Seduta n.251 del 21/09/2011 

CCLI SEDUTA

MERCOLEDI' 21 SETTEMBRE 2011

(POMERIDIANA)

Presidenza della Presidente LOMBARDO

indi

del Vicepresidente COSSA

indi

della Presidente LOMBARDO

La seduta è aperta alle ore 16 e 31.

MARIANI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 13 settembre 2011 (244), che è approvato.

Congedi

PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Salvatore Amadu, Tarcisio Agus e Gabriella Greco hanno chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 21 settembre 2011.

Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.

Considerata la scarsa presenza di consiglieri in aula, sospendo la seduta sino alle ore 16 e 40.

(La seduta, sospesa alle ore 16 e 32, viene ripresa alle ore 16 e 55.)

Continuazione della discussione generale del testo unificato "Modifica dell'articolo 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) concernente la composizione del Consiglio regionale" (N. 1-7/NAZ/A) delle proposte di legge Uras - Sechi - Porcu: "Modifica dell'articolo 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), concernente la composizione del Consiglio regionale" (1/NAZ) e Vargiu - Cossa - Dedoni - Fois - Meloni Francesco - Mula: "Modifica dell'articolo 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) (N. 7/NAZ)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione generale del testo unificato numero 1-7/NAZ/A.

Il primo iscritto a parlare è il consigliere Mariano Contu. Ne ha facoltà.

CONTU MARIANO (P.d.L.). Cari colleghi, signora Presidente, credo che il tema all'attenzione, cioè la proposta di riforma dell'articolo 16 della legge costituzionale numero 3 del 1948, sia un tema di grande valenza, un tema importante che merita più attenzione di quanta gliene abbiamo dedicata fino a oggi. Credo di dover continuare secondo quello spirito che ha animato il collega Felicetto Contu, il quale a conclusione dei lavori antimeridiani ha terminato il suo intervento appellandosi al concetto di dignità del ruolo che siamo stati chiamati a svolgere in quest'Aula.

Credo di poter dire con orgoglio di rappresentare nel parlamento dei sardi l'elettorato, i cittadini elettori che hanno sostenuto la mia parte politica e hanno espresso fiducia nei miei confronti, così come nei confronti di tutti coloro che sono stati eletti direttamente nelle elezioni regionali del 2009.

L'amico e collega Felicetto Contu nel fare una ricostruzione storica del parlamento dei sardi credo abbia voluto ricordare a noi tutti i diversi momenti che hanno caratterizzato la nascita del Consiglio regionale della Sardegna, avvenuta circa sessant'anni fa, ma soprattutto ciò che aveva animato i padri costituenti nel fare delle scelte ben precise, con attenti e approfonditi dibattiti, che soddisfacessero le esigenze del popolo sardo e in particolare la necessità che esso avesse una rappresentanza degna di tale ruolo. Io dico che se oggi noi rappresentiamo l'organo legislativo espresso dal popolo dobbiamo avere, oltre all'orgoglio, il coraggio di dire se davvero la volontà riformatrice che anima quest'Aula è quella espressa nella proposta approvata - qualcuno ha detto con un blitz - dalla prima Commissione il 16 settembre scorso. Io potrei dire che è stato quasi un parto distocico, per non dire che è stato partorito un topolino! Se la volontà riformatrice dovesse essere riferita solo alla proposta che noi stiamo esaminando, che prevede la modifica di un numero, allora davvero ciò vorrebbe dire che non crediamo in noi stessi né nella nostra capacità di essere protagonisti nel momento in cui ci confrontiamo per elaborare una proposta di legge che sia credibile e condivisibile, ma soprattutto preveda una riforma che vada incontro non solo all'esigenza della rappresentatività parlamentare, ma anche a quella di dotarci di una legge che ci consenta di avere un organo legislativo adeguato a quelle che sono le necessità della nostra Isola.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSSA

(Segue CONTU MARIANO.) Io credo che manchi quell'afflato, quella voglia, ma soprattutto quello spirito necessario perché noi possiamo essere davvero credibili in quello che proponiamo.

Ho seguito con attenzione tutti gli interventi che si sono susseguiti ieri e oggi, potendo e volendo così condividere diversi passaggi che hanno caratterizzato i discorsi dei tanti colleghi che sono intervenuti sul tema. Devo dire che se nella scorsa legislatura sono state presentate delle proposte di riforma, come quelle richiamate dai colleghi Cappai, Maninchedda e altri, la proposta che abbiamo adesso in esame potrebbe essere definita, così come l'ha definita il collega Campus, un tentativo di riforma; un tentativo di riforma che è insufficiente e anche incompleto e che di sicuro non può configurarsi, come magari è nella volontà di chi ha già presentato degli emendamenti, come proposta da emendare ed esitare come riforma. E se questo dovesse essere il processo, dobbiamo dire che questa proposta nasce già come proposta abortiva; alla fine potrebbe rimanere una proposta incompiuta, nel senso che sarebbe molto più onesto dire che abbiamo la volontà di affrontare le riforme, ma dobbiamo elaborare una proposta che necessariamente abbia ben altri contenuti. Esaminando gli emendamenti che sono già stati presentati emerge l'esigenza di arricchire questa proposta con tanti altri temi che inevitabilmente portano alla modifica del nostro Statuto.

E allora per quale motivo disperdere le nostre energie portando avanti una discussione su un numero, perché alla fine la discussione in corso verte su un numero. Poi ognuno di noi avrà giustamente la sua opinione su quale possa essere il numero perfetto (richiamando il numero tre che ricorre simbolicamente nell'opera di Dante). Gian Valerio Sanna ha parlato di riduzione del concetto di democrazia, di democraticità, di rappresentanza democratica, ha parlato, come dire, di una sorta di "decapitazione" del concetto di democrazia, che significa partecipazione di molti, possibilmente di tutti o quanto meno di chi gode dei diritti politici. E allora potrei dire che a me il governo degli oligarchi non interessa, non piace, così come non mi piacciono le monarchie, i principati e tanti altri tipi di governo.

L'elaborazione di questa legge si è concretizzata in una proposta oggettivata nella modifica di un numero. Oggettivata nella modifica di un numero che cosa significa? Per me l'optimum è ottanta, la proposta che stiamo esaminando prevede cinquanta, altre proposte indicano sessanta, il Governo di Roma ha parlato di trenta. Ma qui la democrazia non si misura con il bussolotto del lotto e il rispetto per noi stessi ci deve portare a sviluppare in altri termini il discorso sulle riforme. Una riforma come quella statutaria molto probabilmente ha bisogno di altri approfondimenti. Il mio invito è quello di ritirare la proposta, forse sarebbe la cosa più dignitosa da fare in questo momento, perché davvero mi sembra poco dignitoso per noi che un tema come questo venga trattato disquisendo sui numeri cinquanta e sessanta.

Come tanti colleghi, di destra e di sinistra, hanno sottolineato, non si può pensare di governare la regione governando i processi di piazza. Chi ha più esperienza di me sa benissimo che i processi di piazza non si governano né a colpi di decreti né solo con gli interventi della forza pubblica. Molto probabilmente la piazza la si governa con le proposte e le scelte, ma soprattutto con i programmi e con l'operatività di chi è chiamato a governare. E allora la necessità di cogliere dai cittadini quelli che sono i bisogni più impellenti in questo momento mi sembra molto più importante di quanto non lo sia in queste giornate dedicare il tempo a disquisire se sia meglio avere un Consiglio regionale composto da cinquanta, sessanta od ottanta consiglieri. Questo discorso mi sembra davvero abbastanza riduttivo, ma soprattutto mi sembra che sia mancata la capacità di riflettere su come esercitare il nostro ruolo di fronte a un tema così importante come quello delle riforme.

Ma è altrettanto impellente oggi, nella crisi economica che il Paese sta vivendo, la nostra regione in modo particolare, dove non c'è un settore produttivo che non sia in crisi, dove la gente ci chiede lavoro e occupazione, ci chiede di risolvere la crisi industriale, la crisi delle campagne, la crisi dei trasporti, e potrei continuare per tutta la sera. Davvero abbiamo perso di vista l'orizzonte, nel senso che la piazza non ci sta chiedendo dei numeri per quanto riguarda i consigli comunali o provinciali, non vuole sapere se intendiamo o meno cancellare le province, quando le cancelleremo e così via dicendo. La gente ci sta chiedendo lavoro, ci sta chiedendo occupazione, ci sta chiedendo tante altre cose.

Vorrei capire da dove è scaturita la necessità, alla ripresa dell'attività del Consiglio dopo la pausa estiva, che il primo tema di discussione fosse questo. E' una domanda che rivolgo al mio Capogruppo e anche agli altri Capigruppo. Qual era la necessità impellente di affrontare questo argomento di fronte alla grave crisi economica che la nostra collettività sta vivendo? Io credo che se davvero oggi il reale problema dell'Italia, ma soprattutto della Sardegna, è il numero dei consiglieri regionali allora facciamo in fretta, ci dimettiamo tutti e così abbiamo risolto tutti i problemi. Questo per rispondere alla piazza. Se siamo davvero noi il problema basta ammetterlo e dimettersi!

Credo che ci sia bisogno davvero di rafforzare la credibilità delle istituzioni, di affermare che occorre una riforma, anche strutturale, delle nostre istituzioni. Questi problemi non vanno affrontati a cuor leggero, pensando di risolverli modificando un numero previsto nello Statuto della Regione sarda. Io credo, ed è un invito che rivolgo un po' a tutti, che dalle valutazioni numeriche delle rappresentanze dobbiamo passare alla valutazione delle priorità da dare alle problematiche che siamo chiamati ad affrontare giorno per giorno. L'autonomia del Consiglio è una prerogativa che dobbiamo difendere, in cui dobbiamo credere tutti e se davvero vogliamo essere autorevoli, se davvero vogliamo essere credibili, se davvero vogliamo svolgere il ruolo per il quale siamo stati eletti dobbiamo approfondire meglio le necessità che ci devono portare ad attuare una vera riforma statutaria e una vera riforma elettorale, perché quella che stiamo proponendo non è né l'una né l'altra, e mi sembra abbastanza riduttivo pensare che l'organo legislativo della Regione sarda abbia perso proprio il significato delle parole, ma soprattutto il senso del ruolo che noi consiglieri siamo chiamati a svolgere in quest'Aula. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Sechi. Ne ha facoltà.

SECHI (SEL-Comunisti-Indipendentistas). Si può anche dire che questa è una proposta di legge, è stata presentata come tale, ma io credo che, per correttezza, forse dovremmo definirla piuttosto una dichiarazione d'intenti, perché alla fine, anche alla luce degli interventi svolti ieri sera e di quelli che si stanno susseguendo nella giornata odierna, emerge una posizione condivisa, che è quella di non riconoscersi in una proposta di legge che sostiene, forse dietro la spinta della piazza, la necessità di dare risposte alla gente indignata riducendo il numero dei consiglieri regionali da ottanta a cinquanta. Perché cinquanta, qualcuno mi potrebbe chiedere? E perché tu, insieme con i consiglieri Uras e Porcu, hai proposto sessanta? Cercherò di fare un ragionamento, comunque mi pare che sia descritto nel preambolo di questa legge che la ragione della riduzione a cinquanta è in linea con le politiche di riduzione delle spese pubbliche dettate dalle istituzioni comunitarie e nazionali, cioè con l'esigenza di contenere, così come più volte è stato detto, i costi della politica. Se questa deve essere l'argomentazione, credo che per noi tutti sia una solenne vergogna pensare di ridurre i costi della politica riducendo la rappresentanza del popolo sardo nel parlamento dei sardi. Se siamo convinti della riduzione del numero dei consiglieri regionali, dobbiamo trovare altre argomentazioni, non quella del risparmio, perché se risparmio volessimo realizzare probabilmente raggiungeremmo un risultato immediato dimezzando le indennità che a qualsiasi titolo ognuno di noi percepisce o tutte le altre "attenzioni" che vengono riservate alle istituzioni. In questo caso il risparmio sarebbe garantito, salvando la rappresentanza democratica e forse anche semplificando il funzionamento del Consiglio. Il problema è che alla fine emerge sempre il solito discorso in quest'Aula: è più forte di voi, dovete arrivare per vie traverse agli scopi che vi proponete, così come avete fatto con la legge sul piano casa, che avete intitolato disposizioni per rilanciare l'economia e l'occupazione, quando il disegno era un altro. Quando poi avete dovuto sottoporre all'attenzione di quest'Aula l'aggressione alla fascia costiera e al territorio tutelato dal PPR ci avete proposto il rilancio del turismo golfistico!

Adesso per far fronte alla terribile crisi economica pensiamo di ridimensionare le istituzioni democratiche. Su questo credo possiamo avanzare una proposta, che è quella che abbiamo fatto all'inizio della legislatura. Questo Consiglio si è insediato il 19 marzo del 2009, e la proposta di legge numero 1, presentata da me e dai colleghi Luciano Uras e Chicco Porcu, prevedeva la riduzione a sessanta del numero dei consiglieri regionali. Perché sessanta consiglieri regionali? Perché il numero nasceva da una ferma volontà, oggi richiamata anche da un referendum a cui quasi tutte le forze politiche hanno aderito, quella cioè di eliminare i privilegi e di mettere tutti i cittadini nella condizione di esercitare l'elettorato passivo e attivo attraverso il meccanismo delle elezioni, quindi con l'indicazione delle preferenze da parte degli elettori, ed eliminando il listino regionale, che è stata una cosa indegna nella precedente legislatura e lo è stata altrettanto in questa, e sulla quale non mi pare di aver registrato posizioni favorevoli. Quindi un primo risultato, un primo segnale potrebbe essere questo, ed è un segnale che la gente si aspetta.

Credo che la proposta oggi all'esame dell'Aula, che prevede cinquanta consiglieri regionali, non contenga nessun'altra argomentazione. E' un bene, è un male, non lo so, non lo sappiamo. Troppe volte abbiamo discusso e legiferato in quest'Aula senza comprendere quello che sarebbe accaduto dopo, però credo che soprattutto un elemento debba emergere, qualcuno lo ha detto prima di me: questa proposta non è accompagnata da una proposta di legge elettorale, senza la quale non andiamo da nessuna parte, badate. La legge elettorale prevede appunto il listino regionale e su questa questione dobbiamo da subito fare chiarezza. Qualcuno ha detto con estrema franchezza che sulla riduzione a sessanta, come abbiamo proposto noi, o a cinquanta, come propone il testo in discussione, si deve comunque fare chiarezza, altrimenti non siamo credibili neanche ora che siamo tutti impegnati, come dicevo prima, nella campagna referendaria.

Un altro aspetto è quello che è stato richiamato stamattina dal collega Uras e riguarda il premio di maggioranza. Credo che debba anche qui farsi chiarezza, che cioè che questo premio vada ridotto in modo da consentire ugualmente la governabilità; governabilità che però deve essere garantita da coloro che vengono eletti con i voti ottenuti dalla maggioranza. Diversamente un premio di maggioranza eccessivo crea squilibrio, calpesta ulteriormente il ruolo dell'Assemblea e lo spirito di dialogo e confronto che ci deve essere tra maggioranza e opposizione, perché sappiamo che poi la maggioranza è governata dall'Esecutivo, è negli accordi politici, per cui non possiamo indicare un premio di maggioranza eccessivo solo perché sappiamo che ci saranno ripensamenti o "mal di pancia" da parte di qualche componente della maggioranza. Questo è un problema dei partiti, è un problema della maggioranza che viene eletta. Se non si riesce a garantire coerenza rispetto al programma con il quale si sono vinte le elezioni è meglio abbandonare il campo.

Oltre a dare un segnale alla gente che ci sollecita ad agire, dobbiamo trovare altre vie da percorrere che siano rispettose dei principi democratici. Anche l'elettorato, lo ha ricordato ieri il collega Campus, ci chiede di porre rimedio alla situazione attuale e probabilmente si ritiene che la via più rapida sia quella della riduzione del numero dei rappresentanti dell'Assemblea elettiva, nella convinzione di accrescere così la capacità di governo, la funzionalità e l'efficacia dell'Amministrazione regionale. Non è così. Perché non è così? Perché aumenta il livello di scontro se non risolviamo i problemi a monte, i quali vanno però risolti facendo chiarezza. La gente è probabilmente stufa della politica, ma ne è stufa perché subisce un bombardamento mediatico tutti i giorni. I magistrati prendono fior di denari, quanto i parlamentari nazionali e regionali, eppure di fronte all'inefficacia della loro azione, del loro lavoro, nessuno pone questioni, al contrario di quello che registriamo intorno al nostro operato. Questo perché l'attenzione dell'opinione pubblica è concentrata, per mille e un aspetto, su quello che è il ruolo della politica e dei rappresentanti eletti dal popolo. Penso, per esempio, al discorso legato all'elezione diretta del Presidente, prevista nella legge elettorale. Eravamo tutti convinti, o meglio non tutti, ma molti di noi erano convinti sostenitori dell'elezione diretta del Presidente della Regione e del sistema maggioritario. Probabilmente ci rendiamo conto oggi (noi l'abbiamo denunciato più di una volta in quest'Aula, e il fallimento dell'Esecutivo Cappellacci ne è un esempio) che di fronte all'obiettivo di salvare l'Assemblea, avremmo o avreste, perché la palla è in mano vostra, già provveduto a una sostituzione, a un cambio del Presidente. L'elezione diretta è un vantaggio per la governabilità, è un vantaggio per la democrazia o è invece una palla al piede che ci dovremo trascinare non so per quanto tempo ancora, considerando che ieri sono maturati i due anni sei mesi e un giorno corrispondenti a metà legislatura? Probabilmente vale la pena, anche all'interno del dibattito, di introdurre una riflessione, e cioè se non sia il caso di tornare al sistema proporzionale. La governabilità, badate, anche se con quel sistema c'era un susseguirsi, un alternarsi dei governi, qualche volta anche con cambio di maggioranza, non era allora di sicuro inferiore all'ingovernabilità che registriamo in questi giorni.

Tornando al discorso sulla riduzione del numero dei consiglieri, forse varrebbe la pena scomodare altri elementi a cui fare riferimento. Si è parlato più volte di percentuale di rappresentanza della popolazione, come accade da altre parti, però io credo che un elemento vada richiamato: sono stati fatti convegni, conferenze, dibattiti, discussioni interminabili sulla specialità della Sardegna, una delle ultime occasioni è stata quella del sessantesimo anniversario dello Statuto speciale, nel febbraio del 2008, però poi la specialità non viene difesa nel momento in cui si fa riferimento semplicemente a disposizioni del Governo nazionale, che addirittura minaccia di ridurre a trenta i consiglieri regionali. Quindi noi cerchiamo una via d'uscita con la soluzione media di cinquanta. Ma il discorso su ottanta o cinquanta consiglieri non regge di fronte all'inefficienza del Consiglio regionale, del lavoro del Consiglio regionale e a un popolo disperato e affamato che aspetta fuori ed è poco appassionato a questo argomento, anche se probabilmente è portato a pensare che la riduzione a cinquanta del numero dei consiglieri possa semplificare le cose. La verità è che il ruolo delle assemblee elettive è messo in discussione perché esse hanno perduto ruolo, potere e capacità di incidere sulla realtà. Il presidenzialismo è sicuramente il sistema che ha trionfato in questi momenti, eppure ha trascinato al fallimento non solo noi, ma anche molte altre realtà.

Avevamo detto che questa sarebbe stata la legislatura delle riforme, che con il nuovo Consiglio regionale si sarebbe aperta una nuova stagione di riforme; riforme che, come sappiamo, non ci sono state. Ci sono state difficoltà nella prima Commissione, la Commissione competente per materia che avrebbe dovuto attivarsi per avviare appunto la stagione delle riforme. Nonostante si sia addirittura cercato di dare un'accelerata con la costituzione di due sottocommissioni, si è segnato il passo, non si è fatto niente. Avevamo detto che avremmo dovuto occuparci della legge statutaria, dello Statuto, della legge elettorale, ma non abbiamo avanzato nulla in termini di proposte, all'infuori di questa specie di aborto legislativo che abbiamo oggi in esame. Ciò che si percepisce in quest'Aula è un senso di disagio, forse di difficoltà, anche se dal dibattito è emerso che inizia a esserci un po' più di attenzione e di disponibilità a discutere, anche superando le barriere e gli steccati che ci sono tra maggioranza e opposizione. Credo che, in ogni caso, attraverso un discorso sulla considerazione della specialità della Sardegna dobbiamo garantire la rappresentanza di tutti i territori nell'Assemblea legislativa, essendo l'organo che decide in merito agli interventi che tracceranno il futuro cammino della popolazione della Sardegna.

Va altresì studiato un meccanismo elettorale e di rappresentanza delle forze minori e identitarie. Badate, niente di personale in questo. La stampa di oggi sulla base di un calcolo matematico dice che se ci fosse in Consiglio una rappresentanza formata da cinquanta consiglieri il nostro Gruppo sparirebbe. Saremmo in buona compagnia, Claudia, non saremmo penalizzati solo noi, in ogni caso non si renderebbe un servizio alla politica, alla democrazia e alla rappresentanza delle voci diverse che hanno anch'esse diritto di farsi sentire in quest'Aula perché portatrici di interessi diffusi nel territorio.

C'è un discorso al quale si è accennato, ed è il discorso sulla parità di genere, che probabilmente potrebbe essere preso in considerazione attraverso il meccanismo della doppia preferenza. E' un discorso sul quale dobbiamo fare chiarezza; non possiamo solo dire che bisogna superare l'eccessiva presenza maschile in questa e in molte altre assemblee, senza però introdurre meccanismi che tutelino realmente la parità di genere, perché questa è la società, badate.

Credo che potremmo affrontare tutto il discorso, recuperando sempre attenzione per la nostra specialità e la nostra condizione particolare, magari guardando a realtà simili. Per rimanere in Italia potremmo guardare al Friuli-Venezia Giulia o al Trentino-Alto Adige, che sono realtà più simili alla nostra, anche in termini di popolazione. Per restare nell'ambito del Mediterraneo potremmo guardare alla situazione della Corsica o delle Baleari, dove, come avviene anche per gli altri governi autonomi della Spagna, la durata del mandato è di quattro anni. E' un altro elemento che potrebbe essere posto all'attenzione di noi tutti. Guardando all'Europa, potremmo citare la Catalogna, l'Euska[PS1] di, la Scozia e molte altre realtà. Noi però dobbiamo chiederci - lo richiamava nel suo intervento Paolo Maninchedda - come avrebbero reagito la Catalogna, l'Euskadi, lo stesso Governo autonomo delle Baleari o il Governo della Generalitat Valenciana se lo Stato centrale avesse loro imposto riduzioni e limitazioni. Come avrebbero reagito questi governi? Avrebbero reagito con una sommossa, con un'unità e una compattezza che noi non abbiamo mai dimostrato. Penso, per esempio, al fatto che la Sardegna è forse l'unica grande realtà regionale d'Europa che non ha una rappresentanza parlamentare. E' stato richiamato il fatto che Malta ha cinque parlamentari, ebbene io vi dico che tra le isole del Mediterraneo la realtà delle Baleari non solo garantisce la rappresentanza di queste isole, ma garantisce una rappresentanza al Parlamento europeo dell'Isola di Minorca e dell'Isola di Eivissa, che hanno sempre avuto un parlamentare europeo. E noi, la Sardegna, non riusciamo a sconfiggere questa emarginazione che subiamo da troppo tempo. Ma è un discorso che ci porterebbe lontano.

Ieri mattina, nell'ottava Commissione c'è stata l'audizione del dottor Tocco, che è il Direttore generale dell'ufficio regionale scolastico. Bene, si è percepito veramente come un insulto all'autonomia della Sardegna. Un funzionario dello Stato ci ha spiegato che dobbiamo subire, accettare le scelte del Governo centrale e in particolare del Ministero della pubblica istruzione, se non abbiamo armi per contrastarle. E se mai armi potessimo trovare, le troveremmo solo nelle casse della Regione Sardegna, è questa l'unica possibilità che abbiamo. Abbiamo avuto dimostrazione della nostra incapacità di rivendicare la nostra autonomia, e badate che l'autonomia scolastica è una delle prime vere autonomie, perché rappresenta un aspetto fondamentale della nostra società.

Allora, come è stato proposto questa mattina, credo che, a conclusione del dibattito generale, dobbiamo pensare di rinviare in Commissione questo testo di legge unificato e di coinvolgere nel dibattito le forze politiche, perché è vero che si può risparmiare sulla politica, ma non si può risparmiare sulla democrazia, perché la democrazia non ha prezzo!

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà.

PITTALIS (P.d.L.). Io non nascondo che questo dibattito mi sembra per certi versi davvero surreale. Mi stupisce che da ultimo l'onorevole Sechi, che con gli onorevoli Uras e Porcu è presentatore di una proposta di legge sulla riduzione del numero dei consiglieri regionali e che ha votato in Commissione il testo che oggi sembra figlio di nessuno, abbia concluso il suo intervento così come l'ha concluso. Io dico che è una situazione davvero kafkiana, che è lo specchio - e penso che su questo dovremmo tutti riflettere, a iniziare dal mio Gruppo - della gravissima crisi che investe la politica, che è crisi dei partiti innanzitutto, i quali hanno probabilmente perso la capacità di intercettare davvero le istanze, di mediare i conflitti, di fare sintesi. Oggi riscontro una variegata posizione su un testo rispetto al quale tutti i commissari, lo ribadisco, a eccezione dell'onorevole Cuccureddu che si è astenuto, hanno espresso all'unanimità condivisione, e che scaturisce da due proposte di legge: una, lo voglio ribadire, del Gruppo dei Riformatori, l'altra degli onorevoli Uras, Sechi e Porcu. Ma di che cosa stiamo parlando? Sembra quasi che ci sia stato, come da qualcuno è stato evocato, chissà quale blitz, chissà quale colpo di mano o fuga in avanti. Ma, colleghi, mi pare che la decisione di unificare le due proposte, di chiudere la discussione addirittura il 30 marzo del 2011 e di mettere all'ordine del giorno il testo esitato sia stata dibattuta. E veramente fatemi tacere, non fatemi dire, perché sono una persona seria, da chi è venuta l'accelerazione, da chi sono venuti gli input e le spinte per chiudere in fretta i lavori perché bisognava dare certi segnali e a cui qui - e torno al problema della crisi dei partiti e quindi della crisi dei Gruppi - ho sentito dire tutt'altre cose. Ci sono i verbali della Commissione che documentano la posizione di ogni singolo commissario! Si sa quanti motivi, anche sulle ultime vicende politiche, mi separano dall'onorevole Maninchedda, ma, vivaddio, apprezzo un modo di porre il problema: "Io non sono d'accordo per queste ragioni…". Lo hanno detto anche altri colleghi. Ma che bisogno c'è di puntare il dito su qualcuno o su un organo come la Commissione, dove eravate presenti, nessuno aveva il bavaglio e come è successo altre volte si sarebbe potuto benissimo dire: "Sospendiamo, valutiamo la proposta all'interno di un quadro di riferimento che contemperi le questioni relative alla modifica della legge elettorale e alla rappresentanza territoriale". Chi l'avrebbe mai impedito? Se vogliamo dire fino in fondo la verità, io ho ricevuto due suggerimenti, diciamo così: uno dalla Presidente del Consiglio, che in via informale mi ha invitato a essere prudente, perché sulla questione deve essere fatta una Conferenza dei Capigruppo; l'altro, in sede formale, da parte dell'onorevole Steri, il quale mi ha detto: "Se non vogliamo fare demagogia, fermiamoci". Non ho ricevuto altre istanze o richieste dirette o indirette, anzi sembrava che ci fosse una gara a chi la sparava più grossa, a chi faceva prima. Questa è la verità!

E allora, badate, si può convergere o si può dissentire, ma una cosa non si può e non si deve fare: giustificare il ripensamento su un'ipotesi così come l'ha giustificato l'onorevole Sechi, che ha addirittura firmato una delle due proposte di legge, perché ci si può anche ricredere, ma non è consentito a nessuno di stravolgere i fatti così come sono documentati nella prima Commissione. E allora, vedete, se dobbiamo affrontare questa questione la dobbiamo affrontare per la valenza e l'importanza che ha, soprattutto senza condizionamenti, perché ci siamo detti in prima Commissione che bisognava rifuggire dai condizionamenti, dalle tentazioni del facile populismo e della demagogia. Ce lo siamo detti tutti e io ho dato atto a tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, di aver seguito questo percorso, questa indicazione rispetto a una proposta che è la risultante di due proposte di legge, una proveniente dai banchi dell'opposizione, l'altra dai banchi della maggioranza, sulle quali, com'è ovvio, si è aperto un dibattito in cui giustamente ognuno è stato chiamato a dire la sua.

E allora la domanda che io pongo, se questo è il punto di arrivo, è questa: ma perché dobbiamo ancora avvitarci in una sorta di esercitazione ipocrita dicendo di voler mantenere in Aula un testo sul quale non vi è convergenza? Diciamo chiaramente che i commissari o alcuni commissari, non ho la pretesa di dire tutti, hanno cambiato posizione oppure che c'è stato un fraintendimento, non ci siamo intesi con i rispettivi Gruppi e abbiamo la necessità di approfondire meglio l'argomento. Fermiamoci, che problema c'è? Non penserete mica che abbiamo impegnato chissà quali destini? Badate, lo chiedo serenamente: c'è la necessità di vedere questa legge nell'ottica di quella che sarà la riforma della legge elettorale? C'è la necessità di dare le garanzie di rappresentanza territoriale che sono state chieste? E' semplice: si sospendano i lavori dopo la discussione generale, prima di passare alla votazione del passaggio all'esame degli articoli, e si esaminino questi aspetti che riguardano la legge elettorale - dal dibattito ho colto soprattutto questa preoccupazione - e quindi la necessità di garantire un'adeguata rappresentanza territoriale. E' questo il problema? Colleghi, basta che ce lo diciamo, ma usciamo dai tatticismi, da quei meccanismi che davvero stanno avvelenando un dibattito forse già incomprensibile all'interno di quest'Aula, immaginiamoci quello che ne viene fuori all'esterno.

Allora, affrontiamo il problema con serietà, così come lo si è affrontato nell'ambito del più generale problema della riduzione dei costi della politica. Lo richiamo solo a mo' di esempio: in Consiglio giacciono delle proposte di legge sulla riduzione dei costi, sulla riduzione o eliminazione del vitalizio, su tante cose di questo genere, ma guarda caso quando la Presidente del Consiglio fa un'ipotesi, che si può condividere o non condividere e io non entro nel merito in questa fase, apriti cielo, si scatena un putiferio! Qualcuno il problema se lo poneva e si poneva anche la domanda: ma siamo davvero convinti che abbiamo la capacità di autoriformarci innanzitutto, di riformare l'istituzione consiliare, di mettere mano al problema della riduzione dei costi della politica o continuiamo in esercitazioni, come spesso capita, che sono di pura maniera?

Allora, guardate, lo dice il relatore di questa legge: io non sono particolarmente interessato a fare battaglie, perché penso che tutto debba rientrare in una logica che guardi al futuro dell'istituzione consiliare, al suo reale funzionamento, alla produttività di questo Consiglio e delle Commissioni. Si vuole continuare nell'esame di questo disegno di legge? Si continui. Si vogliono apportare delle modifiche? Lei si apportino. Si vuole tornare in Commissione? Si torni in Commissione. Ma si dica una parola chiara in questo senso, senza continuare a fare salti mortali per giustificare la posizione assunta in Commissione.

Io mi rendo conto, certamente ce ne si è resi conto anche in Commissione, che questa legge deve essere accompagnata da provvedimenti quali in primo luogo la legge elettorale, che è uno dei punti cardine per assicurare la rappresentanza territoriale, perché nessuno pensa che si possa operare una riduzione del numero dei consiglieri regionali lasciando scoperti territori come l'Ogliastra, il Medio Campidano, il Sulcis, il Nuorese o l'Oristanese, per non parlare del Sassarese, della Gallura e del Cagliaritano. Nessuno pensa di fare una riforma che mortifichi la rappresentanza democratica elettiva, ma se, come a me pare, in prima Commissione abbiamo sospeso il dibattito e la discussione sulla legge statutaria… Onorevole Uras, lei lo sa perché partecipa ai lavori, per quel che può, nei due giorni consentiti durante la settimana, e anche questo è un aspetto da sottolineare, perché per aprire una stagione di riforme vera e propria non bastano due giorni; bisognerebbe dedicare a questo, come si fa per la legge finanziaria, un'intera sessione e lavorare forse tutti i giorni della settimana se si vuole esitare qualcosa di utile e in tempi brevi. Allora, nella discussione della legge statutaria ci siamo fermati alla forma di governo. L'Aula deve pur dare qualche indicazione, perché è il nodo centrale, sulla forma assembleare o sul mantenimento del sistema presidenziale, perché l'uno e l'altro influenzano il sistema elettorale. Vi è la necessità di porre mano, come ho già detto, per esempio all'eliminazione del listino regionale, che è un punto sul quale vi è la massima convergenza, e di ridistribuire i seggi sulla base delle otto circoscrizioni provinciali esistenti, proprio per mantenere i livelli di rappresentanza territoriale. Quindi occorre riformulare in termini adeguati rispetto a questo la nuova legge elettorale.

E' chiaro che non possiamo fermarci a questi aspetti. Io non ho mai pensato, per esempio, anzi non credo che la legge di riduzione dei consiglieri regionali sia la madre delle riforme, assolutamente no! E' però una necessità che molti stanno sottovalutando, perché l'articolo 14 della manovra approvata qualche settimana fa a livello nazionale pone proprio questa riduzione come elemento per collocare le Regioni nella categoria degli enti territoriali più virtuosi, da cui dipenderà la possibilità di usufruire di un fondo di premialità, oltre che di una maggiore flessibilità rispetto all'applicazione del patto di stabilità e dei due decreti legislativi in materia di costi standard, di sanità e di federalismo fiscale. Questo lo richiamo non perché possa condizionarci o crearci un obbligo, ma perché pone problemi seri anche alla nostra finanza. Vi è la necessità urgente e impellente, dopo che si faranno queste riforme, partendo quindi da una autoregolamentazione della nostra istituzione democratica, di occuparci delle istituzioni rappresentative di ambito locale, della semplificazione e dello snellimento degli apparati burocratici, soprattutto eliminando le sovrapposizioni e le duplicazioni di strutture e di competenze, perché i costi della politica non possono ridursi, come si pensa, solo al taglio delle indennità dei consiglieri regionali, ma deve coinvolgere tutto ciò che gravita intorno, vicino e in contiguità con la politica. Sicuramente dovremo favorire ulteriori percorsi di decentramento amministrativo e soprattutto la Regione dovrà dotarsi di strumenti che responsabilizzino in particolare coloro che hanno responsabilità gestionali e finanziarie. Proprio perché un sistema possa funzionare bisogna che il tutto sia ricondotto in termini di efficienza e di produttività.

Ecco perché, colleghi, forse la soluzione per uscire da questa impasse, tenuto conto delle posizioni che sono state espresse, è quella di accompagnare questa legge (lo si sarebbe potuto fare anche in prima Commissione se lo si fosse chiesto) con un'ipotesi di modifica della legge elettorale, il che forse può rasserenare gli animi. Se si ritiene che il numero dei consiglieri proposto non vada bene, è nella disponibilità dell'Aula modificarlo. Se c'è una volontà riformatrice vera si possono fare tutti gli emendamenti possibili e immaginabili, si può fare qualunque cosa assumendosene ciascuno, ogni parte politica e ogni consigliere anche individualmente, vista la diversità delle posizioni che si registrano all'interno di alcuni Gruppi, le proprie responsabilità. Direi che in questo modo forse non avremmo sprecato il tempo, in Commissione, a discutere di questo argomento, ma forse possiamo recuperare quel dibattito, che mi è sembrato franco, aperto e soprattutto costruttivo. Che poi le posizioni si siano modificate lungo strada fa parte anche questo del gioco della politica, un gioco al quale però, tenuto conto della delicatezza della materia, sarebbe opportuno non prestarsi.

Ecco perché, lo ripeto ancora, apprezzo il lavoro fatto dai consiglieri componenti la Commissione autonomia, soprattutto per il fatto che è stato improntato alla necessità di dare un'accelerazione. Oggi, però, mi rendo conto che il problema si è spostato su altri fronti e allora, anziché fare pasticci o fare cose assolutamente incomprensibili, forse è il caso di fermarci e di fare una riflessione. Penso che questo possa consentire, se mai c'è stata un'accelerazione e, ripeto, non mi interessa ora individuare da chi sia venuta e perché, l'importante è che le riforme, prima che le faccia per noi Calderoli, prima che ci vengano imposte da Roma, le facciamo noi, anche col paradosso che tutto rimanga com'è, se questa è la volontà, ma penso che avremo perso davvero una buona occasione non tanto per dare segnali all'esterno, quanto per dare un segnale forte a noi stessi che c'è ancora una classe politica in Sardegna in grado di mettere mano alle riforme e di autoriformarsi. Se non cogliamo questa occasione, mi sa che sarà difficile ipotizzare altre utili e proficue occasioni per approvare riforme degne di questo nome.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Ladu. Ne ha facoltà.

LADU (P.d.L.). Tenterò di sviluppare un ragionamento, anche perché vedo che le posizioni in questo Consiglio regionale cambiano in continuazione. Mi rendo conto che stiamo trattando una materia molto difficile e delicata, però è ovvio che noi abbiamo il dovere di andare avanti e di fare delle proposte. Credo che il testo di legge unificato che è stato approvato in Commissione, che modifica l'articolo 16 dello Statuto speciale per la Sardegna, possa considerarsi comunque un primo passo avanti, perché dopo tante discussioni si fa una proposta e si propone la riduzione del numero dei consiglieri regionali da ottanta a cinquanta.

Ovviamente è una proposta sulla quale si può ancora ragionare, ma che ha una sua valenza. Non è comunque una proposta risolutiva, non sarà questa legge che risolverà i problemi del governo della regione. Mi rendo conto che, come è emerso dal dibattito di stasera e anche di ieri, questa proposta lanciata così in Consiglio regionale sta creando dei problemi, delle preoccupazioni, anche perché sembra slegata da tutto un contesto che avrebbe dovuto vedere abbinata a questa proposta la riforma della legge elettorale. Sarebbe stato cioè onestamente più giusto e opportuno discutere contestualmente la riduzione del numero dei consiglieri e la riforma della legge elettorale, sulla quale mi pare che siamo già in ritardo. Se vogliamo essere ancora più concreti, credo che sarebbe stato meglio inserire questa modifica all'interno della riforma complessiva dello Statuto.

Lo Statuto, lo sappiamo, è vecchio, risale al 1948, ha più di sessant'anni ed è ormai superato. Più volte il Consiglio regionale ha affrontato il problema della riforma dello Statuto, ma non è mai riuscito a mettervi mano. Purtroppo questa riforma si è arenata prima ancora che si entrasse nel merito dei contenuti; si è arenata soprattutto sul metodo da seguire per la scrittura del nuovo testo. Si è parlato di Assemblea costituente e di altre forme e devo dire che io ero tra quelli che propendevano per la Costituente, però ora mi rendo conto che essendo già trascorsa più della metà della legislatura i tempi sono ristretti. Se questo Consiglio regionale intende modificare lo Statuto credo debba fare un po' di conti, perché se vuole approvare la riforma entro questa legislatura certamente non può pensare di seguire il percorso della Costituente. Quindi per una questione essenzialmente legata ai tempi io sono del parere che non sia proponibile la riforma dello Statuto tramite la Costituente e confermo, avendolo detto anche precedentemente, che la via maestra è quella del Consiglio regionale della Sardegna, il quale, signor Presidente, signor Assessore, si deve assumere per intero le sue responsabilità come organo legislativo, ruolo per il quale è stato eletto. Il Consiglio regionale è stato eletto per fare leggi, non certo per delegare ad altri la scrittura delle stesse!

La scrittura del nuovo Statuto, dicevo, è assolutamente indispensabile, perché si deve prevedere un nuovo rapporto fra lo Stato e la Regione, un nuovo rapporto tra il Consiglio e la Giunta regionale. Sappiamo bene quante difficoltà incontriamo in quest'Aula, proprio a causa di alcune deficienze dovute a uno Statuto superato, nei rapporti fra questi due organi. Quindi lo Statuto va adeguato non solo per quanto riguarda il rapporto tra lo Stato e la Regione e tra la Giunta e il Consiglio, ma anche per quanto riguarda la riforma del Titolo V della Costituzione, che è avvenuta molto tempo dopo l'approvazione dello Statuto. Si deve pensare anche a un nuovo rapporto con l'Unione europea, anche questa nata successivamente. Ecco, tutte queste realtà nel 1948 non esistevano e noi oggi dobbiamo prendere atto di questa nuova situazione. Dal 1948 a oggi è cambiato il mondo e non possiamo rimanere fermi. Considerato, però, che per la riforma complessiva dello Statuto i tempi sono necessariamente lunghi, lo sappiamo bene, e sperando che questo Consiglio regionale abbia uno scatto d'orgoglio unitario, dobbiamo almeno cominciare con la riduzione del numero dei consiglieri regionali, che è solo un primo passo avanti, indipendentemente dalle considerazioni sulla rappresentanza territoriale o sulla rappresentanza dei partiti che compongono il Consiglio stesso.

Sono tutti discorsi che affronteremo in una seconda fase, però la modifica statutaria riguardo alla riduzione del numero dei consiglieri regionali credo non debba più aspettare. Per l'approvazione definitiva di questa modifica occorre una legge costituzionale e noi sappiamo quanto siano lunghi i tempi in questi casi, essendo necessaria una doppia lettura da parte del Parlamento. Abbiamo già superato la metà della legislatura e rischiamo, come Consiglio regionale, di non arrivare più in tempo. Soprattutto non sappiamo quanto tempo impiegherà il Parlamento e indipendentemente dal fatto che l'attuale maggioranza parlamentare sia più o meno stabile e operativa, dobbiamo entrare nell'ordine di idee che ci può comunque essere un tempo giusto e la volontà di fare questa modifica. Commetteremmo un grave errore se confidassimo sulla inoperosità del Parlamento.

Voglio ricordare che quando fu approvata, in questo Consiglio regionale, la legge istitutiva delle nuove province sarde, molti consiglieri erano convinti dell'utilità di queste nuove province, ma moltissimi erano altrettanto convinti che la legge fosse talmente assurda che non sarebbe mai stata approvata dal Parlamento, anche perché c'era anche allora una situazione difficile nel Paese. Invece il Parlamento l'approvò, e le conseguenze le conosciamo tutti.

Per questo motivo devo dire che condivido questa prima proposta esitata dalla Commissione quasi all'unanimità. Anche se sembrava che non ci fossero problemi, sentendo gli interventi svolti in Consiglio effettivamente mi rendo conto che in questi giorni la situazione è completamente cambiata. Evidentemente le posizioni assunte un paio di giorni fa in prima Commissione, come ha detto lo stesso Presidente della Commissione, sono cambiate. Tutto può cambiare naturalmente, però dobbiamo stare attenti a non fare troppi passi indietro; dobbiamo comunque fare dei passi avanti perché il rischio è che questo Consiglio regionale non faccia più nulla e altri si sostituiscano a lui nel prendere decisioni in questa materia. Non vorrei che si arrivasse a questo.

Ritengo che cinquanta consiglieri regionali siano congrui considerato il numero dei consiglieri delle altre Regioni italiane. Ho qui l'elenco: soltanto la Lombardia ha ottanta consiglieri regionali, ma ha quasi 9 milioni di abitanti, mentre la Sicilia ne ha 90 con il quadruplo degli abitanti della Sardegna. Le altre Regioni sono tutte di gran lunga al di sotto. Invito i colleghi del Consiglio a riflettere su questo, anche perché non sono d'accordo su certe cose che ho sentito in quest'Aula. Si è detto, per esempio, che la riduzione del numero dei consiglieri regionali riduce anche il livello di autonomia della Regione. Ma chi l'ha detto? Non è assolutamente vero, semmai in occasione della riscrittura della legge elettorale dobbiamo fare in modo che ci sia un'equa rappresentanza territoriale, perché il rischio è effettivamente che alcune zone forti facciano "man bassa" di eletti. Sta a noi nella fase successiva, all'atto dell'approvazione della legge elettorale sarda, creare le condizioni affinché non ci siano discriminazioni fra un territorio e l'altro.

Alcune cose le possiamo già dire oggi: ritengo che il listino regionale sia ingiusto e vada eliminato, perché la scelta dei rappresentanti di listino è lasciata alla totale discrezionalità dei partiti e poi, come abbiamo visto, alle ultime elezioni sono stati eletti solo consiglieri dell'area di Cagliari, non c'è stata una ripartizione territoriale equa e questo ha creato uno sbilanciamento verso l'area di Cagliari. Abbiamo visto quali risultati questo ha prodotto all'inizio della legislatura, quale effetto ha avuto anche nella formazione del Governo regionale e qual è la situazione oggi esistente, proprio a causa dello squilibrio che si è determinato con la creazione di un listino che non considerava tutte le realtà della Sardegna.

Noi dobbiamo dire cosa vogliamo fare, perché su alcune cose non possiamo tornare indietro. Il sistema maggioritario va mantenuto, va mantenuta la governabilità, ma va mantenuto anche il pluralismo all'interno della governabilità. Diciamo che sistema maggioritario o bipolare non significa bipartitismo, sul quale io non sono d'accordo, però dobbiamo garantire la governabilità. Sulla ripartizione del premio di maggioranza forse si può discutere, forse è vero che in questo momento è previsto un premio eccessivamente alto che andrebbe ridimensionato. Va riscritto soprattutto, come dicevo prima, all'interno della nuova legge elettorale, il nuovo rapporto fra la Giunta e il Consiglio regionale. Quindi io confermo - non se ne abbiano a male alcuni colleghi - che il numero dei consiglieri va ridotto e il Consiglio regionale deve procedere in tal senso, ma non perché sia spinto dalla piazza o ci siano provvedimenti governativi che ci sollecitano in questa direzione. Dobbiamo consapevolmente prendere atto che il numero dei consiglieri regionali va ridotto perché vanno ridotti i costi della politica e noi dobbiamo dare un segnale tangibile in questo momento, dobbiamo dare l'esempio per primi, come Consiglio regionale, e dobbiamo avviare una stagione di riforme che riguardi anche gli enti regionali. Non ci possiamo presentare all'esterno senza aver fatto prima una riforma al nostro interno. Se non lo facessimo non saremmo davvero credibili in questo momento. Sarebbe un errore non approvare questo provvedimento entro questa settimana. Possiamo poi decidere di fare altro, per esempio di rimandare questo testo di legge unificato in Commissione e di ripresentarlo insieme a una proposta di legge elettorale, possiamo fare quello che vogliamo, però dobbiamo guardare ai tempi che ci separano dalla fine della legislatura perché, ripeto, altri potrebbero fare quello che noi non siamo riusciti a fare sinora. Credo che noi dobbiamo dare l'immagine di un Consiglio regionale capace di fare riforme, di avanzare proposte, di adottare delle misure che vadano nella direzione di una vera semplificazione e della riduzione dei costi della politica, perché se tornassimo indietro rischieremmo di complicare l'iter della riforma e sarebbe un errore da parte di questo Consiglio regionale. Mi prenoto, ci prenotiamo tutti per il confronto vero che ci sarà in questo Consiglio regionale al momento della discussione della nuova legge elettorale. Credo che quello sarà il vero banco di prova in cui non dovremo lasciare indietro nessuno, ma fare in modo che tutto il territorio della Sardegna sia ben rappresentato, che tutti i partiti siano ben rappresentati. Occorrerà fare una riforma veramente democratica, facendo in modo che tutte le varie realtà sarde siano rappresentate e che le spese della politica, come noi abbiamo sempre detto, siano ridimensionate. Se vogliamo dare segnali positivi tangibili dobbiamo fare dei passi avanti. La riduzione del numero dei consiglieri regionali è una misura che dobbiamo necessariamente adottare. Se non lo facessimo non renderemmo un buon servizio a questo Consiglio regionale e soprattutto non daremmo una buona immagine all'esterno nel momento in cui la gente chiede anche da parte nostra sacrifici veri. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Giampaolo Diana. Ne ha facoltà.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Signor Presidente, proverò a sviluppare un ragionamento cercando di contestualizzare la discussione che stiamo svolgendo. Mi dispiace fare questo richiamo, però mi farebbe piacere che almeno i presenti seguissero gli interventi dei colleghi, se non altro per una questione di solidarietà interna.

Nel contestualizzare la discussione che stiamo svolgendo, vorrei sottolineare due aspetti che a me pare condizionino pesantemente la discussione stessa. Il primo aspetto riguarda la drammatica crisi economica che impone a tutti di rinunciare a qualcosa, e in questi tutti ci siamo anche noi, per un verso o per l'altro; il secondo aspetto che condiziona questa nostra discussione consiste in due spinte fortissime e diversissime tra loro: da una parte le vittime della politica economica del Governo, che ho richiamato, che continua a vessare la parte più debole di questa società, in particolare il lavoro dipendente, i pensionati e i settori pubblici. Questa parte della società, proprio perché vessata continuamente e trattata in maniera iniqua, da tempo è entrata in crisi con i propri rappresentanti istituzionali, e il permanere di questa crisi aumenta l'insofferenza di questa parte del Paese verso le istituzioni democratiche. Questo fatto è di per sé allarmante e noi dovremmo esaminarlo con meno leggerezza di quanta, a me pare, se ne sia mostrata in quest'Aula in questi due giorni di dibattito. Tra l'altro, l'incrinatura di questo rapporto sta mettendo in discussione, senza che questa parte della società, quella più debole, se ne renda conto, il valore stesso della democrazia e delle istituzioni democratiche. Badate, stiamo parlando della parte della società che più ha bisogno di democrazia, di regole e di istituzioni, e nonostante questo la disperazione porta questi cittadini a mettere in crisi questo rapporto. Noi abbiamo il dovere di ragionare con freddezza e di tentare di intervenire, perché non siamo a questa disperazione.

L'altra spinta che va nella stessa direzione non viene certamente da una parte vessata e vittima delle politiche economiche del Governo. Mi riferisco, per esempio, ai più grossi gruppi editoriali di questo Paese, i quali spingono per limitare gli spazi di democrazia rappresentativa a vantaggio di una oligarchia che rappresenta i poteri forti, quelli finanziari, e mascherano questo tentativo con la proposta di un modello di presidenzialismo che mortifica le assemblee elettive. Noi siamo di fronte anche a questo e non mi pare ci sia lo scatto d'orgoglio di cui parlava Felicetto Contu questa mattina.

C'è poi un altro elemento che sta condizionando in queste ore la nostra discussione e a me pare abbia condizionato anche il lavoro della prima Commissione - mi dispiace che manchi l'onorevole Pittalis - ed è la scelta che ha fatto il Governo di portare a trenta, per la parte che ci riguarda, il numero dei consiglieri regionali. A me pare che questi siano dei fatti che in qualche maniera finora hanno condizionato il lavoro che abbiamo svolto. L'ulteriore discussione di ieri e di oggi pone un ulteriore elemento di condizionamento. Allora io pongo a me stesso, ma soprattutto a chi ha qualche anno di esperienza più di me qua dentro, una domanda: qual è la qualità del rapporto esistente tra la nostra Regione e lo Stato relativamente a questi temi? Qual è la qualità del rapporto tra il Governo regionale e quello nazionale? Ecco, questo è il contesto che volevo richiamare e mi scuso per la lungaggine con cui l'ho fatto.

Detto questo, stiamo discutendo una proposta di legge che fissa il numero dei consiglieri regionali. Io ho ascoltato con attenzione, come è mio solito, la relazione dell'onorevole Pittalis, Presidente della prima Commissione, e l'intervento da lui svolto poc'anzi più liberamente. Forse mi sono distratto, però non mi pare di avergli sentito fare una disamina delle ragioni che hanno portato a fissare in cinquanta il numero dei consiglieri. Si sarebbe potuto fissare in quaranta o sessanta tale numero, non m'interessa e spiegherò poi il perché, ma non ho sentito un ragionamento su questo in quest'Aula da parte del Presidente della prima Commissione (non ce l'ho con lui sul piano personale). Questa riflessione non è pervenuta, ma sarebbe stato invece importante che quest'Aula fosse stata messa nelle condizioni di conoscere il dibattito propedeutico che ha portato a quel risultato.

Allora mi pongo alcune domande, che pongo anche ai membri della Commissione e all'Assessore che ha seguito i lavori fin da ieri. Credo che una discussione su questo si sarebbe dovuta svolgere anche in quest'Aula e non soltanto in Commissione. La prima domanda è questa: per stabilire il numero dei consiglieri ha senso chiedersi innanzitutto se questa Assemblea debba anche nel prossimo futuro mantenere la sua funzione legislativa? Se la risposta è sì, come io credo, è possibile che non si faccia una discussione, che deve portare alla definizione di un numero, su come si articola un'assemblea legislativa, su quante devono essere le Commissioni permanenti, su come devono essere composti l'Ufficio di Presidenza, la Giunta per il Regolamento e quant'altro regola l'attività di un'assemblea legislativa quale quella a cui noi partecipiamo? E ancora: se l'Assemblea mantiene questa funzione, qual è il rapporto che deve esistere tra le diverse rappresentanze che devono essere salvaguardate? Mi riferisco alle rappresentanze territoriali, mi riferisco alle rappresentanze politiche, mi riferisco alle rappresentanze di genere. Io dico che si può, anzi si deve fare una discussione che tenga conto anche di questi fattori nel definire i confini quantitativi di un'assemblea legislativa. Mi chiedo, queste osservazioni per un'assemblea legislativa hanno un valore intrinseco o vengono giudicate soltanto un tentativo di perdere tempo? A me non pare, però vorrei che su questo ci fosse davvero un minimo di discussione in quest'Aula.

Se queste considerazioni hanno un senso, mi chiedo come sia possibile che il Consiglio regionale definisca il numero dei consiglieri senza prima aver affrontato ciò che ho appena detto. Ma insomma, lo chiedo non tanto ai colleghi della maggioranza, quanto ai miei colleghi dell'opposizione: i nostri partiti in queste settimane sono impegnati, e lo saranno soprattutto nei prossimi giorni, fino al 29, a raccogliere le firme per cancellare quell'ignobile legge elettorale detta "porcellum", che manda i rappresentanti in Parlamento senza che i cittadini abbiano la possibilità di esprimere una preferenza, ma è possibile che non si senta il bisogno, quando parliamo di noi stessi, di ragionare anche su quel 20 per cento in meno di consiglieri che vi sarebbe con la proposta di riduzione a cinquanta dopo aver affrontato e definito la legge elettorale? Allora, non voglio dire che sia un modo di procedere non corretto, ma non mi pare ci sia consequenzialità logica e legislativa nel costruire un impianto attorno alla materia di cui stiamo discutendo.

Nell'ambito della discussione sulla legge elettorale (in Aula questo tema è stato già affrontato, ma non approfondito) dovremo trattare, insieme al tema della rappresentanza, di cui ho detto, il nodo dell'elezione diretta del Presidente della Regione, che mi pare non sia stato sciolto nemmeno dalla Commissione; è un tema oggetto di discussione, è un tema ancora aperto e non di poco conto. Io personalmente - e sottolineo personalmente - sono per mantenere questo sistema, ma certamente non senza prendere in esame la necessità di un nuovo equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo. Altrimenti facciamo il gioco di quei poteri forti che anche attraverso organi di stampa nazionale stanno lavorando caparbiamente, anche utilizzando in maniera strumentale e miserabile la piazza, chi ha la pancia vuota, per soverchiare il modello istituzionale democratico che regge questo Paese da oltre mezzo secolo. Allora vogliamo discutere di questo? E' un tema che ha diritto di cittadinanza, prima ancora di affrontare altre questioni, o di che cosa stiamo parlando? Non voglio, per carità, aggiungere la legge statutaria, perché ci direbbero qua fuori che vogliamo perdere tempo e utilizzarla come alibi, però almeno la legge elettorale la vogliamo affrontare? Non ci vuole molto, questo argomento è all'esame della Commissione competente già da un pezzo e non credo che perderemmo tanto tempo per avere innanzitutto una nuova legge elettorale.

Per quanto mi riguarda e a scanso di equivoci, voglio chiarire che io appartengo a quella categoria di persone qua dentro che non sono assolutamente favorevoli a lasciare le cose come stanno, perché noi stiamo svolgendo una discussione in questi giorni che, secondo me, contribuisce a incrinare pericolosamente il rapporto tra noi e ciò che c'è all'esterno, anche per tutta una serie di errori che abbiamo commesso, a cominciare da quelli che ho denunciato. Ripeto, appartengo a questa categoria, lo dico perché leggendo gli organi di stampa stamattina ho capito che si sta iniziando a catalogare, a enucleare per categorie i consiglieri regionali. Stiamo attenti a non registrare soddisfazione se gli organi di stampa ci collocano nella parte che sembra assicurare una qualche capitalizzazione futura, perché se verremo classificati così rischiamo di fare un passo indietro tutti quanti in maniera davvero pericolosa.

Ripeto, io sono favorevole a intervenire sul numero dei consiglieri e sul costo che ognuno di noi rappresenta. Detto questo vorrei aggiungere che in quest'Aula sono presenti tutti i partiti, o almeno quelli più significativi, lo dico perché ho una preoccupazione molto seria…

BEN AMARA (SEL-Comunisti-Indipendentistas). Non tutti.

DIANA GIAMPAOLO (P.D.). Perlomeno quelli più significativi sul piano della rappresentanza e della rappresentatività, so bene che qualcuno è rimasto fuori. Vorrei però rappresentare una preoccupazione, vorrei cioè che in quest'Aula i partiti, che sono rappresentati da ognuno di noi, riuscissero a evitare che si continui a incrinare il rapporto di fiducia tra la società sarda e le istituzioni democratiche. Badate, il tema è questo e abbiamo voglia di discutere tra noi se poi insieme, seppure con posizioni differenti o anche a 180 gradi l'una dall'altra, non ci preoccupiamo innanzitutto di questo.

Ecco, cosa possiamo fare per raccogliere questa preoccupazione e tentare di rispondere attraverso qualcosa che contrasti questa crisi che si sta allargando? Io penso questo: la politica e le istituzioni riguardano tutti, centrodestra e centrosinistra, ma la politica e le istituzioni in questo Paese da troppi anni, almeno da una ventina d'anni a questa parte, hanno delegato in particolare ai poteri finanziari il ruolo e la funzione di governare le dinamiche economiche. Quando si delegano le dinamiche economiche ad altri poteri noi ovviamente non governiamo nulla, nel nostro piccolo non c'è una sola questione che riusciamo ad affrontare politicamente. Non ce n'è una su nessun settore, né su quello agropastorale né su quelloo industriale, della scuola e via dicendo. Però io non voglio rifugiarmi su questo, voglio, per concludere, mettere i piedi sulla discussione che abbiamo infine. Non credo che si possa cancellare ciò che è avvenuto, anche perché stiamo discutendo da un giorno e mezzo e anche se volessimo la discussione che abbiamo svolto e continueremo a svolgere nelle prossime ore, la qualità di questa discussione, il giudizio che quest'Aula dà della proposta di legge in esame, l'articolazione che vi è stata tra l'Aula e la Commissione nell'approvazione di questa proposta di legge sono già in pasto a tutti, sono già all'attenzione degli organi di stampa e dei cittadini, quindi non si può fare un passo indietro, sarebbe peggio. Tuttavia credo che non possiamo nemmeno permetterci il lusso, poiché sono convinto che abbiamo sbagliato, di continuare a sbagliare. Allora dobbiamo, lo dico anche a lei, Assessore, trovare il modo (alcuni colleghi stanno lavorando a questo) per condizionare la discussione e l'approvazione di questa legge alla definizione innanzitutto della legge elettorale. Io non sono esperto in queste alchimie istituzionali, perdonatemi, però qua dentro ci sono le risorse e le intelligenze per farlo. Attenzione, procediamo come si dovrebbe procedere normalmente: serve prima la legge elettorale, dalla quale deriva il numero dei consiglieri, che può essere cinquanta, quaranta o quanto decideremo, ma deve essere fatto questo. Se non riusciremo a fare questo, verremo meno al ruolo che dovremmo svolgere e continueremo a contribuire a incrinare il rapporto tra noi e la società.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Stochino. Ne ha facoltà.

STOCHINO (P.d.L.). Signor Presidente, colleghe e colleghi, vorrei iniziare questo mio intervento parlando della rappresentanza, che credo sia alla base dello stare all'interno di questo Consiglio regionale. Voglio farlo prendendo spunto da una lettura che ho fatto un mese fa, in cui si diceva che la rappresentanza politica è la rappresentanza di uno Stato di democrazia classica, è ancora il moderno concetto occidentale della rappresentanza politica, però richiede preliminarmente l'analisi di due ulteriori concetti: quello della rappresentanza da cui esso è derivato e ha ereditato gli aspetti fondamentali della rappresentanza stessa, e quello della rappresentanza politica di cui esso è la specie prevalente. Ebbene, credo che questo concetto in questa proposta di legge - non me ne vogliano gli amici del centrosinistra - sia un po' sminuito, nel senso che se facciamo un'analisi con puri calcoli numerici ci rendiamo conto che stiamo appunto sminuendo il concetto di rappresentanza.

Credo che questa legge, che modifica l'articolo 16 della legge costituzionale numero 3 del 26 febbraio 1948, portando da ottanta a cinquanta il numero dei consiglieri, sia un po' riduttiva. Come diceva prima qualche collega, forse cinquanta non è il numero ottimale per consentire la rappresentanza reale di tutti i territori della Sardegna. Anzi se la legge in esame sarà approvata senza collegarla a una legge di riforma elettorale, si verificheranno casi come quello citato dall'amico Sabatini e riportato oggi dal quotidiano Metro: l'Ogliastra addirittura non avrebbe alcun rappresentante, ma il collega Sabatini, che ha ottenuto quasi 4 mila voti, ed io, che ne ho ottenuti 5 mila, credo abbiamo il diritto e il dovere di rappresentare questa parte della popolazione sarda.

E' sicuramente importante aver portato in discussione questa legge di riforma, ma credo che i sardi vogliano ben altro, anche se mi è sembrato di capire dagli interventi dei colleghi sia di centrodestra sia di centrosinistra che siamo stati (forse lo sono stato anch'io in alcuni frangenti in questi due anni e mezzo di attività legislativa) un po' demagogici, ci siamo fatti trascinare dalla piazza, dai cittadini. Ma quando ho incontrato i cittadini dell'Ogliastra, e non solo, loro non mi hanno chiesto quanti siamo e quanto prendiamo; mi hanno chiesto, come credo abbiano chiesto anche a molti di voi, tutt'altre cose. Mi hanno chiesto, per esempio, perché facciamo delle leggi che poi non trovano applicazione concreta, come mai alcune persone sono in stato di disoccupazione da più di due anni, pur avendo la Regione stanziato risorse importanti per l'occupazione. Io non ho paura dei forconi di cui ha parlato l'amico Gian Valerio Sanna e a ragione; come lui io non ho paura delle critiche o dei forconi, ho paura bensì delle cose che prima ho elencato.

Allora, credo che questo Consiglio regionale debba incidere maggiormente sulle leggi che approva, debba valutare meglio la situazione economica della nostra regione, perché, signori miei, non è possibile che, come mi è successo stamattina nella mia Ogliastra, a Lanusei mi fermi un imprenditore e mi dica che a causa del patto di stabilità i lavori da lui eseguiti da gennaio a luglio del 2011 gli verranno pagati a febbraio del 2012! Questo non possiamo permettercelo. Le imprese stanno chiudendo perché purtroppo i fornitori incassano a sessanta giorni i pagamenti dei bonifici e degli assegni che hanno ricevuto dalle stesse imprese come garanzia. Forse sono queste le cose importanti che bisognerebbe trattare con più accuratezza e alle quali dovremmo pensare - lo dico prima di tutto a me stesso - quando ci troviamo in quest'aula consiliare oppure nelle piazze, dove i disoccupati manifestano il loro dissenso.

Tornando alla riduzione a cinquanta del numero dei consiglieri, posso essere d'accordo sulla riduzione, fermo restando quello che ho detto sulla rappresentanza territoriale, che credo debba essere alla base del ragionamento, ma un numero dettato semplicemente dall'idea che più si taglia più si accontenta la gente non è nelle mie corde. Non è il numero che mi accontenta, anche perché a me piace dare una logica ai numeri che si esprimono in questo Consiglio regionale e mi piace dare indicazioni consone a quello che si è concordato all'interno del Gruppo del P.d.L., dove si è parlato di riduzione a sessanta. Poi in Commissione, come diceva l'amico Pittalis, per una serie di fattori (e non perché come Presidente egli non volesse riportare le istanze del Gruppo P.d.L.), per quello che dicevo prima o perché veniva considerato più bravo chi proponeva la riduzione maggiore, ci si è fatti prendere dalla smania di tagliare. Voglio dire che se si deve comunque tagliare, forse sono più favorevole a portare a sessanta il numero dei consiglieri, per due ordini di motivi che hanno una spiegazione logica, forse più logica della legge elettorale che abbiamo utilizzato nel febbraio del 2009.

Presidente, se questo brusio non diminuisce vado avanti lo stesso, anche perché ci ho fatto il callo alla poca attenzione che questo Consiglio regionale dedica ai consiglieri stessi. Forse ha ragione il collega Contu, che è stato Presidente e Assessore, quando dice che questo Consiglio regionale non è il peggiore tra quelli che si sono susseguiti in questi decenni, è semmai un po' distratto, poco stimolato. E' vero, onorevole Contu, forse siamo poco stimolati e più bravi di quel che dicono nelle piazze delle città sarde, però anche questa è una dimostrazione della poca attenzione che rivolgiamo a proposte di legge che forse servono più per essere citate dalle agenzie di stampa che per essere discusse all'interno di questo Consiglio regionale.

Vorrei citare alcuni dati che sono conseguenti alla vigente legge elettorale. La provincia di Cagliari, con i suoi 563 mila abitanti, come indicato nel sito dei comuni d'Italia, o 543 mila secondo il sito del Consiglio regionale, per esprimere ventuno seggi ha bisogno di circa 12 mila votanti, al contrario dell'Ogliastra che per esprimerne due deve ottenere 15 mila voti validi. Ho fatto questo esempio perché, secondo me, per fare una legge elettorale che funzioni si deve stabilire un principio uguale per tutti. Sia io che l'onorevole Sabatini non vogliamo regalie, vogliamo bensì essere uguali a tutti gli altri. E allora credo che la proposta di riduzione a sessanta del numero dei consiglieri risponda alle esigenze di rappresentanza di una provincia, l'Ogliastra, di circa 58 mila abitanti. Verrebbe cioè eletto un consigliere regionale ogni 28.985 abitanti, la stessa proporzione può essere riportata per tutte le province sarde. Ha dunque senso parlare di sessanta, perché dalla proporzione di un eletto ogni 20 mila abitanti, come previsto dalla legge del 1948 sull'elezione del Consiglio regionale della Sardegna, passiamo a un eletto ogni 28-29 mila abitanti al fine di consentire a tutte le popolazioni della Sardegna di avere un rappresentante in Consiglio regionale, perché credo che sia corretto e giusto dare voce a tutti i territori della nostra regione.

Sono stati fatti gli esempi più disparati e si è affermato che è importante che province come l'Ogliastra e il Medio Campidano abbiano un rappresentante nel Consiglio regionale, perché non tutti conoscono le peculiarità dei diversi territori della Sardegna, compresi quelli che hanno un'estensione abbastanza limitata, come appunto l'Ogliastra. Credo che ognuno di noi, per il concetto che ho espresso nella fase iniziale del mio intervento parlando di rappresentanza, si senta più stimolato quando rappresenta il territorio da cui proviene. Forse ha ragione l'onorevole Pittalis quando dice: "Signori miei, guardate che questa proposta è stata portata avanti in Commissione da un nutrito numero di commissari, mentre oggi in Aula viene disconosciuta dalle stesse forze politiche a cui quei commissari appartengono". Probabilmente c'è bisogno di una maggiore riflessione per affrontare una questione come quella stiamo trattando oggi, per dare un senso compiuto alle cose e non utilizzare la famosa foglia di fico di cui ha parlato l'amico Felicetto Contu, che oggi ho apprezzato per la chiarezza, la linearità e la ricercatezza con cui ha ripercorso la storia dell'autonomia sarda.

Invito pertanto tutti i colleghi di sinistra, di centro e di destra - ed è un invito che rivolgo anche a me stesso, perché giustamente anch'io devo fare un bagno di umiltà - a essere forse meno demagogici e più concreti, a lasciar perdere qualche ordine del giorno o qualche proposta di legge che può servire solo come paravento, o per essere "venduta" nelle piazze durante la campagna elettorale, e ad analizzare i problemi veri della Sardegna con correttezza, con attenzione, ma soprattutto con la consapevolezza che le proposte di legge, in questo momento di grande difficoltà della Sardegna, dell'Italia e dell'Europa intera, devono mirare a dare risposte prima ai più deboli, alle classi che più di altre stanno soffrendo per la situazione congiunturale che ci troviamo a dover affrontare.

Con questo appello voglio concludere questo mio intervento, nel quale ho forse sconfinato un po' dal tema all'ordine del giorno avendo parlato anche di altre cose. Se sapremo veramente rappresentare i sardi che ci hanno eletto, le persone che oggi manifestano nelle piazze forse capiranno il senso vero della politica, forse capiranno che un Consiglio regionale autorevole è quello che il popolo sardo ha eletto, è quello che il popolo sardo ha voluto per produrre leggi.

Infine voglio raccontare un aneddoto. Ricordo che, non più tardi di un anno e mezzo fa, in un comune ogliastrino alcuni cittadini sostenevano che il sindaco, la giunta comunale e il consiglio comunale allora in carica non servivano perché purtroppo non rappresentavano gli abitanti di quel paese. Immaginate che cosa potevano pensare quei cittadini: la democrazia non serve, i funzionari comunali possono fare meglio di questa amministrazione. Ebbene, a distanza di un anno quell'amministrazione è caduta ed è stata rimpiazzata da un'altra; il sindaco adesso in carica rappresenta tutti gli abitanti del comune e la giunta cerca di portare avanti le loro istanze. Ebbene, quegli stessi cittadini che prima dicevano: "Abbasso il sindaco, abbasso il comune, abbasso la giunta ", ora mi dicono: "Viva il sindaco, c'è di nuovo democrazia e rappresentatività". Tutto questo per far capire che forse un po' di colpa ce l'abbiamo anche noi se qualcuno sputa sulla politica e utilizza termini non consoni a dei rappresentanti del popolo. Grazie.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LOMBARDO

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Porcu. Ne ha facoltà.

PORCU (P.D.). Devo dire che faccio fatica, nell'iniziare il mio intervento, a raccogliere le idee. E' stata una carrellata di interventi, quella iniziata ieri, che ha toccato una miriade di argomenti. Credo che questo Consiglio abbia battuto ogni record: la lunghezza del dibattito è stata inversamente proporzionale alla brevità e sinteticità della proposta di legge in discussione.

Senza nulla togliere all'autorevolezza degli interventi di tanti colleghi, della cui buona fede non dubito, così come non ho dubbi sulla giustezza e ragionevolezza delle loro posizioni, in un dibattito che rischia di essere confuso sento la responsabilità innanzitutto di dire che sono favorevole all'approvazione di questa legge, sono cioè favorevole alla riduzione a cinquanta del numero dei consiglieri regionali, nonostante io stesso il 19 marzo del 2009, cioè in un momento lontano dalla contingenza, avessi ipotizzato una riduzione a sessanta. E avevo fatto questa ipotesi per un motivo molto semplice, cioè perché ritenevo, senza sopravvalutare le capacità riformiste di quest'Aula, che un Consiglio regionale che si deve addestrare, diciamo così, a fare riforme dovesse cominciare da cose semplici, da una riforma che prevedesse una riduzione compatibile con le esigenze di rappresentanza territoriale. Si potrebbe cominciare, per esempio, con l'abolizione del listino dei nominati. Molti di noi stanno raccogliendo le firme per far sì che a livello nazionale non ci sia più un Parlamento di nominati, allo stesso modo a livello regionale è necessario eliminare il listino e quindi far sì sostanzialmente che ci sia una riduzione del numero dei consiglieri che lasci invariate le rappresentanze del territorio.

Sono favorevole a questa proposta di legge nonostante l'ipotesi che io avevo fatto inizialmente fosse diversa e nonostante mi renda conto che non è opportuno cominciare dalla coda, cioè dal numero dei consiglieri senza aver prima definito la legge elettorale e senza aver accolto alcune osservazioni giustamente sollevate in quest'Aula da chi si pone il problema della rappresentanza territoriale. Ma io credo che dobbiamo sempre tener presente che il voto di ogni sardo è uguale dappertutto; immagino che nessuno di noi ipotizzi che in una parte della Sardegna si possa ottenere un seggio con un totale di voti diverso rispetto a quello richiesto in altre parti del territorio. Il tema della rappresentanza territoriale lo si risolve con i collegi, cioè dimensionando opportunamente i collegi, e non certamente dando al voto di un elettore un peso diverso a seconda della zona di residenza. Così come credo che sia ragionevole riflettere su una legge elettorale che affronti un tema presente in questo Consiglio, quello della parità della rappresentanza di genere che è una ricchezza per la democrazia, ma anche per l'economia, perché dove c'è varietà, dove c'è diversità le idee sono più feconde, la creatività è maggiore, la capacità di proporre soluzioni innovative è maggiore. E sono favorevole nonostante concordi sul fatto che questo Consiglio affronta questa discussione con la pistola puntata addosso a causa di una legge nazionale che spacca il fronte delle Regioni autonome dicendo sostanzialmente: "Attenzione, se tu Regione non ti autoriformi, non porti il numero dei consiglieri a trenta non potrai accedere al fondo di perequazione territoriale", che guarda caso non riguarda il Trentino-Alto Adige o la Valle d'Aosta, ma riguarda la Sicilia e la Sardegna. Ragionare con una pistola puntata addosso è un'operazione difficile che richiede grande lucidità e grande senso di responsabilità, ma nonostante tutte queste ragionevoli obiezioni certamente avremmo fatto meglio, presidente Pittalis, a non cominciare dalla coda e a portare in Aula anche una proposta di legge elettorale che in qualche modo potesse prevenire alcune delle osservazioni che sono state fatte. Lei non è il solo responsabile, ne siamo responsabili tutti perché tutti i Gruppi hanno votato all'unanimità la decisione di procedere senza affrontare in parallelo la questione della legge elettorale.

Sono favorevole alla proposta di legge in discussione nonostante queste obiezioni che ritengo legittime, perché credo che la politica, le istituzioni, tutti noi, che ci chiamiamo spesso con facile retorica rappresentanti del popolo e interpreti della sua volontà, dobbiamo in alcuni casi essere capaci di compiere gesti simbolici, essere d'esempio per le nostre comunità che a più livelli chiamiamo, o meglio voi in particolare, che siete maggioranza a livello nazionale e regionale, chiamate ad accettare sacrifici, ridimensionamenti, tagli della spesa pubblica, tagli di servizi anche essenziali forniti dai comuni. Dobbiamo essere capaci di gesti simbolici e generosi, dobbiamo essere capaci di fare operazioni di autoriforma, di dare snellezza alle nostre istituzioni. Badate bene, io non credo nello scambio tra riduzione del numero di consiglieri e taglio dello status di consigliere, lo dico oggi sapendo di potermi attirare delle critiche. Credo che lo status di consigliere agganciato a quello di parlamentare nazionale, con tutto quello che comporta, dia forza alla nostra democrazia, dia libertà alla nostra funzione di rappresentanza. Non vorrei che la Sardegna facesse la fine della Svizzera, dove ci sono i cantoni governati da organismi di lobbisti che rappresentano interessi esterni! Lo status di consigliere regionale va certamente ponderato, rivisto, riportato alle leggi esistenti, al confronto con altre cariche di responsabilità della nostra Repubblica, ma penso che sia esso stesso un elemento di salvaguardia della nostra funzione, della nostra libertà, della nostra autonomia anche rispetto ai partiti di appartenenza, perché disporre, così come disponiamo, di strumenti per promuovere iniziative politiche, per documentarci, per svolgere la nostra funzione in maniera indipendente, non essendo ricattabili, sia elemento essenziale della democrazia.

Non si può però volere tutto, non si può pretendere di preservare uno status certamente importante e allo stesso tempo non accettare la sfida di rendere più snella e più rappresentativa questa Assemblea, questa istituzione. Non credo che sarà meno rappresentativa se verrà assegnato un seggio ogni 32 mila abitanti anziché ogni 25 mila, perché questo è quello che avverrà abolendo il listino regionale.

Allora, colleghi, possiamo parlare di tanti argomenti, della crisi economica e sociale, delle priorità, delle riforme da fare in questa legislatura, dell'importanza di approvare una legge statutaria, dell'importanza di una riforma del sistema degli enti locali, a cominciare dalle province, dell'importanza di conciliare l'esigenza dei piccoli comuni di svolgere in maniera associata le loro funzioni con la necessità di garantire la rappresentanza anche alle comunità più piccole. Possiamo aggiungere tanti altri argomenti, come i rapporti con lo Stato e la vertenza entrate, chiederci di chi sia la responsabilità della crisi e da dove dobbiamo cominciare, ma abbiamo la responsabilità, per farci capire da chi ci guarda, di dire se oggi questa occasione di cominciare un percorso, fors'anche nel modo sbagliato, iniziando dalla coda, magari in maniera forzata e occasionale, la vogliamo cogliere oppure se ancora una volta vogliamo respingere un'opportunità che assegna a tutti noi una grande responsabilità, questa volta credo trasversale, che può essere l'inizio di altri punti di contatto. Punti di contatto che finora non ci sono stati, noi diciamo per carenza di capacità propositiva in chi guida la Regione, per le carenze di una maggioranza che non trova al suo interno elementi di coesione, che non ha una proposta programmatica comune e che spesso è divisa, lo abbiamo visto anche recentemente durante la discussione della legge sul golf.

Oggi siamo di fronte all'inizio di un percorso; oggi abbiamo la possibilità di dare un segnale anche simbolico a chi ci guarda. Allora come possiamo fare perché questa riforma non rimanga lettera morta? Colleghi, dobbiamo dircelo con onestà: approvare questa legge oggi non vuol dire ridurre il numero dei consiglieri regionali, perché non è una legge compiuta. Perché l'iter di approvazione sia compiuto occorre una doppia lettura alla Camera e al Senato, in un percorso parlamentare che non so se potrà essere veloce, se sarà accidentato, se troverà ostacoli anche per i problemi di sopravvivenza di una maggioranza parlamentare di centrodestra che appena ieri, alla Camera, ha dato prova di inconsistenza politica. Quindi non avremo fatto nulla approvando questa legge, non avremo ridotto nulla. Avremo solamente guadagnato qualche giorno, qualche settimana, avremo cominciato un percorso e spostato la responsabilità sul Parlamento, ponendo un freno all'arroganza di un Governo che certamente attacca la nostra autonomia in tanti modi, non soltanto col ricatto del fondo di perequazione, ma anche mancando di riconoscere le nostre legittime aspettative derivanti dalla riforma dell'articolo 8 del nostro Statuto.

Avremo guadagnato dei giorni, colleghi, non delle settimane, per trovare, magari già dalla settimana prossima, prima di votare questa legge e partendo dal lavoro della prima Commissione, un accordo su alcuni elementi fondamentali della legge elettorale e anche sul percorso riformista che vogliamo portare avanti, ma senza mettere troppa carne al fuoco, perché quando un parlamento non mostra di avere una maggioranza solida e nel suo insieme non mostra grandi capacità riformistiche forse non è utile alzare l'asticciola. Si cresce e si verifica la capacità di essere protagonisti insieme partendo da cose facili, semplici e comprensibili. Non vorrei che allungare l'agenda fosse un modo per bloccare l'agenda stessa, per assumersi la responsabilità, siccome vogliamo fare molto, di non cominciare a fare neanche quel poco che possiamo fare da subito. E' un po' la retorica delle modifiche dello Statuto, il totem di tutte le riforme, di cui abbiamo discusso largamente in un'apposita sessione consiliare che non ha partorito nulla. Anche in quel caso la montagna ha partorito il topolino, ovvero un ordine del giorno inevaso e inattuato.

Oggi abbiamo la possibilità di cominciare da una modifica semplice, che peraltro non ha effetto immediato, ma se vogliamo essere coraggiosi e dare seguito a quello che faremo approvando questa legge di riduzione del numero dei consiglieri regionali dobbiamo utilizzare i prossimi giorni per delineare una legge elettorale che risponda alle esigenze, alle istanze, ai problemi giusti e legittimi che sono stati sollevati in quest'Aula. Lo possiamo fare, ci sono elementi comuni che io ho registrato in Aula, per esempio sull'abolizione del listino, per far sì che i cinquanta consiglieri siano rappresentativi dei territori e non vi siano tra loro dei nominati. Questo rafforzerebbe, badate bene, anche la funzione del Consiglio, perché a me non piace che un organo legislativo sia composto da eletti e da nominati, tanto più se i nominati vanno a rafforzare una funzione esecutiva che è già sufficientemente forte e tutelata e non ha bisogno di nominare a sua volta i propri rappresentanti nell'organo legislativo. I Presidenti della Regione che guidano il listino non hanno bisogno di essere salvaguardati nella loro funzione nominando altre persone in Consiglio, perché è un'anomalia, un rafforzamento eccessivo della funzione monocratica del Presidente, del ruolo di chi deve guidare l'Esecutivo regionale. Poi certamente bisogna ripartire dalle attuali circoscrizioni provinciali, chiamiamole collegi. Ieri qualche collega ha fatto un calcolo: se si abolisse il listino sostanzialmente sarebbe salvaguardata la rappresentanza di tutte le province, compresa la piccola Ogliastra, che anziché avere 2,3 seggi ne avrebbe 1,8, il che ragionevolmente significa 2, e quindi in qualsiasi scenario i 2 seggi attuali dell'Ogliastra verrebbero salvaguardati. Poi magari Cagliari passerebbe da 21 a 17 seggi, forse ci sarebbe qualche limatura in qualche altra realtà, ma ci sarebbe spazio per la rappresentanza territoriale di tutte le province così come sono oggi.

Non so se sia il caso di introdurre altri argomenti. Io personalmente sono favorevole alla doppia preferenza di genere, piuttosto che alle quote che, come dire, possono essere utili agli organi esecutivi, ma possono avere degli elementi di incostituzionalità, possono generare dei contenziosi, mentre la doppia preferenza di genere sostanzialmente è la facoltà che viene offerta al cittadino di esprimere due voti: l'elettore può votare anche per un solo candidato, ma se decide di usufruire del secondo voto, questo deve essere dato a un candidato di genere diverso dal primo. Credo che sia una buona norma. In Campania, dove questo metodo ha dato buoni frutti, la rappresentanza femminile è passata, credo, da due o tre consigliere a tredici, è cioè cresciuta di cinque o sei volte. E' un qualcosa che io sperimenterei, ma sono disposto, se scoprissimo che inserire elementi fortemente innovativi nella legge elettorale impedisce di completare la riforma, a fare ciò su cui siamo d'accordo, a trovare il minimo comune denominatore pur di dare seguito alle tante parole, a volte troppe, che abbiamo anche in questa circostanza espresso in quest'Aula.

Quindi per non tornare su argomenti già trattati, credo che abbiamo la responsabilità di andare avanti, di utilizzare bene i prossimi giorni, se non dovessimo votare il passaggio agli articoli oggi, di trovare (partendo dal lavoro della prima Commissione) dei punti comuni che ci consentano di approvare rapidamente una nuova legge elettorale. Se lo faremo non avremo fatto una grande riforma, ma avremo fatto il nostro dovere, avremo compiuto un gesto simbolico, un gesto di generosità politica, avremo in qualche modo creato le condizioni per qualificare questo parlamento.

Io non sono ottimista sul prosieguo della legislatura, non sono ottimista per la retorica e la demagogia che viene dispensata dal presidente Cappellacci anche attraverso le pagine a pagamento dei giornali, non sono ottimista per il fatto che abbiamo un Presidente che si chiama fuori dal sistema dei partiti e si rivolge al popolo facendo del populismo e della demagogia a buon mercato. Probabilmente il Presidente, che oggi non a caso non è qui, è il principale affossatore di qualsiasi percorso riformista in questa Regione, è colui che tende a dividere l'Aula e a minare, ripeto, ogni percorso riformista. Probabilmente sarebbe contento se minassimo anche questo percorso, perché così potrebbe alimentare la demagogia sul fatto che questa Assemblea non sa rispondere neanche alle istanze di snellezza istituzionale che provengono certamente dai cittadini, ma non solo da loro. Quindi facciamo questo primo passo, facciamolo con coraggio e con generosità e forse ne arriveranno degli altri, nell'interesse di tutti i sardi.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cuccureddu. Ne ha facoltà.

CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Ho sentito un dibattito, devo dire, molto interessante. Quasi tutti gli interventi hanno offerto spunti di riflessione che in altre occasioni, anche su argomenti più corposi forse non c'erano stati. Mi pare che ci sia un orientamento più che maggioritario favorevole a fare una riflessione un pochino più attenta di quella frettolosamente svolta in Commissione.

Ho sentito qualche consigliere, mi pare l'onorevole Gian Valerio Sanna, fare una suddivisione del Consiglio regionale sulla base delle propensioni e dell'interesse soggettivo verso questa legge che deriverebbe da una maggiore o minore anzianità di presenza in questo Consiglio. Sciascia faceva altro genere di classificazioni, sulla base delle qualità morali delle persone, ma diciamo che forse in maniera grossolana l'onorevole Sanna ci ha azzeccato. Io appartengo sicuramente alla categoria di coloro che sono alla prima legislatura, di coloro che hanno creduto nel valore di alcuni atti approvati da questo Consiglio regionale, di coloro che ottimisticamente - sarò forse l'ultimo degli ottimisti in quest'Aula - hanno creduto che dopo quattro fallimenti questa legislatura finalmente potesse essere una legislatura costituente, che avrebbe portato a scrivere un nuovo patto con lo Stato o semplicemente a mantenere, a far rivivere il vecchio patto che, a causa dell'evoluzione normativa, dell'evoluzione sociale e dell'evoluzione istituzionale (basti pensare alla presenza dell'Europa) che ci sono state, di fatto ha svilito le funzioni che i legislatori del '48 si erano dati.

Bene, in questo quadro di ottimismo, se volete, sarò stato credulone, ma ho pensato che gli impegni presi in Conferenza dei Capigruppo, le risoluzioni, gli ordini del giorno votati all'unanimità in questo Consiglio, gli impegni delegati alla prima Commissione sarebbero stati sacri, sarebbero stati gli impegni entro i quali ci saremmo dovuti muovere, sarebbero stati gli impegni che avrebbero portato a tentare di elaborare una proposta che avesse un qualche valore di riforma pattizia, di riforma dello Statuto, e quindi una nostra proposta al Parlamento di legiferare con legge costituzionale e non una proposta imposta, e secondo me anche irricevibile, come quella fatta dal ministro Calderoli. Invece qui ci si accorda per seguire un certo cammino per le riforme dello Statuto: si demanda alla prima Commissione di valutare semplicemente il percorso da seguire, le si chiede di pensare, anche con apporti esterni, a un processo di Assemblea costituente e improvvisamente, in violazione di questi accordi, si arriva a discutere alcune proposte presentate prima dell'ordine del giorno unitario e si crea questa accelerazione.

Io mi sono astenuto in Commissione, ma perché? Non perché non sia d'accordo sulla riduzione del numero dei consiglieri a cinquanta o a sessanta; se ne può discutere, ma credo che nessuno possa indicare un numero preciso senza sapere che funzione questo Consiglio deve svolgere. E' chiaro che con un Consiglio senza poteri, senza competenze, con un Presidente della Regione estremamente accentratore come quello che viene fuori dall'elezione diretta, con uno Stato che continua a mantenere competenze importanti, anche quelle più attinenti alla nostra specialità, quindi all'insularità, come quella sulla continuità territoriale, forse potrebbero bastare anche molti meno di cinquanta consiglieri. Però dobbiamo prima capire che funzioni deve avere la Sardegna, che funzioni deve avere all'interno del sistema istituzionale il Consiglio, dopodiché potremo cercare di capire qual è il numero più adatto per quanto riguarda i consiglieri.

Io non voglio, per carità, attribuire la responsabilità a nessuno, me ne guardo bene, e tanto meno al Presidente della prima Commissione, che cerca di fare il suo lavoro, però mi sono astenuto per il fatto che la procedura seguita in Commissione non è stata delle più corrette, delle più trasparenti. In due anni e mezzo di esperienza in altre Commissioni ho visto che quando si unificano due o tre proposte di legge si cerca il minimo comune denominatore: se si unificano due o tre proposte che prevedono la riduzione a sessanta consiglieri si propone la riduzione a sessanta; se tre proposte prevedono la riduzione rispettivamente a settanta, cinquanta e sessanta, si unifica prevedendo sessanta, perché si cerca la via mediana. In questo caso le due proposte considerate prevedevano entrambe la riduzione a sessanta consiglieri, nessuno ha presentato emendamenti e non è stato aperto un termine per presentare emendamenti, come è avvenuto in tutte le occasioni nelle quali si è votato un testo unificato.

Si sarebbe dovuto presentare un testo unificato che prevedesse la riduzione a sessanta, aprire un termine per la presentazione di emendamenti e notificarlo ai Gruppi; tutti avrebbero allora potuto presentare emendamenti, non solo i componenti della Commissione, e poi si sarebbe valutata la possibilità di ridurre il numero dei consiglieri a cinquanta, quaranta o trenta. Tutti avrebbero potuto rilanciare, invece si è arrivati, con una forma un po' strana, o almeno che non emerge dallo Statuto, a presentare un emendamento della Commissione senza paternità e quindi io mi sono astenuto...

PITTALIS (P.d.L.). Legga i verbali della Commissione, la paternità è indicata!

CUCCUREDDU (Gruppo Misto). Li ho letti, li ho letti. Non ci sono stati emendamenti, non si è dato un termine per presentarne, non si è data questa possibilità. Io mi sono astenuto per questo e credo di averlo motivato.

Io mi sono astenuto in Commissione soprattutto perché la presentazione di questa legge in Aula significa per me (non solo per me, ahimè, abbiamo visto anche in Conferenza dei Capigruppo che questo fatto rappresenta la pietra tombale su ogni e qualsiasi residua volontà di mettere mano allo Statuto in questa legislatura) che si farà questa riforma e non se ne proporrà nessun'altra, neanche sulle cose più urgenti e importanti, come il patto di stabilità, la vertenza entrate, la continuità territoriale, la riscossione delle nostre tasse, come avviene in Sicilia. Non si affrontano neanche questi argomenti.

Ecco, credo che questo sia un fallimento. Noi stiamo decretando il fallimento di questa legislatura che si era presentata come una legislatura riformatrice. Invece questa proposta di legge sarebbe potuta essere un'opportunità. Perché dico che sarebbe potuta essere un'opportunità? Perché la riduzione del numero dei consiglieri regionali la vuole il Governo, si può creare una corsia preferenziale per arrivare rapidamente alla doppia lettura in Parlamento, ma non dobbiamo essere noi a chiedere solo questo senza pretendere niente in cambio, a fare un favore al Governo dicendogli: "Ok, siamo d'accordo sulla riduzione e non vi chiediamo niente in cambio."

Noi dovremmo fare una legge che preveda interventi minimali, per questo ho presentato quattro emendamenti che, secondo me, riguardano piccoli interventi sullo Statuto, ma che sono fondamentali per dire che siamo favorevoli alla riduzione, però vogliamo anche che la continuità territoriale, come avviene per le altre Regioni marginali d'Europa, venga decisa dalle Regioni che hanno il problema della marginalità o dell'insularità, non dagli Stati. Non può essere lo Stato che per rendere appetibile la vendita della Tirrenia svende la nostra continuità territoriale, svende la nostra possibilità di mobilità dei cittadini e delle merci. Credo che sia questa la ragione della nostra specialità: la ragione del nostro Statuto speciale deriva dall'insularità e non la possiamo svendere. Non possiamo dire che la priorità oggi è la riduzione dei consiglieri regionali e non la continuità territoriale, considerato anche il disastro che c'è stato pochi mesi fa. Dobbiamo rivendicare la competenza primaria in questa materia, così come ce l'hanno le altre Regioni autonome e le altre Regioni marginali d'Europa.

Inoltre non possiamo pensare che attraverso una legge ordinaria, quella sul patto di stabilità, si possano vanificare gli effetti del Titolo III dello Statuto, che riguarda le entrate. Da un lato noi facciamo una battaglia per dire che vogliamo i sette decimi delle entrate, i nove decimi dell'IVA, i sette decimi dell'IRPEF, poi con una legge ordinaria si pone un vincolo di spesa, una quota che vanifica gli effetti di quella riforma e quindi pone nel nulla la norma costituzionale. Dobbiamo costituzionalizzare il patto di stabilità, che è una nuova procedura; dobbiamo farlo nel rispetto dei vincoli imposti dall'Unione europea sicuramente, ma dobbiamo avere competenza primaria per stabilire noi stessi il nostro patto di stabilità nel rispetto di quei principi comunitari, e lo dobbiamo fare in maniera pattizia con lo Stato, non possiamo subirlo. Non si può imporre il saldo obiettivo alla Regione e agli enti locali della Sardegna senza che sia contrattato o magari, come è successo per il Comune di Roma, concesso con gentile deroga da parte del Parlamento. Uno degli argomenti cardine è che il problema del patto di stabilità trovi spazio ora, utilizzando questa corsia rappresentata dalla riduzione del numero dei consiglieri, almeno come proposta per porre il problema in un adeguamento alla Costituzione.

Ho previsto poi altri due emendamenti: uno riguarda la riforma pattizia, e non può che essere così, del nostro Statuto, l'altro riguarda le modalità di accertamento e riscossione delle entrate. Ecco, credo che un rinvio in Commissione di questo argomento, arricchito con almeno questi quattro interventi minimali, perché si interviene con poche parole sul testo attuale, ma fortemente significativi, ci consentirebbe non di lavarci la coscienza dicendo che abbiamo tentato di fare una riforma costituzionale, ma di dare una connotazione riformatrice a questa legislatura. Io infatti non credo assolutamente che si possano fare le riforme per parti, che si possa pensare alla forma di governo senza pensare anche all'ambito di governo. Possiamo stabilire come organizzare al nostro interno le istituzioni della Regione Sardegna senza sapere quali competenze abbiamo, quali compiti dobbiamo svolgere, quale ruolo dobbiamo esercitare e come dobbiamo rapportarci con la Repubblica italiana e con l'Unione europea, se non lo definiamo prima con lo Statuto? Quindi, benché i tempi siano differenti, benché le procedure siano differenti, credo che una strategia complessiva di riorganizzazione istituzionale la dobbiamo assolutamente avere. Una parte di essa andrà perseguita, anche in tempi diversi, con lo Statuto, l'altra parte andrà perseguita con la legge statutaria.

Nell'ambito degli argomenti discussi in questi giorni, ovvero numero dei consiglieri, rappresentanza territoriale, proporzione tra abitanti e componenti del Consiglio, sono stati fatti gli esempi più disparati. C'è chi sostiene che ottanta consiglieri regionali siano troppi - anch'io ritengo che ottanta siano obiettivamente tanti - ma raffronta la nostra realtà sempre con quella di alcune Regioni a statuto ordinario. Potrei fare altrettanti esempi per dimostrare che altre Regioni, italiane ed europee, hanno numeri che fanno impallidire i nostri. La Valle d'Aosta, per esempio, ha trentacinque consiglieri regionali e 98 mila abitanti, quindi elegge un consigliere regionale ogni 2.760 abitanti, ed è una Regione a statuto speciale. Non solo, ha una riserva in base alla quale elegge un deputato e un senatore; una riserva come quella che si chiede per l'Ogliastra. La cosa non mi scandalizza, perché la Valle d'Aosta ha peculiarità linguistiche e geografiche tali da giustificare una deroga rispetto alla normale rappresentanza. Il Friuli-Venezia Giulia, che qualcuno ha citato a proposito o forse a sproposito, ha 1 milione e 200 mila abitanti e sessanta consiglieri regionali. Basta fare una proporzione per rendersi conto che ciò equivale esattamente a ottanta consiglieri per 1 milione e 600 mila abitanti! Quindi gli esempi si possono fare in un senso o nell'altro.

C'è chi ritiene che noi ci dovremmo avvicinare alle Regioni a statuto ordinario perché di fatto stiamo ordinarizzando la nostra funzione se non chiediamo allo Stato nemmeno le cose basilari perché ci vergogniamo, perché pensiamo che per lavarci la coscienza sia sufficiente chiedere la riduzione del numero dei consiglieri anziché porre il problema della continuità territoriale e del patto di stabilità, anziché "costituzionalizzare" questi problemi. Ci stiamo ordinarizzando, facciamo meno di quello che fanno le Regioni a statuto ordinario, che riescono a ottenere di più dallo Stato, ma direi che facciamo anche meno di alcuni comuni - ho citato prima Roma solo come esempio - che riescono a ottenere deroghe al patto di stabilità o legislazioni particolari. Roma ha ottenuto anche la costituzionalizzazione della norma su Roma capitale.

Io credo, lo dico perché ne sono assolutamente convinto (so di essere uno dei pochi in Sardegna, nel mondo saremo forse in mille a lavorare a questo obiettivo), che si stia aprendo un'era nuova. Credo che il concetto stesso di democrazia rappresentativa, a cui accennava prima il collega Stochino, forse in maniera diversa da come sto per fare io, sia in crisi e vada rivisto. Perché va rivisto? Perché oggi c'è una fortissima richiesta di partecipazione diretta al processo democratico, alla vita istituzionale. Noi dobbiamo accogliere questa richiesta. Sarebbe folle, dovendo condividere delle responsabilità, pensare di non allargare il più possibile la base delle responsabilità nell'assunzione delle scelte. Allora, se è vero che la democrazia rappresentativa è nata con il Senato romano duemila anni fa o poco più e che nell'agorà, nella polis greca partecipavano alle decisioni tutti i cittadini, tutti coloro che avevano qualcosa da dire, che potevano dare un contributo, che avevano la possibilità di discernere le varie proposte e di gestire il bene comune, credo che oggi la Sardegna possa diventare un modello, possa non inseguire altri modelli o le proposte di Calderoli sul numero dei rappresentanti, ma diventare essa stessa un modello a livello mondiale. Purtroppo non sarebbe il primo, perché è la California che sta sperimentando per prima questo nuovo modello di "agorà telematica", di democracy, di partecipazione attiva che tende a superare anche il Parlamento. Ci arriveremo fra trent'anni, fra cinquant'anni? Non so quando accadrà, ma sicuramente arriveremo al superamento di un concetto che, essendosi gli Stati ampliati in città-stato, limita la partecipazione diretta dei cittadini.

Credo quindi che noi dovremmo individuare queste forme attraverso due sole strade: quella della partecipazione dei cittadini e quella della devoluzione delle funzioni agli organi e alle istituzioni che sono più vicini ai cittadini. Tali istituzioni sono sicuramente i comuni, gli organi sono sicuramente i sindaci e gli organi esecutivi eletti direttamente nelle città, dove il rapporto fiduciario non viene dato una volta ogni cinque anni, ma si rinnova quotidianamente. Questo è il modello che dobbiamo seguire, questo è il modello che dobbiamo inserire nello Statuto, quindi figuratevi se io posso avere perplessità sulla riduzione del numero dei consiglieri regionali! Credo che si arriverà allo scioglimento del Consiglio regionale per la sua inutilità; salvo che per alcune norme tecniche, saranno i funzionari che interpreteranno in un futuro più o meno lontano la volontà popolare. Ci sarà qualcuno che governerà, che gestirà, però la scelta dovrà sempre più avvicinarsi a quella dei cittadini.

Allora, io ritengo che la proposta Calderoli sia irricevibile, innanzitutto perché pone un ricatto. Come diceva prima il consigliere Porcu, non si può legiferare sotto il ricatto: "Se non riduci il numero dei consiglieri ti tolgo il fondo perequativo infrastrutturale". E' un ricatto bell'e buono, quindi è irricevibile! Ma è irricevibile anche perché si tratta di un ricatto che non può essere fatto a noi, perché la riduzione dei nostri consiglieri la decide il Parlamento, non noi! Noi possiamo tutt'al più fare una proposta, ma potremmo anche non farla e non cambierebbe nulla ai fini dell'economia dei lavori parlamentari. Quindi la proposta Calderoli è, ripeto, assolutamente irricevibile.

La proposta che farò io - non ora, perché altrimenti la Presidente, ai sensi dell'articolo 86 del Regolamento, sarebbe costretta a metterla in votazione oggi, impedendo agli altri Capigruppo, qualora fosse accolta, di discuterla - è quella di rinviare questo argomento in Commissione, ma è una proposta che formalizzerò dopo l'ultimo intervento dei Capigruppo.

PRESIDENTE. I lavori odierni si concludono qui. Il Consiglio è riconvocato alle ore 10 di domani mattina per l'esame delle mozioni numero 147, 145, 146, 148, 127 e 137.

La seduta è tolta alle ore 19 e 28.


[PS1]Paese Basco, da non confondere con i Paesi Baschi, che sono una delle regioni che ne fanno parte