CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XV LEGISLATURAPROPOSTA DI LEGGE N. 487
presentata presentata dai Consiglieri regionali
COSSA - DEDONI - CRISPONI - ZEDDA Alessandrail 16 febbraio 2018
Indizione di un referendum consultivo regionale sull'inserimento del principio di insularità
nella Costituzione repubblicana***************
RELAZIONE DEL PROPONENTE
A partire dalla metà di settembre 2017 in Sardegna è stata avviata fa raccolta delle firme per l'indizione di un referendum consultivo regionale tendente a inserire nella nostra Carta costituzionale il principio di insularità.
Com'è noto, la soglia delle firme stabilita dalla legge n. 20 del 1957 per indire il referendum è di 10.000. Non solo il numero minimo necessario è stato raggiunto dopo poche settimane, ma la risposta dei sardi è andata assai oltre le più rosee aspettative dei promotori, attestandosi attorno alle 92.000. Un risultato inatteso e del tutto eccezionale.
L'iniziativa si prefigge l'ambizioso obiettivo di avviare un processo di modifica della Costituzione italiana con l'introduzione esplicita di un principio già acquisito a livello di Unione europea. L'articolo 174 del Trattato per il funzionamento dell'Unione europea infatti recita: "1. Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. 2. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. 3. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.".
Non c'è dubbio che la proposta di referendum ha un valore politico e istituzionale intrinseco molto forte, giacché pone in rilievo il fattore che maggiormente incide sulla specialità della nostra regione, che è alla radice della sua fragilità economica, ne ha condizionato la storia, la cultura, lo stesso carattere. Pur contenendo elementi di positività - la cui valorizzazione non può che essere affidata alla capacità dei sardi stessi - è di tutta evidenza che la condizione di insularità comporta per la Sardegna una serie di svantaggi e condizionamenti. Svantaggi che sono anche stati quantificati in termini monetari da una ricerca condotta dal Crenos nel 2015, la quale ha collocato il costo annuo dell'insularità (considerando i trasporti e i costi di produzione connessi all'energia) in una forbice che va da un miliardo e un miliardo e cento milioni di euro l'anno. A questi costi si aggiungono le difficoltà oggettive che vivono piccole e medie imprese sarde nel proiettarsi oltremare.
Tuttavia non ci sono solo oneri di natura economica. La ricerca difficilmente poteva tenere conto di altri costi, che potremmo definire "immateriali" ma che non sono certo meno significativi: un sistema sanitario "chiuso", che ha poche possibilità di scambio e di confronto con regioni viciniori; limitate opportunità di scelta negli studi di altra specializzazione e universitari, con la conseguente spinta ad emigrare per gli studenti interessati; le difficoltà che incontrano sotto numerosi aspetti gli artisti sardi, quale che sia l'arte alla quale sono votati; persino l'ambito sportivo ne risente, essendo problematiche le possibilità di competizione e confronto con atleti di altre regioni per qualsivoglia disciplina.
Più in generale siamo al cospetto di una palese violazione dei diritti individuali, inalienabili e collettivi dei sardi.
La previsione auspicata, conseguentemente, deve essere strutturata in modo da conferire all'insularità una caratteristica di "identità" dello Stato italiano. In tal modo il diritto dell'Unione europea non potrebbe mai ledere tale caratteristica (articolo 4, comma 2, Trattato sull'Unione europea: "L'Unione rispetta ... la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale").
L'iniziativa referendaria è dunque importante di per sé stessa.
Essa assume tuttavia una valenza ulteriore se si considera quanto sta accadendo in questi mesi nel resto d'Italia, dove alcune tra le regioni più ricche d'Europa (segnatamente Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), da tempo pongono il problema di dare attuazione all'articolo 116 della Costituzione, in base al quale le regioni ordinarie possono chiedere "ulteriori e maggiori forme di autonomia" e le relative risorse nelle materie di cui al terzo comma dell'articolo 117. La trattativa è in corso proprio in questi giorni.
Lombardia e Veneto si sono addirittura spinte ad indire a loro volta dei referendum, nella consapevolezza che la spinta popolare su un tema come questo attribuisce alla iniziativa istituzionale un peso ben diverso. L'entusiastica partecipazione al voto da parte dei cittadini (soprattutto nel Veneto) dice con estrema chiarezza quanto essi abbiano inteso e fatta propria questa battaglia. Che si accompagna ad un duro attacco portato a tutti i livelli alle regioni speciali, delle quali a più riprese è stata paventata la soppressione, in quanto considerate semplici portatrici di privilegi oggi ingiustificati.
Ora, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - le cui ragioni a distanza di quasi cinquant'anni dall'avvio del regionalismo in Italia e a settanta dalla nascita delle regioni speciali, diventano difficilmente contestabili - sono tra le regioni italiane che hanno il residuo fiscale positivo più elevato (secondo le rilevazioni del 2015: oltre 52 miliardi la Lombardia; 15,5 il Veneto; quasi 19 l'Emilia-Romagna). La forza impressa alla vertenza dalla spinta popolare fa pensare che ben difficilmente il sistema di compensazioni su cui sinora si è retta la finanza regionale possa rimanere inalterato, con un conseguente rilevante impatto sui conti delle regioni il cui residuo fiscale è negativo (Sardegna: - 5,2 miliardi).
Altrettanto evidente, tuttavia, è che la particolarità geografica della Sardegna resta un fattore che la svantaggia pesantemente rispetto alle regioni italiane di terraferma e che, essendo ineliminabile, concorre in modo determinante a fondare il suo carattere di regione speciale.
Ecco perché il tema dell'insularità e il "caso Sardegna" devono essere posti alle istituzioni e perfino all'opinione pubblica nazionale con la massima determinazione e imprimendogli la massima forza possibile, andando oltre lo schema strettamente istituzionale per mobilitare l'intero popolo sardo.
Il procedimento tuttavia si è arenato davanti al parere negativo dell'Ufficio regionale per il referendum. Un parere molto opinabile e con numerosi elementi di debolezza, che sarà impugnato dal comitato promotore in sede giudiziale amministrativa e civile, con fondate aspettative di accoglimento ma con l'alea derivante dai tempi della pronuncia giurisdizionale, che potrebbero non esser tali da permettere lo svolgimento del referendum in tempo utile per agganciare il "tema Sardegna" al più ampio dibattito sulla modifica del rapporto pattizio tra lo Stato e le regioni e degli strumenti per garantire la coesione nazionale.
Da qui nasce la presente proposta di legge, il cui obiettivo è di dare attuazione alla volontà espressa da quasi centomila sardi e indire, con decisione del Consiglio regionale e in deroga a quanto previsto dalla legge n. 20 del 1957, un referendum consultivo sul tema dell'insularità.
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TESTO DEL PROPONENTE
Art. 1
Indizione di referendum consultivo1. In deroga a quanto disposto dall'articolo 1 della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale), il Presidente della Regione indice un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori nella Regione sul seguente quesito: "Vuoi che la Regione autonoma della Sardegna intraprenda le iniziative istituzionali necessarie a richiedere allo Stato il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità mediante l'inserimento di detto principio nella Costituzione?".
Art. 2
Disciplina delle procedure referendarie1. Il Presidente della Regione convoca la consultazione in una domenica compresa tra il 1° ottobre e il 15 novembre del corrente anno.
2. Lo svolgimento del referendum è disciplinato dagli articoli 9 e seguenti della legge regionale n. 20 del 1957.
Art. 3
Norma finanziaria1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge e relativi alle operazioni di voto, quantificati in complessivi euro 300.000 per l'esercizio 2018, si fa fronte con le risorse presenti nella missione 01 - programma 07 (Elezioni e consultazioni popolari).
Art. 4
Entrata in vigore1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS).