CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA

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Nota stampa
della seduta n. 448 del 20 dicembre 2013

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Seduta congiunta Consiglio regionale – Consiglio delle Autonomie locali sullo stato del sistema delle Autonomie in Sardegna

Cagliari, 20 dicembre 2013 – La seduta si è aperta sotto la presidenza della Presidente Claudia Lombardo. All’ordine del giorno la seduta congiunta Consiglio regionale – Consiglio delle Autonomie locali sullo stato del sistema delle Autonomie locali. In apertura l’intervento della Presidente Lombardo:
Signor Presidente della Regione, Signor Presidente del CAL., Signori componenti del CAL, cortesi amministratrici e amministratori, colleghe e colleghi,
con l’adozione della manovra finanziaria ci avviamo velocemente verso la conclusione della XIV legislatura della nostra storia autonomistica.
Per questo motivo, già in apertura, vorrei porgere un sentito ringraziamento al Consiglio delle Autonomie Locali, al suo Presidente e ai suoi componenti presenti e passati, per l’utile, puntuale e autorevole ausilio che hanno fornito alla nostra Assemblea in un clima sempre improntato ad una leale e reciproca collaborazione.
Una legislatura nell’ambito della quale le sedute congiunte con il CAL hanno rappresentato un momento importante di confronto, di valutazione, di riflessione corale su temi portanti non solo in riferimento alla manovra finanziaria annuale, ma su tutto il complesso di rapporti e correlazioni fra istituzioni regionali e sistema degli enti locali.
Questa occasione in particolare, trattandosi dell’ultimo appuntamento della legislatura, può rappresentare la sede ideale per una riflessione a tutto campo.
Una valutazione dei fatti che hanno contraddistinto la tenuta dei diversi momenti di confronto fra CAL e Consiglio Regionale che, però, non si limiti all’esame delle sole materie che la legge istitutiva demanda alle sedute congiunte.
Precisamente un bilancio, per quanto parziale, sullo stato della nostra Isola che vive un tempo di grande travaglio sociale, economico e istituzionale per via dei fatti eccezionali che hanno caratterizzato il sistema socioeconomico e quello politico in questo ultimo quinquennio.
La disaffezione crescente dalla politica, la grande crisi economica e finanziaria mondiale, il dramma sempre più incombente della perdita del lavoro e dell’incedere di nuove povertà e, per ultimo, come se non bastasse, la eccezionale calamità alluvionale del novembre scorso con la sua tragica scia di vittime, lacrime, disperazione e polemiche in una terra già martoriata di suo.
Tutta l’Isola è pervasa da un sentimento di frustrazione e rabbia per una involutiva condizione economica, finanziaria e sociale che trova pochi precedenti nel passato e per la quale, nell’immediato, gli spiragli futuri non sembrano aprire ad orizzonti di grande aspettativa.
In aggravio, il quadro regionale è devastato da un accentuato distacco nei confronti della politica e delle istituzioni, con livelli di disaffezione davvero mai raggiunti prima, che rendono difficoltoso lo svolgersi di ogni utile azione politico amministrativa che i tempi invece richiederebbero.
Questo ha finito per incidere inevitabilmente sulla legislatura presente, che si è denotata per un insieme di luci ed ombre in egual misura.
Una legislatura, infatti, dove si sono toccati momenti altissimi di spirito unitario, con la convergenza di tutte le forze politiche su di un fronte comune al fine di affrontare al meglio le grandi battaglie per i diritti del nostro Popolo, cui si sono succedute fasi di aspra e aperta polemica, dove il cammino unitario è stato clamorosamente smarrito.
Il faro delle riforme, che ha caratterizzato il periodo iniziale della legislatura, si è lentamente oscurato per inseguire le drammatiche fasi delle mille emergenze che ci hanno investito, denotate da una costante emorragia di posti di lavoro, chiusura di imprese e moria di aziende.
Tutte vertenze che hanno assorbito le nostre energie che hanno riportato a galla i sintomi di una crisi che in Sardegna è sempre latente tanto da essere cronica.
Crisi che una volta esplosa ha accentuato oltremodo i toni e le manifestazioni di criticità, esplose spesso in manifestazioni di intolleranza sociale in diverse piazze dell’Isola, tanto da assumere i contorni di un fenomeno ed essere definita la nuova “Questione Sarda” nell’ambito degli equilibri economici e sociali della Repubblica.
Lo scontro con i governi centrali su questioni nodali, come quelle che riguardano per esempio: la partita delle entrate fiscali, della continuità territoriale e del crollo del settore industriale che rappresentano una vera e propria vergogna nazionale per come è stata trattata l’Isola, ha toccato livelli elevatissimi di rottura difficilmente riscontrabili in altrettanti episodi precedenti.
Di fronte a questa ondata di eventi eccezionali spesso, purtroppo, ci siamo trovati inermi nel constatare i limiti degli strumenti di uno Statuto di Specialità che si è dimostrato abbondantemente superato.
Ciò ha determinato una paralisi dell’efficacia delle iniziative politiche, laddove i diritti dei sardi non trovavano una adeguata tutela normativa nei rapporti tra Stato e Regione che spesso ci hanno visto soccombenti pur essendo la ragione dalla nostra parte, come per la vertenza sulle entrate fiscali.
La Regione si è trovata sola ad affrontare una situazione di piena emergenza sociale ed economica con strumenti normativi vetusti e insufficienti, carenza di risorse finanziarie e limitazioni potestuali.
L’Assemblea Regionale anch’essa ha subito questa situazione di eccezionalità riscontrabile nel fatto che la stragrande maggioranza delle leggi approvate nel corso della legislatura ha avuto un carattere contingente, con provvedimenti adottati per incidere nel breve periodo e condizionati dall’incedere delle varie emergenzialità sociali ed economiche.
La qualità della legislazione regionale è stata dunque ampiamente vincolata dal protrarsi della crisi economica, dalla sua forte incidenza sul tessuto economico e sociale e dagli effetti di una progressiva riduzione delle risorse pubbliche che hanno fortemente inciso sulla domanda legislativa e sui tempi delle decisioni.
Il Consiglio Regionale con sempre maggiore frequenza ha fatto ricorso alla procedura di iscrizione immediata all’ordine del giorno in base all’art.102 del Regolamento Interno, indice di come il Consiglio spesso abbia dovuto svolgere un’azione suppletiva a quella dell’esecutivo.
Ciò si è reso necessario per agevolare con procedure d’urgenza i provvedimenti da adottare in Aula con forme di coinvolgimento più ampie e partecipate.
Non a caso il ricorso a questo strumento, previo assenso di tutti i gruppi politici, ha consentito precisamente di portare diversi provvedimenti direttamente in discussione in Assemblea, nel testo dei proponenti, saltando cioè l’ordinario passaggio nella Commissione competente.
Il nesso col quadro sistematico di crisi è rilevabile dalla constatazione che si tratta in maggioranza di provvedimenti legislativi volti ad affrontare l’emergenza occupazionale e per finanziare la cassa integrazione.
L’esperienza della legislatura mostra, in modo inoppugnabile, come al maggior peso attribuito all’organo esecutivo non necessariamente corrisponda altrettanta capacità di influsso sull’attività legislativa.
Questo ci porta a suffragare il fatto che è sempre più necessario affrontare una stagione di intense riforme del sistema autonomistico e degli enti locali.
Riforme che, purtroppo, per le ragioni suesposte, in questa legislatura non sono decollate.
Viviamo dunque questo momento di difficoltà con la convinzione intima che non tutto il possibile sia stato fatto e, quindi, anche dei nostri limiti ed errori come classe dirigente.
Molto ancora resta da fare per gli anni difficili che ci attendono.
Non illudiamoci, perché l’uscita dalla crisi non è dietro l’angolo.
Il percorso che ci aspetta è irto di difficoltà e complessità che richiedono tutto il nostro impegno e saggezza.
Ma è in frangenti come questi che la politica è chiamata a dare il meglio di sé stessa.
E’ in passaggi delicati, come il presente, che tutto il buono che esiste nel mondo politico deve emergere con determinazione e, consentitemi, prepotenza, se necessario, per accompagnare l’Isola in una coraggiosa opera di ricostruzione sociale ed economica.
Ma anche e soprattutto morale e spirituale fondata su nuovi moderni binari del nostro sentire comune di Popolo e nazione sarda.
Dobbiamo riaccendere le speranza per un futuro migliore.
Per un domani sereno.
Per costruire le generazioni future al riparo dagli errori sia del presente che del passato.
Abbiamo, e sentiamo, la necessità di riallacciare quella unione ideale e affettiva fra popolo e Assemblea Regionale che è stato il volano delle conquiste economiche, civili e sociali nella difficile opera di ricostruzione nel secondo dopoguerra alla ripresa della vita democratica con la nascita delle istituzioni democratiche.
Anche quelli erano anni difficili e bui.
Eppure, nonostante le impervie sfide da affrontare, il nostro popolo e la sua classe dirigente seppero trovare la forza e la determinazione per avviare una difficile opera di costruzione di una Sardegna moderna, competitiva e integrata nei contesti italiano, europeo e mondiale.
Un clima e uno spirito che vanno ritrovati.
Non a caso in questa sede di confronto tra gli enti locali che compongono il nostro sistema autonomistico, nella precedente seduta, ho sollevato la necessita che si addivenisse ad un tacito accordo tra tutti gli eletti, superando steccati, barriere e differenze di ogni colore e grado, per una legislatura unitaria del fare.
Una legislatura, cioè, dove ogni consigliere senta predominante il dovere di servire la Sardegna al di sopra di ogni appartenenza o vincolo partitico e politico.
Chiunque vinca le elezioni, non dovranno esserci maggioranze od opposizioni precostituite, ma solo la ferrea volontà di cementare un sentire comune per difendere i diritti inalienabili del Popolo sardo e collocare la Sardegna in un’ottica di sviluppo e modernità in ambito europeo.
Questo avrei voluto che si avverasse nel corso della presente legislatura. Che immaginavo e speravo fosse una legislatura costituente per la riforma dello Statuto di Autonomia.
Per questo mi sono sinceramente spesa con i colleghi Presidenti di Gruppo, lo testimoniano le diverse sedute straordinarie con gli stati generali dell’Isola sui temi coinvolgenti e urgenti delle varie fasi di criticità della denominata “Vertenza Sardegna”.
Purtroppo però è stato chiaro, dopo qualche tempo, che non eravamo ancora culturalmente e politicamente attrezzati per un evento politico di così intenso spessore e impegno programmatico.
L’avvento delle prossime elezioni, può essere l’occasione propizia per incoraggiare una intensa fase di collaborazione fra tutti gli eletti, a prescindere dai ruoli cui saranno chiamati, partendo dal presupposto che non ci si debba porre la domanda di cosa può darci la nostra terra, ma di cosa siamo disposti noi a dare ad essa.
E credo che alberghi nell’animo di ogni buon sardo il fatto che la nostra è una terra da amare, da rispettare e da difendere, perfino contro i nostri interessi personali o di parte.
Sessanta consiglieri, se si muovono all’unisono, pervasi dallo stesso sentimento di amore e rispetto per il loro popolo, sono una forza invincibile che può dare futuro e speranza alle aspettative dei sardi e, nel contempo, riavvicinare una classe politica oggi in seria difficoltà e invisa nella stima della gente.
Oggi, soprattutto dopo l’esito referendario, si impone una severa riflessione su come declinare tutto il sistema delle autonomie locali in un ambito riformistico che nel rispettare la volontà popolare non pregiudichi i livelli di rappresentanza territoriale che sono comunque il sale di una democrazia sana e partecipativa.
Non possiamo non considerare il fatto che se si deve procedere ad una seria riforma del sistema autonomistico bisogna agire in una cornice normativa che non si limiti ad una semplice rivisitazione del presente, ma che ne delinei un nuovo assetto più funzionale, efficiente, moderno e rispondente al criterio di morigeratezza dei costi della politica.
La volontà espressa dalla sovranità popolare nel referendum del 2012, deve essere interpretata non come una mera e semplice applicazione del suo dettato, bensì come l’occasione irripetibile per una profonda autoriforma di sistema per dare all’Isola un’organizzazione istituzionale, amministrativa e burocratica in grado di reggere le crescenti sfide che ci attendono.
Sfide che riguardano perfino la stessa tenuta del quadro regionale in riferimento alla condizione di specialità.
Una specialità che sta subendo attacchi da più parti, governo centrale in primis, tesi a demolirla del tutto.
Questo per noi è inaccettabile.
La nostra specialità costituisce l’anima più intima del patto con lo stato.
Essa è posta a garanzia di un presupposto di peculiarità sociale, culturale e politica che ha visto il popolo sardo coltivare nel tempo aspirazioni e sentimenti spesso distinti e talvolta distanti dal resto delle popolazioni italiane.
E se, come molti soloni intendono fare nel nome di una malintesa corsa all’eliminazione degli sperperi, si considera la specialità sarda una fonte di spreco, un nuovo “delitto politico” verrà consumato sulla pelle dei sardi.
In tal modo ci verrà definitivamente negato il diritto al riconoscimento di quel patto solidaristico in cui la sussidiarietà dello Stato avrebbe dovuto allineare tutti gli squilibri di una appartenenza che si portava dietro il peccato originale di una lontananza dai centri decisionali e di potere che nell’ambito degli equilibri con le altre regioni, ci ha relegato in una posizione di marginalità, se non proprio coloniale.
Ma questo non significa che tutte le colpe sono dall’altra parte del Tirreno.
Spesso non abbiamo saputo dispiegare tutte le potenzialità che lo strumento statutario ci ha conferito.
Invero, bisogna riconoscere che se i limiti geografici, economici e infrastrutturali hanno impedito un sano e corretto sviluppo, ciò è dovuto anche a colpe specifiche della nostra classe dirigente, presente e passata.
Ogni volta che siamo divisi, ogni volta che abbiamo effettuato un distinguo, ogni volta che è prevalsa la nostra appartenenza a schieramenti anziché una comunione di intenti per la nostra terra la Sardegna ha perso.
Ogni volta che anziché assumerci, con orgoglio e dignità, le nostre responsabilità abbiamo giocato allo scarica barile, accusando il governo centrale di turno, o attribuendo colpe ai governi regionali precedenti, per mascherare le nostre insufficienze, il Popolo sardo ha perso.
Questa seduta congiunta, l’ultima della legislatura, deve servire anche a questo, per una assunzione corale di responsabilità e per una presa di coscienza delle nostre manchevolezze, seppure nella distinzione di ruoli e responsabilità di ciascuno di noi.
D’altronde la gente non vuole politici super eroi, ma essere governata da una classe dirigente che assuma piena coscienza del proprio ruolo e torni ad essere seria, operosa e attenta ai bisogni della collettività e non al benessere di pochi.
Invece oggi accade che i partiti e le istituzioni non sono percepiti come i referenti costituzionali per tradurre in atti normativi la realizzazione di processi di modernizzazione e crescita civile della società.
Solo una azione riformatrice incisiva sarà in grado di condizionare tutto il sistema Sardegna per modificare l’immagine distorta di una Regione statica, arrogante e chiusa in se stessa, e lontana dalla gente può essere salvifica per abbattere le attuali distanze fra opinione pubblica e ceto politico.
Pur tuttavia bisogna mantenere equilibrio e razionalità.
Infatti, se da un lato dobbiamo impegnarci con tutte le forze per recuperare il senso di un’etica politica incentrata sul bene comune con al centro il cittadino, dall’altro non possiamo rischiare con una insensata corsa ai tagli non solo di non risolvere i problemi della Regione, ma anche di impoverire gli spazi vitali di partecipazione democratica.
La riforma del nostro sistema autonomistico deve dare senso compiuto ad un concetto preciso: le istituzioni regionali e gli enti locali non devono costituire un costo, ma un investimento per dare alla macchina regionale un’organizzazione in grado di creare serie e durature condizioni di sviluppo e benessere per l’Isola.
Per questo, se mi consentite l’inciso, il Consiglio Regionale, in tempi non sospetti, ha saputo dimostrare che si può attuare, in sede di autoriforma del proprio organismo, una politica gestionale finalizzata a ridurre i costi dell’Assemblea, migliorare l’efficienza della macchina consiliare ed aumentare la qualità della produzione legislativa.
In conclusione la prossima legislatura, è questo l’augurio e l’auspicio che mi sento di fare, deve costituire il ritorno alla speranza e all’impegno nobile per il bene comune per fare in modo che la politica torni ad essere strumento di democrazia, di confronto e di proposta.
Riflettiamo insieme su come restituire alla nostra piccola patria un ceto politico affidabile, efficiente e capace di vincere quel senso di rassegnata accettazione di una condizione di sottosviluppo anche politico che ci ha visto sempre ai margini della Repubblica italiana e in Europa.
La politica, quella nobile e alta, può ancora, se vuole, vincere la sfida per disegnare un nuovo modello di sviluppo capace di debellare quel retaggio culturale e politico che nel passato ha contribuito a determinare un pernicioso senso di inferiorità dei sardi, ingiusto e ingeneroso per un Popolo orgoglioso, fiero e pieno di risorse come il nostro.
Il Presidente del Cal Gianfranco Ganau ha fatto rimarcare l’assenza del Presidente della Regione in Aula. Questa assenza ancora una volta – ha detto – fa capire quanto il Presidente Cappellacci tenga conto delle amministrazioni locali. Per Ganau è arrivato il momento di capire se c’è la volontà di attuare le riforme. Fino ad oggi abbiano assistito a una totale elusione del problema e a un totale fallimento . L’eccessivo centralismo regionale è una delle concause della crisi. Il Presidente del Cal, riferendosi alla legge sul riordino delle province ha detto che è “irricevibile” per il Consiglio delle Autonomie locali. Dure accuse anche per le “scorciatoie fuorilegge” in materia di commissariamento delle province e di abolizione dell’Unione dei comuni. Ganau ha ribadito che bisogna partire dalla riforma della Regione e ha denunciato la mancata capacità di produrre atti legislativi legittimi che sono stati spesso impugnati dalla Corte Costituzionale. Chiediamo – ha concluso - impegni precisi per un patto di stabilità diverso che consenta agli enti locali di svolgere le proprie funzioni e superare la crisi.
Il sindaco di Modolo Omar Hassan prima di cominciare l’intervento ha indossato la fascia tricolore. Il primo cittadino ha chiesto il giusto riconoscimento del Cal, un maggiore confronto anche se aspro e acceso e ha sottolineato l’esigenza di porre fine alle lottizzazioni dei partiti soprattutto nel settore sanità.
Il sindaco di Gairo Roberto Marceddu ha trattato la problematica della burocrazia e degli effetti negativi che provoca in Sardegna. Una delle cause dell’involuzione che la Sardegna sta vivendo- ha detto - è proprio la burocrazia. Marceddu ha ribadito la necessità di normative chiare e semplici e immediatamente attuabili. Accenno anche all’ambiente che – ha detto - va tutelato. Ma è importante trovare un punto di equilibrio tra tutela e ambiente. Di soli vincoli non si vive. Questa legislatura – ha concluso - non lascerà molti rimpianti, speriamo nella prossima.
Il sindaco di Austis Lucia Chessa ha parlato di “delirio distruttivo”. E’ delirio l’abolizione delle comunità montane e dell’ unione dei comuni. Per il primo cittadino è schizofrenico chi obbliga all’aggregazione e poi abolisce gli aggregati. Questa schizofrenia è colpevole e frutto di incapacità.
Giulio Steri, capogruppo Udc, ha detto che l’apporto del Cal è stato sempre determinante. Ha ricordato anche il lavoro di altissima qualità fatto dall’ex presidente del Cal Milia. Per quanto riguarda le riforme, l’on. Steri, ha detto che questa legislatura non si è contraddistinta in questa materia nonostante le intenzioni da parte di tutti. Solo difendendo le piccole autonomie possiamo costruire un sistema democratico vero. Ha ringraziato la presidente Lombardo per quello che ha fatto durante la legislatura per tenere coeso il rapporto tra Cal e Consiglio.
Giampaolo Diana, capogruppo del Pd, ha ringraziato l’on. Steri per il lavoro fatto durante la legislatura. E’ desolante assistere alle numerose assenze sia da parte dei consiglieri regionali che da parte dei sindaci. Troppo spesso passa il messaggio “Siete tutti uguali”. Io non lo accetto, questa legislatura è stata una delle peggiori legislature della storia della autonomie ma le ragioni non sono distribuibili in misura uguale a tutti. Non bisogna dare giudizi semplicistici. In questa legislatura si è mortificato in maniera continua l’istituto autonomistico. La Sardegna è scomparsa dal confronto con lo Stato. La causa di questa scomparsa risiede esclusivamente nella assenza totale di autorevolezza del presidente della Regione.
L’assessore Rassu ha ricordato il periodo di grave difficoltà che sta attraversando la Sardegna. I tagli e i mancati adeguamenti in materia di entrate stanno mettendo in ginocchio il Cal e l’intera isola. E’ necessario adeguare il patto di stabilità. Mai nessun provvedimento riguardante il Cal – ha precisato - è stato emanato senza sentire il Consiglio delle Autonomie locali . Sulle province l’assessore ha detto che bisogna rispettare l’esito del referendum salvaguardando però servizi e posti di lavoro. L’auspicio che si vada alla sostanza dei problemi e alla più ampia condivisione possibile.
I lavori della seduta congiunta si sono conclusi. Il Consiglio è proseguito in seduta ordinaria. (R.R.)