Seduta n.394 del 29/04/2013 

CCCLXCIV SEDUTA

Lunedì 29 aprile 2013

Presidenza della Presidente LOMBARDO

La seduta è aperta alle ore 16 e 20.

DESSI', Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 20 dicembre 2012 (285), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Lorenzo Cozzolino, Rosanna Floris, Giorgio Locci, Franco Mula, Onorio Petrini, Sisinnio Piras e Paolo Terzo Sanna hanno chiesto congedo per la seduta del 29 aprile 2013.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Seduta congiunta del Consiglio regionale con il Consiglio delle autonomie locali sullo stato del sistema delle autonomie in Sardegna (articolo 10 della legge regionale 17 gennaio 2005, n. 1)

PRESIDENTE. Signor Presidente della Giunta, colleghe e colleghi, consentitemi, in apertura di seduta, di porgere al Presidente Ganau, che oggi per la prima volta dalla sua elezione presiede con me questa seduta, oltre che le congratulazioni mie personali e di tutto il Consiglio regionale, i migliori auguri di buon lavoro.

Già in altre occasioni ho ribadito che la seduta congiunta fra il Consiglio regionale e il Consiglio delle Autonomie locali (CAL) non è, e non vuole essere, una mera consuetudine di legge da osservare.

Parto da questa asserzione per rinnovare il pensiero che il CAL è un organo con il quale il Consiglio, a prescindere dalla normale dialettica fra le parti sulle tematiche oggetto di materia comune, ha intrattenuto e intende intrattenere rapporti di leale, corretta e reciproca collaborazione.

Il fine che muove le istituzioni che rappresentiamo va nella direzione di tutelare, migliorare e armonizzare il sistema delle autonome locali sulla base di progettualità condivise.

La concertazione fra il Consiglio regionale e il CAL è fondamentale per capire e conoscere tutti i fenomeni e le problematiche che ruotano intorno al sistema delle autonomie locali in Sardegna, anche alla luce delle modifiche che sono intervenute nelle effettive capacità di spesa e, quindi, nella possibilità di incidere sul sistema sociale ed economico degli enti locali con l'adozione del tetto massimo previsto dal Patto di stabilità.

Una collaborazione quanto mai necessaria, e in questa sede voglio ribadire un concetto già espresso per affermare che il CAL non è un ospite nell'ordinamento della Regione, ma è un organo della Regione. Intendo così sottolineare che i rapporti tra il Consiglio regionale e il CAL non possono essere quelli che intercorrono tra due controparti.

Infatti, in quest'ottica, occorre effettuare uno sforzo comune per instaurare un rapporto che non sia solo quello del rispetto formale delle procedure o del reciproco riconoscimento dei ruoli, ma che, in linea di massima, veda il Consiglio tenere presenti e valutare i contributi del CAL anche nei lavori in Aula, oltre che in Commissione.

La seduta odierna è quindi una tappa verso questa evoluzione positiva e costante, auspicata nei rapporti fra le nostre due istituzioni, ed è anche un motivo di riflessione sullo stato della Sardegna e del funzionamento delle sue istituzioni autonomistiche.

Come spesso è accaduto nel corso della legislatura presente, nelle diverse occasioni in cui si è svolta, sia con carattere itinerante che nella sede deputata del Consiglio regionale, la seduta congiunta è stata occasione di appassionati confronti e accesi dibattiti sulle iniziative delle autonomie locali, in particolare sui rapporti fra le istituzioni regionali e le autonomie locali e, soprattutto, sui fatti di grande attualità e impatto dell'agenda politica del momento.

Un confronto utile, per quanto non assente di qualche rilievo polemico, e perché no, in quanto gelosi ciascuno della tutela della propria autonomia, ma sempre con spirito costruttivo.

Un confronto foriero di intensi dibattiti che ci hanno visto coinvolti nelle più disparate tematiche sullo sviluppo, la riforma del sistema autonomistico e il rilancio dei territori contro lo spopolamento, sempre tesi alla ricerca di una sinergia che fosse il frutto di una leale, reciproca collaborazione con sentimenti di vicinanza istituzionale.

Questo ha molto facilitato i livelli di collaborazione e ci ha consentito di superare momenti di difficoltà e, talvolta anche di incomprensioni, grazie allo sforzo di buona volontà che sempre ha contraddistinto le nostre azioni.

Per questo motivo, già in apertura, intendo sentitamente ringraziare il CAL, nelle persone del suo Presidente e di tutti i suoi componenti, per il clima positivo instaurato che spero possa dare buoni frutti anche per il futuro prossimo.

Caro Presidente, signori componenti del CAL, colleghe e colleghi, questa seduta cade in un momento particolarmente difficile per la nostra Regione e per l'intero Paese.

I tempi attuali sono irti di difficoltà in quanto ci troviamo ad attraversare una fase di transizione o, meglio, di passaggio, che i politologi individuano come "dalla seconda alla terza Repubblica", sulla quale andranno disegnati nuovi scenari per quanto attiene la redistribuzione e le funzioni degli organi di rappresentanza territoriale dell'ordinamento autonomistico dello Stato.

La nostra Regione non è esente da questo clima di passaggio epocale e, peraltro, attraverso un proprio referendum il popolo sardo si è già espresso sulla soppressione di una parte importante del sistema autonomistico regionale: le Province. Il che ha comportato e comporta passaggi normativi delicatissimi per non pregiudicare funzioni amministrative in essere e tutelare i diritti dei lavoratori degli enti provinciali.

Una difficoltà non di poco conto se si considera che agiamo in un contesto di sfiducia generale dei cittadini nei confronti della politica, tanto che appaiono due mondi distinti e lontani.

Il recupero di un clima di rinnovata stima nel rapporto cittadini-istituzioni è stata la preoccupazione che ha sempre mosso il nostro operare, con decisioni che hanno riguardato un drastico taglio dei costi della politica in tempi antecedenti persino ai sommovimenti di piazza e dell'opinione pubblica sulla materia.

Ma questa non è la nostra sola fonte di preoccupazione, soprattutto di fronte al dramma che stanno vivendo migliaia di famiglie sarde, impoverite e in serie difficoltà finanziarie.

Infatti, quello che più di ogni altra cosa oggi è in testa ai nostri pensieri è lo stato di prostrazione della nostra Isola a causa della crisi internazionale e di fattori endogeni di sottosviluppo mai rimossi.

Ci apprestiamo quindi all'esame della manovra finanziaria con sentimenti di grave preoccupazione per lo stato in cui versa il sistema sociale ed economico della Sardegna.

La crisi, la cui fine ancora non si riesce a intravedere, sta modificando di fatto usi, costumi e aspettative dei sardi, che ne subiscono le conseguenze in maniera più pesante rispetto al resto dei cittadini della Repubblica, per via dell'annosa questione legata alla perifericità geografica.

Recentemente ho avuto modo di esternare queste vivissime preoccupazioni ai colleghi del Consiglio, in una comunicazione nella quale esprimevo la necessità che il Consiglio, e gli enti locali, in un momento nel quale sembra essere venuta meno la speranza nel domani, siano chiamati ad assumere atti e iniziative che, per quanto gravose, siano in grado di assolvere appieno al difficile compito di guidare l'Isola fuori dal pantano della crisi.

La manovra finanziaria regionale, maggiormente nei momenti di crisi acuta, è chiamata ad assolvere il compito di fornire un argine sufficiente per consentire la salvaguardia dello Stato sociale, la difesa dei livelli occupazionali, il ricorso agli ammortizzatori sociali, il sostegno alle imprese e il rilancio delle attività produttive basate sulle risorse primarie.

La manovra finanziaria che già nella normalità, sotto il profilo politico e amministrativo, si presenta come l'atto più importante e significativo dell'anno, assume una valenza di particolare rilievo in tempi durissimi di crisi. Non a caso i sardi vi ripongono moltissime aspettative per avere risposte rassicuranti per il futuro e strumenti adeguati per superare il difficile contingente che tocca tutte le famiglie e le imprese con effetti devastanti.

Il crescere dei livelli di povertà, la moria di aziende e attività commerciali e la desertificazione del tessuto industriale sono l'effetto di una crisi persistente che in Sardegna viene da lontano, non è legata esclusivamente ai fattori esterni dovuti alla crisi internazionale, ma ha cause e motivazioni precise di carattere endogeno legate a quel fenomeno di sottosviluppo che, ieri come oggi, è tutto racchiuso nel termine di "questione sarda".

Vi è dunque la necessità di agevolare, pur nel rispetto della dialettica democratica fra parti politiche e fra istituzioni e sistema sociale, tempi e percorsi accelerati per assicurare il varo della manovra, che già è pervenuta con considerevole ritardo in Consiglio, nel pieno rispetto delle more temporali imposte dal nostro Regolamento interno.

Un percorso articolato e complesso, quello della manovra finanziaria attuale, che lascia pochi spazi di intervento per gli investimenti produttivi, in quanto incanalato nelle strettoie del Patto di stabilità e per via delle mancate entrate fiscali.

Tuttavia non bisogna rinunciare a conferire alla manovra una caratterizzazione in grado, pur nel rispetto del contenimento della spesa, di avere ricadute positive nel sistema economico e sociale attraverso un indirizzo quanto mai oculato e attento delle poche risorse a disposizione.

Ma se ciò non dovesse bastare, il Consiglio è pronto ad assumersi la sua parte di responsabilità in scelte che dovranno essere guidate dallo spirito di offrire il massimo delle garanzie e il massimo della tutela al popolo sardo verso il quale, da parte nostra, non esistono impegni sovraordinati o sovraordinabili.

La situazione in cui versa la Sardegna e le drammatiche cronache quotidiane che riportano la sofferenza del nostro popolo, in un quadro sociale che vede preponderante la crescita di nuovi livelli di povertà in fasce sempre più elevate di popolazione, meritano atteggiamenti e risposte adeguati all'emergenza sociale ed economica, sia oggi che per il futuro.

Non basta più invocare il massimo dell'unità possibile di tutte le componenti del popolo sardo. Oggi è il tempo di scelte precise e nette. Oggi, infatti, è tempo di pensare come utilizzare questo scorcio finale di legislatura al fine di gettare le basi per una straordinaria fase di rifioritura economica, culturale e sociale della Sardegna.

Riprendendo il filo della comunicazione ai colleghi del Consiglio, e allargandola ai rappresenti del sistema delle autonomie locali, rinnovo l'appello a far sì che le nostre scelte future siano guidate dalla necessità di porre la Sardegna e i sardi nelle condizioni di guardare al futuro con animo sereno.

In questa delicatissima fase politica e sociale, si rende necessario riportare i cittadini al centro di un rinforzato e rinnovato contratto istituzionale, al fine di garantire un avanzato ed equo patto sociale, di crescita civile e sviluppo economico.

Ma ciò sarà possibile solo se avremo il coraggio e la capacità di fare scelte avveniristiche che superino tutti gli steccati politici, ideologici e partitici, per garantire una governabilità forte a una guida autorevole di un governo "sardo dei sardi". Un governo che nasca da un comune sentimento patriottico sardo, in grado di assumere decisioni di alta valenza strategica per il progresso dell'Isola.

Perché sia chiaro che non è sufficiente che ciascuna delle parti politiche sarde si presenti con un proprio programma, non è più sufficiente richiamare la necessità di tagliare i costi della politica; tagli sui quali, peraltro, se si vogliono garantire livelli minimi di rappresentanza democratica e accesso alla politica, oltre un certo limite non è possibile spingersi.

E' indispensabile, invece, un programma voluto, pensato e attuato dai sardi per la Sardegna.

Non possiamo più vivere nell'attesa di insperati aiuti esterni, è tempo che i sardi facciano qualcosa per loro stessi a cominciare dal vincere quella maledizione storica che ci vuole pocos, locos y mal unidos.

Non voglio vagheggiare utopie, ma dico più semplicemente che l'ora è grave ed è giunto il momento che i futuri eletti del Consiglio regionale formino un unicum proteso al bene della Sardegna, lavorando per tutta la legislatura a sostenere un governo di ampia rappresentanza di tutte le istanze sociali che racchiuda cioè le variegate componenti, politiche, culturali e sociali in uno sforzo comune per uscire dalla fase drammatica di emergenza della recessione e gettare le basi per il futuro.

Sta a noi oggi facilitare questo percorso attraverso gli strumenti a disposizione per regimentare e facilitare questi indirizzi, auspicabili per riportare la serenità economica e incentivare la crescita civile. E, per farlo, dobbiamo partire dalle regole modificando, a finanziaria approvata, con legge statutaria le norme per la forma di governo della Sardegna e per l'elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione.

Sarebbe un errore tragico non provvedere a questa riforma con la necessaria sollecitudine nel poco tempo rimasto a disposizione. Ancora una volta il monito ci viene dall'alto.

Il clima di massima incertezza e scollamento che si è vissuto nel Paese, per l'assenza di un governo per oltre sessanta giorni dallo svolgimento delle elezioni, ci deve indurre a una attenta riflessione sulle ripercussioni gravissime che una simile evenienza si possa ripetere nell'Isola all'indomani delle elezioni regionali ormai prossime. Il rischio è presente e concreto.

Infatti, se non procederemo per tempo all'approvazione di una legge elettorale che, alla luce dei precetti introdotti dalla modifica dell'articolo 16 dello Statuto, superi le lacune, le insufficienze e le contraddizioni del testo attuale, si può ipotizzare con assoluta certezza che saremo destinati a una paralisi dell'attività del futuro governo regionale per mancanza di maggioranze certe.

Questo in quanto attraverso una legge statutaria, quindi con procedure di approvazione rinforzate, siamo chiamati a recepire il precetto costituzionale sulla intangibilità del tetto massimo consentito per i componenti del Consiglio che, come noto, è stato dal Parlamento fissato in sessanta consiglieri, in ossequio alla volontà espressa dall'Aula del Consiglio regionale sardo.

Nel contempo la stessa legge statutaria dovrà fissare norme per garantire i numeri necessari per formare il governo in tempi certi e celeri. L'occasione della seduta congiunta non va dunque sprecata, essendo un'occasione per una riflessione corale che ci porti a valutare, anche in questo caso, un percorso legislativo agevolato e in tempi certi attraverso procedure di concertazione e confronto fra le parti che favoriscano questa esigenza primaria di riforma del sistema elettorale.

Da un clima di fattiva collaborazione possono nascere scenari nuovi e positivi per una nuova unità morale, spirituale e politica dei sardi.

Nella prossima legislatura il Consiglio regionale non dovrà dividersi fra vincitori e vinti, ma tutti gli eletti dovranno sentirsi vincolati a un patto che faccia nascere una stagione unica e irripetibile, con sessanta consiglieri che si schierino compatti nel porre la Sardegna al di sopra di ogni altro interesse e per adottare una legislazione straordinaria che affranchi l'Isola dal sottosviluppo e dalla recessione che ci mortificano e condannano a un domani senza futuro.

Sta a noi e alle nostre scelte future creare le migliori condizioni perché ciò possa avvenire.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio delle autonomie locali, Gianfranco Ganau.

GANAU Gianfranco, Presidente del Consiglio delle autonomie locali. Presidente, un saluto anche da parte mia a tutti gli onorevoli consiglieri e ai colleghi del Consiglio delle autonomie locali. Oggi celebriamo un incontro importante, un incontro che un obbligo di legge prevede si svolga annualmente, prima della finanziaria, tra il Consiglio delle autonomie locali e il Consiglio regionale; a mio avviso però dobbiamo fare ogni sforzo per superare la formalità di un incontro che rimane tale: vogliamo superare il limite.

Le parole della Presidente indicavano questa strada e noi speriamo che questo non rimanga come è stato finora, l'unico momento di confronto, diciamo, complessivo perché per fortuna riusciamo ad avere dei canali di confronto all'interno delle commissioni. Questa credo sia la strada che noi dobbiamo seguire. Vogliamo considerare questo odierno un punto di partenza per rifondare i rapporti tra il Consiglio delle autonomie locali e il Consiglio regionale per un rinnovato e proficuo confronto.

Siamo convinti che il tema dell'assetto istituzionale, della riforma degli enti locali, della revisione delle regole dell'autonomia siano temi non più rinviabili nella nostra Regione. Il Consiglio delle autonomie locali ha da tempo individuato in un eccesso di centralismo, negli ultimi anni ulteriormente accentuatosi anche sull'esempio di un rinnovato centralismo statale, uno dei principali limiti dell'organizzazione istituzionale della nostra Regione.

Pensiamo, noi, a una Regione che vada in senso opposto al centralismo, con un passaggio progressivo dal centralismo a un vero e proprio decentramento delle funzioni verso gli enti locali. Un ente Regione che si dedichi alla definizione delle regole e delle leggi, e che si spogli progressivamente delle funzioni di gestione. Processo che secondo noi deve partire dallo scioglimento, dalla riforma della gran parte degli attuali trentasei enti regionali le cui funzioni possono essere meritevolmente svolte dagli enti locali.

Quando parliamo di accentramento e ulteriore accentuazione del centralismo regionale ci riferiamo ad atti concreti che hanno progressivamente sottratto agli enti locali anche quelle forme di governo partecipativo e le funzioni di controllo presenti nei vari statuti. E' un fatto che il ricorso al commissariamento di gran parte degli enti testimoni questa tendenza. Valga per tutti il tentativo di sottrarre agli enti locali i consorzi provinciali, il commissariamento infinito dei consorzi industriali, il clamoroso caso dell'illegittimo commissariamento dell'Autorità d'ambito delle acque, che di fatto ha paralizzato l'azione di indirizzo.

Si pensi ai piani d'ambito bloccati da sei anni, all'impossibilità di ridefinire le tariffe totalmente inadeguate a coprire i costi della produzione dell'acqua nella nostra Regione, all'impossibilità di un controllo reale sui piani industriali. Di questo parlavamo anche poc'anzi. Questo ha comportato gravissime ricadute sul già compromesso sistema idrico integrato e sulla società Abbanoa. E voglio ricordare che su tutta la partita acqua gli enti locali, mostrando grandissimo senso di responsabilità, hanno mantenuto tutti gli impegni mentre, mi duole dirlo, gli impegni presi dal Presidente della Regione e dalla Giunta non sono stati mantenuti, sono stati completamente disattesi, assumendosi di fatto la Regione la piena responsabilità di una situazione insostenibile della società Abbanoa, oggi sull'orlo del baratro, e delle cui inefficienze fanno quotidianamente le spese gli enti locali ma, soprattutto, i cittadini.

Si tratta di una situazione drammatica, di cui il Consiglio credo sia consapevole, ma deve esserlo fino in fondo, che presenta ritardi di diversi anni sulla capitalizzazione. Oggi mancano ancora 146 milioni di euro che dovevano essere erogati nei primi anni della nascita di Abbanoa. A questo proposito segnalo che la finanziaria è inadeguata rispetto alle esigenze del quadro gravissimo che rischia di far saltare da un momento all'altro la società Abbanoa, che la disponibilità di 50 milioni di euro costituisce semplicemente una parte di quello che servirebbe oggi per dare respiro e pensare a una riforma seria del sistema idrico locale.

Ulteriori atti che non abbiamo condiviso, che hanno complicato anche la possibilità di utilizzare le risorse, non stanno aiutando in questo momento. Sulla necessità di riordino degli enti locali abbiamo avuto modo di esprimerci in più occasioni, ma credo sia utile farlo ancora una volta. Noi siamo favorevoli alla ridefinizione delle province, siamo favorevoli all'applicazione del risultato del referendum per la parte che riguarda le nuove province, crediamo che per il resto valgano i dettati della Costituzione.

Soltanto in Sardegna credo possa succedere che si propongano dei referendum, evidentemente incostituzionali, senza una verifica di controllo della costituzionalità degli stessi. Questo ritengo sia un limite che vada rapidamente superato per evitare che si creino situazioni, diciamo, di imbarazzo istituzionale, come quelle che si stanno vivendo e da cui non è semplice uscire. Noi crediamo che non si possano sciogliere gli enti locali, democraticamente eletti, sino alla fine del mandato e, soprattutto, che sia inverosimile e impensabile lo scioglimento in assenza di regole certe sulle nuove province, sull'esercizio delle funzioni, a meno di voler determinare una vera e propria paralisi amministrativa con drammatiche ricadute sull'economia e sui servizi ai cittadini.

Dico inoltre, perché ci siamo espressi anche su questo, che noi non condividiamo la proposta delle province come organismi di secondo livello, crediamo che i sindaci siano eletti per rappresentare i propri comuni, le proprie comunità, nessuno di noi ha tempo per fare il consigliere provinciale. Ritengo sbagliato pensare a un organo di secondo livello nel caso delle province, di conseguenza dobbiamo iniziare a porci il problema della rappresentatività democratica che chiaramente deve interessare anche il Consiglio regionale.

In questi anni vorrei ricordare che gli enti locali hanno risparmiato 850 milioni di euro, mentre la spesa complessiva del resto della pubblica amministrazione è stata incrementata di 37 miliardi di euro, il che testimonia che forse gli sprechi stanno non negli enti locali ma da altre parti, su cui bisognerebbe intervenire; nonostante ciò, in nome di un risparmio e in base a valutazioni esclusivamente economiche abbiamo assistito nell'ordine: all'abolizione delle circoscrizioni, alla riduzione del numero dei consiglieri comunali, alla riduzione o all'abolizione delle giunte comunali, all'abolizione delle comunità montane, alla diminuzione del numero dei consiglieri regionali e, oggi, all'abolizione delle province.

A questo punto ci dobbiamo porre il problema se sia normale che i cittadini siano chiamati a eleggere propri rappresentanti solo ed esclusivamente nei consigli comunali e nel Consiglio regionale con l'elezione appunto di sessanta consiglieri regionali. A mio avviso dobbiamo iniziare a porci un problema di rappresentanza democratica, che poi è un problema di partecipazione e quindi di democrazia.

Sull'unione dei piccoli comuni e sull'esercizio delle funzioni in forma associata abbiamo dichiarato il nostro parere favorevole a condizione che le aggregazioni si realizzino su base volontaria e non imposta. L'imposizione di aggregazione di comuni, ove non si tenga conto delle peculiarità dei rapporti, dei collegamenti, delle caratteristiche e anche delle differenze culturali fra i diversi comuni ha dimostrato di non funzionare, così come la scelta di realizzare funzioni in forma associata deve basarsi su analisi concrete che ne sostengano l'economicità e l'efficienza, perché non c'è un nesso automatico tra svolgimento delle funzioni associate, risparmio e qualità dei servizi.

Tali criteri predefiniti a livello nazionale sulla nostra Regione, sulla nostra realtà, senza le opportune correzioni critiche possono causare dei veri e propri disastri. Si pensi all'accorpamento scolastico che ha avuto come primo risultato un incremento dell'abbandono scolastico in una Regione che avrebbe necessità del contrario, cioè di migliorare la partecipazione e la qualità della propria istruzione. O al caso della sanità ove, senza una riorganizzazione garantista dei territori, si rischia di negare il diritto alla salute di intere aree.

Faccio un inciso perché ho parlato di scuola, e lo dico perché siamo di fronte a una vera e propria emergenza: anche in questa Regione, visto che non c'è a livello nazionale, è necessario un piano straordinario di edilizia scolastica perché le nostre scuole sono in condizioni indecenti. Ciascun comune ogni tanto pare debba chiuderne qualcuna perché si superano i livelli di sicurezza; pertanto noi abbiamo necessità di risorse per questa emergenza, ma tutto questo non c'è in finanziaria e io lo voglio proporre all'attenzione del Consiglio.

So che non sono momenti facili, ma se non iniziamo a trovare risorse per queste strutture avremo grossissimi problemi in seguito e spero che non succeda mai quello che purtroppo abbiamo visto accadere in altre parti della nostra Nazione; ed è soltanto quando succede qualcosa che si prende atto della situazione disastrosa dell'edilizia scolastica nella nostra Regione e in tutt'Italia.

Riteniamo che il percorso per l'esercizio delle funzioni associate debba vedere proprio i comuni protagonisti delle scelte, e debba trovare quel sostegno organizzativo ed economico di cui peraltro non c'è traccia nella proposta di finanziaria. Mancano risorse destinate per le unioni di comuni e per accompagnare il percorso che non è un percorso semplice; è un percorso difficile su cui abbiamo chiesto più volte attenzione, perché altrimenti rischia di fallire non trovando le strade che invece sono necessarie.

Gli enti locali e il Consiglio delle autonomie locali sono disponibili evidentemente a un confronto sulle riforme istituzionali che potrebbe trovare le forme che si riterranno più opportune; noi abbiamo detto che riteniamo che le riforme istituzionali siano una competenza prima del Consiglio regionale, se il Consiglio regionale lo riterrà siamo disponibili a partecipare e a essere anche coprotagonisti all'interno di un'assemblea, perché riteniamo che debba emergere con forza la volontà di esercitare i propri ruoli istituzionali per un aggiornamento e un rafforzamento delle competenze derivanti dalla specialità della nostra Regione, altro che abbandono della autonomia e della specialità!

In questo quadro va inserito il problema di quale ruolo debba svolgere il Consiglio delle autonomie locali che, lo ricordo ma credo lo sappiate bene tutti, è un organo costituzionale, rappresentante delle autonomie locali che sono enti pariordinati alla Regione. Credo sia necessaria una pronta rivisitazione della legge istitutiva, la legge numero 1 del 2005, nel senso di un superamento del ruolo puramente formale al quale attualmente è relegato il Consiglio delle autonomie locali, verso il riconoscimento di funzioni e pesi diversi, alla stregua di quanto fatto dalle altre regioni. A questo proposito lascerò alla Presidenza del Consiglio, a fine seduta, un testo della legge regionale del Lazio che ha rivisitato un minimo le funzioni e i ruoli del Consiglio delle autonomie, nel senso di una maggiore compartecipazione e collaborazione,

Ripeto che chiaramente noi rifiutiamo il ruolo di dispensatori di pareri che spesso vengono totalmente disattesi; ci proponiamo a un confronto e riteniamo che una rivisitazione delle regole debba garantire che, per esempio, se un provvedimento che attiene alle funzioni degli enti locali riceve un parere contrario del Consiglio delle autonomie, pur nel pieno rispetto della autonomia decisionale del Consiglio regionale, che non è evidentemente in discussione, lo stesso non possa procedere senza un ulteriore confronto con gli enti locali.

Faccio l'esempio della finanziaria di quest'anno, su cui ci si chiede il parere in sette giorni, con tutte le difficoltà di analizzare un documento così complesso in così breve tempo, che nel testo trasmesso conteneva penalizzazioni gravissime per gli enti locali e, di fatto, una impossibilità di parte dei comuni di chiudere i propri bilanci.

Abbiamo avuto il testo esitato dalle commissioni solo venerdì, e abbiamo preso atto che ci sono state delle modifiche sostanziali, importanti per quanto riguarda gli enti locali, ma credo che comunque su questi aspetti non sia possibile che il percorso proceda senza una interlocuzione, senza neanche la comunicazione da parte del Consiglio regionale delle eventuali modifiche rispetto a un parere che era totalmente negativo sulla finanziaria.

Voglio dire di più, se c'è una volontà di confronto questo confronto deve essere espresso a tutti i livelli, allora anche la Giunta non può ignorare le autonomie locali su temi che riguardano direttamente i comuni e le province; la Conferenza Regione-enti locali pertanto non può essere utilizzata poco e come mero strumento di ratifica, con convocazioni all'ultimo momento, senza istruttoria e continue e imbarazzanti revoche.

Colgo anche l'occasione per denunciare che c'è un frequente, maggiore ricorso alle procedure d'urgenza, ex articolo 102, da parte del Consiglio che evidentemente sottraggono a ogni possibilità di parere il Consiglio delle autonomie locali e le autonomie locali. Credo sia giusto, se vogliamo uscire dalla formalità di falsi confronti, che si dicano queste cose in maniera chiara, in questa sede e una volta per tutte. Gli enti locali e i loro rappresentanti non sono nemici da tenere lontani, rappresentano le istituzioni più vicine ai cittadini, si confrontano quotidianamente con i loro problemi, sempre più spesso problemi drammatici, proprio per questo sono in grado di porre in evidenza i problemi, di suggerire e proporre soluzioni. Credo sia interesse di tutti, di fronte a una crisi così profonda, trovare modalità di collaborazione per trovare risposte alle difficilissime situazioni che viviamo.

La crisi economica che sta colpendo il nostro Paese oggi fa sentire in modo drammatico le sue conseguenze nella nostra Regione, più indifesa di altre per problemi storicamente irrisolti. Stiamo vivendo una crisi con ripercussioni sociali drammatiche, sempre meno governabili, che preoccupano tutti. In questa situazione ai comuni e ai sindaci viene chiesto di fare gli esattori per conto dello Stato, mi riferisco all'imposizione dell'IMU, all'imposizione prossima della TARES che, detto tra noi, non portano alcun beneficio alle casse dei comuni e che vanno per la stragrande maggioranza nella quota in capo allo Stato.

Di fatto si chiede ai sindaci di porre in atto manovre di prelievo fiscale che accentuino ulteriormente la pressione fiscale, che è già a livelli altissimi, sui cittadini, a fronte di risorse che invece sono sempre più ridotte e sempre meno disponibili da parte dei comuni per garantire i servizi essenziali che dovrebbero far fronte anche a quelle progressive e accresciute richieste di aiuti per disagio e povertà. E' in questo quadro che abbiamo ritenuto una disattenzione, per non parlare di provocazione vera e propria, bloccare nella proposta di finanziaria il 70 per cento delle risorse del Fondo unico, legandole a entrate non certificabili, quindi non iscrivibili al bilancio nella famigerata tabella F.

Come riteniamo profondamente ingiusto che, ancora una volta, non rispettando le leggi in merito alla definizione della quota destinata al Fondo unico, a fronte di una previsione complessiva di maggiori entrate di 1 miliardo e 600 milioni di euro non si preveda un incremento proporzionale dello stesso fondo o che, sempre disattendendo le stesse leggi regionali, come questa recentissima numero 25 del 2012, si tagli di un terzo il fondo per il funzionamento dello stesso Consiglio delle autonomie locali e senza neanche una comunicazione in merito.

Sul Fondo unico tendo a ribadire che è proprio il Fondo unico che, in relazione alla diminuzione delle entrate e ai trasferimenti agli enti locali, resta l'unico strumento per garantire quei servizi essenziali oggi in discussione che, per capirci, comprendono interventi di supporto alle povertà, politiche sociali, mense e trasporti scolastici. E' evidente, in questo quadro, che una riduzione del fondo per le povertà estreme, dai 30 ai 25 milioni previsti in finanziaria, appaia in evidente controtendenza rispetto alle esigenze che imporrebbero invece un forte potenziamento di queste risorse a fronte della già segnalata crescita esponenziale delle nuove povertà.

Non crediamo che la proposta di reddito minimo di comunità, che corrisponde a circa 2 mila euro all'anno per 10 mila giovani, sostituisca gli interventi sulle povertà. Si tratta di uno strumento che viene sottratto alle regole delle politiche sociali, che quindi riescono a graduare le richieste al di fuori di questo tipo di controllo e abbiamo anche scarsa fiducia in un meccanismo che dovrebbe incentivarsi.

Altro argomento riguarda il problema del Patto di stabilità che impedisce ai comuni, anche a quelli virtuosi come sapete, di utilizzare le liquidità che sono a disposizione, che sono state risparmiate negli anni per anticipare i pagamenti delle imprese che fanno opere pubbliche con un conseguente aggravio delle difficoltà per l'economia, per l'impresa, con ricadute negative dal punto di vista lavorativo e sociale, oltre a gravi ritardi, a un aumento dei costi e di tempi sulla realizzazione delle opere pubbliche.

Adesso l'inserimento sotto Patto dei comuni che hanno tra i mille e i 5 mila abitanti rischia di creare una situazione, nella nostra Regione, gravissima. La maggior parte di questi comuni non riusciranno a stare dentro il Patto di stabilità e questo comporterà, evidentemente, conseguenze disastrose per quanto riguarda quelle comunità. Inoltre l'aumento del numero dei comuni, stiamo parlando di quasi un terzo della popolazione della Regione che viene sottoposta al Patto di stabilità oltre quella precedente, comporta una minore disponibilità di risorse nell'azione del Patto verticale tra Regione ed enti locali, quindi fra Regione, comuni e province, con un aggravamento del peso del Patto su ogni singolo comune.

Patto verticale che dovrebbe essere definito, per avere davvero dei vantaggi, entro i primi sei mesi dell'anno; quest'anno non è stata ancora discussa la finanziaria, non c'è traccia di discussione del Patto verticale e, se capita come gli altri anni, con la definizione negli ultimi mesi, addirittura nel mese di dicembre due anni fa, è evidente che non si può avere nessun beneficio perché nessun comune sarà in grado di spendere le risorse che vengono liberate con questa contrattazione del Patto.

Sul Patto, oltre a un'azione a livello nazionale che veda protagonista la nostra Regione, è necessario ridefinire le regole e utilizzare tutti gli spazi consentiti dalla specialità: è inconcepibile che nei trasferimenti di risorse dalla Regione agli enti locali sottoposti al Patto, gli stessi siano nuovamente sottoposti ai vincoli del Patto; così come bisogna trovare soluzioni perché i trasferimenti che vengono dalla Regione per l'esercizio delle funzioni associate, penso per esempio ai PLUS che vanno al comune capofila, vengono regolarmente bloccati e rendono difficile il trasferimento agli altri comuni perché fanno scattare il Patto di stabilità per il comune capofila. Si tratta evidentemente di problemi non marginali, perché stiamo parlando di interventi decisivi nel campo delle politiche sociali.

Chiudo riportando una generale lamentela e una seria preoccupazione che riguarda il governo del territorio, le leggi e le norme urbanistiche attualmente vigenti. È noto che l'adeguamento dei Piani urbanistici comunali sia opera improba, e che di fatto gli unici comuni che hanno vigenti i propri Piani negli ultimi anni sono ricorsi alla pubblicazione senza il parere di conformità della Regione. Ci sono comuni che hanno adottato i propri Piani dal 2002 e a tutt'oggi l'iter non è concluso, credo che ne avremo una testimonianza successivamente.

Esiste, ritengo, un problema di adeguatezza degli organi tecnici di controllo che, evidentemente, non sono in grado di svolgere le funzioni di supporto necessarie in fase di definizione dei Piani, nel senso che sono inadeguati come organici rispetto alla mole di lavoro che deriva da questo, e che quindi non sono in grado in fase di predisposizione dei Piani di supportare quelle azioni che dovrebbero agevolare poi il percorso finale, ma neanche di rispettare i tempi di legge per la verifica di coerenza.

E' evidente che è necessario un rafforzamento di questi settori ma è altrettanto evidente che senza un intervento di riordino legislativo complessivo, che tenga conto delle giuste ragioni di tutela ma anche delle nuove esigenze di un'urbanistica moderna e sostenibile, con norme chiare e facilmente interpretabili, anziché verso un riordino del territorio si andrà ancora verso il blocco totale della programmazione urbanistica dei comuni, con un aggravamento della già gravissima crisi economica, non dando certezze alle imprese e ai cittadini, e in alcuni casi anche impedendo risposte di natura sociale come la realizzazione dei programmi di edilizia popolare.

Mi fermo qui, ben conscio di non aver fatto un intervento rituale, e talvolta anche un po' sopra le righe, ma vi assicuro che i toni del confronto su questi temi tra i rappresentanti degli enti locali di qualsiasi appartenenza politica, ci tengo a precisarlo, sono ben più decisi di quelli che ho usato in questa giornata.

Io sono veramente convinto che la strada che noi dobbiamo cercare sia una strada comune e che la collaborazione tra le autonomie locali e il Consiglio regionale sia un metodo importante per trovare questa strada e per uscire da una difficoltà gravissima che sta attraversando in questo momento la nostra Regione. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Gairo, Roberto Marceddu.

MARCEDDU Roberto, Sindaco del Comune di Gairo. Io non ho preparato alcun tipo di intervento però ci tengo a porre l'accento su alcuni aspetti, trattati dal nostro Presidente del Consiglio delle autonomie locali, sui quali vorrei focalizzare la massima attenzione di questa Assemblea perché mi paiono particolarmente importanti.

La crisi che abbiamo di fronte ritengo ci chiami tutti a un grande senso di responsabilità nei confronti di tutte le situazioni di disperazione che ci circondano e che vivono le persone e gli strati della nostra società che stanno peggio; ma un grande senso di responsabilità tutti quanti noi siamo chiamati a porlo in essere in particolar modo riguardo alle future generazioni alle quali non possiamo certamente consegnare il clima che oggi viviamo, la difficoltà grave sotto tutti i punti di vista con cui oggi ciascuno di noi fa i conti quotidianamente.

Una delle cose più importanti che noi dobbiamo fare, lo sottolineava il Presidente, è quella di dare il giusto riconoscimento al Consiglio delle autonomie locali in quanto soggetto con il quale voi, consiglieri regionali, e la Regione potete assolutamente dialogare per cercare di sfruttare in senso positivo e costruttivo il segnale che promana appunto dalle autonomie locali.

E noi, infatti, oggi siamo qui per dare un contributo a questa situazione, non tanto per fare (qualcuno di noi lo fa magari da dieci anni) una mera esercitazione dialettica che non ci porta a nulla, ma per parlare con serietà, col cuore, per cercare di comunicare qualcosa che gradiremmo fosse recepito, anche al di là delle logiche di appartenenza che in relazione a queste problematiche ritengo debbano essere superate perché dobbiamo essere uniti nell'affrontarle, fermo restando che ovviamente ognuno di noi ha un ruolo, un'appartenenza e delle logiche alle quali si rifà.

In questo contesto io ritengo che noi abbiamo due scommesse in particolar modo che dobbiamo assolutamente vincere sfruttando proprio questo ruolo del Consiglio delle autonomie locali. Consiglio delle autonomie locali che è pronto anche ad assumere un ruolo più importante rispetto a quello di un mero "parerificio" che spesso lascia, come diceva il Presidente, il tempo che trova. Infatti, se guardiamo anche alle esperienze di altre realtà a noi vicine, per esempio la Regione Lazio, vediamo che il Consiglio delle autonomie locali ha un ruolo un po' più incisivo.

In Sardegna ci sono due aspetti sui quali noi dobbiamo concentrarci e che sono tra loro assolutamente legati. Il primo attiene a un serio riordino dell'ordinamento degli enti locali; su questo punto io non voglio cimentarmi in questa sede, nel modo più assoluto, in un'analisi su quello che dovrebbero fare, a nostro parere, la Regione, i comuni o di quale deve essere il ruolo delle Province, dico che dobbiamo arrivare a definire i comuni come enti che rappresentano il centro del sistema istituzionale.

I comuni possono e devono diventare finalmente l'elemento centrale in un sistema in cui la Regione si svuota delle competenze, della gestione che ancora oggi - lo diceva prima il Presidente - viene svolta purtroppo a 360 gradi per tantissime materie, per le quali urge il trasferimento di funzioni, di personale, di risorse e di beni ai comuni; comuni che, in qualche modo, hanno dalla loro parte la capacità di porre in essere delle idee, di recepire puntualmente la creatività delle loro comunità che spesso e volentieri non può essere tradotta in pratica, in processi di sviluppo.

I processi di pianificazione che si interrompono, o che durano dieci anni, non sono assolutamente pensabili se noi vogliamo trasformare questa Regione da una Regione di serie B, come purtroppo è oggi, in una Regione che deve essere fatta di idee che trovano attuazione pratica in poco tempo, non dico in mesi ma almeno in pochi anni, perché ci sono comuni che dopo dieci anni non riescono ancora a operare in questa direzione.

Allora come è possibile che le autonomie locali vengano chiamate a dare un contributo fattivo, come spesso si dice in importanti riunioni e appuntamenti come questo, se poi viene impedita la trasformazione reale e concreta di queste attività? Non è pensabile che un Piano urbanistico venga scritto e riscritto a distanza di pochi anni; non è pensabile che questo processo di pianificazione anche attuativa, di livello, evoluta, debba passare sotto le forche caudine di diversi uffici regionali che per dieci anni ti tengono in scacco per dirti, quando la tua pratica arriva a essere esaminata, che devi rifare tutto.

E' assolutamente impossibile continuare in questo modo, perché ci sono comuni che possono concretizzare queste idee creando così processi di sviluppo e posti di lavoro concreti. Quindi il primo aspetto su cui intervenire è un riordino serio dell'ordinamento degli enti locali, e non dico altre cose rispetto a quello che ha già detto, con chiarezza, il mio Presidente sul ruolo delle province, non ritengo sia il caso di perdere altro tempo.

L'altro aspetto, che dal mio punto di vista è altrettanto importante, è legato al primo. Ciascuno di noi, vedendo i meccanismi della crisi e i drammi che spesso si consumano anche accanto a noi (ormai dappertutto si verificano fenomeni di disperazione), dovrebbe chiedersi se sia possibile credere veramente di poter continuare a guardare ai processi di sviluppo e alle riforme da un unico angolo di visuale, quello legato a interventi che stanno portando allo spopolamenti dei territori al centro della nostra Isola.

Tutti conosciamo i processi di deantropizzazione in atto nelle zone interne e montane della Sardegna, e conosciamo altrettanto bene i meccanismi spesso difficili da affrontare per i sindaci di città più importanti come Cagliari e Sassari dove si concentrano, appunto, le popolazioni sottratte ai territori dell'interno.

E io ritengo che ci dobbiamo chiedere se continuare in questo modo, se pensiamo che è dalle città che noi possiamo ottenere lavoro, sviluppo, creare delle alternative a questa crisi. Io credo di no, credo che invece noi si debba partire dall'assunto che il territorio rappresenta un elemento importante, fondamentale da cui trarre benefici, perché all'interno dei territori ci sono delle potenzialità enormi, ci sono delle risorse endogene che vanno attivate e valorizzate insieme, appunto, alle comunità locali.

I territori rappresentano un elemento sul quale tutti noi dobbiamo assolutamente scommettere perché a essi e alle comunità locali sono intimamente connesse le potenzialità di cui dicevo, da utilizzare per realizzare dei percorsi che, ben lungi in termini di sviluppo dal potersi determinare nelle città, possono creare nuovo lavoro e nuovo sviluppo proprio in questi territori.

Da questo punto di vista ritengo, pertanto, che noi dobbiamo porre in essere delle politiche che naturalmente pongano al centro la valorizzazione dei territori sgombrando il campo da burocrazie asfissianti (qualcosa ho accennato prima), cercando di creare i presupposti, ma questa è una rivendicazione di tutti i piccoli comuni a livello nazionale ovviamente anche verso il livello governativo nazionale, per eliminare questi meccanismi assurdi del Patto di stabilità o"stupidità" (lo chiamo così come è stato chiamato da qualcuno dei colleghi), che non ha ragione di esistere per questi piccoli comuni.

Faccio riferimento anche ai meccanismi reali di produttività che possono essere attivati riformando seriamente alcuni enti che non possono continuare a esistere così come li abbiamo conosciuti negli anni '90. Sto parlando, per esempio, dell'Ente foreste della Sardegna che, è assurdo, ha un milione mezzo di euro all'anno per produttività mentre da altre parti, nelle vallate alpine e appenniniche dove c'è un sistema diverso si fa qualcosa di diverso oltre che la tutela ambientale che, per carità, è importante.

Da questo punto di vista dobbiamo rimuovere alcuni ostacoli che sono, però, ostacoli importanti, perché se li rimuoviamo possiamo riuscire effettivamente a liberare le energie e le idee presenti nei territori.

In merito alla tutela ambientale, e finisco veramente il mio intervento, dico basta agli estremismi sotto il profilo ambientale, ma non se ne può più! La tutela ambientale la pratichiamo quotidianamente, abbiamo subito le minacce e le bombe per tutelare l'ambiente e rimuovere gli ostacoli, le recinzioni per ettari ed ettari, demolire gli abusi e bonificare i territori. La tutela ambientale ci deve essere, ma deve essere funzionale allo sviluppo, deve marciare in parallelo con lo sviluppo: basta con eccessive rigidità da questo punto di vista.

Io, signori, concludo così come ho iniziato; possiamo fare tanti interventi e dire un sacco di cose interessanti, però veramente dovremmo avere la capacità su questi due temi importanti: ordinamento degli enti locali (comuni al centro di tutto e un ruolo diverso della Regione) e valorizzazione dell'elemento territorio con la rimozione di alcune criticità che ci tengono in ostaggio, di cercare di marciare tutti uniti per raggiungere questi importanti risultati.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Provincia Carbonia - Iglesias, Salvatore Cherchi.

CHERCHI Salvatore, Presidente della Provincia Carbonia - Iglesias. Signora Presidente del Consiglio, signori consiglieri e colleghi amici amministratori, innanzitutto dichiaro di condividere totalmente l'introduzione del Presidente del CAL, il Sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, e intervenendo nel merito del suo intervento, signora Presidente, nel quale ha posto questioni di carattere generale (questioni che devono trovare tutti sensibili e disponibili a interloquire costruttivamente) sottolineo due punti che a me sembrano, tra gli altri, assolutamente attuali e in relazione con la sessione di bilancio che sta affrontando il Consiglio regionale; sessione di bilancio che, con le sue decisioni, ha ricadute sull'insieme della società sarda, sul sistema delle autonomie locali.

I due punti che schematicamente toccherò riguardano il tema dei programmi di sviluppo e il tema della situazione finanziaria con particolare riguardo al Patto di stabilità. Dalla lettura dei documenti di analisi generale della società sarda, principalmente del Documento di programmazione, emergono due punti a mio avviso particolarmente rilevanti. Uno, ben conosciuto, riguarda la situazione economica e sociale della Sardegna; sono presenti alcuni numeri che, per quanto la situazione sia da tutti noi toccata quotidianamente con mano, nella loro dimensione sono piuttosto scioccanti.

Mi riferisco alla caduta del valore aggiunto dell'industria nella misura del 25 per cento, industria in senso stretto; alla caduta del valore aggiunto dell'edilizia nella misura del 26 per cento; al calo nel settore del turismo dove, complessivamente, in un triennio la Sardegna ha perso 2 milioni e 700 mila presenze (è un dato semplicemente drammatico per cui siamo prossimi a una riduzione del 22-23 per cento in un triennio); alla caduta degli investimenti pubblici i cui principali attuatori sono gli enti locali, soprattutto i comuni che da soli curano e rappresentano il 60 per cento degli investimenti in infrastrutture nella Regione e nel nostro Paese più in generale, la caduta degli investimenti pubblici è l'altro dato particolarmente preoccupante.

Se guardiamo con attenzione a questo insieme di dati non c'è un solo indicatore che autorizzi chicchessia a dire che il 2013 possa segnare una inversione di tendenza rispetto a un triennio semplicemente drammatico. E la coscienza e la consapevolezza di questa situazione costituiscono il dato di partenza per sviluppare le nostre ulteriori riflessioni.

Il Documento di programmazione economica e finanziaria contiene un'analisi sugli esiti di alcune politiche messe in atto negli anni passati; una analisi che dovrebbe essere meditata da tutti, e quando dico tutti mi riferisco innanzitutto all'insieme delle forze politiche, maggioranza e minoranza, mi riferisco alle forze sociali, mi riferisco alle rappresentanze istituzionali. Quegli argomenti, quelle conclusioni non sono un qualcosa che riguardi semplicemente il Consiglio regionale, la Regione istituzione, sono qualcosa che riguarda tutti noi, certamente l'insieme delle rappresentanze istituzionali.

Ciò che colpisce è che una serie di politiche correttive del modello di sviluppo non sembra stia producendo gli esiti attesi; negli anni trascorsi sono stati spesi 805 milioni di euro in ricerca scientifica e ricerca applicata nelle imprese, ma colpisce la conclusione dei valutatori: queste imprese non marcano sensibili differenze rispetto agli esiti, alle performance delle imprese che poi quei benefici non hanno avuto.

E' un dato, non stiamo parlando in questo caso della classica miniera classificata improduttiva, stiamo parlando di un investimento notevole in ricerca scientifica che dovrebbe trascinare lo sviluppo e che però non produce gli esiti attesi. Ovviamente è giusto investire in ricerca scientifica, però dobbiamo riflettere e arrivare anche a qualche conclusione positiva sul perché gli esiti non sono quelli attesi.

Altri capitoli riguardano gli interventi per contrastare l'abbandono scolastico; questi laboratori cospicuamente finanziati, laboratori didattici, sembrano non produrre gli esiti attesi. Per brevità non citerò ancora altri capitoli, altre analisi, le politiche, per esempio, per lo sviluppo urbano e altri interventi nel settore dell'occupazione. Dove voglio arrivare? Se è vero che la Sardegna si trova in una situazione drammatica sul piano sociale, prima ancora che economico, e se è vero che nel Documento non emergono indicazioni corpose sulle strade da percorrere e c'è un rinvio al prossimo Piano strategico regionale, se è vero tutto questo il punto di partenza non può che essere una riflessione sulle ragioni degli esiti delle politiche correttive sin qui applicate.

Serve una discussione per capire il perché una serie di politiche non produce gli esiti attesi; in assenza di una riflessione e di risposte condivise, convincenti, anche l'impostazione del nuovo Piano strategico risulterà viziata perché si proporrà qualcosa che non poggia sulla consapevolezza degli effettivi correttivi da introdurre.

Il ministro Barca - che ha lasciato il suo incarico - e il nuovo ministro per la coesione, Trigilia, sono due eminenti studiosi che da tempo si arrovellano insieme con cultori della materia, con eminenti studiosi delle politiche di sviluppo, sulle analisi e sulle ricette. Non ho evidentemente una risposta, questi stessi analisti consegnano analisi e diagnosi che sono talvolta tra loro contrastanti, che vanno dalla dimensione dell'intervento alla questione del capitale sociale e a come funzionano concretamente i sistemi politico-istituzionali locali.

Credo che, per esempio, ci sia molto di vero nell'attribuzione di una responsabilità alla qualità del funzionamento delle nostre istituzioni regionali e locali, in connessione con la performance di una serie di politiche che, essendo necessariamente regionali e locali, sono condizionate dal come il sistema di potere è concretamente organizzato.

Una riflessione su questo tema, a mio avviso modestissimo, riguarda l'insieme delle forze politiche sarde, delle sue rappresentanze istituzionali, perché non è affatto evidente (soprattutto alla luce dei dati che ho citato) una strada sicura negli esiti, intendo dire, quando parliamo di impostazione del nuovo Piano strategico per la Regione. Questo è il primo punto che nel dibattito a me appare piuttosto trascurato, punto al quale un quotidiano sardo ha dedicato due pagine; e pensavo che avrebbe provocato un dibattito più vasto nella società sarda, ma è un po' passato, almeno fin qui, come acqua sul marmo.

Signora Presidente, le chiedo due minuti, ho fatto un intervento a braccio, perché vorrei sottolineare quest'altro aspetto che è di interesse generale: la questione del Patto di stabilità. Abbiamo fatto un passo in avanti anche su questo, un tema di carattere istituzionale, a mio avviso, prima ancora che politico-partitico di coalizione; è un tema di interesse generale. Nessuno discute più sul fatto che il nuovo regime delle entrate è stato molto vantaggioso per la Sardegna. La riforma del Titolo III ha portato 1,6 miliardi di euro in più pagate le maggiori spese, quindi è stato utile. Quelle risorse però non possono dispiegare il loro potenziale a causa del limite del Patto di stabilità.

Questo non è un problema della maggioranza di turno, ma è un problema dell'insieme della Sardegna. Non lo si può risolvere con forzature di carattere istituzionale, ieri l'iscrizione delle maggiori entrate in violazione dell'articolo 81 della Costituzione che è stato sanzionato e reso operativo, oggi la minaccia della violazione del Patto di stabilità che, così come è presentato, di fatto non viola nulla perché la regola è inoperativa e comunque verrebbe depotenziata.

Il problema è fare una battaglia politica su questo, ma battaglia politica seria dell'insieme delle istituzioni per ottenere un risultato che, a mio avviso, è da classificare tra gli obiettivi istituzionali prima ancora che di schieramento politico. Tutti abbiamo interesse a vincere questa battaglia. Ciò che ha fatto però la Giunta è sbagliato, profondamente sbagliato per le ragioni che ha già detto il sindaco Ganau. Non si può immaginare di chiamare a raccolta su una battaglia per avere una regola più equa del Patto di stabilità e scaricare sugli enti locali il blocco.

Penso che questa impostazione sia saltata alla luce della discussione in Commissione, questo è un risultato positivo, però il problema resta, è solo rinviato al mese di giugno, non è risolto. Un sano principio di politica istituzionale impone che si discuta questo argomento vitale per la Sardegna in termini molto chiari e si determinino quelle convergenze politiche e istituzionali che sono indispensabili per vincere una battaglia che, lo ripeto ancora una volta, riguarda tutti, quale che sia la maggioranza che si trovi occasionalmente al governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Cagliari, Massimo Zedda.

ZEDDA MASSIMO, Sindaco del Comune di Cagliari. Presidente del Consiglio regionale, Presidente del Consiglio delle autonomie locali, onorevoli consiglieri, colleghi Sindaci, Presidenti delle Province, il pensiero innanzitutto va ai carabinieri e alla giovane incinta che ieri (passava l'una e lavoravano gli altri) sono stati vittime di quell'episodio che è noto a tutti. Il primo pensiero va a loro, agli uni e all'altra colpiti ieri a Montecitorio, e l'altro pensiero va ai tanti amministratori vittime di attentati, di episodi che hanno causato danni a persone e a cose, vittime quotidianamente di intimidazioni, con dati che pongono la Sardegna e alcune realtà della Sardegna in linea con altre realtà dove operano organizzazioni criminali conosciute in tutto il mondo.

Lo dico, Presidente, perché io condivido l'appello che lei fa, lo dico alla Presidente del Consiglio regionale, lo dico al Presidente del Consiglio delle autonomie locali, ne condivido i punti, i temi trattati, però è necessario fare anche un ripensamento su noi stessi, su come è la società sarda, su come si è articolata e su episodi che comunque in questo caso non hanno colpito coloro che sono amministratori scellerati che hanno pensato alla speculazione e alla devastazione del territorio, ma amministratori che quotidianamente lottano per la tutela del territorio, per strappare territori in mano a privati che erano di proprietà pubblica e gli usi civici a essi connessi, amministratori che cercano di tutelare l'ambiente e le coste.

Quindi non vengono colpiti coloro che sono per la distruzione del patrimonio di tutti, ma coloro che invece svolgono né più né meno il loro compito di amministratori e non sono casta, basti vedere gli stipendi e le indennità, se così le si può definire, degli amministratori dei piccoli comuni o degli assessori e dei consiglieri comunali.

Bene, io non ripeto quanto detto nei precedenti interventi sulle diverse questioni, a partire da quella di Abbanoa che condivido e di cui abbiamo discusso anche stamattina con il Presidente della Regione. Pongo però l'accento sulla questione di fondo: qual è l'idea di sviluppo della Sardegna che sta alla base? Provo a dire la mia idea di Europa, di Stato, di Regione, di province, di enti locali, cioè di architettura istituzionale a partire dal nostro interlocutore sovraordinato, l'Europa e fino "giù per li rami" a ciò che noi rappresentiamo.

L'Europa dà indicazioni sulla pianificazione strategica di sei anni in sei anni, noi siamo indietro di dodici anni rispetto alle indicazioni date dall'Europa su come avremmo dovuto spendere le risorse; infatti stiamo ancora rincorrendo la spesa sugli anni 2007-2013 nella finanziaria che vedrà il Consiglio regionale impegnato nella discussione a breve, mentre dovremmo avere oggi un'idea o un inizio di idea su cosa mettere a correre per la spesa 2014-2020. Giusto per stare a dati e numeri che comportano decine e decine, centinaia di milioni di euro che l'Europa riprende per distribuirli a coloro che invece sono virtuosi: regioni d'Italia, altre regioni d'Europa.

L'Europa dà queste indicazioni, lo Stato che fa nel frattempo? Lo Stato, semplicemente, salvo l'annuncio di poche ore fa su interventi, ragionamenti che il nuovo governo farà a partire dall'IMU, dal Patto di stabilità e da altri settori, che fa? Cito l'esempio di Cagliari. Tra il 2008 e il 2013 i trasferimenti dello Stato al Comune di Cagliari sono passati da 46 milioni di euro del 2008 a 1,800 mila euro del 2013.

Lo Stato semplicemente con il Patto di instabilità, perché il Patto di stabilità, se le parole ancora servono a definire, avrebbe dovuto comportare stabilità che persino in italiano vuol dire che stiamo tutti bene, cioè che si dà stabilità, certezza, possibilità di equilibrio, invece ha creato diseconomie, disequilibri, instabilità e una povertà diffusa negli enti locali. In tutta Europa il Patto di stabilità funziona bloccando la spesa di coloro che hanno sprecato e sono in deficit e in default economico, e invece consentendo la spesa agli enti che hanno risorse in cassa.

L'unica cosa che noi abbiamo pensato rispetto alla cassa è stato trasferire i soldi dei comuni in una tesoreria unica, e la prima conseguenza per gli enti locali è stata la richiesta, da parte degli istiituti bancari, di rivedere tutti i sistemi di rapporto e contratti con gli istituti che erano depositari della cassa dei comuni. Il Comune di Cagliari ha una cassa positiva di 260 milioni di euro che non può toccare, ma non si chiede niente altro che spendere le risorse, che abbiamo in cassa, dei cittadini cagliaritani non delle colonie che non abbiamo più né come Paese, se mai le abbiamo avute poco ci hanno dato, né come Cagliari città.

E la Regione che cosa dovrebbe fare? A mio parere la Regione dovrebbe, a valere sulla programmazione nazionale e comunitaria, essere il grande programmatore regionale fornendo ai comuni un supporto tecnico che risponda a quelle esigenze di progettazione e programmazione europea. Sfido chiunque a lavorare alla presentazione di progetti a valere sulla programmazione comunitaria come fa la maggior parte dei piccoli comuni avendo un vigile urbano, quando va bene (perché molte volte lo condividono con altri comuni) e un ingegnere che devono condividere anch'esso, quando va bene, quando ce l'hanno con altri quindici comuni.

Forse sarebbe il caso di non obbligare i piccoli comuni, pensando all'unione dei comuni, ma incentivarli dicendo che chi si mette insieme avrà capacità di spesa pari a tot e un sostegno, solo ed esclusivamente se insieme, per l'assunzione di professionalità di altissimo livello che possano aggredire i finanziamenti comunitari e quindi costituire un contributo per tutti quei comuni sulla programmazione strategica, in questo caso 2014-2020. Piani strategici, interventi, progetti, pertanto, e le province dovrebbero fare a cascata la stessa cosa.

Invece la Regione che fa? Delega ai comuni alcune competenze ma guai a delegare anche le risorse o, meglio, trasferire risorse in base alle competenze delegate. E poi dovrebbe porre incentivi per tutti quei comuni che ancora non si sono dotati di PUC, che ancora non si sono dotati di strumenti per l'organizzazione dei loro territori, e quindi dare certezze anche a coloro che sono i primi interlocutori: le cittadine e i cittadini. E i comuni si differenziano perché vi sono comuni piccoli, vi sono comuni che non sono più paesi, ma non sono neanche città, sono in questo limbo per come sono avvenute le trasformazioni, vi sono città di medie dimensioni e vi sono poche realtà di medio-grande dimensione nell'ambito delle aree più grandi che confinano con le città maggiori.

Queste differenze sono già individuate anche nell'ambito della ripartizione del Fondo unico, tenendo conto che il Fondo unico comunque è soggetto a Patto, quindi è un cane che si morde la coda in alcuni casi, che dà un aiuto in una direzione ai piccoli comuni perché si valuta il loro stato di disagio soprattutto relativamente allo spopolamento.

In relazione ad altri interventi pongo la questione, nella diversità di composizione, di organizzazione dell'architettura istituzionale della nostra regione, e degli enti locali che in essa insistono, della situazione dell'area metropolitana di Cagliari. Io chiedo che l'autonomia della Sardegna non sia un limite perché nella mia idea l'autonomia ti dava la possibilità di fare un qualcosa di più, non era un limite o un argine alle possibilità dei sardi, della Sardegna e degli enti locali.

Per Cagliari, vi ho già detto il dato economico. Altri dati riguardano la mobilità: 200 mila veicoli in ingresso al giorno, e le auto non si spostano da sole ma c'è almeno un autista; i rifiuti: un terzo dei rifiuti smaltiti in Cagliari non sono dei cagliaritani; le scuole: un terzo di coloro che frequentano le scuole. non sono di Cagliari; i servizi sociali: certo non si chiede il passaporto o la carta di identità per curare e assistere le persone.

Io non chiedo nulla o, meglio, non chiedo che si paragoni Cagliari al sistema di Roma capitale, però su Cagliari e l'area vasta insiste un terzo della popolazione della Sardegna, ma io non posso chiedere ai cagliaritani che sono sempre 156 mila di pagare servizi per 300 mila persone. Questo non lo si può chiedere.

Si conosce la realtà delle città capoluogo di regione, cosa insiste in esse in termini di servizi, in termini di altri enti che svolgono la loro attività nelle città capoluogo di regione, in termini di viabilità e trasporti, infrastrutture, porto e aeroporto, insomma sono qualcosa di più complesso da gestire rispetto a un condominio. Se si vuole che la città faccia da traino allo sviluppo dell'intera Regione, serve pertanto un aiuto in più, serve un aiuto in più e serve che non ci si intrometta sistematicamente.

Ricordo la discussione, e chiudo Presidente, sullo stanziamento dei sei milioni per lo sport che dovevano essere destinati al Palazzetto; l'altro giorno sull'asse mediano è caduto un traliccio di un impianto sportivo vicino al CONI per cui abbiamo destinato quelle risorse, grazie al Consiglio regionale, quei sei milioni di euro alla riqualificazione dell'impiantistica sportiva; diversamente dovremmo allontanare tutte le squadre perché questi impianti sono tutti in situazioni di degrado e di abbandono tali da mettere a rischio l'incolumità delle persone. Quindi vi sono delle priorità.

Numeri e dati alla mano ritengo si debba ragionare non semplicemente in base alle grandi idee, ma qualche volta guardando proprio i numeri. E, come chiedeva anche il Presidente della Provincia, e condivido: quante risorse sono state spese? in che direzione si è andati? che cosa va corretto? Grazie e buon lavoro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Provincia di Nuoro, Roberto Deriu.

DERIU Roberto, Presidente della Provincia di Nuoro. Presidente, anch'io, anche a nome delle province, mi associo a quanti hanno voluto manifestare condivisione con ciò che ha detto oggi la Presidente, essendo viceversa ciò di cui ha parlato il Presidente Ganau frutto della riflessione comune degli enti locali, e quindi perfettamente oggi rappresentata e rispecchiata nelle sue parole.

L'unica osservazione che si può fare è la denuncia in questa sala di una pericolosa insubordinazione degli apparati di questo Consiglio, credo lo si possa definire anche un ammutinamento, che evidentemente in contrasto con le direttive della Presidenza e della Presidente hanno voluto distribuire a coloro che sono oggi qua una targhetta con su scritto "visitatore", mentre la Presidente ci ha spiegato che siamo organo.

Attendiamo pertanto la distribuzione di un cartellino che rechi questa qualifica, molto più rispondente a quanto giustamente la Presidente ha espresso sulla qualità della presenza di questo Consiglio delle autonomie locali dinanzi, di fronte e accanto al Consiglio regionale. La legislazione però non ne è minimamente scalfita, diciamo che continuiamo a essere i "Visitors", e chi ha memoria della televisione degli anni ottanta può ben identificare la nostra qualità e la nostra natura in questa erudita citazione degli uffici del Consiglio.

Perché la legislazione regionale non è per niente scalfita dalla nostra presenza e dalla nostra compresenza, dalla nostra vicinanza e colleganza col Consiglio regionale, visto che si va dritti verso un centralismo fallimentare, che le ultime leggi vanno ancora di più a incrementare, fallimentare sotto il profilo della inosservanza di un principio di ottimalità nella distribuzione delle competenze e dei servizi, fallimentare rispetto alla tenuta e alla sostenibilità finanziaria di queste misure, e fallimentare rispetto alla tenuta democratica e alla qualità democratica della Sardegna, della quale ovviamente nessuno fa caso non essendo materia commestibile. Riservando viceversa questa materia al menù dei Visitors che di democrazia si cibano e che anche oggi sono venuti qua a reclamare vanamente una pagnotta, una galletta, o una briciola da questo Consiglio.

Tanto sono incoraggianti e sagge le parole della Presidente, altrettanto sono preoccupanti le nubi che si addensano all'orizzonte della nostra autonomia, del nostro sistema complessivo delle istituzioni, nelle ferite che riportano le nostre istituzioni autonomistiche, gli enti locali e anche le province. Ma soprattutto ciò che sanguina oggi è lo Statuto e la sua inosservanza da parte del Consiglio, nel momento in cui questo Consiglio si accinge a una riforma che a somiglianza di Godot non arriva mai.

E' un'attesa che si fa spasmodica nel momento in cui scadono le proroghe, si verifica l'impossibilità di un taglio netto al nodo gordiano della incostituzionalità e della violazione dello Statuto che costantemente sottende alle proposte in circolazione, e quindi anche queste famose province che è necessario, anzi urgentissimo abolire rimangono là sospese a far scadere i servizi che devono rendere alla collettività e a far aumentare il disdoro della classe politica che sembra di questo disdoro pascersi in tutta tranquillità.

Viceversa, signora Presidente e signor Presidente Ganau, bisognerebbe che questo Consiglio regionale accettasse un confronto, così come è stato richiamato da molti colleghi, da molti intervenuti, un confronto serio con le autonomie locali, per dare vita a quella grande riforma che è necessaria per uscire da un quadro di insostenibilità finanziaria, di insostenibilità democratica e di insostenibilità estetica di questa Sardegna che sta andando rapidamente a chiudere la legislatura in un quadro di infelicità; infelicità pubblica e infelicità privata che poi sfocia in tante piccole e terribili occasioni di dolore. Sentite i tuoni di una Sardegna che evidentemente non è più nemmeno soddisfatta del suo clima, tanto da manifestarlo in questa misura.

Quindi, nel restituire simbolicamente alla Presidente questo cartellino di visitatore chiedo quella maggiore attenzione, che sarebbe da auspicarsi, nei confronti del dettato e dello spirito delle nostre leggi fondamentali. Grazie.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la Vicepresidente della Provincia di Cagliari, Angela Quaquero.

QUAQUERO Angela, Vicepresidente della Provincia di Cagliari. Presidente, Presidente del Consiglio delle autonomie locali, consiglieri regionali e colleghi, grazie intanto per l'attenzione. E' un appuntamento annuale importante e, non volendo ripetere le cose già dette, focalizzerò il mio intervento su due punti che ritengo essenziali. Mi riferisco al Patto di stabilità: è troppo centrale perché non se ne parli.

Si è già parlato della Tesoreria regionale perché ci sia anche il senso della misura di quello che sta accadendo. A fronte di una impossibilità a spendere, anche per comprare i francobolli, abbiamo 165 milioni accantonati e bloccati: un fatto veramente di grande gravità. Nessuno di noi vuole sprecarli, nessuno di noi vuole aumentare la spesa corrente, inopinatamente o irresponsabilmente, pensiamo soltanto che anche una frazione a due cifre di questa somma può rimettere in gioco molto lavoro se è orientata saggiamente verso investimenti che mirino alla messa in sicurezza di strade, di scuole, a ciò che i cittadini ci chiedono sul versante del lavoro, della cultura e della sicurezza.

Dopo questa prima precisazione vorrei farne un'altra: stiamo attenti a non pagare più volte il pedaggio del Patto di stabilità. Il pedaggio del Patto di stabilità lo paga la Regione nei confronti dello Stato perché deve stare dentro certi confini di spesa, ma quando poi la Regione trasferisce dei fondi agli enti locali, comuni e province, si ricalcola la spesa su fondi che sono già stati tenuti presenti nel calcolo del Patto di stabilità.

Ho provato a chiedere in giro perché c'è questa discrasia. Mi dicono che la Provincia autonoma di Trento, per esempio, fa questo calcolo una volta sola perché assume su di sé i trasferimenti degli enti locali. Allora io credo che ci debba essere un modo condiviso per evitare questa sperequazione. Aggiungo un particolare, oltre al compiacimento per il fatto che è stata quantomeno confermata la cifra per gli enti locali del bilancio 2012, vorrei sottolineare che è sempre di grande importanza, e attendiamo tutti con ansia, il momento in cui la Regione ci comunica che maglie allarga in maniera condivisa, che quota di Patto ci trasferisce perché sia possibile spendere alla fine dell'anno una parte delle nostre risorse.

Questo atto è fondamentale ma arriva spesso troppo tardi e, ancora una volta, ci costringe a lavorare sulla parte di spesa corrente e a non poter mettere invece in cantiere, in senso metaforico, ma anche in senso proprio, gli investimenti; non possiamo sempre far conto sui Piani triennali perché, come noi sappiamo, sui Piani triennali abbiamo ben poche certezze dato che il Patto di stabilità, fino a questo momento, è stato modificato anche inopinatamente in itinere.

Detto questo, una riflessione sul rigore; lo sappiamo molto bene tutti, se ne parla moltissimo sulla stampa, se ne parla in tutti consessi: il rigore oggi sta portando nel nostro Paese a una corsa verso la recessione, alla produzione di minore reddito, al calo del PIL. C'è anche un altro aspetto del rigore che non sempre viene sottolineato, e cioè che questo tipo di rigore, che determina una assenza totale di investimenti sul benessere delle persone e sulla prevenzione, sta portando a un innalzamento geometrico del disagio e il disagio sociale lo si paga, lo si paga più volte, lo si paga sulla pelle delle persone.

Non starò qui adesso a elencare i disagi che, per esempio, vediamo incarnati nei suicidi che in questi mesi si stanno verificando con una terrificante progressione, ma si tratta di valutare anche un piano sociale più allargato. E' una legge di economia sociale quella che ci dice che, se oggi non investo un euro nella prevenzione del disagio, tra un anno dovrò pagarne almeno due per affrontare quel disagio e questa spesa aumenterà di anno in anno. E' quello che sta accadendo sotto tutti i profili e in tutti i settori.

Non mi dilungherò su questo punto, ci basti ricordare che le fasce più deboli sono rappresentate nelle persone che vivono nelle zone più interne, con meno risorse, con meno opportunità: i nostri giovani che hanno bisogno di formazione e di cultura, i nostri anziani che vedono indebolirsi le reti di supporto e, permettetemi di dire, le donne. Per le donne il lavoro è sempre meno, per le donne i servizi non ci sono, e io credo vivamente che uscire da questa crisi a livello nazionale, a livello internazionale ma, permettetemi, a livello regionale e locale sia del tutto illusorio se non diamo alle donne il supporto giusto.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà.

PITTALIS (P.d.L.). Come è noto, questa riunione è obbligatoria per legge, il che se da un lato le conferisce importanza e anche solennità, dall'altro però rischia di risolversi in un rituale nel quale i consiglieri regionali ascoltano gli interventi dei rappresentanti del sistema delle autonomie locali, e viceversa. Mi pare però che l'intervento introduttivo della Presidente del Consiglio, così come anche l'intervento del Presidente del Consiglio delle autonomie locali ci invitino a fare qualcosa di più.

Proprio per non cadere nel rischio di essere una voce che si presta a un mero rituale, dico subito che in primo luogo questa riunione avviene nel momento in cui il paese finalmente ha un Governo: un Governo con le idee chiare su quello che deve fare. Ci auguriamo che abbia le idee chiare anche sull'attenzione che deve rivolgere verso regioni come la nostra per le numerose vertenze ancora aperte e che attendono risposta.

Ci fa ben sperare anche la qualità dei ministri, in particolare quei ministri che nello specifico si dovranno occupare del rapporto con il sistema delle regioni, perché davvero ci sia un cambiamento di rotta e dunque una maggiore considerazione e una risposta alle tante istanze che anche la Sardegna in numerose vertenze ha rappresentato, con il supporto fattivo di tutte le parti economiche e sociali dell'Isola, dei nostri parlamentari, dei consiglieri regionali, dei sindaci e dei presidenti delle province.

Mi pare sia anche chiaro che uno dei punti qualificanti di questo Governo, l'ha detto molto chiaramente proprio nelle dichiarazioni programmatiche il Presidente Letta, sia l'eliminazione delle province. Lo ha detto nell'ambito di un discorso articolato che riguarda la riduzione dei costi dello Stato e che comprende anche l'eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti. Sono segnali sui quali sicuramente rifletteremo e discuteremo; sono importanti novità che non possono essere sottaciute nel confronto che si sta svolgendo tra l'istituzione Consiglio regionale e il sistema delle autonomie locali.

Secondo aspetto, io lo dico senza mezzi termini, logicamente parlo a me stesso e parlo ai colleghi consiglieri regionali, molte delle cose che abbiamo sentito sono certamente da ascrivere a responsabilità della politica; io sono anche consapevole che c'è un ruolo di maggioranza e un ruolo di opposizione, ma alcune questioni attinenti al lavoro, al disagio sociale, al precariato, ci hanno visto unirci senza distinzione di appartenenza.

Io penso quindi che la politica, che è ancora pervasa da autoreferenzialità, debba e possa fare uno sforzo ulteriore per superare la contrapposizione, non parlo di pregiudizio, esistente tra le forze politiche su materie importanti, delicate come l'ordinamento delle autonomie locali.

Quindi, per rispondere all'appello del Presidente del Consiglio faccio mio un brocardo, "in variegate concordia, che ha consentito agli Stati europei di unirsi sotto un'unica bandiera e che forse, mai come in questo caso, direi possa essere applicato e calato nella nostra realtà. Poiché, colleghe e colleghi, signori rappresentanti delle autonomie locali, il sistema regionale è ancora permeato da un centralismo davvero insopportabile, da un elefantismo burocratico che mortifica il sistema delle autonomie locali (so che dopo di me interverrà il Presidente del Gruppo del P.D. a nome dell'opposizione) noi proponiamo, conclusa la finanziaria e i collegati alla finanziaria, di iniziare possibilmente a dare risposta ai quesiti referendari.

E, nel dare risposta ai quesiti referendari, porci il problema di come riformare l'ordinamento delle autonomie locali, facendolo non soltanto nel chiuso delle nostre Commissioni consiliari ma nel confronto aperto con il sistema delle autonomie locali, cercando però di fare un passo in avanti che consenta davvero il superamento di quel centralismo di cui dicevo.

Ci siamo occupati di finanziaria qualche giorno fa e devo dire che fa specie vedere che l'Assessore dei lavori pubblici, ma non è una critica ad Angela Nonnis, bravissimo Assessore, ma all'Assessore come istituzione, debba occuparsi ancora oggi addirittura di politiche cimiteriali; siamo cioè al paradosso che la Regione conserva e ancora gestisce poteri e risorse che, con una decisa svolta, può trasferire invece completamente al sistema delle autonomie locali. Questa è la sfida che noi proponiamo.

Ho riportato l'esempio degli interventi sui cimiteri, ma i capitoli di bilancio simili abbondano, non solo nei Lavori pubblici ma in tutti gli Assessorati; quindi la sfida è proprio questa, subito dopo la finanziaria e i collegati, in uno con le leggi di attuazione dei referendum, porsi il problema, e abbiamo ancora il tempo a disposizione per farlo, di come intervenire sulla disciplina del sistema delle autonomie locali rendendolo un sistema che consenta ai sindaci di continuare a fare i sindaci senza fare quell'interminabile sequela di viaggi a Cagliari, sentendosi come qualcuno che viene in Regione a bussare, a chiedere, a disturbare.

Questi, sì, sono sistemi che fanno parte di un modo di concepire la politica che forse aveva un senso tantissimi anni fa; ma oggi noi dobbiamo aprirci alla modernizzazione e, soprattutto, la politica deve precedere quella antipolitica che oggi è dominante. E noi non avremmo fatto certamente un buon lavoro ma avremmo davvero sprecato tempo prezioso se continuassimo ad alimentare quella antipolitica con i nostri comportamenti.

Presidente, invito l'opposizione perché su questo tema non ci si divida ma si possano trovare utili e proficue convergenze.

PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Lei, presidente Lombardo, aprendo questa riunione ha richiamato l'esigenza di non considerare la stessa come una mera consuetudine: sembrava che lei avesse trasferito questo messaggio qualche ora fa al presidente Ganau, perché il presidente Ganau mi pare che abbia interpretato in maniera del tutto perfetta questa sua indicazione.

Infatti il presidente del CAL ha, in maniera condivisa almeno per quanto mi riguarda, messo l'accento sui limiti di questo rapporto. E mi è sembrato di cogliere in quelle affermazioni forti ma doverose (altrimenti regnano l'ipocrisia e il formalismo, e questo non serve ad alcuno) almeno io così voglio leggerle, la rappresentanza e la testimonianza di un Consiglio delle autonomie locali che finora è stato chiamato in causa soltanto per esprimere il parere sulle leggi per le quali è richiesto.

Perché non dirci, lo dico anche all'onorevole Pittalis, senza per carità puntare il dito addosso a nessuno perché è una responsabilità di tutti, che spesso in questo Consiglio si è vissuto il rapporto con il CAL quasi come una perdita di tempo? E questo certamente non ha permesso di costruire un rapporto fecondo come sarebbe stato necessario se avessimo voluto davvero esaltare la funzione e il ruolo del CAL.

Io tuttavia sono d'accordo con il Presidente del Consiglio regionale e con il Presidente del CAL: sarebbe stato importante, proprio per rendere questo confronto non una mera consuetudine, come ci ha ricordato il presidente Claudia Lombardo, che a questi lavori avesse partecipato per esempio anche il Presidente della Regione, che in più di un passaggio è stato richiamato dal Presidente del CAL. Certo, il CAL è un organo della Regione autonoma della Sardegna ma il rapporto e il confronto sono con l'Esecutivo regionale, quindi speravo - lo dico ovviamente con un pizzico di ironia -conoscendo la qualità del rapporto del Presidente della Giunta con il Consiglio regionale, che Gianfranco Ganau ci rappresentasse un rapporto con una qualità diversa. Ahinoi, invece mi pare che non sia cambiato nulla sotto questo aspetto.

Noi siamo alla fine di questa legislatura, poi tornerò anche sull'invito-appello fatto dal collega Pittalis, ma perché non dirci che sul tema delle riforme in questa legislatura, che doveva essere la legislatura per attuare delle riforme, abbiamo perso quattro anni? Io non voglio sempre differenziarmi, però mi sembra che quattro anni persi non possano essere attribuiti in egual misura a chi ha avuto la responsabilità di governo e a chi non l'ha avuta, questo per onestà intellettuale e per leggere politicamente i fatti. Non c'è Paese moderno in questo mondo in cui non ci sia un'alternanza delle maggioranze che governano, le cose diverse possono servire in determinati momenti ma devono essere per un periodo limitato, altrimenti diventa difficile pensare davvero a una democrazia moderna.

Questo è il mio modestissimo pensiero, e d'altronde in quest'Aula, anche solennemente, negli anni passati abbiamo invitato al confronto su alcuni temi che hanno richiamato anche il Presidente del CAL, alcuni sindaci che sono intervenuti e i Presidenti delle Province: noi siamo in credito, un credito molto importante, fortissimo, che poi si traduce nell'impossibilità di mettere a disposizione risorse per l'economia di questa Regione, nei confronti dello Stato in relazione alla riscrittura dell'articolo 8 dello Statuto. Questo è stato un tema nel quale si è esaltata la specialità e l'autonomia, e la Regione in quell'occasione ha saputo declinare la specialità e l'autonomia nell'assumersi la responsabilità di gestire direttamente la sanità, il trasporto pubblico locale, la continuità territoriale, e potrei anche aggiungere qualche altra cosa.

Allora, io ho voluto richiamare questi aspetti per dire semplicemente, presidente Lombardo, che credo lei abbia ragione quando dice che questo incontro non deve essere una mera consuetudine; ma, perché ciò non avvenga noi dobbiamo fare qualcosa che faccia percepire al sistema delle autonomie locali che queste riunioni non sono una mera celebrazione, così come è stato per quattro anni, per cui ricorderemo alcuni passaggi importanti dei discorsi del presidente Lombardo e del presidente Ganau, senza essere però consequenziali.

All'ordine del giorno, tra i primi punti dell'agenda politica di questo Consiglio regionale, ci sono un tema, anzi due temi. Il primo è la finanziaria la cui discussione in Aula inizia domani. E' stato importante il lavoro fatto in Commissione, lo riconosceva il presidente Ganau, sulla doppia contabilità, passatemi il termine, del Patto di stabilità; un fatto importante, ma mi richiamo alle cose dette da Ganau per una questione di brevità.

Nel corso di questa seduta noi avremmo potuto anche non intervenire, sarebbe bastato ascoltare in maniera seria, quel tipo di ascolto che si rende disponibile a recepire le osservazioni pervenute dal sistema delle autonomie locali. Quindi nelle prossime settimane inizia la discussione sulla finanziaria; in presenza di una situazione economica quale è stata ricordata dai sindaci e dai presidenti delle province noi dobbiamo urgentemente mettere le poche risorse a disposizione del sistema delle autonomie locali perché solo attraverso i comuni noi riusciamo a spendere immediatamente.

Il Presidente del CAL ha fornito anche un'indicazione, che io sposo perché l'abbiamo proposta anche gli anni passati: c'è un euro da spendere, bene, si spenda quell'euro per mettere a norma gli edifici scolastici e gli edifici pubblici perché quegli interventi, consentendo di utilizzare immediatamente le risorse, movimentano un minimo l'economia in diversi settori e comparti.

L'altro tema di straordinaria importanza è quello relativo alle riforme su cui ha rivolto un appello anche il Capogruppo del P.d.L.; e in tema di riforme sono di straordinaria importanza la riforma della legge elettorale e quella degli enti locali. Quest'ultimo è un punto molto delicato, infatti è stato svolto un referendum, sul cui risultato si è pronunciato il presidente Deriu; su questa materia noi dobbiamo impostare una discussione seria, tenuto conto che nella Commissione competente da parte del CAL sono state avanzate delle osservazioni serie, impegnate, a testimonianza di un punto di vista sulla gestione della cosa pubblica nel territorio.

E' vero, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha parlato di abolizione delle province, c'è stato un referendum per l'abolizione delle province, io credo quindi che in maniera condivisa, e per me condivisa non vuole dire soltanto accordo tra la maggioranza e l'opposizione in Consiglio regionale, ma arrivare a una sintesi tra il Consiglio regionale e il sistema delle autonomie locali, dobbiamo cogliere l'occasione per snellire le funzioni della Regione.

Alla Regione pertanto devono rimanere soltanto i compiti di pianificazione, di programmazione e, soprattutto, la funzione legislativa; le altre competenze devono essere trasferite, ovviamente, verso il sistema delle autonomie locali perché le autonomie locali sono il livello istituzionale più vicino al cittadino e noi, se vogliamo recuperare un minimo di sintonia con i cittadini, dobbiamo assegnare ai comuni il massimo dell'iniziativa di governo nel territorio. Su questo serve una soluzione condivisa.

Per conseguire questo obiettivo non bisogna usare però armi diverse dalla dialettica politica e non si possono usare, in maniera tranchant, nemmeno i pronunciamenti che ci sono stati per quanto popolari essi siano. Se noi pensiamo veramente, indipendentemente dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, di essere un soggetto politico e istituzionale che esalta la specialità e l'autonomia, non dobbiamo farci dire come organizzare il sistema delle autonomie locali in questa Regione ma dobbiamo essere capaci, e assumerci la responsabilità, di indicarne noi l'organizzazione e l'articolazione. O riusciamo a fare questo oppure saranno non quattro anni persi ma cinque, che nessuno ci perdonerà.

Per quanto ci riguarda noi siamo pronti a questo confronto, con questa accezione, sul tema della riforma della legge elettorale; e sul tema della riforma del sistema delle autonomie locali noi pensiamo che ci debba essere una soluzione condivisa ma in questa condivisione ci deve essere innanzitutto, ripeto, il governo del sistema delle autonomie locali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, per l'ultimo intervento, l'Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio, Alessandra Zedda.

ZEDDA Alessandra (P.d.L.), Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio.Presidente, un saluto anche da parte della Giunta a tutti gli ospiti presenti, agli amici amministratori. La grave crisi internazionale e il gigantesco livello di debito accumulato dallo Stato hanno indotto il Governo ad adottare misure straordinarie. Per rispettare gli accordi, presi anche in sede europea, l'Italia si è impegnata ad abbassare l'indebitamento della pubblica amministrazione a cui contribuiscono in rilevante misura le Regioni; per ridurre i trasferimenti in favore delle Regioni e diminuire i loro spazi finanziari il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) utilizza, come tutti sappiamo, due strumenti: il Patto di stabilità e gli accantonamenti dell'entrata che determinano di fatto la riduzione delle evoluzioni delle quote di compartecipazione ai tributi erariali spettanti alle Regioni a Statuto speciale e alla pubblica amministrazione.

La manovra di programmazione economica e finanziaria ha come obiettivi principali quello di proseguire nella difficile sfida al contrasto degli effetti della grave crisi economica e finanziaria, che continua a colpire tutta l'eurozona, e nel contempo quello del mantenimento delle nuove direttrici di sviluppo per la nostra Isola avviate fin dall'inizio della presente legislatura.

Devo anche dire che oggi, a seguito del sereno ma serio confronto avvenuto sia con i rappresentanti delle autonomie locali (tra cui il CAL, l'ANCI, l'UPS, l'UPI) e, soprattutto, con le associazioni di categoria nonché ovviamente con la nostra Commissione consiliare, parliamo di una finanziaria che è stata migliorata e che ,già dall'inizio, tiene conto anche di tutte le istanze che sono state rappresentate, ancora una volta, in quest'Aula.

Voglio sottolineare, inoltre, che nel contesto in cui stiamo vivendo il Patto di stabilità e la nostra non adeguata capacità di spesa, malgrado il riconoscimento delle entrate, pesano veramente come macigni. Gli interventi appena citati, posti in essere dal Governo nazionale per il mantenimento della finanza pubblica, penalizzano maggiormente la nostra Isola. Voglio richiamare in particolare la recente legge numero 243 del 2012, legge di attuazione dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito anche dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, numero 1, che ricorda il pareggio del bilancio e sostanzialmente introduce nell'ordinamento nazionale regole comunitarie a cui tutti dobbiamo attenerci: Six-pack prima e il Fiscal compact poi. In particolare l'articolo 3 stabilisce l'obbligo per le amministrazioni pubbliche articolate nei sottosettori delle amministrazioni centrali, delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza e assistenza sociale, di assicurare proprio l'equilibrio dei bilanci a cui deve corrispondere l'obiettivo di medio termine, cioè il nostro saldo strutturale.

Fin dal suo insediamento la Giunta regionale ha rivendicato in ogni sede i diritti della Regione difendendone le prerogative con tutti gli strumenti disponibili. Già dal 2010 sono accertate tutte le maggiori nuove entrate derivanti dal novellato articolo 8 dello Statuto. La Corte dei conti (questo credo sia un passaggio molto importante) in sede di parifica del rendiconto, ha sempre ritenuto corrette le operazioni contabili poste in essere dalla Regione, confermate espressamente nella sentenza della Corte costituzionale 118 del 2012.

In questa sentenza viene messo in evidenza che il principio inderogabile dell'equilibrio in sede preventiva di bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati nel suo ambito i profili della spesa e quelli dell'entrata. La Corte costituzionale ha quindi sempre respinto gli attacchi governativi volti a dichiarare illegittime le norme regionali che consentono alla Regione di accertare le compartecipazioni erariali.

Grazie a un comportamento sempre equilibrato, paziente, ma mai remissivo, oggi la Regione può legittimamente reclamare la devoluzione dei residui attivi iscritti a bilancio e l'adeguamento del Patto di stabilità, forte dei pronunciamenti della Corte dei conti e della Corte costituzionale, nonché della iscrizione degli stessi nel bilancio di assestamento dello Stato che contiene le quote da devolvere alla nostra Regione.

In Sardegna il Patto di stabilità, come ho detto, e come tutti avete sottolineato, incide in miniera superiore a quanto avviene nelle altre regioni proprio perché lo Stato non ha ancora provveduto a riequilibrare i tetti della spesa con il nuovo livello delle entrate regionali. Infatti, nonostante queste siano cresciute di circa 1 miliardo e 600 milioni di euro, al netto delle maggiori spese sanitarie e di quelle per i trasporti di continuità territoriale, i tetti di spesa attualmente riconosciuti risultano di gran lunga inferiori a quelli assegnati prima dell'entrata a regime del nuovo sistema finanziario in quanto originano da un livello di spesa riferito all'anno 2005, quindi prima della riforma del Titolo III.

Nel 2009 il livello massimo degli impegni e quello dei pagamenti era determinato rispettivamente in 3 miliardi e 793 milioni e in 3 miliardi e 108 milioni di euro. Nel 2013 è stimato nell'identico importo in 2 miliardi e 510 milioni sia per impegni che per pagamenti.

Per effetto delle misure scadute delle ultime manovre statali e per il mancato adeguamento del nostro Patto di stabilità interno, nonostante la crescita delle entrate, la spesa regionale, anziché crescere, rischierebbe di diminuire drasticamente. Gli impegni del 2013 rispetto al 2009 diminuirebbero di circa 1 miliardo e 200 milioni di euro e i pagamenti di circa 520 milioni di euro. Se noi diamo uno sguardo adesso all'ammontare complessivo delle entrate tributarie regionali vediamo che è rimasto sostanzialmente invariato rispetto alle entrate tributarie del 2012. Un leggero aumento dello 0,4 per cento.

Le entrate tributarie regionali sono complessivamente stimate in 6 miliardi e 598 milioni di euro al netto degli accantonamenti pari a 431 milioni; in particolare possiamo contare tributi propri stimati in 848 milioni e compartecipazioni e tributi erariali in 535 milioni; le compartecipazioni ai tributi erariali devoluti alla RAS dalla Ragioneria generale dello Stato sono stimate in 5 miliardi e 214 milioni, al netto sempre degli accantonamenti.

Al netto dei ricavi per mutui e delle partite di giro, le entrate complessive della Regione ammontano nel 2013 a 7 miliardi e 125 milioni, così come sotto specificato, entrate tributarie come ho già citato 6 miliardi e 598 milioni e i trasferimenti di parte corrente di Stato e di UE 203 milioni. Entrate tributarie per 43 milioni, alienazione di beni e trasferimenti in conto capitale da Stato e UE 279 milioni.

Le entrate da compartecipazioni erariali uniche e disponibili, in quanto manovrabili, rispetto all'esercizio 2012 si riducono di oltre il 7 per cento in termini assoluti, quindi oltre 500 milioni, con la necessaria conseguenza di dover proseguire nell'azione di risanamento del bilancio attraverso il sistematico processo di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, avviato già con le precedenti manovre, che consente però in questo quadro finanziario di non ricorrere a nuovo indebitamento a pareggio del bilancio.

La spesa della Regione, al netto dei mutui e delle partite di giro è pari a 6 miliardi e 250 milioni per le spese correnti, 682 milioni per spese di investimento e 192 milioni per rimborso dei mutui.

La manovra finanziaria 2013-2015 è stata predisposta in conformità alle disposizioni dell'articolo 4 della legge di contabilità regionale e ha sempre l'obiettivo principale di proseguire nella difficile sfida del contrasto agli effetti della grave crisi economica e finanziaria che continua a colpire tutta la nostra Isola, mantenendo però, nel contempo, le nuove direttrici di sviluppo per l'Isola avviate sin dall'inizio della presente legislatura. La Regione è sempre riuscita a salvaguardare le spese obbligatorie e vincolate e le principali spese storiche: il sociale, i servizi alla persona e alle categorie più svantaggiate, gli ammortizzatori sociali, il Fondo unico a favore degli enti locali, l'Università e la ricerca, il trasporto pubblico locale.

Con la manovra 2013 si imporrebbero ulteriori tagli per circa 550 milioni che andrebbero proprio a intaccare queste categorie di spesa che invece per la loro finalità sono incomprimibili. Ecco perché, a seguito della battaglia sulla vertenza entrate e sul Patto di stabilità si è deciso di perseguire anche l'ultima, possibile azione netta e drastica: procedere con una norma regionale ad autodeterminare un nuovo livello del Patto di stabilità interno e il conseguente innalzamento della nostra capacità di spesa adeguato al nuovo regime delle entrate.

Con la manovra finanziaria 2013 la Regione pertanto, in assoluta coerenza con quanto già sancito, come ho precedentemente detto, dalla Corte costituzionale e dalla Corte dei conti, procede con uno specifico articolo della legge finanziaria all'adeguamento del Patto di stabilità interno per un importo pari a 1 miliardo e 200 milioni di euro.

Gli interventi più significativi della manovra in approvazione riguardano il proseguimento del processo di razionalizzazione e contenimento della spesa corrente e la semplificazione dell'azione amministrativa; il proseguimento delle azioni di governo volte a contrastare le emergenze, economica e sociale, con la conferma degli interventi relativi al fondo regionale per la non autosufficienza, al piano straordinario per l'occupazione e per il lavoro, alle spese per l'istruzione di base, l'istruzione universitaria, la ricerca e l'alta formazione, alle misure straordinarie come il reddito di comunità per il sostegno dei consumi e il rimborso IMU, alla valorizzazione dei rapporti con le autonomie locali; e ricordo ancora le azioni anche straordinarie per favorire la crescita e lo sviluppo a sostegno prioritario delle imprese, tra cui il credito di imposta, i fondi di garanzia, i contributi in conto capitale e in conto interessi; nonché le forme di credito per tutte le attività produttive, compresa quest'anno l'agricoltura.

In questi giorni, però, il tema sullo sblocco dei pagamenti, con l'approvazione del decreto legge numero 35/2013 è al centro del dibattito politico. Il mancato adeguamento del Patto all'accresciuto livello di entrate ha indubbiamente e ragionevolmente compresso la nostra capacità di spesa. Ecco perché si è arrivati a contare residui passivi per oltre 2 miliardi di euro nell'arco dell'ultimo triennio. Per questi gravi problemi di carattere finanziario che limitano in maniera determinante la Regione, anche nel sostenere spese storiche di rilancio e di sviluppo dell'Isola, si è cercato di adeguare il bilancio e si è avuto però un forte ritardo nella sua approvazione stando ai termini di legge. Ciò ha avuto e continua ad avere delle dirette conseguenze sui mancati pagamenti dei debiti commerciali contratti dalla Regione nei confronti del sistema produttivo regionale, già fortemente penalizzato dagli effetti devastanti della perdurante crisi economica e sociale, ben nota anche ai rappresentanti dell'Esecutivo nazionale che venendo in loco hanno potuto constatarne la drammaticità.

Con l'approvazione del decreto legge numero 35/2013, contrariamente a quanto già richiesto ripetutamente dal presidente Cappellacci ai ministri Grilli e Passera, duole rilevare che non sono state recepite le richieste avanzate e che da oltre tre anni costituiscono le rivendicazioni della Sardegna; rivendicazioni ancora una volta disattese. Ecco perché sarà di fondamentale importanza quell'opera che il Parlamento potrà fare attraverso i parlamentari sardi nell'accoglimento della proposta di emendamento già inoltrata dal presidente Cappellacci.

La manovra per gli anni 2013-2015 avrà necessità di un assestamento durante l'esercizio in corso proprio per monitorare l'adeguamento del Patto e il contenimento della spesa nonché per l'accelerazione delle azioni strategiche relative ai fondi comunitari e agli interventi su rilancio e sviluppo. In ordine ai contenuti della finanziaria e del bilancio, e relativamente anche alle osservazioni contenute nel parere del Consiglio delle autonomie locali, si fa presente che il Fondo unico stanziato, pari a 580 milioni di euro, e il totale dei finanziamenti degli enti locali, pari a quasi un miliardo di euro, sono spendibili; cioè essendo venuta meno la tabella F le priorità di spesa sono definite all'interno di ciascun Assessorato.

Inoltre sono disponibili la parte destinata al servizio idrico integrato che è rimasta invariata, così come è stata adeguata la dotazione finanziaria per il funzionamento del CAL (avevate ragione, è stato un errore contabile); sono confermati per l'anno 2013 ancora i fondi per i cantieri comunali; per fronteggiare l'emergenza sociale e la povertà sono stati stanziati, è vero, 25 milioni e quindi è stata prevista una diminuzione di circa 5 milioni, però questi sono stati integrati attraverso il reddito di comunità pari a 20 milioni di euro e il contributo sul pagamento IMU pari a 25 milioni di euro.

Per quanto riguarda la posizione del debito commerciale è garantita la priorità di spesa a favore dei debiti commerciali degli enti locali. La Regione prevede a favore degli enti locali il pagamento di residui di parte corrente pari a circa 360 milioni di euro e 140 milioni di euro in conto capitale. Sono fatte salve le autorizzazioni di spesa destinate alla realizzazione di opere pubbliche a esecuzione diretta, in delega e/o in concessione che necessitano di un progetto esecutivo purché lo stesso risulti approvato entro e non oltre 120 giorni dall'entrata in vigore della legge finanziaria. E' previsto lo stanziamento per il 2013 dei 50 milioni delle opere cantierabili; insieme alla Commissione sono stati inoltre approvati 2 milioni di euro per il servizio civile e volontario in Sardegna; ancora trovano conferma l'Azione bosco, i cantieri verdi, la bonifica delle aree minerarie dismesse.

Un'ultima considerazione sul punto che tutti avete citato come una grande ingiustizia: la doppia incidenza del Patto di stabilità. Bene, tanti sono i ragionamenti sul tavolo tra cui la richiesta ufficiale fatta dalla Regione autonoma della Sardegna di poter scomputare dal Patto di stabilità i trasferimenti per gli enti locali, in particolar modo il trasferimento del Fondo unico che a oggi la Sardegna, unica regione italiana insieme alla regione Sicilia, trasferisce direttamente ai propri enti locali in un fondo unico ad hoc. Quindi crediamo che su questo ci debba essere un ripensamento da parte dello Stato italiano.

Non solo, è stata contemplata la possibilità di attivare il trasferimento diretto proprio di questa parte di finanziamenti, in particolare del Fondo unico dallo Stato agli enti locali al fine di evitare appunto la doppia incidenza. Ma abbiamo fatto anche degli approfondimenti; abbiamo ovviamente già dichiarato di essere disponibili al Patto verticale incentivante per un totale di 60 milioni, così pure come abbiamo dato la disponibilità al Patto verticale e al rispetto anche della legge regionale numero 15 del 2010.

Voglio ancora ricordare che di fatto lo stanziamento, disponibile grazie anche all'operazione del debito commerciale, dà una disponibilità di allungamento del Patto di 300 milioni che crediamo, ovviamente, possa andare a favore delle imprese e degli enti locali.

Quindi io credo che il confronto sereno, corretto e produttivo, che c'è stato fino a oggi, insieme a speranza, fiducia e coraggio debbano essere le direttrici a supporto dei nostri ragionamenti e dei nostri numeri al fine di poter iniziare insieme quella gara di un campionato (permettetemi di fare questo richiamo ricordando il mondo da cui provengo), in cui come spesso succede alle nostre squadre isolane non si vince quasi mai uno scudetto e neanche si partecipa a gare in Europa, ma si raggiunge la salvezza tanto voluta.

PRESIDENTE. Il Consiglio riprenderà domani, martedì 30 aprile, alle ore 10 per l'esame della manovra finanziaria. Convoco la Conferenza dei Presidenti di Gruppo.

La seduta è tolta alle ore 18 e 34.