Seduta n.250 del 21/09/2011
CCL SEDUTA
MERCOLEDI' 21 SETTEMBRE 2011
(ANTIMERIDIANA)
Presidenza della Presidente LOMBARDO
Indi
del Vicepresidente COSSA
La seduta è aperta alle ore 12.
DESSI', Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del 31 agosto 2011 (243), che è approvato.
PRESIDENTE. Comunico che i consiglieri regionali Salvatore Amadu e Gabriella Greco hanno chiesto congedo per la seduta antimeridiana del 21 settembre 2011.
Poiché non vi sono opposizioni, i congedi si intendono accordati.
Considerata la scarsa presenza di consiglieri in aula, sospendo la seduta sino alle ore 12 e 15.
(La seduta, sospesa alle ore 12 e 01, viene ripresa alle ore 12 e 16.)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione generale del testo unificato numero 1-7/NAZ/A.
E' iscritta a parlare la consigliera Zuncheddu. Ne ha facoltà.
ZUNCHEDDU (SEL-Comunisti-Indipendentistas). Signora Presidente, visto che stiamo parlando dei costi della politica, chiedo alla prima Commissione, quindi al presidente Pittalis e a tutti gli altri consiglieri che ne fanno parte, quali criteri democratici abbiano adottato per non prendere in considerazione, anzi per escludere la mia proposta di legge, depositata tempo fa, riguardante proprio l'abbattimento dei costi di tutta la macchina regionale, partendo dagli emolumenti di noi consiglieri. Con ciò si sono di fatto privilegiate esclusivamente due proposte di legge animate, in fondo, entrambe, dallo spirito della riduzione numerica dei consiglieri. Le due proposte sono state sintetizzate in un testo unificato che, palesemente e in modo demagogico, tende a ingannare i sardi contrabbandando proprio come tagli dei costi della politica un tentativo violento di tagliare invece la democrazia, eliminando le diversità con un taglio numerico. Spero che su questa faccenda mi sia data una risposta esaustiva, l'aspetto, la vorrei possibilmente in Aula oggi, presidente Pittalis.
Lo spirito che sta alla base del testo unificato che la Commissione ha partorito è simile a quello della legge appena discussa in Aula - mi riferisco a quella sui campi da golf -, che viola il Piano paesaggistico regionale tentando, in modo subdolo, di sostituirlo per meglio permettere la cementificazione delle coste. Di fatto con la proposta di legge sulla riduzione del numero dei consiglieri si cementifica e si seppellisce la democrazia e la stessa storia politica sarda, così diversa e originale rispetto a quella italiana.
Tutto questo sta avvenendo in nome dell'efficienza del Consiglio regionale e della partecipazione attiva dei consiglieri stessi, come se il numero ridotto di consiglieri fosse garanzia della produttività e della partecipazione popolare delle minoranze all'interno delle nostre istituzioni. Mi chiedo da quando in qua la produttività e l'efficienza sia una questione numerica e da quando in qua il numero ridotto dei consiglieri garantisca la pluralità delle rappresentanze e con essa di tutti territori della nazione sarda. O forse qualcuno pensa davvero che con qualche emendamento concordato si possa cambiare lo spirito di una legge che ha lo scopo dichiarato dell'allineamento con le direttive italiane e dell'eliminazione della democrazia e della specificità sarda? Se così fosse, mi chiedo anche perché in Commissione non si sia provveduto a stilare un altro testo che categoricamente non recepisse questi diktat d'oltremare, contenuti esattamente nell'ultima finanziaria di Berlusconi e Calderoli.
Certamente oggi, soprattutto in questo Consiglio, è molto difficile essere uomini liberi e difendere strenuamente la libertà di partecipazione e gli interessi economici, politici e culturali della propria nazione. E' molto più semplice essere esecutori di ordini italiani, di qualsiasi colore, per poter usufruire forse di qualche beneficio che lo Stato italiano e il colonialismo della globalizzazione mondiale, bontà sua, concede di volta in volta ai "bravi".
Questa legge non è un semplice errore politico da parte dei consiglieri distratti della Commissione, ma è un freddo e deliberato attacco alla specificità sarda e ai diritti di rappresentanza delle minoranze politiche dei territori; un attacco voluto da Berlusconi e dal suo centrodestra per ingannare gli italiani e i sardi, per far pagare la crisi alla maggioranza del popolo salvaguardando gli interessi economici dell'élite finanziaria e della classe politica. Insomma, è la solita storia del far finta di cambiare tutto per poi non cambiare nulla e mantenere i privilegi a chi già li possiede, imponendo demagogicamente tagli e riduzioni senza nessun progetto logico, organico e rispettoso delle nostre diversità culturali e territoriali. Si vedano anche tutte le proposte di riduzione e accorpamento dei comuni. Questo spirito è perfettamente in linea con la volontà di semplificare le diversità sociali, economiche e culturali dell'Italia e della Sardegna con il bipolarismo e il bipartitismo perfetto. Questa purtroppo drammaticamente è la tendenza naturale.
Mi rincresce che la Commissione abbia sposato in modo così ossequioso la filosofia scellerata di Berlusconi e dei suoi soci. Sicuramente questo non le fa onore, anzi ne ha fatto uno strumento di oppressione del popolo sardo di cui tutti noi facciamo parte. E non si parli in questo caso di mancanza di esercizio di sovranità da parte del Consiglio - mi rivolgo a lei, onorevole Maninchedda -, perché il vero nome di questa situazione è "accettazione passiva dell'esercizio di sudditanza", io la chiamo in questi termini. Tutto questo verso un Governo coloniale italiano e naturalmente in cambio di prebende, nella migliore tradizione della borghesia compradora, complice della rapina delle risorse e della libertà della nazione sarda. La classe politica sarda, che in sessant'anni non solo non ha dato alcuna risposta alle esigenze di libertà e di benessere economico del popolo sardo, ma ha venduto i suoi beni, ha venduto le risorse delle sue collettività, di certo la coscienza sporca non se la lava scaricando le responsabilità sullo Statuto speciale per la Sardegna, incolpato di aver previsto per i sardi un adeguato numero di rappresentanze democratiche che nascono dalle diversità politiche che i sardi hanno sempre espresso nella loro storia e cultura; una storia e una cultura nettamente diverse da quelle italiane.
La questione politica delle rappresentanze dei cittadini e delle diversità culturali e politiche della Sardegna, omologata alle Regioni italiane, viene affrontata solo come una questione demografica, per cui, come fece l'onorevole Pili in altri tempi, si paragona la Sardegna alla Lombardia, come se avessero le stesse caratteristiche economiche, politiche e culturali. Questi bravi partiti, che si nutrono di italianismo contagioso anche in quest'Aula, hanno scoperto che gran parte del disastro economico, sociale e politico in Sardegna fino a oggi sarebbe figlio dell'eccesso di democrazia strappata dai sardi nel '48 (vedi Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna). Ancora una volta, se oggi in Sardegna si muore di fame più di prima la colpa è del numero dei consiglieri regionali e non della loro produttività, non dei privilegi economici di noi consiglieri e di tutta la macchina amministrativa regionale, colma di sprechi e di sperequazioni di risorse economiche e umane! Naturalmente non si parla mai della drastica riduzione degli emolumenti, cosa che io ho assolutamente contemplato nella mia proposta di legge, e questo la dice lunga. Anche Calderoli dice le stesse cose e, all'interno della cosiddetta riforma federale italiana, per ora solo fiscale, da tutti criticata, propone l'abolizione delle specificità regionali, quindi della Sardegna col suo ordinamento di Regione autonoma, negando con ciò la nostra storia e la nostra diversità, ribadisco, culturale, politica ed economica.
Gli estensori di questo testo unificato, sposando totalmente la politica di eliminazione delle Regioni a statuto speciale portata avanti da Calderoli, eliminano la specialità sarda e il suo Statuto, cercando in modo maldestro di livellare ed equiparare la realtà politica sarda alla cultura e all'identità italiana che, come tutti ben sappiamo, sono nettamente diverse. Per dirla tutta, come molti di voi in termini diversi hanno espresso nei dibattiti sulla sovranità, la Sardegna ha una sua identità culturale e nazionale che ha permesso a tutti noi in quest'Aula di parlare di autonomia avanzata, di sovranità e di indipendenza, cosa che peraltro io condivido e sintetizzo in uno slogan molto significativo: Sardigna no est Italia.
Ma come mai oggi, dopo il lungo e appassionato dibattito sulle riforme istituzionali e sui temi della sovranità e dell'indipendenza, in nome di un adeguamento ai diktat italiani rinnegate tutto e in modo subdolo? Con questa legge volete eliminare le differenze politiche e quindi il diritto di rappresentanza delle diversità della Sardegna all'interno della sua massima istituzione. Le diversità sarde le volete totalmente eliminare e ridurre attraverso la legge elettorale italiana in vigore, senza mai aver affrontato e discusso prima la legge elettorale sarda, che è nostro dovere istituzionale e prioritario varare per garantire i diritti e la specificità dei sardi. Non è più possibile dire che è sempre colpa dello Stato italiano che non ci consente neppure di affrontare questo tema. Dovremo fare sicuramente qualche forzatura. Ci vuole il coraggio di questa classe politica sardo-italiana per firmare un'operazione indegna che, con la riduzione numerica da ottanta a sessanta, a cinquanta o a trenta, taglia di fatto la democrazia, il tutto, bontà vostra, con la mira di accrescere l'autorevolezza dell'organo legislativo regionale e paradossalmente garantire la piena rappresentanza di tutti i territori, così ho letto da qualche parte. Insomma, come viene detto nella proposta del centrodestra, la riduzione delle rappresentanze popolari paradossalmente garantirebbe un più stretto rapporto tra cittadini e istituzioni, concetti accolti ed espressi in termini diversi in entrambe le proposte di legge considerate e sintetizzati poi dalla Commissione che, per evitare incidenti istituzionali legislativi, modifica semplicemente l'articolo 16 della legge costituzionale del 26 febbraio 1948, ovvero lo Statuto speciale, sostituendo al numero ottanta il numero cinquanta. Ancora una volta, quindi, costruiamo le case partendo dal tetto, bravi a preorganizzare catastrofi e crolli.
E' chiaro che, con il pretesto della riduzione dei costi della politica, che vanno ridotti realmente con i tagli dei privilegi, si vuole distogliere l'attenzione dalla pesantissima crisi economica che attanaglia la Sardegna e l'Italia, creando demagogicamente confusione nell'individuazione dei responsabili e disorientamento nei cittadini, in modo da far ricadere su di essi i costi del dissesto economico. Ribadisco che questa proposta di legge è fatta in totale mancanza di una legge elettorale sarda, anche questo alla faccia della nostra autonomia! Questo la dice lunga anche sulla qualità della nostra politica. Fra l'altro questo testo non entra assolutamente nel merito dei privilegi - ciò che invece la gente ci sta chiedendo - della classe politica, di cui anch'io faccio parte; non entra neppure nel merito del taglio dei costi reali della politica, sposando con ciò la stessa filosofia di riduzioni demagogiche che il Governo Berlusconi propone e a cui il centrosinistra di Bersani si accoda timidamente, non avendo nessuna nuova e reale proposta di cambiamento radicale della società. Mi chiedo, quindi, in base a che cosa si rappresentano i territori senza una legge elettorale sarda che garantisca territori, cittadini e diversità. Questa unità di intenti, che è anche di altre formazioni di centrodestra e di centrosinistra e di tutte le formazioni centriste, nel voler scientificamente consegnare la Sardegna all'omologazione italiana, negando ferocemente i più elementari momenti di partecipazione democratica alle formazioni minori e identitarie, ci dice quanto sui temi della democrazia e partecipazione popolare queste formazioni puntino al bipolarismo perfetto. Non abbiamo nessun reale rispetto delle diversità politiche della Sardegna e ancora oggi questo si manifesta in termini chiari.
Chi pensa di poter con questa proposta avvantaggiare la propria formazione politica non fa i conti con l'ingordigia del bipolarismo che punta a tappe forzate al bipartitismo perfetto, creando una dittatura delle cosiddette maggioranze di centrodestra e di centrosinistra. Io mi auguro che questa azione politica sia il tema di riflessione per tutto il mondo realmente e genuinamente indipendentista, progressista e identitario. Il Consiglio regionale, per il ruolo statutario che ricopre, deve urgentemente varare la legge elettorale sarda che, riconoscendo le peculiarità sarde, tuteli e garantisca l'espressione di tutte le diversità, chiaramente a costi equi e sopportabili dai sardi. Grazie.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Uras. Ne ha facoltà.
URAS (SEL-Comunisti-Indipendentistas). Presidente, leggo alcune frasi tratte da un discorso tenuto presso il Senato della Repubblica: "Ed è fatale che intorno a gruppi imprenditoriali e finanziari tesi ad appropriarsi della ricchezza più che a produrla si formino vaste sacche di parassitismo, i cui costi sono stati pesantemente pagati dalla comunità. Il guasto più grave è però conseguente al decadere del senso dello Stato, del senso morale che ne regge l'intima struttura e che raccoglie attorno a esso il consenso e l'operoso sostegno dei cittadini. Si sono andati così aggregando interessi diversi che, scollegati dal contesto civile ed economico, hanno formato le impenetrabili giungle che oggi compartimentano e lottizzano non solo l'economia e le sue risorse, ma la stessa organizzazione civile della società e dello Stato; aggregazioni anomale che distolgono i processi produttivi, lo sviluppo, la formazione del reddito e la sua distribuzione. Si è rinunciato alle grandi riforme di struttura tenendo così in piedi un apparato statale superato e inattuale, appesantito da procedure puramente formali, corpose e farraginose nelle cui maglie, chiuse e defatiganti per l'onesto, si sviluppa per contro la mala pianta del favore, quando non anche, e accade spesso, della corruzione. Lo Stato di diritto perde così significato per divenire arena di contrattazione e di prevaricazione".
Queste cose non sono state dette oggi, ma sono state dette nel 1978 dal migliore Presidente della Regione che io abbia mai conosciuto. Lo dico senza offesa per tutti gli altri presidenti, ma è esattamente quello che penso e ho sempre pensato e che con l'andare del tempo si va per me confermando. Si tratta di Mario Melis. Questo grande uomo politico della storia della cultura dell'autonomia già nel 1978 faceva un'analisi di quella che è la nostra realtà. Sulle riforme strutturali occorre intervenire, ma nel modo in cui è giusto intervenire, lo dico anche al Presidente della Commissione autonomia, che doveva essere garante di un ordine del giorno votato all'unanimità da questo Consiglio regionale. Le riforme strutturali sono necessarie e devono accompagnare riforme culturali e morali che non riguardano questa classe dirigente e questa classe politica soltanto, ma riguardano l'intero Paese, i cittadini, i comportamenti individuali e collettivi quotidiani, e sono un terreno obbligatorio in un Paese che fa parte di un sistema come il nostro che è in decadenza, che è stretto da competitività più alte rispetto ad altri Paesi con gradi di sviluppo molto più intensi di quelli che sappiamo produrre noi. Le riforme strutturali sono un fatto di sopravvivenza e non possono essere prese come il terreno della competizione spicciola di quattro o cinque dirigenti di partito che vogliono mettersi una medaglia su un corpetto, peraltro unto e bisunto. No! Noi abbiamo fatto uno sforzo circa un anno fa, Presidente del Consiglio, e abbiamo dato un incarico alla prima Commissione permanente in materia di autonomia, l'incarico cioè di disegnare, entro novanta giorni, un percorso costituente capace di originare riforme strutturali vere degli organi della Regione, delle sue più alte rappresentanze e dell'apparato amministrativo e burocratico che deve ottemperare agli indirizzi legislativi, normativi e amministrativi di quegli stessi organi, di ridisegnare i rapporti con lo Stato, che oggi sono genuflessi, subalterni, piegati, sulla base delle cose che individuava Mario Melis, ovvero dell'aggregazione di interessi diversi, scollegati dal contesto civile ed economico, che hanno formato le impenetrabili giungle che oggi compartimentano e lottizzano economia e organizzazione civile della società.
Questo è il tema. La prima Commissione ha disatteso quell'ordine del giorno, lo ha fatto volontariamente con la complicità, per altro irresponsabile, del gioco politico tra le parti e tra gli schieramenti. Lo ha fatto per mortificare processi costituenti che al limite superassero questo Consiglio se non fosse stato in grado di autoriformare se stesso, perché l'unica cosa che non gli si può consentire è l'inerzia, il blocco, che non sarebbe capito fuori, non sarebbe capito dentro e neppure nelle relazioni politiche tra le parti.
Quando più volte ho invitato e non a caso - lo dico a titolo personale, parlo come consigliere regionale, non sono tra i Capigruppo che chiuderanno il dibattito - a guardare con simpatia anche all'ipotesi della Costituente, non è che lo facessi così tanto per dire; lo dicevo perché riconoscevo nel Consiglio regionale una difficoltà oggettiva a riformare se stesso. I processi di autoriforma, badate, sono complessi più di quelli che vengono realizzati da soggetti terzi che raccolgono direttamente dal consenso popolare una forza riformatrice. Questo era il ragionamento che avremmo dovuto fare in Commissione, onorevole Floris, insieme alla Giunta e non in competizione con essa, in un clima di rispetto tra gli organi della Regione, cosa che è molto complicato realizzare. L'altro giorno abbiamo votato una risoluzione che richiamava la Regione, cioè l'Amministrazione regionale, il suo Presidente e la Giunta ad adottare atti di indirizzo perché trentuno lavoratori sono stati licenziati ingiustamente, attraverso una prevaricazione, un abuso di natura pubblica che blocca servizi e risorse, con un atteggiamento quasi eversivo da parte delle burocrazie che sono invece demandate ad applicare le leggi e a risolvere i problemi delle persone. E la Giunta non ha fatto nulla! Non si può dialogare tra organi della Regione se tra gli stessi non c'è rispetto, non c'è considerazione, se cioè si interpreta il ruolo della Presidenza della Regione come una sorta di ruolo autoritario centralista parafascista. Questo tipo di comportamento, Presidente, Assessore, noi lo abbiamo riscontrato ed è per questo che da un po' io mi esprimo con tanti punti interrogativi sul sistema presidenziale, perché gli ultimi sette anni di legislatura regionale passano alla storia di questa autonomia come sette anni di fallimento. Lo racconta la condizione devastata dell'economia regionale, lo racconta la condizione devastata della società regionale, lo racconta la condizione devastata delle istituzioni politiche e della democrazia in Sardegna.
Allora, cosa dobbiamo fare? Lo dico anche alla collega Claudia Zuncheddu. Quando parliamo di queste cose non dobbiamo parlare dei costi della politica. Non c'entra niente, onorevole Diana, il costo della politica con la necessità di rendere efficiente l'organo legislativo della Regione; elevarne l'autorevolezza e l'autorità non c'entra niente con le indennità. Questo consesso non è una sorta di superpensionato dove la gente viene, non lavora, non fa nulla e produce soldi per se stesso; non lo è neppure nell'idea della maggioranza dei suoi componenti. Sicuramente non lo considerano tale coloro che si applicano, qua dentro e fuori di qua, per la rappresentanza popolare e per costruire una normativa che aiuti il sistema economico e sociale e risponda ai bisogni. Per questo io nel 2007, insieme ai colleghi Chicco Porcu, Carlo Sechi e altri, ho presentato una proposta di legge per ridurre a sessanta il numero dei consiglieri regionali, perché ho la medesima idea dell'onorevole Maninchedda su alcune cose, dell'onorevole Sanna su altre cose, dell'onorevole Vargiu o di altri componenti di questo Consiglio regionale su altre cose ancora, sia che essi appartengano al mio schieramento politico sia che non vi appartengano, perché questo deve essere un parlamento per i sardi. Questo non può essere il consiglio comunale di una regione-città con una rappresentanza ridotta, come vorrebbe l'autorità statale centralista e degenerata, sotto ogni profilo, che oggi governa questo Paese, a trenta persone possibilmente elette nel circondario di qualche centro urbano.
Per questa ragione io avevo presentato un testo molto più equilibrato, che non c'entrava niente con quello che è stato approvato, da una Commissione che avrebbe dovuto vedere al proprio interno, in una funzione di garanzia, anche la presenza dei Presidenti di Gruppo, il giorno dello sciopero generale promosso dalla CGIL, mentre io marciavo con i lavoratori contro la crisi economica aggravata dalle manovre del Governo. Quel testo è stato approvato in un blitz che non ha giustificazione alcuna, se non il danno che effettivamente ha creato ancora una volta all'istituzione, al processo costituente che avremmo dovuto attivare e che abbiamo disatteso e ai rapporti politici anche personali all'interno dell'Aula. Possibile, Presidente? Allora, come se ne esce? Nessuno si sogni di fare la solita tiritera: chi ha un giornale racconta la realtà come vuole, mette parole in bocca agli altri, interpreta i pensieri altrui in modo fantasioso, in funzione ancora una volta delle deleterie pratiche che poi conducono questo Paese, anche quei Gruppi per qualche parte, per qualche verso, a una rovina. Noi vogliamo, io voglio che si facciano le riforme strutturali, che si modifichi questa legge in Aula e la si approvi. Non sono favorevole a che torni in prima Commissione (peraltro di quella Commissione poco mi fido), non sono favorevole a ripercorrere strade che hanno il senso di arenare ogni stimolo, ogni iniziativa del processo di riforma, ma non sono neppure favorevole a votare questo testo in modo acritico. Voglio che sia invece modificato per garantire la rappresentanza di tutti i territori, perché non voglio che le zone interne della Sardegna siano cancellate; esse devono invece pesare, così come pesano le coste e i centri urbani dove noi abitiamo, viviamo e lavoriamo.
Questa legge deve reintrodurre modalità di riequilibrio di genere, perché le donne non possono essere un accidente che viene di volta in volta votato. Nel consiglio comunale di Cagliari, composto da quaranta consiglieri, vi sono due donne, elette dal mio partito, e trentotto uomini. E' questa la società cagliaritana? Mi pare che siano tre le consigliere regionali direttamente elette dal popolo. E' questa la rappresentazione della società sarda? No, non è questa. Ci sono pratiche e modalità che da sempre resistono per consentire quel freno al rinnovamento che invece verrebbe da un equilibrio anche di genere delle rappresentanze. E poi va ridotto il premio di maggioranza: imparino coloro che sono eletti dentro gli schieramenti a essere fedeli alla parola data al cittadino elettore e le maggioranze si reggano senza cancellare le minoranze, neppure quelle più esigue, ma che hanno una sensibilità politica che ha diritto di cittadinanza nelle istituzioni.
Noi dobbiamo procedere con queste modifiche. E queste modifiche le dobbiamo fare, badate, senza prendere per oro colato la proposta che è venuta dalla Commissione sul numero dei consiglieri. Io non so se sia meglio avere quaranta o cinquanta consiglieri; avevo pensato che sessanta fosse un numero congruo perché pensavo che i sedici possibili eletti-nominati dovessero sparire, cioè che il listino dovesse sparire. Avevo pensato che si dovesse rafforzare la presenza di genere, il che poteva essere favorito da un congruo numero di consiglieri regionali, e che qua si dovesse lavorare per produrre leggi. A chi lavora quotidianamente per produrre leggi il tempo non basta. Adesso siamo ottanta, persino pochi se tutti lavorassimo per produrre leggi, se tutti lavorassimo per controllare l'attuazione delle nostre leggi da parte dell'Esecutivo, se tutti lavorassimo come dovremmo lavorare. Pensavo che sarebbe stato meno scandaloso un consiglio comunale di Cagliari con trenta elementi, piuttosto che un Consiglio regionale di trenta elementi, così come vuole il Governo nazionale, perché questo vorrebbe dire affidare al monarca unico, al Presidente della Regione, che tutto fa e tutto disfa, che legifera e procede alla gestione del governo, il destino di questo Paese. Ma, come ci insegna la storia anche poco esaltante di questi anni, quella scelta non è mai positiva, anzi è devastante!
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Sabatini. Ne ha facoltà.
SABATINI (P.D.). Signora Presidente, sono d'accordo con quanto diceva l'onorevole Uras poc'anzi. Credo che questo nostro dibattito si sarebbe dovuto svolgere in prima Commissione prima che il testo di legge in esame arrivasse in Aula per l'approvazione. Ce ne rendiamo, credo, tutti conto, questo ho capito dagli interventi che ho sentito tra ieri sera e stamani. E' davvero strano il modo con cui stiamo portando avanti questo dibattito. Mi pare di assistere a un'opera buffa: la Commissione approva il testo unificato, all'apertura dei lavori dell'Aula la Conferenza dei Capigruppo blocca i lavori stessi per discutere nel merito, decide di proseguire la discussione del provvedimento, ma poi non c'è nessuno che intervenga per dire: "Sono convinto, sostengo pienamente l'approvazione di questo testo di legge!". Tutti dicono invece che è inopportuno procedere alla sua approvazione. E' davvero strano questo modo di procedere, credo che non sia serio e che ci sia qualcosa che non funziona.
Noi non possiamo, così come hanno detto altri miei colleghi, agire animati dalla paura, animati da ciò che dice la piazza, da quello che si legge su Internet, da quello che dicono i blog, da ciò che si scrive su Facebook. Noi abbiamo bisogno di ragionare seriamente attorno a un tema che è complesso e che può implicare risvolti negativi per il futuro della nostra Isola. Dico questo non perché la gente non abbia ragione; la gente ha ragione da vendere, la gente non si fa condizionare dai giudizi che le agenzie di rating danno sull'economia. La gente prende atto della propria vita, di come riesce a condurla, di come può dare risposte ai propri familiari con il proprio stipendio. Le nostre comunità prendono atto delle difficoltà in cui vivono, dei servizi di cui non godono, di una macchina amministrativa che non funziona, di una sanità che non eroga i servizi che dovrebbe erogare, e semplificano il giudizio davanti ai giornali che un giorno sì e l'altro pure pubblicano le nostre indennità. Si fa presto a dire che bisogna eliminare le indennità, che bisogna mandare a casa tutti i politici, che bisogna chiudere le province e i comuni! Noi, colleghi, dobbiamo avere la consapevolezza che tutto ciò non migliora i servizi, non crea occupazione, non accresce il reddito, non risolve i problemi della pubblica amministrazione. E allora il giudizio che i cittadini danno proviene dall'incapacità di rispondere alle esigenze della nostra società, questo è il tema. E guardate, quello che mi preoccupa, che viene citato da molti colleghi e di cui bisognerebbe ricordarsi più spesso, è il principio della rappresentanza dei territori. Lo dice uno che proviene da un piccolo territorio. I conti sono stati già fatti, i giornali li hanno già pubblicati: con questo taglio del numero dei consiglieri, se si applicasse la legge elettorale attuale l'Ogliastra non avrebbe in Consiglio regionale nessun rappresentante, entrerebbe qualcuno in più della provincia di Sassari.
Voglio dire che il tema della spartizione dei fondi regionali, dei fondi POR nei poli forti della Sardegna è un tema attuale, che noi viviamo tutti i giorni. In Ogliastra c'è una lotta continua contro la chiusura della ASL, contro la chiusura del consorzio industriale, contro la chiusura del tribunale, per la viabilità, per le infrastrutture. E' una lotta quotidiana, perché qui non si discute della SS 125, si discute bensì della Sassari-Olbia. Della SS 125 ne possiamo parlare io e il collega Stochino. C'è una strada di collegamento con Nuoro per la quale la vecchia comunità montana versò all'ANAS 10 miliardi di vecchie lire e che non si riesce a concludere da anni. La SS 125 aspetta da trent'anni di essere ultimata!
Ma è successo anche di peggio: nella sanità, l'unica ASL che non ha creato disavanzo è quella dell'Ogliastra, dopodiché la Regione distribuisce i fondi e stanzia di più per le ASL che si sono comportate peggio. E' successo poi un altro fatto gravissimo: per concludere i lavori di realizzazione di una banchina nel Porto di Arbatax era necessario 1 milione e mezzo di euro, il Ministero delle infrastrutture stanzia a tal fine i fondi FAS nazionali, vengono fatti i progetti, vengono date tutte le necessarie autorizzazioni, si è pronti per l'appalto, ma quei fondi vengono scippati. E a che cosa vengono destinati? Alla Sassari-Olbia! Queste sono le cose che succedono in Ogliastra. Serviranno gli attuali due rappresentanti per salvaguardare quel territorio? Non lo so, ci proviamo, ma almeno abbiamo voce, abbiamo la possibilità di alzare la voce, di fare una denuncia, di scrivere una mozione, di sollevare un problema.
Io credo che non dobbiamo riempirci la bocca di belle parole sul principio della rappresentanza, ma davvero dobbiamo affermarlo tutti i giorni, nel nostro modo di procedere qui in Consiglio e in Giunta. Provo a fare una proposta, per non fare davvero una fine tragicomica in questo Consiglio regionale. E' un'idea così malsana lasciare nella disponibilità della Conferenza dei Capigruppo questo testo di legge e prenderci trenta, venti o quindici giorni per approvare in prima Commissione una legge elettorale che dica come si applica questa riduzione? Io sono favorevole, lo dico chiaramente, alla riduzione del numero dei consiglieri regionali, ma possiamo pensare, se tutti siamo d'accordo e l'abbiamo affermato, che questo taglio deve essere abbinato a una legge elettorale che ci dica come avverranno le prossime elezioni regionali? O vogliamo fare un salto nel buio senza sapere che fine faremo, creando ulteriori danni, più di quanti ne abbiamo creati in passato? Questa è la proposta che io lancio e che vorrei fosse accolta dai Capigruppo di questo Consiglio.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Cappai. Ne ha facoltà.
CAPPAI (U.D.C.-FLI). Signora Presidente, siccome mi sveglio presto la mattina, la prima cosa che ho fatto oggi è stata quella di leggere il giornale per vedere quale fosse il commento della stampa sul dibattito di ieri: "Gelo sui tagli". Mi rivolgo al giornalista, tale Giulio Zasso, che apprezzo perché ritengo scriva con serietà: io ieri sera gelo qua dentro non ne ho sentito, anzi ho assistito a un dibattito serio, a un dibattito probabilmente giusto, probabilmente sentito, a un dibattito che comunque era necessario. E allora, caro Zasso, cerchiamo di non confondere i cittadini, cerchiamo di informarli nel migliore dei modi, cerchiamo di non aggiungere problemi a problemi.
Presidente, colleghi, non vi nascondo che a me crea un po' di imbarazzo parlare di questa questione, perché noi come Gruppo U.D.C. l'avevamo già affrontata in tempi non sospetti, avevamo esaminato la problematica e proposto una legge che prevedeva un'organica regolamentazione della materia. Mi ricordo che fu presentata una nostra proposta di legge che il collega Capelli, allora componente del Gruppo U.D.C., ha evocato ieri, ma che condivide ancora oggi con noi. Era il marzo del 2005 e, senza voler aprire nessuna polemica, era Presidente della prima Commissione un ex sindaco, Giovanni Battista Orrù, il quale a più riprese tentò di portare in discussione quella norma, ma non vi riuscì. Ci tentò anche un altro valido rappresentante di quest'Aula, Stefano Pinna, animato dalla buona volontà di discutere quella norma, ma non vi riuscì neanche lui. Ci abbiamo tentato anche noi nella prima parte di questa legislatura, ma non ci siamo riusciti. Allora, facciamoci un esame di coscienza: c'è la volontà in noi di esaminare questa tematica in tempi brevi oppure no? Perché, vedete, scoprire ora che il problema della quantificazione del numero dei consiglieri, che peraltro avevamo già sollecitato in quest'Aula, è diventato di assoluta urgenza e, come si sostiene, deve essere risolto prima di ogni altra questione mi lascia un po' perplesso. L'urgenza della proposta presentata dalla prima Commissione appare - non me ne vogliano i colleghi della Commissione - come un paravento dietro il quale taluni vogliono nascondersi per illudere i sardi che il Consiglio regionale è capace di occuparsi anche di importanti questioni e non soltanto di campi da golf.
La proposta portata in Aula è il frutto di due diverse proposte: una presentata nel 2009 dal collega Chicco Porcu e da una parte di Rifondazione Comunista (o SEL, ma mi pare che allora fosse ancora Rifondazione Comunista), cioè dai colleghi Sechi e Uras, l'altra presentata dai Riformatori, che secondo me era limitativa nel contenuto perché riguardava solo ed esclusivamente la riduzione del numero dei consiglieri. Ha detto bene il collega Uras: "Allora mi sembrava che il numero più giusto fosse sessanta". Infatti tutte e due le proposte di legge proponevano la riduzione a sessanta. La proposta all'attenzione dell'Aula, che prevede di portare a 50 il numero dei consiglieri - è questo l'oggetto dell'ordine del giorno -, appare priva di un ragionamento sistematico che possa condurre a individuare il numero cinquanta quasi come una panacea delle difficoltà nelle quali versa oggi il sistema politico regionale. Perché cinquanta? Non si comprende infatti come si sia potuti giungere a tale numero. Non v'è traccia nella proposta che ho indicato di collegamenti tra questo numero e le situazioni locali, anagrafiche, storiche, sociali e territoriali. La semplice proposta numerica non ha nessun significato, non è seria e coinvolge la nostra stessa credibilità. Sembra che sotto la minaccia dei forconi uomini deboli abbiano ceduto, senza ragionare e valutare, alla forza dei fischietti e delle urla che, com'è noto, non coincidono mai con la ragionevolezza e il buon senso. Anche il Governo, a seguito dei tanti attacchi sui mass media, avanza una proposta oscena - io la definisco così -, senza nessun criterio e senza nessuna ragionevolezza: trenta consiglieri regionali. E' una proposta oscena, ripeto, non sto a spiegare il perché, ma sicuramente voi lo capite più di me.
La proposta che presentammo noi avanzava, al contrario, un ragionamento che teneva in considerazione l'esigenza di rafforzare l'autorevolezza dell'Assemblea legislativa e la piena rappresentanza di tutti i territori della regione, anche di quelli con minore popolazione, collega Sabatini, quali l'Ogliastra, il Sulcis, la Gallura e il Medio Campidano. Le due esigenze coincidenti potevano essere soddisfatte con una ragionata riduzione del numero dei consiglieri regionali, sia assicurando maggiore funzionalità all'organo legislativo, sia assicurando alle popolazioni adeguata rappresentanza in seno all'Assemblea regionale. In quest'ottica abbiamo ritenuto che un numero adeguato alla soddisfazione di queste esigenze potesse essere individuato in sessanta. Allora mi domando perché, se tutti eravamo d'accordo, noi e voi, oggi si propone di portarlo a cinquanta? Perché abbiamo paura che lo Zasso di turno scriva che qui c'è gelo, che la politica non vuole rinunciare alle sue prerogative? No, dobbiamo avere il coraggio di dire quello che pensiamo, come fecero alcuni deputati che nel 1947 scrivevano lo Statuto della Sardegna. Ci fu un grande dibattito: c'era chi proponeva per la Sardegna un deputato ogni 15 mila abitanti, l'onorevole Polano del P.C.I. ne proponeva uno ogni 10 mila, l'onorevole Sanna Randaccio del P.L.I. uno ogni 20 mila, sta di fatto che passò la proposta che prevedeva un consigliere ogni 20 mila abitanti. Se ragionassimo in quell'ottica, poiché oggi la Sardegna ha circa 1 milione e mezzo di abitanti, i consiglieri regionali dovrebbero essere settantacinque. Ma anche allora si parlò di altre cose, che poi qualcuno illustrerà probabilmente meglio di me.
E' chiaro, d'altra parte, che una riforma del genere è senza senso se non accompagnata da una vera riforma della legge elettorale. Anche in questo campo nel 2005 avevamo presentato una proposta di legge. Non si possiamo parlare di riduzione del numero dei consiglieri regionali a sessanta, cinquanta, quaranta o trenta senza parlare anche della legge elettorale. Poniamo che questo testo di legge, che individua in cinquanta il numero dei consiglieri regionali, venga oggi da noi approvato: il listino lo lasciamo? Quanti vanno nel listino, sedici? I trentaquattro consiglieri che verranno eletti saranno rappresentanti di tutti i territori?
Ecco perché è una proposta poco seria, io direi anche fuori luogo, dettata dal momento di forte critica nei confronti della politica, ma la politica in certi momenti deve avere anche il coraggio di reagire. Se veniamo coperti di fango dobbiamo anche ripulirci da quel fango e avere il coraggio di dire che in quest'Aula non si lavora costantemente, ma si lavora. Non concordo con l'onorevole Uras quando dice che si perde tempo, che non si affrontano i problemi e si lascia che la Sardegna cada nella povertà. Non sempre è così, i problemi li affrontiamo, spesso non li risolviamo per nostra incapacità e probabilmente perché viviamo troppo di politica e poco di dibattito sull'interesse della gente.
Le due riforme, dicevo, quella della riduzione del numero dei consiglieri e la riforma elettorale, devono sistematicamente procedere di pari passo. Non si può realizzare una compiuta democrazia se non si descrive un sistema dove il numero di eletti sia coerente e conseguente al sistema elettorale scelto. E' innegabile che la legge elettorale vigente non sia soddisfacente. La scelta presidenzialista nel sistema elettorale non risolve i problemi di rappresentanza democratica e corre il rischio di comprimere e vanificare il ruolo dell'Assemblea legislativa che, ricordiamolo, rappresenta l'intero popolo sardo. Il sistema presidenzialista, infatti, così come disegnato attualmente comprime la funzione politica del Consiglio, privando l'organo legislativo della sua effettiva rilevanza e, oserei dire, rendendolo succube dell'Esecutivo, specie quando questo è impersonato da una forte personalità. Tutti noi ricordiamo l'esperienza del presidente Soru, che sembrava considerare l'Assemblea elettiva quasi un impiccio per la realizzazione dei suoi progetti. La regola introdotta dalla legge costituzionale numero 1 del 1999, secondo la quale le sorti del Consiglio sono legate automaticamente alle sorti del Presidente della Regione, ha privato lo stesso Consiglio di ogni forma di pressione istituzionale, di ogni possibile arma per difendere le prerogative del potere legislativo. Mi sorprende che anche questa considerazione non sia stata fatta, non sia stata posta all'attenzione della prima Commissione.
La proposta di riduzione del numero dei consiglieri appare perciò non organica, frutto di improvvisazione e di spinte emozionali. Il ruolo della politica è infatti quello di risolvere i problemi dei cittadini e della società, non di fingere di risolverli. Il vero problema che dobbiamo risolvere è quello di adeguare il numero dei rappresentanti a quello dei rappresentati. Dobbiamo garantire che tutti, anche le comunità più deboli perché irrilevanti politicamente, in quanto assicurano pochi voti, possano avere un'adeguata e proporzionale rappresentanza. In quest'ottica dobbiamo stare attenti a non individuare un numero di consiglieri troppo contenuto, che non consenta una completa attuazione del principio democratico della rappresentanza proporzionale. Il nucleo essenziale di una democrazia rappresentativa è quello di assicurare a tutti i cittadini un'adeguata rappresentanza negli organici legislativi, quegli organi cioè che devono dettare la linea politica della comunità; linea che non può essere scelta se non con il consenso dei rappresentati. La riduzione non ragionata del numero dei consiglieri regionali può, nei fatti, interrompere questo circuito democratico. E' intuitivo, veramente, che chi non si sente rappresentato intenda le scelte politiche come un qualcosa che non gli appartiene, come un qualcosa che può pregiudicare i suoi interessi e diritti in quanto egli stesso è stato completamente assente nel processo decisionale e non ha potuto esprimere, per il tramite dei propri rappresentanti (negati non per mancanza di voti, ma per il fatto tecnico numerico), i propri punti di vista. Apparirà chiaro che questo sentimento, qualora si diffondesse, porterebbe alla disaffezione dell'elettorato - ed è quello che sta avvenendo -, al distacco preventivo di parte della popolazione dall'idea stessa di appartenere a una comunità più che madre matrigna che divide i cittadini tra figli e figliastri, tra quelli a cui è consentito, in virtù della loro consistenza numerica, di essere rappresentati e quelli che vengono di fatto esclusi da questo diritto.
La proposta di legge in esame finge di adeguare il sistema politico regionale alle nuove esigenze, ma in realtà senza alcuna premessa logica corre anzi il rischio di aggravare la situazione delle popolazioni marginali sarde, che in parte potrebbero essere danneggiate, senza che il Consiglio ne dia una giusta ragione, da un non ragionato numero di rappresentanti popolari. L'esortazione che rivolgo al Consiglio, premesso sempre che non sono personalmente contrario alla riduzione numerica dei consiglieri regionali, come abbiamo dimostrato con la presentazione a suo tempo della proposta di legge avente questa finalità, è quella di non giungere a decisioni affrettate senza un'adeguata riflessione, delle quali magari in futuro potremmo anche pentirci. Ed è per questo che condivido la proposta dei colleghi Sabatini e Capelli di fermarci un attimo e di riflettere, magari proponendo un ordine del giorno perché nella calma e nella ragionevolezza questa Assemblea possa affrontare sia il tema della diminuzione del numero dei consiglieri regionali, sia la riforma della legge elettorale, senza steccati, spogliandosi ciascuno del proprio colore politico, dell'interesse personale del momento, perché è chiaro che io potrei non avere interesse, mentre potrebbero averne coloro i quali sono alla prima o alla seconda legislatura. Ecco, mi auguro che spogliandoci di queste cose possiamo esaminare tutti assieme una legge che sia quasi il nuovo Statuto della Sardegna, così come fecero i nostri padri costituenti, entrando nel merito di tanti elementi e discutendone pacatamente, perché questa è la sede deputata a dibattere prima di approvare qualsiasi norma.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Antonio Solinas. Ne ha facoltà.
SOLINAS ANTONIO (P.D.). Signor Presidente, credo sia chiaro a tutti che in questi giorni stiamo discutendo una legge importante, una legge fondamentale e soprattutto una legge costituzionale che modifica non la composizione dei nostri consigli comunali, ma la composizione dell'Assemblea legislativa della Sardegna. Per le modalità con le quali si è arrivati a questo dibattito, lo hanno dimostrato anche gli ultimi interventi, il testo di legge che è scaturito dalla prima Commissione non è certamente il frutto di un dibattito serio, di un dibattito completo che avesse chiaro il percorso che vogliamo seguire e soprattutto l'obiettivo finale che vogliamo raggiungere.
Si tratta di una proposta della prima Commissione, come dicevo, votata quasi all'unanimità, con una sola astensione, e che però nel dibattito consiliare mi sembra sia stata disconosciuta da quasi tutti i componenti la Commissione stessa. Fin dall'inizio di questa legislatura più volte è stata rimarcata da tutti i Gruppi, da tutte le forze politiche presenti in quest'Aula l'urgenza di dedicare una sessione completa alle riforme, compresa quella della legge elettorale. A mio avviso, con questo articolo unico stiamo andando a costruire una casa partendo non dalle fondamenta, ma dal tetto. Personalmente, lo voglio dire subito, non sono contrario a rivedere il numero dei consiglieri regionali che compongono questa Assemblea, però, come già detto da diversi colleghi, prima di parlare di numeri vorrei discutere di modalità di elezione, vorrei discutere di quale rappresentanza dare ai nostri territori, soprattutto a quelli più marginali, più piccoli, e vorrei soprattutto discutere di un premio di maggioranza che garantisca alla coalizione che vince le elezioni di poter governare la nostra Regione.
Capisco anche la necessità di dare risposte - qualche collega lo ha già detto - ai siti Internet, alla Rete, ma soprattutto alla forte richiesta che viene dalla società sarda di mettere mano alla composizione del Consiglio regionale, sono però convinto che faremmo cosa più seria, come ha proposto il collega Franco Sabatini, se con l'accordo di tutto il Consiglio regionale stabilissimo un termine massimo, magari il 30 ottobre, entro il quale approvare una nuova legge elettorale che innanzitutto garantisca la rappresentanza di tutti i territori della nostra regione e in secondo luogo preveda un premio di maggioranza da ripartire tra i collegi elettorali, eliminando finalmente il famoso listino costituito dai nominati dalle segreterie dei partiti o dagli amici del candidato Presidente di turno.
La scelta di cinquanta, quaranta o sessanta consiglieri regionali deve essere la logica conseguenza di questo dibattito, ma all'interno di una riforma complessiva. Ho sentito qualche collega fare la battuta: "Tanto il Parlamento non sarà in condizioni di approvare una legge con la doppia lettura." Credo che sia l'errore più grosso che si possa commettere, perché se è vero che la situazione politica nazionale è sempre in movimento ed è la più incerta possibile, sono sicuro che per la situazione che si è venuta a creare in Italia, nell'opinione pubblica in modo particolare, il Parlamento non vedrà l'ora di riservare a una legge come questa una corsia preferenziale per iniziare a dare qualche segnale.
Nel dibattito di stamattina, ma in modo particolare in quello di ieri, ho constatato che sulla possibile nuova legge elettorale ci sono posizioni molto diverse, per esempio sull'elezione diretta o parlamentare del Presidente della Regione. Come Partito Democratico noi siamo convinti che l'elezione diretta sia stata un'ottima scelta, che ha avuto soprattutto il merito di garantire la governabilità di questa Regione. Mi chiedo cosa sarebbe successo in questi due anni e mezzo, durante i quali siete stati capaci di nominare, mi sembra, più di trenta Assessori. Molto probabilmente sareste riusciti a eleggere anche diversi Presidenti di Regione, mentre con l'elezione diretta questo non è possibile.
Sono convinto che nella stesura della nuova legge elettorale dobbiamo partire dall'elezione diretta del Presidente della Regione. Forse, anzi sicuramente vanno apportati dei correttivi che riequilibrino il potere legislativo e quello esecutivo, ma una scelta così importante, a mio avviso, non può essere assolutamente rimessa in discussione. Il rischio forte al quale stiamo andando incontro è che oggi noi approviamo la riduzione da ottanta a cinquanta del numero dei consiglieri e magari domani o dopodomani non ci siano le condizioni politiche per approvare una nuova legge elettorale, con il rischio che il prossimo Consiglio sia formato da quaranta eletti nei collegi provinciali e da dieci, cioè un quinto, nominati ancora nel listino, e che alcuni territori storici della Sardegna siano rappresentati da un solo consigliere regionale. Questo nel nostro sistema democratico, ne sono convinto, non possiamo assolutamente permetterlo.
In ultimo, signor Presidente, vorrei ricordare, prima di tutto a noi stessi e poi ai parlamentari sardi, che siamo ancora una Regione a statuto speciale, che su questa materia abbiamo competenza primaria e pertanto spetta a noi e alla nostra capacità darci una legge elettorale nuova nei contenuti e anche nei numeri.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSSA
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il consigliere Felice Contu. Ne ha facoltà.
CONTU FELICE (U.D.C.-FLI). Onorevole Presidente, cari colleghi, normalmente io non intervengo spesso in quest'Aula per il fatto che mi sono imposto una regola: c'è un tempo per parlare e un tempo per ascoltare. Per me è arrivato il tempo di ascoltare e non il tempo di parlare, perché forse ho sempre parlato abbastanza. Però devo dire che alcuni colleghi hanno sollecitato questo mio intervento. C'è stato un consigliere che ieri ha detto: "C'è un comportamento un po' strano da parte dei nostri colleghi su questo argomento." Probabilmente coloro i quali sono alla prima legislatura si preoccupano che la diminuzione dei seggi possa comportare una difficoltà di rielezione, ma c'è anche chi, pensando di non doversi ricandidare, probabilmente è insensibile a questo argomento.
Io appartengo alla seconda categoria, cioè a quella dei consiglieri che non devono ricandidarsi. E siccome non mi devo ricandidare credo di poter dire qualche parola in maniera obiettiva; non ho cioè nessun interesse personale da difendere. Sono invece molto interessato all'argomento in discussione. Certo avrei preferito discutere di un argomento che mi entusiasmasse un po' di più, convinto come sono che il problema che abbiamo di fronte non è tanto di quantità quanto di qualità. Voglio dire, in sostanza, che l'argomento oggi in discussione stranamente, dopo gli interventi che ho sentito, mi pare orfano di padre e di madre, perché più o meno tutti se ne stanno un po' discostando; non c'è nessun consigliere che lo faccia proprio, salvo qualche rara eccezione, mi pare l'onorevole Campus, ma dobbiamo ancora sentire altri interventi. Mi rendo conto anche dei motivi per i quali stiamo discutendo oggi questo problema, ma non mi entusiasma parlare del numero dei consiglieri regionali: trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, non è questo il nostro problema. Per giunta non mi entusiasma il fatto che ne parliamo oggi forse perché condizionati in parte da due fattori esterni: la volontà del Governo di ridurre a trenta il numero dei consiglieri e la crisi della politica unitamente a un sentimento quasi di odio da parte dell'elettorato, dei cittadini verso la casta. Decidere in queste condizioni significa decidere non razionalmente, ma emotivamente, e forse ha ragione il collega Maninchedda quando dice che è la politica che deve dominare la folla, non viceversa. Mi rendo però conto che bisogna essere pratici, cioè anche l'opinione dei nostri elettori va tenuta in considerazione. Oggi c'è un'ondata di populismo e di qualunquismo destinata a passare, così come sono passati altri fenomeni qualunquistici che io ho conosciuto nella mia lunga carriera politica. Ricordo l'uomo qualunque, il laurismo, e potrei citare tanti altri fenomeni che sono con il tempo scomparsi.
Noi dobbiamo tener conto del fatto che questo Consiglio regionale ha anche qualche colpa, perché non fare un po' di autocritica? Lasciate che un vecchio abbia il diritto di dire alcune cose, diritto che è consentito probabilmente solo ai vecchi. Io non posso nascondere che quest'ondata di avversione nei confronti della casta forse ce la siamo anche meritata. Non discuterò del lavoro che abbiamo fatto, perché il discorso su quelli che sono stati i risultati del nostro lavoro potrebbe portarmi molto lontano. Mi basta parlare della forma e devo dire che per me è doloroso vedere che a volte l'Assemblea si ferma perché per cinque o sei volte nella stessa giornata non riusciamo a raggiungere il numero legale; per me è doloroso vedere che in ogni seduta dieci o undici colleghi chiedono congedo; per me è doloroso vedere dei Presidenti rincorrere nei corridoi i colleghi per poter riunire le rispettive Commissioni. Potrei continuare, non voglio farlo, però, amici, un sussulto d'orgoglio dobbiamo averlo! Io ho sempre pensato che il ruolo del consigliere regionale sia un ruolo di grande dignità e debba incutere rispetto, ma spetta a noi ottenere questo rispetto da parte dei cittadini. Ecco perché occorre un colpo di reni, occorre da parte nostra un minimo di orgoglio che ci consenta di cambiare qualche nostro comportamento. Diversamente siamo destinati a essere condizionati dal vento folle che cambia ogni cinque minuti, dalla folla che ondeggia. No, non è questo che dobbiamo fare!
Vedete, quello del numero dei consiglieri regionali è un argomento antico. Io che sono un po' la memoria storica di questo Consiglio, per la mia età, posso ricordarvi che la prima stesura dello Statuto sardo fatta dai consultori affermava che l'Assemblea regionale sarda doveva essere composta da cinquanta consiglieri. L'onorevole Campus dovrebbe essere contento di questo richiamo storico, però devo aggiungere che quella prima stesura aprì un grande dibattito. L'onorevole Luigi Polano del Partito Comunista Italiano propose cose diverse, preceduto dal democristiano Gesumino Mastino, il quale disse: "A mio giudizio non dobbiamo fissare un numero, dobbiamo casomai rapportarci a un quoziente rispetto alla popolazione, questo per impedire che un domani i legislatori che seguiranno noi possano essere coartarti dal numero fissato dallo Statuto". Il P.C.I. in quel momento propose un emendamento, che fu presentato proprio dall'onorevole Polano, che affermava che l'Assemblea regionale sarda sarebbe stata composta da un rappresentante ogni 10 mila abitanti. Per la verità altri colleghi del mio partito, i democristiani Sailis e Castaldi, sollevarono delle eccezioni dicendo: "Siamo 1 milione e 200 mila abitanti, avremo quindi un'Assemblea di centoventi persone!". E siccome per la prima volta si accennò al diritto dei consiglieri che siedono in quest'Aula ad avere un'indennità congrua, Sailis aggiunse: "Probabilmente una spesa per centoventi persone è eccessiva!". Pertanto, il Partito Liberale Italiano, tramite l'onorevole Sanna Randaccio, propose un emendamento che anziché rapportare la composizione del Consiglio al quoziente di 10 mila abitanti, la rapportò a 20 mila abitanti, e quell'emendamento fu approvato. Quindi lo Statuto sardo non inizia con una cifra, inizia con un rapporto di proporzione abitanti-rappresentanti, principio che mi sembra abbia una sua razionalità. Certo, altri aspetti sono oggi in luce, come la difesa dell'"altra metà del cielo", ovvero delle donne, e la difesa dei territori, ma già il principio della rappresentanza proporzionale alla popolazione fu allora un principio, secondo me, abbastanza razionale.
Cosa successe dopo? Badate, lo Statuto sardo è stato riformato nel 1986 con una legge costituzionale che fissò il numero dei consiglieri in ottanta. Io non ero allora componente del Consiglio, quindi non vi so dire se la decisione dell'Assemblea nazionale fu promossa da qualche iniziativa del Consiglio stesso oppure no, sta di fatto che ne ho tratto un insegnamento, cioè che il Parlamento è già intervenuto un'altra volta sulla composizione di questo Consiglio e questo mi allarma non poco. Perché mi allarma non poco? Perché se è vero com'è vero che la proposta nazionale è quella di abbassare il numero dei consiglieri a trenta, mi rendo conto della sproporzione evidente fra questa proposta e la realtà sarda. Quindi noi dobbiamo stare molto attenti. Cosa dobbiamo fare? Ecco, io me lo sono chiesto. Non è facile, badate, abbandonare di punto in bianco l'idea di decidere su questo argomento, dopo aver commesso, secondo me, una leggerezza nel portare subito in Aula una leggina riguardante solo il numero dei consiglieri, senza considerare un quadro più ampio, più generale, in cui fossero posti il problema dei rapporti tra Consiglio regionale e Giunta regionale, il problema del presidenzialismo, il problema soprattutto delle elezioni, perché è chiaro che la legge elettorale condiziona il numero dei consiglieri, così come un numero di consiglieri prefissato condizionerebbe la legge elettorale. Ecco perché forse è stato compiuto un atto di leggerezza. Capisco i motivi per cui ciò è stato fatto, capisco l'urgenza per i condizionamenti di cui abbiamo parlato prima, ma verso i quali forse occorre da parte nostra avere una schiena più dura e diciamo pure una resistenza, anche di carattere culturale, che non ci deve assolutamente mancare.
Non dobbiamo mai dimenticare che quello della diminuzione delle rappresentanze è un indirizzo sbagliato. Io sono il più vecchio qui dentro, ho conosciuto il fascismo, allora frequentavo il liceo quindi l'ho potuto conoscere e non dimentico di certo che il fascismo ridusse il numero dei comuni: nella mia Marmilla dieci comuni furono aboliti e diventarono frazioni. Io diventai sindaco, dopo le elezioni regionali, di un piccolo comune di 213 abitanti, Siris, frazione di Masullas. L'onorevole Dedoni, che è di Masullas, conosce bene Siris, un paesetto sperduto, dimenticato veramente da Dio e dagli uomini. Solo con il ripristino dell'autonomia quel piccolo comune è riuscito a costruirsi la casa comunale, la scuola e un piccolo ambulatorio e ad asfaltarsi le strade. Ecco perché quest'atto ha qualcosa del fascismo. Io non dimentico che ai consigli comunali furono sostituiti i podestà, forse più efficienti, secondo qualcuno, però dov'era la rappresentanza popolare? Furono inoltre aboliti i consigli provinciali e nominati i presidi delle province.
Pertanto, francamente io non sono assolutamente favorevole a una riduzione della rappresentanza popolare in questo Consiglio, anzi essa deve essere la più larga possibile; non sono queste le spese della politica, questi sono gli oneri e le spese della democrazia, guai a noi se lo dimentichiamo! Ecco perché dovremmo avere più coraggio, ma anche più dignità e ricordarci del ruolo che abbiamo. C'è una cosa che voglio ricordare a me stesso, ma anche a tutti voi colleghi: noi siamo i signori consiglieri regionali, rappresentanti del popolo sardo in questa Assemblea che è sovrana! Dobbiamo ricordarlo ogni giorno che passa e naturalmente essere conseguenti con un comportamento che deve incutere rispetto, ma che deve soprattutto salvaguardare la nostra dignità.
Allora io dico: pensiamoci, meditiamo, ma cerchiamo di fare qualcosa di più organico. Non dobbiamo, cioè, lasciarci trascinare solo dalla folla; dobbiamo ragionare come dei legislatori che non hanno nulla di cui vergognarsi, perché non è con una foglia di fico che si possono coprire altre vergogne che non sono in quest'Aula! Badate, io ho conosciuto molte Assemblee regionali e non è vero che i consiglieri di questa legislatura siano inferiori ai consiglieri di altre legislature. No, forse c'è una mancanza di pathos, una mancanza di entusiasmo, forse non c'è in noi quell'istinto che conduce il legislatore a essere veramente il rappresentante del popolo, a sentirne le esigenze e a cercare in qualche maniera di soddisfarle, ma con molta dignità. Ecco, io un appello alla dignità lo vorrei fare.
Vorrei terminare, dato che ho iniziato con un excursus storico, con la conclusione dei padri dell'autonomia. Quando i padri dell'autonomia scrissero lo Statuto, fecero una dichiarazione, che vi leggo: "Noi sappiamo che uno dei postulati della democrazia è quello di immettere il maggior numero possibile di rappresentanti delle masse popolari nell'esercizio del potere e del governo. Noi pensiamo che quanto più larga sarà la base di questo nostro Consiglio regionale, tanto più esso rispecchierà le correnti politiche e gli interessi economici del nostro Paese e tanto più permetterà la formazione dei nuovi quadri dirigenti della vita politica ed economica isolana". Sono parole dette sessant'anni fa, ma per me tuttora attuali. Sono le parole che hanno pronunciato i padri dell'autonomia, facciamone tesoro anche noi, ricordiamoci quello che essi hanno detto e soprattutto cerchiamo di essere conseguenti.
PRESIDENTE. I lavori riprenderanno questo pomeriggio, alle ore 16 e 30. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Mariano Contu.
La seduta è tolta alle ore 13 e 42.