CONSIGLIO REGIONALE DELLA
SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
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Nota stampa
della seduta n. 142 del 28 settembre 2010
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L’intervento dei capigruppo sulle riforme
Cagliari, 28 settembre 2010 – La seduta si è aperta sotto la presidenza della presidente Claudia Lombardo.
All’ordine del giorno l’intervento dei capigruppo sulle riforme.
L’on. Cuccureddu (Misto-Mpa) ha sottolineato che dal dibattito sono emersi diversi spunti interessanti svincolati da logiche di partito. Auspico – ha detto Cuccureddu – una sintesi unitaria per uscire dallo stallo in cui siamo impantanati da oltre venti anni. Per Cuccureddu l’esigenza di una profonda riforma è emersa in ogni intervento. Ma come attuarla? La vera riforma – ha aggiunto - passa attraverso il ruolo centrale che deve essere attribuito ai comuni. Il nostro principale interlocutore è l’unione europea, dallo Stato italiano abbiamo pochi poteri o risorse da pretendere. Per l’esponente del gruppo misto per affrontare il mondo che si è evoluto non si possono utilizzare schemi mentali e politici del passato remoto. Le politiche contestative hanno avuto un senso in passato oggi dobbiamo cercare architetture istituzionali nuove. La Regione però non può più permettersi di fare da spettatore davanti al federalismo. Calderoli e i leghisti – ha detto Cuccureddu - viaggiano a velocità supersonica rispetto a noi. Ma questo non può essere più tollerato. Dobbiamo essere uniti verso la strada delle riforme perché lo scontro istituzione che ci aspetta non sarà più tra centro destra e centro sinistra ma tra regioni del Sud e regioni del Nord. Cuccureddu si è soffermato a lungo sulla Riforma statutaria che – ha detto - è complessa. Ci sono due ordini di problemi. Prima di tutto su chi deve scrivere la riforma. Cuccureddu ha affermato di essere favorevole all’assemblea Costituente. Questa – ha aggiunto – è l’opzione principale. Sono però disponibile a procedere, se il Consiglio dovesse prendere altre decisioni, per strade più brevi ma con il coinvolgimento preventivo dei sardi. Quindi, il percorso deve essere quello del referendum consultivo sull’autonomia. Comunque, ha detto ancora Cuccureddu, il prossimo Statuto deve ridisegnare una “Sardegna generosa” che prenda dallo Stato per devolvere ai comuni. La Regione avrà quindi il ruolo di coordinare le dinamiche economiche e sociali, snellire la macchina regionale, esaltare il ruolo dei comuni.
L’on. Salis (Idv) ha sottolineato che il popolo non sente l’importanza di questo dibattito. Noi abbiamo chiesto inutilmente nella conferenza dei capigruppo – ha aggiunto - di discutere prima di federalismo fiscale. Volevamo sentire prima dal presidente Cappellacci quali sono le risorse certe su cui poter contare. Salis non è d’accordo sul delegare la materia delle riforme ad altri organi. Questo Consiglio regionale – ha sostenuto - deve avere la forza e la convinzione per portare avanti le riforme, non deve delegare a nessuno le decisioni. Per Salis la Commissione Autonomia, anche allargata, deve avere un ruolo primario. Naturalmente tutto deve essere fatto in tempi brevissimi. Maninchedda – ha aggiunto Salis - ha posto il termine di un anno. Forse 12 mesi vanno bene per le riforme ma non vanno bene per il federalismo fiscale. A maggio – ha detto ancora l’esponente dell’Idv - i giochi saranno già fatti, per questo dobbiamo affrettarci. Salis è d’accordo anche sull’ordine del giorno – voto. Ogni tipo di percorso, però, deve essere unitario. Perché divisi non si va da nessuna parte.
L’on. Giacomo Sanna (Psd’az) si chiede se la Sardegna debba sempre essere restare incatenata al carro delle attuale istituzioni, a vincoli ingiusti, a formalismi burocratici. “Camillo Bellieni rispondeva così 100 anni fa, a questi interrogativi: allora continuate pure a dirci separatisti. Lo Statuto sardo è nato in un periodo storico particolare e risente della frizione tra i due blocchi occidentale e comunista. E un’autonomia spinta era vista come il fumo negli occhi, da ambo le parti. Ebbene”, ha aggiunto l’on. Sanna, “non solo allora, ma anche oggi è chiaro che non sbagliavano i sardisti, le cui parole sono state poi fatte proprie da altri. Forse per questo si è tiepidi a dibattere il tema dell’indipendenza. Molti esponenti politici si ostinano a battere sui pregiudizi e sulla diminuzione dell’indipendenza a tema burlesco. Da sardisti convinti, invece, siamo per l’opzione indipendentista. Chiediamo a tutti i partiti”, ha proseguito il capogruppo sardista, “quale sia l’orizzonte politico, quale stella polare, quale idea di Sardegna. Chiediamo un programma serio di riforme, senza toni patriottardi. Al centro, i bisogni del popolo sardo, senza subire le riforme dalla politica nazionale. Portiamo il nostro patrimonio storico nel dibattito sul federalismo. Ribadiamo la nostra predilezione per l’indipendenza, all’interno di un sistema federalista e di interdipendenze. Vogliamo definire nei dettagli il percorso per il nuovo Statuto e per le riforme. Il Psd’az”, ha concluso l’on. Sanna, “vorrebbe farlo con un’assemblea costituente e con il coinvolgimento dei cittadini. Perché oggi è il tempo dell’indipendenza”.
È quindi intervenuto l’on. Luciano Uras (Comunisti-La Sinistra Sarda-Rossomori). “Alcuni di noi”, ha affermato, “auspicano un percorso di revisione dello Statuto, altri propongono procedure di rottura con l’attuale sistema istituzionale. In Europa vi sono stati altri casi non positivi, peraltro. Noi diciamo che siamo dei pazzi in Sardegna se sosteniamo un modello che va bene alla Lombardia, importato da altre culture. Siamo una terra che ha subito dominazioni, che ha visto radicarsi etnie diverse. In Parlamento, invece, non ci sono sardisti, comunisti, rossomori. Per questo reputiamo che sia meglio applicare l’articolo 51 dello Statuto, per l’approvazione di una proposta di legge costituzionale da presentare poi al Parlamento. Non lasciamo fare ai parlamentari”, ha aggiunto il capogruppo della Sinistra sarda, “esponenti di una classe politica deteriorata, che fornisce una cattiva immagine di se stessa. È azzardato pensare che il percorso di revisione dello Statuto possa essere esitato solamente da questo Consiglio. Il popolo deve essere convinto che le riforme porteranno risposte ai propri bisogni. C’è, invece, una rassegnazione intollerabile alle disfunzioni e alle discriminazioni. La revisione dello Statuto deve quindi dare risposte. Noi”, ha proseguito l’on. Uras, “dobbiamo attivare un percorso, una procedura, lasciando ai sardi il diritto di scegliere il contenuto, il merito della proposta. Non so se sia meglio la Commissione speciale o la Prima Commissione allargata. So solo che il lavoro che dobbiamo fare è la stesura di un documento di metodo per un percorso unitario. È ovvio”, ha concluso l’on. Uras, “che ci siano differenze tra noi. Ma vogliamo essere concreti. Più libertà, più sovranità, più strumenti, è uguale a più sviluppo. Di fronte ad un federalismo nazionale prevaricatore e divisore, che vuole impoverire i sardi, con egoismo, noi opponiamo una base diversa, quella della sofferenza, che patiamo ogni giorno. Noi proponiamo il federalismo dei diritti”.
E’ poi intervenuto l’on. Pierpaolo Vargiu (Riformatori Sardi – Liberaldemocratici) che ha ricordato l’accordo raggiunto tra le diverse parti politiche sull’aspetto “diagnostico” dei problemi regionali - “il dramma dei pastori, la Vylnis, i precari, la scadenza dei decreti sul federalismo a maggio 2011” e ha posto la questione delle “terapie di cui si è ragionato” all’interno del Consiglio, come il nucleo fondante del lavoro in Aula. Secondo il componente della III commissione è da considerarsi un buon punto di partenza l’esistenza di parole comuni all’interno del dibattito - come sovranità, autodeterminazione, autonomia, indipendenza - seppur “declinate in modo diverso”. Anche se – ha subito precisato - i Riformatori non sono interessati a “un’indipendenza come progetto politico”, bensì a un’idea che parta dalla consapevolezza “del sangue versato dai soldati sardi per l’unità d’Italia e dai valori repubblicani in cui ci riconosciamo”. Pertanto, ha ammonito Vargiu, la parola indipendenza non deve essere utilizzata come una scorciatoia, per nascondersi dietro il motto, “La colpa è di Roma”, oppure per regalare “un sogno ai sardi perché si dimentichino della fame”. “Quanta parte di colpa ha lo Stato italiano nelle nuove otto province sarde. Le ha per caso fatte Roma?”, ha domandato provocatoriamente, precisando che lo stesso discorso vale per la riforma sanitaria regionale, per “i buchi di Abbanoa nelle condotte”, per la mancata legge elettorale, per i consorzi industriali e di bonifica”. Secondo il capogruppo dei Riformatori il “problema fondamentale della Sardegna oggi è il deficit della sua classe dirigente e politica”. “Voi dite la Sardegna è una nazione, è uno Stato – ha continuato, allora ha necessità di statisti e non di politicanti”. La parola d’ordine è “discontinuità”. Una tendenza che, ha ricordato Vargiu, il governo del presidente Soru – “seppur in maniera contraddittoria”, ha incarnato. Secondo il consigliere un primo modo per manifestare discontinuità è quello di investire sul filone delle politiche culturali e sullo snellimento della burocrazia. Ha quindi richiesto che la prima legge da approvare in aula sia quella che riduce il numero dei consiglieri: “Facciamo una cosa gradita ai sardi e restituiamo funzionalità al Consiglio”. “ Lo Statuto non è un feticcio – ha concluso -, ma va utilizzato sul serio per i sardi. Noi Riformatori siamo per la Costituente e non voteremo nessun ordine del giorno che non convinca i sardi che il nuovo strumento statuario possa cambiare la loro vita, e il loro rapporto con politica”. Perché ciò accada – ha ricordato – è necessario che “il partito dei sardi sia anche un sentimento che cresca in tutti i partiti sardi, pur incardinati in quelli nazionali, per dare risposte vere a chi le aspetta fuori da quest’Aula”
L’on. Milia (Udc) ha ribadito che è necessario un patto costituzionale per elaborare un nuovo statuto che garantisca massimo potere contrattuale alla Regione nei confronti dello Stato, basandosi sulla insularità. L’esponente dell’Udc ha detto che durante il dibattito si è assistito a qualche esaltazione di matrice indipendentista, e autonomista e sono perfino riecheggiate in aula ipotesi di autonomia di tipo siciliano. Noi sardi – ha detto Milia- dobbiamo guardare all’Europa. Mentre l’Unione Europea offre grandi occasioni per le zone che hanno caratteristiche peculiari la Sardegna sta a guardare perché non è rappresentata adeguatamente a Bruxelles e a Strasburgo. Pertanto, una delle priorità è una nuova proposta di legge di iniziativa popolare perché la nostra isola, nelle prossime elezioni europee, diventi unica circoscrizione e quindi possa eleggere i suoi rappresentanti. Milia si è soffermato a lungo anche sul federalismo fiscale. Oggi – ha detto - non possiamo non accorgerci del decreto attuativo del federalismo fiscale, l’Udc ha votato contro questo decreto perché è falso e pericoloso. L’Udc crede che il federalismo di Bossi abbia effetti deleteri nei confronti della Sardegna. Noi siamo chiamati a fare una scelta tra localismo egoista o consapevolezza della diversità in chiave europeista. Le nostre rivendicazioni politiche – ha affermato - non possono limitarsi a una sterile contrapposizioni a un processo di globalizzazione già in atto. Ma chi deve fare le Riforme? Per l’Udc “la stella cometa” rimane la Costituente. Se questa ipotesi non dovesse essere percorribile, l’Udc preferisce l’istituzione di una commissione Speciale che dovrà riscrivere le nuove regole che innescheranno un nuovo processo di sviluppo. Noi dobbiamo predisporre uno statuto adeguato ai tempi, alle necessità del popolo sardo, al nuovo assetto della Repubblica italiana.
L’on. Mario Diana (Pdl) si è detto perplesso perché dal dibattito è emerso di tutto fuorchè la volontà di condivisione. L’obiettivo – ha ricordato il capogruppo del Pdl - è fare le riforme. Diana ha detto di essere contrario anche al termine indipendentismo, che è un obiettivo irraggiungibile. Bisogna piuttosto aprire un confronto con lo Stato sulle grandi questioni e sui poteri che possono essere delegati alle Regioni. Per Diana questo confronto a molti fa paura. E invece, il momento è favorevole. Il capogruppo del Pdl ha inoltre aggiunto di voler partecipare alla riscrittura dello Statuto. Non voglio delegare nessuno – ha chiarito - noi siamo stati votati per traghettare la Sardegna verso un mondo migliore. Noi – ha detto ancora - diciamo NO all’Assemblea Costituente, credo che non sia la strada giusta anche perché oggi non ci sono più i tempi. Ma siamo contrari anche alla Consulta. Noi sosteniamo – ha affermato Diana – la costituzione di una Commissione Speciale ma non siamo contrari neanche all’ipotesi che sia la Prima Commissione a riscrivere lo Statuto. Per quanto riguarda il coinvolgimento del popolo sardo, Diana ritiene che debba essere compito dei partiti. “Gli interlocutori siamo noi – ha aggiunto – Dobbiamo sapere noi direttamente come la gente la pensa. Rivolgendosi ai partiti che hanno già presentato degli ordini del giorno, Diana ha invitato tutti all’unità. Siamo del parere – ha detto - che tutto il Consiglio regionale debba essere coinvolto in un documento unitario. I riformatori hanno detto che sono disponibili a votare solo per l’assemblea costituente. Partiamo male, spero – ha concluso - di non aver compreso.
L’on. Mario Bruno (PD) ha espresso il timore che il dibattito venga percepito dalla gente come un qualcosa di insignificante. “Parole come indipendenza, autonomia, sovranità”, ha affermato, “rischiano di essere un mero esercizio retorico, quando si ha a che fare con il bisogno, con la mancanza di lavoro e con la fame. Noi oggi abbiamo una grande responsabilità: il Consiglio se la assuma, ma nella consapevolezza dell’assenza di un programma di governo regionale. Dobbiamo chiederci: abbiamo la forza e l’autorevolezza per difenderci di fronte al governo nazionale? Per parlare di servitù militari, entrate, scuola, federalismo, trasporti, lavori pubblici? O siamo subalterni al potere dello Stato? In questa fase”, ha aggiunto il capogruppo del Partito Democratico, “il distacco tra cittadini e palazzo appare incolmabile. Vi è una domanda crescente di miglior governo, di partecipazione democratica. Questo luogo di democrazia, richiesto dai cittadini, è il Consiglio regionale, ma si deve tener conto del principio di sussidiarietà, dei Comuni, delle Province, dei cittadini. Quando diciamo che è finito il tempo dell’autonomismo, non stiamo sminuendo 60 anni di autonomia, peraltro fecondi. Ma oggi possiamo essere più incisivi con le riforme. Alcune cose sono state già condivise tra i gruppi, ma sussistono numerose differenze: per prima cosa, l’autonomia deve essere superata da un nuovo patto costituzionale con lo Stato, per avere noi l’ultima parola sulle questioni che ci riguardano. In seconda battuta, dobbiamo puntare su un rapporto di interdipendenza, restando nell’ambito della Costituzione italiana, senza creare steccati; terzo, dobbiamo poter dire la nostra sul processo federale in atto, in cui altri scrivono per noi e non fanno gli interessi della Sardegna. Quarto punto da analizzare, la costruzione di un nuovo patto con lo Stato, per un vero federalismo solidale, capace di rendere i diversi uguali, sapendo declinare le ragioni della nostra specificità, una vera e propria dote che portiamo ad Italia ed Europa, non un handicap. Vogliamo essere uguali alle altre regioni su trasporti, scuole, sanità, con il riconoscimento dell’insularità”, ha proseguito l’on. Bruno, “ma applicando un federalismo interno, verso Comuni e Province. Dobbiamo scrivere un sistema in cui le autonomie abbiano pari dignità. Ad esempio, non si possono esautorare i Consorzi industriali, e contemporaneamente parlare di sussidiarietà. Non vorrei”, ha concluso l’esponente del PD, “che il Consiglio si bloccasse sui contenitori: Consulta, Commissione speciale o altro. L’importante è che abbia la possibilità di riscrivere lo Statuto in un tempo breve, diciamo 4 mesi, coinvolgendo tutta la società sarda. Le riforme sono un diritto dei sardi. Possiamo e dobbiamo arrivare a una sintesi”.
I lavori riprenderanno questo pomeriggio alle 16,30 con l’intervento del presidente Cappellacci. (FINE)