamo in una democrazia moderna che si chiama "democrazia a somma positiva" perché tutti i soggetti che partecipano al percorso democratico ne traggono vantaggio, a differenza - mi dispiace che non siano presenti persone a cui farebbe bene ripassare - delle democrazie dell'antichità nelle quali chi vinceva prendeva tutto e chi perdeva perdeva tutto e perdeva anche i diritti! Queste erano le democrazie "a somma nulla".

Noi, grazie a Dio, siamo una democrazia "a somma positiva" e chi va a governare deve riconoscere la realtà delle posizioni politiche e delle articolazioni societarie che sono presenti nei popoli che governano. E allora perché noi, pur consapevoli di questo percorso che dobbiamo intraprendere nelle cancellerie europee, abbiamo posto oggi all'ordine del giorno la mozione sull'indipendenza? Perché porre oggi all'ordine del giorno la mozione sull'indipendenza significa creare il presupposto politico di quel percorso. Il presupposto politico di quel percorso è che i sardi uniti proclamino che essi sono titolari di una sovranità originaria e che, di conseguenza, pretendono i poteri di regolazione di tutto ciò che attiene alla loro libertà e ai loro interessi, che riguardi il territorio, che riguardi il mare, che riguardi l'aria, che riguardi l'impresa, che riguardi il fisco. Questo significa creare il presupposto politico per passare dalla libertà di volere - che è stata la libertà che ha animato la cultura autonomista - alla vera libertà politica, che è la libertà di fare, la libertà di fare! Questo sta sfuggendo a taluni!

Allora si dice - lo si è detto anche in quest'Aula - che la sovranità non dà pane, l'aveva detto anche un grande leader della rivoluzione francese poi travolto dalla rivoluzione. Bisognerebbe rispondere a chi afferma ciò, che bisognerebbe dimostrare il contrario, e cioè che la mancanza di libertà e la mancanza di sovranità dà più pane. A me risulta il contrario! Se volessimo infatti argomentare non astrattamente ma sulla base di confronti concreti potremmo prendere a paragone queste due realtà: da una parte la Sardegna autonomistica che dice: "meno diritti, meno poteri ma più denari per il mio sviluppo" e abbiamo avuto la "filiera" che va dalla legge sul miliardo del fascismo alla legge di rinascita; dall'altra mettete le regioni come il Friuli, il Trentino e la Val d'Aosta che dal dopoguerra ottengono più poteri e in virtù di quei maggiori poteri ottengono più infrastrutture, più tutele, meno tasse. Quali sono i modelli che funzionano di più? Quelli con più sovranità o quelli con meno sovranità? Lo dico a chi sostiene che la sovranità non dà pane!

Perché è necessario il presupposto politico del voto unitario? Perché questo presupposto politico è difficile da conquistare? E' difficile da conquistare perché la destra e la sinistra italiane, in cui militano molti sardi, si rinfacciano reciprocamente successi ed insuccessi, esaltando i propri e denigrando quelli altrui, accreditando se stessi e la propria parte non come sintesi di un popolo ma come minoranza accreditata e legittimata a governare tutti gli altri! E' vero, perché negarlo?

Lo voglio dire ai colleghi del centrodestra: è vero che durante il Governo Berlusconi noi abbiamo ricevuto delle umiliazioni cocenti! Vorrei ricordare quando il ministro Tremonti ha proposto la zona franca finanziaria a Milano, ma vorrei ricordare anche quando il ministro Calderoli ha chiuso gli accordi con Trentino, Val d'Aosta e Friuli, consentendo a queste regioni un sistema di esenzioni fiscali e di libertà fiscali così ampio che l'accordo sull'articolo 8 stipulato nel 2006 oggi è il peggior accordo stipulato dalle regioni italiane, soprattutto dopo la pubblicazione del decreto legislativo numero 68 del 2011 (lo dico ai colleghi del centro sinistra) che ha esteso i risultati di quelle tre regioni alle regioni a Statuto ordinario.

Oggi noi siamo la regione più svantaggiata, è vero. Ma è anche vero che sotto il governo Prodi iniziò quel devastante dibattito, che ebbe come protagonisti Bassanini e Macciotta, sulle regioni a Statuto speciale come regioni privilegiate che, in quanto tali, dovevano concorrere di più all'unità dello Stato. Questo venne scritto allora dal mondo della sinistra! Al punto che l'onorevole Macciotta disse che forse sarebbe convenuto abbandonare la specialità! Questo ha portato a far sì che la specialità del Nord è stata generalizzata alle regioni a Statuto ordinario e la nostra specialità è rimasta isolata e ibrida! Questo è il problema! E poi si dice a noi Sardisti che c'è una contraddizione tra l'altezza dei nostri obiettivi e la concretezza delle scelte tattiche!

Bene, io vengo da un colloquio con un giornalista del "Sole 24 Ore" che mi ha detto che leggendo la rassegna stampa rileva che chi fa l'opposizione in questo Consiglio è il Partito Sardo d'Azione. Pensate un po' come, letta da Milano, la nostra presunta militanza di favore verso i partiti di destra è letta diversamente!

Io credo che sia il tempo di finirla con i "biscottini" reciproci; in gioco oggi non c'è lo scrutinio tra di noi, in gioco c'è la promozione di tutti per scrivere un tema in Europa. Questo è in gioco oggi: ci promuoviamo tutti o continuiamo a darci le pagelle?

Dedico una postilla a ciò che ha detto l'onorevole Soru, del quale, peraltro, come sapete, io ho stima. Allora, se l'onorevole Soru non vuole che il Partito Sardo d'Azione dialoghi con la sinistra si rassegni: noi dialoghiamo con la sinistra. E se l'onorevole Soru afferma che siccome non siamo d'accordo con lui siamo di destra sta sbagliando, perché noi diciamo che non siamo d'accordo con lui semplicemente perché non vogliamo farci governare da lui, perché siamo liberi. Questa è la condizione politica, ma non riuscirà l'onorevole Soru a impedire il dialogo tra la sinistra sarda e il sardismo, perché noi stiamo dialogando a sinistra e nell'area moderata per creare una nuova condizione politica della Sardegna, non ci facciamo imprigionare su condizioni arretrate e francamente…

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato. E' iscritto a parlare il consigliere Gian Valerio Sanna. Ne ha facoltà.

SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, io credo che di fronte a questo argomento chiunque di noi debba per un attimo dimenticare gli ingombri e le macerie delle nostre esperienze, perché la materia merita un approccio diverso. Vorrei pertanto cominciare il mio intervento, Presidente, rinnovando una mia professione di fede, la mia professione di fede nel giuramento che ho prestato in questa aula di fedeltà alla Costituzione e, di conseguenza, allo Statuto.

Perché, badate, colleghi, sognare è lecito, è persino gratuito, però la domanda che noi ci dobbiamo porre è: è possibile che noi, chiamati a questa funzione, ci possiamo liberare dai vincoli, dalle obbligazioni che ci impediscono di esercitare una funzione così alta, sognando? Questo è il punto, è uno snodo irrinunciabile, che richiama la nostra coscienza non solo al giuramento ma al realismo di ciò che è possibile fare.

La Costituzione, colleghi, alla quale abbiamo giurato di essere fedeli nel nostro lavoro, anche quello di oggi, ci dice che la Repubblica è unica e indivisibile e che si articola in autonomie (poi anche io ho da dire molto di più). Io contesto la censura sulla legittima aspirazione ad una diversa sovranità, perché le sovranità misurano il livello dell'autonomia operante. Più sovranità ci sono più alta è l'autonomia operante, e nessuno, manco lo Stato, può censurare l'esigenza di aspirare a conseguire livelli di autonomia maggiori, che non significano però indipendenza. Perché l'indipendenza va contro quel giuramento e quell'impostazione. Questo è uno snodo, poi ognuno di voi scelga e voti come meglio creda, però io voto articolando le mie perplessità ma senza tradire quel giuramento. E io credo che questo sia il profilo di serietà.

Ha ragione Maninchedda: un conto è un percorso, un conto è cimentarsi in un'aspirazione, costruire i passaggi che la devono realizzare. Questo però non si può fare scazzottandoci a parole e rivendicando ognuno i meriti di un passato più o meno recente. Anche l'imperfezione dell'autonomia fu il prezzo pagato per aver voluto sognare, opponendosi all'estensione pura e semplice alla Sardegna dello Statuto siciliano. Bene, anche all'indomani dell'approvazione di quello Statuto era presente nei costituenti l'imperfezione dell'aspirazione ad un'autonomia diversa, ma accettarono ugualmente quello Statuto imperfetto perché pensarono da subito che la coesione dentro l'aula parlamentare della Regione, l'unità delle visioni avrebbe consentito di negoziare, di conquistare fette sempre maggiori di quell'autonomia.

E quindi chi è l'oggetto del contrasto? Lo Stato o le nostre infinite divisioni, la nostra infinita inconcludenza, la nostra imperfezione sul piano istituzionale? Io capisco, colleghi, che si possa anche sognare, ma come si può sognare di fronte ad una legislatura come quella che stiamo vivendo, come si possono sognare i confini verdi, bellissimi, di una autonomia che potrebbe chissà che cosa garantire alla Sardegna in queste condizioni?

E qui pongo a me stesso e all'Aula una domanda: è possibile che qualcuno mi spieghi brevemente, spieghi sardi, quale dovrebbe essere il portato immediato, cioè il pane che arriverebbe nelle tasche dei sardi laddove domani noi fossimo indipendenti? Che cosa è? Questa enfasi di modificare lo Statuto sembrerebbe quasi significare che una modifica farebbe scattare chissà che cosa. Allora io voglio sapere come potrebbe modificare la nostra situazione. O pensiamo davvero che laddove noi ottenessimo l'indipendenza lo Stato italiano non ci scaricherebbe una quota parte del debito pubblico che abbiamo maturato anche noi?

Del resto la visione della nostra Costituzione è una visione aperta, una visione che punta alla sconfitta delle pulsioni nazionaliste manifestatesi nell'Europa del Dopoguerra per orientarsi verso la prospettiva dell'unità, della federazione. E noi oggi, nel 2012, vorremmo rispolverare questa pulsione nazionalista senza sapere dove andremo a cadere? Ecco perché nutriamo delle perplessità. Bisogna avere le carte in regola, perfettamente in regola, caro Presidente, sul terreno dell'esplicazione della nostra autonomia. Perché, vedete, gran parte dei danni che noi oggi individuiamo nei limiti dell'autonomia sono riconducibili alla nostra impossibilità di utilizzarne gli strumenti

Oggi noi abbiamo il testo novellato dell'articolo 8 dello Statuto ancora inattuato. Un collega ha riportato i risultati di un sondaggio secondo i quali il 40 per cento dei sardi sarebbe insoddisfatto dell'autonomia. Però non si può far discendere necessariamente dall'insoddisfazione per l'autonomia il desiderio di indipendenza; sarebbe come dire che se io fossi insoddisfatto di mia moglie diventerei gay. Non è questa la risposta. L'insoddisfazione va analizzata e compresa, e oggi noi dobbiamo domandarci per quale motivo non possiamo vedere nella nostra realtà costituzionale l'applicazione piena di quelle prerogative che l'autonomia ha negoziato fino ad oggi, non fare un salto che viola quel giuramento sulla Costituzione che tutti noi abbiamo prestato.

Ecco, la nostra posizione è semplicemente questa, è la posizione di chi pensa che lo spirito della Costituzione non possa essere violato. L'ambizione dell'autonomia può essere invece conseguita in maniera diversa; prima recuperiamo l'unità e la coesione del Consiglio sui temi del futuro della Sardegna. Attendo ancora di sapere - considerata anche l'enfasi di molti sindacati da un po' di tempo a questa parte - quale sarebbe il toccasana che deriverebbe automaticamente da una modifica dello Statuto allo sviluppo della Sardegna quando le nostre ragioni, pur con la presenza di Ministri, Governi, di capo di Governo, non hanno mai avuto un riscontro.

Ha ragione Maninchedda: il cimento della nostra posizione futura si vedrà nella Unione degli stati europei. Però quella è una scelta di nazioni europee che vogliono stare assieme, non che si vogliono dividere. Io credo che questa impostazione vada rivista e vada ricostruita l'idea di un'autonomia moderna che non porti dileggio nneanche ai termini che usiamo, perché tra sovranità, indipendenza e autonomia si sta facendo una grande confusione, e io non mi vergogno di essere una persona che qui dentro vuole rimanere nell'ambito del pieno rispetto di ciò che ha giurato, cioè in un Paese nel quale sono nato, cresciuto, e che è unico e indivisibile, e che voglio rimanga unico e indivisibile, pur rivendicando condizioni di una civiltà diversa per la mia gente.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Mariano Contu. Ne ha facoltà.

INSERIRE TESTO DELL'INTERVENTO IN SARDO

CONTU MARIANO (P.d.L.). Presidente, colleghi, in questa giornata noi siamo chiamati a discutere su un tema che può essere condiviso da tutti, senz'altro da quel 40 per cento dei sardi ricordati dal collega Planetta, che si sono dichiarati a favore della possibilità per i sardi di esprimere una volontà di indipendenza per la Sardegna.

Mi dispiace di dovere iniziare questo discorso in campidanese, perché qualche collega potrebbe avere difficoltà a comprendere quello che voglio dire o quello che voglio esprimere con questa parlata, essendo il campidanese la mia lingua, ma il Regolamento del Consiglio prevede e dichiara, al primo comma dell'articolo 133, che in Consiglio si può liberamente usare sia la lingua sarda sia quella italiana. Pertanto posso sicuramente intervenire in questa lingua, in una discussione e in una riunione in cui si dibatte un concetto così importante come quello dell'indipendenza.

Partiamo da una considerazione che fu fatta tanto tempo fa da chi disse "penso, dunque sono": consideriamo allora il fatto che quel concetto di lingua che noi ancora non siamo in grado di poter condividere diventa essenziale in questo discorso, diventa essenziale quando noi o il Consiglio regionale della Sardegna, il 15 ottobre 1997, approviamo la legge numero 26. Allora si definì un importante passaggio: "La Regione Autonoma della Sardegna assume l'identità culturale del popolo sardo".

Bene, siamo molto lontani dal pensare che noi possiamo concepire il concetto di indipendenza quando non abbiamo neanche pensato ad avere il personale necessario, nonostante si siano avute le risorse finanziarie per anni nel bilancio regionale, per addestrare il personale degli uffici regionali a svolgere quel ruolo di interprete e traduttore dei discorsi che si possono fare in Consiglio regionale. Oggi ho potuto fare questo discorso in sardo, perché molto probabilmente non avete ancora capito che è difficile comprendersi da Cagliari a Sassari e da Olbia a Carbonia, quando ognuno si esprime con la sua parlata, ed è difficile perché noi non siamo ancora in grado di comprendere il concetto di poter condividere un'idea, quella dell'indipendenza, che sia la soluzione dei problemi che tutti hanno elencato, dal primo che è intervenuto presentando la mozione questa mattina all'ultimo che è intervenuto nel dibattito.

Allora, io ricordo il concetto che ha espresso un grand'uomo, un pensatore come Voltaire, e nello spirito espresso in quel concetto "non condivido il tuo pensiero, ma mi batto perché tu possa affermarlo" mi sono trovato a condividere il documento che abbiamo in esame. La sovranità del popolo sardo, quindi, non si afferma soltanto con i documenti e neanche con le guerre, perché diventa difficile per noi oggi interpretare quello che è il concetto di sovranità di un popolo senza pensare che un popolo si unisce su un fattore importante, che è quello della lingua, della cultura, dell'identità.

Dette queste cose, per farla anche breve, il mio pensiero in merito (l'ho maturato tanto tempo fa) è che per la Sardegna valga il principio contrario a quello che venne espresso quando venne completata l'unità d'Italia: "Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani", perché mi sembra che i campanilismi che animano anche quest'aula non ci portino nella direzione dell'unitarietà. Anche la discussione di oggi ci fa capire che siamo ben lontani dal poter raggiungere quell'unità di intenti che ci possa portare a ragionare su una volontà che può essere espressa soltanto utilizzando una di quelle forme che sono consentite dalla norma, ovvero che sia chiamato il popolo sardo a esprimersi attraverso un referendum. Su questo concetto credo di poter condividere quanto nella mozione è contenuto.

Per fatto personale

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare, per fatto personale, il consigliere Dessì. Ne ha facoltà.

DESSI' (P.S.d'Az.). Ho chiesto di intervenire per fatto personale perché mi sono sentito offeso dall'onorevole Soru nel suo intervento, quando mi ha citato, raccontando anche falsità e mettendo in discussione un percorso compiuto da una categoria molto significativa per l'economia del mio paese, che è quella dei pescatori. Quindi ha offeso anche loro.

PRESIDENTE. I lavori del Consiglio riprenderanno questo pomeriggio alle ore 16.

La seduta è tolta alle ore 13 e 52.