Seduta n.1000 del 26/02/2018 

Seduta solenne alla presenza del Presidente della Repubblica

Lunedì 26 febbraio 2018

Presidenza del Presidente Gianfranco GANAU

La seduta è aperta alle ore 10 e 45.

PRESIDENTE. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, Presidente Pigliaru, assessore e assessori, autorità e ospiti tutti, il 26 febbraio di settant'anni fa lo Statuto della Sardegna veniva promulgato con la Legge costituzionale n. 3, approvata con 280 voti a favore, 81 contrari e due astenuti, durante una delle ultime febbrili sedute dell'Assemblea costituente.

Diveniva, dunque, la terza legge costituzionale della neonata Repubblica democratica e antifascista.

Oggi ricordiamo quel momento fondante e abbiamo l'onore di farlo alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ringrazio a nome dell'Istituzione che rappresento e di tutti i cittadini sardi.

Storicamente l'autonomia speciale si è affermata per il concorrere di una pluralità di condizioni ed eventi: lo sviluppo di un importante movimento autonomista, con connotazioni federaliste e indipendentiste, che incise anche sui partiti nazionali e sulle loro rappresentanze in Sardegna; la distanza dell'Isola dal Continente; l'accentuarsi dell'arretratezza delle condizioni economiche e sociali per la ristrettezza del mercato interno, la difficoltà dei collegamenti, la condizione complessiva di isolamento, il senso di distacco e di insofferenza verso un sistema amministrativo eccessivamente accentrato e contemporaneamente inefficiente; la percezione della difficoltà di fronteggiare tali situazioni dal centro dello Stato.

"Il popolo e non solo il popolo è nudo e scalzo" scriveva il generale Pinna, Alto commissario per la Sardegna, nella relazione presentata al Consiglio dei ministri alla fine del 44.

Si dice che l'autonomia nacque nella scontentezza perché più ambizioso era il progetto, si dice che lo Statuto venne approvato in un clima di diffidenza e indifferenza, ma di fatto, 70 anni fa, la Sardegna ottenne l'autonomia regionale cui auspicava da quasi un secolo e la ottenne, per singolare coincidenza, nel centenario dei moti popolari di Cagliari e di tutta l'Isola che portarono, tra il novembre del 1847 e i primi mesi del 1848, alla soppressione degli antichi istituti autonomistici e alla totale unificazione della Sardegna con gli Stati Piemontesi.

Alla Sardegna veniva riconosciuta la dignità di Regione a Statuto speciale, veniva data autonomia nel governo della propria vita comunitaria e dunque la responsabilità di risollevarsi dalle ceneri della guerra e costruire il proprio futuro di una vita pacifica e capace di soddisfare i bisogni della propria comunità.

Autonomia e responsabilità, potrebbero sembrare poca cosa oggi, ma se si pensa solo un attimo alla storia degli ultimi 2.000 anni della Sardegna, che è stata storia di dominazioni succedutesi una dopo l'altra - fenici, cartaginesi, romani, bizantini, pisani, spagnoli - ci si rende conto che la storia dei sardi è stata la storia degli altri, in cui i sardi hanno vissuto da spettatori quando non da vittime.

Non ci deve stupire, dunque, se questo passo venne accolto come un fatto enormemente importante, e grandi furono le aspettative, le speranze, la fiducia riposta in questa nuova istituzione regionale.

Da quel momento, Presidente, si dice che la Regione ha iniziato a essere una piccola patria, un piccolo Stato per la comunità sarda.

L'istituzione democratica regionale ha rappresentato fin da subito e tuttora impersona il volto prossimo delle istituzioni e l'interlocutore necessario nel confronto con le istituzioni statali.

E sono venuti gli anni del primo dopoguerra, del piano di rinascita, della prima industrializzazione, con i suoi problemi e anche con tanti errori, in cui abbiamo assistito ad una Sardegna che si risollevava non solo dalla guerra ma da un ritardo storico di secoli, una Sardegna antichissima usciva quasi d'improvviso dal medioevo per affacciarsi alla modernità.

Dobbiamo essere orgogliosi di questi 70 anni di autonomia, di quanto è stato fatto, sono stati un periodo di straordinario progresso, 70 anni di pace dentro la pace garantita con la nascita della Comunità Europea, (oggi Unione Europea), 70 anni di avanzamento economico e sociale, di superamento della povertà, dell'analfabetismo, delle malattie; malattie come la malaria di cui si moriva in gran numero anzitempo. Il primo provvedimento del neonato Consiglio, la legge n. 1 del 27 giugno 1949, fu la costituzione del fondo regionale per la lotta contro le malattie sociali.

Ma soprattutto sono convinto che dobbiamo provare a costruire l'orgoglio di quanto potremmo fare.

E voglio farlo con lei, Presidente, partendo proprio dall'art. 1 del nostro Statuto che bene calibra l'unità politica con l'autonomia.

Lasciate che lo ricordi:

«La Sardegna con le sue isole è costituita in Regione autonoma fornita di personalità giuridica entro l'unità politica della Repubblica Italiana, una e indivisibile, sulla base dei principi della Costituzione e secondo il presente Statuto».

Con l'articolo 1, lo Statuto sardo identifica un territorio (la Sardegna) e a "presidio" di questo territorio dispone la costituzione di un ente (la Regione autonoma) al quale implicitamente attribuisce il governo dell'isola evidenziandone fin da subito i termini: l'autonomia si svolge nell'ambito dei principi dell'unità politica e dell'unità e indivisibilità della Repubblica italiana; le implicazioni che da questa unità derivano si evincono allora dai principi della Costituzione e dello Statuto speciale, quali parametri che indirizzano e danno significato all'autonomia della Regione sarda.

Parametri che, si badi bene, non sono limiti ma possibilità di sviluppo, di integrazione, di valorizzazione.

Dunque viene subito da pensare che l'autonomia regionale debba essere in primo luogo una autonomia governata da e ispirata ai principi di uguaglianza (formale e sostanziale), di solidarietà e di libertà; ai diritti sia della persona singola che delle formazioni sociali in cui essa svolge la propria personalità; e che tali principi e diritti debbano essere declinati nella realtà locale per valorizzarne la cultura e la peculiarità (geografica, storica, linguistica, ambientale, economica, antropologica).

In altre parole l'articolo 1 dello Statuto ricorda che la storia sarda da un certo momento in poi, pur mantenendo intatte molte peculiarità che per secoli la hanno contraddistinta, si intreccia inestricabilmente con la storia d'Italia e ne condivide le sorti.

L'Italia è cresciuta e noi siamo cresciuti insieme a lei, ma in questo percorso di crescita comune la differenza nord e sud nonostante tutti gli sforzi non si è attenuata e per certi versi è persino aumentata. Questo ritardo, che a volte ci sembra una specie di destino ingiusto, altro non è che lo specchio di quello che ancora non siamo riusciti a fare, insieme Presidente, la Regione e lo Stato, perché come ci ha ricordato all'inaugurazione dell'anno accademico solo insieme le persone, i territori, gli Stati possono ottenere risultati positivi per tutti.

Da anni ci diciamo che questo percorso dell'autonomia sarda sembra sia bloccato, sembra non sia stato capace di stare al passo con i tempi, a raccogliere la sfida della modernità, esercitando la propria specialità, la propria autonomia nelle necessità di oggi: trasporti, educazione, cultura, lingua, ambiente, digitale etc. Da anni il dibattito regionale evidenzia le insufficienze dello statuto, sia per il suo carattere riduttivo originario, sia per il quadro di funzioni oggi inadeguato rispetto agli obbiettivi, sia per la intervenuta trasformazione del quadro istituzionale considerato soprattutto il mutato ruolo che, a livello nazionale, ha assunto il complessivo sistema delle autonomie territoriali e il peso sempre maggiore di organi extra-statali ed europei.

Nel dispositivo statutario neanche una parola sul diritto alla mobilità dei sardi, diritto alla mobilità sia all'interno del territorio regionale che, soprattutto, da e per la Sardegna.

Neanche una parola sul diritto ad essere collegati alle grandi reti dell'energia che muovono le industrie e le esigenze di una vita urbana moderna, neanche una parola o troppo poche parole su scuola, educazione, beni culturali, lingua, e neanche una parola naturalmente su temi che sarebbero entrati con prepotenza nella nostra vita quotidiana e nell'economia attuale, le telecomunicazioni, le reti digitali, internet; neanche una parola o troppo poche parole sulle responsabilità di autogoverno del territorio, nelle sue componenti fondamentali del paesaggio, dell'uso del suolo ai fini edificatori, ma anche della difesa del suolo dall'inquinamento, dall'abuso delle attività industriali e militari.

Neanche una parola sulla necessità di equilibrio nella presenza e in particolare modo nelle attività dell'esercito in Sardegna. Ancora oggi la Sardegna sopporta da sola il 61% delle servitù militari.

Insufficienza, Presidente, che non significa necessità di superamento ma richiesta di maggiori poteri e di maggiori spazi di autonomia perché è comune e ribadita la convinzione che le ragioni della specialità della Sardegna sono non solo attuali ma per certi aspetti, oggi, ancora più evidenti e incisive e appaiono più profonde e marcate che altrove, trovando motivazioni in cause oggettive e non modificabili, di carattere geografico oltre che storiche, politiche e istituzionali.

Esse vanno in primo luogo individuate nell'essere isola e nelle conseguenze che l'insularità e la perifericità dal sistema nazionale hanno prodotto e purtroppo continuano a produrre.

Dall'insularità discendono indubbiamente profili di peculiarità identitari, ambientali da valorizzare e declinare in positivo ma, è evidente, che tale condizione comporta, rispetto al territorio della penisola, l'impiego di maggiori risorse per assicurare alla comunità anche i servizi più essenziali.

La Sardegna, proprio a causa di questo, è esclusa da tutti i sistemi di rete nazionali ed europei con gravissime conseguenze e penalizzazioni.

Nel campo energetico è l'unica regione italiana a non poter fruire di energia a basso costo (metano), con conseguente grave penalizzazione e maggiori costi per le attività produttive e i cittadini.

È l'unica regione italiana senza una autostrada, con un indice infrastrutturale (strade, ferrovie, porti, aeroporti) pari a 50, fatta 100 la media nazionale. Indice che se riferito al sistema ferroviario scende al 17,4 su 100. Di conseguenza il 75% del totale dei trasporti (persone e merci) si svolge su gomma e su una struttura stradale fortemente inadeguata.

A questo si aggiunge l'assenza di efficaci politiche statali che garantiscano continuità con il resto del territorio nazionale, in particolare quella aerea, che si somma agli alti costi di quella marittima.

Il patto per la Sardegna è stato un segnale importante che darà sicuramente risultati ma rimane una misura una tantum rimessa nella disponibilità del governo di turno.

Presidente, oggi come ieri, la nostra è una terra dalla quale si emigra alla ricerca di lavoro, di possibilità, di dignità.

La nostra è una terra dove si registra una disoccupazione giovanile al 56,3%, dove la dispersione scolastica, nonostante gli sforzi fatti, è ancora al 18%.

E allora, voglio richiamare l'attenzione sull'articolo 13 dello Statuto, il cosiddetto piano di rinascita, il quale prevede che «Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'isola».

E lo richiamo perché in questa disposizione, dal carattere sintetico, è in realtà racchiusa la ragione di fondo che ha motivato l'istituzione della Regione speciale: l'arretratezza creata dal secolare sfruttamento e dal dominio, che all'epoca dell'Assemblea costituente contraddistingueva una terra ricca di potenzialità, può, anzi deve, essere superata con il concorso dello Stato e della Regione. Ecco che allora l'unità della Repubblica rappresenta anche un concorso per operare una rinascita. Un patto, dunque, che coinvolge in una comune responsabilità sia lo Stato che la Regione.

Un patto costituente che con lungimiranza prevedeva che solo la crescita di ciascun territorio, di ciascuna regione, di ciascuna parte del nostro paese avrebbe consentito all'Italia di risollevarsi dalle macerie della guerra.

Insieme, come ricordava ancora lei Presidente, un metodo impegnativo e al contempo necessario.

Sono convinto che la disposizione contenuta nell'articolo 13 sia oggi ancora attuale. Non è un residuato storico, né una disposizione che non risponde più alle esigenze dell'isola. Essa è ancora in vigore e lancia una sfida per il futuro: la rinascita (economica, sociale, culturale, spirituale) non si compie una volta per tutte. Si rinasce sempre laddove si trovano motivazioni per crescere, per progredire, per conquistare nuove frontiere.

In questo senso, dunque, il termine rinascita, racchiuso nello Statuto speciale, costituisce ancora il senso e il significato della specialità e invita la Sardegna a valorizzare le proprie risorse per uscire ogni giorno dall'isolamento e per rilanciare la propria unicità oltre i confini dell'isola.

E invita lo Stato a concorrere con convinzione a questo processo perché oggi ancor più di ieri la specialità attiene ai diritti dei cittadini, prima ancora che ai rapporti fra istituzioni e merita perciò di essere declinata e valorizzata quale strumento per la parità di condizioni fra tutti cittadini a prescindere dal territorio in cui essi risiedono. Perché solo un Paese che garantisce a tutti i suoi abitanti, indipendentemente dalla collocazione geografica, dal colore della pelle, dalla religione, dall'orientamento sessuale pari opportunità, diritti e dignità è un paese veramente libero.

Ci chiediamo spesso se si possa essere orgogliosi del nostro percorso di autonomia. Certamente possiamo esserlo, come per ogni cosa che non ci è stata concessa ma che abbiamo conquistato con le nostre mani e con il nostro lavoro. Ma se dobbiamo essere orgogliosi di quanto è stato fatto dai nostri padri e dai nostri nonni, ancora di più dobbiamo essere orgogliosi dell'impegno di oggi.

C'è un desiderio non detto, non espresso, il desiderio di affrancare quest'isola bellissima dalla povertà e dall'incapacità di rispondere alle giuste esigenze di ciascuno di noi.

E allora dico che le ragioni dell'autonomia e della specialità risiedono nella responsabilità che tutte le istituzioni, dallo Stato alla Regione agli enti locali, hanno nei confronti dell'intera comunità sarda ma anche nella responsabilità che ciascuno di noi ha nel farsi artefice del nostro destino. Responsabili di quanto occorre fare, sapendo che nessuno ci sostituirà nel nostro compito, perché lo Statuto speciale invita ancora oggi proprio i sardi a rinascere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione.

PIGLIARU FRANCESCO (PD), Presidente della Regione. Signor Presidente della Repubblica, onorevoli consigliere e consiglieri, Presidente Ganau, Autorità ed ospiti tutti, oggi per la Sardegna, per quest'Aula, per il nostro Governo regionale, è una giornata importante.

L'occasione, come sappiamo, è la celebrazione dei 70 anni del nostro Statuto speciale, che coincidono con i 70 anni della nostra Costituzione italiana.

La nostra Costituzione.

Vorrei partire da qui, dalla Carta costituente della Repubblica, democratica, fondata sul lavoro, sul dovere di solidarietà, sul rifiuto della guerra, dell'odio razziale e religioso e sul valore fondante dell'antifascismo.

Principi universali, che costituiscono il patto che unisce i cittadini e lo Stato.

Un mese fa, nell'apprezzata iniziativa voluta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la nostra città, la nostra regione, hanno accolto la Carta in una tappa importante di quello che è stato battezzato il Viaggio della Costituzione. Era la tappa dedicata all'articolo quinto, proprio l'articolo che indica la strada verso l'Autonomia, che apre la via al riconoscimento delle ragioni che hanno portato alla nostra Specialità.

E in quell'occasione, nelle vetrine dell'esposizione, sono state affiancate una copia originale della Costituzione italiana e una copia originale dello Statuto speciale della Sardegna.

Ecco, credo che quell'immagine sia il miglior punto di osservazione dal quale partire.

Il nostro Statuto speciale come ordinamento di rango costituzionale, valore sancito dalla Carta costituzionale che ci unisce tutti, che lega la Sardegna all'Italia.

Carta sorella della Carta nazionale, nata e pensata per un'Autonomia sorella della Repubblica, base ed esempio di quel principio di leale collaborazione essenziale nel rapporto tra la Regione e lo Stato, tra il nostro governo e quello centrale.

Dentro questo rapporto, per noi che governiamo ora, così come certamente per quanti ci hanno preceduto, per ognuno secondo propria misura, c'è un punto fermo: la nostra Specialità. Che, non ci stancheremo mai di sottolineare, non è principio teorico. Tutt'altro.

La nostra Specialità ha ragioni storiche, linguistiche, geografiche. Sono ragioni fondative, che permangono anche in questo momento storico in cui spinte centrifughe arrivano per altri motivi da altre regioni.

Ma la nostra Specialità ha la sua ragione permanente nella condizione di insularità, che quelle ragioni riassume in un unico concetto.

Insularità che richiama l'applicazione del principio di uguaglianza, e da questo discende la necessità di ordinamenti speciali, differenziati.

Essi servono a garantire livelli uguali di diritti fondamentali e di risposte a bisogni. Pensiamo, per citare esempi che condizionano la vita quotidiana di persone e imprese in Sardegna, al diritto alla mobilità e all'approvvigionamento energetico.

Ed essi, gli ordinamenti speciali, differenziati, sono essenziali per predisporre strumenti che siano costantemente adeguati ai tempi, allo svolgimento di funzioni necessariamente nuove e diverse, incluse quelle che derivano dall'essere la Sardegna anche terra di frontiera rispetto alla gestione di problemi e dinamiche sovranazionali come l'immigrazione.

L'errore del centralismo

Tale ordinamento, il nostro Statuto, è la Carta che ci permette di attuare quella Autonomia che a sua volta ci consente di dare risposte specifiche a problemi specifici, certo, ma che diversamente da come sembrano pensare anche Stati a noi molto vicini, è anche potente collante dell'unità nazionale.

Ciò perché il decentramento della responsabilità di governo migliora l'efficacia dell'azione pubblica avvicinando le persone e i loro bisogni, spesso differenziati per storie e geografie locali, alle Istituzioni che devono formulare le risposte ed erogare i servizi.

Il mondo è complesso, localmente differenziato. E immaginare uno Stato centralista capace di dettare soluzioni buone per tutte le realtà, è una pericolosa illusione: non esistono politiche universalmente efficaci. Per questo il ruolo di uno Stato centrale è semmai quello di favorire la più ampia sperimentazione a livello locale di politiche di sviluppo, e far sì che quelle valutate positivamente si diffondano, diventando patrimonio dell'intero Paese.

Autonomia, dunque, come base irrinunciabile dello sviluppo di una coscienza e di una capacità di autogoverno.

Autonomia, dunque, come componente essenziale in ogni concepibile percorso di sviluppo e di reale emancipazione.

E allora si rinunci una volta per tutte all'illusione che esista una soluzione centralistica adeguata alla complessità dei problemi che abbiamo di fronte. Problemi le cui implicazioni territoriali possono essere ignorate solo al costo di un fallimento.

Questa è la lezione più preziosa che proviene dall'esperienza autonomistica e che arricchisce la cultura di governo del nostro Paese: una lezione che ci auguriamo non venga mai dimenticata.

Il corretto uso

Ma, va detto, perché tutto ciò attivi concretamente un tale meccanismo virtuoso, l'esperienza autonomistica deve in ogni istante tener presente la propria natura di esercizio di responsabilità e non può restare sorda alle sollecitazioni che provengono con forza dalla società, che riguardano il corretto uso e i necessari sviluppi.

Altrimenti, il rischio è quello di perdere la reciproca sintonia e di vivere in un ordinamento non più adeguato alle reali esigenze della nostra comunità.

Questo significa che noi, tenuti a una così alta responsabilità, prima di qualunque altra cosa dobbiamo chiederci quanta Specialità c'è dentro il nostro Statuto, e quanto abbiamo saputo fare per attuare concretamente le possibilità offerte dall'Autonomia.

Non è questa l'occasione per un rendiconto dettagliato delle luci e delle ombre incontrate nell'esercizio della nostra Autonomia. È però utile ricordare che quel rendiconto non può che essere la somma delle valutazioni dei risultati ottenuti dalle azioni di un governo dotato di autonomia. E che, per rendere rigorose e trasparenti agli occhi dei cittadini quelle valutazioni, è necessaria l'adozione di normative che le consentano e che ne garantiscano il rigore.

Ecco una ragione in più per auspicare in questa sede la promulgazione di una legge sulla valutazione delle politiche pubbliche: essa collocherebbe la Sardegna tra le Regioni europee più avanzate in questo campo così importante - ma troppo spesso trascurato nel resto del Paese - per rinforzare il dialogo tra cittadini e Istituzioni.

Adeguatezza ai tempi

Allo stesso tempo, come ho detto, non dobbiamo smettere di interrogarci sulla adeguatezza della nostra Autonomia ai tempi.

La Specialità, infatti, deve trovare il proprio costante e perpetuo concretizzarsi nell'adesione sociale ai suoi contenuti.

E la stessa essenza della nostra Specialità, l'insularità, che come ho detto richiama l'applicazione del principio di uguaglianza, richiede di essere declinata nello Statuto in modo più moderno, dettagliato, tenendo conto delle esigenze attuali.

La condizione geografica di isola periferica comporta infatti un vero e proprio 'costo di cittadinanza', che noi abbiamo misurato per la prima volta, mostrando in quale misura tale condizione vìola il principio di eguaglianza.

Di recente anche negli studi presentati dai sostenitori di un referendum sull'insularità, presenti in quest'Aula e che ringrazio per il loro contributo, è stato rilevato il peso di tali svantaggi.

Gli esiti del nostro lavoro, presentati al Governo, hanno portato al Patto per la Sardegna, che destinando risorse mirate alla mitigazione degli svantaggi, primi fra tutti mobilità esterna ed interna ed energia, ci ha fatto fare passi importanti, seppur non sufficienti.

Perché davvero avvenga una corretta applicazione del principio di eguaglianza nei confronti dei cittadini sardi, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è necessario infatti arrivare ad incidere sulla normativa europea e sulla sua interpretazione.

In questo senso abbiamo chiesto al Governo, e continueremo a chiedere con forza, di affiancare presso le Istituzioni europee la nostra richiesta di riconoscimento della condizione insulare quale requisito per l'applicazione di aiuti specifici, sul modello di quanto avviene per le regioni ultraperiferiche.

L'importante lavoro dei Parlamentari sardi ha consentito di mettere per iscritto, nella Legge di Stabilità, le procedure per istruire e dare attuazione a questa richiesta, anche con l'istituzione di un Comitato paritetico Stato-Regione. Passaggi importanti, perché come ho detto è essenziale che lo Stato italiano affianchi la Sardegna in questa rivendicazione per noi fondamentale.

Così come è importante che, nel momento in cui sono ancora da definire le azioni che dovranno essere adottate per mitigare in modo finalmente adeguato l'intero spettro degli svantaggi associati alla condizione di insularità, siano anche finalmente rese chiare, nel clima di fiducia e di leale collaborazione al quale non abbiamo mai smesso di dare il nostro contributo, le regole in base alle quali ci viene imposto un livello così alto di accantonamenti. Livello che ci pare ingiustificato, ingiusto, indifferente al problema dei costi dell'insularità che limitano il nostro sviluppo e causano tassi di disoccupazione inaccettabili .

Non solo risorse, anche regole

L'esercizio concreto della nostra Autonomia richiede sì risorse adeguate, come ho appena sostenuto, ma anche regole coerenti con l'obiettivo che è quello, ricordiamolo, di rimuovere svantaggi strutturali, di garantire pari opportunità.

Talvolta l'assenza di regole di questa natura vincola lo sviluppo di un territorio più della limitatezza stessa delle risorse.

L'attuale normativa europea sugli Aiuti di Stato, per esempio, riconosce in modo insufficiente la diversità che caratterizzano il funzionamento del mercato in un contesto di discontinuità territoriale, l'estensione dei possibili fallimenti del mercato ad essa associati, nei trasporti come in altri settori, e in questo modo rischia di limitare ingiustificatamente lo spazio per gli interventi correttivi adottabili dall'Istituzione pubblica.

È qui, l'ho detto e lo ribadisco, che lo Stato italiano deve avere il suo ruolo fondamentale di accompagnamento delle giuste rivendicazioni della Sardegna. Quando le regole sulla concorrenza smettono di guardare a esigenze vitali dei cittadini e delle comunità, allora c'è la lesione di un diritto fondamentale che lo Stato deve aiutarci a superare.

Il nostro obbligo e privilegio è esercitare la responsabilità dell'Autonomia. Ma vero è che la possibilità di coglierne tutte le opportunità passa anche attraverso quel principio di leale collaborazione che non può che portare vantaggi a tutte le parti in gioco.

Il buon uso dell'Autonomia

Certo, di quell'obbligo e privilegio che l'Autonomia trasforma in autogoverno, si deve farne buon uso.

Se ne fa buon uso quando si aggrediscono i vincoli allo sviluppo, i nodi strutturali che limitano l'emancipazione dal ritardo economico. In una parola, quando si ha il coraggio di adottare trasformazioni profonde che talvolta per produrre i propri benefici richiedono tempi difficili da accettare da parte chi pensa alla politica come esclusiva ricerca di immediato consenso.

Noi, che nella nostra esperienza di governo abbiamo scelto il sentiero stretto, il più difficile e complesso, lo sappiamo bene.

Signor Presidente, questa per la Sardegna è infatti una stagione di grandi riforme, tanto importanti quanto urgenti: alcune passate, altre in corso, altre ancora da fare. E le riforme non si misurano in Piani straordinari o solo in risorse: le riforme si misurano in base alla capacità di incidere sulla vita delle persone, oggi e in una prospettiva più ampia.

È una stagione dunque di scelte difficili che si svolge in un periodo caratterizzato dalla peggior crisi dal dopoguerra, una crisi che ha portato con sé un carico di scetticismo non semplice da superare. Ma non ci sono alternative per chi persegue l'interesse generale: bisogna lavorare con la consapevolezza che permettere alla fiducia verso le istituzioni di ritornare richiede tempo, perché i benefici delle riforme, anche delle più giuste, diventano reali solo attraverso il lungo processo che consente ai cittadini di percepire nel concreto gli effetti positivi della trasformazione.

Fa tutto parte del sentiero stretto, signor Presidente.

E per questo lavoriamo fin dal primo giorno per accrescere le competenze dei nostri giovani, per abbattere la dispersione scolastica, per dare loro opportunità dioccupazione senza dover lasciare la propria terra. Lavoriamo fin dal primo giorno per facilitare alle nostre aziende l'ingresso nei grandi mercati, per utilizzare al meglio negli ambiti più diversi le possibilità fornite dalle nuove tecnologie, per favorire la gestione associata di servizi tra comunità, per garantire una sanità sempre più efficiente, sanità che la Sardegna, ricordiamolo, ha totalmente a suo carico.

In definitiva, signor Presidente, per aiutare la nostra terra a uscire definitivamente dal ritardo economico ci servono pari opportunità, che a loro volta richiedono, come ho sostenuto, maggiori margini di manovra per la nostra Autonomia, poiché questa è garante di un autogoverno che, ad esigenze che mutano con l'avanzare del tempo e della storia, deve poter dare risposte adeguate.

Anche il dialogo con lo Stato, signor Presidente, che crediamo necessario e opportuno perché a ciò si possa giungere, fa parte dell'assunzione di responsabilità che deriva alla Sardegna dalla nostra Specialità, dalla nostra Autonomia.

Celebriamola nel modo migliore, rendendola ogni giorno più concreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusi i lavori dell'Assemblea, ricordo che il Consiglio è convocato stasera alle 16 e 30.

La seduta è tolta alle ore 11 e 18.