Seduta n.4 del 26/03/2009 

IV Seduta

(POMERIDIANA)

Giovedì 26 marzo 2009

Presidenza del Vicepresidente COSSA

indi

Del Vicepresidente CUCCA

La seduta è aperta alle ore 16 e 41.

Congedo

PRESIDENTE. Comunico che il consigliere regionale Gian Franco Bardanzellu ha chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 26 marzo 2009.

Poiché non vi sono opposizioni, il congedo si intende accordato.

Continuazione della discussione sul programma di legislatura del Presidente della Regione

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione sul programma di legislatura del Presidente della Regione.

BEN AMARA (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Non c'è nessuno della Giunta, come inizia?

PRESIDENTE. Chiedo scusa, avete ragione.

La seduta è sospesa per cinque minuti.

(La seduta, sospesa alle ore 16 e 42, viene ripresa alle ore 17 e 02.)

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Sechi. Ne ha facoltà.

SECHI (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Signor Presidente, con la riunione di oggi il Consiglio entra praticamente nel vivo di quelle che sono le sue funzioni e il suo lavoro.

L'opposizione - termine che non piace all'amico Vargiu, l'alternativa sarebbe "minoranza", che mi pare meno gradevole; eventualmente, concorderemo un modo per definirci - è chiamata a una prima valutazione sul progetto di governo della maggioranza, che il Presidente l'altro giorno ha illustrato in Aula, presentando le linee guida del programma di legislatura, fra l'altro arricchito e integrato da un allegato che ci è stato fornito. Nel programma presentato ci sono diverse cose ovvie, enunciazioni di carattere generale, peraltro alcune condivisibili, ma ci avrebbe fatto sicuramente piacere se su certi argomenti e su certe proposte ci fosse stata una maggiore concretezza e puntualità.

Io mi soffermerò solo su pochissimi aspetti del programma presentato, e inizio da un punto che il Presidente ha sottolineato più volte, quando ha richiamato la democrazia partecipata, facendo riferimento ai comuni e agli enti locali. Io vengo, come dire, confortato da una lunga esperienza di amministrazione locale, per essere stato per quasi trent'anni amministratore del Comune di Alghero, dove ho maturato esperienze nei vari ruoli, da consigliere di opposizione a capogruppo, assessore e infine sindaco, quindi mi permetto di dire che conosco in modo abbastanza approfondito quelli che sono, come dire, i meccanismi della vita amministrativa degli enti locali e i rapporti con le altre istituzioni, a iniziare da quella regionale. Il Presidente ha fatto riferimento all'esigenza di un patto col territorio, dicendo che "sarà resa possibile, già entro i primi cento giorni di governo, con una rivisitazione delle finalità della Consulta delle autonomie, che dovrà assumere funzioni di Conferenza permanente delle principali rappresentanze delle autonomie locali". Nel nostro sistema di relazioni tra i livelli di governo regionale e locale non esiste, però, la figura della Consulta delle autonomie, mentre mi permetto di ricordare che, nella passata legislatura, la legge numero 1 del 2005 ha istituito il Consiglio delle autonomie locali e ne ha definito le competenze: "è l'organo di rappresentanza istituzionale, autonoma e unitaria, degli enti locali della Sardegna e costituisce sede di studio, informazione, confronto, coordinamento e proposta sulle problematiche di loro interesse", inoltre "partecipa al procedimento di formazione delle leggi e degli atti di programmazione regionale". Quindi il Consiglio delle autonomie locali, in buona sostanza, è soprattutto l'organo di raccordo tra il sistema delle autonomie locali e il Consiglio regionale, e quindi, per esempio, esso andrebbe convocato e sentito sulla predisposizione della finanziaria che ci accingiamo a esaminare e valutare.

Ho ritenuto doveroso fare questa puntualizzazione non per un atteggiamento, come dire, sciocco e puntiglioso, per sottolineare un errore veniale del Presidente, per il quale, come tale, egli non merita nessuna punizione, ma perché il riferimento a un organo inesistente, non so se questo come idea o come progetto, mi preoccupa; mi preoccupa che dietro il richiamo a una Consulta delle autonomie non ci sia un progetto, al di là delle parole e della retorica del discorso d'insediamento, sul vero atteggiamento che questa Giunta e la maggioranza che la sostiene avranno nei confronti dei comuni e delle province, che da protagonisti di un sistema istituzionale fondato su un pluralismo paritario, voluto dal nostro ordinamento costituzionale e fatto proprio dalla legge statutaria della Regione sarda, dovranno purtroppo combattere per evitare di essere messi sotto scacco dal Governo regionale.

Io, come dicevo prima, vengo da una realtà e da una città che mi sento di rappresentare in modo particolare (oltre a rappresentare il territorio più vasto), cioè la città di Alghero, che da tempo ha orgogliosamente rivendicato per sé autonomia e capacità di autogoverno, ma che da diversi anni una maggioranza simile a quella che governa oggi la Regione ha trasformato quasi in un paese di Bengodi. E lo dico per agganciarmi a un altro aspetto che è stato sottolineato ripetutamente nelle dichiarazioni del presidente Cappellacci. Perché lo definisco un paese di Bengodi? Perché è un paese nel quale non si vuole arrivare all'approvazione del Piano urbanistico comunale; piano che peraltro era stato predisposto, definito, concordato con le associazioni di categoria e le rappresentanze varie del territorio, nella lontana primavera del 1998, poi ostacolato, osteggiato, perché la strategia è quella di evitare l'approvazione di strumenti di pianificazione generale, che consentano, in loro assenza, di proseguire nel sacco della città e in una massiccia edificazione nell'agro.

Nelle dichiarazioni programmatiche il presidente Cappellacci fa riferimento puntuale, invece, a un nuovo rapporto con le autonomie locali, per dare vita concretamente alla democrazia partecipata, e individua le città come parte della società, luoghi dove si rinnova la democrazia. Afferma: "Renderemo protagonisti gli amministratori locali, protagonisti e interpreti autentici dello sviluppo, sollevati dalla mortificazione di essere visti come potenziali speculatori". E qui io credo vada fatta chiarezza, perché, come dire, l'accusa di potenziali speculatori può cadere immediatamente nel momento in cui gli amministratori locali si dotano di quegli strumenti di pianificazione generale e di quelle regole che evitano, quindi, di favorire interventi che non sono codificati, e come tali non sono uguali per tutti nel territorio. Per fare questo, però, bisogna cambiare metodo e pensiero.

Signor Presidente, lei ha fatto riferimento ripetutamente anche alla sostenibilità, ed è un aspetto, un concetto che si lega in modo forte con gli strumenti di pianificazione urbanistica, perché attraverso quegli strumenti può essere fatta salva la sostenibilità. Ha messo in evidenza il valore naturalistico ambientale del territorio sardo, o della gran parte del territorio della Sardegna. Io mi permetto di introdurre un concetto nuovo, più forte, che è il concetto di valore monumentale di larga parte del nostro territorio e delle nostre coste. Penso ad alcune parti del nostro territorio, penso alla costa che va da Alghero verso Bosa o a parti interne della nostra Sardegna, che il compianto patriota Antoni Simon Mossa definiva proprio come beni monumentali, e come tali, quindi, di salvaguardia assoluta, perché un monumento non deve essere assolutamente mutilato con nessuna trasformazione o interventi che, per quanto migliorativi, lo snaturano. Occorre, pertanto, una nuova norma generale di riferimento per tutti i 377 comuni sardi. L'esempio lo abbiamo sulla stampa di questa mattina: il comune di Villanova Monteleone presenta quello che è un progetto ormai in via di definizione, concordato con l'Amministrazione regionale, di valorizzazione e salvaguardia dell'intero patrimonio storico del centro del Logudoro, però mi chiedo, se il comune di Villanova appare, per le sue scelte, per il suo accordo raggiunto con la Regione Sardegna, un comune virtuoso, che cosa possono fare o non possono fare due comuni come Alghero e Bosa, che stanno a nord e a sud del comune di Villanova? Ed è per questo, quindi, che sostengo che occorrano norme uguali che consentano ai comuni di muoversi in sintonia.

Il vero problema da affrontare, quindi, è la difficoltà che abbiamo noi nell'applicare modelli di sostenibilità urbana, aspetto reso ancor più difficile nella sua applicazione nel Mezzogiorno d'Italia e in Sardegna, cioè in quei territori dove è più forte la pressione speculativa immobiliare, con particolare riferimento alla fascia costiera. Dobbiamo puntare a conservare i confini netti tra città e campagna, che in molte realtà del territorio sardo sono saltati, e penso in particolare alla Nurra, sia alla Nurra di Sassari sia alla Nurra di Alghero, dove questo concetto è compromesso fortemente per le scelte fatte in anni passati, ma anche perché, nonostante i richiami a leggi vincolistiche e impositive, approvate dal precedente Consiglio regionale, si continua a operare con una tollerabilità che consente, addirittura, di edificare in agro con l'utilizzo delle gru. E lascio a voi immaginare che di tipo di edificazioni vengono fatte!

La città è il luogo per la residenza, per il vivere, per l'operare, per il creare, mentre l'agro, la campagna è il luogo destinato all'attività agricola. Su questo aspetto o si fa chiarezza o non riusciremo a trovare quel minimo di accordo su come operare da qui al prosieguo della nostra attività amministrativa. I terreni agricoli sono frazionati abusivamente e le loro particelle, sempre più piccole, raggiungono prezzi folli, sottraendoli di fatto a quello che è il loro destino naturale, cioè l'attività agricola. Il vero problema è, quindi, quello di riuscire a costruire città vivibili, a dimensione d'uomo, che diano la soddisfazione e il piacere di viverci; sostenere e praticare la mobilità urbana, con l'uso di mezzi pubblici sostenibili e funzionali, come tram e autobus elettrici, piste ciclabili, parchi, giardini e aree pedonabili che consentano di percorrere a piedi la città da un quartiere all'altro, ampi spazi sicuri per i bambini; recuperare il concetto di servizi di quartiere e realizzarli. Non molti anni fa esisteva uno stradario per iscriversi nelle scuole delle nostre città; concetto che è stato completamente stravolto e, quindi, al mattino una quantità immensa di autovetture viene messa in circolazione dai genitori per accompagnare da un capo all'altro della città i propri figli. Le autovetture devono essere eliminate dalle strade. E' penoso vedere non nei vecchi centri urbani, ma nei nuovi quartieri, quelli che sono stati realizzati in questi anni, le strade invase da una moltitudine di autovetture. Ma non esisteva, in Italia, una legge che imponeva i posti auto negli edifici di nuova realizzazione? Ci chiediamo, quindi, in che modo tutto questo possa essere tollerato. E' necessario, inoltre, favorire la mescolanza sociale evitando la realizzazione di quartieri ghetto, che non solo non favoriscono l'integrazione, ma creano insicurezza sociale, che poi porta all'allarme e alla richiesta di ronde. Occorre la certezza del diritto e la tutela dei diritti dei terzi, che può essere garantita solo con strumenti di pianificazione e regole certe. La mancanza di regole lascia pericolosi spazi alla discrezionalità, che è quello che accade in larga parte dei nostri territori.

Queste idee e questi principi, che appaiono semplici e chiari - mi chiedo e ci possiamo chiedere tutti - sono applicabili in Italia e nella nostra Sardegna? Io direi certamente di sì, ma poi, di fatto, ci rendiamo conto che così non è, così non accade. Ci vorrebbero politiche autorevoli e socialmente riconosciute, ci vorrebbero politiche e scelte condivise, a iniziare dalle forze politiche, superando i ruoli di maggioranza e di opposizione, quei ruoli contrapposti che spesso ci vedono schierati solo per rastrellare un maggiore consenso elettorale. Ci vorrebbe, quindi, una legge sul regime dei suoli, per evitare che il solo fatto di essere proprietari induca a pensare di poter realizzare volumetrie e affari. Ci vuole una visione completamente diversa e in questa linea devono muoversi i Piani urbanistici comunali e gli strumenti urbanistici della Regione. Vedasi la frenetica edificazione nelle aree agricole, dove molti enti e comuni tollerano l'inganno: l'inganno dei volumi, l'inganno delle distanze, l'inganno delle altezze, l'inganno dei volumi sottoterra, le tipologie e la qualità, spesso con compiacenti relazioni che giustificano attività agricole inesistenti.

Lo sviluppo sarà legato all'ambiente e alla sostenibilità, ha detto lei, signor Presidente, senza leggi eccessivamente restrittive, ha però puntualizzato. E qui io credo che dobbiamo evitare di prenderci in giro, perché le leggi o le facciamo puntuali e precise o altrimenti saranno disattese. Il Codice Urbani indica la strada, lei ha affermato, ma non può che essere una strada che porta all'approvazione di strumenti di pianificazione generale e regole puntuali, uguali e precise per tutti. E questo confligge con il piano casa del Governo, perché questo piano - che ieri mi pare abbia subito un rallentamento - comunque punta ad andare in deroga a quelli che sono gli strumenti di pianificazione generale, dalla quale naturalmente le possibilità le trarranno solo i pochi e soliti privilegiati, mentre rimane un'emergenza drammatica, che è l'emergenza prima casa, sulla quale io invito lei e il Consiglio regionale a predisporre un piano adeguato, di cui si avverte assoluto bisogno.

L'edilizia, se il progetto e la preoccupazione è quella di rilanciare un settore che attraversa un momento di sofferenza, va rilanciata con un serio programma di intervento per la riqualificazione del patrimonio abitativo esistente, con un piano di riqualificazione dei quartieri che da tempo hanno perso, perché gli sono stati sottratti, spazi vitali e di vivibilità. Vanno riqualificati i centri storici, privilegiando la residenza soprattutto per anziani e coppie giovani. Va favorito il recupero dell'immenso patrimonio architettonico dell'agro, da tempo abbandonato all'incuria del vento e della pioggia, perché si sta rischiando di perdere un patrimonio che, una volta perso, sarà impossibile recuperare. Va favorito il recupero di questo patrimonio, contro la tendenza a realizzare nuove strutture in qualità e materiali assolutamente inadeguati alla loro presenza in agro.

Queste sono solo alcune delle nostre proposte, che renderebbero fra l'altro la Sardegna molto più interessante e appetibile sul piano dell'offerta turistica. Questi erano i concetti che mi premeva sottolineare. Naturalmente ci sono molti altri aspetti sui quali avremo modo di ritornare nel prosieguo dei lavori di questo Consiglio regionale, che sta muovendo i suoi primissimi passi.

Come non parlare della crisi dell'industria, della crisi economica e occupativa e di come affrontarla? Questi sono problemi seri. Però, per chiudere, ho scelto di toccare due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore, che accennerò appena, perché il tempo non è sufficiente per approfondirli. Anche per l'interesse, l'attitudine e l'attenzione particolare che ho sempre dedicato, mi preme sottolineare il problema della scuola e temi come la cultura, la lingua, le politiche giovanili e lo sport. La scuola lei l'ha definita deficitaria nelle strutture e ha detto che questo porta come conseguenza anche all'abbandono scolastico. Per esempio, mi viene facile pensare alla realtà dell'Istituto alberghiero della città di Alghero; un istituto simbolo in Sardegna, un istituto che da decenni forma alta professionalità da immettere nell'attività turistico-alberghiera in Sardegna e non solo, e che da decenni è ospitato, e con esso il Convitto per gli studenti, in un fatiscente hotel, il famoso ex hotel ESIT, uno degli hotel ESIT che la Regione costruì negli anni '50 per favorire l'offerta turistica in Sardegna. La scuola va tutelata, va privilegiata dal punto di vista dell'attenzione, e noi crediamo che l'istituzione scuola debba presentarsi alla popolazione scolastica con edifici di prestigio, di qualità, per essere attraente e nel contempo incutere, come dire, quel timore reverenziale che gli studenti devono avvertire nell'entrare in un'istituzione importante. Così dicasi per la cultura e per la lingua sarda.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Planetta. Ne ha facoltà.

PLANETTA (P.S.d'Az.). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, Assessori, colleghe e colleghi consiglieri, dopo quindici anni riprendo la parola in quest'Aula. Debbo dire che sono emozionato e questa mia emozione dipende dal fatto che ho l'onore di rappresentare in quest'Aula il popolo sardo e il Partito Sardo d'Azione.

Ho avuto modo, signor Presidente, di apprezzare subito un passo del suo programma, laddove si parla di legislatura costituente e si riconosce nel Partito Sardo d'Azione uno dei partiti fondamentali della storia autonomistica sarda. Mi sento anche di condividere con lei la considerazione che ci troviamo in una fase di transizione e che il quadro politico ha subito un radicale cambiamento. Una delle concause di transizione per me significativa è l'abbandono, da parte dell'elettorato, di quella concezione di posizionamento ideologico, statico e dogmatico tipico del Novecento, al cui crollo tutti noi abbiamo assistito, ma che, ancora oggi, per alcuni altri partiti e personaggi è stato troppo repentino e traumatico. Un abbandono che il Partito Sardo d'Azione ha operato con coraggio, con coerenza ed estrema serietà, con sacrifici anche dolorosi, fuori da qualsiasi dubbio sulla propria collocazione politica e volontà di azione.

Signor Presidente, sa benissimo che noi vogliamo che in questa legislatura si rispettino gli accordi. Intendiamo anche collaborare fattivamente alla realizzazione del programma, che ci vede attenti, perché lo riteniamo alternativo, in parte, ai programmi politici del centrosinistra, dando vita - e questa è la nostra speranza - a un percorso politico diverso da quello che l'attuale opposizione ha portato avanti fino a poco tempo fa, con delle nostre ragioni che hanno determinato la partecipazione a questa coalizione di governo, che sono scaturite da riflessioni di prospettiva condivise, lontane però dall'auspicio di un sistema bipolare che evolve nel bipartitismo, come formulato nel suo programma di legislatura, Presidente. Le ragioni per noi derivano da una sola consapevolezza, quella, per dirla come Mario Melis, dell'essere un partito di governo che non può permettersi di liquidare le situazioni con frasi facili.

Le dichiarazioni programmatiche si basano in prevalenza su alcuni valori importanti, che oltre a essere condivisi dalla stragrande maggioranza del popolo sardo, fanno parte, da sempre, del patrimonio ideale del Partito Sardo d'Azione. Noi condividiamo con gli alleati una visione comune di strategie politiche, obiettivi e, spesso, ideali quando le problematiche sono legate alla tutela delle fasce più deboli, dei servizi alla persona, della valorizzazione della famiglia quale strumento di crescita dell'intera collettività. Ma, signor Presidente, sono convinto che la vera discontinuità tra un Governo e un altro venga rimarcata e resa evidente da un nuovo metodo di lavoro e dall'agire del quotidiano. Cioè, fattori nuovi senza i quali tutte le parole, tutti i proclami rischiano di diventare suoni vuoti e anzi mere enunciazioni retoriche; esperienze che abbiamo già vissuto per diverso tempo.

Anche le tante analisi della crisi che stiamo attraversando, rischiano di diventare un vuoto suono, se non si riesce a tradurre tutte le proposte di cambiamento formulate in struttura e azione di governo che sia forte non solo sul piano dell'elaborazione teorica e della carica morale, ma anche e soprattutto su quella della capacità operativa. E allora sottoscrivo in pieno l'adozione del metodo della democrazia partecipata, sul quale condivido debba fondarsi l'azione del nuovo Governo regionale. Azione il cui percorso è stato scomposto in tre distinti, ma integrati momenti attuativi: identitario, dello sviluppo e delle nuove regole.

Noi Sardisti siamo indipendentisti e da sempre lottiamo per riscattare la calpestata dignità del popolo sardo. Guardiamo con favore a questo approccio metodologico, siamo pronti, con il nostro patrimonio di idealità e di storia, a dare il nostro fattivo contributo per la riscrittura dello Statuto di autonomia. Riscrittura che reputiamo non solamente adempimento solenne, ma pure passaggio fondamentale e imprescindibile per la salvaguardia della nostra identità di popolo, per lo sviluppo e la nostra emancipazione. Però, tutto va fatto secondo un concetto chiave, signor Presidente, che è quello dell'amore. Amore per noi significa lavorare bene per gli interessi degli altri e prima di tutti dei sardi, con profonda alienazione. E la riscrittura dello Statuto deve percorrere la via obbligata dell'affermazione del diritto dei sardi a essere fattivamente riconosciuti quale popolo e nazione. Questa nostra legittima e condivisibile aspirazione è perfettamente coerente con la prospettiva di un'evoluzione federalista, ben evidenziata nella discussione in Parlamento e nel Governo nazionale. Noi Sardisti indipendentisti fin da ora siamo convinti che una sempre più forte autonomia significa anche assunzione di responsabilità, e per questo siamo d'accordo sul federalismo fiscale, e certamente non da oggi ma da sempre.

Va da sé che noi saremo giudicati per la capacità che avremo di praticare una politica equa a favore della persone più svantaggiate, costruendo un sistema di fiscalità più equo, premiando il risparmio dell'ambiente e il rispetto della dignità del lavoro, ma penalizzando produzioni e consumi inquinanti e insostenibili.

Insomma, il federalismo fiscale costituisce, per noi, un primo passo che porterà a quel federalismo davvero compiuto che, per definizione, deve realizzarsi tra eguali. Però, purtroppo, sappiamo che oggi non è così. Per esempio, lo Stato - e debbo dire purtroppo con la nostra complicità - ha inquinato la nostra terra, imponendo un modello di investimenti industriali che dimostra, oggi, tutte le sue insufficienze. E poi lo stesso Stato vara la legge numero 13 del 27 febbraio 2009 che consiglierei a tutti i colleghi di leggere, in quanto esime lo stesso Stato da responsabilità di rilevanza sia politica sia, soprattutto, economica. Spero tanto che in questo caso si possa ricorrere alla Corte costituzionale e aprire un contenzioso tra Stato e Regione.

Cari colleghi consiglieri, questa è una delle ragioni per cui dobbiamo abituarci a riconsiderare il concetto di sovranità e il concetto di Stato, senza alcun pregiudizio. Noi Sardisti, che cogliamo tutta la differenza tra nazionalismo e nazionalitarismo, intendiamo un certo modello di Stato quale realtà sovrastrutturale che pone le proprie radici non nell'eternità, ma nel tempo, non nella natura delle cose ma nella storia. Speriamo che nel nuovo Statuto di autonomia si evidenzi la volontà a tendere verso un federalismo compiuto, dove non ci deve essere il vizio di considerare lo Stato quale prodotto della natura, ma al contrario prodotto della storia, cioè della stessa società.

Signor Presidente, noi vorremmo che da oggi si respirasse un'aria nuova, in cui il suo futuro impegno e il nostro dovranno essere il momento di un forte segnale di rinascita, che sia capace di generare il conseguente e progressivo rafforzamento di una egemonia e di un protagonismo prima di tutto culturale, oltreché politico, dell'intera compagine del Governo della Regione sarda. Evitiamo mitizzazioni, evitiamo slogan, frasi fatte, cerchiamo di evitare di fabbricare scatole vuote.

Siamo d'accordo sul fatto che anche la Sardegna vive oggi le conseguenze dirompenti di una crisi globale, che però assume per la nostra terra specifiche cause determinate dalla sua particolare genesi; genesi che va ricercata in metodi e modelli di governo, di gestione e di sviluppo delle risorse; sviluppo schizofrenico e a tratti anche febbrile, con le partecipazioni statali e con la cultura dell'assistenza. Questo tipo di sviluppo non è mai riuscito a coinvolgere nella sua interezza la società sarda e le sue strutture produttive, e così, una volta entrato in crisi questo metodo e modello di sviluppo, è entrata in crisi buona parte dell'economia isolana.

A tale proposito, nell'allegato al suo programma, alle pagine 10 e 11, lei parla di energia e io mi chiedo quale modello di sviluppo intenda per quelle aree industriali ormai agonizzanti. Vuole anche lei richiedere l'avviamento di filiali produttive energivore e altamente aggressive nei confronti della salute, dell'ambiente e dei sardi? Vuole e vogliamo capire se esistono rifiuti di lavorazioni industriali che non liberano emissioni tossiche, che non minacciano la nostra salute e quella dei nostri figli? E' sua vera intenzione invertire la rotta per quanto riguarda il Piano energetico regionale nel far fronte alle esperienze di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (vento, sole, idroelettrico)?

Bene, io credo che dobbiamo programmare le nostre esigenze di produzione energetica relativamente alle esigenze produttive dei sardi, perché non credo che vogliamo continuare a tracciare il solco del precedente Governo, che ci vedeva proiettati nel futuro per diventare piattaforma energetica del Mediterraneo. Se così fosse, noi continueremmo a produrre energia per chi? Forse per gli altri, continuando a scaricare sui cittadini sardi i costi tariffari e i costi esterni, intesi come malattie o morti premature. Tutti noi sappiamo che la Sardegna è la Regione più ammalata dello Stato italiano. E qui mi voglio fermare.

Il Partito Sardo d'Azione ha sempre creduto, come lei crede, ai valori della solidarietà e della sussidiarietà. Nell'ambito della sussidiarietà riteniamo che gli strumenti principali della Regione debbano essere le autonomie locali, che devono esercitare processi più vicini alla popolazione, nell'interesse dell'ultimo dei cittadini. E' importante credere nella sussidiarietà orizzontale, quella delle libere associazioni, dei corpi intermedi e del volontariato, tutelando la centralità della persona rispetto a ogni scelta, soprattutto di tipo economico, rispettando la vita umana e l'ambiente in cui essa vive.

Non voglio aggiungere altro, perché avremo modo di affrontare i temi specifici e quello sarà il momento più importante, però voglio dire che noi sentiamo l'esigenza, con molta umiltà, di calarci nello specifico dei problemi, per iniziare a superare la crisi, per dare veramente vita a parole come impegno, partecipazione, solidarietà e sussidiarietà. Con questo approccio ai problemi, con questo atteggiamento mentale noi Sardisti vogliamo concorrere a impostare l'azione di governo e tutti i nostri discorsi di prospettiva senza demagogia.

Presidente, per un servizio efficiente, che vada prima di tutto a vantaggio dei sardi e poi degli altri, dobbiamo trovare tutte le energie e le risorse intellettuali e morali presenti nell'Isola. E anche noi Sardisti, per quanto di nostra competenza e capacità, con l'aiuto di Dio e con l'augurio di far bene siamo e saremo pronti a fare la nostra parte. Grazie.

PRESIDENTE. E'iscritto a parlare il consigliere Ben Amara. Ne ha facoltà.

BEN AMARA (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, cari colleghi, ho letto con attenzione e anche con coraggio il programma di legislatura del neopresidente della Regione, Ugo Cappellacci. Mi sono fermato, prima di passare all'allegato, a leggere i presupposti dell'azione di governo e i cosiddetti tre momenti attuativi. Una vera kermesse, con una serie di grandi analisi, raffinate teorizzazioni, elaborazioni di grandi tematiche: l'identità, che ormai è diventato un cavallo di battaglia di tutti, lo sviluppo, le nuove regole di governance e la democrazia dell'alternanza. Ma la democrazia dell'alternanza che significa, signor Presidente? Bipartitismo, pluralismo moderato, o false promesse? Che significa modernizzare senza cancellare il passato? Come si fa a parlare ancora di modernismo, noi che da quasi quarant'anni viviamo già nel post-modernismo? Modernizzare non significa soprattutto globalizzare, cancellare una forma di identità e di appartenenza, sopprimere una forma di pluralismo e di moltitudine identitaria. E' vero che nel suo elaborato il Presidente dà un giudizio negativo su misfatti del dualismo, ma solo teoricamente. Questo è ben evidente anche nella scelta e nell'uso linguistico: parole come "competizione", per esempio, fanno parte di un linguaggio borsistico. Forse sarebbe meglio usare la parola "cooperazione", visto che noi siamo tenuti a ragionare dentro una prospettiva euromediterranea. C'è anche un approccio avaro nel modo di parlare di disoccupazione e dei rimedi per superare questo fenomeno. Il problema del lavoro non si risolve attraverso la consegna di assegni e di bonus, come proponete voi, e non solo. Per superare il cul-de-sac occupazionale occorre sviluppare il turismo, creare iniziative concrete, investire nei servizi, nel commercio, nella cultura, nell'agricoltura, più che nell'industria (sapendo che la Sardegna importa anche il prezzemolo dalla Sicilia, l'aglio dalla Cina e il grano da Roma), un settore paralizzato da decenni non solo per la crisi economica, ma anche perché risulta essere infruttuoso, in termini di costi di produzione, in un mondo che importa di tutto e a prezzi concorrenziali. Ed è per questo che la Sardegna è tenuta a cooperare; cooperare con la Corsica, la Spagna, l'Irlanda, il Maghreb e i Paesi del Mediterraneo. Anche il nostro intendimento della parola welfare ha un altro significato: il welfare secondo noi ha favorito lo sviluppo di un individualismo passivo. Le protezioni statali generano diverse forme di responsabilizzazione, rendendo automatici i meccanismi sociali di redistribuzione e di localizzazione dei rischi. Il welfare può essere visto come una fonte di risorse e anche di disuguaglianza, non più dipendente dal mercato del lavoro, ma direttamente connessa al meccanismo di tipo politico. La garanzia di prestazioni sociali minime, ma universali, e la frequente traduzione normativa delle decisioni nate dalla contrattazione tra le parti sociali accrescono il numero di soggetti dipendenti da decisioni di tipo politico.

Direi, dunque, che l'insieme di queste osservazioni critiche contribuisce a svalutare il concetto stesso di classe sociale, associato a un contesto prevalentemente segnato dal lavoro salariato di tipo, direi, fordista. La globalizzazione economica, bisogna aggiungere, ha già frazionato i nostri territori e frammentato gli spazi. La Sardegna rifiuta da sempre la sua parte povera, perché ha perso la sua capacità di assimilazione. La divisione tra ricchi e poveri, autonomi e dipendenti, è evidente nel nostro Paese, e crea disuguaglianza tra le regioni. Questo consolida il disegno di desolidarizzazione, che termina spesso con l'espressione di una volontà di autonomia politica.

Signor Presidente, non si tratta, dunque, soltanto dell'elaborazione di un discorso a carattere normativo sul da farsi, ma soprattutto di eseguire l'atto performativo attraverso il quale i paesi della Sardegna possano realizzarsi pienamente. Occorrerà interrogarsi sulle modalità di espressione dei cosiddetti desideri urbani. Infatti, la tutela del nostro territorio, delle nostre coste deve essere sacrosanta. Questi luoghi che volete a tutti i costi cementificare sono i nostri veri luoghi di desiderio, gli spazi desiderati, la scommessa del futuro. Chiedete il parere all'UNESCO sulle leggi urbanistiche intraprese dalla precedente Giunta e che voi avete reso vane. Sono seriamente preoccupato di quello che succederà in Sardegna, sede di luoghi di particolare e sensibile bellezza. Temo che sulla scia delle politiche nazionali si vogliano svendere ai privati migliaia di metri cubi destinati ai grandi complessi immobiliari e a ville irraggiungibili; offrire il 20 o il 30 per cento della cubatura è un regalo per incrementare i redditi dei proprietari, non per risolvere il problema abitativo. In un momento in cui tutti gli altri Paesi chiedono ai propri governi di uscire dalla crisi, salvaguardando i tesori delle proprie città e dei paesi e investendo sull'ecologia, in Sardegna si vuole dare un calcio ai piani urbanistici faticosamente creati per armonizzare le esigenze individuali col diritto di tutti di vivere in ambienti umanizzati.

Cari colleghi, la trasformazione dell'individuo e dei suoi modelli relazionali è inseparabile dalla trasformazione sociale e culturale. Siamo noi che dobbiamo creare la nostra umanità o la nostra inumanità, come di fatto creiamo anche le nostre metropoli e le nostre città. La ragione non ci trasforma necessariamente in umani, soprattutto dopo aver sentito il discorso di Sanjust, stamattina; la ragione può diventare anche serva della corruzione, della cementificazione. Prendere in considerazione la nostra realtà sociale implica accordare poesia e polis. Altro che piano straordinario d'intervento per l'emergenza o progetto integrato! La possibilità di risolvere i problemi antichi, i mali nuovi della Sardegna, come la disuguaglianza, la povertà, la disoccupazione, la crisi abitativa e il degrado dell'ambiente dipende soprattutto dalla nostra capacità di rafforzare le diverse istituzioni, a presidio delle differenti, ma interrelate libertà. Il mercato, lo Stato, i media, i partiti politici, le scuole, le organizzazioni non governative, tutti devono essere coinvolti, in modi diversi, ma complementari, nell'arricchimento delle nostre libertà, e dunque nel miglioramento futuro della vita di ciascuno.

E' possibile migliorare, per esempio, la formazione dei giovani mettendoli in condizione di sperimentare al di fuori di obiettivi immediatamente mercantilistici? Ogni titolo di studio deve garantire innanzitutto la società che ha bisogno di una classe di produttori capaci e non di una classe di venditori, preoccupati solo dell'originalità creativa di un oggetto. Lo sviluppo di una regione non è necessariamente un criterio per valutare il progresso. Opportunità sociali, quali l'istruzione, la ricerca, la formazione, i servizi sanitari aumentano la libertà di partecipare all'attività economica, che è un elemento centrale della libertà economica. Bisogna anche ricordare che nel mondo della comunicazione globale la questione di fondo è così sempre più legata al controllo, e il mercato non è in grado di garantire tutti i benefici della nuova tecnologia alla società nel suo complesso. Ed è, dunque, indispensabile creare una forza positiva che faccia da contrappeso alla concentrazione delle proprietà nelle mani dei privati, che sappia assicurare la qualità e ampliare la scelta, che integri il mercato col proseguimento degli scopi del servizio pubblico. La consapevolezza, per magra che sia questa costatazione, è che se non si ha la possibilità di scegliere, discutere e distribuire informazioni, non si detiene alcun potere.

Signor Presidente, nel suo allegato, dedica mezza pagina alla valorizzazione della cultura e quasi una pagina al pia[s1] no strategico per il turismo. Che significa, per esempio: "coltivare e gestire, in sovranità, la nostra eredità culturale, materiale e immateriale?" La cultura non è mai una proprietà privata; tutte le culture sono in relazione le une con le altre, nessuna è singola e pura, tutte sono ibride, eterogenee, straordinariamente differenziate e mai monolitiche. La cultura non è solo ciò che viviamo ora, ma ciò per cui viviamo: affetto, relazione, gioia, il senso ultimo del significato, la completezza emotiva. Questi sono elementi che ci toccano da vicino, più di quanto non lo siano la Carta dei diritti umani o i trattati commerciali. La cultura è lettura, biblioteche, istruzione, formazione, ricerca, turismo culturale, cooperazione, solidarietà, tutti fattori che ci permettono di far fronte a questa nostra società diventata allergica all'alterità, xenofoba, egocentrica, dove tutti hanno paura di tutti o vedono le relazioni interpersonali esclusivamente in termini di scambio opportunistico. La cultura, ricordo, è anche cultus, rispetto dell'altro, ospitalità e accoglienza. Noi dobbiamo fare in modo di evitare l'universalismo dominante e lo pseudo-multiculturalismo, che conducono alla segregazione e al razzismo; dobbiamo insegnare altri modi di pensare e altre forme di sensibilità e di linguaggio, in un mondo dove le culture si creolizzano. La nozione stessa di multiculturalismo, al giorno d'oggi, si scontra con molte forme di resistenza il tipo nazionalista o fondamentalista. Oggi la cinica gestione dei mercati e i paradigmi che assolutizzano la richiesta hanno causato guerre etniche, balcanizzazione, emigrazione forzata di intere popolazioni. La consolidata tradizione razzista di demonizzazione ed esclusione è diventata uno strumento di allontanamento dei rifugiati, visti come predatori della nostra ricchezza e della nostra identità nazionale. Se la retorica della demonizzazione è razzista, le politiche delle esclusioni sono economiche. Prima venivano demonizzati i neri per giustificare il colonialismo e la schiavitù, oggi si demonizzano i rifugiati per giustificare le vie del globalismo.

Cari colleghi, il Presidente della Regione scrive: "Il turismo è lo snodo strategico del nuovo disegno programmatico che intendiamo realizzare". Non dice né come né perché, non specifica il tipo di turismo che vuole predicare: turismo di massa, turismo industriale, turismo rurale o turismo culturale? Nella letteratura si trovano quasi cento diversi tipi di turismo, dal turismo estetico al turismo religioso. Per noi il rapporto tra cultura e turismo è fortissimo, perché pone alla luce un importante nesso tra processi vitali e produzioni intellettuali e artistiche; il turismo non è il numero di visitatori che entrano nella nostra Isola per comprare i nostri prodotti, visitare i nostri luoghi e così via; il turismo dev'essere inteso soprattutto come fattore di integrazione culturale. Lo sviluppo socio-politico del Mediterraneo è stato sempre legato e condizionato dal flusso costante delle relazioni economiche, culturali e sociale tra i popoli che vi abitano. Qualunque strategia turistica nella zona deve considerare prioritario il contatto umano e l'interscambio ed evitare, quindi, il conflitto. Appare, dunque, imprescindibile rivendicare, oggi, la funzione integrativa del turismo, definire strategia e politica miranti a promuovere, da un lato, il turismo tra i Paesi del Mediterraneo e, dall'altro, quello del resto del mondo verso la regione mediterranea. In questo modo saranno rigorosamente garantite l'identità, l'autenticità e la qualità dell'offerta, sia per quanto riguarda gli aspetti in comune tra i popoli dell'area in questione sia per quegli aspetti peculiari di ogni singola cultura e di ogni popolo in essa presenti. Qualsiasi iniziativa riguardante il campo turistico nella regione mediterranea deve collocarsi su questa linea di innovazione dell'offerta turistica e contemplare le misure necessarie per preservare il patrimonio…

Sento molto chiasso, mi disturba, sono meditativo. Presidente, faccia il suo lavoro.

Il turismo culturale non si limita al patrimonio storico-artistico, ma comprende anche la cultura popolare, la produzione artistica e l'architettura contemporanea. Un altro argomento da prendere in considerazione è quello relativo al concetto di cultura di gestione. Diventa assolutamente necessario realizzare incontri frequenti tra gestori turistici, generalmente privati, e gestori culturali, che sono in maggioranza pubblici, allo scopo di favorire un reciproco interscambio tecnologico. Si riuscirebbe così a ottimizzare l'impatto dell'offerta culturale sul prodotto turistico e a generare nello stesso tempo una serie di iniziative diversificate per aumentare il volume dei visitatori. In altre parole, bisogna produrre attività economica partendo dalla potenzialità del binomio cultura-turismo e dalla sua distribuzione equilibrata in tutte le regioni del Mediterraneo, incrementando in tal modo la presenza dell'offerta culturale nei prodotti turistici e promovendo iniziative innovatrici per qualità e autenticità, segmentate per mercati e aree.

Bisognerebbe, altresì, potenziare le relazioni informative e tecnologiche tra i gestori della cultura e del turismo e degli altri settori dell'attività economica e sociale, che sono in rapporto con l'attività turistica e, infine, preservare l'ambiente e le culture autoctone, minimizzando gli effetti della massificazione turistica che porta alla creazione dei "nonl[s2] uoghi" dei villaggi turistici, fermo restando che il solito turismo da spiaggia non è incompatibile con le nuove offerte e attività culturali. Esso deve essere un turismo pensato, che potrà diventare un meccanismo efficace per uno sviluppo regionale sostenibile e per la cooperazione tra i paesi del Mediterraneo soltanto se si instaura un rapporto reciprocamente vantaggioso.

Queste sono alcune riflessioni sul suo programma, signor Presidente. Avrei altri punti da rilevare, ma il tempo non lo permette. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Lai. Ne ha facoltà.

LAI (P.d.L.). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori, colleghe e colleghi, sulle dichiarazioni programmatiche del presidente Cappellacci esprimo il mio personale apprezzamento. Sono presenti in esse tutti i punti prioritari che devono essere affrontati e risolti in un momento molto critico per l'intera economia mondiale, ma soprattutto per la nostra Isola, che mai come oggi ha visto il dramma della disoccupazione così all'ordine del giorno. Il mio giudizio positivo scaturisce anche delle prime misure adottate dalla Giunta per tamponare questa situazione di emergenza. Sicuramente a breve termine si renderanno inderogabili azioni che richiederanno il massimo impegno, affinché la ormai imminente finanziaria ci veda uniti e compatti nell'affrontare questo momento critico per l'intera economia e per la società sarda.

Registriamo, oggi, un nuovo inizio, con un clima di collaborazione immediatamente visibile a tutti. Questi primi incontri della Giunta dedicati ai sindacati non rappresentano, a mio avviso, solo un atto dovuto, ma rispecchiano il sentire comune dell'intera maggioranza di centrodestra, che si riconosce nella sollecitudine mostrata dal nuovo Esecutivo regionale verso i problemi della disoccupazione e delle misure straordinarie richieste per la soluzione di quest'ultima. Si esigevano fatti concreti. Bene, l'attivazione della cassa integrazione in deroga rappresenta un ottimo inizio, peraltro supportato dalla stretta collaborazione con il Governo nazionale, e in particolare con il Ministero del welf[s3] are,che ha reso disponibili ulteriori fondi per far fronte all'emergenza occupazionale. Personalmente auspico che questo dibattito rappresenti l'occasione concreta per riportare nella giusta prospettiva le prerogative dei singoli consiglieri e dell'Aula nella sua interezza. Il governo di una Regione come la nostra è già di per sé complesso, proprio per questo ha bisogno di decisioni che siano frutto della voce anche dei singoli consiglieri, che è poi quella dei cittadini dei vari territori che compongono la nostra Isola. Già dai primi passi del Presidente credo che possiamo essere tutti soddisfatti perché si è chiusa definitivamente la stagione del non dialogo. Iniziamo oggi una fase complessa, ma aperta al contributo di idee e conoscenze che ogni singolo consigliere e i Gruppi possono portare.

Nella scorsa legislatura molti fondi europei sono andati perduti perché, evidentemente, sono mancate sinergie importanti. E' quindi fondamentale che si crei questa task force interassessoriale per evitare che le risorse disimpegnate ritornino a Bruxelles. E' un'idea che può contribuire in modo decisivo a riportare la Sardegna tra quelle regioni che aprono allo sviluppo e non temono di affrontare ingenti spese e investimenti.

Sulle grandi opere infrastrutturali non posso esimermi dal portare in Consiglio la preoccupazione doverosa delle popolazioni della Gallura, del Logudoro e della città di Olbia perché siano garantiti tutti i passi necessari per la realizzazione, in tempi brevi, della nuova strada a quattro corsie Olbia-Sassari. Siamo a conoscenza di un impegno personale del presidente Cappellacci presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, spero quindi che il mancato stanziamento dei fondi all'ultima riunione del CIPE possa essere superato. Sono certo che su questo aspetto l'intera Giunta e il suo Presidente possano e debbano assumere impegni precisi, perché mi faccio interprete della preoccupazione di tutti coloro che ogni giorno percorrono l'attuale strada, sulla quale troppi hanno perso la vita.

Un altro aspetto legato alle infrastrutture stradali che ci preme sottolineare è quello relativo alla strada Abbasanta-Olbia, bloccata all'altezza di Alà dei Sardi, tagliando fuori un'ampia parte dell'interno, soprattutto il Logudoro e il Monte Acuto, dalla prospettiva di una strada a scorrimento veloce verso la costa. E' doveroso riprendere quel progetto e rimuovere definitivamente gli ostacoli, appianando le lungaggini burocratiche. Altre infrastrutture stradali nel nord-est della Sardegna sono rappresentate dalla Olbia-Arzachena, che deve essere ripensata sul modello delle quattro corsie, e ancora il completamento della Sassari-Tempio e la riqualificazione della Olbia-Tempio.

Considero, inoltre, altrettanto positivo il fatto che si decida di far ripartire la formazione professionale. Se, infatti, esiste un problema serio da affrontare nella società sarda, questo è rappresentato dal raggiungimento di competenze e qualifiche per affrontare il mondo del lavoro, il quale richiede specializzazioni sempre più approfondite, che non si possono raggiungere senza una formazione seria e al passo con i tempi. E' evidente che anche l'Università merita altrettanta attenzione; le due Università storiche di Sassari e Cagliari, ma anche i poli universitari nascenti, così delusi dalla passata Amministrazione regionale. Mi riferisco alle Università gemmate di Nuoro e Oristano, ma anche a quelle, così radicate nel territorio, di Olbia, Tempio e Alghero. Dobbiamo difenderle, perché lo studio dei nostri ragazzi nel luogo in cui sono nati non è solo un dovere, ma un diritto, affinché anche loro, un domani, possano competere coi coetanei ad armi pari.

Per quanto riguarda welfare e sanità, riteniamo prioritaria la linea proposta nel programma che, non trascurando l'esigenza di partecipazione e di coinvolgimento di tutte le componenti del mondo della sanità, delle parti sociali e delle istituzioni locali, si pone come obiettivo lo sviluppo dei servizi alla persona, alla famiglia e alla sanità in genere. Non si deve dimenticare, però, che ci avviamo verso un modello di federalismo che nel passaggio dalla spesa sanitaria storica a quello, assai complesso, tuttora in corso, della determinazione del costo standard, premierà solo le Regioni virtuose, le quali saranno sostenute con un finanziamento aggiuntivo ma, proprio per questo adeguamento, decrescente. Il federalismo fiscale esplica la sua azione più intensa, quindi, e dobbiamo tenerne conto nel finanziamento della sanità.

Alla luce di questa analisi, il politico, soprattutto quando è anche medico, non può non avere consapevolezza di un doppio ruolo, che da un lato lo vede impegnato nella erogazione delle prestazioni, per garantire i più alti standard di qualità professionale e tecnica, e dall'altro nell'esigenza di risanare attraverso un nuovo metodo d'amministrazione che elimini gli sprechi, di qualsiasi natura essi siano. L'impatto inevitabile con la compatibilità delle risorse non può, però, esaurirsi in un'azione politico-amministrativa tutta tesa ossessivamente a risparmiare risorse finanziarie, senza la necessaria attenzione agli effetti che da questa politica possono derivare sulla salute dei cittadini. Ripartire, però, dalla centralità del malato non vuol dire farsi annoverare fra le regioni canaglia. Non se ne ha alcuna intenzione e si possiede tutta la consapevolezza del percorso che ci attende, quello del federalismo fiscale. Sapremo assumerci tutte le responsabilità e io ritengo che l'assessore Liori saprà raccogliere una situazione difficile. Ci sono degli impegni, in primo luogo quello della riduzione delle liste d'attesa, ma ci sono aspettative su obiettivi nuovi: stabilire le giuste priorità nell'attuazione del Piano sanitario regionale che, non ho timore di confermarlo, ha certamente il suo valore in un'azione di riequilibrio nella rideterminazione dei posti letto, e assicurare le risorse per il completamento degli interventi dell'edilizia ospedaliera, che nel nostro territorio si esprime con l'esigenza di completare l'ospedale pubblico e di aprire l'ospedale San Raffaele, per il raccordo ospedale-territorio, per la realizzazione completa, integrata del progetto materno infantile, per un corretto rapporto e confronto, per un'integrazione tra sanità pubblica e sanità privata.

Tornando al programma del presidente Cappellacci, mi preme rilevare che tra gli obiettivi a medio e lungo termine non può non esserci la questione dei trasporti, in particolare quelli ferroviari. Aspetto, anche questo, sul quale la passata amministrazione non ha messo in atto azioni efficaci per contrastare una politica irrazionale di vera e propria dismissione del sistema ferroviario del nord-est della Sardegna da parte di Trenitalia. Nessuna iniziativa era stata assunta davanti alla fine del trasporto merci su rotaia. Ancora oggi continuano le proteste degli addetti ai lavori e del mondo dei produttori della Sardegna che, naturalmente, usufruivano delle agevolazioni di un trasporto come questo. Questo aspetto è decisivo per il rilancio della nostra economia. Io l'ho detto più volte nel corso della precedente legislatura: una politica dei trasporti efficace deve considerare il mezzo ferroviario come servizio fondamentale, non solo per i passeggeri, ma anche per le merci. Prendo, quindi, atto con soddisfazione che tra le dichiarazioni programmatiche c'è la volontà di venire incontro alla domanda di mobilità delle persone e delle merci.

Anche la vertenza Meridiana merita tutta l'attenzione della Giunta e del Consiglio regionale. Infatti è in gioco una compagnia aerea privata che non ha mai ricevuto aiuti di Stato, ma che si è distinta per i grandi sacrifici compiuti dai suoi dipendenti per risparmiare e tenere le posizioni rispetto all'aggressività sul mercato delle compagnie low cost, che devono naturalmente avere i loro spazi, ma devono confrontarsi con lealtà nella competitività. Oggi la Regione sarda non può che riconoscere il fatto che Meridiana ha un'origine e una base di armamento sarde, quindi moltissimi dipendenti provenienti dalla nostra Isola. E' nostro dovere adoperarci in modo diretto e indiretto per proteggere una realtà industriale che dobbiamo sentire nostra in tutti i sensi, e la Regione ha il compito di svolgere un ruolo di interlocuzione con le parti coinvolte nella vertenza. Non ci sono buone notizie, ieri doveva essere firmato un accordo, purtroppo questo non è avvenuto, si rischiano i licenziamenti, con la proprietà della compagnia ai più alti livelli, così come è stato fatto poco tempo fa da parte del sindaco di Olbia, Giovannelli. La Sardegna garantisce, infatti, una continuità territoriale il cui ruolo di Meridiana è centrale. Occorre rendere, quindi, la compagnia parte integrante del network di trasporti in Sardegna.

Sull'energia si intende procedere a una riscrittura del Piano energetico regionale che promuova un maggiore uso di fonti energetiche rinnovabili, riducendo la dipendenza dalle fonti di energia esterna, completando il piano di metanizzazione della Sardegna con l'immediata attuazione del progetto del metanodotto. E' un programma apprezzabile, perché è una misura che ci conforma alle politiche più avanzate delle società mondiali. E mi riferisco alla nuova amministrazione degli Stati Uniti che su questo ha puntato molto.

L'altra occasione storica per il rilancio e lo sviluppo della Sardegna è rappresentata dal federalismo fiscale e dalla fiscalità di vantaggio. Il via libera della Camera all'articolo sull'insularità, contenuto nel decreto legge sul federalismo fiscale, è un fatto di tutta rilevanza. Viene riconosciuto, in sostanza, alla Sardegna di vedere quantificati e compensati i divari infrastrutturali, economici, sociali, le penalizzazioni legate all'atavica condizione di insularità.

Nelle dichiarazioni programmatiche c'è un altro punto interessante che ho colto, ed è quello relativo alla necessità di legare il turismo all'economia del territorio e delle attività produttive, siano esse quelle agricole, artigiane, artistiche, ambientali, culturali e del commercio. Anche questa penso sia un'ottima idea per realizzare la quale sarà necessario saper ascoltare anche, prima di tutto, le esigenze e le problematiche dei territori. La risorsa sughericola è tra queste, non a caso lei, Presidente, ha iniziato la sua campagna elettorale proprio in quello che è il cuore, il fulcro del distretto del sughero, a Calangianus. Questo settore ha bisogno di interventi importanti da parte dell'Amministrazione regionale affinché ne sia garantito il rilancio e la salvaguardia. Anche il settore lapideo, granito in particolare, deve essere rilanciato. Mi preme sottolineare che il ruolo della Regione nella promozione di questi prodotti, caratterizzati da una qualità superiore a livello mondiale, è doveroso.

Sull'urbanistica si è discusso molto durante la scorsa legislatura e si è tentato anche di dialogare in merito. Adesso è giunta l'ora di muoversi verso un nuovo modello, che non è quello della cementificazione, ma è un modello di sviluppo che operando nell'alveo delle direttive fondamentali del Codice Urbani, quindi nel pieno rispetto dell'ambiente e del paesaggio, saprà dettare regole nuove, severe, ma nello stesso tempo capaci di rimettere l'uomo e i suoi interessi al centro dell'attenzione. Una riforma in tal senso nel settore urbanistico segnerà una svolta che restituirà alla Sardegna lo slancio necessario, anche sul turismo. Sarà una nuova concezione antropologica, in cui l'uomo creerà i suoi spazi integrandoli con consapevolezza in un territorio di cui non è solo abitante, ma custode per l'intera umanità.

E' corretto, Presidente, quello che lei ha scritto nel programma: la ricchezza deve essere endogena, altrimenti non si configurerà come stabile e capace di spingere l'economia di un'intera regione come la nostra. In questo contesto sono apprezzabili le sue parole sul rilancio delle nostre città come metropoli sostenibili conformemente, appunto, alla Carta di Lipsia. Non dobbiamo dimenticare che la configurazione delle città sarde non è autoreferenziale, ma deve essere solidale verso l'entroterra della nostra Isola. Le nostre città dovranno saper rilanciare l'interno dell'Isola, promuovendone la cultura e spingendo chi visita la Sardegna a non limitarsi a un "tocca e fuga" delle città costiere, ma a conoscere i luoghi dell'interno, dove ha avuto origine la civiltà dei sardi. Un'idea nuova di promozione del nostro patrimonio culturale che si configura come un'occasione storica per il rilancio delle zone interne. E' vero anche, Presidente, che la politica deve ammodernare i propri schemi organizzativi per stare al passo coi tempi e che deve, ce lo chiedono i cittadini, ma lei lo ha annunciato, contenere i suoi costi. Noi l'aiuteremo nell'intento da lei espresso di fare cose concrete da subito per rendere la politica più vicina alle persone e per migliorarne l'immagine complessiva. Sarà proprio la collaborazione tra Consiglio e Giunta a garantire ai provvedimenti della nuova Amministrazione regionale la massima efficacia. Noi siamo qui, come lei, per svolgere un servizio pubblico e assolvere la missione di rilancio e sviluppo della nostra terra.

Mi sia permesso, infine, un riferimento al nuovo Presidente del Consiglio regionale, l'onorevole Claudia Lombardo. Siamo orgogliosi di avere lei alla guida della massima Assemblea dei sardi, sia per l'esperienza che la caratterizza che per le indubbie capacità, e ritengo sia stata scritta una bella pagina per la Sardegna. Buon lavoro, Presidente, e auguri a tutta la Giunta. Che questa sia una legislatura proficua per la Sardegna e per il superamento delle difficoltà che i cittadini sardi stanno vivendo in questo difficile momento di crisi. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Gian Valerio Sanna. Ne ha facoltà.

SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Signori Presidenti, Assessori, colleghi, commentare le dichiarazioni programmatiche del Presidente della Regione genera un certo imbarazzo. Abbiamo cercato a lungo i contenuti, i riferimenti fondamentali di un'idea programmatica; abbiamo trovato molti auspici e slogan, ripetuti e ben conosciuti. Qualcuno, che non è vincolato allo stretto linguaggio istituzionale, le ha descritte poco più che una bella letterina di buoni propositi, molto valida per la festa del papà. Forse scontiamo ancora i postumi della campagna elettorale, ma ora governare sarà cosa ben diversa. Dovrete trasformare molto presto la propaganda parolaia in progetti, idee precise, sapendo di questi indicare il perché e gli effetti attesi riferiti a un quadro di bisogni e di strategie.

Sarebbero stati tuttavia auspicabili, davanti a questa crisi, meno solennità e linguaggi più sobri al cospetto dell'ansia e del dolore crescente della nostra gente davanti al futuro che su di lei incombe. L'imbarazzo è perché per voi il tempo si è fermato, forse al 2004; in nessuna parte delle sue dichiarazioni vi è il riconoscimento che un Governo, comunque, in questi anni c'è stato. E pensare che non è stato neppure un Governo ordinario e privo di realizzazioni concrete. Il bagaglio di una stagione straordinaria di rinnovamento legislativo e di profonda revisione del modello regionale realizzato sappiamo non vi è gradito. Dovrete comunque fare i conti con questa realtà, sia che scegliate di liberarvene sia che, con un barlume di saggezza, vogliate proporre, rispetto ad essi, dei passi in avanti.

Abbiamo già avvertito nel vostro programma un'idea di autonomia diversa, forse diametralmente opposta alla nostra. Quella che anziché poggiare la sua azione sulle solide fondamenta di un rapporto pattizio con lo Stato, preferisce la metodica dell'ammiccamento, della promessa, ma anche, un po' troppo, dell'asservimento. Per esercitare i doveri e difendere i diritti dell'autonomia sarda ci vuole la libertà di essere sardi, e non basta essere parte di un popolo delle libertà. Se rimarrà questa distinzione, di costituente in questa legislatura ci sarà, alla fine, solo l'esercizio retorico.

Ci sono, poi, azioni che per far sopravvivere la nostra specialità non possono essere barattate sul tavolo delle nostre insipienti conflittualità e nemmeno sulla supponenza di chi pensa di possedere virtù messianiche. Basterà pensare al tema delle entrate: si dà grande enfasi a un emendamento che si impegna a fare, rispetto all'insularità, una ricognizione dei bisogni infrastrutturali e si nasconde, non si cita uno degli atti più importanti degli anni passati, e cioè la riforma dell'articolo 8 del nostro Statuto, che ha un valore perché rappresenta una cifra più che mai importante per il futuro della Sardegna in questo momento di crisi.

Parlate delle servitù militari, ma l'iniziale approccio del Governo regionale ci pare assai preoccupante. Vi potremmo dare un consiglio: sappiate che la nuova stagione del nucleare, che si sta avviando in Italia contro la volontà popolare degli italiani, avrà nelle servitù militari e nel segreto di Stato le ragioni ovvie per superare gli impatti di un dissenso popolare territoriale, normali in questi casi. In Sardegna avere e mantenere le più elevate percentuali di servitù militari d'Italia sottende, vi piaccia o no, un sicuro destino della nostra regione nella futura logistica nucleare. Pensateci oggi e presto, e quando vi verrà spontaneo sottomettervi al volere del "Principe", ricordate nelle vostre decisioni che potete mettere in gioco un futuro non proprio rassicurante per i sardi.

Parlate di metodo partecipativo e di dialogo con i comuni, ma non vi è paassato neppure per la mente di prendere atto e semmai rilanciare la più importante riforma degli ultimi anni a favore dei comuni, il Fondo unico, la riforma che ha applicato in Sardegna per la prima volta nella storia dell'autonomia e forse ha anticipato le stesse politiche nazionali, il principio di sussidiarietà vera e il federalismo interno, in coerenza col nuovo Titolo V della Costituzione, e con risorse in più. Volete disconoscere anche questo? Pensate davvero di tornare indietro rispetto alla riforma delle unioni dei comuni e delle comunità montane? Voi, che vi siete sgolati nel recente passato sostenendo l'abolizione delle province? Cosa farete? Avete davvero in mente una Sardegna metropolicentrica, come avete detto?

Onorevole Presidente, su un punto siamo pronti a sfidarvi: nel fare meglio di noi. Noi abbiamo dimostrato, nella passata legislatura, che fra il programma elettorale, gli impegni assunti davanti agli elettori e ciò che si può realizzare e costruire ci può essere una puntuale e fedele corrispondenza. Non usare le parole per ingannare e le promesse per accattivare è stato per noi l'esercizio di quella lealtà e di quella indispensabile fedeltà alla volontà popolare che legittima il ruolo stesso di chi governa.

E' vero, voi siete un Governo che si è presentato già dal primo giorno confessando di non avere una grande idea per la Sardegna, ma dovrete dare conto ai sardi perlomeno delle promesse che avete fatto, a cominciare da quella che è ancora sospesa sul cavo telefonico che comunica con la casa del Presidente russo. Voi dite: "Valorizzeremo le nostre idee migliori". Le nostre di chi? Quelle degli amici o le proposte di quelli, e purtroppo sono tanti, che pensano ancora che sia possibile vivere parassitariamente sulle risorse dei cittadini? Non lo spiegate. Ma vale anche qui un'utile precauzione. Potrete e dovrete scegliere, al bivio delle vostre dubbie autonomie, se governare o assecondare le volontà degli interessi che da sempre ruotano intorno ai poteri pubblici. Non può esistere confusione né alternativa: governare significa progetto, regole e imparzialità; assecondare significa, invece, convenienza, ingiustizia, nessun orizzonte strategico. Fra queste due vie sarete chiamati a dare risposte, così come noi abbiamo voluto fare su importanti temi come il territorio e l'ambiente.

In ambito di tutela del territorio e dell'ambiente dite che volete proteggere e conservare, ma anche gestire e offrire; volete difendere il territorio, ma anche usarlo per un protagonismo nuovo dei comuni e di chi per loro; volete rispettare l'ambiente e il paesaggio, ma anche accettare, senza neppure un confronto di merito, i decreti che il vostro leader manda in onda ogni giorno senza valutarne minimamente le conseguenze reali; volete rispettare il codice Urbani, fatto dai vostri Governi, ma anche vincolare di meno, il meno possibile, e affidare a una deregulation in capo ai comuni il rispetto di ogni valore di cui parlate. Ma non era già così prima che il vostro buon Urbani producesse l'ottimo testo del codice dei beni paesaggistici e culturali? La coesistenza fra l'uomo e la natura, di cui parlate, come si realizza? La natura non ha molti strumenti per difendersi dall'egoismo e dalla stupidità dell'uomo, e dunque forse sono gli stessi uomini che per garantire questo equilibrio devono darsi regole e non affidamenti, approssimazioni, egoismi. La sciagura dell'ottobre del 2008 in quel di Capoterra disegna uno dei tanti esempi di come la natura si difende dall'uomo; difesa che non sarebbe stata necessaria se le regole e i vincoli avessero superato gli egoismi e le speculazioni.

Sui vincoli, poi, la propaganda e le bugie, oltre al tempo, che farà giustizia della verità, valgono per noi i dati proposti da organismi indipendenti che vi contraddicono. Noi abbiamo bloccato l'economia, presidente Cappellacci? Dal 2003 al 2007, i dati che ci vengono trasferiti dal sistema delle casse edili in Sardegna ci dicono che le ore versate, cioè gli oneri pagati, passano da 34 milioni a 44 milioni, più 17,5 per cento. Nello stesso periodo il numero degli addetti assicurati passa da 35 mila a 45 mila, più 18,3 per cento. Sarà tutta emersione dal nero?

In questo stesso periodo la Regione ha immesso nel circuito economico più di 500 milioni di euro per ristrutturazioni, recupero, acquisto, nuova edilizia residenziale, qualità urbanistica e architettonica. Forse la verità è proprio un risultato combinato fra regole di emersione dal nero e politiche strutturali e di investimento. Altro che decreto casa! Il nostro patrimonio di doppie case situate sulla fascia costiera è abbastanza ingente. Se consideriamo che ciascuna di quelle abitazioni possa mediamente avere 300 metri cubi, il 20 per cento in più di tutto questo patrimonio ci fa attendere un incremento volumetrico pari a 12,6 milioni di metri cubi. L'edificato in fascia costiera nelle zone F ammonta, già oggi, complessivamente a 20 milioni di metri cubi, ci dovremo dunque attendere un incremento del 60 per cento rispetto a quanto è stato già fatto.

Bene, onorevole Presidente, quando dovrà decidere su questi temi si ricordi di aver affermato che la Sardegna ha nel proprio territorio la sua più grande ricchezza che va protetta e conservata. Si ricordi anche che tutta questa ricchezza non può essere usata alla stessa stregua dei prodotti finanziari e sperando solo in un loro profitto economico. Si tratta di beni universali, costituzionalmente indisponibili e come tali sottratti alle logiche economiche. Sappiamo, invece, che la crisi e la mancanza di politiche pluriennali sulla casa rendono urgenti consistenti investimenti per soddisfare le decine di migliaia di sardi, anziani, giovani coppie, disoccupati, precari e quant'altri che, oggi più di ieri, chiedono il diritto a un'abitazione a canone agevolato sociale per far fronte a una sorta di diritto a una vita ordinaria.

Abbiamo, negli scorsi anni, avviato importanti e consistenti interventi in questa direzione e mentre aspettiamo, senza pregiudizi, che il Governo definisca una proposta su cui discutere senza dover cambiare idea il giorno dopo, potremo riflettere se non sia più opportuno, in Sardegna, saldare la possibilità di applicare incrementi volumetrici in deroga, anziché in maniera generalizzata, principalmente con la programmazione di piani attuativi di edilizia residenziale e pubblica in grado di offrire casa, lavoro, occupazione e rilancio dell'edilizia, a beneficio di migliaia e migliaia di sardi. Così come sarebbe più opportuno, invece che parlare a vanvera di piani strategici e infrastrutturali da fare, trovare strumenti urgenti per spendere e cantierare in tempi accettabili e con le necessarie semplificazioni amministrative i 4,2 miliardi di euro di opere pubbliche già programmate, finanziate e cantierabili oggi, adesso, nella nostra regione.

Ci sono tanti modi per iniziare, onorevole Presidente, ma il peggiore sarebbe certamente quello di presentarsi come quella parte politica che non vuole avere memoria, perché elide, resetta consapevolmente il passato. Una politica senza memoria non ha futuro, così come non sopravvive a lungo una politica che dà risposte a domande inesistenti invece che a quelle vere. Dipende da voi se vorrete mettere il conflitto, la distinzione, l'egoismo, la discontinuità storica dei governi a risposta e a distintivo della vostra esperienza. Noi siamo qui per difendere un'idea che abbiamo costruito nel tempo e che in qualche misura voleva e vuole conseguire cambiamenti e riforme non sempre di immediata comprensione e di scontato consenso, ma a volte si attuano cambiamenti veri se si accetta di seminare senza pretendere di raccogliere i frutti il giorno dopo, benché siamo coscienti di vivere in un tempo che ha smarrito la dimensione storica della vita e della società.

In questo avvio di secolo, la maggior parte dei conflitti sociali e politici vede sostanzialmente due protagonisti: da un lato la libertà di agire, ovvero di muoversi, pensare, costruire, vendere, scegliere e comprare, e dall'altro lato la libertà dai bisogni, ovvero dai vincoli economici, fisici e culturali, che impediscono ai singoli progetti di vita di svolgersi, rendendoli subordinati e dipendenti da scelte altrui. Alcuni grandi conflitti del '900 tra Stato e mercato, tra collettivo e individuale, tra locale e globale, tra giustizia sociale e liberismo, ruotano attorno allo scontro fra il primato tra queste due forme di libertà. E qui sta il discrimine fra due concezioni di società che si confrontano al nostro tempo. In questo dualismo, tanto più la società è divisa fra ricchi e poveri, fra chi ha più opportunità e chi non ne ha per nulla, tanto più impera, solo per qualcuno, la libertà di agire. Siamo qui, oggi, anche per definire la nostra diversa visione di società, quella di chi ha perso il confronto elettorale, ma non ha smarrito il dovere di parlare e di disegnare la società sarda che vogliamo, quella che ci sembra più giusta e che realizza la libertà integrale di tutti i sardi.

La politica non è pagata, onorevole Presidente, per raccontare ai cittadini gli ostacoli che incontra o i sogni che immagina davanti a sé, giorno dopo giorno, ma è pagata e scelta per risolverli e superarli. In questo senso noi ci sentiamo sfidati a dimostrare la nostra diversità rispetto a voi, accettando il rischio, così come abbiamo fatto, di un costo anche rilevante, se ciò serve a fare ciò che è utile alla nostra terra e alla nostra gente.

Non saremo silenti, cari colleghi, né neutrali rispetto ai temi dell'equità e della giustizia sociale. Ci sono problemi assolutamente ineludibili nell'agenda dei riformisti democratici: da un'economia equilibrata e produttiva, all'energia, all'ambiente, al clima e a una convivenza multietnica e pacifica. Se il come fare non appare a tutti compiutamente definito, la necessità di fare scelte e di combattere per le nostre idee sarà il segno distintivo della nostra esperienza in questa legislatura. Gli schieramenti oggi prevalenti in Italia e anche in Sardegna coltivano entrambi la cosiddetta vocazione maggioritaria, purtroppo dentro la contraddizione dettata da una cultura ancora prevalentemente consociativa, che impera e che s'insinua frenando il processo costitutivo stesso di quei partiti. Le contraddizioni, tuttavia, si superano attraverso scelte limpide e attraverso la costruzione di affidabilità pubbliche, non basate sulle convenienze, né singole né di gruppo. Ciascuno di noi difenderà la propria storia politica, personale e collettiva che sia, soltanto con la forza dei propri valori, con i sentimenti che faremo sopravvivere sopra i nostri stessi egoismi e con il rigore che impone la passione civile per il nostro popolo.

E' stato invocato assai spesso in quest'Aula, in questi giorni, l'aiuto di Dio. Una straordinaria lezione di laicità dell'azione degli uomini ci dice che Dio si è fatto uomo ed è venuto in mezzo agli uomini per agire attraverso gli stessi uomini. La sua sola invocazione, dunque, non basta, perché non ci libererà dalla responsabilità del fare, dalla capacità di vedere le cose grandi nella vita ordinaria degli ultimi e di tutti coloro ai quali le nostre parole, così come le sue ottimistiche aspirazioni programmatiche, onorevole Presidente, non bastano per cambiare l'attuale prospettiva delle proprie esistenze.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.

STERI (U.D.C.). Signor Presidente, signori consiglieri, signor Presidente della Regione, non signor "Principe", noi non riconosciamo né prìncipi né altro. Noi riconosciamo dei principi che abbiamo portato avanti in campagna elettorale, ai quali saremo coerenti, perché è una questione morale rimanere coerenti ai principi che sono stati espressi. Lasciamo stare ad altri prìncipi e cose simili. Quindi niente prìncipi.

Mi sembra che qua sia opportuno chiarire alcuni punti, alcuni passaggi. Si parla di stagione costituente, si parla di autonomismo, si parla di specialità. Ecco, mi sembra che tutti questi problemi debbano essere inquadrati storicamente, a partire dal 1847, per vedere come si è arrivati alla Sardegna come Regione speciale, per vedere dove vogliamo andare. Partiamo dal 1847, quando il Re, a seguito della richiesta dei tre Stamenti, fece sparire il Regno di Sardegna, il quale si fuse col Regno Piemontese. Ci sono gli studi di Melis che dimostrano che dietro quella richiesta c'era un'esigenza prettamente economica. La Sardegna voleva cioè superare il suo stato di arretratezza, voleva ottenere qualcosa dal Regno piemontese per superare la sua situazione di difficoltà, ma non l'ottenne. Ciò nonostante ottenne una sorta di integrazione politica, ma nessuna integrazione economica. E da parte dello Stato piemontese continuò lo sfruttamento della Sardegna; sfruttamento che aumentò le grosse difficoltà in cui già si trovava.

Arriviamo al 1947, dopo la prima guerra mondiale, grazie soprattutto al Partito Sardo d'Azione, il P.S.d'A., allora così chiamato, si pose il problema dell'autonomia, il problema di una iniziale richiesta di riconoscimento della specialità della Regione sarda. In quel momento i movimenti separatisti erano estremamente isolati, estremamente minoritari. Nel 1947, la Consulta regionale, composta prima da diciotto persone, poi da ventiquattro, per adeguarla all'esito delle elezioni del 1948, iniziò a elaborare lo Statuto per la Regione Sardegna (c'era allora anche l'Alto Commissario). Mi sia consentito dire, ma non sono io a dirlo, lo dicono gli storici, che in quel momento la Consulta non aveva ben chiari gli aspetti relativi alla specialità, all'autonomia; non aveva ben chiari gli aspetti del regionalismo e del federalismo. Ci fu un progetto predisposto dal Partito Sardo d'Azione, precisamente da Gonario Pinna, che puntava molto sul federalismo, ma quel progetto fu, poi, abbandonato. Si andò sulla specialità. Cosa vuol dire specialità? Siamo in presenza di uno Stato in cui l'unità è fondata dal centro verso la periferia; uno Stato verso cui la Regione sarda si vuole porre come interlocutore privilegiato, e a questo scopo chiede e ottiene la specialità, ma in quel momento è una specialità impostata soprattutto su aspetti economici. Aspetti di rivendica economica che sono stati chiariti non solo dall'articolo 8 (entrate trasferite dallo Stato), ma anche dall'articolo 13 (Piano di rinascita), per cui lo Stato trasferisce tutta una serie di risorse per consentire alla Sardegna di superare il suo stato di arretratezza. Ma, ripeto, era uno Statuto in cui non erano chiari questi aspetti; uno Statuto che nasceva in un momento in cui si guardava agli aspetti economici, in cui l'aspetto prevalente era quello dell'agricoltura. Ci troviamo oggi di fronte a norme datate storicamente e in parte inattuate; pensiamo agli articoli 10 e 11 e all'articolo 12 sulle zone franche. Di recente c'è stato un barlume di sviluppo, ma lo Statuto è rimasto sostanzialmente inattuato.

Allora, siccome si parla di stagione costituente, dobbiamo chiederci: questa stagione costituente, questa specialità come dobbiamo intenderla? Ebbene, in modo completamente diverso da come è stata intesa fino a oggi, perché questo concetto di Stato unitario, di unità soprattutto amministrativa, che dal centro va verso la periferia oggi è completamente superato. Non esiste più uno Stato centralista, esiste uno Stato reticolare, in cui ci sono tanti centri di potere sia amministrativo sia politico dai quali si dipana la volontà popolare. Dunque, tra tutti questi centri non c'è più una relazione gerarchica; sono centri che contribuiscono tutti, contestualmente e contemporaneamente, a creare l'unità dello Stato. Il che vuol dire che è venuta meno la specialità, così com'è intesa storicamente.

Del resto questa specialità è venuta meno anche nel 2001. Con l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sostanzialmente tutte le Regioni hanno una via maestra per diventare speciali. Quindi, oggi, si pone il problema di farci trasferire dallo Stato maggiori poteri. Ritengo che sia indifferente parlare di Stato federale o di Stato regionale, per il semplicissimo fatto che oramai i contorni, nei casi limite, di questi due concetti sono completamente sfumati. Basta richiamare le Costituzioni della Spagna e del Belgio, in cui si parla di Stato federale e, contestualmente, di Stati regionali. Ciò che conta è la sostanza dei poteri che vengono trasferiti. Il che comporta, a livello istituzionale, una forte volontà costituente per riscrivere un nuovo Statuto - chiamiamolo Stato federale, Stato confederale - che consenta effettivamente al popolo sardo di esprimersi liberamente e di esprimere il suo indirizzo politico nel senso in cui ne parla Mortati. Quindi, su un primo piano, bisogna muoversi per riscrivere integralmente lo Statuto.

In attesa della riscrittura dello Statuto, ovviamente, dobbiamo utilizzare gli strumenti di cui oggi siamo in possesso. Un primo strumento è sicuramente quello di chiedere l'applicazione anche alle Regioni speciali dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; un secondo strumento, che è stato utilizzato pochissimo in questi anni, è quello delle norme di attuazione. Le norme di attuazione erano, nelle intenzioni del Costituente, uno strumento snello, posto a disposizione della Regione sarda dallo Stato per convenire delle norme particolari di attuazione.

Presidenza del Vicepresidente Cucca

(Segue STERI.) Ebbene questo strumento, forse per la composizione delle commissioni, ha avuto una scarsa fortuna, è stato utilizzato scarsamente. Noi dobbiamo, in questa fase, in attesa di riscrivere lo Statuto, rivitalizzare enormemente questo strumento. Attenzione, parlare di Stato reticolare o di Stato federale non significa che noi dobbiamo cessare la politica contestativa nei confronti dello Stato. E' vero che c'è un'unità, o una quasi unità, perché la maggioranza che c'è in Regione non è differente da quella che c'è a Roma, ma il fatto che il Governo di Roma sia "amico" non significa che noi dobbiamo passivamente accettare tutto quello che dice, anzi nei confronti del Governo di Roma dobbiamo attuare una politica contestativa forte.

Si è parlato della riforma delle entrate. Non voglio ripescare la polemica della scorsa legislatura sul fatto che questa riforma sia stata corretta o sbagliata, per sottolineare la diversità delle posizioni di centrodestra e di centrosinistra. Io dico che, in ogni caso, quel che si è ottenuto è poco. Bisogna comunque contestare, rivendicare dallo Stato ulteriori trasferimenti di risorse, ulteriori modifiche dell'articolo 8 dello Statuto a vantaggio della Regione sarda. E non voglio entrare, ripeto, nel merito del fatto che quella riforma sia stata corretta o meno, perché ritengo che un risultato sotto questo aspetto lo si possa ottenere solo se c'è unità tra maggioranza e opposizione. Quindi è necessaria una fortissima politica di impostazione autonomistica e federalistica.

Veniamo nel concreto. Nel concreto c'è tutta una serie di capitoli di cui si è parlato oggi in quest'Aula, ci sarebbero cento problemi di cui parlare, voglio fare solo dei flash. Si è parlato di paesaggio, di Piano paesaggistico, ebbene, è evidente che il PPR non può essere assolutamente annullato, non può essere modificato con norme di legge, è un provvedimento amministrativo. Sia ben chiaro, quando nella scorsa legislatura è stata approvata la legge numero 13, è stata approvata una legge, a mio avviso, incostituzionale che ha compromesso gravemente la tutela del paesaggio. Quindi responsabilità ce ne sono anche da parte del centrosinistra che ha approvato questa legge, a mio avviso, assolutamente inaccettabile. Il Piano paesaggistico oggi è vigente, ma può essere rivisto. In che senso? Può essere rivisto perché con il Decreto Urbani oggi tutto il territorio deve essere disciplinato; non esiste che ci sia una fascia di territorio non disciplinata. Disciplinare il territorio non vuol dire vincolarlo tutto, è questa la differenza di concetto. Però, in questa fase, noi ci possiamo muovere sul piano amministrativo e non legislativo; sul piano amministrativo, perché il Piano paesaggistico vigente, nella parte che riguarda gli ambiti territoriali, deve essere completato. E su questo ricordo che il presidente Soru già due anni, due anni e mezzo fa, ha sottoscritto con il ministro Rutelli un protocollo d'intesa che prevede il completamento, d'intesa con lo Stato, del Piano paesaggistico. Non so perché questo non sia stato fatto, ma sicuramente in fase di verifica e di attuazione si può intervenire per eliminare certe discrasie, certi elementi che possono creare difficoltà. Bisognerà poi - e qua può essere ammissibile un intervento legislativo - procedere con urgenza e con immediatezza alla redazione della seconda fase del Piano paesaggistico, per disciplinare, come è obbligatorio in base al Codice Urbani e alla Convenzione europea del paesaggio, la parte del territorio che oggi non è disciplinata. Qui si può intervenire legislativamente, prevedendo i procedimenti e prevedendo per legge le modalità con cui si interviene. In questa fase non si può intervenire legislativamente sul Piano paesaggistico esistente, perché è un provvedimento amministrativo e non lo si tocca con la norma di legge, che si muove su un piano completamente differente. Su questo io ritengo che anche in questa fase debba esserci un forte consenso da parte di maggioranza e opposizione, perché l'esigenza di tutela dell'ambiente è sentita da tutti.

Si parla di sanità, anche l'onorevole Lai richiamava il Piano sanitario. Mi spiace ricordare che la parte essenziale del Piano sanitario è stata annullata dal TAR. La rete ospedaliera non esiste, il che comporta enormi difficoltà, basti considerare che, per esempio, l'ospedale di San Gavino oggi non può essere legittimamente messo a gara. Quindi, sotto questo aspetto, è necessario un intervento immediato per provvedere ad adeguare, in tempi rapidissimi, il Piano sanitario ai rilievi del TAR. Su questo noto, anche tenendo conto dell'esperienza sanitaria della legislatura che si è chiusa nel 2004 e che deve essere continuata su quella linea, che c'era una grossissima differenza fra l'impostazione del centrodestra e quella del centrosinistra. L'impostazione del centrodestra era un'impostazione sussidiaria, in quanto prevedeva che molte competenze dovessero essere delegate alle Aziende sanitarie locali. L'impostazione del centrosinistra è stata accentratrice, ha cioè accentrato tutto sull'Assessorato della sanità. Faccio solo un esempio: la rete ospedaliera disciplinava analiticamente, in questa sede, i posti letto; c'era una disciplina analitica minuziosa nella proposta della scorsa legislatura. Questa disciplina era rinviata alle Aziende sanitarie locali, erano stati stabiliti solo i criteri e i principi in base ai quali bisognava provvedere alla riorganizzazione, era poi rimessa alle Aziende sanitarie la concreta attuazione. Questa è sussidiarietà, questo è riconoscimento di autonomia, questo vuol dire che se il direttore generale domani sbaglia lo caccio. Come possa cacciarlo se sbaglia eseguendo i miei ordini questo è difficilmente ipotizzabile.

Si è parlato di agricoltura, si è fatto riferimento al Piano di riordino fondiario, alla legge di riforma fondiaria, una legge attuativa dell'articolo 42 della Costituzione, in assolvimento della funzione sociale della proprietà privata. E' stata approvata nella scorsa legislatura una legge che disciplina il riordino fondiario e che prevede un piano regionale sulla cui base devono essere previste tutte le priorità. Fare questo piano è essenziale, perché solo con questo piano può essere oggi superata la frammentazione della proprietà terriera. Però è stato giustamente detto che è pronto il Piano di riforma fondiaria di Pauli Arbarei. Onestamente questa pratica, che ho seguito per motivi professionali, può essere oggi approvata, il che sarebbe un grossissimo segno della volontà di andare nella direzione giusta, tra l'altro un segno di continuità con la passata legislatura e la dimostrazione che tutto quello che nella passata legislatura è stato fatto e che è condivisibile deve essere accettato e portato avanti.

Ma, al di là dello spirito polemico, ritengo che quelli che ci devono disciplinare, che ci devono regolare siano i principi, le idee che abbiamo esposto agli elettori, in tutti i confronti che ci sono stati. Il Gruppo dell'U.D.C., a cui sono iscritto, e io, come rappresentante del listino, abbiamo chiaramente espresso tutti questi principi, e in tanto in quanto essi saranno rispettati, signor Presidente, lei avrà il nostro appoggio più leale e più forte. Noi riteniamo che ci sia una situazione di crisi e che ci si debba muovere in primo luogo per cercare di risolvere i problemi istituzionali. E questi problemi istituzionali devono essere risolti insieme dalla maggioranza e dalla opposizione. E' sbagliato che sia solo una parte a dettare le regole. E' stato uno sbaglio approvare la riforma della Costituzione, che Berlusconi ha voluto fare a colpi di maggioranza, così come è stato uno sbaglio approvare, sempre a colpi di maggioranza, la riforma che nel 2001 ha voluto il centrosinistra. Allo stesso modo, stando all'esempio regionale, si è sbagliato vent'anni fa quando, a pochi giorni dalle elezioni, è stata modificata la legge elettorale che poneva limiti di ingresso alle liste. Sono comportamenti sbagliati, non accettabili. Le regole si scrivono insieme e si scrivono nella prima parte della legislatura, onde evitare che si possa, poi, pensare che vanno scritte diversamente. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.

ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Saludu su Governu de sa Sardigna e totu su Populu Sardu.

Onorevole Presidente, ho ascoltato giorni fa con molta attenzione e, non le nascondo, con tanta preoccupazione le sue dichiarazioni programmatiche. Devo essere sincera, l'unica cosa che mi ha colpito e che ho apprezzato è l'emozione nel corso del suo intervento. Sul piano del metodo ci preoccupano, invece, la disinvoltura e la spregiudicatezza politica nell'affrontare e dare risposte ai "nodi storici irrisolti" della cosiddetta autonomia e alle emergenze attuali della società sarda nell'era della globalizzazione mondiale. Globalizzazione che noi riteniamo un "nuovo processo di colonizzazione" per il popolo sardo.

L'identità: l'identità è l'unica "diga" a questo processo di distruzione delle culture politiche, sociali ed economiche minoritarie. La storia del nostro popolo, della nostra "nazione ancora oggi mancata", pur con le sue contraddizioni, è un esempio di una resistenza antica a questi fenomeni di assoggettamento.

Presidente, quando lei sostiene: "Ci troviamo in una fase di transizione, con un sistema bipolare che pone oggi le basi per evolvere verso un effettivo bipartitismo"…

Presidente, si sente un brusio che mi infastidisce.

PRESIDENTE. Colleghi, facciamo un po' di silenzio.

ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Le ripongo la domanda. Quando lei sostiene che ci troviamo in una fase di transizione, con un sistema bipolare che pone le basi per evolvere verso un effettivo bipartitismo, come pensa di coniugare questo concetto di annientamento di tutte le diversità politiche all'esterno del bipartitismo con le sue dichiarazioni sull'identità? Le sue affermazioni sono pericolosamente generiche, vuote e purtroppo contraddittorie. Di fatto lei intende distruggere le diversità, incominciando da quelle politiche. Il bipartitismo è teso a cancellare ogni forma di differenza, come se la diversità non fosse una garanzia per la democrazia e una ricchezza per la politica, l'economia e la cultura. La nostra diversità sarda è da preservare e da sviluppare per non essere omologati.

I suoi concetti di "modernizzazione della politica, della società, della cultura e dell'economia sarda…" ci ricordano tristemente quella "modernizzazione industriale" a noi imposta dalla "civilisation italiana" e da noi subita sin dagli anni '60. Si tratta di fiumi di soldi chiamati piani di rinascita, destinati allo sviluppo e benessere della nostra gente, ma che non sono mai stati goduti e gestiti dai sardi. La nostra storia dice che essi hanno fatto la ricchezza di alcuni potentati locali, de is meris istrangius, della petrolchimica, lasciando a tutt'oggi miseria, disastri ambientali, malattie, disoccupazione e distruzione delle economie locali. Tutto questo è avvenuto con gravi e innegabili responsabilità della classe politica sarda. Presidente, a noi queste sue "modernizzazioni" non piacciono, siamo contrari e non possiamo che preoccuparci.

La promessa del rispetto della minoranza, su cui si è molto insistito qui in Aula, è un dovere di ogni democrazia… Scusate, però così non si può andare avanti. Presidente, faccia il suo dovere, per cortesia.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, cerchiamo di fare un po' di silenzio, perché il brusio di sottofondo evidentemente dà fastidio a chi parla.

Prego, onorevole Zuncheddu.

ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). La promessa del rispetto della minoranza e quindi della opposizione in Regione, non può essere una sua "gentile concessione", ovvero una "concessione del Principe", com'è stato detto in precedenza, ma è una prerogativa della democrazia sancita dalla Costituzione e dallo Statuto. Il concetto di rispetto delle minoranze è un dovere di ogni democrazia parlamentare, oltre che fondamento di essa stessa. Questo avviene anche nelle democrazie anglosassoni. Il concetto da lei espresso, anticipato anche dalla Presidente, l'onorevole Claudia Lombardo - alla quale fra l'altro vorrei rinnovare i miei migliori auguri, ma non è in aula -, è più consono a una certa cultura politica: la "cultura del Principe", propria delle democrazie autoritarie. Nella storia questa prassi è stata il preludio di sistemi autoritari e fascisti, che hanno privato la gente della libertà culturale, politica ed economica, negando ai popoli le loro diversità e peculiarità.

Sul concetto di democrazia partecipativa non coincidono i nostri concetti: prevede un ribaltamento dei ruoli di potere di decisione, cioè la restituzione della politica alla società, per cui ogni decisione deve provenire dal basso, deve essere discussa e condivisa. Il metodo partecipato, da lei esposto nelle sue dichiarazioni, come capacità di ascolto, eccetera, è più simile proprio a operazioni di marketing politico. Lo stesso metodo usato per il lancio di un prodotto di consumo, di cui non si conosce neppure la bontà e la qualità.

Problema sanità, tocco i punti che mi hanno particolarmente colpito. Rispetto alla sanità, Presidente, non è chiaro il concetto secondo cui il suo intento è quello di "coniugare aspetti di carattere sanitario con quelli di carattere finanziario". Proprio non è chiaro e io non lo capisco. Intende per caso privilegiare la sanità privata rispetto a quella pubblica? L'assistenza sanitaria è un diritto inalienabile di ogni cittadino, per cui, come diritto e bene comune, deve essere principalmente pubblica per permettere a tutti i ceti sociali di poterne usufruire nell'aspetto sia qualitativo che quantitativo. Quindi non può che essere prevalentemente pubblica. Privilegiando il servizio privato, il diritto alla salute sarà inevitabilmente di "categoria Z" per le fasce più fragili e di "categoria A" chiaramente per chi potrà pagarsi le assicurazioni. Questo modello di sanità, tipicamente americano, oggi è messo in discussione dalla stessa America di Obama, e questo è sotto gli occhi di tutti.

Sul Piano integrato di sviluppo, il rilancio delle vocazioni produttive tradizionali, quindi agricoltura e produzioni agropastorali, e le politiche di sostegno al primario lei sostiene che: "…però non potrà pretendere di ottenere più di ciò che il mercato consente…". Intende dire, per caso, che i soggetti che partecipano alla produzione devono essere condizionati o assoggettati alle esigenze di un mercato mondiale globale? Un mercato a noi estraneo, che decide cosa dobbiamo produrre, cosa dobbiamo mangiare, chi dobbiamo essere e che ha come unico obiettivo il proprio profitto. Presidente, lei intende adeguarsi alle esigenze di un mercato globale che interpreta l'uomo come consumatore e a sua volta prodotto di consumo?

Sulla pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica prevede un'ampia restituzione dei poteri agli enti locali, come se fino a oggi ne fossero stati privati ed esclusi. Le sue affermazioni hanno come conseguenza una mancanza di programmazione diversificata e condivisa, quindi uno "spezzatino" del territorio e dell'urbanistica, dove gli egoismi locali daranno origine a un Far West del territorio. Ci riferiamo chiaramente a un saccheggio senza regole, in cui le leggi del profitto legate al mattone imporranno ai sardi di dimenticare la possibilità di uno sviluppo ecocompatibile tanto ambito e di una reale difesa e preservazione dell'ambiente come parte integrante del nostro patrimonio identitario e, come tale, un bene insostituibile della nostra diversità. Il metodo urbanistico da lei proposto lo conosciamo già e ha una risposta. La risposta è il dramma dell'alluvione di Capoterra, dell'hinterland cagliaritano, che ormai si ripete stagionalmente, e ad esempio anche la stessa situazione di Olbia, una città costruita senza regole sui letti dei fiumi e sugli stagni. Ma prima o poi bisogna fare i conti con la natura violentata, è solo questione di tempo. La natura si riprende sempre i suoi spazi e spesso a costo di vite umane innocenti, come è già avvenuto.

Mi sorprende che il Presidente dei sardi non faccia riferimento alla grave crisi finanziaria mondiale, che ancora non si è abbattuta con tutta la sua ferocia, facendo regredire e mortificando ancora di più la nostra economia. Mi sorprende che questa classe politica… Presidente, non sarà al telefono con Putin! Posso?

Mi sorprende, dicevo, che questa classe politica non sia così matura da dare indicazioni concrete ai sardi su come organizzarsi per fronteggiare questa crisi. Il potenziamento delle economie tradizionali, caro Presidente, può essere una risposta che noi le suggeriamo.

La riforma Gelmini - per passare agli aspetti della cultura -, con l'eliminazione del diritto allo studio e lo smantellamento della scuola pubblica, sta dando già i suoi frutti avvelenati: circa duemila insegnanti in Sardegna stanno per perdere il proprio lavoro, creando apprensione e disagio alle famiglie e impoverendo ancora di più il territorio già provato. Logica conseguenza sarà un ritorno all'analfabetismo, alla privazione degli strumenti culturali necessari per l'emancipazione del nostro popolo e per la costruzione di una società migliore. Presidente, cosa intende fare in concreto per far sì che ciò non avvenga? Io le chiederei un impegno solenne in questa sede, in difesa del diritto allo studio dei sardi e in difesa dei posti di lavoro. Le chiediamo in quest'Aula un impegno reale e non formale, se può.

Non è più tempo né di barzellette, né di inefficaci sorrisi, né di impegni elettorali mai rispettati, né di bugie mediatiche che, con l'aiuto della stampa compiacente, hanno concorso alla vittoria del centrodestra e all'inganno dei sardi. Ma anche la pazienza dei lavoratori del Sulcis e del petrolchimico di Porto Torres non è illimitata.

Sulla chiusura del suo discorso, "che Dio ci aiuti" - anzi mi sembra che sia un'espressione ricorrente in quest'Aula -, Presidente, le ricordo che le istituzioni sono laiche, che dobbiamo essere rispettosi del ruoli e della separazione dei poteri tra Stato e Chiesa, tra Stato e religioni. Rispetto laicamente ogni sentimento religioso, e quindi anche il suo, ma, Presidente, lasciamo questo inquietante mélange di potere politico e religioso a George Bush che, fra un'invocazione e l'altra, ha incendiato il mondo con le sue guerre.

Sulla sua affermazione riguardante l'imprescindibilità delle scelte del Governo della Sardegna dal Governo italiano ci sarebbe da aprire un lungo capitolo. Intanto vogliamo dirle ca sa Sardigna tenidi abbisongiu de unu Presidenti senz'e meris, cun sa conca in Sardigna e chi traballidi cun is sardus po is sardus. Il nostro sviluppo economico non può essere né disegnato né determinato fuori della nostra terra, e tanto meno altri possono imporci delle compatibilità che invece si chiamano, con la lingua degli italiani dominante, priorità, asservimento, dominio e servitù coloniale. Il diritto del popolo sardo alla propria autodeterminazione, alla difesa e affermazione della sua identità di nazione, alla sovranità, all'indipendenza, a una vita ricca e felice, non può essere "concessione del Principe di turno", ma sarà il frutto della nostra consapevolezza.

I Rosso Mori sono gli eredi del miglior sardismo di Lussu, di Simon Mossa, dei fratelli Melis: fillus de is sardus liberus chi no anti mai tentu cadena.

Onorevole Presidente, io le auguro bona sorti. Grazie.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la consigliera Alessandra Zedda. Ne ha facoltà.

ZEDDA ALESSANDRA (P.d.L.). Signor Presidente, voglio rivolgere un saluto al presidente Cappellacci, ai signori Assessori, a tutti i colleghi.

Plaudo con estremo piacere e con onore all'elezione della nostra Claudia Lombardo, la prima elezione di una donna in Sardegna che è stata veramente, però, il frutto di tanti anni di lavoro e di impegno politico e istituzionale. E' una scelta di grande democrazia e un riconoscimento di meriti.

Il lavoro che ci aspetta per ridare fiducia e slancio alla Sardegna richiede ottimismo, spirito di missione, serietà e competenza. Caro presidente Cappellacci, con la dedizione e l'impegno di sempre continuerò a dare il mio contributo al progetto comune di governo e di guida della nostra Sardegna. Mi piace il suo pensiero di riportare la politica più vicina alla gente; una politica che sia in grado di esprimere competenza e che pensi in primo luogo a intervenire per risolvere le emergenze, le difficoltà di tutti i giorni, aiutando chi ha più bisogno. Nel contempo, però, è necessario attivare e avviare un grande piano strutturale di rilancio dell'intero sistema regionale.

Noi abbiamo l'opportunità di uscire dal grigiore, di respirare aria nuova e fresca, di ritrovare l'unità e la forza che noi sardi abbiamo nel DNA. Soprattutto, insieme abbiamo l'opportunità di far cambiare il destino della Sardegna con una nuova società, capace di mettere al servizio della politica impegno e coinvolgimento. La Sardegna è una terra che merita molto di più, facciamo uno sforzo comune per partecipare insieme al cambiamento.

Le istituzioni devono funzionare senza vanità, senza burocrazia inutile, ma con grande senso di dovere e di responsabilità. E' fondamentale l'attenzione e la cura dei problemi per realizzare da subito il bene della nostra Isola. Una cosa è sicura, e lei se n'è già reso conto, sia in campagna elettorale che adesso: la Sardegna non ha più tempo da perdere e non può aspettare.

Presidente, sono certa che lei, la Giunta e noi, che insieme vogliamo il bene della Sardegna, ci assumeremo ciascuno le proprie responsabilità, con un metodo e una cultura che metta il rispetto al posto della faziosità, il confronto vivace al posto della guerriglia paralizzante, la parte migliore della politica capace di cambiare le cose e di migliorarle al posto della demagogia, delle chiacchiere, dell'insipienza e dell'inadempienza. Il progetto complessivo del centrodestra che lei ha riportato nel suo programma è un impegno politico serio, che non promette miracoli, ma che intende realizzare piccole e grandi cose.

C'è ragione di essere seriamente preoccupati per l'occupazione, per le condizioni di chi lavora e di chi cerca lavoro, per le famiglie più bisognose, per i giovani e anche i meno giovani, per le donne che lamentano la precarietà del lavoro, le difficoltà di reinserimento di chi ha perso il lavoro, specie se ha superato i quarant'anni. Penso alle famiglie, in particolare a quelle monoreddito, che non hanno i mezzi per soddisfare i bisogni fondamentali.

La mia sensibilità, la mia provenienza e l'attuale crisi mi portano a interessarmi con maggiore attenzione agli interventi in tema di occupazione e di sviluppo, che lei ha ben citato nel suo programma. Credo che sia arrivato il momento di valorizzare ciò che le nostre madri e i nostri padri hanno prodotto dal dopoguerra a oggi. E' doveroso, come lei sostiene, investire sulle attività produttive, quali agricoltura, allevamento, pesca e artigianato. Le stesse non possono essere distinte dal progetto di sviluppo turistico che la nostra Sardegna deve portare avanti. Investire, quindi, in quei settori che devono essere quelli trainanti dell'economia e del sociale.

Il problema principale dei nostri tempi è ricominciare a crescere, ma la crescita non è solo un parametro economico, è un metro di misura del progresso civile di un popolo. Crescere non significa soltanto produrre ricchezza, ma anche riuscire a ridistribuirla al meglio, attraverso quel circolo virtuoso di responsabilità e di libertà che un mercato solo ben regolato può garantire.

Lo sforzo che in questo momento va compiuto per sostenere le imprese, grandi, medie e piccole, che sono in difficoltà, pur essendosi mostrate capaci di ristrutturarsi e di competere, non può essere separato dall'impegno di chi promuove indirizzi nuovi per lo sviluppo futuro dell'attività produttiva in Sardegna, quindi, le opportunità offerte dalla tecnologia più avanzata per l'energia e per l'ambiente. Facciamo della crisi l'occasione per rinnovare la nostra economia e, insieme con essa, anche stili di vita diffusi poco sensibili ai valori di sobrietà e lungimiranza, per assicurarci un futuro di crescita e di prosperità.

Crescita significa anche rilanciare la nostra Sardegna e i suoi talenti - a questo vorrei si prestasse veramente attenzione -, formare nuove generazioni di lavoratori altamente qualificati; significa dare una spinta vitale alla ricerca, all'istruzione; significa ricominciare a padroneggiare il proprio destino senza lasciare indietro nessuno, quel diritto universale all'educazione, all'istruzione e alla formazione, secondo i parametri europei che sono poi gli obiettivi di Lisbona.

La Sardegna non può prescindere dal guardare oltre i suoi confini per studiare e apprendere come le democrazie più avanzate siano riuscite a mantenere nel tempo elevati standard di efficienza nel campo del lavoro, nelle conoscenze e soprattutto nella formazione e nel funzionamento delle istituzioni sociali. I nostri studenti devono essere messi nelle migliori condizioni per apprendere il meglio; non devono più emigrare dall'Isola, ma devono andare all'estero ad acquisire conoscenze importanti da riutilizzare e capitalizzare al fine di promuovere un nuovo processo di sviluppo in Sardegna, basato sulla conoscenza e sulla cultura. Il nostro dovere, il dovere dell'Istituzione regionale, è quello di sostenere i nostri studenti. Condivido la necessità di creare un legame di fiducia tra Università e imprese, agevolare la formazione al fine di ottenere nuovi posti di lavoro. Se lo hanno fatto gli altri Paesi lo possiamo fare anche noi, non ci sono più scuse per rimandare o aspettare.

Per crescere dobbiamo affrontare una situazione difficile dei mercati finanziari. Mi piace l'idea ed è giusto chiedere agli istituti di credito presenti in Sardegna uno sforzo comune, uno sforzo aperto alla giovane impresa, alle giovani famiglie, al popolo dei consumatori e dei risparmiatori.

Nella mia esperienza di vita pubblica e politica ho sempre avuto fortissimo il senso della squadra, delle relazioni personali all'insegna della solidarietà, della compattezza e del rispetto, che deve essere il vero giacimento culturale dell'identità dei sardi. Provengo dal mondo dello sport, un settore con regole rigide di formazione alla vita che mi è sempre piaciuto rispettare; regole e sacrifici per una sana competizione, per arrivare ai risultati più belli, più vincenti, più appaganti. Un mondo, però, spesso dimenticato dalle istituzioni; invece ritengo che sia il principale motore di prevenzione delle devianze del mondo giovanile.

Al centro del nostro programma c'è il primato della persona e la promozione del capitale umano quale fattore primario della crescita e dello sviluppo della Sardegna. In questo contesto mi piace pensare a tutti i dipendenti pubblici, in particolare a quelli degli enti locali della Regione, che in questi anni sono stati mortificati. Sarebbe importante restituire la dovuta dignità sia ai dipendenti regionali che aspettano il rinnovo contrattuale sia ai dipendenti degli enti locali che da anni propongono la giusta equiparazione dei loro contratti. Ritroviamo l'orgoglio, l'amore e la fiducia nelle vere ricchezze naturali della nostra terra. L'impegno del rispetto del coinvolgimento di tutte le forze in campo, in particolare quelle degli enti locali e degli altri attori del sistema Sardegna, la proposta di un metodo partecipativo mi fa enormemente piacere e mi dà fiducia, Presidente. E' la giusta strada per le scelte concertate e condivise ed è sicuramente un metodo che segna la discontinuità e il cambiamento che i sardi hanno fortemente voluto. Sono convinta che la nostra Isola deve ripartire, come lei ha ben detto, dal sistema delle infrastrutture, portuali e aeroportuali in particolare, ma non dimenticheremo le principali strade di collegamento interno.

Un pensiero alle risorse idriche: sono fondamentali e la massima attenzione va, quindi, indirizzata agli enti che hanno determinato la riforma del sistema di gestione dell'acqua; riforma che non è affatto compiuta, che registra gravissime lacune a danno della popolazione. In questo senso, spero che il commissariamento dell'Autorità d'ambito, avvenuto con tempestività, ma con scarso coinvolgimento dei principali protagonisti, che sono gli enti locali, già posti, giustamente, da lei, Presidente, con apprezzabile discontinuità, al centro del governo regionale come attori protagonisti, però spero che rimanga solo un episodio.

Condivido la visione strategica degli interventi e delle azioni che passano per gli alti obiettivi di confronto sui temi e sulle soluzioni per la ricerca comune del miglior risultato per la nostra Sardegna. Mi piace pensare alla sinergia che lei, Presidente, quotidianamente cerca con il Governo nazionale. Vada avanti, perché è una ricchezza e non una dipendenza sulla quale qualcuno, poco avveduto, maligna.

Il suo programma, che poi è il nostro, ha caratteri e contenuti concreti. Il ruolo del Consiglio sarà fondamentale per la riscrittura del nostro Statuto di autonomia e speriamo che la XIV legislatura sia quella della Costituente. I principi dell'insularità e del federalismo fiscale rappresentano certamente per la nostra Isola una svolta storica e ci permetteranno di affrontare, con ulteriori strumenti, la profonda crisi che stiamo vivendo e che purtroppo vivremo anche nel prossimo futuro e di valorizzare il nostro entroterra, che offre ancora ambienti incontaminati, che offre ancora produzioni delle migliori tradizioni, con luoghi ideali per il turismo alternativo a quello delle coste. Su entrambi passa comunque il rilancio della nostra economia.

Mi coinvolgono maggiormente le azioni sul rilancio delle città. So che lei, Presidente, rivolgerà un serio impegno, insieme a tutti noi, per la città di Cagliari, affinché possa sempre più essere la capitale della Sardegna e dell'intero Mediterraneo e possa confrontarsi e affermarsi per qualità della vita nel panorama mondiale.

Voglio dire fin da ora un grazie sincero di cuore per la grande disponibilità dei dipendenti del Consiglio e di quelli degli Assessorati regionali, che saranno il nostro sostegno per l'affermazione e la realizzazione delle buone proposte.

Presidente, sono certa, insieme a lei e alla sua gente la Giunta ce la faremo.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Manca. Ne ha facoltà.

MANCA (P.D.). Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, colleghi consiglieri e signori Assessori, in apertura di intervento vorrei porgere al presidente Cucca e ai colleghi consiglieri…

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Manca, c'è un brusio di sottofondo che impedisce di seguire gli interventi e soprattutto disturba gli oratori. Se riusciamo a fare un po' di silenzio è meglio.

MANCA (P.D.). Grazie, Presidente. In apertura di intervento vorrei porgere al presidente Cucca, ai colleghi consiglieri, alla Giunta, al Presidente della Regione, onorevole Cappellacci, un sincero augurio di buon lavoro, un lavoro proficuo e serio che abbia solo un unico obiettivo: migliorare la vita e l'esistenza dei nostri cittadini.

Faccio questo richiamo con semplicità e serietà, ma con decisione, convinto che il nostro livello di azione politica, sia essa di opposizione, sia essa di maggioranza, potrà essere tanto più grande di quanto nell'interesse dei nostri cittadini riusciremo a mettere da parte la faziosità e le conflittualità sterili e inutili, che spesso limitano le nostre scelte e influenzano negativamente la nostra vita politica. Tutto questo è pur sempre nel rispetto dei ruoli che i cittadini sardi ci hanno assegnato, nel rispetto del duro risultato elettorale che si è avuto, ma nell'assoluta consapevolezza che la grave crisi economica, occupazionale e sociale che stiamo attraversando meritano uno sforzo straordinario da parte di tutte le persone presenti in quest'Aula e fuori di quest'Aula. Mi riferisco in particolare ai sindacati, alle associazioni di categoria, al sistema imprenditoriale, alle forze sociali. Con essi anche noi intendiamo e dobbiamo, a mio parere, dialogare da subito per dare corpo a un lavoro proficuo. Come dicevo prima, sempre nel rispetto del ruolo assegnatoci dopo queste elezioni.

Ho letto con attenzione le dichiarazioni programmatiche che il presidente Cappellacci ha presentato in quest'Aula, in particolare il documento allegato, che non è stato letto, ma che avrebbe dovuto contare le indicazioni più puntuali del suo programma di governo; un documento fatto di molti principi di regole generali, alcune sicuramente condivisibili; un documento che evidenza delle priorità, ma sicuramente ne dimentica tante e non parla, a mio parere, in maniera esaustiva di molti temi e di molti problemi che attanagliano la nostra Isola e per i quali sarebbe stato interessante capire le proposte di questa maggioranza. Manca nel documento, infatti, un'analisi di base per comprendere quali siano le priorità da privilegiare nei primi passi del Governo in questa legislatura. Si dice che si lavorerà in due fasi: emergenza e programmazione di medio periodo, tuttavia non sempre sono chiare le scelte. I dati in nostro possesso dicono chiaramente che l'emergenza attuale è concentrata sul settore industriale; non solo quello dell'industria storica, sviluppatasi negli anni '60, ma anche nel settore delle costruzioni. I dati dell'ISTAT sono a questo proposito preoccupanti: in termini di occupazione, dopo quattro anni di crescita incontestabile, gli ultimi due trimestri rilevati segnano una perdita di 31 mila posti di lavoro nel settore industriale. Il peso degli occupati nell'industria rispetto a quello degli altri settori è calato dal 24 al 20 per cento. In tutto questo c'è un anticipo dei problemi che ci troveremo ad affrontare nei prossimi mesi, ma di fronte a queste problematiche sarebbe sciocco giocare a palleggiare le responsabilità e bisognerà tornare a un'analisi seria della programmazione condivisa, perché i sardi possano ritrovare uno spiraglio di luce.

Il Presidente della Regione, nel suo documento, ponendo a base dei prossimi passi il lavoro compiuto negli anni scorsi dalla precedente maggioranza regionale con la progettazione integrata e con la programmazione strategica, fa una scelta di metodo e di contenuto. Apprezziamo questa sua scelta che guarda a quanto fatto, controlleremo la coerenza degli atti conseguenti e contribuiremo a svilupparla dal nostro punto di vista.

In questa scelta vorremmo vedere anche la condivisione di un'analisi che è stata parte del programma di governo della scorsa legislatura. E cioè la difesa dell'industria esistente deve essere parte di una strategia che indirizza il nostro settore manifatturiero verso un nuovo modello più competitivo, innovativo e creatore di vero valore aggiunto. La spinta nel settore edile non si può più basare sull'aggressione del territorio e sul consumo indiscriminato, ma sul sostegno a una crescita qualitativa dell'edilizia, mirata principalmente alle nuove tecnologie di risparmio energetico e alla ristrutturazione del vasto patrimonio edilizio esistente. Così come ci aspettiamo un forte intervento nel campo dell'edilizia sociale e convenzionata.

Questo è scritto nel documento di programmazione che il Presidente ha citato nelle sue linee programmatiche e questo ci aspettiamo da parte sua, così come aspettiamo consequenzialità nel campo degli interventi per la conoscenza, l'istruzione e la formazione. Nel frattempo, tuttavia, occorre lavorare anche sulla difesa e sul sostegno dell'esistente, riprendendo immediatamente i temi del costo dell'energia, dei costi esterni a carico del settore e di un sistema di ammortizzatori sociali che si leghi e completi quello nazionale.

Signor Presidente, la sua promessa elettorale, da questo punto di vista, sarà subito verificabile. Non bisogna inventare niente di nuovo. Due esempi: è stato approvato nella scorsa legislatura un provvedimento (articolo 43 della legge numero 20 del 2005) che prevede il sostegno con contratto di inserimento e la riconversione dei lavoratori vittime di processi di crisi. Questo strumento deve essere rafforzato e adeguatamente finanziato. E' necessario intervenire anche con un assegno di disoccupazione, destinato alle fasce deboli della popolazione, da collegare con azioni di inserimento nel mercato del lavoro. Il Partito Democratico si è fatto promotore di una tale iniziativa a livello nazionale; la Regione sarda deve sostenere questi processi nell'ambito delle sue competenze.

Un altro intervento urgente per affrontare la crisi è quello della ricontrattazione del patto di stabilità, che strozza le amministrazioni locali e anche quella regionale e impedisce un forte flusso di spesa pubblica. Da questo punto di vista, le promesse mancate del Governo nazionale, riscontrabili anche nel settore industriale, dovranno trovare, a nostro parere, risposte serie e interventi adeguati da parte di questa Giunta, che a oggi pare accettare troppo silenziosamente le scelte o non scelte del Governo nazionale. Immagino e auspico, comunque, che affronteremo questi problemi nello specifico, passo per passo, entrando nel vivo del lavoro a partire dalla finanziaria, che ci accingiamo a discutere in quest'Aula e che sarà, a mio parere, il primo vero test per capire in maniera chiara la volontà della maggioranza sui temi più scottanti che riguardano la nostra Isola. Il mio sarà un impegno serio e costruttivo, attento e vigile, ma anche determinato e duro, affinché non si disperdano, ma si possano eventualmente migliorare e perfezionare le cose positive che finora sono state fatte. Grazie.

PRESIDENTE. Con l'intervento dell'onorevole Manca si concludono i lavori per stasera. Il Consiglio è riconvocato per martedì, 31 marzo, alle ore 10.

La seduta è tolta alle ore 19 e 22.


[s1]minuscolo

[s2]neologismo

[s3]non corsivo