Seduta n.145 del 29/09/2010
CXLV Seduta
Mercoledì 29 settembre 2010
(POMERIDIANA)
Presidenza del Vicepresidente CUCCA
Indi
Della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 16 e 35.
SANJUST, Segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 22 settembre 2010 (138), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Francesca Barracciu, Paolo Luigi Dessì e Matteo Sanna hanno chiesto congedo per la seduta pomeridiana del 29 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare il consigliere Amadu. Ne ha facoltà.
AMADU (P.d.L.). Presidente, chiedo una sospensione di dieci o venti minuti, valuti lei.
PRESIDENTE. Onorevole Amadu, poiché mi è stato comunicato che anche il Gruppo dei Riformatori, avendo in corso una riunione, ha chiesto di differire i lavori, possibilmente di mezz'ora, sospendo la seduta sino alle ore 17 e 10.
(La seduta, sospesa alle ore 16 e 37, viene ripresa alle ore 17 e 12.)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione della risoluzione numero 3 abbinata alla mozione numero 79.
Ricordo che la durata massima degli interventi è di dieci minuti e che i consiglieri che intendono prendere la parola devono iscriversi non oltre la conclusione del primo intervento.
E' iscritto a parlare il consigliere Mario Floris. Ne ha facoltà.
FLORIS MARIO (Gruppo Misto). Signor Presidente, signori consiglieri, oggi diamo inizio ai primi ragionamenti sul federalismo fiscale. E' un fatto importante che registriamo positivamente, anche se come sistema Sardegna siamo in grave ritardo rispetto agli appuntamenti fissati dal decreto legislativo numero 42 del 2009, sia sotto il profilo dell'elaborazione sia per quanto riguarda i rapporti con lo Stato.
Mentre avviamo questo dibattito e questo confronto premono alcuni aspetti del problema complessivo. Il decreto attuativo in materia di federalismo fiscale e municipale è stato licenziato dal Consiglio dei Ministri il 30 giugno scorso e attualmente è all'esame della Commissione bilaterale. Il Governo ha impresso un'accelerazione al lavoro sugli altri due decreti che costituiscono il nucleo della riforma federalista (fiscalità regionale e costi standard della sanità, dell'assistenza e dell'istruzione). L'obiettivo del Governo è quello di concludere l'iter di approvazione di questi provvedimenti entro il 31 dicembre prossimo, ma dobbiamo ricordare - l'abbiamo fatto in occasione della discussione sullo Statuto e sul federalismo fiscale - che la delega prevista dalla legge scade nel maggio del 2011, cioè fra sette mesi.
Abbiamo voluto mettere l'accento su questi aspetti e su queste scadenze per dare maggiore forza all'impegno al quale siamo tutti chiamati, maggioranza e minoranza, ma ricordo che il tema del federalismo fiscale e quello delle risorse, al pari del tema delle riforme, costituiscono, come abbiamo detto tutti, inscindibili pilastri per la crescita e il rafforzamento della nostra autonomia. La risoluzione della terza Commissione, approvata il 23 febbraio scorso, sul percorso attuativo del federalismo fiscale, sollecita questo nostro impegno e la partecipazione dell'intero Consiglio a questo processo. Dobbiamo trovare, però, un percorso condiviso, possibilmente unitario, nel solco del percorso che, speriamo positivamente, stiamo facendo nei confronti delle riforme. Sono due percorsi, due processi che devono camminare parallelamente - possibilmente intercambiandosi, anche in contrasto con le regole geometriche - e devono vedere impegnati in una sana competizione politica, culturale, giuridica e amministrativa non soltanto questo Consiglio ma, come diciamo sempre, l'intero popolo sardo. Dobbiamo però fare in fretta e non attardarci inutilmente in questioni di appartenenza politica, in contrapposizioni ideologiche o in rivendicazioni utopistiche.
Nella risoluzione si fa cenno alla tempestiva e lungimirante scelta fatta dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, che il 30 novembre del 2009, appena sei mesi dopo la promulgazione della legge delega numero 42, hanno sottoscritto un accordo con il Governo attraverso il quale sono passate dal vecchio al nuovo regime finanziario e amministrativo, che ha garantito a quella Regione e a quelle Province autonome processi finanziari particolarmente vantaggiosi. Credo sia stato non un assalto alla diligenza, ma un atto tempestivo e intelligente. "Se avessimo aspettato passivamente anche solo gli impianti finanziari delle altre Regioni a statuto speciale ben difficilmente le nostre istanze" - ha detto il Presidente della Provincia autonoma di Trento - "avrebbero potuto trovare accoglimento, in particolare a livello politico". I fatti gli hanno dato ragione.
Il contesto politico, è bene ricordarlo, era lo stesso di oggi; quel contesto politico al quale anche noi dobbiamo fare riferimento per chiedere con forza parità di diritti a fronte della parità di doveri ai quali lo Stato chiama i cittadini sardi e la Sardegna intera. Ma è bene ricordare, in questa sede e in questo momento, i nostri doveri mancati e i nostri ritardi cronici nell'affrontare tempestivamente i processi di riforma delle istituzioni regionali e locali, quindi nell'assumere le necessarie decisioni. L'abbiamo puntualmente denunciato, unitamente ai colleghi del Gruppo Misto, con la mozione numero 20, che collegava e poneva sullo stesso piano, quello delle urgenze indifferibili, Statuto di autonomia e federalismo fiscale. Il nostro sistema Sardegna poneva questi temi, fissava questi obiettivi e scandiva anche i tempi delle urgenze sotto il profilo politico-istituzionale e dei rapporti Stato-Regione.
In particolare si richiamava l'articolo 27 della legge numero 42, e in maniera specifica il comma 7, che istituisce un tavolo di confronto Governo-Regione con il compito di individuare linee guida, indirizzi e strumenti per conseguire gli obiettivi propri del federalismo fiscale, di perequazione, di solidarietà, di congruità delle ulteriori attribuzioni finanziarie intervenute successivamente all'entrata in vigore dello Statuto. Tale tavolo doveva essere attivato entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge delega numero 42. Per giungere preparati a quel tavolo sostenevamo, con la mozione di allora, come fosse indispensabile coinvolgere insieme al Consiglio regionale tutte le rappresentanze politiche e l'intera società sarda.
La risoluzione della Commissione del 23 febbraio 2009 è preceduta e accompagnata da un eccellente lavoro istruttorio fatto sulla finanza regionale alla luce della riforma del Titolo III dello Statuto, della legge sul federalismo fiscale e del Patto di stabilità interna, le cui conclusioni sono state consegnate nel novembre del 2009. L'assetto finanziario della Regione, il Patto di stabilità e i limiti stringenti che esso pone alla spesa pubblica complessiva della Regione e degli enti locali, una riforma del Titolo III non esaustiva di tutti i diritti fiscali e tributari e delle risorse dovute alla Sardegna a Statuto vigente, le cui norme di attuazione vanno integralmente definite, approvando quelle mancanti e adeguando congruamente quelle pregresse e datate, i vincoli che pone il federalismo fiscale, non solo gli ipotetici vantaggi che potrebbero derivare dalla sua attuazione, sono questi i temi sui quali dovrà concentrarsi la nostra analisi e la nostra proposta politica, attraverso l'immediata attivazione di un processo di programmazione operativo e di progettazione organizzativa. Occorre passare dalla presa d'atto all'azione, occorre cioè attivare il processo di programmazione e di organizzazione dell'impegno per evitare di subire passivamente, come facciamo sempre, le decisioni statali, e al contrario contribuire a un'attuazione che tenga conto delle giuste esigenze della Sardegna.
Potrei in questa sede attardarmi su tutto il problema relativo al federalismo fiscale come modello politico e come modello economico, sia per quanto riguarda le positività, che sono certamente poche, sia per quanto riguarda le disfunzioni, che sono tante e sono state richiamate, e in particolare mi ha colpito l'intervento del presidente Soru. Questo federalismo fiscale è un atto di prevaricazione che impone un federalismo fiscale senza federalismo; è un atto di punizione nei confronti di un Meridione sciupone, imbelle, sprecone. Vogliono scaricare funzioni da parte dello Stato senza dare le risorse. Siamo alle soglie di un nuovo regime fiscale che non baderà più a quello che è il reddito, ma baderà al consumo, quindi siamo in un meccanismo dal quale in qualche maniera dobbiamo uscire.
La discussione sulle distorsioni dell'attuale politica del Paese nel suo complesso e delle Regioni nelle loro singole specificità sarebbe una discussione che, ancorché utile, sul piano culturale e sul piano particolare ci porterebbe lontano dalle nostre istanze e dai nostri obiettivi, che devono camminare invece - lo ribadisco - sul piano della realtà e della concretezza, ma anche sul piano della consapevolezza, di una determinazione ferma e rigorosa nelle proposte, abbandonando la strada degli obiettivi proclamati per puntare decisamente sugli obiettivi effettivi, vale a dire il riconoscimento pieno delle nostre specificità, insulare e autonomistica, la conseguente attribuzione di tutte le risorse alla Sardegna spettanti in funzione del suo Statuto di autonomia, modificato e rafforzato, e il superamento del deficit infrastrutturale che lo Stato ha l'obbligo di supportare in forza della Costituzione e del patto naturale che fa dell'Italia un unicum territoriale e culturale che deve essere un unicum economico e sociale per potersi chiamare nazione civile e progredita.
E' evidente che la Sardegna deve puntare in alto e che nel confronto con lo Stato ci deve essere il massimo delle forze in campo a livello nazionale e locale; non ci possono essere distrazioni o divisioni. Al tavolo di concertazione e di contrattazione con lo Stato dobbiamo portare proposte e ragionamenti convincenti.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Steri. Ne ha facoltà.
STERI (U.D.C.). Signor Presidente, colleghi, quello del federalismo fiscale è un argomento strettamente connesso con la riforma dello Statuto e con tutte le altre riforme. Noi avevamo segnalato che sarebbe stato più opportuno fare questa discussione dopo aver fatto le scelte sullo Statuto, perché le scelte sul federalismo implicano che si decida prima cosa fare sullo Statuto. In Conferenza dei Capigruppo questa nostra decisione non è stata accolta, ma abbiamo forti dubbi che si possa giungere, al termine di questa seduta, a delle conclusioni utili e produttive se non si chiude il discorso sullo Statuto.
In effetti, sia detto incidentalmente, proprio il discorso sul federalismo fiscale evidenzia la necessità assoluta di un nuovo Statuto, comunque sia. Pensate che per quanto riguarda la disciplina contabile, per sapere quali norme dobbiamo oggi applicare non possiamo andare a leggere lo Statuto, ma dobbiamo andare dal giudice, perché laddove l'articolo 10 della legge costituzionale numero 3 del 2001 dice che si applicano le norme più favorevoli, io mi chiedo: quali norme applico in Sardegna? Noi abbiamo competenza primaria ed esclusiva in materia di contabilità, però con tutta una serie di limiti che la legislazione esclusiva incontrava prima della riforma dell'articolo 117 e che oggi non incontra più; limiti che non incontrano le Regioni a statuto ordinario, le quali però hanno un potere maggiore, quindi hanno un vantaggio maggiore in senso verticale, ma un vantaggio minore in senso orizzontale, perché la loro competenza incrocia una serie di competenze concorrenti dello Stato. Quale disciplina applico dunque? Posso procedere in via interpretativa, se sorge una contestazione vado dal giudice. Oggi noi non abbiamo uno Statuto scritto, ecco uno dei tanti motivi per cui serve un nuovo Statuto.
Detto questo incidentalmente, il discorso deve cominciare dall'articolo 119 della Costituzione. Troppo lungo esporre un'interpretazione sull'articolo 119, diciamo che questo articolo contiene una norma sicuramente insoddisfacente e molto ambigua. Si parla di bisogni, ma in che senso? Il termine bisogno, come tutti sappiamo, nel senso comune ha un significato, ma se guardiamo alle discipline economiche ha un significato differente. Non solo, il suo significato è differente anche a seconda della singola disciplina. Ecco quindi un'ambiguità di fondo che ancora una volta rimette alla Corte costituzionale l'interpretazione effettiva di questa norma. Ma la norma è insoddisfacente anche per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale, perché non c'è nessuna previsione su come devono essere finanziate le ulteriori competenze esclusive che dovessero essere attribuite alle Regioni. Quindi è una disciplina che dovrà essere esaminata volta per volta e caso per caso.
Diciamo anche che questa riforma in senso cosiddetto federalista - anche se federalista in effetti non è per come la si sta attuando - nasceva dall'esigenza di superare il fenomeno della separazione della responsabilità tra la spesa e il finanziamento. Si dice: "Le Regioni non hanno una responsabilità, diamo loro una responsabilità". Se però andiamo a vedere, negli anni '90 la spesa fatta dalle Regioni era pari al 30 per cento, mentre la stessa incideva sulle entrate per l'8 per cento, ma questo fenomeno è mutato radicalmente nel corso degli anni, tant'è che nel 2000 siamo al 20 per cento delle entrate, nel 2002 addirittura al 21-22 per cento. Cioè abbiamo una separazione della responsabilità che è identica per quanto riguarda la Germania, il Belgio, la Spagna e addirittura superiore per quanto riguarda la Francia e il Regno Unito. Quindi, effettivamente, questa esigenza che è stata messa a fondo di questa norma non sussisteva e bisognava semmai cercare ulteriori forme per superare i problemi che erano stati evidenziati.
In ogni caso, in attuazione dell'articolo 119 è stata emanata la legge numero 42, che ora si sta attuando. Questa legge - come ha ben evidenziato il collega Maninchedda - pone il problema della distribuzione delle risorse finanziarie, di cui parleremo successivamente. La legge numero 42 non ci riguarda integralmente, perché in base all'articolo 1, ultimo comma, alle Regioni a statuto speciale si applicano solo l'articolo 15, che riguarda le città metropolitane, e gli articoli 22 e 27. L'articolo 22 è inattuato, perché se fosse stato attuato si sarebbe dovuto finanziare tutto il sistema stradale della Sardegna, non soltanto la Sassari-Olbia! Ecco una grave responsabilità dello Stato italiano, che ancora una volta ha calpestato le esigenze della Sardegna. Purtroppo siamo alle solite, non è cambiato assolutamente nulla!
L'articolo 27 tratta del sistema di adeguamento delle Regioni a statuto speciale e prevede, tra l'altro, che una commissione particolare elabori nuove norme di attuazione. Sappiamo a che punto è la definizione delle norme di attuazione: la Giunta sta ora trattando le norme di attuazione per l'applicazione dell'articolo 8, però nel testo che è stato pubblicato sul sito della Regione di questo problema non se ne parla, eppure è un problema importantissimo, perché con nuove norme di attuazione potremmo risolvere il problema del Patto di stabilità, ma finché non saranno approvate continuerà a essere applicato alla nostra Regione il regime ordinario. Ossia, o raggiungiamo un accordo con lo Stato entro marzo oppure facciamo riferimento al regime nazionale, quindi a una disciplina totalmente insoddisfacente, sicuramente non dettata a favore delle Regioni meridionali. Se andiamo avanti possiamo dire sostanzialmente come si sta attuando la legge numero 42, che determina quella fiscalità di vantaggio che ci ha descritto il collega Maninchedda, ma che, attenzione, è una cosa completamente diversa dalle zone franche. Le zone franche sono solo un'esenzione temporanea doganale, quindi non possiamo fare confusione e parlare di zone franche, perché corriamo il rischio di introdurre elementi di disturbo nel ragionamento.
Il tempo sta per finire quindi devo accelerare. Poiché i decreti attuativi determinano una disparità tra i cittadini per quanto riguarda la loro contribuzione finanziaria, è evidente che costituiscono una palese violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, e forse anche dell'articolo 53. Non solo, cito le sentenze della Corte di giustizia europea sulle Azzorre e sulla Spagna. In questo caso siamo in presenza di una misura selettiva, il che vuol dire che si tratta di un aiuto di Stato e che quelle norme anche se emanate non possono essere applicate, ma devono essere invece disapplicate.
Cosa può fare il Consiglio regionale? Sicuramente può rivolgere un invito ufficiale al Presidente della Repubblica a non emanare quelle norme perché in palese violazione dei principi di solidarietà e di uguaglianza. Il Consiglio regionale può anche rivolgere un invito alla Corte di giustizia perché apra un procedimento contro l'Italia per aver emanato quelle norme. Grazie.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Porcu. Ne ha facoltà.
PORCU (P.D.). Signor Presidente, colleghi, credo che l'argomento che affrontiamo oggi sia estremamente rilevante e che sia un peccato affrontarlo dopo giornate di intenso lavoro, a causa delle quali il nostro livello di attenzione potrebbe abbassarsi.
Il collega Steri ha sottolineato come il tema della riforma dello Statuto sia profondamente collegato con quello del federalismo fiscale e quindi se non stabiliamo qual è il percorso che intendiamo tracciare, quali sono i contenuti che vogliamo dare allo Statuto, oggi potremmo trovarci in una posizione di incertezza, di debolezza rispetto al percorso sul federalismo fiscale, che, com'è stato ricordato dai colleghi, non aspetta le nostre incertezze, le nostre indecisioni. E' un percorso che si deve compiere. La legge delega numero 42 dice in modo chiaro che anche la nostra Regione, entro la prossima primavera, si troverà ad affrontare le norme di attuazione del federalismo fiscale per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale.
Detto questo, credo che noi abbiamo la responsabilità di affrontare anche temi che sono cogenti e quindi di trovare in questo Consiglio i modi, le forme per rendere più forte la posizione della Regione nei confronti del Governo, dando mandato pieno alla Giunta per provare a percorrere la strada prevista dal federalismo fiscale. Ricordo prima di tutto che il relatore ha illustrato una risoluzione che ha avuto consenso unanime in Commissione, il che vuol dire che ci sono temi, come appunto quello in discussione, sulla cui urgenza e importanza tutte le forze politiche concordano. Credo che questo sia un segnale anche per la discussione sulle riforme. Il relatore, nonché Presidente della terza Commissione, l'onorevole Maninchedda, ha detto che quella del federalismo è una coperta corta: tutte le Regioni si aspettano di avere magicamente più competenze e più risorse, ma non si sa bene come si debba tendere questa coperta, non si sa bene chi rinuncerà a qualcosa perché tutti si aspettano di avere qualcosa di più o perlomeno le stesse cose che hanno avuto in passato.
E' vero che i principi di efficienza, trasparenza e maggiore vicinanza ai cittadini, evocati dalla legge numero 42, non possono essere sufficienti di per sé a garantire una maggiore disponibilità di risorse, ed è ancor più vero che la nostra Regione arriva in qualche modo in ritardo. Gli stessi componenti della Commissione bilancio, di cui faccio parte, hanno chiesto i dati sul gettito (ricordo che anche sulla vertenza entrate la quantificazione esatta dei tributi riscossi dallo Stato non ci è chiara) ma fanno fatica a fare una previsione, alla fine del 2010, dei tributi riscossi dalla Regione. Per cui stiamo a discutere se quel famoso delta di compartecipazione sia di 1 miliardo, 1 miliardo e 200 milioni o 1 miliardo e 500 milioni di euro, anche tenendo conto dei 900 milioni o 1 miliardo che la nostra Regione riscuote comunque.
E allora che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo già deporre le armi? Dobbiamo mettere le mani avanti e dire che respingiamo a tutto campo questa legge, perché subodoriamo quello che probabilmente è il rischio di una fregatura, di un pericolo? Certamente c'è una situazione di pericolo, sancita dal fatto che dei trenta componenti la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale neanche uno è sardo. Credo che i chiari di luna, come dire, si vedano già all'inizio della notte. Nonostante questo è nostro dovere, nostra responsabilità sfidare sino in fondo il Governo a rispettare i principi perequativi stabiliti dalla legge numero 42 sul federalismo; principi che non fanno altro che richiamare l'articolo 119 della Costituzione, che dice che tutte le Regioni sono uguali nella possibilità di reclamare i propri diritti indipendentemente dalla loro capacità impositiva e stabilisce in modo chiaro che ci deve essere solidarietà tra Regioni con maggiore capacità impositiva e Regioni con capacità impositiva minore. In modo altrettanto chiaro dice anche che deve essere previsto un fondo di perequazione che punti a colmare quei divari, quelle differenze.
Io credo che la strada da seguire possa essere solo questa: sfidare il Governo, sfidare lo Stato a rispettare il dettato costituzionale e quanto previsto dall'articolo 27 della legge numero 42, che indica le strade attraverso le quali la nostra Regione può non solo mantenere le competenze attuali, a parità di risorse, ma anche aspirare ad ottenerne delle altre. E le strade sono due: quella del riconoscimento di una perequazione strutturale permanente, che deriva dall'insularità ma anche dalle condizioni geomorfologiche della nostra isola, dalla bassa densità di abitanti, dal profilo accidentato del suo territorio, e quella volta a colmare (come previsto dall'articolo 13 del nostro Statuto sul cosiddetto piano di rinascita) i divari che in qualche modo diventano divari di sviluppo e possono costituire per i cittadini sardi una discriminazione rispetto alla possibilità di esercitare pienamente i loro diritti sociali, al lavoro, alla mobilità, all'accesso alle grandi reti energetiche o informatiche.
Allora, credo che abbiamo la responsabilità non di rinunciare alla rivendicazione di ciò che deve e può essere nostro, che è contemplato dalla Costituzione e dalla stessa legge delega sul federalismo, ma di rivendicarlo con forza sfidando lo Stato a rispettare il dettato costituzionale. Sono anche d'accordo sul fatto che nel frattempo non dobbiamo certo rinunciare, per quanto riguarda le imposte esistenti, a chiarire il nostro diritto al gettito di tutte le imposte prodotte sul nostro territorio, comprese le accise sui derivati degli idrocarburi, perché d'altronde lo spirito dalla modifica dell'articolo 8 dello Statuto va in quella direzione, si parla cioè di consumi, di redditi prodotti e non di tasse riscosse.
E' certamente una grande battaglia che possiamo fare insieme, ma io non punterei solo su questo aspetto, anche perché non vorrei mai che il destino, il futuro della nostra Regione dovesse dipendere da un'unica raffineria petrolifera, che oggi c'è e domani potrebbe non esserci più. Non appenderei il mio destino, il mio futuro a 4 o 5 miliardi che derivano da una realtà che da un giorno all'altro, indipendentemente dalla nostra volontà, potrebbe migrare verso altri lidi, magari verso l'altra sponda del Mediterraneo, per il semplice motivo che il costo del lavoro o il costo dell'impatto ambientale non viene, come dire, pagato pienamente. Credo che oltre a chiedere tutto quello che ci spetta da subito, dobbiamo far sì che i principi di perequazione e di solidarietà siano comunque garantiti, sulla semplice base di quella che è la capacità impositiva della nostra Regione.
Chiudo dicendo che se questo non dovesse avvenire, se fosse lo Stato a rompere il patto costituzionale, credo che anche i sentimenti indipendentisti o "nuovo-statisti", cioè di rivendicazione di uno Stato nuovo e diverso, potrebbero trovare in quest'Aula certamente più largo consenso. Ma è questa la sfida: sfidiamo lo Stato a rispettare per primo il dettato letterale della Costituzione italiana.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cossa. Ne ha facoltà.
COSSA (Riformatori Sardi). Signor Presidente, stiamo parlando di federalismo fiscale, ma in realtà non si tratta soltanto di norme che affrontano aspetti tributari o finanziari. Si sta infatti introducendo un mutamento significativo negli assetti istituzionali della nostra Repubblica, perché se è vero che si sta introducendo, perlomeno a livello di principio, quell'autonomia finanziaria che era sottesa alla riforma costituzionale del 2001 e che rappresenta da sempre una delle maggiori aspirazioni degli enti locali, è altrettanto vero che si sta mutando il rapporto tra le Regioni, e tra un momento cercherò di spiegare perché faccio questa considerazione. Ora, che la tendenza al decentramento delle competenze e delle responsabilità sia in grado di assicurare una migliore applicazione del principio di sussidiarietà e di favorire una migliore gestione della finanza pubblica, oltre che di stimolare una maggiore efficienza amministrativa, fa parte del nostro patrimonio di valori, essendo la Regione Sardegna, come tutte le Regioni speciali, l'apripista del regionalismo italiano, che oggi evolve verso questa strana forma di federalismo.
E' ovvio che è l'aspetto economico quello che oggi maggiormente attrae la nostra attenzione. Le criticità del sistema sono state esposte molto bene stamattina dal presidente Maninchedda. La peggiore delle ingiustizie è trattare in modo uguale situazioni che uguali non sono. Altroché se sono diverse! C'è un problema legato al meccanismo di perequazione che viene previsto nel sistema della legge numero 42. Noi abbiamo il problema - anche questo è stato stamattina evidenziato dal presidente Maninchedda - di affrontare la trattativa con lo Stato in questo doppio binario che viene introdotto, per cui le Regioni ordinarie seguono un determinato percorso e le Regioni speciali seguono il percorso della trattativa. Abbiamo la necessità di attrezzare la Commissione paritetica, perché non si può certo pensare di affidare alla buona volontà e alla capacità di studio di due rappresentanti tutto il carico della responsabilità di un processo di questa portata e di questa dimensione, per quanto supportati dagli uffici dell'Assessorato.
Nel 2006 è stato raggiunto un risultato di importanza fondamentale, che ha anticipato quello che è successo dopo, che ha anticipato lo stesso processo federalista, ma ovviamente non possiamo che considerare quel passaggio come un punto di partenza, non foss'altro per evitare che lo Stato pensi di aver chiuso la partita con la Sardegna già nel 2006. E non dobbiamo dimenticare che quel risultato è stato possibile anche grazie a una straordinaria mobilitazione popolare. Quando noi leghiamo il tema delle riforme al tema dell'Assemblea costituente lo facciamo proprio perché siamo convinti che in tanto le riforme e questo nuovo Statuto che andremo a scrivere potranno essere sentiti nel proprio intimo dai sardi in quanto questa classe politica, di cui noi facciamo parte, avrà avuto la capacità di coinvolgere i sardi e di farli sentire protagonisti di quel processo. Altrettanto noi pensiamo si debba fare, come già è stato fatto nel 2006, rispetto alla vicenda delle entrate.
C'è poi l'altra partita, quella delle accise. Come ha ben detto l'onorevole Porcu, noi non possiamo pensare di legare i nostri destini all'industria petrolifera. E' un impianto che oggi c'è, domani non ci sarà più; pensiamo, speriamo, tra l'altro, di poter domani far pendere la bilancia della produzione energetica da un'altra parte, però è altrettanto vero che su quella partita lo Stato ci sta defraudando di fondi enormi, che risolverebbero tutti i nostri problemi. Noi abbiamo presentato già un anno fa una proposta di legge nazionale che è pronta per la discussione, in cui prevedevamo l'assegnazione alla Regione dei nove decimi delle imposte sui prodotti petroliferi lavorati in Sardegna, anche perché il prezzo che paghiamo in termini ambientali, in termini di fruibilità del territorio e forse anche in termini di salute pubblica è elevato e non abbiamo sostanzialmente nessun tipo di ristoro a questo riguardo.
Dal punto di vista istituzionale nasce un assetto nuovo, perché la legge numero 42 si prefigge esplicitamente l'obiettivo di avviare una concorrenza "virtuosa" tra le Regioni, però c'è anche un obiettivo implicito, che forse è più forte di quello esplicitamente dichiarato, ed è quello di livellare dal punto di vista istituzionale le Regioni, depotenziando profondamente le Regioni speciali. Come, d'altra parte, emerge chiaramente da periodiche dichiarazioni di autorevoli membri del Governo. E' il tema della specialità uno degli aspetti che maggiormente legano il dibattito sulle riforme al dibattito che stiamo svolgendo oggi sul federalismo fiscale, perché è dalla forza che riusciremo a dare alla specialità della Sardegna che dipenderà in gran parte il risultato pratico che riusciremo a ottenere nella fase di negoziazione che oggi è aperta con il Governo nazionale.
Questo doppio binario di cui parlavo prima pone, di fatto, le Regioni speciali in una situazione di debolezza. E' pur vero che la costituzionalizzazione dello Statuto ci dà questa specie di ombrello che ci protegge, entro certi limiti peraltro, da intrusioni pesanti dello Stato, ma è altrettanto vero che pone le Regioni speciali in una specie di cantuccio, le pone in una posizione di minorità e le taglia fuori dai tavoli dove realmente si decide. Il tavolo dove si decide è il tavolo dove sono sedute le Regioni a statuto ordinario, e le decisioni che vengono adottate in quel tavolo certo non sono prive di riflessi sui destini delle Regioni speciali. E la Sardegna paga il doppio handicap non soltanto di avere una cronica e storica carenza infrastrutturale, ma anche di essere un'isola e di essere, per questo stesso fatto, tagliata fuori dalle grandi reti infrastrutturali che vedono interessate più regioni d'Italia o più regioni d'Europa. Non dimentichiamo la vicenda delle autostrade del mare.
Nonostante questo, vige per noi lo stesso Patto di stabilità che vige nel resto d'Italia. Ne approfitto, assessore La Spisa, per tracciare una linea sotto questo aspetto, perché il Patto di stabilità non soltanto penalizza la Regione, ma oggi sta creando una situazione assolutamente paradossale e insostenibile rispetto agli enti locali della Sardegna, che attendono un segnale da questa Giunta e da questo Consiglio regionale.
Strettamente legato alle aspirazioni della Sardegna è poi il tema della fiscalità di vantaggio. Affronto questo tema da un punto di vista esattamente opposto rispetto a quello da cui lo affrontava l'onorevole Steri poco fa. Fiscalità di vantaggio, fiscalità di sviluppo, come oggi si usa dire per darle una connotazione in positivo, perché è ormai acquisito che una politica di maggiore autonomia è in grado di legittimare misure innovative di politica fiscale a vantaggio di imprese e famiglie, di ridurre la burocrazia implicata nelle politiche degli incentivi e perciò di stimolare lo sviluppo economico a livello locale. Ed è ben noto l'orientamento estremamente restrittivo della Commissione europea in materia di aiuti di Stato. Voglio anch'io citare le due sentenze della Corte di giustizia europea, citate dall'onorevole Steri, per dire che la Sardegna è nelle condizioni individuate dalla Corte di giustizia europea per adottare misure di fiscalità di vantaggio.
Il tempo non mi consente di entrare più nel dettaglio, però se riuscissimo a fare questo potremmo finalmente affrontare efficacemente il tema del costo dell'energia e della continuità territoriale delle merci, che rappresentano la vera palla al piede dell'economia sarda; un'economia che non chiede di essere assistita, ma di potersi esprimere al meglio senza dover fare i conti ogni giorno con l'ottusità della burocrazia e con storiche cadenze infrastrutturali. Questa è la sfida che questa classe politica deve vincere, se vuole essere davvero all'altezza delle aspettative.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Massimo Zedda. Ne ha facoltà.
ZEDDA MASSIMO (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Signor Presidente, signor Assessore, colleghi, in due giornate, o meglio in diverse giornate oltre ad aver affrontato il tema del federalismo, oggi in discussione, si è avviata la discussione su una maggiore specialità, su una nuova autonomia, su come ripensare in termini nuovi la minore dipendenza della nostra Regione da Roma. I due temi non sono slegati l'uno dall'altro e non debbono esserlo.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LOMBARDO
(Segue ZEDDA MASSIMO). La minore dipendenza o maggiore indipendenza da Roma io la vedo così, non in termini sicuramente di separazione, ma l'esempio che può essere fatto è quello del figlio che, raggiunta la maggiore età, può e deve dimostrare, in primis a se stesso e poi alla famiglia di origine, di poter camminare con le proprie gambe, diventare autonomo, vivere anche economicamente del suo e non gravare sui costi della famiglia. Però noi non siamo i figli che cercano l'indipendenza e l'autonomia; noi facciamo parte di questa famiglia che è la Repubblica, siamo i fondatori, siamo coloro che hanno costruito questo Stato, questa Repubblica. E allora, a maggior ragione, non si capisce perché non dobbiamo pretendere di partecipare alle decisioni che riguardano tutti noi, che riguardano appunto l'Italia, la famiglia che abbiamo contribuito a creare, né perché questa famiglia non ci consenta di vivere da soli, di essere emancipati, e si vorrebbe anche appropriare di risorse che sono nostre. Questo non lo si capisce proprio.
In che modo, però, dovremmo prendere insieme queste decisioni? Sicuramente, Assessore, incalzando il Governo nazionale, pretendendo, avendone noi pieno titolo e pieno diritto, la partecipazione a una decisione, quella sul federalismo, così come viene definito dal Governo e in particolar modo dalla Lega Nord, che riguarda anche noi, che purtroppo ricade anche su di noi. Non si tratta di tagliare i rapporti o di sbattere la porta; si tratta semplicemente di far valere le nostre ragioni, di far sentire un pochino di più il peso della nostra voce e anche delle nostre ragioni, di dimostrare insomma a noi stessi che siamo in grado di governare la nostra regione meglio di come lo Stato governa tanti settori di sua competenza e di dimostrare allo Stato stesso che siamo anche capaci di amministrare meglio le nostre risorse, insomma di saper vivere in modo autonomo, senza per questo recidere i rapporti familiari, ma recidendo sicuramente almeno il cordone ombelicale, raggiunte ormai la maggiore età, la piena indipendenza e la piena autonomia. In questo caso, però, siamo di fronte a un federalismo egoista, e su questo vorrei soffermarmi un attimo, perché persino per gli ideatori di questa teoria il federalismo era unione, cessione di poteri da parte degli Stati, dei Governi, per creare qualcosa insieme, per stare insieme. Lo si potrebbe paragonare a un consorzio di imprese, che si mettono insieme con l'idea di costruire qualcosa, cedendo ciascuna un minimo di poteri, di competenze per compiere un processo unitario comune. In questo caso, invece, non si capisce il senso esatto del termine federalismo; non si capisce se sia un federalismo politico, economico o demaniale. Quali caratteristiche ha il federalismo che lo Stato, il Governo di centrodestra nazionale e leghista ci propone? E' semplicemente un "non decentramento" amministrativo; vengono decentrati solamente i costi mentre le risorse rimangono a Roma, ma in realtà non rimangono neanche a Roma perché vengono dirottate al Nord. Ed è questa l'idea fondamentale. In fin dei conti a Bossi, alla Lega, alle Regioni del Nord, governate dalla Lega, ormai la separazione non conviene più, e infatti non ne parla più nessuno, perché hanno scoperto la gallina dalle uova d'oro, cioè hanno capito che basta giocare su due o tre criteri, due o tre parametri. Alla fin fine pensano: "Perché accontentarci delle risorse e delle tasse che riscuotiamo al Nord, se possiamo addirittura prendere le risorse e le tasse che paga il Sud?". E' l'albero della cuccagna! Dirottano le risorse e, Assessore, sarebbe curioso e anche utile sapere per quanto riguarda tutto il pacchetto scuola, università, ricerca, trasporti, costi diretti e indiretti, servitù militari, quanto costerà oggi mettere in sicurezza i territori che le imprese stanno abbandonando. Insomma, su tutto il pacchetto dei costi che la Sardegna sopporta e delle risorse per infrastrutture e via dicendo che avrebbe dovuto avere e non ha, sarebbe curioso sapere quanto ci deve il nostro debitore. E magari ipotizzare, per farlo capire alla Sardegna e ai sardi, come avremmo potuto investire quelle risorse, cosa avremmo potuto fare. I sardi potrebbero seguirci in questa battaglia se riuscissimo a far capire loro che quelle risorse non le avremmo utilizzate per creare un ennesimo ente inutile o l'ennesimo consorzio industriale inutile. Occorrerebbe spiegare loro che noi quelle risorse le avremmo dirottate su altri settori, sui settori in crisi o su quelli che hanno bisogno di maggiori risorse per crescere ancora.
In questa direzione non stiamo andando, non c'è neanche un barlume di sentimento utile per risolvere questi problemi e far sentire la nostra voce a Roma. Ieri il presidente Cappellacci semplicemente ci ha detto che questa riforma storica sarà importantissima per il nostro Paese e in quella direzione noi ci dobbiamo attrezzare. Se è nella direzione di vendere tutto il patrimonio che ha la Sardegna per riuscire ad arrivare alla fine dell'anno, beh, mi pare che non sia una scelta intelligente e lungimirante! Forse sarebbe bene che anche il Presidente della Regione si rendesse conto che altre Regioni del Sud stanno contestando il federalismo, altri presidenti contestano questo tipo di federalismo perché non è vero federalismo. Nel diritto penale è appropriazione indebita, è appropriazione di risorse altrui, è furto aggravato! E allora essere consapevoli di questo, raggiungere questa consapevolezza forse consentirebbe di non avere sempre il sorriso auspicando che la Sardegna torni a sorridere, mentre molti sardi piangono. Sarebbe sufficiente questo per rendersi forse conto che la situazione è grave e potrebbe aggravarsi ulteriormente.
Per quanto riguarda le altre questioni, tutte le leggi regionali vengono impugnate dal Governo, nella composizione della Corte costituzionale addirittura è assente una figura competente in termini di diritto regionale, le ultime finanziarie nazionali sono state la mortificazione delle Regioni e delle autonomie. Forse non c'è tanto da stare allegri, Assessore, anzi c'è da preoccuparsi e molto. Ieri, invece, si parlava di riforma storica. Ben venga questa riforma, ci attrezzeremo perché la si possa realizzare anche in Sardegna. Io non sono convinto che questa sia l'idea più intelligente, più lungimirante, quella che meglio ci garantirà di poter discutere alla pari col Governo nazionale. Credo, invece, che occorra avere la testa alta e la schiena dritta per competere con il Governo nazionale. Bisogna decidere insieme, Assessore, perché lo Stato, la Repubblica siamo tutti noi, non solo la Lega Nord di Bossi.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Francesco Meloni. Non essendo presente in aula decade dal diritto alla parola.
E' iscritto a parlare il consigliere Soru. Ne ha facoltà.
SORU (P.D.). Signor Presidente, signor Assessore, cari colleghi, pian piano stiamo entrando nel vivo degli argomenti, appunto nella "carne viva" degli interessi della nostra regione e dei nostri cittadini per i prossimi anni. Abbiamo parlato di Statuto e della necessità di riscrivere la cornice, il quadro, gli strumenti che possono servirci per superare con maggiore facilità il ritardo di sviluppo che ancora subiamo. Oggi parliamo di risorse, dobbiamo parlare di risorse pressati da una discussione che comunque non attenderà i nostri tempi, a volte troppo lunghi, non attenderà le nostre lungaggini, le nostre mille differenziazioni. Questa riforma marcia spedita e ha una conclusione già prevista, che è fissata per metà maggio dell'anno prossimo. E' un percorso che altre Regioni hanno già compiuto - abbiamo parlato delle Province autonome di Trento e Bolzano - e che noi non abbiamo ancora avviato, anzi siamo fermi addirittura a un passaggio precedente: capire quali sono a tutt'oggi le regole sulle nostre entrate.
Il Presidente della Regione ieri ci ha ricordato che la Commissione paritetica sta lavorando alla definizione delle norme di attuazione. In realtà un appuntamento è saltato, poi la Commissione è stata aggiornata, mi pare, al 21 settembre; il 21 non si è fatto molto, però c'è stata una fitta corrispondenza con consegna di documenti e se ne riparlerà il 13 ottobre. La fine dell'anno e Natale arriveranno molto presto. Il senso di questa discussione, e anche di questo mio intervento, è quello di provare a dare dei suggerimenti, che servono soprattutto alla Giunta regionale, che deve affrontare la discussione sulle norme di attuazione, e a tutti noi, che credo saremo chiamati comunque a un ripensamento della politica e del modo di fare la politica.
In realtà questo federalismo fiscale che parla di risorse pone davanti agli occhi, in maniera importante e comunque più importante che nel passato, il vincolo di bilancio, e cioè la necessità di pareggiare, più o meno, le entrate con le uscite, la necessità di comprendere che la politica può disporre delle risorse che ha, delle risorse che può prendere a prestito per un breve periodo, ma prima o poi deve fare i conti con il vincolo di bilancio. E tanto ne parla la norma sul federalismo fiscale che si spinge anche a dire che gli amministratori che non rispetteranno il vincolo di bilancio potranno essere ineleggibili in futuro. Un limite rigorosissimo.
Vorrei suggerirvi brevemente questo: nella norma di attuazione difendete l'articolo 8, difendetelo pienamente, non cercate di riscriverlo, non facciamoci imbrogliare nel ripensarlo. Nella relazione sul federalismo fiscale che il ministro Tremonti ha presentato alla Camera, tra le righe - lo aveva detto anche il Presidente della Commissione bilancio - è scritto che si dovrebbe passare nuovamente alle imposte riscosse in un territorio al netto dell'evasione fiscale. Si tratterebbe di modificare un'impostazione che vuole la nostra compartecipazione sull'IVA legata ai consumi delle famiglie in Sardegna e non a quanto riscosso in Sardegna. Forse è un pochino lungo spiegarlo, ma vale la pena di ricordare che un sardo che prende il caffè nell'autogrill di Tramatza paga 200 lire di IVA. L'autogrill di Tramatza ha una partita IVA iscritta da qualche parte, credo a Milano. Vorrebbe dire che noi paghiamo 200 lire di IVA, ma non avremo neanche un centesimo di compartecipazione su quel caffè pagato all'autogrill di Tramatza o su ciò che compriamo nei centri commerciali Auchan o Carrefour, nei mille franchising che ci sono o sulle auto importate in Sardegna. Grandissima parte dell'IVA che i cittadini sardi pagano in Sardegna non riguardando prodotti costruiti in Sardegna, merci prodotte o importate in Sardegna oppure vendute da organizzazioni commerciali che hanno sede in Sardegna, grandissima parte dell'IVA, dicevo, più della metà, sparirebbe dalla nostra compartecipazione. Quindi difendiamo, come lo ha difeso la Regione Trentino-Alto Adige, il concetto dell'IVA basata sui consumi.
Il Presidente della Commissione Maninchedda ha ricordato la lettera m) dell'articolo 8 dello Statuto. In effetti, subito dopo la lettera m) si parla delle entrate spettanti alla Regione, comprese quelle che, sebbene relative a fattispecie maturate nell'ambito regionale, affluiscono agli uffici finanziari di altre Regioni, quindi gettito maturato in Sardegna. Che cosa vuol dire quella frase o per lo meno che cosa voleva dire nelle intenzioni di chi ha contribuito a scriverla? Poneva un tema importante: la regionalizzazione delle imposte sui redditi delle società. Banca Intesa ha dipendenti in Sardegna, ha uffici in Sardegna, realizza un sacco di utili a livello internazionale e nazionale e li denuncia a Milano, paga l'IRES a Milano. Ma una parte di quegli utili è comunque generata in Sardegna! E gli utili che sono generati in Sardegna devono essere valutati e ricompresi tra quelli maturati in Sardegna, quantunque pagati fuori del territorio regionale. Si tratta del tema, appunto, della regionalizzazione delle imposte sui redditi delle persone giuridiche, di cui si è occupata la Commissione per il federalismo fiscale istituita dal primo Governo Berlusconi. E' un tema complesso, non ancora risolto, ma che dobbiamo tenere a mente e utilizzare come strumento di rivendicazione continua e di cui le norme di attuazione eventualmente si possono occupare. Si tratta di un tema previsto nello Statuto originario della Sicilia, ma mai attuato. Questa scrittura è una scrittura avanzata che serve alla Sicilia e soprattutto alle altre Regioni a statuto speciale del Mezzogiorno, dove i redditi delle imprese vengono comunque maturati anche se quelle imprese sono registrate fuori dal loro territorio.
Per quanto riguarda le infrastrutture - ne parlava un collega poc'anzi - l'articolo 27, mi pare, della legge numero 42 pone il tema del dato infrastrutturale delle diverse Regioni. Va bene, andiamo verso un periodo nuovo, un periodo in cui tutte le Regioni si impegnano a bastare a sé stesse, in cui gli amministratori si impegnano a rispettare il vincolo di bilancio, pena l'ineleggibilità, però non partiamo tutti dalle stesse condizioni. C'è un ritardo storico nelle infrastrutture che deve essere colmato, per cui i fondi FAS hanno ragione di esistere, e di esistere per come erano stati immaginati anziché essere cancellati.
Sulla fiscalità di vantaggio, come è stato detto molto bene stamattina, stiamo per arrivare in maniera grottesca esattamente al concetto contrario, ovvero alla "fiscalità di svantaggio", per cui se attingiamo dal fondo di perequazione e quindi non siamo in pareggio di bilancio, allora dobbiamo avere l'IRAP, oltre che l'addizionale IRPEF, ai livelli più alti. La nuova impresa non avrebbe pertanto vantaggio a localizzarsi in Sardegna, ma anzi avrebbe vantaggio a localizzarsi fuori della Sardegna, nelle regioni già più ricche. Esattamente il contrario di come dovrebbe andare il mondo! Quindi il tema delle fiscalità di sviluppo o di vantaggio deve essere trattato benissimo nel momento in cui in questo rapporto con lo Stato definiamo il decreto di attuazione del federalismo fiscale per la nostra Regione.
Tra le fiscalità di vantaggio ne cito una di cui si parla in questi giorni e si è parlato anche ieri nella trasmissione "Report": le tasse di ancoraggio. In TV hanno parlato di Gioia Tauro, ma si sono dimenticati che esiste anche Cagliari, così come esistono Tangeri e Gedda. Se non abbiamo la possibilità di azzerare o ridurre in maniera drastica le tasse di ancoraggio, trasformeremo il Porto Canale in uno stabulario per cozze! Siccome penso che questo non lo vogliamo fare, sarebbe il caso di trovare, in questa discussione, la soluzione per far sì che quel porto sia competitivo come il porto di Gedda, dove un'ora di lavoro costa 2 euro e non 20 euro, dove il gasolio costa 10 centesimi e non quanto costa in Italia. La fiscalità di vantaggio, le tasse di ancoraggio sono una delle tante...
PRESIDENTE. Onorevole Soru, il tempo a sua disposizione è terminato.
E' iscritto a parlare il consigliere Pittalis. Ne ha facoltà.
PITTALIS (P.d.L.). Intanto vorrei ricordare che la legge delega sul federalismo fiscale, che è stata lungamente esaminata dal Parlamento italiano che l'ha approvata, è stata esitata anche con il voto dell'opposizione parlamentare. Voglio ricordare questo dato perché ho la strana sensazione che per legittimamente enfatizzare aspetti sui quali si può sicuramente anche convenire e ci si deve soffermare, questa legge sia il prodotto di non si sa chi, sia figlia di nessuno. Quando si evoca, come ha fatto questa mattina il collega Maninchedda, addirittura lo scontro civile quale conseguenza dell'attuazione del federalismo fiscale, mi pare che non si tengano in considerazione alcuni aspetti peculiari. Intanto la questione del federalismo va inquadrata proprio nella vicenda storica, che pure è stata ricordata da qualche collega che mi ha preceduto, di un Paese come il nostro, caratterizzato da una frattura Nord-Sud così profonda che in centocinquant'anni di storia unitaria i Governi di destra, di centro e di sinistra non sono riusciti a colmare. Due Italie erano e due Italie sono in larga parte rimaste. Ci sono in proposito dati che segnalano le ragioni delle perduranti difficoltà rispetto al processo devolutivo. Per farla breve regioni piccole, regioni speciali come la nostra, regioni meridionali hanno un rapporto tra la spesa pubblica complessiva e le tasse raccolte gravemente squilibrato. Tra queste regioni si segnala, appunto, la Sardegna. Al contrario, come è stato anche ricordato stamattina, le grandi regioni del Nord producono assai più di quel che spendono. Quindi vi sono regioni - per la verità pochissime - in equilibrio, tante in forte passivo, alcune in forte attivo.
Vedete, bisogna interrogarsi su quale sia innanzitutto la causa; se la causa stia nel rimedio che il Governo ha ipotizzato e il Parlamento ha consacrato in legge o se non vi sia una responsabilità della classe politica in generale e se, volendo eliminare il rimedio, non si rischia di perpetuare un sistema che ha dimostrato - per rimanere al caso della Sardegna - che, nonostante le migliaia di miliardi di lire e poi di euro che sono pervenute attraverso i quadri comunitari di sostegno che si sono succeduti dal 1994 (e forse anche prima) a oggi, non si è colmato quel gap infrastrutturale di cui ci lamentiamo. E quindi forse qualche domanda ce la dovremmo porre anche noi.
Io non vedo, intanto, tutto questo catastrofismo nell'ipotizzare, anzi nel ricostruire il sistema così come previsto dalla legge numero 42, perché i principi fondamentali del federalismo fiscale, come è stato già osservato, sono: il coordinamento dei centri di spesa con i centri di prelievo, che comporterà automaticamente, come ricordava anche l'onorevole Soru, maggiore responsabilità da parte dei comuni, delle province e delle stesse regioni nel gestire le risorse; la sostituzione della cosiddetta spesa storica, basata sulla continuità dei livelli di spesa raggiunti l'anno precedente, con la spesa standard. Dobbiamo anche ricordare che il federalismo fiscale per diventare operativo necessita di una serie di provvedimenti che si snodano nell'arco di sette anni: due anni per l'attuazione e cinque anni di regime transitorio. Rispetto a questo periodo, logicamente sono d'accordo con chi ha messo in evidenza che non dobbiamo abbassare la guardia. Proprio quella Commissione paritetica propedeutica per definire i contenuti dei decreti che dovranno essere predisposti entro due anni dall'entrata in vigore della legge dovrà svolgere una funzione molto importante, rispetto alla quale sono d'accordo con le osservazioni fatte, perché noi non dobbiamo assolutamente avere trattamenti inferiori per qualità e anche quantità rispetto a quelli riservati ad altre Regioni - come è stato ricordato, il Friuli e il Trentino-Alto Adige - che sono avanti rispetto a noi. Ma il fatto che si debba mettere mano a un sistema caratterizzato soprattutto dalla irresponsabilità tra i centri di spesa e i centri di prelievo e che si debba costruire un sistema che segni una fase di avvicinamento anche nel rapporto tra eletti ed elettori mi pare rappresenti l'indice di una crescente responsabilizzazione nella gestione delle risorse pubbliche.
Allora, le linee direttive su cui si sta impostando il federalismo fiscale ritengo siano valide, al di là degli scenari apocalittici che sono stati dipinti: attivazione di meccanismi di controllo della spesa pubblica locale a fronte di una maggiore autonomia impositiva, che viene anche riconosciuta; possibilità di concorrenza fiscale tra aree subnazionali in funzione proprio di stimolo alla diffusione dello spirito di concorrenza; prospettive di detassazione che rendono la riforma complessivamente più appetibile. Infine, com'è stato già detto, sanzioni e incentivi sono deterrenti allo studio del Governo nazionale. Per esempio, com'è stato ricordato, i governatori che sei mesi prima della scadenza del proprio mandato non presenteranno i conti della sanità certificati non potranno candidarsi eventualmente per un nuovo mandato. Sono inoltre previsti incentivi per coloro che gestiranno in modo virtuoso le spese per le infrastrutture, in quanto potranno ricevere delle quote aggiuntive dei fondi FAS appunto per le aree sottoutilizzate.
Direi che bisogna dare atto che l'impianto della riforma forse dovrà essere ancora perfezionato, migliorato, ma soddisfa gli obiettivi di responsabilizzazione. Dunque si tratta anche per noi di avviare una nuova stagione e più che attardarci nel ricercare a tutti i costi il perfezionismo, che rischia di essere solo di maniera, vediamo come salvaguardare l'articolo 8, così come prima è stato ricordato, e come portare a casa quelle ulteriori opportunità, attraverso appunto una seria rivendicazione.
PRESIDENTE. Onorevole Pittalis, il tempo a sua disposizione è terminato.
E' iscritto a parlare il consigliere Gian Valerio Sanna. Ne ha facoltà.
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Vorrei dire ai colleghi che oggi è mercoledì 29 settembre 2010 e siamo forse poco più di trenta in quest'aula, neanche la metà dei componenti del Consiglio. Dico questo perché può darsi che la data odierna la dovremo ricordare più avanti negli anni, se qualcuno di noi continuerà a esercitare la funzione politica, come data di profonda sottovalutazione di un argomento che attiene al futuro e al dovere della politica e delle istituzioni di essere prima di tutto lungimiranti e di preparare il futuro.
Non ho capito il senso dell'intervento dell'onorevole Pittalis. Noi non stiamo avanzando una critica alla legge numero 42, anzi le potrei ricordare, onorevole Pittalis, che il fondo di perequazione per le Regioni a statuto speciale è stato inserito attraverso un emendamento presentato da un deputato siciliano del Partito Democratico, a significare che noi abbiamo partecipato con acutezza. Il problema nostro, unitamente alla preoccupazione sollevata dal Presidente della Commissione, è un altro, riguarda l'inadeguatezza dell'attenzione politica e istituzionale di questa Assemblea e della Regione, la paralisi totale del comportamento della Giunta regionale in relazione ai percorsi preparatori, propedeutici, rivendicativi perché quelle disposizioni abbiano un impatto corretto sulla comunità sarda di oggi e del futuro. E mi voglio spiegare: badate, quando nei giorni scorsi noi vi esortavamo a difendere l'articolo 8 - e abbiamo certezza non dalle parole del Sottosegretario, ma da fatti concreti e intangibili del riconoscimento dell'operatività di quell'articolo - è perché quella negoziazione è stata realizzata nell'accordo sottoscritto dal Trentino-Alto Adige, di cui parla la risoluzione. Noi l'abbiamo fatto prima di loro, perché quello è il punto di partenza, di certezza di una negoziazione che, lo spiegherò, deve essere fatta a partire da quel punto, inequivocabilmente da quel punto. Loro hanno capito che dovevano fare in fretta e invece noi - ecco un punto di critica gravissimo - ci stiamo accodando, non so bene se in virtù di una omogeneità politica dei governi regionali, alla Regione di cui è presidente Renata Polverini e alla catena di Regioni che stanno rivendicando un posizionamento sul tavolo per le Regioni del Sud. Ma colleghi, noi siamo una Regione a statuto speciale, una regione dotata di unicità costituzionale! Questo è un aspetto preoccupante delle modalità con le quali noi ci prepariamo al confronto, sottovalutando l'applicazione immediata dell'articolo 8 e mettendoci alla ruota di chi quella unicità non la potrà mai rivendicare come noi. Questo è il livello della nostra preoccupazione. E' la paralisi, oltre che il comportamento di una Giunta regionale che sarebbe dovuta venire qua, al nostro confronto, esibendo un quadro chiaro dei costi ordinari e dei bisogni ordinari di questa Regione, accompagnato con le quote che riteniamo giuste per il recupero del ritardo di sviluppo e con la rivendicazione delle quote giuste per lo sviluppo che intendiamo apportare, perché dentro quel quadro c'è la nostra rivendicazione.
E badate, il lavoro di cui si è detto poc'anzi, e cioè il lavoro parallelo di preparazione della Regione che dobbiamo fare oggi, l'avremmo dovuto fare ieri e lo dovremo continuare a fare domani, perché? Perché più saremo distanti dall'applicazione del fondo perequativo, e quindi più saremo autosufficienti nella nostra gestione delle dinamiche istituzionali future, tanto più avremo la possibilità di gestire e di manovrare quote per lo sviluppo. Quote per lo sviluppo che consistono anche nella fiscalità di vantaggio, di cui parlerò dopo, perché se rientriamo nel fondo perequativo, com'è stato detto, non possiamo attivare la fiscalità di vantaggio, perché dobbiamo pensare ai nostri fabbisogni. Ecco che serve una politica di vera razionalizzazione, di conoscenza, di riferimento a questo discorso sui costi standard. Badate, se si volesse giocare - lo si vedrà - sulla rivendicazione delle quote dei costi standard si capirebbe che probabilmente non è quello il fattore sul quale dobbiamo incidere, ma che semmai occorre avere il costo standard solo come riferimento, com'è stato fatto negli anni passati per quanto riguarda per esempio la spesa sanitaria, e indirizzando le scelte in sanità, criticate ampiamente anche dall'attuale maggioranza, verso i livelli di compensazione all'interno dei costi standard. Oggi quella spesa è schizzata via, sarà un bel problema quando dovremo fare i conti di nuovo con quei costi standard. Così come abbiamo fatto con la deflagrazione delle piante organiche pubbliche della Regione, perché dobbiamo cercare di essere essenziali e ridurre le possibilità espansive legate al clientelismo, all'inutilità, all'inefficienza. E non mi si venga a dire che la politica della Giunta regionale è rappresentata dallo slogan sulla riduzione del parco macchine, perché su questo alzo la bandiera io! Quando siamo arrivati noi c'erano 750 mezzi di proprietà della Regione e quando ce ne siamo andati ne abbiamo lasciati 50. Cos'altro volete razionalizzare?
Ma andiamo a vedere aspetti più concreti: quando siamo arrivati noi c'erano 25 comunità montane...
(Interruzione del consigliere Mario Diana)
SANNA GIAN VALERIO (P.D.). Calma, calma, una cosa alla volta!
Le comunità montane le abbiamo eliminate, però bisogna continuare, così come bisogna prendere atto che è un segnale allarmante quello che io ho sentito l'altro giorno, e il collega Cossa ne è testimone. Ma è possibile che un comune della Sardegna come Sestu abbia 15 milioni di euro in cassa e non possa spenderli per via del Patto di stabilità? Qualcosa vorrà dire!
Durante la discussione della scorsa finanziaria noi vi abbiamo proposto dei sistemi che potessero nell'immediato andare incontro alla spesa degli enti locali e attenuare gli effetti del Patto di stabilità (partita essenziale, perché l'articolo 27 della legge numero 42 dice che noi partecipiamo al fondo di perequazione, ma anche ai doveri che discendono dal rispetto del Patto di stabilità e di tutte le altre cose che andranno rinegoziate, ovviamente, in sede di definizione delle norme di attuazione). In attesa di quel momento dobbiamo fare tutto ciò che è possibile perché quel livello di spesa storica - diciamo così, sul quale ci inchioderanno - sia il più elevato possibile. Diversamente ci troveremo di fronte a dati inconfutabili, generati anche dalla nostra inerzia di questi anni!
Quindi dobbiamo uscire dalla logica del doverci limitare a una negoziazione per la sopravvivenza e valutare invece tutte le possibilità di razionalizzazione del nostro modo d'essere per poter avere quel margine di sviluppo dii cui abbiamo bisogno sia per recuperare i ritardi nello sviluppo, sia per garantire delle politiche espansive, perché quando ci troveremo in perequazione non potremo permetterci politiche espansive. E siamo in una fase in cui la criticità dell'economia ce lo dice. Altro che cinque anni di transizione! Se fossero anni di transizione dovremmo rinunciare proprio alle politiche espansive.
Un'altra partita importante in questa materia è che proprio per le politiche di vantaggio fiscale dovremo rivendicare la possibilità di riscossione fiscale regionale, perché solo così supereremo i limiti di quelle sentenze che dicono che noi non dobbiamo dipendere da altri Stati e da altre sovvenzioni e dobbiamo avere la possibilità di riscuotere, trattenere la nostra parte e rilasciare allo Stato la parte restante. E' già questa una posizione che supera i limiti di quelle sentenze e non lascia dubbi sul fatto che noi siamo nelle condizioni, a quel punto, di poter applicare politiche di fiscalità di vantaggio.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Locci. Ne ha facoltà.
LOCCI (P.d.L.). Vorrei fare alcune considerazioni per dare il mio piccolo contributo. Ho sentito delle cose che, devo dire, per la maggior parte condivido, molte dette dall'onorevole Soru, altre dall'onorevole Sanna, però senza piglio polemico vorrei puntualizzare un aspetto che riguarda, per esempio, l'articolo 8 dello Statuto, sulle nuove entrate. Si fa un gran parlare per quanto riguarda questo articolo del fatto che noi dobbiamo cercare di portare avanti la trattativa con lo Stato. Questo è giusto, dobbiamo cercare di farlo, forse siamo partiti anche un po' in ritardo e dobbiamo farlo a testa alta e con la schiena dritta, come qualcuno ha detto e concordo con lui. Però un piccolo appunto lo devo e lo voglio fare, entrando nel merito.
Pur apprezzando le giuste motivazioni che nel 2006 portarono la Giunta Soru a chiedere quello che tutto sommato ci era dovuto, abbiamo fatto, a mio parere, due errori: uno viene citato spesso, ed è il fatto che nel relativo accordo non è stato valutato l'impatto sul Patto di stabilità, però non voglio toccare questo argomento, perché se ne è già parlato abbastanza; l'altro errore riguarda i costi che ci siamo dovuti accollare. Oggi noi stiamo parlando di costo storico e costo standard, ma badate che nel 2006 e nel 2007 la sanità costava 250 milioni di euro in meno rispetto a oggi, quindi eravamo su un livello sicuramente superiore a 2 miliardi di euro di allora, senza contare che ci siamo accollati, con quell'accordo, anche i costi del trasporto pubblico locale e della continuità territoriale. Questi sono dati di fatto, non sono favole! Credo quindi, in tutta onestà, che il centrosinistra debba riconoscere che l'onorevole Soru, per quanto abbia raggiunto sicuramente un obiettivo nobile, ha fatto qualche piccolo errore di approssimazione, perché nel momento in cui affronteremo con lo Stato il confronto sul costo standard e il problema della sanità, caro onorevole Gian Valerio Sanna e caro onorevole Soru, avremo a che fare con cifre ben diverse da quel miliardo e 600 milioni di euro di nuove entrate teoriche calcolate al 2006 e riferite al 2007! Solo con la sanità oggi ci accolliamo una spesa di quasi 3 miliardi di euro! Quindi, anche togliendo quello che è stato sprecato dal 2006 a oggi, abbiamo comunque una differenza di circa 1 miliardo e mezzo di euro! Questo lo dovevo dire perché a me personalmente non piacciono le chiacchiere "vuoto a perdere"; mi piacciono i dati di fatto e apprezzo anche i contributi costruttivi che vengono dai cosiddetti avversari politici, che per me sono comunque dei colleghi.
Detto questo, entriamo nel tema specifico. Vorrei intanto fare alcune considerazioni perché qualcuno in quest'Aula oggi ha detto - e a onor del vero non l'ha detto l'opposizione - che la legge sul federalismo fiscale è stata pensata e scritta semplicemente a vantaggio del Nord. Vorrei citare gli articoli di questa legge, alla cui stesura ha partecipato - è verissimo - anche l'opposizione quando più di un anno fa se ne discusse alla Camera e fu inserito, per esempio, l'articolo 22, citato dall'onorevole Sanna, sulla perequazione infrastrutturale. Dopo sessant'anni si è riconosciuto finalmente il divario dello sviluppo economico legato all'insularità. Questo è stato fatto per la Sardegna e per la Sicilia ed è un dato di fatto inconfutabile. Poi, sulla fiscalità di vantaggio vorrei stigmatizzare alcune parole che forse a qualche collega sono sfuggite. La fiscalità di vantaggio è riferita alle nuove attività d'impresa delle aree sottoutilizzate, quindi per il Centro-Sud Italia, non per il Nord! Qualcuno ha dei dubbi? Ecco, i dubbi li leviamo subito perché, per esempio, nel mese di luglio del 2010 è stato convertito in legge il decreto legge numero 78, che, guarda caso, all'articolo 40 - chi avesse dei dubbi vada a verificare - dice testualmente: "In anticipazione del federalismo fiscale ed in considerazione della particolarità della situazione economica del Sud, nelle Regioni…", tra cui è contemplata la Sardegna. Sono infatti citate le Regioni, compresa la Sardegna, che con propria legge regionale possono modificare o addirittura abolire l'IRAP. Questo semplicemente per dire che se qualcuno ha il dubbio che la legge sul federalismo fiscale sia stata voluta e scritta solo dalla Lega Nord si sbaglia! E' vero che è stata ispirata dalla Lega Nord, ma è altrettanto vero che è stata scritta a piene mani dai parlamentari del Centro-Sud, sia di centrodestra che di centrosinistra. Tant'è vero che questa legge prevede il passaggio dal costo storico al costo standard proprio per responsabilizzare gli amministratori e ridurre ovviamente gli sprechi, perché se una siringa deve essere pagata 10 al nord è giusto che sia pagata 10 anche al sud. Alla fine questo si vuole dire. Se andiamo a leggere, la parte che riguarda Roma capitale chi l'ha scritta? I leghisti? Non credo proprio! Tutta la parte di cui noi abbiamo parlato l'hanno scritta i parlamentari del Centro-Sud.
Detto questo, dobbiamo essere noi, in questo momento, a fare una battaglia che deve essere una battaglia unica. E qui sono d'accordo con l'onorevole Soru, la battaglia è unica. Bisogna iniziare col difendere le nuove entrate, soprattutto la lettera m) dell'articolo 8, e aprire parallelamente un tavolo istituzionale pattizio con lo Stato per cercare di avere quello che ci spetta, quello che dobbiamo avere! Bisogna però stare attenti, perché nessuno l'ha segnalato, ma noi potremo avere la fiscalità di sviluppo o di vantaggio tenendo presente l'articolo 87 del Trattato CE, che è quello che tutela la libera concorrenza e che ci potrebbe creare qualche problema se nel momento in cui definiremo i decreti attuativi con lo Stato non metteremo tutto nero su bianco. La possibilità ce l'abbiamo, perché la Corte di giustizia europea, che è stata già citata da un altro collega prima, ha dettato tre condizioni per non avere problemi nell'applicazione della fiscalità di vantaggio, e cioè: deve trattarsi di un ente territoriale dotato di statuto autonomo, e quindi di un ente diverso da quello statale (e la Regione Sardegna ci rientra in pieno, perché ha uno statuto a valenza costituzionale); la decisione deve essere presa senza la possibilità di un intervento diretto da parte del Governo centrale sul suo contenuto (è la parte pattizia che deve dare seguito a questo); non ci deve essere nessuna compensazione da parte del Governo centrale relativamente all'aliquota che l'ente territoriale decide di ridurre.
Ho voluto semplicemente fare un po' di chiarezza perché credo che, al di là delle polemiche spicciole che tutti noi possiamo fare (all'inizio ho voluto precisare che la sanità costa 3 miliardi di euro, mentre con l'articolo 8 abbiamo contrattato 1 miliardo e 600 milioni di euro), quello che noi oggi dobbiamo fare, guardando avanti e lasciandoci alle spalle le polemiche, è cercare di mettere il sederino sulla sedia per studiare bene la situazione e non andare al confronto con lo Stato sprovveduti, perché le condizioni perché la Regione Sardegna ne esca molto meglio rispetto a oggi ci sono, dipende solo da noi.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Caria. Poiché non è presente in aula decade dal diritto alla parola.
E' iscritto a parlare il consigliere Dedoni. Poiché non è presente in aula decade dal diritto alla parola.
E' iscritto a parlare il consigliere Gavino Manca. Ne ha facoltà.
MANCA GAVINO (P.D.). Signora Presidente del Consiglio regionale, non concluderò il mio intervento con la parola felicità, che tanti hanno citato. In verità viene tristezza, non felicità, nel vedere in quali condizioni quest'Aula affronta un dibattito così importante.
Arriviamo alla discussione sul tema del federalismo fiscale reduci da una discussione sullo Statuto e sulle riforme che ha impegnato l'Aula in diverse sedute, caratterizzate da una partecipazione intensa, appassionata, ricca di contenuti e di interventi di grande interesse da parte di molti colleghi sulle diverse mozioni; interventi su temi che influenzano e vanno a toccare l'essenza stessa del nostro sentirci parte attiva del consesso civile in cui viviamo.
Guidata dalla passione, l'Aula ha sentito parole che decidono del nostro destino, dette talvolta con piena consapevolezza altre volte, a mio parere, lasciatemelo dire, con apparente leggerezza. La sovranità, l'autonomia, l'indipendenza della Sardegna: sono questi i temi su cui intere generazioni di intellettuali, uomini politici, cittadini della nostra Isola si sono cimentati per anni, e in tanti l'abbiamo detto durante il dibattito. La discussione è più che mai aperta e l'argomento all'ordine del giorno oggi, il federalismo fiscale, rappresenta non soltanto un aspetto strettamente collegato ai temi discussi, ma è qualcosa di più e ci dà la possibilità di guardare a queste tematiche con una visuale del tutto nuova.
Presidente, prima di avviarmi a una breve riflessione sul tema all'ordine del giorno, il federalismo appunto, mi permetterò di utilizzare pochi minuti per fare alcune considerazioni sul dibattito dei giorni scorsi. Innanzi tutto c'è da chiedersi - e io appunto me lo chiedo - se abbia ancora senso, in un mondo sempre più globalizzato, in un'Europa che si allarga sempre più e attrae sempre più nuovi soggetti disposti a scommettere sul suo processo di unificazione, discutere di una nazione sarda - come da più interventi è emerso in quest'Aula e non solo da parte dei Sardisti - che preme per nascere a nuova vita e della sua pretesa di ottenere il riconoscimento di una propria indipendenza, senza interrogarsi però sulle conseguenze che tutto ciò avrà sulla vita concreta dei sardi, in tutti i suoi aspetti, dall'economia agli approvvigionamenti energetici, fino alla sicurezza interna ed esterna.
Sebbene mi sia applicato ad ascoltare il dibattito con grande attenzione, ho avuto netta l'impressione che in alcuni momenti la discussione abbia assunto toni un po' irreali. Le voci in quest'Aula si sono alzate forti e sicure su ciò che andavano a rappresentare, ma in alcuni casi, a mio parere, erano distanti dai veri sentimenti dei nostri cittadini, non troppo coinvolti da quello che si andava sostenendo in loro nome e in attesa invece, forte attesa, di risposte concrete e risolutive dei drammatici problemi che affliggono la nostra Isola oramai da decenni.
Molti hanno tentato di superare l'ostacolo addentrandosi nell'elaborazione di meccanismi di ingegneria istituzionale più o meno complessi, nella definizione di percorsi, di strategie volte, almeno nelle intenzioni, al coinvolgimento della gente, di quella gente sarda che in passato con ben altra partecipazione aveva seguito vicende che la riguardavano così da vicino. Per alcuni siamo qua riuniti a parlare di indipendenza, di un processo con scadenza non definita e tuttavia inarrestabile e pericoloso, molto pericoloso, che pur non essendo legato a una data precisa ha indotto la stampa a immaginarlo imminente. Sì, perché questo è quello che leggiamo in una delle mozioni: "un ordine del giorno unitario sulle riforme per arrivare entro un anno all'indipendenza della Sardegna". Questo risulta agli atti, questo è quello che i nostri cittadini hanno letto e ascoltato dai giornali e dalle televisioni.
Penso, e lo dico per primo a me stesso, che sia arrivata l'ora di scendere dal piedistallo di parole che in questi giorni abbiamo costruito per dare risposte alle urgenze e ai grandi problemi presenti. Non lo dico perché condivido il sospetto da diversi espresso in quest'Aula che i temi roboanti che riguardano il nostro futuro siano stati introdotti da alcuni ad arte per nascondere le gravissime inadempienze politiche di questa maggioranza; non voglio neanche dire che il tema dell'indipendenza sia stato rilanciato nel momento nel quale si pratica la massima dipendenza dal padrone romano e dai suoi delegati in terra di Sardegna, penso però (lo dico dopo aver ritirato la mia firma, apposta per mia esclusiva superficialità senza aver letto il contenuto di quello che firmavo, e me ne assumo la responsabilità) che la nostra responsabilità sia quella di trovare vera unione, vera coesione tra tutti noi per rivendicare la nostra specialità e la nostra autonomia, riscrivendo e rafforzando al massimo il nostro Statuto. Uno Statuto forte e nel dire questo sottoscrivo integralmente quanto sostenuto nel suo intervento dall'onorevole Cuccureddu. Cito testualmente: "Uno Statuto in grado sì di rivendicare nuovi e più forti poteri dallo Stato, ma impegnato anche a devolverli ai comuni. Il nuovo Statuto dovrà ridare ruolo e potere alle nostre amministrazioni locali, in un sistema di vero federalismo interno che, se non attuato, non sarà meno opprimente o meno asfissiante del centralismo statale che tanto critichiamo e combattiamo e si trasformerà, purtroppo, come già troppo spesso accade, in centralismo cagliaritano."
Scusandomi nuovamente per le divagazioni, faccio alcune considerazioni cercando di stare nel tempo che il Regolamento mi concede sul tema all'ordine del giorno. Prima di tutto penso che questa partita risulti truccata dalle battute iniziali, e vi dico perché. "Basta con le Regioni a statuto speciale", questo dichiara il ministro Brunetta, uno dei maggiori ideologi del Governo Berlusconi, il quale, facendo eco alle posizioni oltranziste della Lega Nord di Bossi e di Calderoli, dice: "Tutte le Regioni italiane saranno speciali, non ci saranno più privilegi". E lo ripete con forza crescente per compiacere quella parte di popolo e di amministratori del Nord del Paese da sempre impegnati in una crociata contro le ragioni che stanno alla base del riconoscimento delle condizioni di arretratezza del Meridione, e che così si sentono appagate dalle scelte di politica economica fatte dall'Esecutivo nazionale, nefaste per il Meridione e le isole. E allora mi chiedo e chiedo a lei, signor Assessore, che ringrazio della presenza, e al presidente Maninchedda, che purtroppo non è in aula: come può il Governo regionale rivendicare una nuova specialità, portare avanti una battaglia per le corrette aspettative fiscali della Sardegna quando le linee guida delle scelte in campo fiscale sono dettate da esponenti del partito nazionale del Presidente di questa Regione e si muovono decisamente in tutt'altra direzione?
Rimango quantomeno perplesso nel sentir parlare di specialità da rinnovare, di Statuto da rafforzare, di federalismo fiscale da perseguire con forza e determinazione, quando chi vive in questa maggioranza si trova a livello nazionale sugli stessi banchi di chi afferma in maniera decisa: "Le Regioni a statuto speciale" - chiaramente è sempre il ministro Brunetta che parla - "sono istituzioni della Repubblica che per 50-60 anni hanno, chi bene, chi meno bene, goduto di un vantaggio finanziario. Con il federalismo, e il federalismo fiscale che stiamo realizzando, avremo tutte Regioni a statuto speciale. Si giocherà non più sui trasferimenti maggiori, ma sull'efficienza, la qualità, la trasparenza e la produttività. E saremo tutti un po' più equi." Dice ancora: "Che nessuno strilli alla lesa autonomia, non è questo. Si tratta solo di redistribuire meglio le risorse della collettività". Beh, a questo Ministro un merito bisogna certamente riconoscerlo: la chiarezza nell'esporre quali saranno i vantaggi e soprattutto chi trarrà vantaggio dall'attuazione del federalismo fiscale nazionale: le Regioni del Nord, ovvero le Regione più ricche.
Andando per ordine: sappiamo tutti in quest'Aula a quanto ammontino le maggiori entrate riconosciute alla nostra Regione - e per chi non lo sapesse, tanti colleghi l'hanno precedentemente citato - dalla riscrittura dell'articolo 8 dello Statuto, e sappiamo anche che il Governo in carica non ha inteso finora rispettare gli impegni presi e trasferire quanto dovuto. Sappiamo tutti in quest'Aula che le condizioni di svantaggio strutturale e di penalizzazione economica e sociale che caratterizzano la nostra Isola non sono venute meno e ci danno la possibilità di continuare a rivendicare il mantenimento di uno status finalizzato al superamento delle diseguaglianze strutturali di partenza. Pensare, in un Paese ormai in preda agli egoismi più sfrenati, a logiche dichiaratamente antimeridionaliste e ad atteggiamenti punitivi verso i più deboli, sempre più presenti nelle scelte del Governo, che la solidarietà di chi più ha, e quindi di più può disporre nei confronti di chi ha di meno, possa essere utilizzata per far fronte a queste esigenze che si andranno concretamente a manifestare mi sembra alquanto difficile.
Noi dobbiamo impegnarci in un confronto serrato e senza sconti per nessuno, intanto per conservare, qualora si palesasse più conveniente, quanto previsto dall'articolo 8 dello Statuto e per rimuovere ogni impedimento all'esercizio delle competenze che già ci sono state riconosciute. Contestualmente, in nome della specialità, della nuova specialità e delle motivazioni che ne sono alla radice e che non sono certamente venute meno con il trascorrere del tempo, occorre porre l'esigenza non solo del trasferimento di nuove competenze ma, sulla base di un accurato conteggio dei costi specifici relativi, anche della possibilità di introitare tutte le risorse necessarie per far fronte ai nuovi compiti.
Questo percorso non può essere reso vano dal comportamento di nessuno, in particolare di coloro che agitano meccanismi che hanno il solo scopo di mascherare il tentativo di sottrarci quanto già consolidato sul piano dei diritti o non garantirci quel quantum di più che si rendesse necessario. Tutto ciò, naturalmente, non potrebbe fare a meno dell'impegno unitario e totale di questo Consiglio regionale, lasciandoci alle spalle appartenenze, ruoli o qualsiasi altra cosa, e avendo davanti a noi la missione di far raggiungere ai nostri cittadini la famosa felicità, che tanti hanno citato durante il dibattito sulle riforme. Grazie.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Ladu. Poiché non è presente in aula decade dal diritto alla parola.
E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.
ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidente, devo rinunciare, perché ho problemi di voce. Grazie.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Maninchedda. Poiché non è presente in aula decade dal diritto alla parola.
E' iscritto a parlare il consigliere Giampaolo Diana. Poiché non è presente in aula decade dal diritto alla parola.
I lavori del Consiglio si concludono qui, riprenderanno domani mattina alle ore 10 e 30, con gli interventi dei Capigruppo.
La seduta è tolta alle ore 18 e 51.