Seduta n.448 del 20/12/2013 

CDXLVIII SEDUTA

Venerdì 20 dicembre 2013

Presidenza della Presidente LOMBARDO

La seduta è aperta alle ore 10 e 19.

PERU, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 29 aprile 2013 (394), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Gian Vittorio Campus, Lorenzo Cozzolino, Angelo Francesco Cuccureddu, Attilio Dedoni, Paolo Dessì, Rosanna Floris, Giorgio Locci, Gerolamo Licandro, Valerio Meloni, Franco Mula, Alberto Randazzo e Teodoro Rodin hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 20 dicembre 2013.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Seduta congiunta del Consiglio regionale con il Consiglio delle autonomie locali sullo stato del sistema delle autonomie in Sardegna (articolo 10 della legge regionale 17 gennaio 2005, n. 1)

PRESIDENTE. Signor Presidente del CAL, signori componenti del CAL, cortesi amministratrici e amministratori, colleghe e colleghi, con l'adozione della manovra finanziaria ci avviamo velocemente verso la conclusione della quattordicesima legislatura della nostra storia autonomistica. Per questo motivo, già in apertura, vorrei porgere un sentito ringraziamento al Consiglio delle autonomie locali, al suo Presidente e ai suoi componenti, presenti e passati, per l'utile, puntuale e autorevole ausilio che hanno fornito alla nostra Assemblea in un clima sempre improntato a una leale e reciproca collaborazione. Una legislatura nell'ambito della quale le sedute congiunte con il CAL hanno rappresentato un momento importante di confronto, di valutazione, di riflessione corale su temi portanti non solo in riferimento alla manovra finanziaria annuale, ma su tutto il complesso di rapporti e correlazioni fra istituzioni regionali e sistema degli enti locali.

Questa occasione, in particolare, trattandosi dell'ultimo appuntamento della legislatura, può rappresentare la sede ideale per una riflessione a tutto campo. Una valutazione dei fatti che hanno contraddistinto la tenuta dei diversi momenti di confronto fra CAL e Consiglio regionale che, però, non si limiti all'esame delle sole materie che la legge istitutiva demanda alle sedute congiunte. Precisamente un bilancio, per quanto parziale, sullo stato della nostra Isola che vive un tempo di grande travaglio sociale, economico e istituzionale per via dei fatti eccezionali che hanno caratterizzato il sistema socioeconomico e quello politico in questo ultimo quinquennio. La disaffezione crescente dalla politica, la grande crisi economica e finanziaria mondiale, il dramma sempre più incombente della perdita del lavoro e dell'incedere di nuove povertà e, per ultimo, come se non bastasse, la eccezionale calamità alluvionale del novembre scorso con la sua tragica scia di vittime, lacrime, disperazione e polemiche in una terra già martoriata di suo.

Tutta l'Isola è pervasa da un sentimento di frustrazione e rabbia per una involutiva condizione economica, finanziaria e sociale che trova pochi precedenti nel passato e per la quale, nell'immediato, gli spiragli futuri non sembrano aprire a orizzonti di grande aspettativa. In aggravio, il quadro regionale è devastato da un accentuato distacco nei confronti della politica e delle istituzioni, con livelli di disaffezione davvero mai raggiunti prima, che rendono difficoltoso lo svolgersi di ogni utile azione politico-amministrativa che i tempi invece richiederebbero.

Questo ha finito per incidere inevitabilmente sulla legislatura presente, che si è denotata per un insieme di luci e ombre in egual misura. Una legislatura, infatti, dove si sono toccati momenti altissimi di spirito unitario, con la convergenza di tutte le forze politiche su di un fronte comune al fine di affrontare al meglio le grandi battaglie per i diritti del nostro Popolo, cui si sono succedute fasi di aspra e aperta polemica, dove il cammino unitario è stato clamorosamente smarrito.

Il faro delle riforme, che ha caratterizzato il periodo iniziale della legislatura, si è lentamente oscurato per inseguire le drammatiche fasi delle mille emergenze che ci hanno investito, denotate da una costante emorragia di posti di lavoro, chiusura di imprese e moria di aziende. Tutte vertenze che hanno assorbito le nostre energie, che hanno riportato a galla i sintomi di una crisi che in Sardegna è sempre latente tanto da essere cronica. Crisi che una volta esplosa ha accentuato oltremodo i toni e le manifestazioni di criticità, esplose spesso in manifestazioni di intolleranza sociale, in diverse piazze dell'Isola, tanto da assumere i contorni di un fenomeno ed essere definita la nuova "Questione Sarda" nell'ambito degli equilibri economici e sociali della Repubblica.

Lo scontro con i Governi centrali su questioni nodali, come quelle che riguardano per esempio la partita delle entrate fiscali, della continuità territoriale e del crollo del settore industriale, che rappresentano una vera e propria vergogna nazionale per come è stata trattata l'Isola, ha toccato livelli elevatissimi di rottura difficilmente riscontrabili in altrettanti episodi precedenti. Di fronte a questa ondata di eventi eccezionali spesso, purtroppo, ci siamo trovati inermi nel constatare i limiti degli strumenti di uno Statuto di specialità che si è dimostrato abbondantemente superato. Ciò ha determinato una paralisi dell'efficacia delle iniziative politiche, laddove i diritti dei sardi non trovavano una adeguata tutela normativa nei rapporti tra Stato e Regione che spesso ci hanno visto soccombenti pur essendo la ragione dalla nostra parte, come per la vertenza sulle entrate fiscali.

La Regione si è trovata sola ad affrontare una situazione di piena emergenza sociale ed economica con strumenti normativi vetusti e insufficienti, carenza di risorse finanziarie e limitazioni potestuali. L'Assemblea regionale anch'essa ha subito questa situazione di eccezionalità riscontrabile nel fatto che la stragrande maggioranza delle leggi approvate nel corso della legislatura ha avuto un carattere contingente, con provvedimenti adottati per incidere nel breve periodo e condizionati dall'incedere delle varie emergenzialità sociali ed economiche.

La qualità della legislazione regionale è stata dunque ampiamente vincolata dal protrarsi della crisi economica, dalla sua forte incidenza sul tessuto economico e sociale e dagli effetti di una progressiva riduzione delle risorse pubbliche che hanno fortemente inciso sulla domanda legislativa e sui tempi delle decisioni. Il Consiglio regionale, con sempre maggiore frequenza, ha fatto ricorso alla procedura di iscrizione immediata all'ordine del giorno in base all'articolo 102 del Regolamento interno, indice di come il Consiglio spesso abbia dovuto svolgere un'azione suppletiva a quella dell'Esecutivo. Ciò si è reso necessario per agevolare con procedure d'urgenza i provvedimenti da adottare in Aula con forme di coinvolgimento più ampie e partecipate. Non a caso il ricorso a questo strumento, previo assenso di tutti i Gruppi politici, ha consentito precisamente di portare diversi provvedimenti direttamente in discussione in Assemblea, nel testo dei proponenti, saltando cioè l'ordinario passaggio nella Commissione competente.

Il nesso col quadro sistematico di crisi è rilevabile dalla constatazione che si tratta in maggioranza di provvedimenti legislativi volti ad affrontare l'emergenza occupazionale e per finanziare la cassa integrazione. L'esperienza della legislatura mostra, in modo inoppugnabile, come al maggior peso attribuito all'organo esecutivo non necessariamente corrisponda altrettanta capacità di influsso sull'attività legislativa. Questo ci porta a suffragare il fatto che è sempre più necessario affrontare una stagione di intense riforme del sistema autonomistico e degli enti locali. Riforme che, purtroppo, per le ragioni suesposte, in questa legislatura non sono decollate.

Viviamo dunque questo momento di difficoltà con la convinzione intima che non tutto il possibile sia stato fatto e, quindi, anche dei nostri limiti ed errori come classe dirigente. Molto ancora resta da fare per gli anni difficili che ci attendono. Non illudiamoci, perché l'uscita dalla crisi non è dietro l'angolo. Il percorso che ci aspetta è irto di difficoltà e complessità che richiedono tutto il nostro impegno e saggezza. Ma è in frangenti come questi che la politica è chiamata a dare il meglio di se stessa. E' in passaggi delicati, come il presente, che tutto il buono che esiste nel mondo politico deve emergere con determinazione e, consentitemi, prepotenza, se necessario, per accompagnare l'Isola in una coraggiosa opera di ricostruzione sociale ed economica; ma anche, e soprattutto, morale e spirituale fondata su nuovi moderni binari del nostro sentire comune di popolo e nazione sarda.

Dobbiamo riaccendere la speranza per un futuro migliore, per un domani sereno, per costruire le generazioni future al riparo dagli errori sia del presente che del passato. Abbiamo, e sentiamo, la necessità di riallacciare quella unione ideale e affettiva fra popolo e Assemblea regionale che è stato il volano delle conquiste economiche, civili e sociali nella difficile opera di ricostruzione nel secondo dopoguerra alla ripresa della vita democratica con la nascita delle istituzioni democratiche. Anche quelli erano anni difficili e bui. Eppure, nonostante le impervie sfide da affrontare, il nostro popolo e la sua classe dirigente seppero trovare la forza e la determinazione per avviare una difficile opera di costruzione di una Sardegna moderna, competitiva e integrata nei contesti italiano, europeo e mondiale. Un clima e uno spirito che vanno ritrovati. Non a caso in questa sede di confronto tra gli enti locali che compongono il nostro sistema autonomistico, nella precedente seduta, ho sollevato la necessità che si addivenisse a un tacito accordo tra tutti gli eletti, superando steccati, barriere e differenze di ogni colore e grado, per una legislatura unitaria del fare. Una legislatura, cioè, dove ogni consigliere senta predominante il dovere di servire la Sardegna al di sopra di ogni appartenenza o vincolo partitico o politico. Chiunque vinca le elezioni, non dovranno esserci maggioranze od opposizioni precostituite, ma solo la ferrea volontà di cementare un sentire comune per difendere i diritti inalienabili del popolo sardo e collocare la Sardegna in un'ottica di sviluppo e modernità in ambito europeo.

Questo avrei voluto che si avverasse nel corso della presente legislatura. Che immaginavo e speravo fosse una legislatura costituente per la riforma dello Statuto di autonomia. Per questo mi sono sinceramente spesa con i colleghi Presidenti di Gruppo, lo testimoniano le diverse sedute straordinarie con gli stati generali dell'Isola sui temi coinvolgenti e urgenti delle varie fasi di criticità della denominata "Vertenza Sardegna". Purtroppo però è stato chiaro, dopo qualche tempo, che non eravamo ancora culturalmente e politicamente attrezzati per un evento politico di così intenso spessore e impegno programmatico.

L'avvento delle prossime elezioni può essere l'occasione propizia per incoraggiare una intensa fase di collaborazione fra tutti gli eletti, a prescindere dai ruoli cui saranno chiamati, partendo dal presupposto che non ci si debba porre la domanda di cosa può darci la nostra terra, ma di cosa siamo disposti noi a dare a essa. E credo che alberghi nell'animo di ogni buon sardo il fatto che la nostra è una terra da amare, da rispettare e da difendere, perfino contro i nostri interessi personali o di parte. Sessanta consiglieri, se si muovono all'unisono, pervasi dallo stesso sentimento di amore e rispetto per il loro popolo, sono una forza invincibile che può dare futuro e speranza alle aspettative dei sardi e, nel contempo, riavvicinare una classe politica oggi in seria difficoltà e invisa nella stima della gente.

Oggi, soprattutto dopo l'esito referendario, si impone una severa riflessione su come declinare tutto il sistema delle autonomie locali in un ambito riformistico che, nel rispettare la volontà popolare, non pregiudichi i livelli di rappresentanza territoriale, che sono comunque il sale di una democrazia sana e partecipativa.

Non possiamo non considerare il fatto che se si deve procedere a una seria riforma del sistema autonomistico bisogna agire in una cornice normativa che non si limiti a una semplice rivisitazione del presente, ma che ne delinei un nuovo assetto più funzionale, efficiente, moderno e rispondente al criterio di morigeratezza dei costi della politica.

La volontà espressa dalla sovranità popolare nel referendum del 2012 deve essere interpretata non come una mera e semplice applicazione del suo dettato, bensì come l'occasione irripetibile per una profonda autoriforma di sistema per dare all'Isola un'organizzazione istituzionale, amministrativa e burocratica in grado di reggere le crescenti sfide che ci attendono. Sfide che riguardano perfino la stessa tenuta del quadro regionale in riferimento alla condizione di specialità. Una specialità che sta subendo attacchi da più parti, Governo centrale in primis, tesi a demolirla del tutto. Questo per noi è inaccettabile.

La nostra specialità costituisce l'anima più intima del patto con lo Stato. Essa è posta a garanzia di un presupposto di peculiarità sociale, culturale e politica che ha visto il popolo sardo coltivare nel tempo aspirazioni e sentimenti spesso distinti e talvolta distanti dal resto delle popolazioni italiane. E se, come molti soloni intendono fare nel nome di una malintesa corsa all'eliminazione degli sperperi, si considera la specialità sarda una fonte di spreco, un nuovo "delitto politico" verrà consumato sulla pelle dei sardi. In tal modo ci verrà definitivamente negato il diritto al riconoscimento di quel patto solidaristico in cui la sussidiarietà dello Stato avrebbe dovuto allineare tutti gli squilibri di una appartenenza che si portava dietro il peccato originale di una lontananza dai centri decisionali e di potere che, nell'ambito degli equilibri con le altre regioni, ci ha relegato in una posizione di marginalità, se non proprio coloniale.

Ma questo non significa che tutte le colpe sono dall'altra parte del Tirreno. Spesso non abbiamo saputo dispiegare tutte le potenzialità che lo strumento statutario ci ha conferito. Invero, bisogna riconoscere che, se i limiti geografici, economici e infrastrutturali hanno impedito un sano e corretto sviluppo, ciò è dovuto anche a colpe specifiche della nostra classe dirigente, presente e passata. Ogni volta che siamo divisi, ogni volta che abbiamo effettuato un distinguo, ogni volta che è prevalsa la nostra appartenenza a schieramenti, anziché una comunione di intenti per la nostra terra, la Sardegna ha perso. Ogni volta che, anziché assumerci, con orgoglio e dignità, le nostre responsabilità, abbiamo giocato allo scarica barile, accusando il Governo centrale di turno, o attribuendo colpe ai Governi regionali precedenti, per mascherare le nostre insufficienze, il Popolo sardo ha perso.

Questa seduta congiunta, l'ultima della legislatura, deve servire anche a questo, per una assunzione corale di responsabilità e per una presa di coscienza delle nostre manchevolezze, seppure nella distinzione di ruoli e responsabilità di ciascuno di noi. D'altronde la gente non vuole politici super eroi, ma essere governata da una classe dirigente che assuma piena coscienza del proprio ruolo e torni a essere seria, operosa e attenta ai bisogni della collettività e non al benessere di pochi. Invece oggi accade che i partiti e le istituzioni non sono percepiti come i referenti costituzionali per tradurre in atti normativi la realizzazione di processi di modernizzazione e crescita civile della società. Solo una azione riformatrice incisiva sarà in grado di condizionare tutto il sistema Sardegna per modificare l'immagine distorta di una Regione statica, arrogante, chiusa in se stessa e lontana dalla gente, e può essere salvifica per abbattere le attuali distanze fra opinione pubblica e ceto politico.

Pur tuttavia bisogna mantenere equilibrio e razionalità. Infatti, se da un lato dobbiamo impegnarci con tutte le forze per recuperare il senso di un'etica politica incentrata sul bene comune con al centro il cittadino, dall'altro non possiamo rischiare con una insensata corsa ai tagli non solo di non risolvere i problemi della Regione, ma anche di impoverire gli spazi vitali di partecipazione democratica. La riforma del nostro sistema autonomistico deve dare senso compiuto a un concetto preciso: le istituzioni regionali e gli enti locali non devono costituire un costo, ma un investimento per dare alla macchina regionale un'organizzazione in grado di creare serie e durature condizioni di sviluppo e benessere per l'Isola.

Per questo, se mi consentite l'inciso, il Consiglio regionale, in tempi non sospetti, ha saputo dimostrare che si può attuare, in sede di autoriforma del proprio organismo, una politica gestionale finalizzata a ridurre i costi dell'Assemblea, migliorare l'efficienza della macchina consiliare e aumentare la qualità della produzione legislativa.

In conclusione, la prossima legislatura, è questo l'augurio e l'auspicio che mi sento di fare, deve costituire il ritorno alla speranza e all'impegno nobile per il bene comune per fare in modo che la politica torni a essere strumento di democrazia, di confronto e di proposta. Riflettiamo insieme su come restituire alla nostra piccola patria un ceto politico affidabile, efficiente e capace di vincere quel senso di rassegnata accettazione di una condizione di sottosviluppo anche politico che ci ha visto sempre ai margini della Repubblica italiana e in Europa. La politica, quella nobile e alta, può ancora, se vuole, vincere la sfida per disegnare un nuovo modello di sviluppo capace di debellare quel retaggio culturale e politico che nel passato ha contribuito a determinare un pernicioso senso di inferiorità dei sardi, ingiusto e ingeneroso per un popolo orgoglioso, fiero e pieno di risorse come il nostro.

I lavori proseguiranno con l'intervento del Presidente del Consiglio delle autonomie locali, cui seguiranno di interventi dei componenti del Consiglio delle autonomie locali che non potranno superare, complessivamente, i sessanta minuti e che saranno articolati sulla base delle indicazioni pervenute dal Consiglio delle autonomie locali. Seguiranno gli interventi di un consigliere regionale in rappresentanza dei Gruppi di maggioranza e di un consigliere regionale in rappresentanza dei Gruppi di minoranza. I lavori si chiuderanno con l'intervento dell'Assessore degli enti locali Rassu.

Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio delle autonomie locali Gianfranco Ganau.

GANAU GIANFRANCO, Presidente del Consiglio delle autonomie locali. Presidente Lombardo, onorevoli consiglieri, assessore Rassu, colleghi sindaci, inizio prendendo atto che, ancora una volta, il presidente Cappellacci ha ritenuto di non dover partecipare a questo incontro, non è la prima volta e credo che questo la dica lunga su che tipo di peso e che tipo di attenzione dia agli enti locali. Ci troviamo anche quest'anno per un incontro che abbiamo sempre considerato importante e che dovrebbe segnare un momento di confronto tra Consiglio regionale e autonomie locali. Un confronto che si svolge alla vigilia di scelte difficili che determineranno la finanziaria del 2014. Si tratta di un obbligo di legge e, per la valutazione che facciamo, mi dispiace dirlo, assume più una funzione di assolvimento di questo obbligo piuttosto che raggiungere quel significato di costruzione comune che dovrebbe essere la vera essenza, la vera caratteristica, il vero obiettivo. Vien voglia, lo dico con chiarezza, di uscire da questo gioco delle parti, da questo copione che ogni anno propone impegni puntualmente disattesi e forse lo farò.

Un esempio tra tutti è il primo argomento che ha citato e toccato - è inevitabile - la Presidente del Consiglio, che ricalca in modo identico quello che ho detto l'anno scorso e negli anni precedenti, che riguarda la riforma dell'istituto regionale, la riforma della regione e degli enti locali, la revisione dello Statuto, riteniamo che sia giunto il momento di chiarire se c'è una volontà di approcciarsi a un tema che è fin troppo rinviato, quello della riforma istituzionale appunto, e di fare un punto di impegno per il prossimo Consiglio, lasciando comunque atti che consentano di raggiungere questo obiettivo. Lo chiediamo perché fino a oggi abbiamo assistito all'elusione del problema o meglio a un totale fallimento su questo argomento. Ormai la frase "nelle more della riforma del sistema delle autonomie locali" appare un ritornello penoso da sentire che risuona in modo quasi beffardo nelle premesse di innumerevoli proposte di legge che vengono all'attenzione del Consiglio regionale e del Consiglio delle autonomie locali. Solo questa frase basterebbe a certificare il fallimento.

Ma quello che è più grave è che si succedono atti non condivisibili che generano difficoltà, spesso illegittimi al di fuori di ogni quadro di riferimento come proverò a dire dopo. Forse è bene chiarirlo ancora una volta: gli amministratori locali, i sindaci, non sono avversari del Consiglio regionale, rappresentano le istanze dei cittadini con cui sono quotidianamente a contatto e sarebbero, se ascoltati, il miglior alleato per una buona politica di cui c'è tanto bisogno e che così sia percepita dai cittadini stessi.

Questo a nostro modo di vedere è l'unico strumento per evitare che la disaffezione e l'allontanamento sempre maggiore dalla politica e dalle istituzioni possa degenerare in forme e azioni che oggi rischiano di minare la stabilità e le regole democratiche del nostro Paese; invece sembra che questo Consiglio voglia mantenere un'insensata distanza fra sé e chi amministra il territorio e i cittadini. Consentitemi a questo punto di dare un giudizio negativo riguardo al parere contrario espresso dalla Conferenza dei Capigruppo del Consiglio regionale in merito alla nostra proposta di ripetere un'esperienza già fatta di confronto con il Consiglio delle autonomie locali che si svolgesse direttamente nel territorio e non nella sede del Consiglio. Sarebbe potuto essere un modo per avvicinare il Consiglio regionale stesso ai cittadini, è prevalsa però una logica che non capiamo e che siamo costretti ad accettare; ma, badate bene, non è restando rinchiusi dentro il fortino che si superano le difficoltà, solo accettando il confronto a tutto campo e rappresentandosi diversamente è possibile conquistare credibilità e fiducia e in questo senso credo che sia stata persa un'occasione.

Abbiamo denunciato più volte in più occasioni l'eccessivo centralismo regionale che riteniamo essere una delle concause della crisi e uno degli ostacoli alla crescita e allo sviluppo della nostra regione. In questa direzione vanno anche le ultime scelte effettuate dall'attuale Giunta regionale, mi riferisco, solo per fare alcuni esempi, alla legge sulla protezione civile che distoglie le competenze alle province per assegnarle all'organizzazione territoriale regionale e quella più recente sulle pro loco in discussione in questi giorni, al ricorso spasmodico ai commissariamenti di enti sottraendoli a ogni forma di partecipazione, all'idea stessa di sostituzione delle province con enti governati da commissari a nomina regionale. E non possiamo non rilevare con grande rammarico una progressiva accentuazione del fenomeno legato a scelte che non esito a giudicare basate su interessi di bottega o elettorali che non essendo organiche provocano solo danni, minore efficienza, incremento esponenziale della burocrazia, altro aspetto che non è stato minimamente affrontato in questa legislatura, ed è ancora più grave rilevare come tali scelte che riguardano gli enti locali vengano assunte senza avviare un preliminare confronto con gli stessi.

Faccio l'esempio della zona franca sulla quale sono stati sentiti tutti, comitati spontanei compresi, ma non si è sentita l'esigenza di convocare in audizione il Consiglio delle autonomie locali, anche in quel caso è stata ritenuta sufficiente solo l'espressione di un parere non vincolante. Crediamo dunque che dalla riforma della Regione si debba partire. La Regione deve dedicarsi a fare le regole, le leggi, riordinando e semplificando le tante sovrapposizioni create con parziali modifiche a quelle preesistenti. Questa è una legislatura che ha fatto piccoli interventi contingenti su leggi già esistenti senza fare riforme organiche e senza dare delle norme quadro su argomenti essenziali che ci trasciniamo da troppo tempo.

Tutto questo legiferare e sovrapporsi di norme è concausa di difficoltà interpretative, di percorsi burocratici che rallentano le attività delle pubbliche amministrazioni, dei privati e di fatto costituiscono ostacolo ulteriore alle imprese e alla ripresa economica. Denunciamo l'evidente incapacità di produrre atti legislativi che rispettino le più elementari norme finanche costituzionali e che vengono ormai regolarmente impugnati dal Governo e successivamente cassati dalla Corte costituzionale causando conseguentemente incertezze e difficoltà che ricadono sugli enti locali creando spesso false aspettative su argomenti delicatissimi che attengono alla dignità e all'autonomia di persone e famiglie, cito ad esempio i provvedimenti sui cantieri di lavoro e quelli sulla stabilizzazione dei precari.

Ribadiamo ancora una volta che il ruolo gestionale dell'ente regione deve essere ridotto a poche funzioni e che la stragrande maggioranza degli enti di riferimento regionali può essere sciolta devolvendo le funzioni agli enti locali. Questi ultimi hanno dimostrato, quando è stato fatto con adeguato trasferimento di organici e risorse, di essere in grado di svolgere queste funzioni delegate con maggiore efficienza, efficacia e finanche economicità. Tra le altre cose in questo modo si andrebbe anche nella direzione che indicano i cittadini, di una maggiore vicinanza. Dobbiamo però rilevare che la Regione è piuttosto solerte quando si tratta di commissariare o tagliare in casa altrui, ha invece decisamente meno fretta e molti più freni quando deve guardare in casa propria.

Per quanto riguarda il riassetto degli enti locali bisogna partire dalla revisione della legge costitutiva del Consiglio delle autonomie locali, si deve avere il coraggio di dare ruolo agli enti locali e non, come avviene ora, limitarne la funzione e il loro contributo all'espressione di pareri non vincolanti. L'ho detto lo scorso anno, lo ribadisco anche questo, trovo indecente chiedere un parere al Consiglio delle autonomie su un argomento così delicato e complesso come la legge finanziaria in soli sette giorni, sfido chiunque di voi a dare un parere serio in così poco tempo. A volte, dobbiamo sottolinearlo, ci siamo trovati a dare pareri su leggi che sono state successivamente completamente modificate in modo sostanziale senza avere un'interlocuzione su quello che stava succedendo, senza avere un riscontro su quello che stava succedendo; badate bene, noi rispettiamo pienamente l'autonomia e le prerogative del Consiglio, non stiamo parlando di questo, stiamo parlando della possibilità di discutere, di apprendere perché si fanno delle modifiche spesso in controtendenza rispetto ai pareri che sono stati espressi dagli enti locali.

Crediamo in questi anni di aver lavorato sempre nell'interesse esclusivo delle realtà territoriali che rappresentiamo e qui ritorniamo a quanto ho detto in premessa, non vogliamo che il nostro apporto venga vissuto come obbligo mal sopportato. Sul tema della riforma istituzionale, vogliamo dire prima di tutto "no" alle scorciatoie fuorilegge, come dimostra la recente sentenza del TAR sulle province e come abbiamo sempre sostenuto inascoltati. Davvero ci domandiamo: c'è qualcuno che pensa che non serva un organismo intermedio sovracomunale? Addirittura c'è chi chiede l'eliminazione anche delle Unioni dei comuni. Bene, a questi consiglieri, dico che facciano, tornino a fare gli amministratori locali, che vivano oggi con le regole attuali, con la situazione attuale, le difficoltà e l'impegno quotidiano necessari per governare i singoli comuni e solo dopo si mettano a pontificare su che cosa sarebbe inutile o dispendioso.

Al momento attuale, se chiamiamo i cittadini a dire che cosa pensano dell'abolizione delle Regioni, quale pensate sia l'esito? Credo che sarebbe scontato, i cittadini voterebbero qualsiasi referendum che cancelli anche le regioni. Vogliamo parlare di risparmi? Vogliamo trovare altri argomenti? Questo sarebbe il risultato. Allora forse questa riflessione potrebbe aiutare a capire che cosa serve. Attenzione alla demagogia populista. E' per questi motivi che riteniamo addirittura irricevibile la legge sul riordino degli enti locali, quella sulle province, che abbiamo ricevuto qualche giorno fa. Credo che basti citare l'articolo 3 di questa legge, che cancella norme statutarie e costituzionali, al di fuori di ogni percorso obbligatoriamente previsto e con una superficialità disarmante, per dichiarare irricevibile questa proposta che viene dal Consiglio regionale. Irricevibile!

E' una proposta che è la sintesi della confusione di una volontà cieca che cancella livelli di rappresentanza territoriale con atti che portano a un controllo regionale degli enti intermedi, nomine dei direttori generali in capo alla Giunta, dirigenti che rappresentano legalmente questi enti nuovi, che sono di nomina della Giunta regionale, non rispettano neanche i criteri di proporzionalità della popolazione, che sono alla base della costituzione degli organismi democratici e che dovrebbero presiedere alla composizione di questi. Si parla di voler decentrare le funzioni, ma si opera al contrario accentuando un controllo della Regione su tutte le funzioni, anche quelle già esercitate a livello intermedio dalle province. Cito a questo proposito la legge sulle pro loco, l'ultima che è arrivata, che riporta le funzioni turistiche al livello dell'Assessorato regionale del turismo, tra l'altro indicando che le risorse sono quelle del Fondo unico, cioè mettendo in discussione la stessa autonomia, che era stata una grandissima conquista degli enti locali, sulla gestione di un fondo che viene determinato dalle necessità e dalle scelte che ogni ente locale deve fare.

Credo che insomma questa strada vada rivisitata subito. Spero che questo Consiglio regionale abbia ancora la capacità di riflettere su questi argomenti su cui evidentemente non ha avuto tempo di soffermarsi con la dovuta attenzione. Ritengo che il "no" al centralismo, che abbiamo ribadito in tutti i modi in questi anni, vada riproposto, la strada non è quella, la strada è esattamente contraria, è quella di spostare le funzioni, tutte quelle che possono essere spostate, e dare gambe a livello locale, perché - come ho detto - si è dimostrato che gli enti locali possono esercitare queste funzioni. Chi ha fatto esperienze a livello comunale o provinciale prima della riforma, prima che queste funzioni fossero esercitate, forse può avere un'idea delle province che non servono a nulla, oggi è molto più difficile dire e sostenere una cosa del genere. Serve un progetto organico, serve capire quali funzioni devono essere esercitate e da chi, serve un progetto complessivo che dica di quale assetto la nostra Regione ha necessità. Quella che emerge, l'ho detto e ripetuto, è una visione che non condividiamo minimamente, una visione centralistica e inaccettabile. Guardate, lo dico, lo posso dire perché c'è un'assoluta unanimità su questo tipo di giudizi all'interno del Consiglio delle autonomie locali, indipendentemente dalle posizioni politiche di provenienza, gli amministratori locali su questo sono assolutamente omogenei.

Dicevo, non servono scorciatoie, bisogna capire che cosa serve alla Sardegna. A questo proposito, ricordo ancora che, sulla gestione delle funzioni, abbiamo anche presentato una proposta assieme all'ANCI, riteniamo che le funzioni associate dei comuni debbano essere svolte in forma appunto volontaria laddove si possono realizzare, che vadano incentivate, che vadano previste anche delle penalità per chi non le esercita, ma che vadano supportate da dei percorsi. Abbiamo fatto una proposta di un Osservatorio regionale, che prima esisteva e non è mai stato attivato, che oggi non trova riscontro all'interno della finanziaria. Bene, come Consiglio delle autonomie locali e come ANCI, sosterremo comunque un osservatorio, speriamo che ci sia un'attenzione a livello della Giunta e anche a livello del Consiglio, perché questo tipo di azione (che serve per far funzionare meglio e che ha una sua logica anche in termini di riduzione della spesa pubblica, perché questa era la finalità vera della gestione corretta delle funzioni associate, altrimenti si rischia di far un pasticcio) trovi un riscontro anche nella finanziaria che andrete a discutere tra qualche giorno.

Non possiamo anche in questa occasione non affrontare il tema delicato della crisi economica che colpisce così duramente la nostra Isola, continuiamo a subire tagli nelle risorse, si riducono sempre di più i servizi ai cittadini e nel contempo è sempre più alta l'imposizione fiscale di cui una parte viene sottratta al territorio dallo Stato, facendoci diventare degli esattori per conto di altri. Senza dimenticare le pesantissime limitazioni legate al Patto di stabilità. Alla Regione chiediamo azioni concrete e impegni precisi per un Patto di stabilità regionale che alleggerisca i comuni e li metta nelle condizioni di poter svolgere compiutamente il loro ruolo.

Ma non è tutto, ricordiamo che il Fondo unico per gli enti locali non è mai stato adeguato in questi anni, come prevedeva la legge; anzi, come è detto nel parere che abbiamo espresso sulla finanziaria, risorse già dovute ai comuni sono state incluse nel Fondo unico, ci riferiamo alle accise dell'energia elettrica e ai finanziamenti per la mobilità delle ex comunità montane che sono fondi dovuti dallo Stato agli enti locali e che sono stati impropriamente inseriti per fare il fondo comune. Si tratta di ben 56 milioni che vengono utilizzati e che già sono degli enti locali, quindi non hanno alcun titolo per essere inseriti a completare le risorse per il fondo comune. Noi chiediamo che questi soldi siano dati ai comuni e che il Fondo unico sia rimpinguato di quella quota dei 56 milioni che, evidentemente, devono esserci per garantire le funzioni che devono svolgere le amministrazioni locali.

Ci preoccupa non poco poi il taglio previsto in finanziaria dei fondi alle province che continuano invece a svolgere funzioni e a erogare servizi e che rischiano di trovarsi nell'impossibilità di eseguire la manutenzione delle strade, delle scuole, di dare servizi ai disabili. Tra l'altro, pongo un problema relativo a questi capitoli di spesa per i quali progressivamente le risorse sono state assottigliate; quando ci sarà il trasferimento di queste funzioni (immagino ai comuni, perché non voglio pensare che la Regione pensi di gestire l'edilizia scolastica di tutta la Sardegna), sarà un problema trovare queste risorse perché troveremo situazioni disastrose di manutenzione, ancora di più di quelle che sono adesso, per quanto riguarda l'edilizia scolastica, le nostre strade eccetera, che sarà difficile gestire.

Vi risparmio tutti i passaggi sulla sanità perché richiedono troppo tempo. Colgo l'occasione per segnalare però alcuni aspetti che riteniamo inquietanti derivanti da una lettura della proposta della finanziaria, in particolare l'azzeramento dei fondi destinati ai cantieri del verde, la mancanza di riferimenti per i cantieri di lavoro, l'azzeramento dei fondi per l'edilizia residenziale pubblica, di cui invece c'è una esigenza assoluta, lo scorso anno c'erano 42 milioni, quest'anno non c'è neanche un euro; così pure la riduzione a un solo milione di euro a sostegno dell'edilizia scolastica che, come purtroppo le cronache riportano, vive delle condizioni di indecenza e che è una delle cause che non fa dormire noi sindaci perché sappiamo che, nelle nostre scuole, purtroppo da un momento all'altro, potrebbero succedere dei drammi, come quelli che sono già successi da altre parti. Non capiamo i tagli e gli azzeramenti delle risorse a sostegno delle politiche universitarie, per esempio quelle destinate all'abbattimento dei fitti per gli studenti fuori sede, gli assegni di merito eccetera.

In chiusura, consentitemi di esprimere una forte protesta per un metodo con cui la Giunta affronta alcuni argomenti delicati che richiederebbero, soprattutto nei momenti di ristrettezze delle risorse finanziarie, come quelli che stiamo attraversando, una preliminare attenta programmazione che sia in grado di valutare e privilegiare situazioni di priorità e di urgenza. Questo deve essere fatto se si vuole programmare, se si vuole intervenire cercando di dare laddove c'è la reale necessità. Mi riferisco al ricorso a bandi a sportello, o a sorpresa, destinati a chi arriva prima e non a chi ha maggiori bisogni, o gravati (come sono spesso) da sospetti che qualcuno abbia avuto le informazioni e abbia potuto predisporre gli atti per partecipare a un bando che scade tre giorni dopo. Mi riferisco ai bandi per i progetti dell'occupazione comunale (POIC) che sono andati esauriti, dall'apertura della mezzanotte a mezzanotte e dieci erano esauriti come fondi, o per gli interventi di manutenzione scolastica che hanno avuto un iter perlomeno discutibile.

Faccio un appello su un tema recente delicatissimo e sottovalutato. Prima dico una cosa sul PAI, velocissimo, non ci sono risorse specifiche per affrontare l'emergenza idrogeologica. I Piani di assetto idrogeologico servono per definire le priorità, tutti i comuni oggi sanno quali sono le priorità, quali sono i rischi, non ci sono risorse! Allora, i sindaci si prendono sempre la responsabilità e le conseguenze di quello che succede, però, senza trovare risorse destinate per questo tipo di interventi, credo che sia difficile fare interventi di mitigazione del rischio ed evitare drammi come quelli che sono successi e che stiamo ancora vivendo.

Faccio appello, dicevo, sul tema delicatissimo e sottovalutato del sistema idrico integrato. Invito il Consiglio regionale a procedere con urgenza entro il 31 dicembre all'approvazione di un atto che definisca il passaggio delle quote che la Regione ha acquisito ricapitalizzando Abbanoa e che, negli accordi, dovevano essere trasferite ai comuni. Da una parte una proroga del commissariamento dell'ATO, che ha consentito di avere un controllo e anche di prendere decisioni (da parte dell'Assemblea dell'ATO, se lo vorrà) di un certo tipo sulla società Abbanoa sbloccando tutta una serie di risorse bloccate, che erano disponibili all'ATO e che non venivano utilizzate basandosi su un piano superato, che data ormai da troppi anni e che non era più confacente alle reali urgenze del sistema idrico dei diversi comuni. Dall'altra parte una moratoria di un contenzioso pesantissimo che sta vedendo contrapposti la società Abbanoa e i comuni per quanto riguarda le acque intruse, cioè le acque meteoriche e il trattamento delle acque meteoriche; è un contenzioso credo miliardario che evidentemente contrappone i comuni. Credo che anche su questo sia necessario un approfondimento ulteriore per evitare che una situazione, che è già drammatica, precipiti definitivamente. Non voglio neanche pensare a che cosa può succedere ad Abbanoa nei prossimi giorni, nei prossimi mesi, se questi provvedimenti non verranno presi.

Gli argomenti da trattare sarebbero molti, sono stato anche lungo e li ho sfiorati con molta superficialità, credo che sia giusto che gli altri colleghi del Consiglio delle autonomie intervengano per focalizzare alcuni punti che sono stati soltanto toccati o sfiorati con la mia relazione. Spero che, da parte del Consiglio regionale, seppure ormai vicino alla fine della legislatura, ci sia davvero la volontà di ascoltare con attenzione e di dare seguito alle istanze che arrivano dai territori. Abbiamo bisogno tutti di ascoltarci di più e di fare scelte che siano il più possibile condivise e che rispondano alle realtà più periferiche che sono quelle che vivono tutti i giorni i cittadini.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sindaco del Comune di Modolo, Omar Aly Kamel Hassan.

HASSAN OMAR ALY KAMEL, Sindaco del Comune di Modolo. Buongiorno Presidente, saluto lei per salutare tutti quanti. Le cose che vorrei dire sono tante, però devo permettere anche agli altri di intervenire e ascoltare la replica, quindi cercherò di sintetizzare un pochino gli argomenti che intendo affrontare. Prima di fare questo però, Presidente, mi permetto di indossare la fascia tricolore. Noi siamo qua in veste istituzionale, in un incontro istituzionale con i vertici della Regione, ritengo opportuno, dal momento che parlerò a nome dei sindaci, indossare la fascia che ci rappresenta tutti quanti.

Il presidente Ganau ha affrontato alcuni temi. Mi preme, come dire, anche per cercare di stemperare i toni che comunque sono derivanti da ragionamenti che si fanno all'interno del CAL tutti i giorni, spiegare e confermare il fatto che il nostro Presidente ha esposto con chiarezza, devo dire con molta chiarezza, i ragionamenti che noi facciamo tutti i giorni all'interno del CAL. Presidente, noi viviamo un grande malessere che poi si traduce anche, purtroppo, nel momento in cui si arriva a un confronto aperto con il Consiglio regionale, in queste situazioni in cui bisogna esporre tutte le criticità. Se ci fosse la possibilità magari di incontrarci più spesso e di ragionare step by step sui problemi che riguardano gli enti locali, probabilmente non si arriverebbe a questo modo di esporre le cose. Io enfatizzerò alcuni aspetti.

Prima di tutto la necessità, da parte del CAL, di avere il giusto riconoscimento da parte del Consiglio regionale, la legge istitutiva non è sufficiente, non è fatta in maniera tale da permetterci di lavorare al meglio. Il parere che viene rilasciato dal CAL, che è un parere meramente consultivo, di fatto rende inutile lo sforzo che i sindaci fanno nel tentare di arricchire i testi che arrivano dal Consiglio regionale. Dovrebbe essere aggravato il procedimento di formazione delle leggi che riguardano gli enti locali, deve, dovrebbe, essere prevista, nel momento in cui si esprime un parere negativo, un'approvazione eventuale del Consiglio che sia con una maggioranza qualificata e non che arriva il parere al CAL, dopodiché il CAL si esprime, studia la materia, suggerisce soluzioni, dà il parere, il parere viene immediatamente stravolto e si formula un testo di legge che riguarda gli enti locali e che è ben diverso, cosa veramente diversa, da quanto che si è detto all'interno del Consiglio.

Ci tengo a sottolineare il fatto, Presidente, che, all'interno del CAL, sono rappresentate tutte le anime, anche del Consiglio regionale, ci sono un po' tutte le rappresentanze politiche, la sintesi che si raggiunge effettivamente ci rappresenta tutti quanti e quindi vorremmo poi che sia ascoltata veramente.

Sottolineo alcune emergenze che devono essere risolte prima del 31 dicembre. Prima di tutto il rinnovo dei componenti del comitato di indirizzo e del commissario dell'ATO, il problema delegato ad Abbanoa, il fatto che ci sia un'esposizione superiore agli 800 milioni di euro è un problema che va affrontato con serietà e noi sindaci ci teniamo a che non si rischi nuovamente di tornare indietro, come accadeva nel passato, dove la direzione, diciamo, di indirizzo politico era messa in carico ad altre persone che non erano i sindaci. I sindaci hanno titolo a intervenire direttamente su queste questioni.

L'altra questione riguarda, invece, il Patto di stabilità, relativamente alla gestione dei PLUS nei comuni capofila di gestione di questo servizio. E' necessario che i soldi che sono gestiti all'interno del PLUS e che fanno riferimento a un comune capofila siano svincolati dai vincoli del Patto che riguarda quello stesso Comune, perché questo di fatto ne impedisce la spendita a favore anche degli altri comuni che aderiscono al PLUS.

Poi vorrei sottolineare alcuni interventi che la Regione ha portato avanti a singhiozzo e che adesso non sta più facendo, riguardano lo spopolamento delle aree interne del paese, della nostra Regione. Nel collegato alla finanziaria del 2009 era stata prevista una risorsa specifica da parte dell'Assessorato degli enti locali per intervenire, cercando di favorire nuovi insediamenti abitativi, nuove attività produttive, nei piccoli comuni dell'Isola. Questo è stato un intervento (peraltro nel tempo ridotto e ridimensionato per scelte diverse che la Giunta regionale ha fatto) che di fatto non ha sortito risultati positivi per gli enti perché è stata una cosa una tantum e non più ripetuta. Di fatto stiamo vivendo il dramma dello spopolamento nel centro dell'isola e in altre zone periferiche che si trovano anche ai margini della costa ma comunque pur sempre periferiche, su questo sarebbe bene che il Consiglio regionale ponesse mano con fermezza.

Devo dire che, Presidente, prima di venire qua questa mattina, nei giorni scorsi, come Consiglio delle autonomie locali, abbiamo ragionato molto sull'opportunità o meno di venire qua quest'oggi, nel senso che abbiamo ragionato sul fatto che venire qua, parlare con voi e affrontare problemi concreti sottoponendoli al termine della legislatura potesse essere anche qualcosa di non produttivo, perché tutti noi sappiamo bene che, fra pochi giorni, sarà sciolto il Consiglio e quello che viene detto probabilmente sarà rinviato al nuovo Consiglio, quando si insedierà, oppure c'era anche il rischio in qualche modo di fare la campagna elettorale per qualcuno che magari, anche qualche consigliere regionale, poteva utilizzare questo strumento a proprio vantaggio o a discapito di qualche altro. In realtà quello che ha prevalso poi era la voglia di confronto, la voglia comunque di cercare il confronto anche aspro, anche acceso ma di dire le cose per come sono.

Noi percepiamo il polso della situazione, quello che c'è nelle strade, la gente disperata che ogni giorno perde la casa, che ogni giorno ha necessità di supporti maggiori perché perde il lavoro, perché ha necessità di essere seguita meglio dal punto di vista sanitario, non si è fatto il riordino tanto atteso del sistema sanitario della nostra Isola, noi siamo un'isola che ha un bacino di utenza che in altre Regioni viene gestito direttamente da una ASL, noi ne abbiamo credo in eccedenza e tutte gestite, lo sappiamo bene, da direttori generali, direttori sanitari, direttori amministrativi, tutti di nomina regionale. Trovo che sia il caso di fare una legge sanitaria di riordino seria, che parta dal principio con criteri che siano chiari per la nomina dei direttori generali e poi a discesa per la nomina dei primari; trovo che sia assurdo che i primari possano essere nominati all'interno di un albo di soli idonei e il direttore generale possa scegliere quello che pensa sia più vicino alla sua area politica e via via così si crea una campagna di tesseramento e gli ospedali diventano sedi di partito.

Conosco benissimo la realtà di Bosa, del mio territorio, vi posso dire quali saranno le percentuali di voto di tutto il personale assunto all'interno di quell'ospedale e trovo che questo sia vergognoso perché la lottizzazione della ASL, dal punto di vista dei partiti, deve smettere. La sanità deve essere garantita a tutti in egual misura e i partiti devono tirarsi indietro con una legge che garantisca a tutti parità di diritti. Questo è solo un aspetto che andrebbe rivisto, su di esso dobbiamo fare tutti quanti una seria assunzione di responsabilità.

Ancora, Presidente, mi sento di dirle altre due o tre cose, dopodiché mi ritirerò in buon ordine. La norma di riordino degli enti locali era un qualcosa che è stata negli anni e nei mesi auspicata, promessa, ma non è mai giunta a buon fine. So che ci sono diverse proposte di legge a questo proposito, ma che non hanno mai avuto un esito. Noi abbiamo necessità di chiarezza per la gestione delle funzioni associate, abbiamo necessità di chiarezza sulla gestione delle unioni di comuni. Non è possibile che il nostro sia l'unico caso in Italia in cui non ci siano personale, pianta organica e sede segretariale all'interno delle unioni di comuni. Tutte le altre unioni di comuni hanno personale proprio su cui far caricare la gestione dei servizi, noi no! Anche su questo, Presidente, la invito a ragionare, a riflettere e a invitare i Capigruppo affinché si lavori proprio per cercare di sanare questi problemi e cercare di predisporre un testo che soddisfi le necessità degli amministratori locali.

Infine dico, senza alcuna polemica, ma purtroppo è la verità, che siamo venuti qua per affermare la verità in un confronto aperto, sereno e leale. Ciò che si percepisce nella strada, purtroppo, di quello che rimarrà di questa legislatura, e sto parlando a tutti, maggioranza e opposizione, perché noi siamo tutti dell'idea che il problema sia all'interno del Consiglio regionale, non che sia in capo a chi sta amministrando in questo momento o che sia soltanto in capo a questo Consiglio regionale che sta amministrando negli ultimi cinque anni, siamo convinti che il problema arrivi da lontano, però dicevo che purtroppo quello che rimarrà ai cittadini, e anche a molti di noi, uscendo da questa sala, quando si dovranno aprire i seggi per ritornare alle votazioni, sarà, non una stagione di riforme importanti che ha dato risposta alla nostra isola, ma purtroppo i fatti di cronaca che ogni giorno stanno apparendo sui quotidiani, nelle prime pagine, e che raccontano di fatti che sono ben lontani dall'agire di noi amministratori degli enti locali.

Presidente, io voglio dire che anche all'interno del Consiglio regionale ci sono persone molto capaci, molto valide, molto brillanti, purtroppo però dalla lettura dei giornali emergono dei fatti di cronaca assolutamente negativi. La invito, assieme a noi, a tracciare un solco netto di divisione tra ciò che accade e che si legge nella cronaca, che parla di tablet, di Rolex, di Montblanc, di porcetti, di palestre, di matrimoni, cioè di utilizzo improprio dei fondi pubblici, rispetto a quella che è la missione che noi amministratori degli enti locali e voi amministratori regionali avete.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Gairo Roberto Marceddu.

MARCEDDU ROBERTO, Sindaco del Comune di Gairo. Buongiorno Presidente, buongiorno a tutti, sono stato autorizzato a trattare brevemente una problematica verso la quale il sistema delle autonomie locali e le stesse collettività locali sono più sofferenti e, pur con molti limiti e la necessaria sintesi, ho ritenuto opportuno concentrare il mio breve intervento su un aspetto che ritengo prioritario e che è stato appena trattato anche dal Presidente: la burocrazia e gli effetti negativi che questa provoca anche in Sardegna. Mi soffermerò per brevi cenni anche sul sistema ambientale.

La situazione di crisi che stiamo vivendo in Italia e in Sardegna ritengo che non abbia bisogno di commenti per esprimere un disappunto e una preoccupazione, ormai pervasive e diffuse nella società e nelle famiglie, che risulta quasi banale individuare nella burocrazia una delle concause principale della grave involuzione in atto a cui stiamo assistendo. E' vero che ormai le decisioni assunte a Bruxelles (con trattati e direttive talmente criticati nel vecchio continente da mettere sempre più in discussione il mantenimento della moneta unica, addirittura l'essenza stessa dell'Europa, prova ne sia l'affermazione, in tantissimi Stati membri, di partiti sovranisti a connotazione fortemente nazionalista) si ripercuotono in modo invasivo e determinante su quanto gli Stati, e quindi le regioni anche come la Sardegna, quindi gli stessi comuni, devono realizzare nella vita di ogni giorno.

Spesso non è facile, ci rendiamo conto, trovare modalità operative e procedimentali che consentano di accelerare l'emanazione di provvedimenti e in definitiva le risposte da dare ai cittadini. In tal senso, credo che in tanti, e sempre di più anche in Italia, mettiamo in discussione questa Europa tecnocratica che sta letteralmente dimostrando di non essere un'Europa dei popoli, come l'avevano ipotizzata i padri costituenti, e quindi come l'aveva pensata Schuman, ma un'entità al servizio di potenti lobby finanziarie che, con le sue decisioni ispirate all'austerità più drastica, sta mettendo in ginocchio intere economie e mandando sul lastrico famiglie e imprenditori. L'Europa, una diversa Europa, poteva e potrebbe rappresentare un'occasione importante certamente per i cittadini europei ma, oltre all'impostazione troppo rigida e austera cui ho accennato, è anche l'aggravio burocratico determinato da una visione eccessivamente vincolistica che, riverberandosi sugli Stati membri e sulle regioni, crea ulteriori difficoltà e rallentamenti.

In questo quadro, la Regione sarda, anziché individuare delle riforme capaci di attenuare tali difficoltà, a sua volta crea i presupposti per soffocare definitivamente le popolazioni locali e gli enti, di queste rappresentative. Ciò appare ancor più grave se pensiamo al fatto che la Sardegna avrebbe potuto far valere almeno un minimo la propria specialità. Pensiamo a che cosa si sarebbe potuto fare per la questione ordinamentale, cui ha accennato anche il Presidente, in materia di enti locali, alla disciplina ambientale, a cui brevemente dopo farò qualche cenno, alla gravosa problematica degli usi civici, giusto per citare qualche piccolo esempio. Emblematico è il caso di comuni che presentano i loro piani e, a distanza di otto o dieci anni, stanno ancora a elemosinare risposte dagli organi regionali competenti, quando non vengono costretti addirittura a rifarli perennemente per il variare continuo e isterico delle norme di riferimento.

Ciò testimonia come, nelle ultime legislature, per rimanere alle due esperienze più recenti, nessuno a oggi abbia affrontato con le giuste soluzioni questo gravoso problema. Sentiamo in tante occasioni che anche molti consiglieri regionali lamentano proprio i ritardi causati da questa gravosa burocrazia, ma ciò appare assolutamente ingiustificato, ritengo, da parte di chi ha avuto il ruolo e il mandato elettivo per correggere uno dei cancri della nostra società e inoltre dimostra, senza dubbio alcuno, anche come le responsabilità vadano equamente suddivise tra le forze politiche. Non aver affrontato il problema, aver peggiorato, anzi, la situazione con un inasprimento dei vincoli a tutti i livelli, aver dato luogo a un proliferare assurdo di norme, spesso di difficile interpretazione e contraddittorie tra loro, se da un lato ha determinato, e sta determinando tuttora, incertezza da parte dei funzionari e anche l'utilizzo di pericolose forme di discrezionalità da parte dell'apparato burocratico e politico, dall'altro ha di fatto creato i presupposti per il blocco dei comuni, impossibilitati a tradurre in pratica le loro idee e anche la creatività delle collettività locali, quindi in concreto a impedire una qualsivoglia forma di sviluppo economico e sociale della maggior parte dei territori dell'isola.

Si chiede ai comuni di contribuire allo sviluppo della Sardegna, ma come potrebbe mai essere possibile, come è possibile in un quadro di questo tipo, dove soprattutto i territori più deboli e condannati alla marginalità, pur avendo potenzialità indiscusse, pagano dazio rispetto ad aree sicuramente più forti che in qualche modo attutiscono meglio il peso di questo cancro burocratico? Non si è stati in grado di capire purtroppo che, proprio partendo da una profonda e radicale riforma della burocrazia, si doveva e si deve tuttora partire per mettere in condizioni i comuni, anche tramite il necessario e organico riassetto ordinamentale, di essere davvero il perno del sistema istituzionale e i loro territori, con le potenzialità e risorse presenti, il centro di ogni ragionamento e azione volti a favorire lo sviluppo e il riscatto della nostra isola.

Una miopia e una irresponsabilità che ha accomunato indistintamente nelle ultime legislature ogni parte politica e che sta accentuando oltremodo i disagi di un tessuto sociale ed economico duramente provato. L'intervento, badate bene, non vuole essere un intervento di natura distruttiva e irresponsabile, ma un invito ad affrontare finalmente nel modo dovuto uno dei nodi da sciogliere per cambiare le cose. Richiede certo responsabilità politica e lungimiranza, certamente coraggio e determinazione, ma non è sicuramente differibile oltre, e occorre non strumentalmente e anche stupidamente trincerare l'esigenza di un'asfissiante burocrazia dietro l'esigenza di preservare e tutelare il territorio o l'incolumità dei cittadini. Anche a seguito del disastro dell'alluvione in Gallura, gli avvoltoi in campo, spesso pseudo cultori dell'ambiente, pronti poi a scomparire e a chiudere un occhio in cambio di consulenze e incarichi lautamente ricompensati, sono stati tanti. E' evidente la necessità di tutelarsi dagli abusi dell'uomo, nell'uso del territorio, che spesso causano catastrofi, ci mancherebbe! Ma questo non deve significare calare di volta in volta e sull'onda emotiva del momento un'altra serie incredibile di vincoli e di blocchi, ma agire per avere un quadro normativo chiaro, procedure snelle e semplici, piani comunali velocemente istruiti ed esecutivi, proprio per evitare che, nel disordine e nell'incertezza, con la discrezionalità e l'insufficienza, si creino le premesse dei disastri.

Occorre superare questa visione che sta portando la Sardegna al collasso. L'ambiente va tutelato. Afferma ciò chi, come il sottoscritto, per tutelarlo non da cattedratico, ma concretamente rimuovendo degli abusi sulla costa, ha subito atti delittuosi anche verso la propria figlia minorenne; occorre trovare un punto di equilibrio tra la funzione della tutela e quella dello sviluppo. Di soli vincoli non si vive. In Sardegna diciamo sempre "no" a tutto e il risultato è che tutto è bloccato, non si può fare praticamente nulla. Gli investitori scappano, si guardano bene dall'attivare risorse nell'isola; i disoccupati stanno aumentando, i giovani, e non solo, scappano determinando un impoverimento complessivo del sistema sardo, mentre altri territori si evolvono e richiamano le nostre risorse umane di livello e spesso di elevata professionalità.

Una trattazione approfondita, vado a chiudere il mio intervento, meriterebbe la tematica delle politiche ambientali sviluppate in questi ultimi dieci anni, in riferimento al sistema dei parchi e al comparto forestale. Per stare nei tempi prefissati, eviterò di fare riferimenti troppo puntuali, ma lasciatemi dire che, su entrambe le questioni, siamo alla frutta, affrontate malamente in una prospettiva di mero assistenzialismo; i parchi, in primis il Gennargentu, sono saltati e quelli regionali sono per lo più inattuati, ci troviamo di fronte al fallimento delle previsioni della legge regionale numero 31 del 1989 a causa del fatto che non si è stati capaci di trovare il modo di superare i limiti della legge quadro nazionale numero 394 attraverso l'esercizio della specialità statutaria, che poteva consentire, con l'apposita norma di attuazione concertata con lo Stato, di attribuire competenze in materia alla Sardegna, analogamente a quanto è accaduto con lo Stelvio per citare un esempio, quindi di tramutare l'idea fallimentare dei parchi assistiti in parchi produttivi e volano dello sviluppo basato sulla presenza dell'uomo. Ciò avrebbe consentito di superare la giusta diffidenza delle collettività locali che hanno perlopiù rifiutato, negli anni, nuovi carrozzoni inutili.

Per quanto attiene al comparto forestale si è perpetuato purtroppo un sistema certamente utile in riferimento ad alcune essenziali attività connesse alla tutela, all'antincendio e alla protezione civile, ma non si è avviato un concreto cambiamento per trasformarlo gradualmente in un contratto produttivo basato su una sana economia del bosco, capace di generare con meccanismi di filiera possibili un reale valore aggiunto che consenta l'auto alimentazione almeno parziale dell'intero sistema; quindi in prospettiva una piena ed essenziale tutela per gli stipendi dello stessi lavoratori che, se continua così, potrebbero in futuro avere non pochi problemi.

Sarebbe stato opportuno, lungimirante e responsabile che la classe politica e i sindacati avessero agito per una reale tutela delle maestranze onde evitare di assistere in futuro ad altre chiusure, come è capitato peraltro per altre fabbriche nell'isola, ma abbiamo assistito solamente a una gestione assolutamente piatta di mantenimento dello status quo senza alcuna riflessione sul futuro dei lavoratori e sulla possibilità che una intelligente valorizzazione del comparto bosco avrebbe avuto anche per i disoccupati. Se pensiamo che continuare con l'assistenzialismo e con il clientelismo, con vincoli di ogni genere, con una burocrazia che asfissia ogni iniziativa, con la fuga dei giovani sardi e con la loro sostituzione con invasioni incontrollate dal Maghreb, che tutto questo e altro ancora rappresenti il futuro dell'isola, se tutto questo si pensa che sia la soluzione, vuol dire che siamo poco accorti o addirittura forse dei pazzi.

Questa legislatura, unitamente alla precedente, è ormai in via di archiviazione e, diciamo, onestamente non si hanno molti rimpianti, con laa prossima occorre cambiare pagina e proprio dare un segnale concreto aggredendo con coraggio uno dei mali del sistema. La burocrazia è esasperante, possiamo cominciare a cambiare le cose e a invertire la rotta; i giovani, i nostri figli, le nuove generazioni ci chiamano tutti a una grande responsabilità cui nessuno dovrebbe più sottrarsi. In questo senso mi sento di accogliere pienamente quanto detto dalla presidente Lombardo in riferimento alla necessità di unità, di coesione e di superamento anche di steccati ideologici che la situazione in atto richiede assolutamente necessario.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sindaco del Comune di Austis Lucia Chessa.

CHESSA LUCIA, Sindaco del Comune di Austis. Presidente Lombardo, consiglieri regionali e Assessore degli enti locali, in questa sede, devo richiamare il tema dell'obbligo, che hanno i comuni sotto i 3000 abitanti, di associare le funzioni e ricordare che la scadenza, anche se si prospettano delle proroghe a livello regionale e a livello nazionale, è il 31 dicembre 2013, oggi in Sardegna nessun comune gestisce le funzioni fondamentali in forma associata.

Ritengo utile ricordare qual è stato il percorso normativo che ha portato a questo obbligo. Ricordo che ha a che fare con l'intenzione - più volte dichiarata in questi anni e di recente - di abolizione dei comuni sotto i 1000 abitanti, sotto i 3000 e a volte anche sotto i 5000. Ricordo che, a partire dal 2011, c'è stata una forte reazione dei sindaci italiani di fronte a questa possibilità e, probabilmente, è quella reazione che ha suggerito un cambiamento di rotta, per cui probabilmente l'ipotesi di soppressione dei piccoli comuni si è trasformata in un obbligo all'associazione delle funzioni.

Ritengo che l'idea di abolire i piccoli comuni potesse essere avanzata, formulata ed elaborata solo in un contesto di grande degrado come quello purtroppo che stiamo vivendo in questi anni. In tempi in cui viene letteralmente smontato il sistema istituzionale dello Stato a favore di un centralismo che non conviene a nessuno e, meno che mai, a quei cittadini che lo stanno in parte sostenendo sull'onda di un'antipolitica molto mediocre, sul fuoco della quale molti stanno soffiando. Sono del parere che sia in atto, da un punto di vista istituzionale, una specie di delirio distruttivo molto pericoloso che interessa l'architettura istituzionale di questo Paese e sono del parere che questo delirio a volte ha anche un carattere schizofrenico. Ho letto di nuovo la proposta di abolizione delle comunità montane e di nuovo anche recentissimamente la proposta di abolizione delle unioni dei comuni che sono state individuate di recente come sedi di una politica pervicace. Ho pensato alla schizofrenia di chi ti obbliga all'aggregazione e poi vuole abolire gli aggregati. La schizofrenia di chi ti obbliga all'aggregazione e poi ti mette a disposizione aggregati inservibili, come sono appunto le unioni di comuni senza pianta organica. Questa è una schizofrenia colpevole, frutto di superficialità clamorose nel legiferare e, a volte, frutto del tentativo di allontanare da sé i tagli che sono necessari per scaricarli nel giardino del vicino.

Credo che la normativa attuale sull'obbligo dell'associazione delle funzioni risenta proprio di questo fatto, di essere un ripiego, buttata lì come se niente fosse, tacendone la portata e l'impatto, senza il benché minimo approfondimento, non dico sulla condivisione da parte dei comuni, che sembra una enormità ma in realtà non lo è, ma evitando anche una riflessione sul fatto che ci siano o non ci siano poi effettivamente delle economicità. Temo anche che gli amministratori, mi permetto, lo dico ai miei colleghi sindaci, non abbiano prestato a questa partita la necessaria attenzione; in parte perché siamo un Paese abituato alle "mille proroghe", in parte perché nei comuni viviamo oppressi dalla gestione dell'ordinario e, in parte, perché era anche difficile da immaginare che qualcuno pensasse di riversare addosso, sui sindaci dei piccoli comuni, un'onda di questo impatto, chiedendo che fossimo da soli a gestirla e a governarla.

Meno che mai sono consapevoli i cittadini di ciò che li aspetta da questo punto di vista, invece noi pensiamo che ci sarà un impatto nell'erogazione dei servizi e che ci saranno notevoli ricadute. Pensiamo che queste ricadute possano essere positive oppure negative a seconda della strada che si imbocca. Pensiamo però che potrebbero esserci ricadute serie in termini di rappresentanza democratica. Il rischio che dobbiamo assolutamente evitare in questo passaggio è che si eleggano consigli comunali completamente esautorati e dove invece il governo del territorio venga poi esercitato da organismi di secondo livello composti da sindaci oppure da delegati dei comuni, questo creerebbe, dal nostro punto di vista, un problema in termini di rappresentanza e sarebbe grave se, a maggior ragione, come sembra e ormai è sicuro, anche i consigli provinciali venissero poi non eletti dai cittadini ma dagli amministratori.

Porto questa questione alla vostra attenzione, noi vorremmo che il percorso di associazione delle funzioni tenesse presente la necessità di garantire l'autonomia dei comuni, per intenderci, per scendere sul concreto, vorremmo che, quando si andrà ad associare la funzione che contiene i servizi finanziari, sia garantita ancora con certezza la possibilità di fare la programmazione e i relativi bilanci a livello comunale con l'obbligo delle Unioni di recepire queste programmazioni. A me sembra incredibile che, davanti alla gravità di ipotesi di un venir meno dell'autonomia dei comuni, corrisponda una desolante assenza normativa. Allo stesso tempo sappiamo bene che non possiamo ignorare i limiti che ormai caratterizzano la capacità di risposta dei piccoli comuni. Noi sindaci sperimentiamo quotidianamente che, come singola amministrazione, non riusciamo più a rispondere in modo adeguato alle richieste dei cittadini e alle competenze che vengono continuamente riversate sui comuni.

Pensiamo che sia violato il principio di adeguatezza e sperimentiamo quotidianamente questa violazione tutte le volte che ci rendiamo conto che le nostre strutture non ce la fanno, quindi è la stessa situazione che ci obbliga e più dell'obbligo è la situazione oggettiva che ci induce a guardare all'associazione delle funzioni come una via di soluzione. Non c'è bisogno che elenchi ai miei colleghi sindaci su quanti versanti noi siamo scoperti, mi chiedo quanti comuni abbiano il piano di protezione civile comunale, quanti siano in grado di far muovere le strutture in modo tale che non penalizzino le imprese, quanti siano in grado di elaborare per esempio piani di anticorruzione efficaci, quanti possano contare semplicemente su un segretario comunale che garantisca il normale funzionamento delle giunte e dei consigli e infine quanti di noi riusciamo a spendere in tempi accettabili le risorse anche limitate che abbiamo: pochissimi!

Non riusciamo a svolgere tutte queste funzioni e non oso pensare che cosa succederà quando verranno ripartite le funzioni delle province. Quindi è chiaro che noi piccoli comuni siamo costretti per necessità, quindi prima ancora che per obbligo normativo, a unire le forze e sicuramente tutti stiamo cercando come possiamo di districarci all'interno di questa incertezza normativa. Allo stato attuale non esiste un soggetto che esegue un monitoraggio per vedere come in Sardegna le unioni dei comuni e le comunità montane si stanno muovendo per ottemperare all'obbligo di cui parliamo. Non esiste alcuna forma di consulenza per i piccoli comuni impegnati in un percorso di questa complessità, sostanzialmente esiste solo una scadenza secca e una sanzione per chi non la rispetta.

Esistono numerose altre criticità, ho concluso, a soluzione delle quali proponiamo alcune cose che sono già state sintetizzate dal presidente Ganau e che mi permetto di ricordare brevissimamente: un sistema che incentivi i comuni che intendono gestire le proprie funzioni in modo associato e la costituzione di un soggetto, che il presidente Ganau ha chiamato "osservatorio", che fornisca supporto, che faccia il monitoraggio, che proponga delle linee guida e che faciliti l'interlocuzione tra il comune e la regione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Steri, Presidente del Gruppo U.D.C..

STERI (U.D.C.). Presidente, quest'anno l'incarico di parlare per conto della maggioranza è stato attribuito a me, l'ho accolto con piacere. Anche per me è l'ultima volta che parlo in quest'Aula perché, come sapete, già da parecchio tempo ho detto che non mi sarei candidato ed è anche l'occasione per dare atto che l'apporto collaborativo del CAL è stato sempre particolarmente apprezzato. Mi permetto di ricordare il presidente Milia, presidente Milia che proprio in questi giorni ha comunicato l'abbandono della politica e che, negli anni passati, ha sempre contribuito con interventi di altissimo livello intellettuale. Credo che bisogna dargliene atto e che bisogna ringraziarlo per il contributo che ha dato a quest'Aula e al sistema politico e delle autonomie.

Sicuramente non possiamo dire che questa legislatura abbia prodotto una riforma del sistema, è nei fatti che così non è stato ed è altrettanto nei fatti che la prossima legislatura dovrà imprescindibilmente provvedervi e provvedervi immediatamente. Questo deve farlo per salvaguardare l'unità della Regione e, ancor prima, l'unità della Repubblica. E' stato più volte detto (perlomeno più volte io ho sostenuto) che, quando l'unità veniva intesa come organizzazione centralizzata dello Stato (parlo dell'Ottocento in quanto l'esigenza era quella di formare uno Stato), era ovvio che il potere fosse a carattere piramidale cioè, dall'alto, scendeva verso il basso, quindi si cercava di formare l'unità con l'esercizio del potere. Una volta realizzato questo risultato minimo, l'unità va costruita nei suoi contenuti e i contenuti non possono che essere quelli dati dalla Carta costituzionale, l'articolo 2, principio della solidarietà, l'articolo 3 ma anche l'articolo 5, l'articolo che afferma il valore delle autonomie. Solo dal basso, solo difendendo le piccole comunità, le comunità intermedie, noi possiamo costruire un'autonomia, possiamo costruire un sistema democratico vero, poi chiamiamoli comuni, chiamiamole province, chiamiamoli come vogliamo, l'importante è che queste unità, e per unità intendo esercizio locale delle funzioni, vengano salvaguardate; se non c'è questo, cade il sistema democratico.

Ecco perché l'incontro con il CAL, anche al di là degli incontri oggi tra l'altro particolarmente critici, è sempre utile; consente un esame di coscienza e una riflessione sotto i vari aspetti, anche quelli che a giorni dovremo andare ad affrontare, aprendo la riflessione anche sul fatto che la posizione del CAL, qual è configurata oggi dalla legge, non è una posizione adeguata. Quando io attribuisco al CAL sempre solo ed esclusivamente la facoltà di dare un parere non vincolante, ne sto svilendo il ruolo. Nel dire questo, non voglio dire che mi voglio privare del potere mio (inteso del Consiglio regionale) di fare le leggi regionali nel momento in cui c'è la massima espressione dell'autoritatività; però, attenzione, abbiamo ben presenti diverse ipotesi in cui le leggi sono il frutto e il recepimento di accordi raggiunti in altre sedi, a parte che la stessa Costituzione ce ne dà un esempio quando parla del concordato, anche in quel caso c'è il momento più alto, più autoritativo, di un momento pattizio, dagli anni settanta in poi le leggi fatte sugli accordi firmati con i sindacati, che rispecchiavano alla lettera quegli accordi, sono all'ordine del giorno.

Ecco, il confronto con il CAL deve diventare più costante e più pregnante; bisogna che al CAL non sia solo chiesto un parere vincolante, cioè che non si abbia solo un obbligo di chiedere un parere che domani si disattende "fregandosene" di quello che ha detto, ma deve essere un qualche cosa di serio, di concreto e di costruttivo. La funzione del CAL deve entrare nella nuova disciplina della Regione, in primo luogo, al di là del nuovo Statuto, se e quando riusciremo a farlo, deve entrare nella disciplina dell'articolo 15. Sappiamo tutti che la riforma degli enti locali è disciplinata da alcune norme regionali e altre sono di norma statutaria. E in norma statutaria dobbiamo mettere, per dare un potere rafforzato, la disciplina del rapporto con il CAL.

Per quanto poi riguarda la posizione del Consiglio, non posso che concordare con tutte le osservazioni che ha fatto il presidente Lombardo, che condivido pienamente; ogni anno è sempre stata molto puntuale e molto precisa e credo che, in quest'occasione, anche il presidente Lombardo deve essere ringraziata per quanto ha fatto nel tentativo di mantenere saldo il rapporto di collaborazione con il CAL. Una serie di problemi concreti è stata sollevata, siamo sempre stati attenti, non sempre abbiamo dato risposte soddisfacenti, ma a cogliere i problemi sollevati siamo sempre stati attenti. Alcuni dei problemi che soprattutto il presidente Ganau ha sollevato nella parte finale del suo discorso sono oggi all'esame della Commissione: il problema del Fondo unico, riparto province e comuni, sarà affrontato lunedì mattina; come sarà affrontato lunedì mattina anche il problema dei 56 milioni delle accise, per trovare la soluzione.

Ma, attenzione, la Regione ha sempre posto, a disposizione delle autonomie locali, risorse ben superiori di quelle che sono nel Fondo unico, basti ricordare che, l'anno scorso, quando è stato chiesto l'intervento di emergenza sulle povertà, è stato immediatamente posto in essere, nei tempi tecnici, è stato concordato e anche quest'anno viene reiterato. Per cui un'attenzione alle esigenze delle autonomie locali vi è sempre stata, magari si può contestare il fatto che vi siano ancora voci e capitoli di spesa che non confluiscono nel Fondo unico, ma è un passo ulteriore che dovrà essere fatto per andare avanti e per razionalizzare il sistema. Così per tutti gli altri problemi di finanziaria che sono stati posti in essere, per quanto riguarda i cantieri verdi, c'è un emendamento, sono stati già messi dieci milioni di finanziamento, ma c'è tutta una serie di interventi, per cui spero che una volta che la legge finanziaria uscirà dalla Commissione, prima che entri in Aula, il CAL ci dia un'altra opinione in modo tale che in Aula noi saremo in grado di valutare più compiutamente.

Affronteremo tutti i problemi, tempi permettendo, è stato posto il problema dell'ATO, lì per la verità avevamo introdotto un sistema di coinvolgimento del CAL, un sistema democratico in cui c'era un primus inter pares, non abbiamo ben capito come questo comitato di indirizzo abbia funzionato, forse qualche chiarimento a proposito sarebbe opportuno. Fermo rimanendo che poi il problema dell'ATO va affrontato, va risolto, sempre ovviamente in gestione collegiale. E' stato posto il problema del trasferimento delle azioni dalla regione ai comuni, è da anni che sostengo che dovremmo farlo per rendere legittimo il sistema in house di Abbanoa, quindi non trova nessuno più favorevole di me su quello che lei ha detto. Però assicuro che, da parte della maggioranza, ma anche in collaborazione con la minoranza, tutti i problemi posti saranno affrontati e si cercherà di dare una risposta il più possibile completa.

Finirei semplicemente ringraziando per la collaborazione data in questi cinque anni, auspico che nei colleghi che verranno vi sarà altrettanta collaborazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il consigliere Giampaolo Diana, Presidente del Gruppo P.D.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Presidente, in apertura, in maniera forse anche irrituale, voglio ringraziare il collega Steri. Nella prossima legislatura, sono certo che mancherà ai colleghi che ci saranno, chiunque ci sarà in quest'Aula, l'apporto importante che ha saputo dare, non soltanto a una parte di questo Consiglio regionale ma a tutto il Consiglio regionale. Lo ringrazio sinceramente per questa funzione che ha saputo svolgere, talvolta anche facendo qualche passo indietro rispetto a proprie posizioni, nemmeno questo è usuale nella politica di questi giorni.

Detto questo, Presidente, prima ho provato, anche qui in maniera irrituale, me ne rendo conto, di premere il pulsantino e ci sono anche riuscito, ma non sono riuscito ad attrarre, credo scientificamente da parte del Presidente del Consiglio, la sua attenzione, perché era mia intenzione provare a chiedere un rinvio di qualche minuto, perché permettetemi è desolante assistere a una partecipazione, sia da parte dei consiglieri regionali e, non voletemene, anche dei sindaci, a una riunione importante come questa. C'è una partecipazione davvero insufficiente che mortifica la funzione e il ruolo di queste due istituzioni oggi riunite congiuntamente. Poi non si sorprenderà il presidente Ganau, il presidente Cappellacci brilla per assenza quindi non è una novità.

Vorrei dire che, troppo spesso, anche stamattina, anche in questa seduta, è passato il messaggio "siete tutti uguali"; respingo questa lettura, non l'accetto, è una lettura che non aiuta, perdonatemi, a ricostruire il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini, richiamato anche dalla presidente Lombardo e dal presidente Ganau. Perché dico questo? Perché ho la consapevolezza, se volete anche la presunzione, di dire che questa legislatura non è stata uguale a quella precedente, badate io in questa ci sono e in quella precedente non c'ero, ma la qualità di questa legislatura - permettetemi - non è paragonabile né a quella precedente e nemmeno a quelle precedenti. E dirò anche qualcosa. Questa è stata, mi spiace dirlo perché ne faccio parte anch'io, forse una delle peggiori nella storia dell'autonomia di questa Regione e le ragioni non sono distribuibili in maniera eguale a tutti.

Sbagliamo profondamente quando non sappiamo sottrarci da questo giudizio semplicistico che non aiuta nessuno. Non aiuta nessuno! Non siamo di fronte a responsabilità uguali! Faccio un solo esempio… mi fa piacere che, nel frattempo, si sia rimpinguata anche la presenza della Giunta… un solo esempio, lo dico ai sindaci, perché è un tema che vi riguarda. Nel 2004, chi vinse le elezioni, quando prese in mano questa Regione, si trovò, visto che stiamo parlando di finanziaria, di fronte a questa situazione: dato 100 alle entrate della Regione complessive, di questo 100 nel 2004 appena il 3 per cento era manovrabile per spese di investimento, per scelte discrezionali eccetera; a consuntivo del 2008, quindi nel 2009, chi ha vinto quella competizione elettorale si è trovato, sempre dato 100, cari sindaci, con una disponibilità manovrabile pari al 37 per cento. Credete che sia un qualcosa piovuto dal cielo? Non credo. Nel 2014, chi vincerà le elezioni regionali, presidente Ganau, lei lo sa meglio di me, a meno che non mi smentisca l'assessore Rassu, chi vincerà le elezioni si ritroverà con una disponibilità manovrabile intorno al 3 per cento. Ho voluto fare solo quest'esempio per dirvi che non accetto il messaggio che è volto a dipingere in maniera eguale tutti quanti, non è così!

Spiace anche dire che (lo dico agli Assessori presenti, non lo dico io, lo dicono le cronache, lo dirà chi prima o poi scriverà di questa legislatura la storia stessa), in questa legislatura, si è mortificato in maniera continua l'istituto autonomistico. La Sardegna, purtroppo ci passiamo tutti, è scomparsa dal confronto con lo Stato e non voglio utilizzare questa sede per ripetere cose dette in altre occasioni. La causa di questa scomparsa risiede esclusivamente nell'assenza totale di autorevolezza del Presidente della Regione. Non possiamo confondere, cari colleghi e cari sindaci, chi ha la responsabilità di aver riscritto l'articolo 8 dello Statuto con chi ha la responsabilità di non essere stato capace di attuarlo nemmeno in parte. Non è la stessa cosa! Mi dispiace che si cerchi di far passare un messaggio del genere, non aiuta nessuno e non aiuta il nostro futuro. Non possiamo confondere chi è riuscito ad attuare, per esempio, una continuità territoriale di un certo tipo con chi ha avuto la responsabilità di derubricarla in maniera spaventosa. Oggi per andare a Palermo in continuità territoriale bisogna andare a Milano e poi da Milano a Palermo. Per cortesia, senza giudizi politici, andiamo a vedere quanti erano i numeri dei voli, le tratte, eccetera e paragoniamo quella situazione con quella attuale per vedere se ci possiamo permettere il lusso di dire che siamo tutti uguali!

Non si può confondere chi ha avuto il coraggio, attraverso un profilo riformatore, di attuare riforme, si possono anche contestare, si possono sindacare, ma certamente abbiamo assistito, negli anni passati, alla messa in essere di un profilo riformatore sia sul piano istituzionale, nel confronto con lo Stato e nelle politiche di settore. Quali riforme in questa legislatura, ci richiamava e ci chiedeva anche il presidente Ganau? Io stento a vederne alcuna, c'è una riforma? Non si è riusciti nemmeno ad attuare il dettato, lo spirito che richiamava anche la presidente Lombardo, della volontà popolare dei referendum del 6 maggio 2012. Su questo il Presidente del CAL si è soffermato a lungo. Non entro nel merito espresso dal presidente Ganau, abbiamo avuto modo di farlo in altre occasioni, anche nell'audizione avuta dal CAL nelle Commissioni competenti su questo tema, e do atto al CAL di avere…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Diana…

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Sto finendo, Presidente. Do atto al CAL di aver dato degli spunti importanti che non sono stati presi in considerazione. Noi stiamo riscrivendo, in questi giorni, in maniera importante, con il contributo di tutte le forze politiche, una finanziaria che era stata giudicata, nelle audizioni, da tutti, nessuno escluso, irricevibile, la stiamo riscrivendo soprattutto con una sensibilità verso le ragioni che il CAL oggi ci ha ricordato, attenti soprattutto a quelle ragioni e sono certo che, in Commissione bilancio e poi in Consiglio (perché c'è una consapevolezza differente dalla Giunta e dal Presidente della Regione), si farà un lavoro che saprà rispondere a quelle attese.

Finisco con questo, Presidente, abbiamo necessità, lo riprendeva alla fine l'onorevole Steri, di affrontare e dare una risposta all'appello lanciato dal presidente Ganau, noi non ci possiamo permettere il lusso di non fare un qualcosa che rischia di provocare una soluzione di continuità all'interno dell'ATO. Credo che le osservazioni fatte dal collega Steri vadano prese nel senso da lui indicato e sono convinto che, nelle prossime ore, nei prossimi giorni, ci saranno le condizioni per chiarire alcune questioni; fatto ciò sono convinto che saremo in grado di rispondere all'appello del presidente Ganau.

Finisco dicendo, Presidente, noi ci siamo, ci siamo…

PRESIDENTE. E' la terza fine, onorevole Diana… è la terza volta che dice che finisce.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Ci siamo quando si tratta di rispondere agli interessi generali di questa Sardegna. Grazie Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica Nicola Rassu.

RASSU (P.d.L.), Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente e componenti del Consiglio delle autonomie locali, signori sindaci, colleghe e colleghi, la riunione odierna, prevista come sappiamo dall'articolo 10 della legge regionale numero 1 del 2005, ci offre annualmente l'opportunità di tracciare un bilancio sullo stato del sistema delle autonomie locali in Sardegna, evidenziato, come è stato anche oggi, così come l'anno scorso e gli anni che l'hanno preceduto, dal dibattito che si sta e che si è svolto in aula. Voglio ringraziare il Presidente del Consiglio per la compiutezza e lo spessore del suo intervento che ha in parte dato molti spunti e ha già risposto a determinati quesiti che poi sono stati posti in questa aula stamane.

Siamo tutti consci che si sta attraversando la più grave crisi economico-finanziaria internazionale del dopoguerra, forse peggiore di quelle che hanno interessato il nostro Paese subito dopo l'ultimo conflitto alla quale si sta cercando di porre rimedio con misure eccezionali che si riflettono, purtroppo, in maniera negativa, nel bilancio delle autonomie locali. E' un momento di eccezionale preoccupazione per tutti ma principalmente per la Sardegna e per il suo popolo perché, ai problemi annosi che ci riguardano, si aggiungono quelli congiunturali, prettamente e caratteristicamente nostri, che rendono la situazione ancora più difficile soprattutto per le famiglie, i giovani e le imprese.

I provvedimenti adottati dagli ultimi Governi, così come la cosiddetta spending review, hanno letteralmente messo in ginocchio sia la Regione che gli enti locali, stante i continui tagli ai trasferimenti che ci competono e che si sommano ai mancati adeguamenti derivanti dalla modifica dell'articolo 8 dello Statuto in materia di entrate del quale è stato accennato poc'anzi.

Il presidente dell'ANCI nazionale, l'onorevole Fassino, ha chiesto udienza al Capo dello Stato per giustamente rimostrare e presentare il fatto che o si adegua il Patto di stabilità e si consente ai comuni una capacità di spesa o i comuni devono chiudere così come di fatto li stanno costringendo a fare e con loro chiuderanno chiaramente anche le loro famiglie e le nostre imprese. Attualmente, ecco la differenza dal 2004 a oggi, a noi occorre adeguare un Patto di stabilità per quasi 800 milioni di euro, è questo quello che ci manca. Purtroppo le nozze di Cana sono avvenute oltre duemila anni fa quando il buon Gesù ha trasformato l'acqua in vino in quelle famose nozze su richiesta di sua madre Maria. Oggi come oggi poche realizzabili si potranno realizzare se non ci sono le risorse finanziarie.

Ciò evidenzia comunque il fatto che, alla Regione, voglio precisarlo, nonostante questi tagli e queste ristrettezze, le somme stanziate per gli enti locali, poche certamente, negli anni 2012-2013-2014, compreso il Fondo unico, sono rimaste pressoché invariate. Faccio poi l'appunto sul Fondo unico. Questo grazie anche alla costante collaborazione degli stessi enti locali, ciò evidenzia il fatto che la Regione, pur subendo il disimpegno dello Stato, è stata sempre vicina agli enti locali sulle partite più importanti. Posso inoltre affermare senza tema di smentita che mai alcun provvedimento riguardante gli enti locali, sia di carattere legislativo che di carattere amministrativo, è stato emanato senza aver consultato i rappresentanti degli enti locali, che ringrazio per il loro fattivo e indispensabile apporto costantemente garantito, almeno durante il mio mandato, sia con apposite riunioni nella Conferenza permanente regionale degli enti locali, così come è sancito dalla legge, ma anche con costanti contatti informali.

Gli esempi più evidenti di questa collaborazione sono stati gli accordi raggiunti sul Patto di stabilità territoriale 2012-2013 e, a tal proposito, mi corre l'obbligo di ringraziare pubblicamente ancora i componenti della Conferenza per il fattivo e costruttivo contributo dato in sede di discussione e di concertazione, grazie al quale la Regione ha reso disponibile la somma di 93 milioni e 234 mila euro per l'anno 2012 e 95 milioni e 366 mila euro per l'anno 2013, al fine di ampliare la capacità di spesa dei comuni e delle province. Un grande risultato che ha dato ossigeno agli enti locali soggetti al Patto di stabilità e lo abbiamo fatto anticipando i tempi rispetto alle annualità precedenti e a quelli previsti dalla normativa statale, dando agli enti locali la possibilità di avere maggiori spazi temporali per programmare i propri interventi, una volta autorizzati per il raggiungimento dei rispettivi saldi obiettivo.

In materia di Patto di stabilità, plaudo al risultato raggiunto con l'approvazione da parte del Consiglio regionale dell'articolo 1, comma 2, della finanziaria regionale 2013 che ha fatto sì che una somma pari a circa 500 milioni di euro non venisse inclusa nel conteggio del Patto di stabilità della Regione. Questa norma consentirà anche in futuro di stralciare le somme del Fondo unico dal conteggio del patto regionale liberando risorse importanti per la nostra comunità e il mio compiacimento è ancor maggiore in quanto già nella seduta congiunta del 20 dicembre 2011 avevo espresso a tal proposito il mio parere al cosiddetto doppio computo con l'auspicio che il Consiglio regionale potesse legiferare in tal senso. Ciò è avvenuto ed è per la comunità sarda un grande risultato.

In quella sede, avevo espresso anche il mio punto di vista in merito alla necessità di avere una normativa in ordine alla cessione dei crediti pro soluto al fine di dare al sistema delle imprese quella liquidità necessaria per andare avanti senza avere la preoccupazione del rischio del fallimento giorno per giorno, articolo 3 della legge numero 18 del 2013, si è legiferato in materia e la Giunta regionale il 31 ottobre 2013 ha approvato il relativo protocollo.

Auspico, come già ricordato in precedenza e in questa occasione, che si possa arrivare al comparto unico della finanza locale e al varo dell'Osservatorio regionale, così come è stato richiamato da qualche intervento, i quali, nell'ottica di un rinnovato rapporto Regione-enti locali, favoriscano la realizzazione di un moderno ruolo costituzionale di autonomia e di responsabilità delle amministrazioni locali, in particolare l'Osservatorio, per la creazione del quale si è già avanti nella sua costituzione, avrà il compito di predisporre strumenti di monitoraggio e diffusione delle informazioni gestionali e finanziarie degli enti locali mediante l'individuazione di indicatori, criteri di rivelazione, metodologie per l'analisi degli effetti delle politiche proprie e di settore.

Relativamente alla riforma in atto nel sistema delle autonomie locali, cito chiaramente le province, è indispensabile senz'altro rispettare la volontà referendaria del nostro popolo, ma penso che sia altrettanto importante, prima di ogni altra cosa, garantire contestualmente e migliorare l'erogazione dei servizi ai cittadini nel rispetto dei principi inderogabili dell'efficienza, dell'efficacia e dell'economicità che salvaguardano i posti di lavoro.

La Regione autonoma della Sardegna, lo ricordo, è stata la prima regione, in materia di associazionismo, ad avere avviato un processo innovatore basato sugli ambiti territoriali ottimali. E' stata la prima regione ad aver respinto la norma sulle unioni coatte per i comuni sotto i 1000 abitanti, di cui al famoso articolo 16 del decreto-legge numero 138 del 2011. Non sarà un caso che, successivamente, anche il Governo nazionale ha fatto un passo indietro passando dall'obbligatorietà per i comuni sotto i 1000 abitanti a costituire le predette unioni alla facoltatività per gli stessi enti di esercitare tale opzione. Con questa legge abbiamo voluto sottolineare, coerentemente con i principi della nostra specialità statutaria, l'intangibilità dell'autonomia istituzionale, politica e amministrativa di ogni comune e nel contempo disciplinare la gestione associata delle funzioni fondamentali. Vorrei che fossimo anche la prima Regione ad avviare una riforma organica al sistema delle autonomie locali dove al primo posto mettiamo il cittadino e questa riforma fosse scevra da condizionamenti di qualsiasi genere, innanzitutto proprio da condizionamenti imposti da quelle barricate ideologiche che purtroppo tanto ci dividono e tanto danneggiano la nostra capacità amministrativa.

In quest'ottica occorre definire con chiarezza "chi fa" e "che cosa", secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione. Voglio ricordare che, in Commissione, è presente il disegno di legge a mia firma e approvato dalla Giunta sin dal 12 ottobre 2012 sull'ordinamento generale degli enti locali a 360 gradi e di cui comunque la Commissione, non ho capito mai perché, non ha mandato avanti l'istruttoria stralciando solo ed effettivamente l'assetto delle province. Sulle gestioni associate abbiamo scommesso e investito tanto in questi anni. Certi risultati potrebbero essere migliori, ma servono anche alcune modifiche legislative alla legge regionale numero 12 del 2005 che rendano le forme associative, che sono quaranta, più operative e più rispondenti alle domande che provengono dei territori.

Faccio solo un esempio, è stato richiamato poc'anzi: attualmente le unioni non possono avere piante organiche. Penso che questa norma debba essere modificata e in tal senso ho presentato un apposito disegno di legge dando la possibilità alle unioni di assumere nell'ambito degli spazi assunzionali dei comuni che ne fanno parte. La settimana scorsa si è concluso il progetto di alta formazione della durata biennale, a cui hanno partecipato ottanta operatori individuati in tutte le forme associative locali presenti nei territori della regione (comuni, unioni di comuni, comunità montane) finalizzato a sostenere e promuovere le forme di gestione associata e dei servizi e delle funzioni a loro attribuite dalla normativa vigente. Si è svolto nelle cinque sedi dei centri regionali di formazione professionale (Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari e Olbia-Tempio); il percorso formativo si è concluso con uno stage conoscitivo di 15 ore presso le unioni di comuni delle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. I riscontri a questo corso sono stati molto positivi e hanno galvanizzato i partecipanti, i quali diventano e sono diventati i protagonisti a livello tecnico di questo processo innovatore il cui obiettivo è strategico per il futuro delle autonomie locali.

Svolgere obbligatoriamente in maniera associata i servizi e le funzioni mediante unione o convenzione significa sviluppare maggiore professionalità, maggiore gratificazione per i lavoratori, ma soprattutto risparmi per gli enti che liberano risorse all'interno dei loro bilanci. Per quanto riguarda la scadenza delle funzioni associate è stato presentato un emendamento in finanziaria che li riporta e li ribalta di un anno. Gestione associata non vuol dire che l'ente comune deve rinunciare al proprio ruolo, ma al contrario significa agire insieme ai propri vicini nell'ottica della qualificazione della spesa e della programmazione strategica a favore dello sviluppo del territorio, strategica perché si rende necessario un salto di qualità…

PRESIDENTE. Assessore, concluda.

RASSU NICOLA (P.d.L.), Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. … cioè passare dal senso di appartenenza della propria comunità territoriale, pur mantenendo la propria identità, al senso della gestione del territorio. Purtroppo il Presidente mi richiama e non posso concludere compiutamente.

Un auspicio: che si vada d'ora in avanti, spero con la prossima legislatura, alla sostanza dei problemi, cercando una più ampia condivisione possibile in quest'Aula, con tutti gli attori locali al fine di raggiungere il migliore risultato per l'ammodernamento della pubblica amministrazione, di cui si sente fortemente la necessità, nel superiore interesse dell'intero sistema delle autonomie locali e delle comunità rappresentate e lasciando, una volta tanto, da parte quelle barriere ideologiche che tanto ci hanno condizionato in questa e nelle altre legislature e ci hanno diviso, questo per noi è sempre stato motivo di debolezza e di poca capacità organizzativa e di amministrazione.

PRESIDENTE. La seduta congiunta del Consiglio regionale con il Consiglio delle autonomie locali si conclude a questo punto.

Il Consiglio è riconvocato alle ore 12 e 10.

La seduta è tolta alle ore 12 e 07.