Intervento della Presidente Lombardo al Convegno "Uno Statuto per la Sardegna del XXI secolo"
Data: 29/10/2010 - SassariUN NUOVO STATUTO PER LA SARDEGNA DEL XXI° SECOLO
Magnifico Rettore, Signor Sindaco di Sassari, Signor Presidente della Provincia, Signori amministratori, illustri relatori, Signore e Signori,
nel ringraziare l’Associazione degli ex Consiglieri Regionali per il cortese quanto gradito invito, porgo un caloroso saluto alla Città di Sassari che ci ospita in questa splendida cornice dell’Aula Magna della sua Università.
Questo convegno interviene a seguito della pubblicazione degli atti sui seminari tematici tenuti dall’Associazione, nel corso del 2008, in merito alla riforma dello Statuto del 1948. Si prefigura, quindi, come un momento di ideale prosecuzione di un discorso, avviato da tempo, sullo stato della nostra autonomia e sulle prerogative della nostra specialità, anche alla luce degli accadimenti che in questi due ultimi anni hanno segnato il tempo trascorso.
Un tempo nel quale la XIII legislatura si è interrotta prematuramente, dando così inizio alla XIV legislatura della nostra vita autonomistica. Una legislatura, quella presente, nata fra tante aspettative e che segnatamente, per espressa volontà di tutte le componenti del Consiglio Regionale, vuole essere ricordata come “la legislatura costituente”.
Non vi è dubbio che il tema delle riforme è uno fra quelli sui quali si gioca gran parte della nostra credibilità di classe dirigente e si misura la nostra effettiva capacità di incidere, come espressione di un territorio insulare avente peculiarità proprie, per ottenere una fisionomia più definita nel panorama politico-isituzionale italiano e in quello europeo.
Sorge allora spontaneo chiedersi cosa sia ancora l’autonomia per i sardi del terzo millennio? E se l’autonomia oggi sia sempre il collante dell’idem sentire del nostro popolo o se, invero, non sia sorta una nuova consapevolezza dei sardi verso forme più approfondite di democrazia come l’autogoverno e l’autodeterminazione?
Per poter articolare una risposta può essere utile partire dalle radici dell’autonomia. Lo farò attraverso le parole di uno dei figli più illustri della città di Sassari e dell’intera Sardegna, il compianto Presidente Emerito Francesco Cossiga: << Autonomia, parola magica che, come sentimento, aleggia fra noi sardi fin dal 1847 quando, con la cosiddetta “perfetta fusione”, il Regno di Sardegna da federato divenne unitario o semplice e l’isola perse la propria statualità individuale per assumere quella più umile di regione marginale del nuovo assetto istituzionale dello Stato. Nacque così la Questione Sarda ovverosia la coscienza di aver rinunciato a qualcosa -l’identita stauale- ... da allora, per noi, l’unica strada possibile che possa correggere il danno storico è stata e rimane la rivendicazione autonomistica, lo stabilire un rapporto più favorevole possibile con l’apparato centrale dello Stato >>.
Autonomia quindi vista e vissuta come sentimento. Ecco perché parlare di passione autonomistica rende compiutamente l’idea di quanto questo argomento riesca sempre a coinvolgere emotivamente tante generazioni di sardi. Ma è sufficiente alla luce dei rapporti fra Regione-Stato-Europa una semplice rivendicazione autonomistica, oppure viene richiesta una emancipazione dei rapporti per esigere una sovranità compartita che caratterizzi una ripartizione di funzioni paritetiche fra i tre livelli?
Ecco il punto che descrive lo stato dell’arte delle riforme in Sardegna!
Amiche e amici,
sono trascorsi oltre sei decenni dall’alba dell’autonomia regionale e molto si è discusso sulla necessità di porre mano alla riforma dello Statuto che, però, tale era e tale sostanzialmente è rimasto a parte qualche modificazione intervenuta per adeguarlo al mutato dettato costituzionale.
Ciò non significa che il dibattito intorno alla tormentata questione sia rimasto latente e non abbia prodotto significativi risultati e utili ricadute sul sistema politico e sociale. Più semplicemente l’analisi, una volta constatata l’inadeguatezza di questo strumento a coadiuvare i processi di sviluppo del Popolo sardo, si è insterilita sulle procedure di revisione privilegiando una visione di parte.
Anche nel corso di questi ultimi anni sono stati individuati vari percorsi per attuare la riforma, ma tutti hanno trovato un limite nella mancata volontà di agire nell’ambito di un clima unitario che ne agevolasse in definitiva il tragitto.
Tuttavia, per rimanere alla strettissima attualità e contestualizzare il discorso, io leggerei il convegno odierno soprattutto alla luce degli accadimenti recentissimi che hanno visto protagonista il Consiglio Regionale e tutto il sistema dei rapporti sociali.
Il Parlamento sardo si è fatto parte attiva nell’assumere un ruolo di guida politica e morale in questo processo di crescita culturale, civile e sociale destinato a contrassegnare il passaggio dall’esperienza autonomistica verso una dimensione federalista degli attuali rapporti con lo Stato e con l’Europa.
Già un primo significativo successo, è stato ottenuto con l’indizione dell’Assemblea straordinaria degli Stati Generali dello scorso 5 ottobre. Un’assemblea tenuta in forza dell’ordine del giorno approvato all’unanimità nella seduta consiliare sulle riforme del 28 settembre scorso. Il fine è quello di iniziare un percorso di coinvolgimento di tutte le rappresentanze del Popolo Sardo nel procedimento di revisione dello Statuto speciale di autonomia.
Una riunione particolarmente partecipata, che è stata dedicata dal Consiglio Regionale all’ascolto dei contributi provenienti dai rappresentanti del mondo sociale e del sindacato, per creare un clima unitario, di ampia partecipazione e condivisione al processo di riforma in atto per modificare il sistema sociale, civile e istituzionale della nostra Isola.
Nella seduta prevista per il 20 di ottobre il Parlamento regionale sarebbe dovuto passare ad uno stadio operativo con un Ordine del Giorno - che viste le premesse si preannunciava unitario - attraverso il quale indicare definitivamente un percorso comune di riscrittura del patto costituzionale con lo Stato.
Purtroppo l’occupazione del Consiglio Regionale da parte di una delegazione del Movimento dei Pastori Sardi ha fatto saltare la seduta facendo slittare questo importante appuntamento.
Ma proprio la tragica condizione che attraversa il mondo delle campagne - che ha fatto scattare la plateale protesta dei pastori in piazza sfociata purtroppo nei disordini che tutti avremmo voluto evitare- , unitamente alla tante troppe emergenze economiche e sociali, ci danno la dimensione di quanto gli strumenti ordinari di cui dispone la politica siano oggi assolutamente insufficienti per fornire risposte appaganti alla drammatica situazione emergenziale della nostra Isola.
Non dubito, quindi, che tutte le forze politiche impegnate intensamente nella costante ricerca di spazi di confronto che favoriscano sintesi unitarie su un tema così delicato e coinvolgente per il nostro futuro, appena si ripristineranno le condizioni opportune, sapranno ricreare le migliori condizioni per un ordine del giorno approvato all’unanimità.
Nonostante questo stop, infatti, c’è da rilevare che intorno al Parlamento dei sardi si è riusciti a creare un favorevole clima di vastissima condivisione sull’esigenza di porre mano celermente alla riscrittura del nostro Statuto.
Il tempo, purtroppo, non è una variabile che gioca a nostro favore. L’evoluzione che sta prendendo nella Penisola l’attuazione delle riforme, conseguenti alle modifiche costituzionali intervenute fra il 1999 e il 2001, per atto del Parlamento, ha subito una notevolissima accelerazione.
E’ necessario prendere atto che gli sviluppi in corso per la revisione della nostra Costituzione vanno nella direzione di adottare un ordinamento federale che superi l’assetto regionalista, voluto dai Costituenti, andando verso una dimensione ordinamentale che attribuisca un maggior peso alle regioni all’interno di un sistema federale dello Stato.
La Sardegna può e deve intervenire con un proprio specifico contributo di progettualità che si incanali nell’alveo di questa corrente riformatrice che attraversa la Repubblica. L’inerzia delle istituzioni regionali costituirebbe un freno destinato a gravare come un macigno sul nostro futuro, traducendosi nell’ennesima riforma calata dall’alto sulla testa dei Sardi. Un ritardo della Sardegna nei confronti dei prossimi appuntamenti che la attendono rischia di sottrarci il diritto-dovere di essere soggetto e non oggetto della Riforma.
Questo è un pericolo reale che non ci deve lasciare indifferenti. La riforma dello Statuto, soprattutto in una Regione ad autonomia differenziata, è compito che non può essere lasciato esclusivamente al legislatore nazionale, ma che anzi deve partire dall’iniziativa di legge di modifica costituzionale propria del legislatore regionale così come costituzionalmente previsto.
Per questo motivo il Consiglio Regionale si è fatto partecipe e fiero interprete dell’emergere di una nuova più matura coscienza di se stessi dei sardi. La quale elevandosi a coscienza di Popolo rivendica il massimo dell’autogoverno oggi possibile per divenire padroni del proprio futuro per mezzo di una trasformazione in continuo divenire storico.
Il convegno ha quindi il merito e la lungimiranza di porre correttamente, e con acutezza, l’accento sulla necessità di dare sostanza ai contenuti della proposta per uno Statuto del XXI secolo.
Oggi si devono gettare le fondamenta per un grande progetto teso a modificare integralmente tutto il Sistema Sardegna.
Superando l’endemica discussione sugli strumenti attraverso cui pervenire alla riforma e passando allo studio ed enunciazione dei principi guida per la formulazione del testo.
Vogliamo lasciare alle nostre spalle una fase che a tinte forti si può dipingere come di “archeologia politica”, caratterizzata dalla spesso sterile rivendicazione intorno alla insufficienza dell’istituto autonomistico, per avviarci verso una definita progettazione di nuovo modello politico e istituzionale che conferisca una diversa veste giuridica alla partecipazione dalla Sardegna -in virtù del riconoscimento dello status di Nazione senza Stato- all’interno dell’ordinamento della Repubblica italiana e nel contesto normativo europeo.
In tutti i componenti del Consiglio Regionale vi è la convinzione che è proprio dalla definizione di una nuova concezione giuridica di se stessi che i sardi devono partire nel cammino delle riforme che li attende.
Questo presupposto passa attraverso un processo di crescita culturale che porti i sardi a considerare l’evoluzione dall’autonomia al federalismo non solo come un momento di passaggio normativo, ma come coscienza di Popolo che vuole assumersi direttamente le responsabilità derivanti dal governo del proprio territorio partendo dall’assunto che: non vi è nulla che lo Stato possa fare per la Sardegna, meglio di quanto i sardi non possano fare per se stessi.
In pratica si tratta di affermare che nell’ambito dell’esplicazione della funzione pubblica e nel soddisfacimento dei bisogni legati ai processi di crescita economica e civile del Popolo sardo, in Sardegna lo Stato siamo noi.
E’ questa non può essere solo l’enunciazione di un principio di carattere politico-isituzionale, ma deve assumere il carattere di fenomeno sociale di massa di un Popolo che, nel momento in cui richiede il riconoscimento delle proprie prerogative e dei propri diritti storici, deve anzitutto assumere la percezione di se stesso come entità etnonazionale e etnolinguistica all’interno della Repubblica italiana.
Tutto ciò premesso, pur nel pieno rispetto del ruolo istituzionale super partes che rivesto, spero mi consentirete alcuni spunti di riflessione che potrebbero apparire provocatori, ma che di fatto non lo sono. Per lo meno non del tutto.
Se vogliamo utilmente avviarci a una discussione sulla riforma complessiva del “Sistema Sardegna”, ci troviamo di fronte al bisogno di ricollocare la nostra entità di regione italiana, europea e mediterranea, sopra richiamata, all’interno delle seguenti direttrici.
La prima prevede una contestazione-rinegoziazione del patto costituzionale con lo stato, volta a conferire il massimo della sovranità oggi possibile attraverso la conferma dei diritti storici del nostro Popolo seppure da realizzarsi nell’ambito della indivisibilità della Repubblica.
Dico contestazione, prima ancora che rinegoziazione, perché mentre è assodata la nostra volontà a rivisitare prontamente il patto costituzionale, non altrettanto possiamo affermare che tale volontà alberghi nello Stato stesso.
Si deve quindi prefigurare un possibile quadro di contestazione e/o rottura degli attuali rapporti in direzione del superamento dell’ottica storica e culturale che ha fatto da contorno alla genesi dello Statuto, avendo le norme poste a capo della nostra specialità subito un naturale deperimento a causa dei notevoli mutamenti politici, civili e sociali avvenuti.
Rientrano fra questi mutamenti epocali: la nascita dell’Unione Europea, avvenuta a Roma dieci anni dopo l’entrata in vigore dello Statuto e che tanto incide sulla produzione normativa degli stati membri; l’assunzione del principio che ciascun popolo ha diritto di decidere del proprio avvenire, secondo quanto sanciscono la Carta dell’Onu, i patti internazionali dell’Onu sui diritti civili, politici, economici e sociali, l’Atto unico di Helsinki, la Carta di Parigi e molti dei trattati che regolano oggi la convivenza in Europa.
Anche l’Assemblea sarda quando, nel febbraio del 1999, ha adottato la “Dichiarazione solenne di sovranità della Sardegna” certamente si è ispirata a questa linea di indirizzo, tesa a conferire maggiori spazi di autonomia decisionale ai territori dotati di specifiche peculiarità culturali e politiche tali da poter essere riconosciuti come entità etnonazionali nell’ambito degli Stati di appartenenza.
Con l’adozione dello Statuto la Regione fu certamente dotata di una autonomia più vasta, appunto speciale, rispetto al resto dell’ordinamento regionale. Per la prima volta la Regione sarda acquisì potestà legislativa e amministrativa sulle materie determinate dallo Statuto. Lo stesso Popolo sardo, ai sensi dell’articolo 28, rientrava fra i soggetti di diritto, unitamente al Consiglio e alla giunta regionale, dotati di potere di iniziativa di legge.
Tuttavia sia per cause direttamente riconducibili alla classe dirigente, che non ha saputo utilizzare al meglio le possibilità implicite nello Statuto, sia per gli effettivi limiti potestuali in esso contenuti, che ne denunciavano la carenza a risolvere le complesse problematiche legate al governo dell’Isola, questa autonomia nacque zoppa e tale si è rivelata sino ai nostri giorni.
Il tempo e le mutate condizioni economiche e sociali, gli scenari internazionali in continua evoluzione e la situazione di drammatica endemicità di crisi della Sardegna, hanno reso ancora più profonde le palesi inadeguatezze dello Statuto, richiedendo una incisiva ridefinizione del rapporto oggi esistente con il potere centrale dello Stato e con l’Unione europea.
In sintesi nel nuovo rapporto con lo Stato centrale, impostato sulla sovranità e il carattere insulare della Sardegna, bisogna prefigurare per la nostra Isola un vero e proprio ordinamento giuridico originale che sia frutto delle grandi evoluzioni nei rapporti fra i popoli che la civiltà mondiale ha saputo conquistare con la modernità.
Non disgiunta dalla prima è la seconda direttrice di intervento che è volta a rideterminare una soggettività della Sardegna all’interno dell’Unione Europea. Come punto elevato nella richiesta di una dimensione europea della Sardegna più compiuta e appagante, è auspicabile l’estensione e l’irrobustimento di una figura già prevista dallo Statuto vigente nei confronti del governo centrale.
Si tratterebbe di introdurre la “ministerializzazione” del ruolo del Presidente della Regione in seno alla Commissione Europea ogniqualvolta in questa sede vengano assunte decisioni che comportino ricadute nel territorio dell’Isola.
Nel nuovo Statuto il respiro europeo deve, inoltre, essere sancito col riconoscimento per la Regione Autonoma del diritto di partecipare, per le materie di propria competenza, alla formazione degli atti normativi dell’Unione.
La nuova soggettività della Sardegna in campo europeo, infine, richiede, in virtù delle sue peculiarità storiche, politiche e geografiche, anche il riconoscimento del diritto di tribuna nelle sedute del Parlamento europeo.
La terza direttrice, richiama contemporaneamente i rapporti con l’Italia e l’Europa. E’ una visione del ruolo dell’Isola in chiave moderna e futuribile che necessità del conferimento di una piccola soggettività di diritto internazionale in sintonia con la sua millenaria vocazione di Regione “mediterranea”. Questa aspirazione deve passare attraverso un adeguato riconoscimento nell’ambito dell’ordinamento statale e in quello comunitario. Una opportunità imperdibile può passare attraverso l’itinere della costituzione delle macro-regioni europee - le cosiddette Euroregioni – al fine di favorire i rapporti con l’area frontaliera, principalmente, del Continente africano e di quello asiatico.
Si può pensare all’istituzione di Uffici della Regione Autonoma negli Stati terzi. Ciò potrà avvenire in relazione con gli enti territoriali di riferimento, corrispondenti alla Regione, degli Stati terzi nei quali si abbia interesse a instaurare rapporti di cooperazione e scambio commerciali e culturali. Un passaggio che andrà tonificato dal riconoscimento per l’Isola dei benefici di area extraterritoriale dell’Unione Europea, per agevolare e favorire il sorgere di un fattivo clima di investimenti del nostro Continente verso il Continente africano attraverso l’istituzione di un’area di libero scambio che abbia come piattaforma la Sardegna.
L’Europa deve dunque costituire il nostro orizzonte più prossimo nella riscrittura della Carta Fondamentale dei diritti dei sardi. Bisogna guardare con attenzione all’Europa e alle vastissime opportunità che ci vengono offerte dalla nostra appartenenza a questo consesso vasto. Sono convinta che una semplice rivisitazione della Questione Sarda con una Carta Statutaria che sia improntata a una filosofia impostata limitatamente ai rapporti con lo Stato centrale sia una strada perdente lastricata di nuove cocenti sconfitte e delusioni per i sardi del terzo millennio.
La nostra Regione per reggere il futuro Sistema Sardegna deve dotarsi di una Carta statutaria davvero europeista e federale dove le funzioni siano caratterizzate da una sovranità diffusa con conseguente ripartizione di funzioni esclusive tra “regione - stato - unione europea” sulla base dei principi di sussidiarietà, leale collaborazione e solidarietà.
Una ripartizione che deve superare l’attuale scoglio della gerarchia verticale, che vede le competenze come una concessione del vertice ( lo stato centrale ) alla base ( la Regione ), assumendo una dimensione paritaria orizzontale di partecipazione alla sovranità secondo una logica di suddivisione delle materie di competenza di ciascun ente.
Riassumendo, mentre da un lato il nuovo Statuto costituzionale deve essere ispirato alla creazione di un nuovo sistema di rapporti il cui lo Stato trasforma l’attuale caratterizzazione bilaterale, dal centro verso le periferie, per andare verso una parità fra i soggetti che intervengono ( regione-stato) e le cui decisioni sono congiunte; dall’altro, sul fronte comunitario e internazionale, la “Specialità” della Sardegna deve entrare in relazione diretta con l’Unione Europea evolvendosi da forma regionalistica funzionale a forma regionalistica istituzionale in uno spazio costituzionale europeo.
Avviandomi alla conclusione, sul versante della regolazione dei rapporti interni dobbiamo ragionare in termini di svecchiamento e aggiornamento della nostra Regione e del suo apparato politico, amministrativo e funzionale. Lo si può fare da subito agendo parallelamente al percorso della Riforma, con una profonda rivisitazione della legge 1 del 77 che ridisegni la mappa, le funzioni e le attribuzioni degli assessorati e della Regione, conformandoli ai principi adottati dalla proposta di Nuovo Statuto.
Chiaramente una volta che questa proposta verrà esitata con voto favorevole dal Consiglio e inviata alle Camere per avviare l’iter di revisione costituzionale.
Ci sono inoltre tematiche sensibili e complesse come l’attuale sperequazione di rapporti fra esecutivo legislativo, che necessita di un riequilibrio, il numero dei consiglieri regionali, le politiche mirate a dare attuazione al cosiddetto federalismo interno che rivaluti il complesso delle autonomie locali, la forma di governo e la legge elettorale. Su queste materie mi limito alla enucleazione in quanto sarà la tavola rotonda di questo pomeriggio, con la partecipazione di autorevoli esponenti dei partiti, dell’esecutivo regionale e del sistema sociale a fornire convincenti ed esaustive indicazioni in merito.
Claudia Lombardo - Presidente del Consiglio regionale della Sardegna