Seduta n.138 del 22/09/2010
CXXXVIII SEDUTA
Mercoledì 22 settembre 2010
(ANTIMERIDIANA)
Presidenza della Presidente LOMBARDO
La seduta è aperta alle ore 10 e 03.
CAPPAI, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del 4 agosto 2010 (131), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Paolo Dessì, Pietro Fois, Domenico Gallus, Adriano Salis e Renato Soru hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 22 settembre 2010.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
"Interrogazione Zuncheddu - Uras - Sechi - Zedda Massimo, con richiesta di risposta scritta, su tempistica e modalità della liquidazione anticipata delle semestralità di concorso regionale sugli interessi relative ai contratti di mutuo a tasso agevolato concessi ai sensi delle leggi regionali n.30 del 1975 e n. 44 del 1988, articolo 5, e della legge n. 984 del 1977". (406)
"Interrogazione Sanna Matteo, con richiesta di risposta scritta, sulla delimitazione e le disposizioni necessarie per l'operatività della zona franca di Olbia come richiesto nel decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75, in attuazione dell'articolo 12 del vigente Statuto d'autonomia speciale della Sardegna". (407)
PRESIDENTE. Considerata l'assenza della Giunta e constatato lo scarso numero di consiglieri presenti in Aula, sospendo la seduta. Prego i Capigruppo di richiamare i consiglieri in aula.
(La seduta, sospesa alle ore 10 e 04, viene ripresa alle ore 10 e 21.)
(I consiglieri regionali Caria e Manca ritirano la propria firma dalla mozione numero 87)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 6, 20, 27, 46, 80, 81, 82, 85, 87 e 88.
Uno dei presentatori della mozione numero 80 ha facoltà di illustrarla.
SECHI (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Honorable Senyora President del Parlament de Sardenya, honorable Senyor President del Govern autonomie de Sardenya, illustrissimis Senyors Assessors, honorables parlamentaris i collegues, es per a mi avui motiu de honor i de orgull poguer presentar en aquesta aula la moccio que és signada dels colegas Luciano Uras i Massimo Zedda en llengua catalana, una de les llengues de Sardenya, que amb pari dignitat amb la llengua sarda pot esser utilitzada en totes les institucions de Sardenya. El debat que és comen at ahir amb la presentació de les primeres quatre moccións honora la nostra assemblea i obri una nova estajó de reformes que mos augurem pogui esser profìtós pel popul sard i per la nació sarda. Nosaltres volem contribuir a aquest debat amb la moccio que ara vos present.
Tenint en compte que: apareix sempre més evident l'agressió i el progressiu afebliment dels valors de llibertat, de igualtat i solidaritat politica, econòmica i social entre les comunitats nacionals, linguìstiques i culturals a Sardenya, a Itàlia i a Europa; que aquesta agressió és fmalitzada a la consolidació de teories i pràctiques de egoisme territorial de part de àrees econòmicament més riques i històricament més afavorides, directament i indirectament, de part de la intervenció pùblica de l'Estàt! centralista, sigui en les triades de desenvolupament econòmic i social, sigui en el transferiment dels pressupostos de l'Estat; que les dinàmiques en acte, funcionals a la divisió dels pòpuls, contrasten amb els principis de unitat en l'àmbit de la participació democràtica i del reconeixement de igual dignitat, explìcitament contenguts en la Constitució Republicana i declarats entre els principals elements constitutius de la Unió Europea; que la Sardenya pot representar un ùtil exemple de govern autònom, en un context europeu i mediterrani, com «terra de pau i de amistat entre els pòpuls», en clara contraposició amb teories i pràctiques de egoisme, de marginació de les diversitats, de rebuig de la relació i de la cultura de la solidaritat.
Considerada la crisi actual de les formes estatuals unitàries, que al sècul XX se són configurades i consolidades, i el conflicte entre la defensa i l'afirmació de les identitats i los processos de globalització en acte.
Considerat que: són ùtils i urgents reformes polìtiques, econòmiques i socials coherents amb els valors enunciats, que representin un instrument eficaç de afirmació dels drets de les persones i de les comunitats, en una perspectiva de pacìfica i cooperativa convivència entre els pòpuls, a partir de l'area euro-mediterrània; aquestes reformes se tenen de posar en marxa, pel que concerneix la Sardenya, a començar de l'estipulació de un nou pacte entre l'Estat Italia i la Unió Europea; les mateixes reformes tenen de enfortir els valors de llibertat, de igualtat, de solidaritat i de pau, ja conquistats de la Constitució republicana, a través de formes més avançades de auto determinació i concurs solidari també de orientació federalista, respecte a aquelles ja expressades en la Ilei constitucional n. 3 del 1948, delibera 1) de promoure la revisió de l'Estatut i la conseguent aprovació de part del Consell regional en base a l'article 54 de la Ilei constitucional n. 3 del 1948, en funció de l'aconseguiment dels objectius de reforma indicats en la premissa, amb la participació activa de tot el sistema institucional locai, de les organitzacions polìtiques i socials, del món de la cultura i de la solidaritat en les formes de Ilei més oportunes a qualificar aquesta participació; 2) de sotmetre aquesta proposta de revisió, segons el citat article de Ilei constitucional, al judici i a la recollida de firmes dels ciutadans sards en tots els municipis de la Sardenya.
A questo punto sono obbligato a riprendere il mio discorso in lingua italiana, così come mi impone l'articolo 133 del Regolamento del Consiglio, che non condivido ma rispetto. In ogni caso, anticipo che, con i colleghi, come me catalano-parlanti, Mario Bruno e Pietro Fois, presenterò una iniziativa perché il catalano possa, all'interno del Regolamento del Consiglio regionale, trovare pari ufficialità insieme alla lingua sarda e alla lingua italiana. La lingua catalana è arrivata in Sardegna nel XIV secolo e oggi è patrimonio dell'intero popolo sardo.
Entro nel merito dell'argomento: abbiamo detto e abbiamo sentito che è arrivato il momento di uscire dalle chiacchiere e di passare ai fatti, il discorso è che il progetto, che in questo momento si trova in mano di pochi, forse di un'elite, deve trasformarsi in un progetto di tutti e quindi in una volontà popolare. La svolta era sicuramente matura e c'è stata in questi ultimi anni per effetto di una iniziativa tenutasi il 24 gennaio a Santa Cristina di Paulilatino. In quella occasione c'è stato un dibattito tra le forze indipendentiste e autonomiste e i rappresentanti di un'area indipendentista autonomista durante il quale si è elaborata l'idea - proposta da Pietrino Soddu - di un ordine del giorno voto da presentare al Consiglio regionale (così com'è stato fatto poco dopo) e in più la mozione del Partito Sardo d'Azione che ha sollevato il problema sull'indipendentismo.
Io partecipai a quella riunione di Santa Cristina insieme agli amici Giovanni Colli, Bustianu Cumpostu e Gavino Sale, che rappresentavano l'area più indipendentista, mentre l'indipendentismo e l'autonomismo più moderato (diciamo così) era rappresentato da Pietrino Soddu, Renato Soru e da me, coordinati da Salvatore Cubeddu per la "Fondazione Sardinia", che è quella che poi elaborò l'ordine del giorno voto presentato in Consiglio regionale.
Il problema è come entrare in questo argomento. Il fatto è che puntualmente, come i fenomeni atmosferici, dopo ogni crisi economico-sociale, il grido "indipendentzia" ritorna ed echeggia nelle aule, nelle strade e nelle piazze della nostra Sardegna. Così è accaduto - com'è stato ricordato di recente - nell'immediato dopoguerra o nella terribile crisi della metà degli anni '70 per il fallimento della chimica e dell'industria in Sardegna. La crisi che attraversiamo oggi non è solo una crisi della Sardegna, è una crisi globale, è una crisi universale, è una crisi che coinvolge molti altri aspetti. In Sardegna si mette in evidenza non solo la crisi economica, occupativa e sociale ma anche una crisi identitaria di noi tutti, una crisi di valori, di sardi smarriti nell'inseguimento di modelli inadeguati e forse estranei alla stessa Sardegna.
Occorre oggi recuperare un sentimento identitario, il popolo sardo ha tutti gli elementi essenziali di una nazione, lo hanno detto anche altri e continuano a dirlo e a ripeterlo autorevoli esponenti titolati per affermarlo. La Sardegna ha un territorio chiaro e ben delimitato, la Sardegna ha una lingua propria e una cultura propria, aveva una società e un'economia differenziata che la caratterizzavano, ha soprattutto una coscienza chiara della sua peculiarità, della sua diversità con altri popoli e nazionalità e ha soprattutto una storia millenaria che la contraddistingue come tale anche se è una storia caratterizzata più da dominazioni e presenze estranee che non da momenti di autonomia e di indipendenza. Credo che sia sufficiente una mano per elencare i rari momenti, come dire, di rivolta, di impennata d'orgoglio; dobbiamo arrivare al lontanissimo periodo dei Sardi Pelliti con Amsicora o all'età giudicale con Eleonora d'Arborea o al tentativo fallito della sarda rivoluzione di fine settecento che ha lasciato per noi solo il ricordo della festività di "Sa die de sa Sardinia".
Il popolo sardo ha tutte le carte in regola per aspirare a un'indipendenza, però per raggiungere l'indipendenza, e quindi uno stato proprio, bisogna comunque affrontare la questione in modo diverso, anche se raggiungere uno stato proprio non vuol dire risolvere tutti i problemi di un popolo; senza un'autonomia vera e reale, i nostri problemi di base non avranno soluzione. Nulla è impossibile in democrazia ma occorre che una maggioranza vera lo voglia e lo realizzi, questa maggioranza sicuramente deve essere una maggioranza parlamentare ma soprattutto deve essere una maggioranza nata tra i cittadini e tra il popolo sardo.
L'idea di sardismo, l'idea di Sardegna nazione, l'idea di indipendenza non è solamente un culmine del sentimento nazionale ma è soprattutto un sistema di forze e di progettualità che devono condurre la Sardegna a dar vita a una società più giusta, più solidale, più efficace e più libera. Questo è il sentimento che mi pare di cogliere oggi nei vari documenti presentati e nella volontà diffusa in questa Aula, devo dire più nei singoli consiglieri regionali che non nelle forze politiche che questi hanno espresso. Un popolo, una nazione senza Stato, subordinata a uno Stato fuori dal suo controllo, corre costantemente il pericolo di scomparire ingoiata dall'espansionismo economico, politico e culturale della nazione dominante o dello Stato del quale fa parte, vedi quello che abbiamo subito per la lingua e la cultura sarda, elementi identitari dei sardi.
Ieri Paolo Maninchedda ha affermato: "Lo Stato in Sardegna dobbiamo essere noi perché diversamente lo Stato non sarà mai per noi", è in qualche modo questo il succo, il frutto di quello che sto affermando. E' indispensabile però lavorare per creare nell'opinione pubblica un clima necessario che porti a rivendicare l'esercizio del diritto all'autodeterminazione.
Tantissime volte in questa Aula è stata citata come esempio la Catalogna, a cui sono legato da relazioni e rapporti molto stretti e fraterni. però la Catalogna vive una realtà e una storia, soprattutto, diverse. I catalani intanto hanno un forte sentimento nazionale che nasce da una storia importante; alla fine del X secolo, rompendo il rapporto di vassallaggio col Re dei Franchi, i catalani danno vita allo Stato autonomo di Catalogna, inizia così un percorso che durerà per secoli e porterà i catalani e la confederazione catalano-aragonese (dico "la confederazione catalano-aragonese" quindi uno Stato confederale) a essere protagonisti in Europa e nel Mediterraneo. La situazione entra in crisi sicuramente per effetto del matrimonio dei re cattolici, esattamente quando Ferdinando di Aragona sposa Isabella di Castiglia; allora la Catalogna perde - come dire? - quella sua condizione di autonomia per collocarsi all'interno di quella che sarà la sfera del futuro Stato spagnolo, perdendo poi il prestigio a seguito della scoperta dell'America e quindi per una politica economica che cambia nel mondo.
La Catalogna continuerà però a rivendicare questa sua storia e questo suo diritto a essere una Nazione con uno Stato, anche se brutalmente i sogni dei catalani vengono interrotti l'11 settembre 1714 (giorno che oggi i catalani celebrano come "El dìa gran de Catalunya") con l'ingresso delle truppe di Filippo V a Barcellona e la capitolazione definitiva dello Stato indipendente di Catalogna; ci sarà poi l'esperienza del XX secolo, durante il periodo franchista, ma anche in quel caso vi fu la soppressione con l'ingresso delle truppe di Franco e il bombardamento di Barcellona per poi arrivare agli anni '79-'80 col ripristino delle regole democratiche in Spagna e in Catalogna. Il 28 novembre di quest'anno si terranno le elezioni cosiddette autonomiche per l'elezione della nuova Generalitat de Catalunya mentre sono in corso in tutta la Catalogna i referendum popolari organizzati dai comuni per chiamare i cittadini a esprimersi sull'indipendenza della catalanità.
Ma l'aspetto che volevo sottolineare, a parte questo rapido excursus storico, è che in Catalogna l'idea di indipendenza e di libertà si respira quotidianamente e non ciclicamente a seguito delle crisi economiche o di eventi straordinari, è un sentimento diffuso e rivendicato quotidianamente dal popolo catalano. Arriveranno all'indipendenza? Non lo so, glielo auguro, me lo auguro, come lo auguro a tutte le nazioni senza Stato che rivendicano di raggiungere un'autonomia, naturalmente collocate in una realtà diversa. Autonomie ne abbiamo conosciuto, nel XX secolo, la Norvegia la ottiene dalla Svezia nel 1905, la Finlandia nel 1917, la Polonia nel 1918, l'Ungheria nel 1918, l'Irlanda nel 1937, l'Islanda (con referendum dalla Danimarca) nel 1944, Malta nel 1964 con un referendum, mentre in questi giorni abbiamo la nascita di nuovi Stati a seguito del crollo dell'Impero sovietico e della ex Jugoslavia e della situazione che si è venuta a creare nella realtà dell'Est. Io credo che siano comunque realtà abbastanza diverse da quelle che viviamo noi come realtà all'interno dello Stato italiano e della nazione sarda.
Con la nostra mozione, noi proponiamo metodi diversi, metodi che ci paiono adeguati ai tempi. Bisogna innanzitutto prendere atto che sono maturi i tempi, così mi pare tutti voi sosteniate, per la revisione dello Statuto anche perché sono cambiati gli scenari; da oltre vent'anni è progredito e si è ampliato il potere normativo europeo sulle normative regionali e nazionali che hanno radicalmente cambiato la situazione e lo scenario in cui eravamo vissuti sino agli anni '80. E' stato attivato un controllo della spesa e introdotto il patto di stabilità conseguente ai parametri di Maastricht e imposta la stabilità monetaria e la difesa dell'euro. Si è proceduto alla modifica del Titolo V della Costituzione, lo Statuto sardo è del 1948, è uno Statuto superato perché è nato e conciliato dentro uno Stato nazionale.
L'ambito nel quale noi oggi vorremmo muoverci è un ambito completamente diverso, lo scenario all'interno dello stesso Stato italiano è modificato, pensiamo alla presenza della Lega, il federalismo, i mutamenti, il federalismo fiscale e, mentre stanno per aprirsi le celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, lo Stato italiano presenta seri sintomi di disgregazione. Nel frattempo, il 2010 è arrivato come momento per area di libero scambio nel Mediterraneo. Allora, se si torna a questa situazione, bisogna ragionare, avanzare delle idee, noi l'abbiamo fatto portando un contributo con la nostra mozione. L'Italia è uno Stato con più di una nazionalità, bisogna lavorare per rafforzare la solidarietà tra le nazionalità però, non all'interno dello Stato italiano, ma all'interno di un'Europa, non la costruzione di domini politici e competizioni esasperate di mercato ma dobbiamo costruire un'Europa moderna, diversa, che guardi al futuro. Bisogna migliorare la gestione e i processi delle varie opportunità a vantaggio di tutti non solo in Italia e in Europa ma, come abbiamo detto in altre occasioni, nel Mediterraneo.
Noi rivendichiamo per la Sardegna, proprio perché guardiamo al Mediterraneo, un ruolo importante e affermiamo che la Sardegna deve diventare terra di pace e amicizia tra gli uomini, spazio d'incontro tra le diverse sponde del Mediterraneo. Il Popolo sardo oggi ha bisogno di una svolta, la Sardegna necessita di un nuovo corso, chi deve essere protagonista di questa svolta? Sicuramente io credo che al Parlamento dei Sardi spetti un ruolo determinante, importante, di stimolo, di promozione, ma non solo al Parlamento dei Sardi, io credo a tutti i Sardi. Sergio Atzeni, parlando di una Sardegna molto lontana, dice, o fa dire, che occorrono meno guerrieri e più pastori, stiamo parlando della Sardegna dei Sardi Pelliti, oggi io credo che di pastori forse, abbiamo visto, ce ne sono fin troppi, i guerrieri lasciamoli da parte perché non appartengono alla nostra cultura. Io credo che occorrano realmente menti illuminate, uomini autorevoli e determinati, per poter realizzare quello che noi diciamo, la partecipazione attiva dell'intero sistema istituzionale locale, delle organizzazioni politiche e sociali, del mondo della cultura, della solidarietà, nelle forme di legge più idonee a qualificare detta partecipazione e proponiamo di sottoporre la proposta di revisione, ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto sardo, alla valutazione dei cittadini sardi in tutti i comuni della Sardegna.
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 81 ha facoltà di illustrarla.
DIANA MARIO (P.d.L.). Presidente, prima di iniziare il mio ragionamento, la invito a far consegnare a tutti i colleghi la mozione integrale presentata dal P.d.L. poiché quella che è agli atti manca di una pagina, credo che sia opportuno che il Consiglio venga adeguatamente informato.
PRESIDENTE. Onorevole Diana, provvediamo, però nel frattempo può illustrare la mozione.
DIANA MARIO (P.d.L.). Presidente, credo che questa sessione di lavori sia da ascrivere, per quanto mi riguarda, almeno per la mia breve o lunga esperienza in questa Aula, certamente come uno dei fatti più rilevanti delle ultime tre legislature. Ho ascoltato con attenzione il decano del Consiglio, il collega Contu, che certamente più di me ha partecipato, più di noi ha visto e sentito, per cui non posso che confermare che questa è una sessione assolutamente straordinaria, di un'importanza che probabilmente non è ancora stata capita all'esterno, forse da noi sì.
Leggo con attenzione la stampa, mi paiono riferimenti giornalistici di scarso spessore. Stiamo affrontando una materia che è in assoluto la più importante, quella che più di altre può dare risposte, non solo per oggi, ma per oggi, per domani e, credo, per i prossimi sessant'anni, visto che ancora oggi citiamo i Padri che hanno partorito il nostro Statuto, li citiamo dopo sessant'anni, abbiamo ancora necessità di citarli! Pochissimi interventi, mi pare, si sono riferiti a colleghi, consiglieri regionali, personaggi illustri della storia sarda, che non appartengono a quel periodo. Insomma, io ho la presunzione di pensare, dovremmo averla tutti, che fra cinquant'anni qualcuno citi qualche ragionamento che è stato fatto in quest'Aula e che gli atti parlamentari, che ci apprestiamo a mandare avanti, possano essere ricordati dalle nuove generazioni.
Credo che questo debba essere l'approccio importante per capire la rilevanza di ciò che noi stiamo dicendo. Non è semplice la materia, nella nostra mozione abbiamo parlato di riforma dello Statuto, forse è limitativo parlare solo della riforma dello Statuto perché, come tutti voi sapete, non esiste solo lo Statuto della Regione Sardegna, esiste la legge statutaria, alla quale dobbiamo metter mano, esiste la modifica della legge numero 1, esiste tutta una serie di norme collegate delle quali non possiamo assolutamente non fare menzione.
Esiste poi un altro argomento, più nuovo questo, che è stato abbondantemente citato ieri dal collega Maninchedda, quello relativo al federalismo fiscale, che è un'altra materia che ci deve vedere impegnati molto. Non so con quale collegamento tra le modifiche statutarie, la legge statutaria, la legge numero 1 e il federalismo fiscale, certo è che sono quattro argomenti dei quali noi dobbiamo interessarci, e molto, tra l'altro non so se quest'Aula sia sufficientemente attrezzata per affrontarli. Qui s'innesca un meccanismo diverso relativamente a chi, come, quando e in quali tempi debba avvenire il pronunciamento definitivo da parte del Consiglio regionale.
Negli anni passati, lo riconfermo qua, mi sono schierato contro l'Assemblea costituente, mi sono schierato contro la Consulta, rimango ancora oggi convinto che questa sia la sede deputata per scrivere il nuovo testo costituzionale, con tutte le possibilità che abbiamo sulla base dell'articolo 42 dello Statuto, sulla base del Regolamento, sulle Commissioni, può essere la prima Commissione, ma può essere una Commissione speciale, non metto limiti a questo; ritengo che noi siamo disponibili tutti ad affrontare con serenità il metodo migliore e più condiviso che quest'Aula potrà indicare.
Faccio questo ragionamento per evitare di illustrare la mozione, che credo debba essere attentamente letta, ma ovviamente contestualmente alle cose che sto dicendo sto anche illustrando la mozione. Ci sono degli argomenti che rischiano, o potrebbero rischiare, di compromettere quella che noi identifichiamo come la strada maestra. Dobbiamo essere tutti quanti uniti in questa battaglia, non possiamo trovare un solo argomento che ci veda contrapposti in maniera pesante. Per questo faccio riferimento a un passo dell'intervento del collega Maninchedda: "Noi Sardisti siamo d'accordo a dichiarare il principio dell'indipendenza separatamente dagli atti legislativi per rendere praticabile l'attività legislativa nel contesto normativo attuale, perché questo significa essere riformisti e non rivoluzionari, ma lo Stato deve sapere ufficialmente che con noi qualsiasi accordo è sempre e solo una tappa di un percorso…", mi fermo qui perché sarebbe inutile andare avanti. Credo che, in queste parole, in queste cinque o sei righe, ci sia ovviamente l'abilità di un docente universitario, una persona che molto lavora con la testa, e voglio dire che devono essere lette con attenzione, mi pare di individuare comunque un'apertura in uno scenario che altrimenti ci potrebbe vedere fortemente divisi. Non vado oltre su questo argomento, credo di essere stato sufficientemente chiaro.
C'è un punto nel quale dobbiamo stare attenti. Leggevo ieri notte un passaggio che è riferito a Plutarco, il quale, a proposito della politica, diceva: "Che cos'è la politica? E' l'arte di far apparire vero il falso". Noi dobbiamo veramente dimenticarci di questa cosa, perché per troppo tempo e per troppi secoli la politica è stata questo. Non possiamo vendere ciò che non abbiamo, non possiamo raccontare frottole, noi dobbiamo andare al sodo, dobbiamo cercare di immaginare uno Statuto, una legge costituzionale, che appartenga ai sardi, che non sia un punto fermo.
Per ritornare all'inizio del mio ragionamento, non vorrei che, fra sessant'anni, i nostri eredi, i colleghi consiglieri che ci succederanno nelle numerosissime legislature, possano ancora una volta ricordare l'esperienza che noi stiamo vivendo oggi e non aver fatto niente in questi ulteriori sessant'anni. Non possiamo permetterci di avere uno Statuto statico, deve essere una materia in continua evoluzione, anche nella trattativa con lo Stato e col Governo, per cui io credo che sia necessario e indispensabile mettere in piedi tutta una serie di atti per arrivare poi alla stesura definitiva dello Statuto, ma che non sia un punto fermo: l'Europa cambia, il mondo cambia, l'Italia cambia, cambia anche la Sardegna. E' cambiata tanto in questi sessant'anni, però, se andiamo a verificare, la Sardegna è cambiata ma non sono cambiati i rapporti tra noi e lo Stato italiano. Questa è la realtà delle cose!
Allora, questa non è una colpa dello Stato, non è una colpa del Governo, è una responsabilità forse nostra, anzi direi per certi versi molto nostra; perché, guardate, negli anni in cui si è scritto lo Statuto sardo si scriveva anche lo Statuto siciliano e, per la nostra testardaggine di allora, noi non ci siamo equiparati alle rivendicazioni della Regione Sicilia, per cui abbiamo avuto i 3 decimi e non i 9 decimi e non abbiamo avuto tutta una serie di riconoscimenti che loro hanno avuto già da allora, che peraltro non hanno adeguato neanche loro successivamente.
Io vorrei dire però che la Sardegna è assolutamente diversa dalla Sicilia: la nostra distanza con il resto del territorio nazionale è un elemento traumatico che, allo stesso tempo, ci agevola nella salvaguardia delle nostre tradizioni, della nostra cultura, del nostro modo di intendere le cose. Quello che noi dobbiamo caratterizzare con il nuovo Statuto, non è di imporre allo Stato, perché non possiamo imporre niente allo Stato, ma di veicolare lo Stato verso una forma di devoluzione, verso una forma di riconoscimento di Statuti speciali che lo aiutano, non che gli creano problemi. Se io fossi Governo, se io fossi parlamentare, se io fossi Stato, ma credo, se fossimo tutti quanti noi, agevoleremmo questo percorso nel dire allo Stato di stare attento che con quel comportamento non può andare da nessuna parte e che deve cercare di capire quali sono le necessità dei territori, soprattutto di quei territori che, credo possiate leggerlo nella mozione, hanno delle caratteristiche particolari, ma lo sappiamo tutti quanti.
Bene, allora noi dovremmo aiutare lo Stato a devolvere, a partecipare, anche con una riscrittura del nuovo Stato italiano che si deve tenere quei quattro o cinque punti che non possono essere devoluti. Parlo della giustizia, della sicurezza, dell'insieme delle risorse finanziarie che devono essere ripartite nel territorio, perché ci sono alcuni argomenti che non possono essere patrimonio delle Regioni, men che meno della Sardegna, altrimenti andremmo incontro a una stesura che, solo dal punto di vista dei termini, verrebbe impugnata immediatamente e bocciata sia in prima che in seconda lettura. Noi dobbiamo scrivere delle regole, dobbiamo scrivere una legge che ci metta al riparo da questo, non possiamo permetterci di sbagliare!
Ecco perché dobbiamo stare molto attenti; ecco perché è necessario che ci sia un grande coinvolgimento del Consiglio e, se fosse necessario, anche un referendum. Non possiamo presentarci con una norma che nasce qui dentro e viene presentata da qui dentro. Non è possibile! Potremmo anche trovare l'accordo, così come dice il Regolamento, per l'approvazione dello Statuto e poi inviarlo alle Camere, inviarlo al Governo, ma io credo che non possiamo rischiare di sbagliare in questa fase, è indispensabile che il popolo sardo si renda conto di che cosa stiamo facendo.
Inoltre stiamo attenti a un'altra cosa, non lasciamo per strada, anzi non diamo la possibilità che si cavalchi una strada che, in qualche maniera, crei disagio sociale o problemi all'interno del popolo sardo; è troppo facile, quando le cose vanno male, pensare come prima cosa di mandare a quel paese la nazione Italia, il Governo italiano, il Parlamento, il Senato, la Camera e quant'altro! Diventerebbe troppo facile, diventerebbe come la battaglia dei pastori, è facile oggi scendere in piazza e fare i capipopolo, guai a chi prendesse questa decisione, perché questo è un momento veramente difficile per la Regione Sardegna ma può diventare un momento estremamente importante se noi riusciamo a lavorare in questa direzione.
Noi non chiudiamo la porta ad alcun tipo di proposta che arriva, siamo disponibilissimi, è chiaro che cerchiamo un consenso molto diffuso, e lo cerchiamo, non all'interno delle forze di maggioranza, ma all'interno del Consiglio regionale. Io credo che questa sia la strada maestra, una strada che deve tracciarci un orizzonte futuro, che non riguarda il centrodestra, che non riguarda il centrosinistra, che non riguarda neanche le nuove e future esperienze politiche che si vedranno fra vent'anni, fra trent'anni, quando magari ci saranno solo due partiti, quando magari ce ne sarà uno solo e le minoranze saranno minoranze emarginate. Non possiamo permetterlo! E non possiamo neanche consentire che una battaglia non condivisa possa diventare una fiammella continua che alimenta per il futuro ma che poco produce. I sardi hanno bisogno di qualcos'altro, dobbiamo essere tutti convinti, dobbiamo essere molto convinti delle cose che facciamo.
Allora, stiamo tutti quanti attenti, studiamo le modalità, le possiamo ricercare, anche in Conferenza dei Capigruppo si è detto di non entrare troppo nel merito, l'invito che mi pare di aver rivolto e che ribadisco è di cercare di individuare la strada più semplice, più facile, quella che ci accomuna di più. Presidente, siamo tutti quanti disponibili a fare un passo indietro, credo che con le fughe in avanti nulla si possa ottenere; sono convinto che noi abbiamo la forza, la capacità e la giusta attenzione per i problemi. E' un momento difficile, non solo per la Sardegna, è un momento difficile per lo Stato italiano, per l'Europa, non c'è nessuna possibilità che in Europa nascano nuovi Stati, leviamocelo dalla testa perché andremmo fuori dall'Europa, non è possibile! Quindi noi dobbiamo fare i conti con lo scenario politico e istituzionale che ci ritroviamo in Europa e in Italia. Le fughe in avanti, anche di forze politiche nazionali che oggi governano, le leggiamo, spesso e volentieri non le condividiamo: noi vorremmo essere partecipi di un'Italia che non ha nord e sud, noi vorremmo essere partecipi di un'Italia che vive tutta bene.
Certamente torneremo tante volte sul federalismo fiscale, perché possiamo inventare il federalismo asimmetrico, possiamo inventare il federalismo solidale, possiamo dire che i costi standard non ci vanno bene. Certo, non ci vanno bene i costi standard, qualcuno lo ha già detto, perchè ci sono dei costi che al centro nord Italia sono facili da avere come costi standard mentre c'è una parte del meridione d'Italia e della Sardegna dove è difficilissimo che i costi standard possano tenere il passo delle altre Regioni. Per cui io spero che non sia breve la discussione che ne scaturirà, spero che tutti i colleghi abbiano la voglia e la volontà di dire come la pensano, anche di interpretare quello che udiamo fuori (molte cose udiamo fuori) e credo che sia opportuno che noi ci facciamo sentire di più.
Non sarebbe stato male forse avere la diretta, non so se ci sia, ma credo che probabilmente i mass media dovrebbero dedicare di più a questo dibattito e meglio; credo che una pagina al giorno dei quotidiani più rappresentativi della Sardegna dovrebbe essere dedicata a questo momento, non si può pensare di dedicare la terza pagina o la seconda pagina ad argomenti che oggi sono assolutamente insufficienti per quello che noi stiamo dando. Un trafiletto, due colonne o tre colonne: qui si sta scrivendo la nuova storia della Sardegna! O se ne prende coscienza, ne prendono conoscenza anche quelle persone che come noi possono rappresentare ciò che sta accadendo, o altrimenti lo dobbiamo fare noi e, per farlo noi, credo che ci dobbiamo attrezzare tutti all'interno dei nostri gruppi politici, all'interno dei nostri partiti, all'interno delle organizzazioni per partecipare, per discutere, dobbiamo sentire il polso della situazione. Vedremo se saremo capaci di fare questo, io credo che la strada non sarà in salita, sarà certo una strada difficile, avrà anche dei pericoli ma ritengo che tutto sommato noi abbiamo la capacità di andare avanti.
Se seguiremo questi e altri consigli e suggerimenti, che nascono e che sono nati già da voi, e quelli che potranno nascere nelle pieghe delle discussioni, io credo che il percorso sarà certamente molto più agevole e forse un domani qualcuno potrà ricordare le parole dette oggi dal collega Maninchedda o dal professor Maninchedda.
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 82 ha facoltà di illustrarla.
ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Presidenti, cummenti ha nau su collega Sechi, a pitzus de s'articolu 133 de is arregulas de su Consillu regionali, chi pretendiri sa traduzioni de is motzionis scrittas in lingua sarda in lingua italiana, quindi appu fattu sa traduzioni, e deu immoi m'attengu. Agattu chi custas arregulas funtis medas offensivas. Is arregulas de su Consillu funtis medas offensivas po su Populu sardu, chi ndidi segada ancora sa lingua. Sicché appu fattu sa traduzioni, e deu immoi liggiu, cummenti ha fattu calincunateru, su compitu scrittu in custa lingua de is dominadoris colonialis.
Quindi passo all'italiano perché sono costretta. Questa è una storia di lingua tagliata e, come avviene ovunque in tutti i processi di colonialismo, la prima azione di oppressione di un popolo è il taglio della lingua e la sepoltura della propria cultura. Noi siamo in questa fase.
Premesso che, in quest'Assemblea, i valori di sovranità e di autodeterminazione sul significato identitario della nazione sarda meriterebbero un trattamento in lingua sarda... Presidente, c'è un po' di brusio, io posso interrompere, non vorrei continuare...
PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Zuncheddu. Colleghi, per cortesia!
ZUNCHEDDU (Comunisti-Sinistra Sarda-Rosso Mori). Ritengo che la lingua sarda sia uno strumento a cui noi non possiamo rinunciare, uno strumento che ci ha consentito di ereditare il ricco patrimonio identitario dei nostri padri e delle nostre madri.
Sulla mozione presentata: ribadisco, in un momento di grande crisi economica, sociale, politica della Sardegna, la necessità di affrontare in termini concreti il tema della sovranità, visto e considerato che mi pare che siamo tutti d'accordo sul fatto che esiste un popolo sardo, esiste una storia, esiste una cultura, esiste una lingua, seppur tagliata, esiste la piattaforma continentale, diciamo che esistono tutti i presupposti per ribadire che la Sardegna è una nazione che chiede di essere uno Stato sovrano. Questo è il mio indipendentismo. Riaffermando il diritto del popolo sardo a difendere e rafforzare l'autogoverno della Sardegna, come previsto dallo stesso patto costituzionale, riconosciuto con lo Statuto del 1948, così mal applicato che ancora oggi ne vediamo i frutti, il diritto del popolo sardo alla propria autodeterminazione e autogoverno in quanto popolo ed etnia, siccome molto si specula attorno al concetto di etnia, io pregherei chi ha grossi dubbi di andare a leggersi Simon Mossa.
E' questo un diritto del nostro popolo, come per tutti i popoli, sancito dal diritto internazionale e dai deliberati delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli. Considerato che abbiamo vissuto il dramma dei sessant'anni di autonomia, sessant'anni che avrebbero dovuto togliere la Sardegna dalla miseria e dal sottosviluppo, purtroppo così non è stato, i sessant'anni di autonomia sono stati un processo di colonizzazione feroce che ha praticamente dirottato altrove i grossi flussi di danaro arrivati e diretti al popolo sardo per lo sviluppo della propria economia. Per cui sono anni in cui la borghesia compradora si è arricchita impoverendo il popolo sardo e, cammin facendo, si è radicata all'interno delle istituzioni. Oggi tutta la classe politica sarda è chiamata in causa a rispondere della grande crisi che abbiamo in corso e soprattutto a prendere dei provvedimenti.
Dichiarata conclusa ormai storicamente la rinuncia alle proprie sovrane istituzioni nel 29 novembre 1847 e solo in parte recuperata nello Statuto del 1948, sono basi da cui ripartire, oggi non riconosciamo la validità della petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell'Isola "rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati Regi di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…". Questa è una deliberazione del Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847. Così come non riteniamo valida la concessione della "perfetta fusione" deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con regio biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso il plebiscito, come avverrà negli altri stati italiani in vista dell'unità del 1861, trasgredendo palesemente il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e principalmente priva del voto dei tre Stamenti sardi, unico organo deputato alla risoluzione di questa questione internazionale.
Riteniamo che il processo di riscrittura dello Statuto sardo debba ribadire i valori e i principi di autodeterminazione di indipendenza e di autogoverno nazionale del popolo sardo e della sua aspirazione a essere nel Mediterraneo centro di pace, benessere ed equità sociale e che tale processo storico di riscrittura e di autodeterminazione non possa essere prerogativa esclusiva del Consiglio regionale o di sue commissioni nel rispetto della sovranità popolare e della identità nazionale del suo popolo.
Affermiamo il diritto inalienabile del popolo sardo alla partecipazione popolare al nuovo processo assembleare costituente attraverso un dibattito politico culturale ed economico che veda la partecipazione democratica delle comunità sarde alla riscrittura e all'approvazione dello Statuto anche attraverso un referendum popolare. In attesa dell'inizio di questo processo costituzionale di confronto con lo Stato italiano e in sede diversa con la Comunità europea, ribadiamo il rispetto dei valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia e di benessere propri dei popoli e delle nazioni libere.
Riteniamo che il processo di autodeterminazione e di indipendenza nazionale non possa prescindere da una vastissima condivisione del popolo sardo, partendo dalla difesa e dall'affermazione della sua identità culturale, storica, etnica, linguistica e ambientale, delle sue economie tradizionali e dell'aspirazione del popolo alla felicità. Quindi noi impegniamo, come momento di affermazione di sovranità e di rottura della dipendenza coloniale, l'Assemblea dei sardi e i suoi organi di governo a un confronto serrato con lo Stato italiano, teso a ribadire nell'emergenza il diritto del popolo sardo alla sovranità sul proprio territorio, alla smilitarizzazione di quelle aree gravate da servitù militari, alle bonifiche dei siti gravati da servitù industriali e militari, alla restituzione dei fondi dovuti ai sardi derivanti dalle entrate fiscali e non solo, abbiamo i fondi FAS e comunitari sottratti in modo illegittimo dallo Stato italiano al nostro popolo. Quindi chiediamo un impegno alla difesa e al rilancio delle economie tradizionali, agro-pastorali, artigianali, ittiche, eccetera, con stanziamenti urgenti di fondi adeguati alla drammaticità della crisi in corso, e la costituzione di una flotta marittima propria, pubblico-privata, per garantire la continuità territoriale di persone e merci.
Noi chiediamo che questa massima Assemblea dei sardi inizi a mettere in atto le iniziative suddette per la rottura dei processi di dipendenza dallo Stato italiano e l'apertura di una nuova stagione di processi di sovranità e indipendenza. L'indipendenza non possiamo chiederla per gentile concessione, l'indipendenza sarà un processo molto lungo, fatto di momenti di sovranità, e in questo Consiglio, in un anno e mezzo, abbiamo avuto molte opportunità per esercitare la sovranità della Regione Autonoma della Sardegna sullo Stato italiano e questo non è stato fatto. Per cui richiamo la classe politica attuale al senso delle responsabilità e all'assunzione delle responsabilità, anche di quest'ultimo anno e mezzo di lavoro, e mi rivolgo soprattutto al centrodestra che mai nella storia ha caratterizzato una simile forte dipendenza dallo Stato italiano; se è necessario noi chiediamo di arrivare anche a uno scontro.
Chiudo perché, fra l'altro, noto molto disinteresse, purtroppo questi grossi temi non toccano molto da vicino l'Assemblea, mi sono fatta questa idea, se no si presterebbe maggiore attenzione, anche per quelle posizioni che possono essere le più scomode o le meno condivise.
PRESIDENTE. Prego i colleghi di prendere posto e di dedicare più attenzione agli interventi. Chi vuole conversare lo può fare fuori dall'aula. Grazie.
Uno dei presentatori della mozione numero 85 ha facoltà di illustrarla.
VARGIU (Riformatori Sardi). Signor Presidente del Consiglio, colleghi consiglieri regionali, signor Presidente della Regione, noi Riformatori abbiamo scelto di introdurre il nostro ragionamento sulle riforme istituzionali della Regione Sardegna partendo dall'Assemblea costituente, è il senso e il nocciolo della mozione che noi abbiamo presentato. Parlando dell'Assemblea costituente in un'Aula che… collega Diana, meno male che non c'è la televisione! Parlando della Costituente, quando quindici anni fa iniziammo, noi Riformatori, a ragionare sui temi dell'Assemblea costituente del popolo sardo per la scrittura del nuovo Statuto, due furono le obiezioni sostanziali che ci vennero poste: la lunghezza dei tempi, esageratamente lunghi, e il fatto che la Costituente rappresentasse soltanto uno strumento. In altre parole si diceva che, è vero, i sardi scriveranno, attraverso l'Assemblea costituente, il loro nuovo Statuto, ma che cosa scriveremo dentro il nuovo Statuto? Il tema fondamentale è quello dei rapporti pattizi con lo Stato e di ciò che sarà il contenuto dello Statuto.
Bene, quindici anni dopo, ripeto, noi Riformatori abbiamo scelto di riparlare in aula di Costituente perché forse è interessante riallacciare il discorso al risultato che la Costituente ha o non ha ottenuto. Per quanto riguarda i tempi, se la classe politica dirigente sarda… sarà un tema su cui cercherò di tornare durante il mio ragionamento più volte… se la classe dirigente politica sarda, quindici anni fa, avesse capito l'importanza che la Costituente poteva avere in un'epoca in cui ancora si poteva parlare di Statuto speciale e di rapporti pattizi tra Regioni e Stato, forse oggi noi ci troveremmo in una situazione ben diversa da questa e, comunque, i tempi, che l'Assemblea costituente avrebbe avuto per poter vedere realizzate le proprie attività, sarebbero stati ben differenti e ben inferiori rispetto ai quindici anni di immobilismo e di inattività che, su questo argomento, il Consiglio regionale ha avuto continuando ad arenarsi nelle proposte politiche delle parti che le hanno presentate in questo Consiglio.
Per quanto riguarda il secondo ragionamento, la Costituente è soltanto uno strumento, serve per scrivere qualcosa, ma poi ci deve essere una sede, ci deve essere una classe dirigente, ci deve essere una sensibilità generale del popolo sardo che decida cosa mettere dentro lo Statuto. Guardate, mi sembra che, anche su questo punto, i fatti abbiano dato ragione ai Riformatori, i quali hanno sempre sostenuto che la Costituente non era uno strumento, ma era essa stessa sostanza, perché era essa stessa momento di crescita di quell'identità di popolo che oggi sembrerebbe, a parole, emergere dai ragionamenti della maggior parte degli intervenuti in quest'Aula, ma che sicuramente è un processo che quindici anni fa non era compiuto e, dal mio punto di vista, dal punto di vista dei Riformatori, è un processo che sicuramente non è compiuto neanche in questo momento.
Allora, vengono introdotti in quest'Aula, in maniera forse provocatoria o forse neanche provocatoria, dei temi che sono sempre stati nella suggestione della nostra terra, i temi dell'indipendenza. Bene, io credo che i Riformatori sui temi dell'indipendenza abbiano una posizione nota e assolutamente serenamente proponibile in Aula. Noi ci sentiamo sardi, al 100 per cento sardi, esattamente come ci sentiamo italiani, per motivi storici, e abbiamo senso di appartenenza nei confronti dell'Italia, e ci sentiamo, in chiave moderna, europei, al 100 per cento europei. E' questa la nostra risposta di fronte al progetto politico. Ma l'indipendenza non è soltanto un progetto politico, il concetto di indipendenza, così come quello della Costituente, è anche un sentimento, e forse è più importante come sentimento che come progetto politico, perché lo stesso collega Mario Diana ha notato come la crescita di un senso di identità in Sardegna avvenga attraverso sentimenti. Il collega Mario Diana, credo a nome dell'intero Gruppo P.d.L., ha detto che i momenti di difficoltà sono quelli in cui il sentimento popolare si orienta verso le scorciatoie, che qualche volta sembrano semplici ma che alla fine rischiano di diventare più problematiche da gestire rispetto al problema stesso.
Questo è vero, ed è la parte negativa della medaglia, ma le medaglie hanno un'altra parte che può essere letta in senso positivo. Noi vogliamo leggerla in senso positivo perché siamo convinti che il sentimento di identità deve crescere, e non dentro il Consiglio regionale, ammesso che sia importante che cresca qui, ma fuori dal Consiglio regionale, e di questo sentimento di identità dobbiamo riuscire a dare contenuti a quelle tre paroline che il decano del Consiglio regionale, onorevole Contu, ha detto in conclusione dell'illustrazione della mozione che ha fatto ieri: fiducia, consenso, coesione del popolo sardo. Io vi chiedo se oggi noi siamo in grado di registrare fuori da quest'Aula, intorno a un progetto di confronto con lo Stato, fiducia, coesione e consenso del popolo sardo. No, non siamo in grado di registrarlo, il che significa che il sentimento di identità del nostro popolo deve crescere, deve crescere intorno a bandiere e le bandiere, se non riusciamo a fornire bandiere condivise e accettabili, come dice giustamente l'onorevole Diana, diventano anche le bandiere delle scorciatoie, dalle bandiere delle scorciatoie cerchiamo di tirare fuori ciò che di buono possono avere.
Cerchiamo di avere bene in mente, colleghi del Consiglio regionale, il contesto, perché i nostri ragionamenti non sono decontestualizzati, noi non siamo sul pianeta Marte, noi siamo qui, a rappresentare un popolo, a rappresentare la gente che ci ha eletto, in un contesto, e il contesto è chiaro. Il contesto nazionale è quello del federalismo asimmetrico, anche se mi vengono a dire in tanti che sono previsti fondi di perequazione, che sono previsti dei fondi di redistribuzione di reddito e via dicendo; badate, col federalismo che si andrà a realizzare, che forse è imminente con i decreti attuativi del maggio 2011, qualcuno ci guadagna e qualcuno ci perde! Allora, se la Sardegna è tra chi ci guadagnano, andiamo avanti sereni verso il federalismo, se ci ha convinto quello che abbiamo letto, quello che stanno scrivendo, quello che scriveranno, che noi rischiamo invece di essere tra quelli che non ci guadagnano e tra quelli che non ci guadagnano in maniera più pesante, insomma, attrezziamoci! Chiunque sappia che gli sta per arrivare una tegola in testa, sarebbe un folle se la aspettasse porgendo la fronte! E' necessario che noi abbiamo consapevolezza e che la trasferiamo fuori da quest'Aula, dove forse ce l'hanno già e più di noi, e ci attrezziamo per rispondere a scenari che in parte conosciamo e possiamo prefigurare.
Ha ragione il collega Maninchedda: noi rappresentiamo una Regione che ha delle peculiarità straordinarie in Italia perché, purtroppo o per fortuna, siamo la terza regione in estensione, con 24 mila chilometri quadrati di superficie e con una popolazione che supera a stento il milione e 600 mila abitanti. Abbiamo delle difficoltà non soltanto di collegamento con la terraferma, ma di collegamento interno in Sardegna, che rendono difficile garantire i LEA. Che cosa sono i LEA? Il collega Maninchedda lo ha spiegato: sono livelli essenziali di assistenza. Essi non valgono solo per la sanità, valgono per la scuola, per la giustizia, per l'ordine pubblico, per qualsiasi servizio che noi dobbiamo portare per esempio a Esterzili! Una cosa è il "118" con le ambulanze a Milano per 3 milioni di popolazione racchiusi in un fazzoletto di terra, un'altra cosa è portare le ambulanze del "118" a Esterzili! Una cosa è portare l'istruzione a Esterzili, una cosa è portare la giustizia, le poste, i servizi essenziali a Esterzili! Di questo noi dobbiamo avere la consapevolezza. Se siamo cittadini a pieno diritto di uno Stato-Nazione che è l'Italia, i cittadini di Esterzili hanno sostanzialmente diritto a livelli essenziali di servizi che siano paragonabili a quelli dei cittadini di Milano, di Roma e di qualsiasi altra realtà metropolitana della nostra terra, altrimenti non esiste questa identica e uguale parità di opportunità. Qual è la risposta che noi stiamo dando?
Bene, chiediamoci, in riferimento a questo contesto nazionale, qual è il contesto locale, cioè che cosa sta succedendo in Sardegna. A ogni convegno a cui andiamo, ci vengono ripetuti i dati ISTAT. Anche da poco un "grande vecchio", non gli vorrei far torto in questo, intendo dire una persona che ha grande saggezza ed esperienza e che le sta ponendo ancora oggi con grandi capacità al servizio della Sardegna, Pietro Soddu, li ha forniti in un convegno che abbiamo svolto nell'Oristanese, ricordandoci che i dati Istat dicono che noi andiamo verso una Sardegna che, nel 2040, sarà una ciambella: la crosta sulle coste, con la localizzazione prevalente del milione e 200 mila abitanti previsti dall'Istat, il buco al centro, senza abitanti o con abitanti che hanno sempre più difficoltà ad avere dei servizi degni di tal nome.
Benissimo! C'è un piano inclinato, stiamo scivolando in questo piano inclinato e noi siamo consapevoli (lo siamo!) di qual è il piano inclinato sul quale siamo. Noi siamo la classe dirigente della Sardegna! Siamo la classe politica dirigente della Sardegna, che cosa stiamo facendo? Ci sta bene scivolare su questo piano inclinato in un contesto nazionale che è quello che ci siamo detti? Benissimo, allora dobbiamo semplicemente approvare la finanziaria ogni anno. Non serve nient'altro da quest'Aula. Non ci sta bene? E' evidente che è quest'Aula il punto di riferimento a cui guarda e a cui dovrebbe guardare l'intera Sardegna per coltivare la speranza che si possa cambiare qualcosa, che si possa invertire il trend di un piano inclinato che sembra condannarci a un destino di decadenza sociale complessiva.
Che cosa stiamo facendo in quest'Aula, centrodestra e centrosinistra? Guardate, lascio a voi la risposta perché non ho vocazione all'autoflagellazione, non mi sento di sminuire quello che sto facendo io e quello che avete fatto voi in aula, però, riprendendo il ragionamento del collega Diana, qui non ci sono le televisioni e non ci sono i giornali, sui giornali di domani non saremo in prima pagina. Non mi sento di dare la colpa di questo alle televisioni e ai giornali. Forse è meglio che non ci siano, così, se il livello del dibattito odierno non fosse altissimo, saremmo meno bersagliati dall'opinione pubblica, ma se non ci sono, c'è un motivo. Forse non pensano che qui ci sia una sessione storica del Consiglio regionale e, se non lo pensano loro, che tutto sommato sono i detentori della sensibilità diffusa che c'è in Sardegna sulle cose, è possibile che non lo pensi il popolo sardo, che non lo pensi il resto della classe dirigente sarda che non fa parte del Consiglio regionale, i sindaci, le province, eccetera eccetera.
E' possibile che questa non sia una seduta storica del Consiglio regionale. Alla fine almeno il dubbio ci deve venire! Io non credo però che sia un difetto della nostra classe politica. Qui è stata citata, io faccio ormai parte da dieci anni dell'Aula, l'ho sentita cento volte, la famosa frase di Lussu che, di fronte allo Statuto neoconfezionato, disse: "Invece del ruggito di un leone, siamo di fronte al miagolio di un gatto". Insomma, ragazzi, ai costituenti sardi, come tutti noi sappiamo, venne offerta l'occasione di adottare lo stesso Statuto della Regione Sicilia, che era uno statuto avanzato, che era uno statuto probabilmente di maggiore autonomia e sovranità, per usare delle parole moderne, rispetto a quello che adottammo noi!
Noi decidemmo invece di adottarcelo da soli, litigammo un bel po' e alla fine uscì fuori quello Statuto che uno dei costituenti, non uno che stava fuori dall'Aula, non uno che non apparteneva alla classe politica dirigente di allora, uno che non era riuscito a convincere gli altri, evidentemente, della bontà delle sue idee, finì col classificare come "il miagolio di un gatto"! Ecco, questa rischia di essere ancora oggi un'Aula che miagola, rischia di essere ancora oggi un'Aula che non è in grado di ruggire, ma se non siamo in grado di ruggire, cominciamo a chiederci perché non siamo in grado di ruggire e se vogliamo ruggire. Capisco bene che se io fossi un modesto amministratore, sarebbe difficile fare di me un grande statista, però oggi la Sardegna ha bisogno di questo, cioè ha bisogno che noi, da consiglieri regionali che si occupano del territorio, diventiamo statisti della Regione Sardegna.
Questa è la realtà vera delle cose, incontrovertibile! Può darsi che non siamo in grado di farlo, può darsi che non vogliamo farlo, può darsi che non ci interessi farlo, ma almeno abbiamo l'idea chiara che questo è quello che serve e se non lo vogliamo fare o, se non lo sappiamo fare, sono problemi nostri, però su questo ragioniamo. Non è pensabile che quest'Aula vada avanti a bizantinismi e pensi che la classe dirigente stia ragionando da un'altra parte e non qui dentro, non è pensabile che noi non ci poniamo nuovi obiettivi economici, nuovi scenari di sviluppo, nuove sfide, questo è il nostro compito, quindi a questo siamo chiamati, non a litigare tra centrodestra e centrosinistra e poi tra centrodestra al nostro interno e tra il centrosinistra, tra di voi, al vostro interno. Non è l'obiettivo che noi possiamo avere in questa fase storica se abbiamo piena consapevolezza di ciò che dobbiamo affrontare!
Concludendo, dico che, alla fine dei lavori di quest'Aula, avremo una prima risposta sulla nostra capacità di fare cose nuove e diverse. A me è sembrata in alcuni momenti più una seduta di autocoscienza collettiva, di quelle che si fanno dallo psichiatra, che una sessione storica del Consiglio regionale impegnato sulle riforme. Ora, alla fine di questo dibattito importante che stiamo facendo, forse abbiamo diverse soluzioni. La prima è quella di andarcene come siamo entrati, in ordine sparso, ognuno con la sua tesi in testa, ognuno contento di averla cantata a se stesso e ai pochi che lo hanno ascoltato, senza alcun rapporto con ciò che succede fuori, senza nessun rapporto con la realtà; la seconda è quella di uscire dando o cercando di dare corpo a quel sentimento di coesione e di condivisione che la Sardegna ci chiede e che deve essere un sentimento che si traduce in atti concreti dell'intero Consiglio regionale, stiamo parlando di riforme, non di "leggine"! Se siamo in grado di fare questo, è possibile che stiamo andando nella direzione giusta.
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 87 ha facoltà di illustrarla.
BRUNO (P.D.). Signora Presidente del Consiglio, signor Presidente della Regione, Assessori, colleghi, questa sessione sulle riforme si svolge contestualmente alla fase attuativa del processo di riforma costituzionale in senso federale dello Stato. Non è un fatto secondario. In tutti noi c'è la consapevolezza che, a differenza del passato, non ci è concesso rinviare la riscrittura di un nuovo patto costituzionale con lo Stato e contestualmente non ci è concesso non proporre con forza la partecipazione attiva della Sardegna al processo di attuazione del federalismo fiscale. Se falliremo nel nostro intento, saranno altri a decidere per noi, questa consapevolezza richiama noi, legislatori sardi, a una sfida alta e ambiziosa. Non potremo permetterci, colleghi, di fermarci come in passato sul metodo, sul contenitore, come l'ha chiamato l'onorevole Contu nell'intervento di ieri, con il quale ha brillantemente illustrato un analogo ordine del giorno voto.
Questa sessione è, invece, un'occasione unica per iniziare il confronto sul percorso, sul cronoprogramma da adottare per arrivare al risultato della riscrittura dello Statuto, di una nuova legge statutaria, di una nostra legge elettorale, anch'essa statutaria, di una nuova legge di organizzazione della Regione; insomma, in ultima analisi, per iniziare il confronto sul contenuto concreto da dare all'autonomia speciale oggi. Dobbiamo darci dei tempi stretti, forse l'anno che ha indicato ieri il collega Maninchedda è fin troppo una scadenza lunga. Sappiamo tutti che la specialità della Sardegna non è un tema di poco conto. Le Regioni speciali, nel nuovo ordinamento federale, non sono più un dato scontato. In molti vorrebbero cancellarle, complice l'avanzare delle Regioni ordinarie che hanno compiuto quarant'anni e che godono di buona salute e di una rinnovata vitalità espressa dall'evolversi dell'assetto costituzionale dello Stato e dalle previsioni del federalismo.
Ecco il nostro compito, compito arduo di questa Assemblea, è intanto definire le ragioni della nostra specialità. Un compito che, seppure attribuito al Consiglio regionale, all'Assemblea dei sardi, non può essere affrontato senza il più ampio coinvolgimento delle donne e degli uomini della nostra isola, delle associazioni, delle istituzioni anche locali, dell'università, delle forze sociali, culturali, sindacali. I principi e le scelte, che dovrà contenere il nuovo Statuto, la nuova Carta costtituzionale della Sardegna, dovranno appartenere al patrimonio di tutti i sardi.
La mozione numero 87, che illustro, ha significato soprattutto per il metodo che indica. Il Consiglio regionale, ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto di autonomia, fa voti al Parlamento nazionale. Sappiamo che questo sistema è stato usato dal Consiglio regionale solo una volta, a metà degli anni '60, mi pare sul Piano di rinascita. Lo riproponiamo oggi con forza perché riteniamo possa essere lo strumento statutario per permettere al popolo sardo di partecipare pienamente al processo di riforma e di revisione federalista della Costituzione italiana e per veder riconosciuto, in un confronto paritario, aperto e responsabile con lo Stato, un nuovo Patto costituzionale fondato (così diciamo nel dispositivo della mozione e ci crediamo) sulla più alta ed efficace forma di autogoverno per l'autonomia sarda.
Riteniamo che, se l'Aula è d'accordo e se, col contenuto che concorderemo, porteremo a sintesi compiuta posizioni oggi distanti, dieci mozioni non inconciliabili, proprio l'ordine del giorno voto potrà essere il documento solenne in grado di chiudere la nostra sessione sulle riforme per aprire il confronto fra noi, per aprire il confronto con lo Stato.
Un ordine del giorno voto alla cui stesura può dare un apporto fondamentale, capace davvero di fare sintesi politica, la prima Commissione del Consiglio regionale, la Commissione autonomia, la Commissione Statuto che, alla conclusione del dibattito, dovrà condurre l'Aula alla definizione di un percorso e di una prima condivisione di metodi e di contenuti. Abbiamo detto nei giorni scorsi, parlando dell'attuazione del nuovo regime di entrate, anch'esso previsto dallo Statuto nella sua riscrittura dell'articolo 8, che lo Statuto, la sua attuazione e la sua revisione incidono concretamente sulla vita dei sardi, sullo sviluppo delle imprese, sul benessere delle famiglie. Stamattina su Facebook, uno strumento interattivo a nostra disposizione, in diversi mi hanno scritto: "Ma perché parlate di riforme? Pensate ai problemi della Sardegna! Parlate di cose concrete!". C'è questo sentimento diffuso che non stiamo parlando della "carne viva" dei sardi.
Allora, senza voler entrare in polemica, non è il momento, non si può non convergere sul fatto che mancano da anni interventi adeguati da parte dello Stato sul terreno della riduzione del divario economico, infrastrutturale e competitivo dell'Isola. Non solo, ma anche quando tali interventi sembravano, come negli anni appena trascorsi, una realtà, penso alla Sassari-Olbia, penso ai fondi FAS, penso soprattutto al nuovo regime di entrate, inserito nella nostra Carta fondamentale, essi sono stati posti in discussione, addirittura sono stati oggetto di scippo sistematico da parte dello Stato. E' chiaro che, se vogliamo essere credibili in questa rinnovata fase della vita autonomistica, dobbiamo pretendere con tutti i mezzi a disposizione, sotto il profilo giuridico e sotto il profilo politico, il rispetto dello Statuto in vigore e difenderlo con forza di fronte agli attacchi ripetuti e sistematici.
Dico al Presidente pro tempore (quindi - come tale - rappresentante legale della nostra Regione) che non basta una leale collaborazione a senso unico, occorre pari dignità e quindi autorevolezza, fierezza di guidare un popolo. Mi auguro che, al più presto, il Presidente possa documentarci sul percorso che dovrà portare al trasferimento delle risorse dovute entro l'anno in corso, ma soprattutto sull'avvio (perché di avvio dobbiamo parlare) di una politica contestativa nei confronti dello Stato, ormai indifferibile, partendo dalla presenza istituzionale della Regione e del Consiglio regionale, presidente Lombardo, alla manifestazione unitaria di sabato a Oristano. Noi riteniamo l'articolo 8, e la sua riscrittura, emblematico per far capire ai sardi la concretezza della fase di riforma dello Statuto che abbiamo di fronte. La vertenza entrate ha rappresentato uno straordinario successo per la Regione Sardegna, un successo che nessuno dovrebbe avere interesse...
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Bruno, colleghi, vi prego di prendere posto.
BRUNO (P.D.). Dicevo, un successo che nessuno dovrebbe avere interesse a sminuire perché consegna alla Regione intanto un bilancio risanabile e in più capace di finanziare nuovi e ingenti interventi pubblici, cioè di finanziare lo sviluppo, si tratta di 1 miliardo e 600 milioni in più all'anno, non una una tantum all'anno. Il nuovo calo delle entrate, messo in discussione dallo Stato proprio in questa fase di attuazione del federalismo fiscale, viene in rilievo in tutta la sua importanza, soprattutto in un momento nel quale vengono considerati privilegi quelli accumulati dalle Regioni speciali. Con l'articolo 8 abbiamo attuato lo Statuto vigente, lo abbiamo fatto al meglio e dobbiamo difendere quel risultato con la mobilitazione più ampia, al di là di commissioni paritetiche e di improbabili norme di attuazione.
Il risultato ottenuto non è la ricompensa da parte dello Stato per non aver attuato prima lo Statuto o un risarcimento di danni subiti, come qualche mozione dice; è molto di più, è innanzitutto la conferma della nostra specialità. Solo che ora è giunto il momento di fare un passo avanti decisivo, con più chiarezza forse rispetto al passato: lingua, cultura, trasporti, la nostra densità sono certamente alcune basi per definire speciali funzioni essenziali che generano costi anch'essi speciali, cioè costi che altri nel resto d'Italia non hanno, quindi diritti, quindi principio di uguaglianza.
Un buono e durevole federalismo richiede che di tutte le funzioni essenziali si definiscano i costi standard e che, sulla base di questi, si scrivano regole durevoli che rimangano sulla base di un benchmark, farlo con precisione e serietà significa anche non prestarsi a generiche e poco dignitose lamentele alle quali siamo stati abituati, a un'idea di specialità al ribasso, la nostra insularità come un vincolo, come un limite. Al contrario, consolidiamo l'ottimo risultato ottenuto nel 2007 difendendo quel regime di entrate, sottraendolo alla variabilità dei cicli politici nazionali che a volte sono favorevoli alla Sardegna e a volte, come in questo momento, la danneggiano. Ma non partiamo da zero, la nostra insularità è per noi una risorsa. E' nostra convinzione, lo diciamo nella mozione, che vi sia però sempre di più nei fatti una rinnovata condizione di dipendenza nei confronti del potere centrale romano, del potere politico, finanziario, economico, culturale, formativo, educativo, delle servitù militari, delle politiche energetiche, dei beni culturali, archeologici, artistici. Lo affermo perché è bene che siamo consapevoli che occorre un sussulto di dignità, dobbiamo essere rappresentanti fieri e autorevoli del popolo sardo e quindi interpreti del sentimento di autogoverno che non ha vincoli nell'appartenenza politica di partito, a partiti nazionali, a coalizioni omogenee a Cagliari come a Roma.
Vogliamo disegnare, o almeno questa è la nostra ambizione, pena l'ennesimo fallimento, un progetto che vada oltre i confini di questo momento storico, politico e sociale. Dobbiamo affermarlo con i fatti e non solo a parole. Allora, impostiamo il nostro lavoro costituente non perdendo mai di vista gli interessi concreti dei sardi, avendo sempre sotto gli occhi gli operai della Vinyls, i precari della scuola, i pastori, i disoccupati, giovani e adulti senza prospettiva, insomma, guardando in faccia la realtà senza astrarci da essa. Siamo in una fase di superamento, lo diciamo tutti, della attuale autonomia per far emergere una nuova fase capace di rispondere alle nuove domande suggerite da un contesto profondamente cambiato rispetto a sessant'anni fa. Domande che sono note, che chiedono una risposta tangibile; si parla di autogoverno come forma avanzata di specialità, avendo di fronte non solo il mutato contesto istituzionale dello Stato ma anche la crescente interdipendenza tra le diverse aree del mondo.
Molte materie rientranti in passato nella competenza degli Stati sono oggi sottoposte a una disciplina internazionale ed europea. Lo stesso patto di stabilità per fare un esempio è un vincolo internazionale che si riversa sui singoli Stati, sulle regioni, sulle autonomie locali. E' avvenuto negli anni un trasferimento di competenze tra Stati e Comunità europea, siamo di fatto in un'Europa che riconosce e valorizza le regioni come realtà istituzionali ed è nostro compito partecipare da protagonisti a un'Europa di popoli. In Italia la modifica del Titolo V della Costituzione ha sancito l'equiordinazione tra comuni, province, regioni e Stato con il rafforzamento delle regioni e una redistribuzione delle competenze. Tuttavia non è avvenuto il rovesciamento della piramide ed è mancata l'attuazione profonda del principio di sussidiarietà, impedendo quel modello a cerchi concentrici capace di attribuire poteri e risorse sulla base delle funzioni trasferite e della prossimità con i cittadini. Un federalismo è tale se è capace di disegnare anche un percorso interno, un federalismo interno, in un sistema a rete di autonomie che consolidi e rinforzi, per quanto riguarda la nostra Regione, per esempio il fondo unico per gli enti locali con risorse senza vincolo di destinazione e con l'attuazione del principio di sussidiarietà, di responsabilità, di adeguatezza. Non contrapponiamo al federalismo statale un neocentralismo regionale, rafforziamo ciò che di buono è stato fatto anche nel recente passato.
Autonomia per noi oggi significa interdipendenza, sussidiarietà, coesione sociale. Per noi l'autonomia speciale è soprattutto efficace strumento di sviluppo economico e sociale, una moderna forma di autogoverno democratico, espressione della specifica soggettività collettiva del popolo sardo. Proprio nell'era della globalizzazione e, in Italia, dell'attuazione di uno Stato federale, la nostra identità diventa ricchezza nel sistema nazionale nel quale ci riconosciamo, nella più alta unità e contemporaneamente nella più alta distinzione, tracciandone i presupposti nella nostra insularità sovrabbondante di storia, di cultura, di arte, insieme alla lingua, un riconoscimento di una carta di diritti essenziali e fondamentali; scuola, mobilità delle persone e delle merci, sanità, beni culturali, ambientali, paesaggistici, insomma nella mozione diciamo chiaramente che l'autonomia speciale, così come l'abbiamo conosciuta finora, è finita e ci rivolgiamo al Parlamento con pari dignità. Vogliamo che vengano riconosciuti, nell'ambito dello Stato italiano, i valori della nostra diversità, della nostra identità, della nostra specificità, intese come una ricchezza in sé e sancite da un patto costituzionale fra eguali. La sussidiarietà è ancora oggi un obiettivo realizzabile se il federalismo è solidale, fatto da un mix di capacità impositive e di flussi perequativi capace di non lasciare indietro nessuno.
Non mi è sfuggito, a proposito di solidarietà, il richiamo del collega Maninchedda nel suo intervento di ieri a chiusura dell'illustrazione. Ci richiamava al recupero autentico di un percorso che lui ha definito di fraternità, lo poneva a base del nostro lavoro costituente. Fraternità che è qualcosa di più della solidarietà ed è una categoria politica riscoperta, non nuova perché già in nuce, come sappiamo, nella rivoluzione francese, ma poi nella prassi abbandonata. Mentre la solidarietà rende uguali i diversi, quindi è presupposto di un nuovo patto di diritti sociali che renda uguali le regioni e i cittadini dovunque si trovino, la fraternità rende diversi gli uguali, come in una famiglia, è quindi presupposto della specialità autentica che valorizza la ricchezza e la identità di ciascun popolo nel quadro dell'unità dello Stato. La fraternità valorizza l'unicità, la irripetibilità di un popolo, la specialità. La solidarietà si occupa invece di attuare una perequazione che può essere verticale, orizzontale, necessaria, indispensabile nell'applicazione dei costi standard prevista dal federalismo fiscale.
Quando il collega Maninchedda dice, citando Mario Melis, "Lo Stato in Sardegna siamo noi", si muove nell'ambito di un contesto di sussidiarietà che può essere possibile, così almeno noi la pensiamo, solo in un nuovo patto costituzionale in cui non solo i diversi, le Regioni speciali, siano resi uguali cioè abbiano pari opportunità, ma gli uguali, cioè le Regioni già fatte tali, siano liberi e capaci di valorizzare la loro diversità. Questa non è filosofia, è la radice, così come noi la pensiamo, della sovranità, è la radice dell'interdipendenza.
Il collega Porcu fra poco nell'illustrare la mozione numero 88 elencherà alcuni principi che stanno alla base di uno statuto dei diritti così come noi lo concepiamo. Ci ritorneremo nel corso del dibattito, ora a noi preme soprattutto condividere un metodo e un percorso: riscrittura del patto con lo Stato, uno statuto dei diritti, legge statutaria, che sancisca forme di governo, poteri, funzioni degli organi, compatibilità, strumenti di partecipazione, tutto ciò che noi possiamo fare da soli senza l'intervento dello Stato; una legge elettorale della Sardegna, anch'essa statutaria, una legge di organizzazione della Regione, in grado di rafforzare l'amministrazione regionale, sono obiettivi percorribili, alla portata di mano, con un programma adeguato al processo in atto. Proprio nel tentativo di trovare la strada più agevole che consenta alle forze politiche di discutere finalmente di contenuti e di non fermarci al contenitore, Pietrino Soddu, il presidente Soddu, insieme alla "Fondazione Sardinia", come ha ricordato il collega Sechi, come ha ricordato ieri l'onorevole Contu, hanno lanciato l'idea dell'ordine del giorno voto, che abbiamo voluto raccogliere perché riteniamo sia una buona base di partenza e uno strumento efficace. Il documento ripercorre tutte le tappe dell'autonomia sarda, dalla fusione perfetta con il Piemonte, 1847, all'approvazione dello Statuto, 1948, per prendere atto che la condizione di dipendenza sia cresciuta, ma che la rivendicazione dell'autogoverno è sempre sentita dai sardi come condizione essenziale di riscatto.
Per noi, l'ordine del giorno voto è uno strumento che può consentire di inserirci nell'attuale fase di riforma della Repubblica in senso federale e di rinnovato patto con lo Stato. Dobbiamo, colleghi, confrontarci coraggiosamente nel merito, non mi spaventa il numero di mozioni quanto la delicatezza politica del momento storico che viviamo, anche del momento politico che vive la Giunta regionale e che ci richiama tutti a un'unità istituzionale che non metta da parte le singole posizioni politiche ma che valorizzi la visione di insieme, certamente più ampia, lungimirante, delle nostre vedute parziali. Una Sardegna che vuole farcela con i suoi mezzi rimboccandosi le maniche e che vede nell'istruzione, nelle politiche della conoscenza, della valorizzazione delle giovani generazioni, il faro per uscire da una notte oscura senza precedenti.
Abbiamo il dovere di confrontarci e contemporaneamente, attraverso magari la nomina di un Comitato tecnico-scientifico, dare alla Commissione autonomia e a questa Aula l'ausilio di esperti che consentano di arrivare in tempi ragionevoli al risultato auspicato. Il coinvolgimento della classe dirigente sarda, parlamentari, sindaci, presidenti di provincia, forze sociali, sindacali, dell'Università, dovrà essere condizione e garanzia di partecipazione e di unità. Le scuole, i consigli comunali, i comitati di quartiere dovranno essere messi in condizione di discutere i nostri documenti, di farci pervenire proposte in modo da rendere accessibile, e direi di moda, un percorso che, in ultima istanza, dovrà trovare il suggello con un referendum popolare. Insomma, vi sono le premesse per un buon lavoro, dipende da noi, una sfida che è bene cogliere con serietà, con tutta la serietà che comporta, a noi il compito di non dividerci almeno su questo e di guardare innanzitutto agli interessi della Sardegna.
PRESIDENTE. Uno dei presentatori della mozione numero 88, ha facoltà di illustrarla.
PORCU (P.D.). Colleghi, intervenendo per ultimo in questo dibattito e avendo ascoltato tutti i colleghi, ho avuto la fortuna di poter fare qualche riflessione. Mi sembra di capire che l'obiettivo principale, l'ha ricordato bene il collega Diana, diventi oggi non tanto quello di segnare differenze nel merito ma di verificare se esiste un percorso, un metodo condiviso che possa in questa circostanza non bloccare sul nascere il processo di revisione dello Statuto. Credo che, pur accogliendo pienamente l'invito e ribadendo la disponibilità data dal mio Capogruppo ad affrontare questo percorso di riforme, sia però importante anche affrontare una riflessione di merito. E' stato detto che bisogna essere pronti a fare passi indietro, in alcune circostanze saremo chiamati a fare passi avanti, ma ci sono anche aspetti per i quali dobbiamo essere chiari nel dire da subito che rimarremo fermi sulle nostre posizioni. Se guardiamo alla sostanza del ragionamento che è emerso in questi giorni, e alle riflessioni che ne sono scaturite, riscontriamo che, per tutti gli interventi, l'attuale ordinamento della Repubblica è risultato in qualche modo insufficiente, deficitario, lo si considera non all'altezza delle aspettative dei Sardi. In qualche modo, la storia degli ultimi 100-150 anni sembra che non abbia consentito al nostro Popolo di superare una condizione di arretratezza materiale, è rimasto per certi aspetti ancora troppo ampio il divario economico e infrastrutturale che separa la nostra Regione da altre aree del paese.
Però, secondo molte di queste analisi e di questi interventi, la responsabilità è prevalentemente di un'Italia che ci appare, o è apparsa ai relatori, matrigna e di uno Stato centralista e predatore. In alcuni di questi interventi il Risorgimento è una pagina da cancellare e, secondo alcune delle mozioni firmate, l'orologio della storia sarda va riportato al 1847, cioè ai tempi della "perfetta fusione", deliberata da Carlo Alberto. Per fortuna, su come proseguire, ci sono tempi e sfumature molto diverse, in cui si auspica il superamento dell'attuale Patto costituzionale ma, in alcuni casi, nella fase prescrittiva delle mozioni e negli interventi, si parla di maggiore autonomia e autogoverno, in altre posizioni si arriva ad auspicare il disimpegno istituzionale nei confronti dello Stato, per arrivare a una vera e compiuta indipendenza e a una possibile sovranità di un futuro Stato sardo, all'interno di una riforma ulteriore della Costituzione italiana in senso federale.
Allora, io voglio dire con molta chiarezza che queste posizioni appaiono ad alcuni di noi, certamente a me, del tutto antitetiche; richiamo il fatto che, nell'accezione giuridica, il "sovrano" è colui che non ha altro potere o autorità da cui dipende. In altre parole, la sovranità equivale al concetto di indipendenza, ma l'autonomia non è un elastico che, esteso, diventa sovranità; l'espressione "autonomia e sovranità" non è un'endiadi, è piuttosto un ossimoro. Quindi pretendere di utilizzare, quale direttiva dei lavori di redazione di un nuovo Statuto speciale, sia il concetto di autonomia, sia quello di sovranità, equivale a sovrapporre due concezioni che per noi sono radicalmente differenziate, sul piano storico, sul piano logico, e anche sul piano costituzionale.
Voglio essere chiaro, siamo a un bivio, e lo saremo nella prosecuzione del dibattito, o ci poniamo dentro l'attuale quadro costituzionale, allora dobbiamo accontentarci di chiamarci "autonomisti", certamente in forme più ampie, più compiute, più efficienti, o aspiriamo a rompere quel patto e ci dichiariamo "indipendentisti", non ci sono vie di mezzo. Non possiamo assumerci la responsabilità di essere confusi, di parlare di sovranità; lo dico a quelli che lo fanno, alcuni parlano di sovranità compiutamente e consapevolmente, pensando invece a un rafforzamento dell'autonomia, magari al solo scopo di intercettare i nuovi sentimenti indipendentisti, che sono segnale certamente di un'aspirazione ideale, ma anche di un malessere che è presente nella nostra società. Non è per noi solo una questione di percorribilità costituzionale, ci sono autorevoli sentenze della Corte che anticipano gli ostacoli che noi troveremo su quel percorso al di fuori del quadro attuale, ma c'è anche un pericolo concreto nel richiamare, com'è stato fatto in quest'Aula, assetti dello Stato confederali o catalani.
Parlare oggi della necessità del superamento dell'attuale quadro costituzionale rischia, lo dico fortemente, di rompere gli argini che esistono nella nostra Costituzione alle logiche del federalismo competitivo e non solidale, di ispirazione leghista, che sono del tutto contrari allo spirito dell'articolo 119 della Costituzione, nei commi 3 e 5, che sono proprio quelli che garantiscono che tutti i cittadini della Repubblica non siano discriminati nei loro diritti sociali, sulla base della diversa ricchezza prodotta o della diversa capacità impositiva.
Alla Sardegna mancano 5 miliardi all'anno per essere in equilibrio tra spesa pubblica primaria e prelievo fiscale, non l'abbiamo detto in quest'Aula, forse è bene ricordarlo. La Sardegna non è la Catalogna! La Catalogna è la Lombardia della Spagna, è in una situazione opposta alla Sardegna, ha un eccesso di prelievo fiscale rispetto alla spesa pubblica; oggi richiamare quel modello rischia di dare via libera alla concezione leghista del federalismo, dove ogni Regione deve vivere solo di quello che produce, è una visione che noi contestiamo fortemente. Sarebbe paradossale che, in un momento di trasformazione federale dello Stato, fossimo proprio noi Sardi a rinunciare ai principi di solidarietà, perequazione e coesione sociale, richiamati dalla Costituzione italiana.
Credo anche che stia sbagliando chi dice di non credere alla leva perequativa, prevista per le Regioni a Statuto speciale dall'articolo 22 della legge numero 42 del 2009 sul federalismo fiscale. La trattativa per accedere a quel fondo perequativo andrebbe fatta, e va fatta, con lo stesso Governo con il quale andrebbero negoziati gli indennizzi, molto difficili da riconoscere e da quantificare, quanto per 5 anni, per 10 anni, 50 miliardi, 100 miliardi, per i presunti danni, che saranno certamente contestati dal Governo, dovuti alle politiche pluridecennali di sfruttamento della nostra Isola da parte dello Stato italiano. Quindi, prima di avventurarci su questo terreno, credo che sia dovere di ognuno di noi, componenti di questa Assemblea, ricordarci e ricordare che le riforme non sono mai un fine, ma devono essere un mezzo, attraverso il quale promuovere concretamente i diritti sociali dei Sardi, che oggi sono sempre più minacciati, questo sì, dalla crisi generale del sistema produttivo, dal collasso della coesione sociale della nostra comunità, di cui la protesta dei pastori è soltanto l'ultimo esempio.
Dobbiamo anche ricordarci, colleghi, senza per questo voler marcare differenze, lo dico anche rivolto al presidente Cappellacci, che ringrazio per essere oggi in Aula, che la revisione dello Statuto non può essere un alibi per le manchevolezze dell'attuale classe dirigente politica. La scorsa legislatura, a guida del centrosinistra, ha dimostrato che molto si può fare anche nell'attuale patto costituzionale con lo Stato, in materia di maggiori risorse finanziarie, di acquisizione di competenze, di promozione dei diritti sociali all'istruzione, alla mobilità, all'accesso alle grandi reti dell'energia, dell'acqua e dell'informazione digitale.
Ci sono quindi responsabilità gravi per l'arretratezza della nostra terra che riguardano anche le classi dirigenti sarde presenti e passate, non solo dello Stato. La verità è che oggi una discussione che fosse eccessivamente ideologica, vaga e astratta corre il rischio di farci arrivare in ritardo all'appuntamento con il federalismo e di non cogliere quell'occasione, che ci offre la legge sul federalismo, di una giusta rivendicazione a una perequazione finanziaria degli svantaggi strutturali e dell'insularità, che ci consenta di acquisire nuove competenze, per esempio in materia di ambiente e di istruzione. Mi rivolgo all'onorevole Diana, primo firmatario di una mozione del centrodestra, noto purtroppo che, nella mozione della principale forza di maggioranza, si parla di tutto, anche dei temi di libertà d'intrapresa che non aspettano certo il nostro Statuto per essere regolati, ma non di perequazione. Spero che sia una dimenticanza e non il frutto dell'inconciliabilità tra l'essere meridionalisti alleati del Partito Sardo a Cagliari e nordisti alleati della Lega a Roma.
Onorevole Diana, siamo pronti a lavorare su quello che ci unisce e a privilegiare in questa fase l'accordo sul metodo, rispetto al confronto faticoso sul merito che affronteremo nelle prossime settimane, almeno lo auspico. Ma occorre fare presto, dodici mesi sono troppi, il Governo non attende l'esito del dibattito in quest'Aula e procede a rapidi passi con i decreti legislativi sul federalismo fiscale: è ormai pronto quello sui fabbisogni e i costi standard in materia di sanità ed è partito da tempo il conto alla rovescia che porterà anche noi sardi nel 2011 a discutere delle norme di attuazione del federalismo fiscale.
Credo che sia giunto il momento di fare una proposta sul metodo, la faccio convintamente e spero che l'onorevole Diana e tutta l'Aula vogliano prestare attenzione per ascoltarla. Onorevole Vargiu, non c'è tempo per nuove assemblee costituenti. Io credo che l'unica strada per la revisione dello Statuto sia quella prevista dall'articolo 54 del nostro Statuto, cioè una commissione speciale che (potrebbe essere la prima Commissione rafforzata in modo da dare a tutti i Gruppi e alle componenti di quest'Aula la possibilità di partecipare) dovrebbe elaborare il nuovo Statuto in un periodo di non più di quattro mesi, coinvolgendo nella redazione le principali forze sociali dell'Isola. Alla fine di questa redazione, il testo andrebbe approvato da quest'Aula e sottoposto a un referendum consultivo per dargli ulteriore legittimazione, nell'arco di tempo massimo di ulteriori sessanta giorni. Ripeto, la nostra discussione sarà concretamente utile soltanto se si concluderà entro un massimo di quattro, cinque o sei mesi: solo in questo modo noi saremo pronti all'appuntamento con le norme di attuazione del federalismo fiscale.
Tra l'altro, sappiamo che molto difficilmente il nostro Statuto sarà approvato dai due rami del Parlamento, allora a che cosa serve questa discussione? Io credo che serva comunque, perché la revisione dello Statuto ha senso soltanto se diventa uno Statuto-manifesto, una carta dei diritti sociali dei sardi con la quale dare forza alla nostra negoziazione sul nuovo assetto federale dello Stato che dovremo affrontare, appunto, entro la primavera del 2011. Proprio l'approvazione unanime da parte di questo Consiglio di un progetto di riforma di Statuto entro il mese di gennaio, legittimato come ho già detto dal referendum, sarebbe la formidabile base politica attraverso la quale negoziare le norme di attuazione sulla legge sul federalismo fiscale. Quindi uno Statuto per la promozione dei diritti sociali dei sardi, che contenga pochi principi snelli che rappresentino per il Consiglio regionale, per la Giunta e per tutte le forze politiche un impegno da perseguire già nell'immediato, tale da non dover attendere di essere approvato dal Parlamento per essere in qualche modo vincolante per tutti noi; una proposta che contenga già la definizione dei parametri oggettivi attraverso i quali implementare i meccanismi perequativi e la previsione e definizione di ulteriori interventi utili a promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale della nostra Regione.
Insomma, credo che almeno per questa volta, in questa circostanza, noi dovremmo assumerci pienamente la responsabilità di essere rappresentanti del popolo sardo, di tutto il popolo sardo; dobbiamo essere pragmatici e concreti, dobbiamo lavorare su quanto ci unisce ma essere anche consapevoli che i vecchi sistemi del passato, le rivendicazioni sterili, sono in qualche modo inefficaci, e sono inefficaci anche nei confronti dei processi di globalizzazione che avanzano (lo hanno richiamato alcuni colleghi) e che hanno messo in discussione anche l'efficacia delle singole politiche nazionali rendendo utili e importanti anche organismi di carattere sovranazionale, basti citare la finanza, le politiche ambientali, l'energia, le politiche per l'immigrazione.
Allora, io credo che tutto questo sarà possibile veramente solo se noi saremo capaci di avere come stella polare dei nostri comportamenti non le bandiere e le ideologie delle singole forze politiche ma il progresso autentico della nostra Sardegna.
PRESIDENTE. Comunico che il consigliere Paolo Dessì è rientrato dal congedo.
Il Consiglio è riconvocato alle ore 16 e 30 di questo pomeriggio.
La seduta è tolta alle ore 12 e 04.
Allegati seduta
Testo delle interrogazioni annunziate in apertura di seduta
Interrogazione Zuncheddu - Uras - Sechi - Zedda Massimo, con richiesta di risposta scritta, su tempistica e modalità della liquidazione anticipata delle semestralità di concorso regionale sugli interessi relative ai contratti di mutuo a tasso agevolato concessi ai sensi delle leggi regionali n. 30 del 1975 e n. 44 del 1988, articolo 5, e della legge n. 984 del 1977.
I sottoscritti,
PRESO ATTO CHE:
- l'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale ha concesso e liquidato con rispettivi decreti assessoriali ai sensi delle leggi regionali n. 30 del 1975 e n. 44 del 1988, articolo 5, e della legge n. 984 del 1977, il concorso regionale sugli interessi per trenta semestralità (e/o il numero previsto contrattualmente), in anticipo rispetto ai relativi finanziamenti agevolati e contrattualmente previsti fino a 15 anni;
- come dichiarato dallo stesso Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale, la novazione contrattuale può avvenire solo per mezzo di un "soggetto novato", ovvero attraverso un figlio, un parente stretto o comunque una persona di fiducia che dovrà acquistare l'azienda agricola indebitata contraendo un nuovo mutuo con la garanzia della Regione; comunque non per mezzo dei titolari delle stesse aziende indebitate;
- tale procedura comporterà per i titolari delle stesse aziende indebitate gravi conseguenze a livello sociale e morale in quanto ad essi sarà precluso a vita l'accesso al credito, senza dimenticare che si tratta di persone già duramente provate da aste giudiziarie che le hanno private non solo delle proprie aziende, frutto di sacrifici di generazioni e anni di lavoro, ma addirittura in numerosi casi delle propria abitazione e di quel poco che rimaneva loro per poter condurre una vita modesta, nonché spettatori inermi di sentenze di I, II e III grado, sempre a favore del sistema bancario;
CONSTATATO che:
- in base a ricorrenti informazioni la Regione autonoma della Sardegna avrebbe liquidato dei fondi a copertura di 30 rate semestrali (e/o il numero delle rate previste contrattualmente), quale concorso nell'appianamento di debiti, che però risulterebbero, nella maggior parte dei casi, essere di ammontare superiore rispetto all'ammontare complessivo del finanziamento concesso dagli istituti di credito;
- il mondo agro-zootecnico e serricolo risulta fortemente indebitato non soltanto a causa della speculazione operata dal sistema bancario, ma anche per corresponsabilità specifica degli organi di controllo della Regione; in particolare in relazione ai contratti condizionati di mutuo ai sensi della legge regionale n. 44 del 1988, articolo 5 - vicenda che necessita di un approfondito chiarimento;
- anche e soprattutto per tali motivi ancor prima di procedere a qualsiasi procedura di novazione contrattuale sarebbe logico, necessario ed indispensabile che gli organi competenti accertassero la vera entità dell'indebitamento delle aziende in crisi;
SOTTOLINEATO che:
- anche l'operato istituzionale del Presidente della Regione e in particolare dell'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale nei confronti dei titolari delle aziende indebitate e soprattutto nell'interesse di tutti i contribuenti, deve risultare sempre trasparente, indipendente, imparziale e nel pieno rispetto di ogni norma a tutela degli operatori del settore agricolo e zootecnico,
chiedono di interrogare il Presidente della Regione e l'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale per sapere:
1) se a loro risulti che siano state liquidate anticipatamente le 30 semestralità (e/o il numero previsto contrattualmente) di concorso regionale sugli interessi, relative ai contratti di mutuo a tasso agevolato;
2) se, qualora tale fatto fosse accertato, risulti vero che le risorse destinate alla liquidazione delle 30 semestralità (e/o il numero previsto contrattualmente), non siano state effettivamente utilizzate ai fini dell'appianamento dei debiti delle aziende agricole e, in tal caso, come siano state effettivamente impiegate;
3) quale indebitamento sarebbe stato appianato con la liquidazione anticipata delle 30 semestralità (e/o quelle previste contrattualmente) del concorso regionale sugli interessi;
4) chi sarebbero i beneficiari delle operazioni di trasferimento (tracciabilità completa dalla data del relativo decreto assessoriale fino alla data dell'assegnazione definitiva del contributo sugli interessi) di risorse finanziarie regionali, registrate al protocollo, poste in essere dalla Tesoreria regionale, dall'Assessorato e dell'Ispettorato dell'agricoltura e in relazione alle 30 semestralità (e/o quelle previste contrattualmente) del concorso regionale sugli interessi, concesse e liquidate in anticipo con decreto assessoriale. (406)
Interrogazione Sanna Matteo, con richiesta di risposta scritta, sulla delimitazione e le disposizioni necessarie per l'operatività della zona franca di Olbia come richiesto nel decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75, in attuazione dell'articolo 12 del vigente Statuto d'autonomia speciale della Sardegna.
Il sottoscritto,
CONVINTO che la Sardegna abbia bisogno di una nuova stagione politica che con la riscrittura del nostro statuto autonomistico, acquisendo nuove e cruciali competenze in tutti i settori della cultura e dell'economia, possa affrontare i cambiamenti della realtà dovuti anche al trascorrere del tempo, ammortizzando gli influssi negativi dell'insularità e del gap infrastrutturale con le più avanzate regioni d'Italia e d'Europa;
AFFERMANDO la necessità che lo statuto vigente venga rispettato completamente in quelle parti mai applicate, ma che potrebbero dare oggi e non domani, al termine di un lungo e imprevedibile percorso di riforma, quelle risposte che il modificarsi in sessanta anni della società sarda e la crisi dell'intera economia dell'Isola e internazionale richiedono con urgenza;
CONSTATANDO come nella seconda parte del secolo scorso si sia sviluppato l'importante, tumultuoso e positivo cambiamento della Gallura, interessata dallo sviluppo di qualificate attività turistiche, il successo internazionale della Costa Smeralda e di tutte le iniziative turistiche che per analogia o indotto si sono sviluppate in seguito e che sono in continua evoluzione;
REGISTRANDO quanto la Gallura sia stata interessata da flussi migratori interni importantissimi, dalla nascita di tante nuove attività produttive e di servizi, dal resistere delle comunità interne e tradizionalmente legate alle attività agro-pastorali, ma che hanno trovato nuova linfa vitale nella collaborazione con le comunità vecchie e nuove rivierasche più centrate sul turismo ed i servizi, dalla trasformazione della città di Olbia in uno dei poli urbani più dinamici, popolosi e con prospettive di sviluppo della Sardegna;
EVIDENZIANDO che la crisi socio-economica è generale e nell'auspicio che la Gallura trovi occasioni di sviluppo, specializzazione, maggior qualità e anche diversificazioni produttive rispetto al pericolo di monocultura turistica che, pur in grande sviluppo e con buone prospettive future, non può che svilupparsi meglio in un'economia diversificata e moderna che interessi anche altri settori con una crescita condivisa in tutta la Provincia della Gallura e rispetto alla Sardegna stessa;
AUSPICANDO un aumento e sopratutto diversificazione del PIL della Gallura come contributo al desiderato aumento e riqualificazione del PIL sardo, per iniziare in particolare un rinnovato sviluppo economico che segua la riconversione, ristrutturazione e sostituzione di una miriade di produzioni scomparse, obsolete, non più sostenibili o da riqualificare, conseguenti alla profonda crisi dell'industrializzazione tentata nel passato, come a fronte della crisi dell'allevamento e più in generale dell'agricoltura, si ritiene necessario il riprendere con decisione l'iter mai completato dell'applicazione dell'articolo 12 dello Statuto vigente che recita: "Saranno istituiti nella Regione punti franchi";
RIPORTANDO per opportuna memoria, dato l'universale parere positivo sulla fiscalità di vantaggio e sulle moltissime applicazioni nel mondo ed in Europa delle free zone, il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna concernenti l'istituzione di zone franche) e pubblicato nella Gazzetta ufficiale 7 aprile 1998, n. 81, che recita:
"Articolo 1
1. In attuazione dell'articolo 12 dello Statuto speciale per la Regione Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, sono istituite nella Regione zone franche, secondo le disposizioni di cui ai regolamenti CEE n. 2913/1992 (Consiglio) e n. 2454/1993 (Commissione), nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili.
2. La delimitazione territoriale delle zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività viene effettuata, su proposta della Regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
3. In sede di prima applicazione la delimitazione territoriale del porto di Cagliari è quella di cui all'allegato dell'atto aggiuntivo in data 13 febbraio 1997, dell'accordo di programma dell'8 agosto 1995 sottoscritto con il Ministero dei trasporti.";
tutto ciò premesso e sostenendo che nello spirito dell'articolo 12 dello Statuto e delle prescrizioni del decreto attuativo sia possibile ricomprendere nella zona franca di Olbia, nella delimitazione territoriale della Regione e da inviare al Consiglio dei ministri, il porto di Olbia comprensivo delle sue tre aree, porto interno, Isola bianca e porto Cocciani, l'area industriale gestita dal CINES e infine l'area aeroportuale Olbia Costa Smeralda e le zone adiacenti necessarie per lo sviluppo delle attività in zona franca a vocazione aeronautica;
a questo proposito ricordando che l'aeroporto di Shannon, in Irlanda, è stato la prima zona franca europea e deve il suo successo alla fiscalità di vantaggio e nella convinzione che Olbia, con la sua zona franca, comprensiva delle aree portuali, industriali ed aeroportuali indicate, possa ben divenire la Shannon del Mediterraneo abbattendo le diseconomie insulari e dando giusti vantaggi competitivi anche per le recenti iniziative proposte per l'aeroporto e attirandone altre in settori trainanti della tecnologia, dei servizi, commerci e dell'imprenditoria innovativa, dando occupazione e sviluppo non solo all'intera Gallura,
chiede di interrogare il Presidente della Regione affinché riferisca se e come intenda:
1) di concerto con la maggioranza nel Consiglio regionale, impegnarsi prioritariamente a riprendere il percorso di attuazione dell'articolo 12 dello Statuto vigente dando piena attuazione al decreto legislativo n. 75 del 1998, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 7 aprile 1998, n. 81, che ha istituito la zona franca anche nel porto di Olbia ed aree industriali ad esso funzionalmente collegate e collegabili;
2) impegnarsi in tempi brevissimi ad effettuare la delimitazione territoriale ed ogni altra disposizione necessaria per l'operatività della zona franca di Olbia istituita col decreto legislativo n. 75 del 1998, inviandola al Governo affinché, con un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la renda operativa.
3) comprendere nella urgente delimitazione della zona franca di Olbia, a fronte delle gravissime condizioni produttive ed occupazionali della città e del territorio di riferimento, il porto commerciale ed industriale, la zona industriale e l'area aeroportuale;
4) attivarsi affinché a seguito della proposta di delimitazione e di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività su proposta dalla Regione, nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri venga prevista la società di gestione della zona franca di Olbia, creata su iniziativa regionale, che risponda alle esigenze pubbliche e private del territorio di riferimento e della Sardegna nel suo insieme. (407)