Seduta n.140 del 23/09/2010 

CXL Seduta

Giovedì 23 settembre 2010

(ANTIMERIDIANA)

Presidenza della Presidente LOMBARDO

indi

del Vicepresidente CUCCA

indi

della Presidente LOMBARDO

La seduta è aperta alle ore 10 e 02.

DESSI', Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 7 settembre 2010 (133), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Francesca Barracciu, Mariano Contu, Domenico Gallus, Massimo Mulas e Carlo Sechi hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 23 settembre 2010.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Constatato lo scarso numero di consiglieri presenti in Aula, sospendo la seduta.

(La seduta, sospesa alle ore 10 e 03, viene ripresa alle ore 10 e 20.)

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Prego i colleghi di prendere posto.

Ha domandato di parlare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.

DIANA GIAMPAOLO. (P.D.). Presidente, per evitare la richiesta di verifica del numero legale chiedo una ulteriore sospensione della seduta.

PRESIDENTE. Onorevole Diana, la seduta era stata già sospesa e spero non diventi un'abitudine. Prego pertanto i Capigruppo di richiamare i consiglieri in Aula. La seduta è sospesa.

(La seduta, sospesa alle ore 10 e 22, viene ripresa alle ore 10 e 30.)

Continuazione della discussione congiunta delle mozioni Maninchedda - Sanna Giacomo - Planetta - Dessì - Solinas Christian sull'indipendenza della Sardegna. (6); Floris Mario - Cuccureddu - Mulas su "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna. (20); Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla necessità di dare immediato avvio ad un dibattito sulle riforme e sullo Statuto di autonomia, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento. (27); Contu Felice - Dedoni - Cuccu, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall'articolo 51 dello Statuto sardo). (46); Sechi - Zedda Massimo - Uras sull'affermazione del diritto di autodeterminazione dei popoli in funzione del più efficace contrasto all'aggressione e progressivo indebolimento dei valori di libertà, di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale tra le comunità nazionali, linguistiche e culturali in Sardegna, in Italia e in Europa. (80); Diana Mario - Sanna Matteo - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Campus - Cherchi Oscar - Contu Mariano Ignazio - De Francisci - Floris Rosanna - Gallus - Greco - Ladu - Lai - Locci - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pitea - Pittalis - Randazzo - Rassu - Rodin - Sanjust - Sanna Paolo Terzo - Stochino - Tocco - Zedda Alessandra sulla riscrittura dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (81); Zuncheddu - Uras - Sechi - Zedda Massimo sulla riscrittura dello Statuto sardo e sull'apertura, con lo Stato italiano, del processo di sovranità e indipendenza. (82); Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sul ruolo dell'Assemblea costituente del popolo sardo. (85); Bruno - Soru - Sanna Gian Valerio - Agus - Barracciu - Caria - Cocco Pietro - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Meloni Marco - Solinas Antonio sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento (articolo 51, comma 1, dello Statuto sardo). (87); Porcu - Sabatini - Meloni Valerio - Moriconi - Cuccu - Cucca sui principi e sugli obiettivi di revisione dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (88)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88.E' iscritto a parlare il consigliere Antonio Solinas. Ne ha facoltà.

SOLINAS ANTONIO (P.D.). Presidente, Presidente della Regione, onorevole Assessore, onorevoli colleghi, a 150 anni dal compimento dell'Unità d'Italia le varie mozioni presentate hanno certamente un loro fascino e una sicura presa sull'opinione pubblica isolana; parlare di indipendenza, soprattutto, crea una particolare suggestione. Parlare di indipendenza della cosiddetta "nazione sarda" significa che lo Stato italiano non avrebbe più nessun tipo di autorità sulla Sardegna, una cosa ben diversa dall'autonomia nella quale continuano ad esistere dei vincoli istituzionali. Movimenti che si battono per via politica, e talvolta scegliendo anche altre opzioni per l'indipendenza, sono presenti in tante parti d'Europa, vicine e lontane dalla nostra Isola; questo è il segno che il tema è importante, in particolare quando ci si trova di fronte a realtà fortemente caratterizzate sotto il profilo identitario come la Corsica, i Paesi Baschi, la Catalogna o per l'appunto la Sardegna.

In altri casi il sogno indipendentista poggia su una manifestazione storica laddove l'idea di nazione è evocata per mere finalità politiche; è il caso della Padania, è il caso della Lega nord che, in particolare nei momenti meno formali, continua ad agitare lo spettro della secessione minacciando persino la discesa in armi. Lo hanno fatto di recente i massimi dirigenti leghisti, tra i quali alcuni autorevoli Ministri della Repubblica, agitando la folla all'urlo di "Padania libera" e "Roma ladrona". In un Paese serio gli alleati di governo avrebbero dovuto prendere le distanze dalla Lega e isolare le strategie di una forza politica che alimenta divisioni ed egoismi. In Italia questo non accade e ogni boutade leghista viene assolta come manifestazione folcloristica e al massimo provocatoria.

In Sardegna per fortuna il dibattito attorno al tema dei rapporti tra Stato e Regione è certamente più serio e, allo stesso tempo, vivo e attuale. E' un dibattito al qualeil Partito Democratico di certo non si è sottratto nè intende sottrarsi, come ha dimostrato anche nei giorni scorsi con la mozione relativa alla vertenza sulle entrate; mozione attraverso la quale, puntando a stabilire una volta per tutte un punto fermo nei rapporti tra le parti, si è cercato di offrire un contributo che andasse oltre la semplice rivendicazione di risorse.. Peraltro è sufficiente leggere gli atti consiliari dedicati recentemente al tema, o ripassare la rassegna stampa di questi ultimi mesi fino a oggi, per constatare che veramente in tanti hanno voluto cimentarsi con i temi dell'autonomia, della specialità, della sovranità isolana. Tra questi vi sono anche le forze politiche che governano attualmente la Regione che, a parole, si mostrano interessate a ragionare in maniera seria sulle questioni dell'autonomia, in questo certamente incalzate da quelle forze che all'interno della maggioranza hanno tali temi come ragioni costitutive e fondanti del proprio operare politico.

Nonostante ciò, mai come ora, il Governo regionale è parso tanto subordinato agli interessi e agli ordini che provengono da Roma; lo dimostra l'atteggiamento della Giunta sul tema delle entrate rispetto al quale la preoccupazione principale è sembrata quella di non disturbare i governanti romani. Lo conferma in questi giorni il silenzio imbarazzante dell'assessore Baire di fronte a un mondo della scuola in grande subbuglio per via dei tagli e delle difficoltà presentatesi all'attenzione dell'opinione pubblica in occasione dell'avvio dell'anno scolastico ed incapace di rivendicare, di fronte al Ministro Gelmini e al Governo nazionale, le prerogative che già attualmente dovrebbero venire riconosciute alla nostra Regione, in considerazione non di norme da costruire, ma di norme già esistenti.

Emerge chiaramente pertanto che mentre a parole si afferma di voler procedere a riscrivere le regole di base dei rapporti tra Stato e Regione, dall'altro si fa fatica o, peggio, si rinuncia a cercare di dare piena attuazione a tutto quanto sarebbe già previsto e consentito in virtù della specialità della quale tanto ci facciamo vanto nei dibattiti e nei momenti di confronto, specialità che non viene per nulla percepita dai cittadini sardi che si chiedono quali sarebbero i contenuti che la denotano.

Affermo questo perché credo che la maggioranza, o almeno gran parte di essa, non affronti questo dibattito con convinzione, ma più che altro lo subisca come un passaggio obbligato, perché è evidente che in una situazione come questa, in un dibattito come il presente l'atteggiamento di subordinazione rispetto alle politiche nazionali emerge ancora con maggiore forza, anche alla luce di ciò che accade nelle altre Regioni. Basti pensare, tanto per fare un esempio, alla costante attenzione, in particolare in termini di risorse, rivolta dal Governo alla Regione Sicilia, la quale può mettere in campo, evidentemente, un peso politico nettamente superiore al nostro, conseguendo risultati che fanno sembrare ancora più umiliante la estenuante contrattazione sulle entrate.

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, tutto ciò a mio avviso è inaccettabile; occorre liberare la nostra Regione dal ricatto governativo di turno, riportando i rapporti tra Stato e Regione su un livello di regole condivise e finalmente capaci di dare attuazione a principi costituzionalmente riconosciuti. La specialità della nostra Isola è nella sua condizione geografica, nella sua storia, nella sua composizione sociale. Prima ancora di essere affermata in un testo di legge, essa è realtà quotidiana per il milione e mezzo di sardi che la popolano e per i tanti altri sardi della diaspora che, a tutti gli effetti, completano la comunità isolana.

Per questo motivo si sente fortissima l'esigenza di aprire una stagione di riscrittura dello Statuto che, andando oltre la fase autonomista, sappia proiettare la nostra Isola in una inevitabile dimensione federale. Sappiamo bene che il progetto di uno dei partiti più importanti dell'attuale maggioranza nazionale, la Lega Nord prevede di costruire un modello di Stato che cristallizzi un'Italia a due o, addirittura, a tre velocità sulla base del seguente principio fondante: ciascuno si arrangi per sé. Le conseguenze di ciò, checché né dicano molti esponenti del centrodestra, sono facilmente prevedibili per cui avremo nelle Regioni del Centro Nord servizi essenziali, sanità, scuola, assistenza e infrastrutture su standard qualitativamente molto elevati, al traino delle aree più evolute dell'Europa; nelle regioni del Sud standard certamente più bassi su livelli dell'Europa dell'Est, e un divario tra le aree del paese che, inevitabilmente, finirà per dilatarsi, e in mezzo le altre Regioni a galleggiare tra i due estremi.

Come Partito Democratico non rifiutiamo la sfida del federalismo, non solo la accettiamo, ma siamo pronti a confrontarci su principi importanti quali innanzitutto quello della responsabilità ai diversi livelli. Questo vuol dire che una volta stabilito con certezza l'ammontare delle risorse, ogni realtà sarà responsabile della sua gestione con meccanismi atti a evitare situazioni incredibili e incresciose come quelle alle quali abbiamo assistito di recente, con il Governo di centrodestra andare in aiuto di realtà, come alcune città siciliane, che avevano prodotto voragini di bilancio che avrebbero portato dritti dritti al fallimento degli enti interessati. Perciò diciamo con forza che accettiamo la sfida del federalismo.

E' chiaro, però, che il tutto dovrà costruirsi attorno al riconoscimento in primo luogo del principio di uguaglianza, in termini di possibilità di accesso ai servizi per tutti i cittadini del Paese. Questo vuol dire attivare tutti gli strumenti necessari per favorire il riequilibrio e la solidarietà nazionale tra regioni più ricche e regioni più povere. Secondariamente significa riconoscere che proprio in virtù della complessa articolazione geografica, sociale ed economica, le diverse aree del Paese presentano situazioni che richiedono attenzione e strumenti particolari.

Il passaggio a uno Stato federale non può e non deve trovarci impreparati, si deve prendere atto, definitivamente, che una fase si è chiusa e un'altra va ad aprirsi e noi dobbiamo arrivare a questa fase con la convinzione che nulla ci verrà regalato, anzi, dovremo conquistarci tutto sul campo.

Occorre dunque procedere alla riscrittura dello Statuto, uno Statuto che sappia tenere in debito conto il tema del rapporto tra globale e locale, che sappia valorizzare gli elementi identitari in chiave di incontro e non di rifiuto con le altre culture a partire da quelle dell'area del Mediterraneo, che si veda riconosciuto dallo Stato il contributo fondamentale economico e umano offerto in 150 anni di Unità alla ricchezza e al benessere delle zone più importanti del Paese, che riconosca nell'interesse dell'intera Regione l'esistenza nel territorio regionale di aree interne che presentano caratteristiche, esigenze, indici di sottosviluppo del tutto differenti rispetto alle aree costiere, che sappia infine assumere come fondanti valori quali il lavoro, la conoscenza, la cultura, l'ambiente, il paesaggio e la qualità della vita, che fissi in maniera certa i termini dei rapporti, in particolar modo quelli finanziari, tra lo Stato e la Regione.

Allo Statuto andrà collegata poi una legge statutaria, così come dovrà essere nuovamente normato, alla luce delle novità, anche il rapporto con le autonomie locali, da costruirsi sugli stessi principi per evitare il rischio di un neo centralismo regionale; responsabilità e solidarietà attraverso il sostegno alle forme associative che consentano, anche alle realtà più piccole e in difficoltà, di reggere le sfide proposte dalla contemporaneità.

Per concludere, noi siamo affinché questo dibattito si concluda riuscendo a portare unitariamente un contributo e a far fare un passo in avanti nel percorso intrapreso sulla strada della riforma. Il Gruppo del Partito Democratico farà la sua parte, vigilando contemporaneamente affinché chi attualmente è al Governo della Regione non ritenga questa fase esaurita nel dibattito attuale.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Capelli. Ne ha facoltà.

CAPELLI (U.D.C.). Presidente, avrei avuto personalmente molto piacere di poter dialogare o trasferire il mio pensiero, in merito all'argomento all'ordine del giorno, al Presidente della Regione, il quale avrà poi l'arduo compito di replicare sulle mozioni, di sintetizzare questo dibattito, di esporre la sua linea all'Aula e, quindi sapientemente, di saperla rappresentare nelle sedi dovute, nelle sedi romane.

Purtroppo questo non avverrà e, per quanto mi riguarda, in maniera ingiustificata in ogni caso. In questa sede sono riecheggiate parole forti, pesanti, importanti. Si è parlato di storia, si è parlato di indipendentismo, si è parlato di autonomia, di autodeterminazione, parole forti che contraddistinguono un momento importante. E allora mi chiedo che autorevolezza può avere un'Aula con importanti, pesanti assenze, un'Aula distratta, un'Aula (e una politica) che deve convincere e coinvolgere il popolo sardo, per rappresentare questo momento - io ci metterei le virgolette - "storico" della Sardegna, o che tale voleva essere, per convincere i nostri conterranei che c'è bisogno di unità, di forza per poter portare avanti questa rivoluzione democratica che dovrebbe partire dal Consiglio regionale.

Tutte le rivoluzioni democratiche a cui noi facciamo riferimento sono partite da una grande unità di popolo, ma tutte le rivoluzioni sono guidate; sono guidate da chi ha l'autorevolezza per guidare, da chi ha la moralità per poter guidare, da chi ha le capacità per poter guidare, e mi riferisco in questo caso al Consiglio regionale, e quindi da rappresentanti che hanno la piena e totale autonomia di pensiero.

Noi ricerchiamo l'unità tra le forze politiche, allora iniziamo a non fare i distinguo tra un pensiero di maggioranza e un pensiero di minoranza. In questo momento ognuno di noi è portatore di un pensiero che è stato delegato a rappresentare in quest'Aula. Non possiamo dividerci, anche nelle parole, iniziando a dire: "c'è una posizione di minoranza e una posizione di maggioranza".

All'interno della maggioranza di cui noi facciamo parte abbiamo posizioni diverse; all'interno della cosiddetta minoranza ci sono posizioni diverse, ma ognuno di noi ha il dovere di rappresentare la sua idea e confrontarla con gli altri rappresentanti del popolo. E io mi confronto non da rappresentante di un partito, ma da piccolo, umile rappresentante di una parte minimale del popolo sardo, e così vorrei condurre la mia azione su questo tema.

Si è parlato di storia, si è echeggiata la Padania che ha una storia virtuale. Noi abbiamo una storia reale, essendo partecipi e fondatori della Nazione italiana, ma immediatamente dopo abbiamo cercato la nostra autonomia; un'autonomia bambina, un'autonomia mai cresciuta, un'autonomia mai applicata, e non solo per le responsabilità, che purr ci sono, di chi ci governa da Roma, e non solo per uno Statuto che forse poteva essere meno "gatto" e più "leone", non solo per questo, ma anche per le nostre responsabilità; per le responsabilità di una classe dirigente che nei decenni non ha probabilmente saputo applicare pienamente quella parte importante dell'autonomia che è già scritta nel nostro Statuto.

Quindi una classe dirigente che deve essere all'altezza della situazione. Io mi chiedo: sono all'altezza di questa situazione? Sono all'altezza di poter contribuire a guidare questa rivoluzione democratica? Questo Consiglio, la guida politica di questo Consiglio è all'altezza? Non mi do una risposta, la cercherò nei fatti. A oggi il mio giudizio non mi porta a essere ottimista. Le assenze in un momento così importante mi dicono che non posso convincere i miei concittadini che questa è la sede più autorevole perché loro possano seguirci; i cittadini a cui devo spiegare, a molti di essi, che questo è un momento storico importante che può cambiare la loro condizione sociale, perché questo è importante, questo tipo di ricaduta è importante.

Per poter coinvolgere pertanto devo essere chiaro, devo essere semplice, devo far intravedere l'obiettivo che è quello di migliorare la nostra condizione sociale, economica, culturale o far emergere definitivamente la nostra situazione culturale; lo devo fare per loro, lo devo fare per me, lo devo fare per i sardi e ho necessità di essere autonomo, mentalmente e politicamente. Io inviterei i colleghi che si dichiarano veramente autonomi e che vogliano dimostrarlo di presentarci tutti insieme lì davanti e dire: "Io voglio rappresentare la Sardegna". Non nominerò l'U.D.C., non nominerò il centrodestra, non nominerò il governo amico, ma io vorrei ritrovarmi con amici. Quanti saremo lì? Forse molti se ci saranno le telecamere, ma quanti convinti?

Allora, dobbiamo uscire da questa impasse, dobbiamo conquistare quell'autorevolezza che ci è negata, ci è negata per strada, ci è negata dai media, ci è negata da quelli a cui noi abbiamo chiesto la loro fiducia per poterli rappresentare e credo che sia una situazione che tutti stanno vivendo in un momento di degrado politico, non solo regionale, nazionale.

E quindi oggi fare politica, essere un politico è letto in maniera estremamente negativa, non nel termine nobile della parola, ma in maniera molto negativa. C'è quasi una diffidenza in noi stessi nel rappresentarci alla gente. Non voglio usare il plurale perché non voglio coinvolgere nessuno: c'è una mia diffidenza, poi ognuno vedrà.

Allora dobbiamo iniziare questa rivoluzione. Ci scontreremo, ma credo che ci ritroveremo sul metodo. Ci scontreremo, auspico che potremo ritrovarci nel merito. Noi, anche per carenza di autorevolezza, abbiamo sostenuto, sottoscritto, portato avanti la tesi dell'Assemblea costituente e crediamo che ancora oggi quella sia una via importante che possa davvero coinvolgere il popolo sardo, ma siamo anche coscienti del fatto che è forse la via più difficile sulla quale trovare unità, perché non deve essere una scelta di maggioranza, e forse è anche la più impervia al fine di garantire un risultato.

Si è parlato dell'ampliamento della prima Commissione del Consiglio regionale, impostazione e proposta sulla quale nutro alcuni dubbi, si è parlato di una Commissione speciale. Aggiungerei, siccome le Commissioni sono composte comunque da rappresentanze politiche, che non vedrei male una Commissione speciale paritetica che superi fin da ora le rappresentanze di maggioranza e minoranza. Una rappresentanza paritetica delle forze politiche presenti in Consiglio che possa iniziare un percorso di coinvolgimento di tutte quelle altre parti della società (economica, sociale, culturale, religiosa e quant'altro) che devono partecipare alla costruzione della nuova Carta statutaria.

A mio avviso questo potrebbe essere un percorso che potremmo iniziare molto presto, con un mandato ben preciso, temporizzato, non rinnovabile, che in quattro mesi o, se sono pochi, cinque possa produrre la proposta di un nuovo Statuto a quest'Aula e quindi iniziare il percorso che ci porti ad avere il nuovo Statuto regionale della Regione sarda. Uno Statuto che dovrà sicuramente marcare in maniera importante l'autonomia, che si affaccia a una sorta di indipendenza della nostra Regione, ma per arrivare a questo ci deve essere il cuore e la mente dei sardi che esprimano la forte volontà di raggiungere quell'obiettivo e non solo la necessità politica.

E' un lavoro ed è una sensazione di cuore e di mente che deve guidare un popolo, che deve convincere un popolo, poco importa se siamo pochi rispetto alla nostra nazione, se abbiamo un bassissimo e sempre minore peso politico nei confronti dello Stato italiano, importa molto la convinzione e la presa di coscienza, la presa di coscienza che quello è un percorso importante, che quello è un percorso che potrà fare andare a testa alta i nostri figli, un percorso che può migliorare la condizione economica della nostra Regione, un percorso che può valorizzare ulteriormente la nostra cultura, la nostra società, un percorso che possa finalmente portare alla formazione di una classe dirigente autorevole e preparata. Da decenni non vediamo tutto questo.

Mi chiedo: non so se avete, ma avrete sicuramente, visto, capito, letto che una piccola rivoluzione democratica rispetto alle grandi rivoluzioni è sentita per strada, viene sentita fra la gente quando questo senso di appartenenza è davvero reale e ha cassa di risonanza nazionale. Oggi ha cassa di risonanza la grande unità politica un po' maldestra ma efficace, siciliana che dà l'appoggio a un Governo nazionale perché riesce a portare a casa 4 miliardi e mezzo di fondi FAS, grandissimi valori però, grandissimo risultato.

Noi non potremo mai mettere in essere un'azione di questo genere perché non ci ascolta nessuno, noi andiamo col cappello in mano a Roma e nelle sedi governative. Non ha risonanza questa sessione consiliare sulle pagine nazionali, non si cita, forse qualche piccolo trafiletto richiama la Sardegna magari per altri motivi, ma non per questo. Non ci credono, non siamo credibili. Ma figuriamoci se possiamo pretendere risonanza nazionale se già i nostri media - per certi versi fortunatamente - non danno risonanza a quello che sta succedendo in quest'Aula non tengono conto, non danno rilevanza a una sessione che nell'ordine del giorno è altisonante, è importante. Perché?

Probabilmente non siamo convincenti, probabilmente dobbiamo spiegare che questo è un momento importante di questa legislatura, ma che non stiamo dimenticando e non dobbiamo dimenticare i momenti contingenti, non dobbiamo dimenticare che l'Asinara è occupata da mesi, non dobbiamo dimenticare che i pastori riprendono la loro marcia su Cagliari dopo un momento, o giornate, di attesa di risposte su ciò che gli è stato promesso. La situazione generale dell'industria, dell'agricoltura, dei trasporti, della scuola non può venire dopo e allora abbiamo bisogno di impegnarci su due fronti, quest'Aula ha bisogno di impegnarsi su due fronti, ma lo diciamo dall'inizio della legislatura a chi ha voluto ascoltare, pochi, e a chi guida.

Abbiamo bisogno di due momenti di governo: un momento ordinario che comunque dentro la sua sacca deve anche affrontare azioni straordinarie e un momento costituente-legislativo diverso che pensa al futuro. Ecco perché noi siamo per la Commissione speciale in subordine alla Costituente, per questo motivo. Il Consiglio ha necessità di impegnarsi realmente, la Giunta, il Presidente, tutti noi abbiamo necessità di impegnarci per dare risposte concrete e non solo parole, riunioni, ordini del giorno e quant'altro, a chi ha bisogno dell'attenzione politica; forse, ponendo in essere anche qualche azione che non avrà il grande consenso del popolo e può darsi che non sia necessario.

Oggi si legge nel giornale questo genere di notizia.:C'è un aeroporto in crisi? Si chiedono i soldi alla Regione. C'è l'agricoltura in crisi? I soldi alla Regione. Non riesco a comprare la lavatrice? I soldi alla Regione. Devo fare una partita di calcio? Chiedo i soldi alla Regione. Devo fare tiro con l'arco? I soldi alla Regione. C'è mamma Regione che deve pensare a tutti con i fondi vincolati dallo Stato per la spesa, parlo del Patto di stabilità, con i soldi che non ha perché lo Stato non glieli trasferisce e con gran parte di quel bilancio che non riusciamo a spendere anche per nostra incapacità, i residui ne sono testimonianza, e non è tutta colpa del Governo centrale.

Noi dobbiamo pensare a questo, al contingente, il popolo affamato arriva con i forconi e non pensa all'autonomia che pure è basilare per raggiungere una piena e totale crescita economica e sociale; le due cose pertanto vanno messe insieme ma gestite in modi e in tempi diversi. Questa è la mia posizione: iniziare con il metodo che però deve essere sostenuto in maniera cosciente, determinata e autorevole qualsiasi esso sia o venga deciso da quest'Aula.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cucca. Ne ha facoltà.

CUCCA (P.D.). Signor Presidente, signor Assessore, colleghi consiglieri, è un po' difficoltoso intervenire in questo momento dopo le parole dell'amico e collega Roberto Capelli che mi ha dato molto da riflettere per il suo atteggiamento. Ho notato infatti una evoluzione nel clima dell'Aula rispetto al momento iniziale di questo dibattito martedì mattina. Martedì mattina sembrava il primo giorno di scuola; quando mi sono avvicinato al collega Maninchedda mi ha detto: "Sono emozionato" e devo dire che capisco perfettamente l'emozione che egli provava nell'affrontare questo dibattito, perché dovrebbe essere un momento storico.

Oggi si contrappone lo scoramento del collega Capelli per il clima che, invece, stiamo vivendo e mi dispiace anche sottolineare l'assenza del Presidente della Regione. Lo sottolineo io che sono sempre stato contrario (lo dicevo nella scorsa legislatura quando quotidianamente si parlava dell'assenza del Presidente) a questo rito del sottolineare l'assenza del Presidente della Regione in Aula, perché sono convinto che il Presidente svolga un'attività che non gli consente di essere sempre presente in Aula. E, peraltro, sono anche certo che è sempre degnamente rappresentato dall'Assessore competente e in questo momento anche dall'assessore Corona la cui presenza è costante in quest'Aula.

Ci sono però momenti in cui non si può mancare, momenti come questo sono troppo importanti per non sottolineare l'assenza del Presidente, gli argomenti sono davvero storici e potrebbero cambiare il corso della storia della nostra Isola, della nostra Regione, del popolo che siamo chiamati qui a rappresentare. Dobbiamo parlare di riforme, di autonomia, di Statuto e in tutti questi anni ne abbiamo parlato in continuazione. Io non vorrei che si finisse ancora una volta per fare di questo dibattito una esercitazione scolastica, una esercitazione oratoria priva di risultato, un rimbombo, un'eco di parole già sentite, reiterate.

Noi crediamo che questo momento vada affrontato con la serietà di cui ha parlato il collega Capelli, al quale dico che io ci sarò, se la proposta sarà quella di essere presenti, io ci sarò, lontano dalle telecamere a cui non sono aduso e perché sono convinto che tutti dovremmo essere presenti lì davanti, tutti insieme, e questo deve essere il significato del dibattito in quest'Aula. Debbo dire quindi che ho affrontato con il maggior impegno possibile questa discussione cercando di ragionare con i colleghi e, soprattutto, facendo mia anche quell'emozione di cui parlava l'onorevole Maninchedda che con tanta forza, in questi mesi, ha sostenuto l'esigenza di questo dibattito in Aula.

Voglio sottolineare che non possiamo perdere questa occasione, i ritardi non ci sono più consentiti dalla attualità e dalla contingenza, basta vedere la cronaca di questi giorni, di queste ultime settimane e di questi ultimi mesi per renderci conto che la nostra agenda è impegnata da vertenze che, quotidianamente, interessano industria, scuola, pastorizia. Se torniamo invece indietro di qualche tempo ci imbattiamo nelle incertezze che hanno avvolto le questioni relative alla costruzione degli impianti eolici off-shore, tutti temi sui quali purtroppo nè il Consiglio, né soprattutto la Regione hanno mai l'ultima, definitiva parola. Possiamo impegnarci, possiamo protestare con tutto il fiato che abbiamo ma non siamo mai padroni delle decisioni finali. Le decisioni finali in questo momento vengono prese da altri secondo logiche che spesso non ci appartengono, nel perseguire interessi che sicuramente non sono quelli del popolo sardo che noi siamo chiamati a rappresentare. Se ci va bene otterremo un gesto di cortesia: saremo consultati; ma c'è anche un'altra ragione per la quale credo sia indispensabile impegnarci ora con urgenza e col massimo della serietà che possiamo profondere per cercare la soluzione ai temi che stiamo trattando.

Come sappiamo, è stato già detto ma giova ripeterlo anche fino alla nausea, il treno del federalismo quello pensato e voluto dalla Lega, quello per intenderci del quale tra l'altro si sa poco, ancora non si sa tutto, quel treno è in corsa, è lanciatissimo e arriverà a destinazione nei tempi annunciati, cioè entro il mese di maggio del 2011; pertanto non abbiamo molto tempo a disposizione per decidere come modificare il nostro rapporto con l'autonomia. Non abbiamo molto tempo per decidere come e chi dovrà scrivere le nuove regole dell'autonomia ma, soprattutto, non abbiamo molto tempo per decidere quanta autonomia vogliamo e come vogliamo che, finalmente, sia attuata. Il collega Capelli ha parlato di "autonomia bambina" ed effettivamente siamo in presenza non di un'autonomia non attuata ma, sommessamente, possiamo oggi sostenere che si tratta di una inesistenza della nostra autonomia, proprio perché limitata a pochi settori, e tra loro poco interconnessi, che non permettono alcun tipo di autodeterminazione autentica, cioè ci manca la possibilità di decidere davvero di avere l'ultima parola, oppure la possibilità di intervenire con vigore e forza sull'attuare o meno una determinata azione in un determinato settore.

Io non intendo discutere, mi sembra inutile e significherebbe ancora una volta ripetere l'esercizio fatto negli ultimi anni; non intendo attribuire responsabilità a nessuno, ciascuno di noi si assuma quella quota di responsabilità che sicuramente gli è addebitabile. Credo però che non sia necessario, non sia utile un dibattito nel quale ci si confronta maggioranza e opposizione; ancora una volta devo citare il collega Capelli, e molti altri peraltro che hanno parlato anche prima di lui, perché credo che il ragionamento sulla ricerca della coesione unanime sia il sentiero che dobbiamo sicuramente percorrere per arrivare a una soluzione nei tempi più rapidi possibili.

Partiamo da un punto fermo: in questo momento, poichè viviamo in una condizione di subalternità totale nei confronti dello Stato, tutti insieme dobbiamo abbandonare la consueta rigidità che ci ha visto protagonisti della storia politica di questi anni nella difesa delle posizioni e dobbiamo invece, credo sia la prima cosa da fare, essere concentrati sinergicamente sull'obiettivo. Non è più il tempo di mantenere una posizione ferrea in difesa delle proprie idee e del proprio pensiero, credo invece che sia il tempo di essere uniti e, in questo caso sì, durissimi nel cercare di raggiungere l'obiettivo della maggiore autonomia possibile e del più alto grado di autodeterminazione; se non capiamo che questo deve essere l'obiettivo primario non porteremo il risultato che tutti auspichiamo.

Dobbiamo riuscire quindi a portare la nostra autonomia ai limiti più alti possibili ma non attraverso una contrattazione col Governo, che non porterebbe sicuramente alcun risultato per i motivi già esposti, noi dobbiamo semplicemente centrare l'obiettivo decidendo dove vogliamo arrivare, imponendo la nostra decisione senza possibilità di nessuna contrattazione e impedendo che il Governo, come è accaduto fino a oggi, ci porti una trattativa al ribasso, mentre in altre parti d'Italia, è di questi giorni la vicenda siciliana, si sono presi il massimo.

Io non ho mai creduto alla favola dei sardi pocos, locos, y mal unidos però, se anche fosse, in questo frangente evitiamo di essere mal unidos per raggiungere questo scopo anche con un pizzico di follia collettiva, in questo momento necessaria. Se saremo uniti sotto un'unica bandiera autonomistica, sarà impossibile intercettare malumori, invidie, sarà impossibile per il Governo centrale costringerci a una marcia indietro e scaricare sulla nostra terra e sul nostro popolo tutte le scorie derivanti dalle trattative con le altre Regioni, come è accaduto anche nel recente passato, quelle Regioni che vivono un'autonomia quasi totale, e quelle Regioni che riescono o riusciranno ad arrivare all'autonomia pressoché totale.

Uniti quindi eviteremo che il nostro essere pochi permetta ad altri di avere gioco facile sulle nostre decisioni. Credo che 80 consiglieri regionali, rappresentanti del Popolo sardo, chiamati a partecipare alle scelte, varranno più di un Parlamento nazionale. E ovviamente, l'ho già detto e molti l'hanno ripetuto, l'urgenza del decidere non ci può esimere dalla necessità del coinvolgimento complessivo di tutto il nostro popolo nel dibattito che ci porterà a scegliere e riscrivere le regole della nostra Autonomia.

Si è parlato del contenitore, sommessamente, come tanti non ho la soluzione a questo problema; debbo dire che mi affascinava e credevo molto nell'idea dell'Assemblea costituente, ma debbo prendere atto, come già hanno fatto altri colleghi, che sarebbe necessario un tempo troppo lungo per rendere operativo questo istituto. Allora, forse, sarebbe più semplice il ricorso a un'Assemblea costituente del popolo. Non voglio assegnare nomi per non evocare ectoplasmi del recente passato, che si sono poi arenati nel corso del dibattito in quest'Aula.

Un'Assemblea del popolo la cui composizione andrà decisa e che porterà appunto il dibattito e la responsabilità di decisione il più possibile vicini ai nostri concittadini, con il massimo coinvolgimento di tutte le forze sociali ed economiche, comprese ovviamente le rappresentanze degli enti locali, che dovranno necessariamente avere un ruolo primario nella riscrittura del nostro Statutoalla quale arrivare in tempi rapidissimi.

Mi pare sia anche condivisibile l'idea di una Commissione speciale; terminato il compito di questo istituto potrebbe essere utile il ricorso alla forma referendaria, sottoporre cioè il risultato a un referendum popolare. Perché dico questo? Perché sono convinto che se effettivamente le scelte che compiremo nel corso di questi lavori della Commissione per la riscrittura dello Statuto avranno come punto di partenza la volontà di impegnarsi nella ricerca di una condivisione massima, la soluzione migliore sia quella di dire che dopo sottoporremo il risultato al vaglio popolare attraverso il referendum; si avrebbe così anche la consapevolezza che se si lavorasse a dividere e non a unire successivamente sarebbe facile far cadere la proposta che verrebbe sottoposta al vaglio popolare.

Il contenuto. In quest'ultimo periodo si è parlato molto e abbiamo avuto molto da riflettere sulla vicenda dell'indipendentismo, con le variegate accezioni che si sono volute assegnare a questo termine. Devo dire che le argomentazioni proposte dal collega Maninchedda, anche in riferimento a proposizioni altrui che rappresenterebbero (secondo la visione che ci ha offerto con la mozione sottoscritta da lui e dai componenti del suo Gruppo) una sorta di disimpegno istituzionale, da lui auspicato, sono sicuramente ed estremamente suggestive, tanto suggestive da rendere l'animo popolare entusiasta; sono le argomentazioni che più fanno presa sulla gentecomunesuscitando il suo entusiasmo. Però dobbiamo fare i conti con una realtà che è sicuramente differente.

Io attendo intanto con curiosità la discussione sul federalismo fiscale perché, francamente, sono curioso di conoscere la dimostrazione, che il collega Maninchedda ha assicurato ci darà in questa'Aula, sull'autosufficienza di risorse per far fronte all'indipendentismo.

Io ho difficoltà a pensare, in tempi brevi, a una organizzazione dei sistemi che oggi governano lo Stato italiano; ho difficoltà a pensare che abbiamo le risorse per organizzare il settore della giustizia, della scuola, delle poste, della polizia; ho molta difficoltà a pensare che in tempi brevi (tempi che ormai sono urgentissimi) riusciamo a trovare soluzione a questi problemi, e attendo pertanto di conoscere come si intenda affrontare queste problematiche.

L'ostacolo più grosso, lo sento anche interiormente, e non voglio fare facile demagogica, è che ho difficoltà a immaginare un percorso di questo genere, che ci porterebbe fuori dal dettato della nostra Carta costituzionale. Una Costituzione che ha sicuramente necessità di una revisione, che ha delle parti che sono sicuramente ormai inadeguate, che si dovrebbe mettere al passo con i tempi, però è quella Costituzione alla quale io ho giurato fedeltà nel momento in cui ho iniziato, ventisette anni fa, la professione. E, credetemi, ho difficoltà, perché credo ancora, ci credo fermamente, in quei valori della nostra Costituzione, a pormi fuori in qualsiasi maniera, anche nell'ambito di uno Stato federale, per quanto anch'io patisca la suggestione delle argomentazioni.

In ogni caso rimane il problema dei tempi. In questo momento non possiamo permetterci tempi lunghi, come ho già detto, e nel frattempo che cosa facciamo? Quale sorte tocca a questa terra avvinghiata dalle problematiche e dalle emergenze, che rischiano di farla precipitare nel baratro? In questo contesto, credo che l'obiettivo primario sia quello di arrivare al massimo livello di autonomia possibile, nell'ambito dell'articolo 117 della Costituzione, evitando anche l'eccesso di cortesia che ci ha sempre portato ad avere un riguardo particolare nell'esporre non le nostre richieste, ma le nostre decisioni.

E faccio presente, e concludo, che anche il diritto internazionale è dalla nostra parte, perché l'Atto finale di Helsinki del '75, sul diritto dei popoli …

PRESIDENTE. Onorevole Cucca, il tempo a sua disposizione è terminato.

E' iscritto a parlare il consigliere Campus. Ne ha facoltà.

CAMPUS (P.d.L.). Presidente, colleghi e rappresentati della Giunta, mentre ieri durante la discussione predisponevo le tracce per il mio intervento, valutando le mie sensazioni avevo l'impressione di essere una voce fuori dal coro per quello che sentivo, per quello che stavo scrivendo. Mi interrogavo, pertanto e pensavo di non riuscire a cogliere la storicità del momento a causa di una mia incapacità, di una mia aridità, di una mia limitatezza.

E, soprattutto, mi domandavo- cosa molto più importante - se davvero tutte le persone con cui in questi giorni, in queste settimane, avevo parlato sul posto di lavoro, nelle strade, fossero tutte aride come me e non riuscissero a sentire la stessa unicità che più voci, soprattutto negli interventi di ieri, avevano invece sollevato.

Devo dire che la conclusione della mia analisi è stata che le persone con cui parlo, e di cui io devo essere il portavoce in quest'Aula, purtroppo sono disilluse, sono scoraggiate, sono sfiduciate; devo dire però che quella sensazione di essere fuori dal coro, dopo i primi interventi di questa giornata, si è un pochino affievolita. E' vero, più voci in questo dibattito sinora hanno sottolineato l'importanza e la possibilità di scrivere la storia ma, per la verità, non mi pare che al di fuori di quest'Aula questa storicità sia stata colta, l'ho detto con le persone con cui ho parlato in questi giorni ed è stato ribadito ancora.

La stampa oggi, per esempio, dedica (basta guardare la rassegna che ci fornisce il Consiglio) tre colonne su "La Nuova Sardegna" e un trafiletto su "L'Unione Sarda"; allora la colpa è della stampa? Certamente no. La sensazione che ho, che avevo ieri e che continuo ad avere è che ce la stiamo "cantando e ballando da soli"; fuori la Sardegna non ci segue. Sono infatti assolutamente convinto che sia difficile appassionare l'opinione pubblica, e di conseguenza interessare i media, su argomenti di straordinaria amministrazione quando non si è riusciti ad avere credibilità sull'ordinaria amministrazione.

Mi spiego meglio, riscrivere lo Statuto della nostra specialità viene sentito da me - consentitemi, disilluso ed arido - ma anche da molti fuori da quest'Aula come un'opera titanica per un Consiglio che sinora, e non possiamo negarlo, ha prodotto solo delle buone leggi finanziarie, ma solo delle leggi finanziarie. Mi sembra che sia molto più atteso dalla nostra gente il fatto che quest'Aula affronti temi come il taglio delle spese inutili, le leggi di settore, le riforme di settore, la riforma degli enti e della sanità, una nuova legge elettorale che sia decisa da noi in Sardegna, dai sardi per i sardi.

Io credo che, ancora prima di cercare nuovi e più ampi poteri, dovremmo essere capaci di dimostrare (avremmo dovuto già oggi averlo fatto) di saper sfruttare quelli che abbiamo per intervenire concretamente su temi quali il lavoro, la formazione, la sanità, i trasporti interni, l'attualizzazione dei beni demaniali, il nostro stesso ordinamento, il Regolamento di quest'Aula. Siamo l'unica Regione che non si è ancora dotata di una legge statutaria e per farla non sarebbero certamente necessarie nè un'Assemblea costituente, né una Consulta, né una Commissione speciale: basta il Consiglio, questo Consiglio! Così come basta il Consiglio per modificare il nostro Regolamento al fine di rendere i nostri lavori più rapidi e produttivi.

Ho sentito richiamare i padri nobili, riferire date storiche, dotte citazioni per motivare la richiesta di una maggiore rappresentatività. Ma dobbiamo ancora dimostrare di essere noi compiutamente e adeguatamente rappresentativi di tutta l'Isola, ad esempio nella composizione della Giunta regionale. Non parteciperò quindi alla gara a chi è più identitario, non ho contribuito ad ampliare il florilegio di mozioni, anche 2 o 3 per un singolo Gruppo consiliare e anche questo la dice lunga, consentitemi, sulla nostra capacità di "fare unità", di "fare sintesi", di essere realmente produttivi, scevri da condizionamenti e interessi di parte.

Secondo me non abbiamo bisogno di confrontarci né con Roma, né con la Padania, né con l'Europa per rendere questo Consiglio un organo legislativo efficace. Faccio una piccola digressione. Il nostro è un Consiglio, non un Parlamento come quello siciliano; oggi abbiamo sentito parlare molto della Sicilia, è ben vero che la Sicilia si dette allora uno Statuto da "leoni" e non da "gatti", quella Sicilia che però riesce ad essere, con quello Statuto, ancora meno governabile della Sardegna, non dimentichiamolo! E' certo capace di drenare molte più risorse ma allo stesso tempo è capace, molto più di noi, di sprecarle! Quindi, non stiamo a sognare di poter imitare altri che stanno per loro stessa incapacità (come noi stiamo per la nostra), anche peggio di noi. Sta a noi pertanto, lo ripeto, rendere questo Consiglio un organo legislativo efficace che decide e statuisce, senza compromessi, senza ostruzionismi inutili, senza condizionamenti; anche solo con opportune modifiche del nostro Regolamento possiamo rendere più efficace la nostra attività ordinaria, senza bisogno di volare verso il sole.

Con leggi di settore possiamo trasformare la nostra Regione, da carrozzone inutile e dispendioso, come viene percepito dal popolo sardo, in una organizzazione realmente operativa, da ente assistenziale da cui farsi assumere o farsi mantenere in ente esecutivo, in una fonte di investimenti, di spesa utile, produttiva, una fonte di sviluppo e di reali prospettive. Non abbiamo bisogno, colleghi, di esprimerci né in limba né in dialetto per ridurre e razionalizzare gli enti, le agenzie, le AA.SS.LL. le province, la spesa fine a se stessa, autoreferenziale e improduttiva. Impegniamoci allora a dare subito ai sardi quelle riforme che, in campagna elettorale, abbiamo promesso tutti, maggioranza e opposizione, perché sinora non l'abbiamo fatto e chi ci ha preceduto non l'ha fatto o l'ha fatto male.

Non abbiamo bisogno di richiamarci né a Bellieni, né a Lussu per indirizzare, modernizzare e attualizzare la nostra azione e quella della Giunta. Abbiamo certamente la necessità di supplire alla mancanza di una cultura, di una coscienza collettiva, di un sentirsi - oltre che declamarsi molto, troppo demagogicamente - uno Stato, una nazione o anche semplicemente popolo sardo. Perché, è cronaca di questi giorni, vediamo intere pagine dei nostri giornali riempirsi di una polemica sui voli low cost che da Cagliari andrebbero ad Alghero, non a Brindisi, non a Trapani, così come era stato paventato nel passato, ma da Cagliari ad Alghero. Una polemica che certamente nasce dalla difesa di legittimi interessi locali, locali, ma non di quell'interesse collettivo che deve essere invece recepito da noi, ammortizzato e armonizzato dalla capacità operativa della Giunta e del Consiglio.

Mi auguro davvero che questa discussione possa sfociare in qualcosa di produttivo rispetto alle tante altre sulle quali in quest'anno e mezzo abbiamo impegnato, speso, sprecato il nostro tempo. Spero che ci porti a scelte realmente realizzabili, forse meno auliche e pindariche, forse meno storiche ma più attuali, immediatamente efficaci; abbiamo già gli strumenti necessari senza bisogno di costruirne di nuovi o di dividerci per identificarli, rimettiamoci al passo con la realtà, con le altre realtà nazionali ed europee, e poi potremo credibilmente aspirare a nuovi e più decisivi poteri sapendo e dimostrando di essere finalmente preparati ai conseguenti, relativi, nuovi e più impegnativi doveri.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Sabatini. Ne ha facoltà.

SABATINI (P.D.). Presidente, onorevoli colleghi, quando qualche giorno fa abbiamo trattato i problemi legati al comparto agricolo, le tribune di questo Consiglio erano occupate da tante persone, interessate e attente alla discussione e alle conseguenti decisioni che l'Aula avrebbe preso; mentre in questi giorni in cui si dibatte sulle riforme, sono assolutamente vuote, deserte: è un segnale. Molti colleghi hanno messo prima di me in rilievo come l'interesse della società sarda sui temi delle riforme, della riscrittura dello Statuto sia bassissimo, quasi inesistente. Questo tema così importante, che potrebbe cambiare profondamente il destino della nostra Sardegna, non tocca i sardi, non tocca le loro menti, e ancora meno il loro cuore e la loro passione. Ecco perché - lo dico con molto rispetto - mi viene un po' da sorridere quando sento parlare di stagione esaltante per la nostra Sardegna.

Ma tutto ciò è facilmente spiegabile. Infatti da anni si parla di riforme, da anni si parla di riscrittura dello Statuto, da anni si rincorrono le parole: autonomia, sovranità, autogoverno, ci sono stati lunghi dibattiti, conferenze, convegni, manifestazioni, battaglie a volte persino violente su questi temi, e il risultato è il nulla di fatto. Ecco spiegato il disinteresse. Nei sardi si è creato persino un senso di frustrazione su questi temi.

La prima domanda che ci dovremmo porre - condivido quanto ha detto l'onorevole Capelli - mi pare sia questa: possiamo rianimare questo dibattito, renderlo vivo, sentito, coinvolgente per i sardi? Possiamo riaccendere l'interesse dei sardi? Io credo dipenda soprattutto da noi, da con quanta passione, con quanta convinzione, con quanta determinazione affrontiamo questo dibattito. Dipende, colleghi, soprattutto da noi, certo a iniziare dal Presidente della Regione che non c'è, o meglio c'è e non c'è, e quando c'è fa altro. Qualcuno diceva ieri "meglio che la diretta televisiva non ci sia", lo credo anch'io. Intanto attendiamo - apro una parentesi - di conoscere le determinazioni della Commissione paritetica; ci pare assurdo che il Presidente non abbia ancora trovato il tempo di leggere una relazione che gli avrebbero consegnato i rappresentanti della Regione. Se fossi stato Presidente della Regione avrei accompagnato i nostri rappresentanti a Roma, avrei seguito da vicino l'andamento dei lavori della Commissione paritetica; questo silenzio mi preoccupa, mi preoccupa fortemente, e credo che dovrebbe preoccupare tutto questo Consiglio.

Dicevo, dipende dalla nostra convinzione, ma molto dipende e dipenderà dall'impostazione che saremo capaci di dare ai nostri lavori. La mozione, che con alcuni colleghi abbiamo sottoscritto, vuole mettere in risalto la necessità di non disperderci in una discussione eccessivamente ideologica, di non attardarci in disquisizioni che ci porterebbero lontano dalle nostre reali e concrete esigenze. La politica ha tra le prime funzioni quella di intercettare gli interessi, i bisogni, le domande dei cittadini, questa funzione e questa capacità oggi la politica sembra averla smarrita. E allo stesso tempo come possiamo pensare di costruire un progetto di riforme senza avere la consapevolezza dell'assoluta necessità di partire dai cambiamenti in atto, dai temi dell'attualità politica in Italia, in Europa e nel mondo?

Ho questa convinzione: per partire con il piede giusto sono necessari passione e molto impegno, sensibilità per capire che cosa la società ci chiede e avere ben presente che cosa si muove nel panorama nazionale ed europeo. Sono anche convinto che per i processi di riforma in atto, pensiamo al federalismo fiscale ma non solo, è urgente che la riscrittura del nostro Statuto avvenga in un tempo certamente intenso ma non eccessivamente lungo, e riguardo a questo abbiamo già formulato una precisa proposta. Certo, non possiamo stare ad aspettare che altri facciano quello che siamo chiamati a fare noi in questo Consiglio.

Credo che i tempi siano maturi, si poteva certamente raggiungere prima questo obiettivo ma la riflessione, gli approfondimenti, il dibattito politico e culturale di questi anni non sono stati a mio modo di vedere inutili: nella classe politica, nel sindacato, nell'università sarda, nella classe dirigente in generale oggi è maturata la consapevolezza di una assoluta necessità di riformare profondamente la nostra Regione; certo, la responsabilità e il compito erano e sono di questa Assemblea.

Bene, colleghi, ora vengo al punto centrale della nostra discussione. Se tutti siamo convinti, almeno mi pare, che le riforme non si possono fare a colpi di maggioranza ma vada ricercato un percorso comune individuando alcune direttrici di merito che possono essere condivise da tutti, questo è lo sforzo che insieme dobbiamo fare. Io provo a dare un modestissimo contributo.

Incomincio a dire che ci sono tra noi delle differenze; differenze che non sono riconducibili, come diceva l'onorevole Capelli, all'appartenenza al blocco di centrodestra o di centrosinistra, esistono posizioni diverse nel centrodestra come nel centrosinistra, diciamo che esistono posizioni diverse all'interno di questo Consiglio. Questo non è un male, anzi io credo che forse ci può aiutare a trovare una sintesi tra le diverse posizioni.

Io, come ha detto il Capogruppo dei Riformatori, mi sento sardo al cento per cento, così come italiano ed europeo al cento per cento, e ritengo che la Costituzione italiana sia un valore alto per tutti noi che ci ha consentito di vivere in una democrazia moderna, e sono preoccupato quando diversi politici nazionali la aggrediscono, ne chiedono una revisione nel tentativo di affossarne i valori e l'impianto fondamentale al solo fine di difendere i propri interessi o gli interessi di alcune porzioni del nostro Paese.

Ieri nel suo intervento il collega Porcu ha sottolineato una differenza che non si può non condividere: sovranità e autonomia non sono sovrapponibili, non sono la stessa cosa, sono concetti differenti. Pietrino Soddu, che molto ha dato in termini di contributo politico su questi temi, dice: meno autonomia e più sovranità condivisa; io, riprendendo alcune riflessioni ascoltate in questo nostro dibattito, proverei a dire così: il massimo dell'autonomia possibile e il massimo della sovranità possibile, con la consapevolezza che oggi più che mai molte decisioni vengono prese altrove, e sarebbe riduttivo riferirsi al solo nostro Stato italiano ma insufficiente persino riferirsi alla sola Europa, ormai tante decisioni investono gli organismi di politica internazionale.

Attorno a queste affermazioni possiamo aprire un cammino accettando le sfide che oggi ci troviamo giocoforza a dover affrontare; facciamolo con una nuova Carta fondativa che riconosca pienamente da un lato i nostri valori identitari, dall'altro gli strumenti per un adeguato sviluppo socioeconomico. Partirei dalla promozione del valore della differenza, della peculiarità del dato identitario dell'identità sarda, per poi arrivare al superamento del ritardo storico di sviluppo.

Io condivido quanto diceva il collega Vargiu quando affermava che l'indipendenza è prima ancora che un progetto politico un sentimento, un sentimento che è dentro ognuno di noi; esso è fortemente sentito dai sardi che sono molto delusi dalla classe politica per quanto essa l'abbia così poco realizzata e vissuta concretamente in tutta la storia dell'autonomia. Il sentimento dell'indipendenza si sarebbe dovuto attuare e applicare pienamente innanzitutto all'interno del patto costituzionale, esercitando pienamente i poteri che già ci sono riconosciuti e che per nostra inadeguatezza, nostra incapacità, nostra debolezza non abbiamo esercitato; perché non è forse vero che abbiamo una legge elettorale imposta da Roma, una legge elettorale che potevamo e dovevamo scrivere noi? E per la forma di governo non vale forse la stessa affermazione?

Colleghi, in definitiva, è vero, ci sono delle differenze che non dobbiamo nasconderci ma abbiamo anche molti punti di condivisione, molte affermazioni comuni, molte convinzioni comuni, ed è su queste che dobbiamo lavorare, è su queste che possiamo costruire un percorso comune per avviare le riforme. Per noi, mi riferisco anche ai firmatari della mozione numero 88, è necessario che questo percorso sia breve, abbiamo già detto che quattro mesi riteniamo siano un tempo sufficiente per concretizzare un buon lavoro: proposta del Consiglio ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto, istituzione di una Commissione speciale, veniva detto poc'anzi una Commissione speciale paritetica, è un passo avanti. Commissione che preveda ogni possibile coinvolgimento della società sarda anche attraverso eventuali assemblee popolari, coinvolgimento di specialisti del mondo accademico, delle forze sociali, degli enti locali al fine della redazione del testo del nuovo Statuto. Infine proponiamo di indire un referendum consultivo.

Per noi il carattere dell'urgenza non è secondario, abbiamo bisogno di una Carta rifondativa della nostra Regione, che sappiamo non vedrà nell'immediato la definitiva approvazione, perché essa diventi per tutti noi il riferimento di un nuovo modo di essere sardi, di un nuovo modo di vivere la nostra identità e i rapporti politici e istituzionali.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà.

PITTALIS (P.d.L.). Da alcuni colleghi stamattina è stata segnalata l'assenza del Presidente della Regione; a parte il fatto che il Presidente è stato presente tutta la giornata di ieri seguiendo il dibattito, oggi la Giunta è rappresentata dall'Assessore che ha la delega alle riforme. Faccio questo richiamo per mettere in evidenza un aspetto a dir poco contraddittorio. Si dice che le riforme debbano essere fatte superando gli schemi di maggioranza e di opposizione, si dice che non bisogna espropriare il Consiglio di sue prerogative e che occorre distinguere nettamente il potere esecutivo da quello legislativo, allora mi chiedo e vi chiedo, colleghi, che cosa aggiunge o che cosa toglie al nostro dibattito la presenza fisica del Presidente della Regione. Semmai il problema è cercare di capire verso quale direzione intenda andare questo Consiglio e fare sintesi per dare forza e autorevolezza alle conclusioni cui approderà questo dibattito.

Io sono d'accordo allora con quei colleghi che hanno rimarcato come le riforme, in primo luogo la riforma dello Statuto di autonomia, costituiscano un passaggio essenziale per la prospettiva democratica della nostra Isola. Ed è la prima ragione questa per la quale sono del parere che questo dibattito, per quanto sia utile e importante che si svolga in questa Aula, non possa e non debba rimanere relegato a questa Aula.

Si tratta pertanto di individuare le forme, gli strumenti più appropriati, quelli propri della democrazia partecipativa, e tutti dovremo predisporci ad ascoltare e a recepire le istanze e le aspirazioni di quella dimensione sociale, politica, culturale, economica e soprattutto territoriale espressione della nostra comunità.

Nel passato chi vi parla aveva concorso convintamente a individuare nell'Assemblea costituente lo strumento più adeguato al fine. Ritengo però, come hanno già rilevato altri colleghi, che forse non ce lo consentono più i tempi che rischiano di allungarsi. L'importante è comunque condividere insieme una soluzione che non escluda settori importanti della nostra realtà; diverse sono le ipotesi che ho sentito anche questa mattina e il nostro Capogruppo ha indicato quella che richiamava anche testé il collega Sabatini; un referendum consultivo. Questo perché, data l'importanza dei temi, non si lascino logicamente fuori settori importanti della nostra realtà.

Dicevo che alla politica spetta fare la sintesi, unitaria, se è possibile, e consapevoli, colleghi, che non si tratta di trovare tra di noi la convergenza sulle parole o le formulette più appropriate sul piano tecnico-giuridico. A tale riguardo voglio richiamare l'intervento, veramente di spessore, dell'onorevole Chicco Porcu che, secondo me, in parte ha voluto "mettere i puntini" anche in relazione al dibattito interno al proprio Gruppo e richiamare il proprio Capogruppo che sui termini autonomia e sovranità effettivamente ha, per così dire, cavalcato una certa impostazione che il collega Porcu ieri, i colleghi Sabatini e Giuseppe Luigi Cucca oggi hanno riportato in ambiti che fanno anche chiarezza su una posizione. Dico questo perché è vero che non si deve giocare sulle formulette e che bisogna capire, perché poi la forma è anche sostanza, la differenza che corre tra sovranità e autonomia.

E al collega Porcu, che ieri accusava il P.d.L. di strizzare l'occhio ai leghisti a Roma e ai sardisti in Sardegna, voglio ricordare brevemente che intanto se il tema del federalismo è approdato nell'agenda politica nazionale da circa 15 anni lo si deve proprio ai leghisti, quindi almeno qualche merito ce l'hanno e non perché oggi sono nostri alleati al governo nazionale. E questo riferimento vale anche per i sardisti che qualche ragione politica l'hanno sicuramente avuta nel voltare le spalle ad un centrosinistra probabilmente sordo, chiuso in se stesso su temi di questa portata.

Voglio ancora ricordare all'onorevole Porcu che la cultura di una grande parte della classe dirigente della sinistra è stata sempre una cultura impregnata fortemente se non proprio di statalismo certamente del culto dell'uguaglianza intesa come uniformità. Una cultura sostanzialmente estranea al liberalismo, quello di Cattaneo, di Einaudi, di Benedetto Croce che è rispetto insieme del diritto dell'individuo e delle singole comunità di autodeterminarsi e differenziarsi.

Ecco il P.d.L. e il P.d.L. sardo in particolare con la sua specifica connotazione identitaria si riconosce in questo filone storico-culturale. E allora possiamo continuare a dissertare sulle formule e penso che nessuno in quest'Aula possa, almeno da un punto di vista storico e culturale, non sentirsi fortemente convinto di appartenere ad una Nazione con una sua sovranità, con una sua lingua, un suo popolo, perché la prospettiva di una Sardegna indipendente è sempre stata un'aspirazione forse silente, anche per lunghi secoli, in tutti i sardi come coronamento non solo di un sentimento, ma di un processo storico che parte da lontano.

Ricorderete come già nel XII secolo abbiamo avuto il riconoscimento della "nacion sardesca" da parte degli stessi dominatori, la stessa Carta de Logu è la testimonianza di una soggettività statuale della Nazione sarda, fino ad arrivare alla fusione, nel 1847, nello Stato sabaudo risorgimentale e dunque nello Stato unitario italiano. "Una pazzia collettiva dei sardi", tuonò allora Siotto Pintor. E risuonano ancora oggi come monito, a tutti noi, le parole di Cesare Balbo quando disse: "Voi sardi rinunciate a qualcosa per la quale gli irlandesi lottano sacrificando la vita da oltre 400 anni". Ecco, questa rinuncia anticipa profeticamente il cammino dei sardi all'interno dello Stato unitario, basti pensare ai rapporti Regione-Stato; indifferentemente, Giunte di centrodestra come Giunte di centrosinistra, anche quella guidata da lei, onorevole Soru (la richiamo solo come dato storico, non per farle una critica sul piano politico) hanno dimostrato una forte debolezza intrinseca che certamente non ha dato senso ai trascorsi lustri di autonomia cosiddetta speciale.

Il Presidente Cossiga, in un discorso tenuto a Barcellona in occasione del settantesimo anniversario dell'Unione democratica di Catalogna, lanciò un'idea forza del ruolo della Sardegna e della Catalogna, in uno scenario nuovo come Nazioni senza Stato. Ecco, io ritengo che questo sia un messaggio di grande pathos ideale, morale e politico che, per quanto mi riguarda, ben volentieri raccolgo. Colleghi, se dobbiamo fare attenzione un po' tutti a non farci condizionare dalle trappole terminologiche, che poi a volte sono trappole ideologiche, dobbiamo guardare alla realtà, alla varietà di modi su come interpretare il rapporto fra cittadino e potere pubblico, su come il potere politico può essere distribuito fra centro e periferia, al modo di concepire la democrazia, nel senso dell'individuazione del giusto equilibrio tra le istanze di sovranità e i principi fondamentali di uno Stato democratico.

E questo vale non solo nel rapporto con lo Stato, ma anche nella dimensione interna al nostro ordinamento che, come tutti sappiamo, è ancora caratterizzato da un forte centralismo elefantiaco. Alla fin fine, ciò che conta, io credo, e ciò su cui noi dovremo misurarci è capire chi fa cosa, come, con quali risorse, con quale grado di autodeterminazione, di autonomia, cioè con quale capacità effettiva proprio di autodeterminarsi e, soprattutto, con quali risultati concreti che rispondano ai bisogni dei cittadini e dei territori e, dunque, con quale efficacia per la nostra comunità.

Non bisogna dimenticare, peraltro, che nel contesto attuale occorre considerare con attenzione come ogni ipotesi di riforma non possa non confrontarsi con la dimensione dell'Unione Europea e col contesto italiano nel quale ci riconosciamo, tenendo presenti le connessioni strettissime e i condizionamenti reciproci. E non facciamoci illusioni che il percorso sia tutto in discesa, perché la mancanza di una cultura federalista e le resistenze delle grandi burocrazie certo non sono dalla nostra parte.

A tale riguardo voglio ricordare che se è vero per esempio che non c'è più in Costituzione dal 2001 la clausola dell'interesse nazionale, ci si comporta a livello romano come se ci fosse ancora. Quella clausola è stata sostituita dalle cosiddette "competenze finalistiche" o dalle cosiddette "materie trasversali", formule che hanno aperto ampi varchi ad un recupero di competenza legislativa da parte dello Stato e, come se non bastasse, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha interpretato estensivamente pure il concetto di sussidiarietà, applicandolo non solo alle funzioni amministrative, ma anche a quelle legislative, una sussidiarietà interpretata prima di tutto in direzione ascendente.

Qualche osservatore, certo non imbevuto di fanatismo federalista, proprio a proposito della giurisprudenza della Corte costituzionale, ha parlato di una Corte ormai appiattita sulle logiche del vecchio modello centralista che certamente non aiuta i processi di riforma come noi li intendiamo. Però, colleghi, noi come classe politica, dovremmo anche chiederci perché, per esempio, la riforma del 1999, quella sulla potestà statutaria e sulle forme di governo regionali non è stata applicata, e perché dopo oltre 10 anni e due intere legislature non abbiamo ancora il nostro nuovo Statuto e, anzi, abbiamo rinunciato a dotarci di strumenti, compresa la legge elettorale.

Siamo di fronte ad una serie di occasioni perdute e a volte si pone il problema se vi sia davvero una spinta autenticamente riformatrice da parte della classe politica sarda. Pertanto, se davvero vogliamo impostare una stagione delle riforme, se davvero ci sentiamo tutti protesi alla creazione di condizioni davvero nuove, allora forse dovremmo tutti abbandonare i giudizi e i pregiudizi, che finora, in questo anno e mezzo di legislatura, mi pare abbiano contraddistinto, più che sul piano del confronto, su quello dello scontro, il dibattito delle forze politiche.

Noi possiamo recuperare quindi tutte le questioni che nelle mozioni vengono sottoposte all'attenzione, perché, ne colgo il dato positivo, tutte protese in senso relazionale per cercare di dimostrare come sia possibile, nel rapporto tra soggetti di uno stesso ordinamento, trovare un equilibrio tra le esigenze di uniformità e differenziazione. E' da questo punto di convergenza che noi dovremmo partire, anche perché siamo tutti consapevoli che un maturo sistema funziona solo se l'assegnazione di ogni sfera di attribuzione evita, come spesso accade, quell'intreccio di competenze statali e regionali che moltiplica i centri di potere e offusca le responsabilità.

Noi, anche per porre mano alla riforma federalista dell'ordinamento degli enti locali, che non è una prerogativa dello Stato, ma è propria della nostra Regione, forse dovremmo più esattamente definire le funzioni fondamentali e varare la carta delle autonomie, proprio perché si riconosca la pluralità degli ordinamenti locali e. E occorre procedere a dare immediata attuazione anche a quel decentramento amministrativo vero di sussidiarietà istituzionale, ma anche sociale, cercando di alleggerire il ruolo e i compiti della Regione verso un nuovo senso delle autonomie e del ruolo dei comuni.

Non a caso parlo del ruolo dei comuni perché forse anche noi, come Regione, dovremmo iniziare a interrogarci sul ruolo delle province e sull'utilità del mantenimento di un sistema qual è quello che oggi abbiamo in Sardegna, ma non per disconoscere il sistema degli enti intermedi, quanto piuttosto semmai per valorizzarne il ruolo dal punto di vista amministrativo, meno dal punto di vista della complessa organizzazione che si muove attorno agli enti intermedi, dove sappiamo che il 90 per cento del bilancio è rappresentato da spesa di parte corrente che serve solo all'automantenimento.

Sono tutti temi sui quali noi ci confronteremo e il P.d.L., grazie anche agli autorevoli interventi di colleghi che hanno messo bene in evidenza qual è appunto l'interesse del nostro partito, del nostro Gruppo, intende partecipare attivamente alla discussione per cercare di dare davvero una svolta significativa sul piano dei contenuti, come è stato preannunciato.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Tocco. Ne ha facoltà.

TOCCO (P.d.L.). Presidente, assessore Corona e colleghi, in questi due giorni di dibattito ho ascoltato tutto ciò che è stato detto e mi sono anche reso conto che questo argomento sta interessando più di ogni altra cosa; però mi dispiace - lo dico perché francamente cinque minuti fa ho ricevuto una telefonata in tal senso -che quello che noi stiamo dibattendo in quest'Aula all'esterno non arrivi con un messaggio corretto. Cioè tra la gente che sta fuori, per citare quanto detto dal collega Capelli, probabilmente qualcuno vorrebbe imbracciare un forcone. Fuori dal Palazzo ci sono dei problemi seri, problemi quotidiani, che tutti conosciamo e la gente non sa esattamente di che cosa stiamo discutendo in quest'Aula, forse perché i quotidiani non ci rendono giustizia o i media non trasmettono, come dicevo poc'anzi, il messaggio giusto.

Pertanto credo che sia il caso di coinvolgere anche i nostri concittadini per far capire che stiamo ragionando tutti quanti insieme su un obiettivo, su un traguardo unitario, per far capire che la fatidica frase secondo cui i sardi, e in questo caso anche noi consiglieri, siamo spesso e volentieri disuniti questa volta può essere sfatata, perchè stiamo cercando, tutti insieme, ripeto, di raggiungere un obiettivo attraverso un documento unitario.

Si è parlato tanto di indipendenza, di autonomia, di autogoverno, di autodeterminazione, però la parola che è emersa maggiormente io credo sia sovranità. Sovranità, perché la Sardegna non debba essere troppo indipendente dalla Repubblica italiana, e vi dico perché. Io non vedo bene questa indipendenza totale e non la vedo bene perché credo che non ci siano in questo momento le giuste condizioni. Probabilmente questo è un mio modo di vedere le cose diversamente, ma credo che questo sia il momento, invece, di abbandonare ogni tipo di vessillo personale, ogni tipo di personalismo. Ritengo sia il caso di essere uniti e produrre un documento (non avverrà sicuramente in tempi brevi), che nell'arco di alcuni mesi dia all'esterno una immagine di noi come persone, consiglieri, rappresentanti di questo popolo che vogliono raggiungere un risultato unitario.

Io vorrei ricordare, non so se è stato detto magari quando ero assente da quest'Aula e mi è sfuggito, che in Senato giace una proposta del Comitato per il nuovo Statuto dell'autonomia speciale della nazione sarda; uno degli autori è il professor Cesare Casula. La proposta è stata presentata da alcuni senatori e tra questi, ne sono sicuro, c'è il senatore Piergiorgio Massidda. Questa proposta sta già seguendo un iter legislativo, di conseguenzapotrebbe essere una buona base, una piccola guida per quello che noi stiamo discutendo oggi in Aula. Sicuramente possiamo sconvolgerla, possiamo cambiarne completamente i parametri, possiamo emendarla, integrarla, però dato che esiste qualcosa che ha già iniziato il suo iter legislativo, potrebbe anche essere il caso di avvalercene e, perché no, raccordandoci anche con i nostri rappresentanti in Parlamento, con i nostri senatori, con i nostri deputati.

Queste persone a mio avviso in questo preciso istante debbono essere qui con noi, unite a noi per far arrivare la nostra voce e il nostro progetto il più velocemente possibile anche a Roma. Questa non è un'occasione per cercare da parte di queste persone o da parte nostra visibilità. In questo momento bisogna accantonare il problema del singolo, ma far valere il problema collettivo. Questo è un momento particolare anche per dare un messaggio all'esterno, che non è quello di gente che qui dentro si siede sulla poltrona e sta pensando al nuovo Statuto - ben venga -però non sta pensando a quelli che, come sosteneva prima Capelli - lo ripeto perché mi ha fatto ridere - probabilmente vogliono imbracciare i forconi, perché questo è quello che sta accadendo, e non credo sia il caso di nasconderci dietro un dito. Questa è la situazione.

Noi ovviamente in questo momento stiamo dibattendo di una questione importantissima, forse la più importante di questo Consiglio regionale, però non dimentichiamo che la gente che sta all'esterno aspetta più la nostra finanziaria di quanto aspetti il nuovo Statuto. Questo è quello che stiamo facendo e questo è quello che noi porteremo avanti, perché è giusto che sia così, perché questo regolerà il nostro destino e probabilmente il destino anche di quelle persone che ci stanno ascoltando o, se non ci ascoltano, lo faranno a breve.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Soru. Ne ha facoltà.

SORU (P.D.). Signor Presidente, Assessori e cari colleghi, intanto chiedo scusa per non aver sentito gli interventi svolti i giorni scorsi non avendo potuto essere presente in Aula. Purtroppo non mi è stato proprio possibile. Ho letto però molti dei resoconti, ho comunque partecipato alla discussione nei mesi precedenti, ho avuto occasione di cogliere e di approfondire un dibattito che comunque esiste nella società sarda, per chi lo vuole vedere. Quindi parto dalle cose che sono state dette in questi giorni, comprese quelle appena sentite dal collega che mi ha preceduto, alle quali vorrei aggiungere qualche mia considerazione.

E' più importante discutere della finanziaria o è più importante discutere dello Statuto? I sardi si aspettano da noi che parliamo della finanziaria, che tocca i problemi veri delle loro famiglie, o che discutiamo di Statuto? E queste due discussioni sono due discussioni diverse? E questo presunto disinteresse che aleggia attorno ai temi che stiamo discutendo oggi in quest'Aula? E' un dibattito riportato, come è stato già detto, così scarsamente dai giornali, così distrattamente dai diversi mezzi di informazione, è effettivamente poco importante e stiamo consumando un rito già visto altre volte o forse vale la pena di parlarne? Io credo che valga tantissimo la pena di parlarne. Non so se è un momento storico, certamente non è...

PLANETTA (P.S.d'Az.). Bravo! Posso dirle bravo?

SORU (P.D.). Grazie mille, è d'accordo ancora prima di avermi sentito, è un successo! La ringrazio, comunque. Non so se è un momento storico, e credo comunque alla storia che viene costruita ogni giorno, alla storia del procedere, ma non di meno abbiamo la responsabilità di comprendere che un pezzettino di parte la dobbiamo fare anche noi oggi, anche se siamo un po' stanchi, anche se siamo un po' distratti dobbiamo tirar fuori comunque il dovere del nostro ruolo oggi.

Ci piaccia o no entro maggio si concluderà il percorso del federalismo fiscale, un percorso importante che ci riguarda, a cui non dobbiamo arrivare impreparati e per il quale non possiamo lasciare sola la Giunta regionale, che oggi non è rappresentata come avremmo voluto. Quindi, è importante parlarne.

In tanti ci siamo chiesti se l'autonomia ha esaurito il suo ruolo, se l'autonomia ha fatto tutto quello che poteva fare, se questo ritardo di sviluppo che ancora viviamo in Sardegna non possa essere finalmente superato grazie, forse, a un passo in avanti nella capacità non solo di essere autonomi e di portare avanti questo tipo di rapporto con lo Stato, ma nella capacità di conquistare maggiori spazi di sovranità, comunque di autodeterminazione. Fra queste parole che sono state ripetute anche oggi (autonomia, indipendenza) dovremmo cogliere una nostra modalità.

Io credo che non siamo in realtà così divisi come qualcuno ha voluto cogliere, non lo siamo né al nostro interno nè all'interno di questo Consiglio e nemmeno, io credo, all'interno della società sarda. In tanti crediamo di dover fare un passo avanti. La punta che appare più estrema parla di indipendenza, ma credo che dobbiamo cogliere innanzitutto che alla parola indipendenza nessuno più associa la parola separazione come un tempo dicevano gli indipendentisti.

Gli indipendentisti oggi non sono più separatisti e vorrei citare un gruppo, che credo non abbia alcuna rappresentanza politica in Sardegna, di cui qualche settimana fa mi aveva colpito la bellezza di un cartello che avevano esposto fuori dal Palazzo (era un signore che forse ha persino sofferto un pochino troppo per quello che ha rappresentato in altri periodi) e sul quale era scritto: "Impari cun tottus, asutta de nmus", "Insieme a tutti, sotto a nessuno". Questi sono gli indipendentisti oggi, non solitari, semplicemente dicono "insieme a tutti sotto a nessuno". E' il momento di dire che anche noi possiamo condividere un'espressione di questo genere: "Insieme a tutti, sotto a nessuno" chiedendoci "insieme" innanzitutto con chi? Con la Repubblica italiana, con l'Unione europea, con l'associazione dei Paesi del Mediterraneo, con una macroregione delle isole del Mediterraneo, insieme, insieme a tutti nelle modalità più diverse.

E' stato detto dai miei colleghi: "Noi siamo parte dell'unità d'Italia". Io personalmente non mi riconosco nella storia di Carlo Alberto, non sento nessun impegno con l'ultima dominazione che ha toccato la Sardegna, quella dei Savoia, ma sono totalmente dentro la storia della Repubblica italiana, la storia della Repubblica che nasce dalla Resistenza, con la Costituzione, meravigliosa, alla cui scrittura noi abbiamo partecipato con Emilio Lussu, Laconi e tutti quelli che conoscete.

Siamo dentro quella storia e quella Costituzione ci ha portato comunque un patto nuovo, biunivoco, uno a uno, di rapporto tra il nostro vivere qui in Sardegna con lo Stato unitario. Ora, quel rapporto che è servito fino a oggi, che è nato nel '48 può essere modificato? Può essere rivisto in una posizione più avanzata? E' utile farlo? Io credo di sì, credo che debba essere fatto, credo che debba essere portato su una posizione più avanzata, non più quindi un rapporto con uno Stato centrale che ci delega delle autonomie, ma un "rapporto della comprensione" di una parità di diritti e di una parità non più di dipendenze ma di interdipendenze.

Serve uno Stato nazionale a noi, noi serviamo allo Stato nazionale. Ci sono delle cose che possiamo fare insieme, ci sono delle cose che possiamo fare meglio noi e che tra pari vanno ridiscusse. Le interdipendenze costituiscono il modo moderno di vivere; le stesse interdipendenze esistono tra lo Stato italiano e l'Unione europea, lo Stato italiano ha delegato il sistema finanziario alla responsabilità della Banca centrale europea, ha delegato parte della politica estera alle alleanze, ha delegato la politica agricola; questo stesso sistema di interdipendenze e di deleghe tra pari deve finalmente essere alla base del nostro rapporto con lo Stato.

Ci piaccia o no, non so se perché l'abbiamo voluto noi o perché un'onda sta partendo comunque da un'altra parte d'Italia o perché comunque i tempi sono maturi, è ora che molto di quello spirito, che è rimasto sopito dentro il DNA dei sardi, dopo duemila anni di storia venga portato alla luce e si discuta veramente senza pudori, senza paure, senza alcun timore reverenziale. Mi è capitato di dirlo altre volte: non siamo dei giganti ma non siamo dei nani. Qualche paura va messa da parte, qualche consapevolezza in più certamente delle nostre colpe, dei nostri limiti, ma anche delle nostre conquiste, anche delle nostre capacità e anche delle nostre opportunità deve essere messa in campo.

E' presente un anelito in questa direzione perché comunque è un dovere di ciascuno, innanzitutto, di bastare a se stessi e di autodeterminarsi; un passo avanti deve essere fatto perché è ora di farlo noi prima che ce lo facciano fare gli altri, prima che le norme ce le dettino gli altri. A me piace dire: ridefinire le regole di interdipendenza tra pari, per un motivo ideale, per un motivo pratico che vorrei mettere in campo.

Il collega Campus ha detto efficacemente: "Ma pensiamo ad amministrarci meglio, pensiamo a far meglio le cose che possiamo fare, per esempio nel settore dei trasporti c'è tanto che possiamo fare". E' vero, possiamo migliorare in tanti settori, però non sottovalutiamo quello che abbiamo fatto, non sottovalutiamo comunque i successi piccoli o grandi che abbiamo ottenuto. Funziona meglio l'ARST o la Tirrenia? Funziona meglio il trasporto pubblico locale, pur con tutti i limiti, o funzionano meglio i trasporti da e per la Sardegna la cui responsabilità abbiamo delegato allo Stato (Ministero dei trasporti si chiamava un tempo?).

Io credo che abbiamo "funzionato" meglio noi, semplicemente perché ci stavano più a cuore le cose, perché erano più vicine a noi. Funziona meglio la nostra attenzione all'ambiente; è più importante il ruolo del comune di La Maddalena, il nostro ruolo nella tutela, ad esempio, di quel paradiso ambientale che è l'arcipelago di La Maddalena o il ruolo del Ministero dell'ambiente nella gestione del Parco naturale al quale dedica poche centinaia di migliaia di euro, per cui non riesce quasi a pagare gli stipendi e abbiamo la pena di questi dipendenti del Parco che vanno a chiedere tre o quattro euro alle barche per mettere insieme il pranzo con la cena piuttosto che per tutelare l'ambiente?

Se abbiamo ancora i problemi ambientali che sappiamo a Porto Torres come in tanti luoghi è per il ritardo dei nostri Uffici o per il ritardo del Ministero dell'ambiente nel definire le regole, nel definire le ingiunzioni alle imprese che hanno lasciato quel disastro ambientale affinchè facciano quello che deve essere fatto? Stiamo "funzionando" meglio noi o loro? Noi dobbiamo migliorare, loro sono da rifare. Avete parlato dei demani, andate a vedere che cosa fa delle caserme dismesse l'amministrazione comunale di Palau, andate a vedere la meraviglia che c'è sulla strada principale di Palau, la risistemazione e il riuso di una vecchia struttura militare e andiamo a vedere, non lontano da qui, che cosa accade nei demani abbandonati dallo Stato da decenni e che potrebbero essere invece funzionali comunque a una crescita di questa regione.

Avete appena presentato una legge per la valorizzazione del patrimonio archeologico tra Nuraghi e Atlante ma dopo sessant'anni di unità d'Italia vi sembra che lo Stato abbia fatto meglio di come avremmo potuto fare noi nel tutelare, nel promuovere la cultura nuragica? Chiedo scusa onorevole Oppi, mi piacerebbe che mi ascoltasse anche lei.

OPPI (U.D.C.). Ma io ascolto sempre!

SORU (P.D.). Sì, io la ringrazio però sa io sono debole nel parlare e mi distraggo facilmente. Pensate davvero che avremmo fatto peggio di quello che è stato fatto nella tutela e nella valorizzazione del grande patrimonio archeologico unico in Sardegna? Credo di no. Le nostre amministrazioni comunali, provinciali e regionali pagano quasi tutto di quello che viene fatto all'interno dei siti archeologici salvo dover chiedere il permesso alla Sovrintendenza anche per piantare un chiodo, salvo dover chiedere il permesso anche per tenere un piccolo coccio in un piccolo museo locale. Non è giusto, è sbagliato.

I giganti di Monti Prama li abbiamo tirati fuori noi dopo che lo Stato li ha sepolti per trent'anni, ed è stato francamente grottesco che il primo sottosegretario che è sveglito sia venuto qui a dirci che cosa dovessimo fare. Quindi, non è per un motivo ideologico, è per un motivo pratico: noi abbiamo i nostri limiti ma gli altri semplicemente non sono dei giganti e i nostri limiti hanno portato delle azioni di amministrazione, di politica migliori rispetto alle azioni dello Stato centrale in Sardegna.

In questo sistema di interdipendenze e di sovranità che vanno distribuite possiamo dire che la sovranità sul nostro territorio non la vogliamo delegare a nessuno, che la sovranità, il diritto di dire l'ultima parola sulla necessità di mantenere o di insediare un altro poligono su cui bombardare in Sardegna, beh quella sovranità ci deve appartenere! In tempo di pace non ci deve essere nessuno che possa condannare un pezzo del nostro territorio per sempre ai bombardamenti, così come non ci deve essere nessuno, a parte noi, a dire l'ultima parola sulla presenza di una centrale nucleare, bellissima, fantastica, molto tecnologica, però la nostra comunità, il nostro popolo, noi, non vogliamo forse correre il rischio di vedere la desertificazione di un pezzo importante della nostra Regione, del nostro territorio sull'abilità tecnologica, su un sapere di pochi o sulla distrazione, un domani.

C'è un motivo ideale che emerge e c'è un motivo pratico, ancora altrettanto importante e persino preponderante che abbiamo il dovere di spiegare. Se nella finanziaria che è stata presentata ieri ai sindacati ci sono settecento milioni di euro in meno, beh, forse è a causa di questa discussione che non abbiamo ancora compiuto, se c'è un Patto di stabilità che ingessa i nostri comuni, beh, forse è per questa discussione che non abbiamo ancora compiuto. Il collega Maninchedda ha usato un termine che mi piace: fratellanza, l'ultima parola si diceva di quel grande contributo dato dalla Rivoluzione francese alla modernità in Europa; l'ultima parola non ancora applicata, e certamente suona male che quel Paese che ha parlato di libertà e giustizia e fratellanza proprio in questi giorni, su base etnica, mandi via i suoi cittadini. L'ultima volta che abbiamo fatto delle scelte su basi etniche in Europa sappiamo come e che cosa si è iniziato ma poi sappiamo anche come è andata a finire, ed è terrificante quello che accade.

In Sardegna, in questa Sardegna che si dice avrà nel 2050 forse un milione e trecentomila abitanti, un milione e seicentocinquantamila oggi, abbiamo qualcosa da dire anche noi o vogliamo delegare agli altri il diritto di invitare qualcuno a casa nostra? Oggi noi non possiamo nemmeno invitare qualcuno a casa nostra e dire: "Siediti, vieni, abita e lavora, sei ben accolto!" Dobbiamo chiedere al Ministero degli interni se lo possiamo fare o no. E' normale tutto questo? Le nostre campagne hanno bisogno delle decisioni e delle paure di Maroni o hanno bisogno di ospitare? Hanno bisogno di fratellanza, se la vogliamo chiamare così, hanno bisogno di coraggio!

Cari colleghi, veramente, io non so se scriveremo lo Statuto in questa legislatura ma fosse anche un seminario di studi questa nostra discussione, servisse solo a portarci ad una consapevolezza più avanzata dei nostri limiti ma anche delle nostre capacità, delle nostre conquiste, dei nostri successi soprattutto in confronto agli altri, avremmo già fatto un passo avanti; e se questa consapevolezza ci servisse per ogni nostro atto successivo, cioè quando parleremo di finanziaria, quando parleremo di Patti di stabilità, quando parleremo di norme di attuazione, quando parleremo di demani, di tutto il resto, bene, avremo già fatto un passo avanti.

Per terminare, io credo che sia utile provare non a dividere i Gruppi ma provare ad unirci tutti quanti almeno su temi come questi, provare a far emergere una voce unica da questo Consiglio, una voce che finalmente potremo far sentire al Parlamento italiano. Non sarà tanto ma auspichiamo che ci sia una voce della Sardegna qualche settimana prima, qualche mese prima del momento in cui i Ministri, eventualmente, guarderanno alle "nostre cose" e cercheranno di cancellare un elemento fondante della Repubblica italiana: il rapporto uno a uno tra questa comunità regionale e lo Stato italiano, un rapporto uno a uno che non può essere cancellato, un rapporto uno a uno sulla base del quale dovremo costruire la Sardegna del futuro.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Ladu. Ne ha facoltà.

LADU (P.d.L.). Signor Presidente, Assessore e colleghi, questo Consiglio regionale oggi ha una grande opportunità; dopo oltre sessant'anni, lo Statuto è stato approvato nel 1948, i tempi sono maturi anzi siamo in ritardo per riscrivere la Carta costituzionale della Sardegna, la Carta di autonomia che oggi è inadeguata e, se vogliamo, non è stata mai sufficientemente attuata anche per nostre responsabilità, devo dire, non solo per responsabilità altrui.

Sono state presentate diverse mozioni che considero una ricchezza perché contribuiscono ad ampliare il dibattito contenendo, queste dieci mozioni, proposte innovative e molti stimoli. Abbiamo pertanto, come Consiglio, molto materiale a disposizione e sarà compito di questa Assemblea alla fine riuscire a fare una sintesi.

Questa volta però, a differenza di altri tentativi andati a vuoto, il compito è più difficile perché noi dobbiamo arrivare a un coinvolgimento pieno del Consiglio e soprattutto a un coinvolgimento del popolo sardo per approvare questo nuovo strumento. E noi lo dobbiamo fare, Presidente, Assessore, in tempi reali, cioè entro la fine della legislatura che, bisogna dirlo, ha già consumato un anno e mezzo del suo tempo. Se vogliamo che questa legislatura diventi veramente una legislatura delle riforme costituzionali, io credo che dovremo darci una tempistica per riuscire ad approvare questo importante strumento in questo arco di tempo.

Il primo problema che va superato, bisogna dirlo, e non è facile, è quello di individuare un percorso da seguire; questo sarà possibile solo se tutti saremo disposti a fare un passo indietro. Sono arrivate diverse proposte di soluzione e di percorsi, però se prevarranno gli interessi della Sardegna su quelli di parte, io sono convinto che questo scoglio verrà superato e su questo si misurerà la vera capacità di questo Consiglio regionale di legiferare. Le proposte, mi rendo conto, sono diverse e come in passato si parla di Assemblea costituente. Io nel Partito del Popolo sardo, praticamente anche in Fortza Paris, ho sostenuto assieme al mio Gruppo l'ipotesi dell'Assemblea costituente, che è sicuramente una proposta importante, stimolante, però oggi, conclusa una parte importante di legislatura scegliere questo percorso ritengo che allunghi eccessivamente i tempi, anche questo va considerato.

Nel passato sono state proposte e sperimentate anche altre vie (Consulta per lo Statuto, Commissione speciale) che, però, non sono mai andate in porto per diverse motivazioni. Allora, considerato che questo Consiglio regionale ha veramente la volontà di arrivare all'approvazione del nuovo Statuto perché è urgente in questa fase, io propongo che questa volta venga seguita la via maestra, e cioè che sia investita del problema la prima Commissione, la Commissione Autonomia. Si dà alla Commissione un tempo preciso, possono essere sei mesi, cinque mesi, se necessario deve essere anche supportata da esperti, e in questa fase deve riuscire a coinvolgere tutte le parti sociali, economiche e istituzionali della società sarda, quindi deve concorrere un movimento di popolo vero alla preparazione dello Statuto, e il provvedimento di legge dopo ampio e approfondito dibattito dovrà essere poi approvato dal Consiglio regionale che lo invierà al Parlamento per l'approvazione in doppia lettura.

Questo credo sia il punto principale sul quale è importante anche raggiungere un accordo. Qualcuno ha parlato di un passaggio referendario dopo l'approvazione del testo da parte del Consiglio. Io proprio in questi giorni ho analizzato assieme ai tecnici questa possibilità che, per come stiamo affrontando il problema, pare non sia fattibile (nei giorni successivi continueremo a verificare l'ipotesi), anche se può essere stimolante il coinvolgimento della popolazione.

Superata la questione del percorso da seguire, bisogna parlare dei contenuti dello Statuto partendo proprio dai punti di debolezza dello Statuto attuale (come dicevo approvato sessant'anni fa), e dalla crisi economica e sociale della Sardegna. Io credo che questa data storica della Sardegna, il 1948, sia importante, perché da quel momento e per sessant'anni abbiamo potuto avere una guida statutaria, però bisogna anche prendere atto che da allora sono successe tantissime cose, è nata l'Unione Europea, c'è stata la riforma del titolo V della Costituzione, e soprattutto c'è stata l'approvazione della legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale.

Questo dibattito è stato animato, e a termini quali "autonomia", "autogoverno", "nazionalità" e "sovranità", si è affiancato, devo dire in modo forte, anche il termine "indipendentismo".

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CUCCA

(Segue LADU.) Non è la prima volta che se ne parla in questo Consiglio regionale; se n'è parlato nel primo dopoguerra, se n'è parlato in tutti gli ultimi decenni, però questa volta mi pare che abbia una pregnanza particolare, anche perché un partito che fa parte della maggioranza di governo lo pone, e lo pone in termini forti, nella sua mozione. Secondo me, forse grazie anche al superamento di un certo concetto dell'autonomia, in questo momento si respira una sensibilità diversa, e devo dire anche che di per sé il termine "indipendenza" non mi spaventa, perché è un sentimento diffuso, ed è espressione della sovranità del Popolo sardo.

Noi tutti sentiamo la Sardegna come una Nazione, perché di fatto lo è con la sua lingua, con la sua storia e la sua cultura. Noi rivendichiamo con forza il diritto di esistere della Nazione sarda all'interno dello Stato italiano, con tutte le sue specificità, che sono la sua vera forza, la vera forza dei Sardi. Noi siamo per l'Europa dei Popoli, delle Nazioni e delle Regioni. Se vogliamo però raggiungere un risultato concreto dobbiamo stare, credo, con i piedi per terra, perchè bisogna anche capire che cosa vuole fare questo Consiglio regionale, e noi più che alla forma dobbiamo guardare ai contenuti degli obiettivi che vogliamo perseguire.

Voglio ricordare che un provvedimento in cui figurava il termine "sovranità", all'interno di una giusta rivendicazione di questo Consiglio regionale, fu impugnato dal Governo già nel 1999, non ha importanza se il Governo era di destra o di sinistra, e la Corte costituzionale accolse le argomentazioni del Governo. Ora, è vero che la Corte è un organismo centralista, burocratico, che forse non è adeguato ai tempi, però io credo che la situazione non sia cambiata, e oggi ci troviamo nella stessa identica situazione. Perché non è quel termine la cosa più importante, la cosa più importante sono i contenuti che noi dobbiamo inserire all'interno dello Statuto evitando, soprattutto, un'altra impugnazione e anche un'altra eventuale bocciatura del provvedimento di legge, perché altrimenti noi rischiamo - come dicevo prima - di perdere un'altra occasione importante per avviare una stagione vera di riforme.

Io credo pertanto che il termine "indipendenza" vada inteso come tutti generalmente lo sentiamo: maggiore indipendenza economica, maggiore autonomia, maggiore sovranità, e su questa accezione ci stiamo tutti. Qualcuno ha accennato al fatto che l'indipendentismo non è il separatismo, e questo è anche vero; qualcuno ha anche detto che è il sentimento che appartiene a tutti per cui non ci deve sicuramente spaventare. Effettivamente in un contesto di discussione, di organizzazione, di approvazione di un nuovo strumento, io credo che noi potremmo utilizzare questo termine nel senso più importante, quello che riteniamo serva per migliorare anche la qualità dello strumento che stiamo approvando, quello che ci permetterà di non bloccare un processo che noi riteniamo importante e irreversibile.

Penso quindi che si possano concordare le formule, le più condivise possibili, però all'interno del dettato costituzionale, altrimenti rischiamo di fare un esercizio inutile, rischiamo di fare un lavoro che poi alla fine non porterà alcun risultato. Allora, come altri, io sono dentro la Costituzione italiana, e ci sono ampi margini per approvare uno strumento che ci dia ampie possibilità, ma ci dobbiamo muovere su questo solco.

Per questo motivo dobbiamo partire dai contenuti della nuova riforma statutaria; e, signor Presidente, Assessore, dobbiamo partire soprattutto dalle cose che ci uniscono, dai temi sui quali questo Consiglio regionale concorda: l'ampliamento delle competenze statutarie, un maggiore autogoverno, una maggiore autonomia decisionale, finanziaria; ma dobbiamo tenere presente, oltre questi punti fondamentali, anche la crisi economica e sociale della Sardegna, una crisi senza precedenti. Abbiamo visto e vediamo che cosa sta succedendo nel mondo dell'industria, della pastorizia, dell'occupazione.

Su questi temi, sulla base di queste considerazioni, noi dobbiamo partire per riscrivere il nostro Statuto, anche se dobbiamo essere consapevoli che non sarà sufficiente la sua approvazione, perché molto dipenderà dalla classe politica che ci governa oggi e da quella che ci governerà domani. E' necessario però che questo strumento ci offra maggiori possibilità, dal punto di vista istituzionale, di aggredire la crisi per perseguire nuove politiche di sviluppo, per rapportarsi con lo Stato e con l'Europa.

L'attuale Carta statutaria non far riferimento all'Europa, nulla dice del ruolo che deve avere la Sardegna in Europa, del ruolo che oggi ha la Sardegna e questo limite va superato proprio partendo da un'attenta riscrittura dello Statuto. C'è stata, nel 2001, la riforma costituzionale del Titolo V che ha consentito importanti passi avanti alle Regioni a statuto ordinario, che ha messo in crisi il concetto tradizionale di autonomia quasi da renderlo superato. Questi aspetti devono far riflettere noi e devono far riflettere quest'Aula; quindi pensiamo che tutte le materie oggetto di legislazione concorrente, contenute nell'articolo 117 della Costituzione, riformate, che riguardano i rapporti internazionali della Regione, l'istruzione, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, siano materie di straordinaria importanza che vanno meglio sviluppate da questo Consiglio regionale.

La Regione autonoma, sempre a seguito della riforma dell'articolo 117 della Costituzione, nelle materie di propria competenza, partecipa alle decisioni dirette e alla formazione degli atti normativi comunitari che la interessano. Bene, queste competenze le abbiamo esercitate appieno in questi ultimi anni? Io credo di no! Consapevoli dei nostri diritti dobbiamo iniziare dalle cose più urgenti che non abbiamo potuto e, qualche volta, saputo valorizzare per puntare a obiettivi di crescita e di sviluppo per superare l'attuale fase di emergenza che è determinata da problemi dovuti all'insularità, al deficit infrastrutturale e dei servizi, alla crisi occupazionale.

Questa è l'occasione per scrivere, in condizioni di parità, un nuovo rapporto con lo Stato, ma dobbiamo fare delle proposte chiare e concrete che, soprattutto, siano portate avanti da questo Consiglio regionale all'unanimità perché questo ci darà maggiore forza, altrimenti sarà l'ennesima occasione perduta.

Dobbiamo studiare nuove strategie per uscire dalla crisi valorizzando il nostro grande patrimonio ambientale e culturale, mettendo proprio al centro del dibattito i temi più importanti, che devono costituire il contenuto del nuovo strumento statutario, quali fiscalità di vantaggio, Patto di stabilità interno, nuove politiche impositive, . Noi dobbiamo puntare ad un riconoscimento costituzionale all'interno della Carta statutaria di vantaggi strutturali permanenti. Io credo che su questi temi non ci possano essere divisioni all'interno questo Consiglio regionale e, se tutti andassimo, così come sono convinto, verso questa direzione in tempi ragionevoli approveremmo il nuovo Statuto.

Dobbiamo conseguire obiettivi di perequazione, obiettivi di solidarietà, di sussidiarietà, di fratellanza qualcuno ha detto (un termine che ho apprezzato molto) in questo Consiglio regionale; il nostro deve essere un federalismo solidale, un federalismo particolare che non lascia indietro nessuno. Purtroppo oggi, nessuno lo nega, ci sono spinte diverse a livello nazionale per approvare un federalismo diverso, ma contrastare questa tendenza dipende da noi, dipende dalla capacità che avrà questo Consiglio regionale di fare delle proposte che siano capaci di competere, di essere inserite all'interno di un contesto nazionale.

Chiaramente noi siamo e dobbiamo essere consapevoli dei ritardi e delle difficoltà economiche, sociali e logistiche della Regione sarda. Abbiamo l'obbligo di disegnare il nostro ruolo come isola, al centro del Mediterraneo, che apre e sviluppa nuovi rapporti con i paesi africani e asiatici. Stiamo attraversando una fase cruciale della nostra storia e questo Consiglio è investito di una grande responsabilità.

A differenza delle altre legislature noi abbiamo una scadenza, quella prevista dalla legge regionale numero 42 del 2009, lo diceva qualcuno prima, sul federalismo, a partire da quello fiscale. Ci sono 24 mesi di tempo per emanare le norme di attuazione, al fine della messa a regime della legge, che scadono nella primavera del 2011. Bene, questo Consiglio regionale ha l'obbligo di anticipare queste scadenze altrimenti saranno gli altri a intervenire per noi!

Sull'ordine dei lavori

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Cuccureddu. Ne ha facoltà.

CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Presidente, stiamo adottando delle procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie; quindi, al fine di comprendere come procederanno ai lavori, anche perché non tutti noi abbiamo la fortuna di abitare a Cagliari e quindi dovremmo anche prenotare l'albergo qualora dovessimo decidere di proseguire domani, vorrei capire se lei intende dare un termine, per esempio quello delle ore 14, per l'iscrizione dei consiglieri e per conseguentemente calendarizzare gli interventi, sia di coloro che decideranno di intervenire nel pomeriggio, sia dei Capigruppo, sia delle dieci repliche che ci saranno, della Giunta, forse del Presidente della prima Commissione.. In definitiva, chiedo qual è l'orientamento della Presidenza per poterci organizzare.

PRESIDENTE. Onorevole Cuccureddu, come lei sa nella Conferenza dei Presidenti di Gruppo si era stabilito che avremmo derogato alle regole ordinarie nel corso di questo dibattito; pertanto, considerato il fatto che avevamo detto che le iscrizioni sarebbero state libere nell'arco della discussione, non possiamo mettere un termine adesso, alle 14, quando già alcuni colleghi si sono allontanati. Credo che non sia utile, né soprattutto corretto nei confronti delle persone che in questo momento non sono presenti.

Questo pomeriggio, eventualmente, vedremo come organizzare i lavori, per la giornata di oggi e per quella di domani i lavori erano già programmati fino alle ore 14; allo stato la programmazione rimane quella, salvo che non venga modificato l'esito dell'andamento dei lavori nel pomeriggio, ma ci sarà la necessità eventualmente di convocare una Conferenza dei Presidenti di Gruppo.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Luciano Uras. Ne ha facoltà.

URAS LUCIANO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Intervengo sull'ordine dei lavori, anche per sottolineare, Presidente, che c'è stata una Conferenza dei Presidenti di Gruppo ieri che ha stabilito che questa mattina, nella prima ora, avremmo acquisito tutte le iscrizioni a parlare per poter programmare i lavori del Consiglio.

Peraltro, io chiedo di sapere, se ipotizziamo di chiudere questo dibattito domani mattina, come si deve sviluppare, se il Presidente della Regione ci degnerà della sua presenza e cose di questo genere che non sono di poco conto. Io chiedo, al termine della mattinata, di indire una brevissima Conferenza dei Presidenti di Gruppo per decidere come proseguirà questo dibattito.

PRESIDENTE. Faccio presente di aver appena detto che le decisioni sarebbero state assunte dalla Conferenza dei Presidenti di Gruppo.

Ha domandato di parlare il consigliere Mario Diana. Ne ha facoltà.

DIANA MARIO (P.d.L.). Ieri, è vero, in una brevissima Conferenza dei Presidenti di Gruppo si è concordato di dare indicazioni ai Gruppi perché le iscrizioni avvenissero all'inizio della mattinata. Vero è, comunque, che non possiamo imporre le iscrizioni, così come è vero che i colleghi che ancora non lo avessero fatto possono iscriversi in qualsiasi momento. L'indicazione è stata data, ovviamente, però non possiamo neanche pensare che rimanga un solo consigliere escluso per una decisione che non è codificata.

Detto questo, sono del parere che si debba convocare una Conferenza dei Capigruppo, ma mi pareva che già da ieri fosse emersa questa necessità; stiamo andando avanti e quindi credo che si possa svolgere al termine di questa mattinata.Se poi dovessimo chiudere alle 13 e 30 piuttosto che alle 14, credo che i colleghi dei Gruppi non sarebbero contrari.

PRESIDENTE. Credo che la soluzione migliore sia quella di convocare una Conferenza dei Capigruppo alla fine dei lavori.

Ha domandato di parlare il consigliere Oppi. Ne ha facoltà.

OPPI (U.D.C.). Al di là di quello che hanno deciso i Capigruppo, logica vuole che si stabilisca anche un termine entro il quale iscriversi perché sennò potremmo terminare il mese venturo. I Capigruppo non sono Gesù bambino, probabilmente non avranno valutato attentamente che stabilire un termine entro il quale iscriversi nell'arco della giornata obiettivamente rende giustizia anche a qualche intervento che è avvenuto poc'anzi.

PRESIDENTE. Onorevole Oppi, c'era una decisione precedentemente assunta, adesso alla fine dei lavori di questa mattina è convocata la Conferenza dei Capigruppo nel corso della quale si deciderà anche quale termine porre per l'iscrizione e quindi per la conclusione del dibattito.

Continuazione della discussione congiunta delle mozioni Maninchedda - Sanna Giacomo - Planetta - Dessì - Solinas Christian sull'indipendenza della Sardegna. (6); Floris Mario - Cuccureddu - Mulas su "sviluppo e riforme" nell'unità del popolo sardo per il progresso civile ed economico della Sardegna. (20); Bruno - Uras - Salis - Agus - Barracciu - Ben Amara - Caria - Cocco Daniele Secondo - Cocco Pietro - Cucca - Cuccu - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Mariani - Meloni Marco - Meloni Valerio - Moriconi - Porcu - Sabatini - Sanna Gian Valerio - Sechi - Solinas Antonio - Soru - Zedda Massimo - Zuncheddu sulla necessità di dare immediato avvio ad un dibattito sulle riforme e sullo Statuto di autonomia, con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento. (27); Contu Felice - Dedoni - Cuccu, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall'articolo 51 dello Statuto sardo). (46); Sechi - Zedda Massimo - Uras sull'affermazione del diritto di autodeterminazione dei popoli in funzione del più efficace contrasto all'aggressione e progressivo indebolimento dei valori di libertà, di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale tra le comunità nazionali, linguistiche e culturali in Sardegna, in Italia e in Europa. (80); Diana Mario - Sanna Matteo - Amadu - Artizzu - Bardanzellu - Campus - Cherchi Oscar - Contu Mariano Ignazio - De Francisci - Floris Rosanna - Gallus - Greco - Ladu - Lai - Locci - Murgioni - Peru - Petrini - Piras - Pitea - Pittalis - Randazzo - Rassu - Rodin - Sanjust - Sanna Paolo Terzo - Stochino - Tocco - Zedda Alessandra sulla riscrittura dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (81); Zuncheddu - Uras - Sechi - Zedda Massimo sulla riscrittura dello Statuto sardo e sull'apertura, con lo Stato italiano, del processo di sovranità e indipendenza. (82); Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula sul ruolo dell'Assemblea costituente del popolo sardo. (85); Bruno - Soru - Sanna Gian Valerio - Agus - Barracciu - Caria - Cocco Pietro - Diana Giampaolo - Espa - Lotto - Manca - Meloni Marco - Solinas Antonio sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento (articolo 51, comma 1, dello Statuto sardo). (87); Porcu - Sabatini - Meloni Valerio - Moriconi - Cuccu - Cucca sui principi e sugli obiettivi di revisione dello Statuto di autonomia della Regione autonoma della Sardegna. (88)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il consigliere Daniele Cocco. Ne ha facoltà.

COCCO DANIELE (I.d.V.). Presidente, indipendenza, non dipendenza, sovranità, autonomia, Stato, autodeterminazione, specialità, insularità, Nazione, Catalunya, sussidiarietà, perequazione, Svizzera: sono state queste le costanti che hanno contraddistinto tutti gli interventi, sia nella giornata di ieri che nella giornata odierna. Unico dato certo è che sicuramente non esistono i Governi e quindi gli Stati amici, e cito in proposito l'onorevole Maninchedda che, in conclusione del suo intervento, ieri ha detto che in Sardegna o lo Stato siamo noi o mai lo Stato sarà per la Sardegna.

Io credo che la pecora nera abbia colpito ancora, oggi infattic'è stata sicuramente una deviazione importante, un cambio di rotta rispetto agli interventi che si sono succeduti ieri, perché i quesiti dell'onorevole Capelli sono anche i nostri quesiti, e credo che oggi lo stato d'animo passi dall'ottimismo della volontà al pessimismo della ragione e dei fatti.

Noi siamo qui riuniti in sessione straordinaria perché straordinario è il momento e straordinarie sono le vicissitudini del popolo sardo; lo abbiamo detto sino alla noia più estrema e ormai credo sia percepito da tutti il fatto che la drammaticità della situazione sarda non consente più proroghe o deroghe: ulteriori ritardi significherebbero il coma non più solo farmacologico.

Lo Statuto è la carta fondamentale della Sardegna e sin dal 1948 avrebbe dovuto garantire speciali condizioni di autonomia per la nostra isola; sappiamo bene che così non è stato e non è oggi il momento di cercare responsabilità o fare dietrologia ma è giunta l'ora, così come tutte le mozioni hanno ben rappresentato, di costruire insieme uno strumento valido, attuale ma soprattutto utile a dare quelle risposte che sinora sono mancate e che adesso sono indifferibili.

Io parlo, come credo tutti dovremmo fare, non da appartenente a un partito, perché in questo momento non possiamo permetterci il lusso di non cogliere la straordinaria opportunità che le mozioni, soprattutto quella presentata dagli amici sardisti, ha innescato in questo dibattito; un'opportunità che va colta con un grande sforzo unitario che ci possa far ragionare da rappresentanti del popolo sardo e non da militanti dei partiti politici. Se non vogliamo che gli ambiziosi propositi che ci animano producano un altro miagolio, dobbiamo seguire una stella polare e non le bandiere.

La Sardegna è cambiata, i rapporti con lo Stato no, abbiamo l'obbligo di essere finalmente pragmatici e concreti; immediatamente dobbiamo riempire, e non solo d'inchiostro, questa pagina importante per la Sardegna. Gli impegni che si chiedono a chiusura delle mozioni sono diversi ma tesi tutti all'esigenza improcrastinabile di predisporre un percorso legislativo per la scrittura del nuovo Statuto, per la modifica della legge statutaria, per l'attuazione in maniera seria del federalismo fiscale. Qualcuno ha detto che probabilmente quest'Aula non è attrezzata per fare ciò, io credo che se non lo siamo dobbiamo attrezzarci perché non possiamo più fuggire.

Ritengo sia verissimo quello che ha detto l'onorevole Campus nel suo intervento, che probabilmente avremmo dovuto e dovremmo lavorare su altre questioni assolutamente importanti, credo anche che dovremmo avere due livelli di attività all'interno di questo Consiglio: uno che riguarda le riforme e uno che riguarda le azioni da porre in essere per poter dare tutte quelle risposte che ancora sono attese.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Rassu. Ne ha facoltà.

RASSU (P.d.L.). Signor Presidente, colleghi, assessore Corona, io non nascondo di essere un po' titubante nell'intervenire perché l'importanza di questo argomento probabilmente non mi trova sufficientemente preparato dal punto di vista dialettico, benché sinceramente abbia dentro di me un tumulto di sensazioni e di passioni che mi porterebbero ad andare anche oltre, volendo, la punta estrema alla quale è arrivata la mozione presentata dagli amici sardisti che parlano di vera e propria indipendenza; in questi due giorni tuttavia sul significato della parola si sono espressi alcuni colleghi precisando la differenza tra l'indipendenza di un popolo o di una Nazione e il separatismo inteso proprio in senso lato.

Ma sono spaventato, credetemi, anche da un altro aspetto: mi sto domandando se veramente questa volta saremo capaci noi sardi, tottu impare e sutta niunu, come ha detto poc'anzi giustamente l'onorevole Soru di cui ho apprezzato l'intervento (io non sono in grado di giudicare niente e nessuno ma sinceramente era degno di ascolto e di apprezzamento), di non essere gli ultimi, di non autocommiserarci, di una autoassolverci, e molte volte di autoincensarci sempre inter nos anche se molte volte divisi, poiché questa è un'opportunità più unica che rara, forse l'ultima che avremo di non essere gli ultimi.

Siamo gli ultimi a proporre le riforme statutarie in Italia, come siamo gli ultimi ancora a non esserci dotati di una legge elettorale: sempre gli ultimi, perché? Io mi domando sempre il perché, io però non sono convinto, onorevole Soru, che siamo molto uniti, io credo che questa particolarità di essere sempre gli ultimi ad arrivare è imputabile solo ed esclusivamente a questa disunità interna, che è nei fatti, è nelle opere, e anche nelle azioni politiche. Ha detto bene, tra poco noi saremo "dentro" il federalismo fiscale, sperando che questo sia un federalismo solidale, un federalismo che veramente identifichi nelle varie Regioni la composizione del popolo italiano, identifichi con l'autogestione, con l'autofinanziamento e con l'autonoma autorità impositiva e gestionale che hanno le Regioni, in ognuna di esse una piccola nazione, intesa nel vero senso della parola non certamente nel senso fisico, geografico e storico, affinché tutte le regioni concorrano dentro lo Stato italiano a fare grande lo Stato stesso.

Io mi spavento di fronte a questa prospettiva, perché? Perché noi siamo una Regione a Statuto speciale con un'autonomia ancora non compiuta, questa è la verità; abbiamo avuto una grande opportunità tramandataci dai padri dell'autonomia, conquistata nelle trincee del Carso dai nostri nonni e poi riconosciutaci dai padri della Costituzione. Non siamo stati in grado ad oggi di utilizzare appieno questa grande opportunità che abbiamo avuto. Perché? Sempre perché noi non siamo mai stati uniti.

Esiste tuttora all'interno della nostra Regione una prevaricazione delle zone forti sulle zone deboli, delle grandi aree ad alta densità demografica e di sviluppo sulle altre che continuano a spopolarsi. Questa è una causa se non la vera causa della morte della nostra economia, perché questa è la causa storica della nostra disunità, della nostra non unità. Dobbiamo riflettere su questo e anche sul silenzio assordante, guardate, che sta caratterizzando dall'esterno ma anche dall'interno questo dibattito che è importantissimo quanto e più, e concordo su questo, della finanziaria, quanto e più dell'adottare leggi di settore, quanto e più degli interventi mirati ed emergenziali che sta portando avanti il Governo regionale. Da questo dibattito nascerà infatti un documento costituzionale, la riforma dello Statuto sardo che sarà la base dello sviluppo futuro della Sardegna, che sarà senz'altro uno strumento moderno, futurista che segnerà il futuro delle prossime generazioni sarde.

Ecco perché mi spaventa oggi questo dibattito, proprio per questo silenzio assordante che sale dal mondo culturale, dal mondo del lavoro, dal mondo imprenditoriale caratterizzando così questo importantissimo momento storico. E' una opportunità che non possiamo assolutamente perdere; la riforma dello Statuto deve essere permeata dalla vera sardità intesa non solo come identità nazionale e identità di un popolo - perché un popolo siamo - e, checchè ne dica chiunque, io mi sento appartenente a questo popolo, mi sento appartenente alla nazione sarda, certo non nel senso padano del termine.

Oggi, o almeno a breve, noi presenteremo lo strumento basilare per il prossimo sviluppo e per il riconoscimento dopo sessant'anni di ciò che la Sardegna e i sardi hanno dato per l'unità d'Italia prima e per la Repubblica dopo.

Siamo in grado di affrontare questo? Siamo in grado una volta per tutte di sederci tutti attorno ad un tavolo lasciando perdere le ideologie ma parlando da sardi tra di noi per difendere questa nostra benedetta e amata terra di Sardegna? Io credo che siamo in grado di farlo perché poi a caduta arriveranno tutti gli interventi che è indispensabile e necessario fare affinché lo sviluppo si concretizzi; ma è necessario gettare oggi le basi per il futuro, è indispensabile il riconoscimento costituzionale della lingua perché questo dà il riconoscimento alla Sardegna della sua nazionalità identitaria. E' indispensabile il riconoscimento costituzionale della insularità perché questa è la condizione geografica e storica che ha fatto della Sardegna una nazione nei secoli e che ha permesso alla Sardegna la sua storia e ha permesso a noi a differenza delle altre etnie nazionali di essere un popolo.

Io vado orgoglioso di questo pur non staccandomi un millimetro dall'Italia unita dallo Stato inteso come Stato nazionale, ma io faccio parte di questo Stato con la mia identità, con la mia storia, con la mia cultura che è completamente diversa dalla cultura di altre regioni italiane che hanno tracciato la storia italiana in questi secoli e, principalmente, nel secolo scorso.

Di questo dobbiamo essere orgogliosi e, siccome lo Stato centrale ha ancora un debito pendente nei confronti della Sardegna, del sangue che la Sardegna ha versato con la sua migliore gioventù nella seconda guerra di Risorgimento italiana, quella del -'15-'18, ancora dobbiamo riscuotere quel debito, ancora dobbiamo riscuotere quelle promesse mai mantenute.

Equiparazione, eguaglianza, non servi, non proni, a testa alta, il riconoscimento della insularità varrà alla Sardegna quel ruolo economico, importantissimo, che ne fa, grazie alla sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, il crocevia, il passaggio obbligato tra i Paesi del Nord Africa, del Medio Oriente e dell'Europa, le famose autostrade del mare. Non possiamo perdere questa occasione. L'insularità ci consentirà di proporre e ottenere l'istituzione delle zone franche in quei siti ad alta densità industriale e turistica dove sono presenti le infrastrutture che giustificano questa proposta, vale a dire là dove sono presenti i porti commerciali, gli aeroporti, i grandi insediamenti che consentono la defiscalizzazione degli interventi e l'attrazione di capitali stranieri ed esteri da unire ai destini di Sardegna. Sta in questo la nostra scommessa, il nostro futuro e non bisogna in alcun modo perdere questa occasione.

Allora sì che potremo parlare di autogoverno, allora sì che potremo parlare di autodeterminazione ma potremo arrivare a questi risultati e a questi traguardi se noi stessi saremo gli artefici del nostro futuro, senza chiedere niente che non ci spetti a nessuno ma esigendo quello che ci deve essere dato e quello che ci deve essere riconosciuto.

Io non sono in grado di scrivere o di dare un qualcosa di concreto in questo senso, voglio dare il mio piccolo contributo con queste poche parole; lascio a chi è in grado di farlo di scrivere con le parole appropriate, affinché non si rischi un'impugnazione come quella del '99 di fronte alla Corte costituzionale quando si parlò di sovranità, ciò che noi tutti oggi intendiamo scrivere e ciò che tutti da sinistra a destra sentiamo dentro di noi. Io spero che questo sia il momento in cui si possa risvegliare la coscienza del nostro popolo.

E' necessario e indispensabile coinvolgere le coscienze anche al di fuori di quest'Aula al cui interno, pur in un momento così importante, c'è molta distrazione, c'è molta distrazione, ecco perché poc'anzi ho detto che quasi mi spaventava quest'assenza totale nostra innanzitutto, nostra. Saremo capaci di coinvolgere i sardi? Io dico che dobbiamo coinvolgerli, non fisicamente, ma nella partecipazione per dare un contributo in questo senso; dobbiamo coinvolgere il mondo culturale, dobbiamo coinvolgere il mondo sindacale, dobbiamo coinvolgere il mondo del lavoro, dobbiamo coinvolgere il mondo imprenditoriale perché tutti assieme, probabilmente, in questa occasione riusciremo a dare alla Sardegna una risposta che aspetta da sessant'anni e che ancora, va detto, non è arrivata.

Mi spiace aver dato un taglio quasi demagogico al mio intervento, sinceramente però è stato detto di tutto e di più. Però credere che stiamo per dare una svolta storica alla nostra autonomia, credere che possiamo essere noi oggi gli artefici del nostro futuro, credere che possiamo essere noi oggi gli scrittori della storia futura della Sardegna è una cosa di un'importanza enorme per me, perché probabilmente scriveremo un pezzo basilare della nostra storia. Ecco perché ho voluto dare questo taglio al mio intervento e non un taglio prettamente politico e tecnico, perché credo in quello che sto dicendo, ci credo e il mio sarà un contributo minimo, modesto in questo lavoro. Se molti di noi uniti, tottu impare, riusciranno a dare quel piccolo contributo , pezzo per pezzo, piccolo per piccolo si farà una grande cosa, quella che la Sardegna e il popolo sardo, la Nazione sarda aspettano da tempo: l'autogoverno, l' autodeterminazione all'interno di uno Stato con cui la Regione possa parlare da pari a pari.

Solo così io intendo l'autogoverno, l'autonomia speciale, il rafforzamento dell'autonomia, pur nel rispetto costituzionale dello Stato, ma sentendoci un popolo, sentendoci nazione, sentendoci noi stessi. "Fortza Paris", come diceva il nostro collega Planetta, ma detto con tutto il cuore, sperando che questa volta si possa lottare tutti assieme per un futuro migliore della nostra Isola e del nostro popolo.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Massimo Zedda. Ne ha facoltà.

ZEDDA MASSIMO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, Assessore, onorevoli colleghi, prima di fare le mie considerazioni sulle tante questioni poste nel dibattito di questi giorni, farò una premessa. Ho il privilegio di vivere questa importante esperienza politico-istituzionale in giovane età, mantenendo collegamenti e rapporti con migliaia di giovani che oggi sono genitori, studenti, lavoratori per lo più precari, disoccupati, ma anche giovani imprenditori, professionisti, scrittori e artisti. Ebbene, il problema vissuto dai più, e da non pochi in termini drammatici e assillanti, non è la questione "autonomia-federalismo", ma è il lavoro; il lavoro che non c'è, il lavoro precario e mortificante, il lavoro perduto, il lavoro che non ripaga il tempo e l'impegno profusi nello studio, il lavoro che per intere generazioni di giovani appare un miraggio.

Si pensi alle vertenze in atto, quelle del call center di Vol2, quelle del gruppo E Polis, del precariato della scuola e alle centinaia e centinaia di giovani coinvolti in esse. Un giovane che a trent'anni o anche più, provvisto di laurea o diploma, deve sperare nella possibilità della prosecuzione di un rapporto di lavoro precario, non motivante, ripetitivo, retribuito con 600, 700 euro al mese, un giovane che vive questa condizione, che non è di certo la peggiore nella Sardegna oggi, che idea potrà avere dell'autonomia regionale e della prospettiva federalista? Ai più sembreranno divagazioni rispetto alla realtà quotidiana, se non astruserie.

Questa, in effetti, può essere una prima risposta a una delle domande che si poneva l'onorevole Diana, e cioè come mai la società non risponde a questo momento così alto. Come mai gli organi di stampa, di informazione, le tv non danno risalto a questo momento così importante della storia dell'autonomia. In parte una risposta sta nell'astensionismo, e cioè nel distacco, sempre più crescente, tra la politica e la società, dall'altro, appunto, nei problemi che la società vive.

Stando così le cose, e le cose purtroppo stanno così, non possiamo non ricondurre il confronto, circa la nuova dimensione dell'autonomia regionale nel suo rapporto con l'attuale dimensione europea ed internazionale e la prospettiva federalista che incombe in ambito nazionale, sul terreno delle reali condizioni di vita di centinaia di migliaia di giovani in Sardegna, e delle prospettive che per loro si aprono o non si aprono. E' su questo terreno che va misurata la capacità di proposta e di iniziativa di ciascuno e delle forze politiche alle quali apparteniamo.

Lascio ai cultori del sardocentrismo - che è quella forma di narcisismo culturale per cui tutto è in noi e noi potremmo tutto se solo il destino, cinico e baro, non avesse congiurato contro di noi per la piena affermazione di noi stessi -il coltivare l'appassionante idea dell'indipendentismo quale unica soluzione a tutti i mali. E non mi riferisco con questo al Partito dei Rosso Mori o all'IRS, che immaginano anche un mondo, una Sardegna futura nell'indipendentismo che propongono, bensì ai tanti che in Sardegna predicano indipendenza e poi si recano a Roma per tessere alleanze.

Il problema è un altro, le domande che poniamo noi sono altre, e le poniamo a voi, Assessori e maggioranza: avete, voi, esercitato tutta l'autonomia decisionale che oggi lo Statuto consente? Avete utilizzato tutti gli strumenti che sono nella vostra disponibilità nel confronto con lo Stato? Avete forse alzato la voce contro un Governo nazionale che si appropria delle nostre risorse? Avete pensato, proposto, scritto, approvato leggi innovative che sarebbero servite a superare la crisi economica, a dar voce al precariato, a migliorare le condizioni di vita dei sardi? E queste vostre capacità, idee, proposte, sono forse state limitate o impedite dagli stretti confini dell'autonomia?... No! Semplicemente non è stato fatto nulla di tutto questo, se non il tentativo di aggredire l'ambiente e poche altre cose.

Dico questo non per eludere il tema, ma proprio perché sono convinto che finiremmo col tradire il pensiero e l'opera dei migliori e maggiori cultori dell'autonomismo: Laconi, Cardia, Crespellani, Giovanni Battista Melis, Pirastu, Dessanay, Dettori, Soddu, se riconducessimo la questione dell'autonomia del popolo sardo a oziosa schermaglia tra politologi circa la maggior convenienza del federalismo o, come sostiene l'onorevole Maninchedda, dell'indipendentismo. Oggi come oggi, mi permetto di dire, sarebbe sufficiente la non dipendenza servile non dallo Stato o da Roma, ma da gruppi di potere e di pressione operanti in ambito nazionale, e sarebbe atto di dignità non ricercare le grazie dell'onnipotente signore di Arcore.

L'autonomia regionale, per una forza progressista e di sinistra, coincide e non può non coincidere con la conquista di migliori e più avanzate condizioni di vita, con l'estensione delle opportunità di studio e di lavoro, con il raggiungimento di più avanzati traguardi in tema di diritti civili e partecipazione effettiva al governo della cosa pubblica, con la tutela e la valorizzazione della nostra cultura e dell'ambiente. Non hanno nulla a che fare con l'autonomia, anzi, ne costituiscono l'opposto, le strategie di devastazione del paesaggio, la svendita dell'ambiente, i Piani casa, l'accettazione supina delle indicazioni roman-piduiste degli uomini da impegnare in altissimi incarichi pubblici e via dicendo.

E'alquanto singolare il fatto, inoltre, che ad accettare pratiche e metodi simili siano anche componenti per le quali l'autonomia è poca cosa, mentre ci vorrebbe molto di più. Personalmente preferirei la pratica continua ed effettuale dell'autonomia possibile in base allo Statuto vigente, piuttosto che la predicazione di un'autonomia virtuale, tanto più "spiccata" quanto più gravemente contraddetta nei fatti.

Vorrei riprendere, infine, uno dei concetti espressi dall'onorevole Contu nel suo intervento: l'idea del sogno, del sogno che deve stare alla base per le possibili mutazioni, per le possibili ricadute future in ambito di progetti rivoluzionari o costituzionali. Negli Stati Uniti, per la prima volta nella storia, alcune colonie ottennero la libertà con una guerra d'indipendenza nei confronti della potenza coloniale; dopodiché ci fu la Dichiarazione d'indipendenza, la Costituzione degli Stati Uniti. Nella Francia i principi di eguaglianza, libertà, fratellanza furono alla base del sogno che poi produsse la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Nella Russia zarista, che ancora vedeva un sistema feudale abbandonato solo con Alessandro II sul finire dell'ottocento, anche se poi, nella pratica quotidiana, il sistema feudale esisteva ancora, quella rivoluzione accese una speranza in tutti coloro che erano oppressi e sfruttati nel mondo.

In Italia, nel nostro Paese, dopo vent'anni di fascismo, la guerra, i lutti, ci fu la Costituzione e alla base di quel sogno c'erano le libertà, i diritti, la riconquista dell'autodeterminazione dei popoli e anche nelle persone che vissero quel sogno, e che presiedettero allora l'Assemblea costituente, si potevano incarnare quei bisogni, quelle esigenze e quelle libertà. Terracini, ad esempio, secondo presidente dopo Saragat dell'Assemblea costituente, trasferiva nell'Assemblea vent'anni di galera e di confino e nel testo elaborato dall'Assemblea costituente erano contenuti i principi di libertà, i diritti inviolabili dell'uomo, il lavoro a fondamento della nostra Repubblica.

Infine Martin Luther King nel 1963, con la sua marcia per i diritti civili contro la segregazione razziale, una marcia calata nella realtà quotidiana, una risposta a esigenze e bisogni reali, tanto reali e tanto necessari che, addirittura, uno degli elementi che diede il via a quella marcia fu l'esigenza di una giovane donna di potersi sedere liberamente in un autobus e non essere segregata nella parte riservata alle persone di colore.

Dove è, invece, il sognoin noi? Qual è la passione che ci muove? Qual è l'idea che avete della Sardegna del domani? Ebbene, non credo che l'idea fondamentale sia quella dell'Assemblea costituente, così come la tracciarono i padri costituenti, così come fu ideata allora fu la risposta a un Parlamento che non c'era, il potere di legge ordinaria fu dato al Governo nel quale erano comunque rappresentati tutti partiti, e l'Assemblea costituente aveva né più né meno il compito di elaborare il testo da far approvare, che era il testo della Costituzione. Noi né più né meno dovremmo riprodurre, avendo noi un'assemblea eletta, un allargamento di questa alla società, più articolata rispetto a quella che è rappresentata all'interno di questa Assemblea, attraverso sottocommissioni come avvenne allora, non dovendo elaborare certo un testo così complicato, articolato e difficile come il testo costituzionale che abbraccia tutti i campi.

Infine gli ultimi due punti. Quanto al federalismo mi limito a due brevi considerazioni. La prima è relativa al fatto che le esperienze federali durature e positive vedono il federalismo delle regioni o degli stati poggiarsi su governi centrali forti e autorevoli; è questo il caso della Germania federale, dell'attuale ordinamento della Spagna e degli Stati Uniti. Nella situazione attuale del nostro Paese, la meno felice tra quelle ipotizzabili, si sommerebbero con effetti disastrosi l'intrinseca debolezza e compromissione del Governo centrale con le tendenze centrifughe di alcune regioni.

La seconda e ultima considerazione ha un carattere di brutalità. Nella versione italiana attuale, ovvero quella imposta dalla Lega, il federalismo ha una chiara valenza eversiva e antimeridionalista. Che ci vogliono "fregare" ancora una volta lo si può mettere nel conto, ma che si sia proprio noi a proporci per l'ennesima fregatura questo no. E sull'autonomia, infine. L'autonomia non è lo squillo di trombe o il rullare di tamburi una volta l'anno verso la metà del mese di aprile, ma è pratica paziente, quotidiana e quando necessario testarda della capacità di autodeterminazione. E' costruzione faticosa e incessante del proprio futuro e contributo lungimirante alla costruzione del futuro delle generazioni che verranno.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LOMBARDO

(Segue ZEDDA MASSIMO.) Autonomia è la creazione di opportunità di studio e di lavoro attraverso lo sviluppo di progettualità che mettano a frutto le risorse dell'ambiente e dell'economia, le capacità professionali, l'arte, la cultura, le intelligenze dei giovani. Questa è l'autonomia nella quale credere e per la quale spendersi.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cherchi. Ne ha facoltà.

CHERCHI (P.d.L.). Presidente, colleghi, colleghe, tutte le mozioni che stiamo discutendo in questi giorni all'interno di quest'Aula si soffermano su concetti riguardanti chiaramente l'autonomia della Sardegna e i rapporti con lo Stato sulla base della specificità dell'isola. E proprio su questo tema io vorrei ricordare, in apertura del mio intervento, così come è stato richiamato da più colleghi in questi giorni, l'assenza del Presidente della Regione in Aula. Avantieri il Presidente non era in Aula (la motivazione dell'assenza è abbastanza forte) avendo ricevuto il professor Montagnier, premio Nobel della medicina, presente a Cagliari per un congresso; mentre oggi, come voi sapete, è a Roma alla Conferenza Stato-Regione proprio per trattare il problema della Saremar.

La sua assenza credo sia più che giustificata, ma sono certo che leggerà tutti gli interventi, così come hanno fatto i tanti colleghi che non sono stati presenti all'interno dell'Aula per seguire tutti i lavori, leggerà i resoconti e interverrà nella sua replica in modo attento, concreto e puntuale. Dico questo proprio perché sulla necessità delle riforme dobbiamo, necessariamente, davvero credere nell'autonomia e far valere l'autonomia sarda.

Ora la Sardegna, come voi sapete, è una nazione vera e come tale deve aspirare ad avere un ruolo e prerogative particolari, senza eccedere, se è possibile, con sogni indipendentistici, sogni di separatismo, che secondo me non sono né realizzabili né tanto meno auspicabili. La nostra terra deve potersi porre in una posizione differente rispetto allo Stato centrale. E con questa enunciazione iniziale mi riallaccio alla conclusione del collega Maninchedda (spero per lui che questa sua frase possa anche passare alla storia) che leggo testualmente: "Lo Stato in Sardegna dobbiamo essere noi perché diversamente lo Stato in Sardegna non sarà mai per noi".

Questo concetto penso possa essere considerato come una grande base di partenza per trovare tutti insieme una sintesi tale da essere riconosciuta dai colleghi che in quest'Aula rappresentano, tutti, il popolo sardo. L'idea di concludere, quindi, questi lavori con un ordine del giorno unitario che possa contenere un'intesa sulla costruzione dello Stato sardo all'interno di un patto confederale con lo Stato italiano per raggiungere la cosiddetta indipendenza della Sardegna mi trova certamente d'accordo, però con un grande distinguo. La parola indipendenza non può e non deve essere intesa come sinonimo ideologico di separatismo. E' un rischio troppo grande che non ci possiamo permettere per il bene e per il futuro della nostra terra.

Colleghi, qualsiasi elemento separatista nella discussione sulle riforme proiettate al futuro sviluppo della nostra terra, qualsiasi tentativo di inquinare la normale dialettica di un'aula parlamentare ci porterebbe in qualche modo a un tremendo arretramento rispetto alle speranze, alle attese di un popolo, quello sardo, che a noi ha dato questa fiducia, che a noi ha chiesto di stare all'interno di quest'Aula per risolvere i problemi dei sardi e della Sardegna. Questa è pertanto un'opportunità irripetibile che dobbiamo necessariamente cogliere al volo.

Il dibattitoche oggi stiamo affrontando - è riconosciuto da tutti - è di grandissima importanza, però mi pongo una domanda: siamo sicuri di esserci fatti capire da tutti fuori da quest'Aula? Abbiamo veramente fornito ai cittadini sardi sufficienti informazioni su metodi e conseguenze di quello che sarà il percorso del lavoro che stiamo facendo all'interno di quest'Aula? Colleghi, io credo che il cammino da fare da questo momento in poi sia un cammino gravoso, un cammino difficile, faticoso, impervio e che, di conseguenza, ci voglia tutto il nostro impegno per trovare soluzioni definitive e realmente positive. Alla gente che sta fuori, all'opinione pubblica dobbiamo dare risposte.

La scelta delle regole deve necessariamente trovare riscontro nelle direttive democratiche e, per il bene di tutti i sardi, non può che basarsi sulle nostre capacità intellettuali, sulle nostre capacità culturali e, diciamolo, onestamente equilibrate. E allora, colleghi, siamo in un'isola, ma questa collocazione non deve farci sentire minimamente isolati. Lo ripetiamo sempre: l'insularità non può essere considerata come un handicap, ma deve necessariamente essere un valore aggiunto, una marcia in più che caratterizza la Sardegna. Abbiamo un ricchissimo patrimonio storico, culturale, ambientale, ma sappiamo che tutto questo realmente non basta. No, credo che non sia assolutamente sufficiente, tanto più che dai "continentali", così li definiamo noi, e talvolta anche purtroppo dallo Stato centrale, questo patrimonio è visto solo ed esclusivamente in termini di conquista. Per secoli e ancora oggi il territorio è stato sfruttato e a noi che cosa è rimasto? Onestamente ben poco.

Un processo simile si è avuto con le industrie; imprese senza scrupoli si sono insediate a casa nostra, spesso danneggiando il territorio e alla fine che cosa è successo? A noi non è rimasto niente. I profitti sono andati altrove, talvolta anche la manodopera utilizzata non era sarda. Tutto questo, secondo me, finalmente deve finire. E' un processo che deve essere assolutamente interrotto per evitare di andare incontro a una pericolosa autodistruzione.

Proprio per questo abbiamo il diritto-dovere di riaffermare l'esistenza della Sardegna come nazione. Come, mi chiederete voi e ci chiediamo noi. Certamente non con fantasiose scissioni, ma solamente attraverso un rinnovato patto con lo Stato, quello Stato centrale che noi comunque riconosciamo. E non possiamo non pensare, come esempio, alla vertenza delle entrate; sappiamo benissimo tutti che sabato prossimo, il 25, associazioni e sindacati hanno fissato un appuntamento proprio per manifestare sul problema delle entrate. Credo sia un punto fondamentale, dal quale partire nella direzione di un nuovo rapporto con lo Stato; e non dimentichiamo neanche la famosa dichiarazione di sovranità della Sardegna adottata dal Consiglio regionale nel febbraio 1999. Dobbiamo far valere quindi quella sovranità del popolo sardo, anche se a qualcuno questo termine non piace, rinnovata e rinforzata.

Chiaramente parliamo anche di riforme. Abbiamo bisogno di riforme, se ne parla tanto di queste riforme, di uno Statuto che deve essere adeguato ai tempi mutati, alle diverse esigenze del nostro popolo e ovviamente alle normative attuali. Ora, a prescindere dalla strada che si intende scegliere per riscrivere la Carta del nostro popolo io ritengo che sia basilare partire dalle aspirazioni storiche, politiche e culturali della Sardegna. I nostri diritti di sardi, insomma, devono essere la base di partenza. Il diritto dei sardi al proprio autogoverno, a innescare quel processo di sviluppo e crescita tanto agognato non può più essere e non deve più essere ignorato. La nostra specificità quindi dovrà essere sempre il pilastro per avere il riconoscimento che meritiamo e che naturalmente ci spetta all'interno dell'ordinamento della Repubblica e della normativa europea.

Le riforme, inoltre, non possono prescindere dal riconoscimento e da una maggiore valorizzazione della lingua sarda e questo noi lo scriviamo all'interno della mozione che abbiamo presentato. Abbiamo parlato di costituzionalizzazione della lingua, non come norme apposite che ne riconoscano solo ed esclusivamente la specificità. Ancora, possiamo parlare di continuità territoriale, ne abbiamo parlato tante volte, possiamo ripeterlo anche in questo momento, una continuità per passeggeri e merci che sia finalmente in grado di non far più risentire dell'handicap dell'insularità geografica. Poi ci sono le energie rinnovabili, è necessario ridurre i costi per energia e carburanti che costituiscono un grave peso per il nostro sistema economico. Tutti elementi che dovrebbero consentire di superare il gap con le altre regioni e gli altri Paesi.

Vedete, colleghi, io credo che la questione meridionale, il grande divario tra Nord e Sud deve finalmente essere annullato, quindi abbiamo bisogno di una riforma sostanziale, una riaffermazione dei nostri diritti che possa fare da apripista su questa strada: un percorso lungo e non certo semplice, ma proviamo tutti insieme a crederci. Servono ancora infrastrutture, faccio un esempio per tutti, l'esempio della ADSL che non è disponibile in certi paesi, non solo in quelli delle zone interne; competenze fiscali autonome, una politica del credito sardo per ridurre il costo del denaro e creare incentivi alle imprese, e ovviamente il lavoro che non deve essere più considerato come una sorta di privilegio ma come diritto che spetta a tutti i sardi.

Sembrano parole comuni, che abbiamo tante volte ripetuto all'interno di quest'Aula, ma credo che sia finalmente arrivato il momento di ribadire quel principio di libertà, quella libertà assoluta che deve essere difesa e finalmente riaffermata. Così come ci si deve impegnare per realizzare un federalismo che si basi sul principio di sussidiarietà, coesione sociale e tutela di tutte le comunità.

Per tutti questi motivi non si può più attendere; la stagione delle riforme finalmente deve iniziare e noi in quest'Aula dobbiamo mettere le ali a questo grande progetto, a un programma ambizioso, affascinante e diciamo pure anche stimolante, onestamente. Forse l'unico possibile per poter avviare il riscatto della nostra terra a tutti i livelli. E in proposito ribadisco (lo faccio da tanti anni) un concetto: dobbiamo mettere da parte bandiere e schieramenti politici, il compito che ci attende va al di là di tutto questo ed è davvero giunto il momento di dare avvio all'iter legislativo per la revisione costituzionale dello Statuto.

Io vi leggerei volentieri da questo momento in poi la procedura di modifica della legge costituzionale di approvazione dello Statuto della Sardegna, ma evito di farlo (e accorcio abbondantemente il mio intervento), perché credo che sarebbe una lettura noiosissima. . Depositerò eventualmente il documento agli atti chiedendo che venga inserito all'interno del mio intervento.

Chiudo le mie considerazioni riprendendo una frase di Sergio Atzeni (il famoso scrittore sardo scomparso, come sapete, nelle acque di Carloforte nel '95) dal suo libro "Passavamo sulla terra leggeri": "Se esiste una parola per dire i sentimenti dei sardi nei millenni di isolamento fra nuraghe e bronzetti forse è felicità". Questa frase, che mi ha tanto colpito, può dare la misura finalmente della sardità. I sardi nella loro terra tra nuraghi e bronzetti trovavano la felicità. Forse anche i sardi di oggi, quelli dell'era di Internet, possono ancora trovare la felicità nella specificità e unicità della loro terra.

PRESIDENTE. Il Consiglio è riconvocato alle ore 16 e 30 del pomeriggio. Convoco, come preannunciato, la Conferenza dei Capigruppo..

La seduta è tolta alle ore 13 e 42.