Intervento della Presidente Lombardo alla seduta solenne per i 60 anni del Consiglio Regionale della Sardegna

Data: 09/06/2009 - Cagliari, Aula Consiliare via Roma

Colleghe, Colleghi, Signor Presidente della Regione, Signori Assessori, Signori Parlamentari, Autorità, è con animo sinceramente grato che vi porgo il saluto in apertura di questa seduta solenne.

Un saluto particolare, con affetto e deferenza, rivolgo  ai Signori Presidenti del Consiglio e della Giunta regionale che nel ricoprire i loro alti incarichi hanno accompagnato il cammino autonomistico nel corso degli avvenimenti che hanno preceduto la nostra XIV° Legislatura.

Colleghi,

erano le 11,20 del 28 di maggio di sessant’anni fa quando, presso l’Aula del Consiglio Comunale di Cagliari, si insediò il primo Parlamento della storia autonomistica.

Il clima era quello di svolta epocale, il presidente provvisorio dell’Assemblea Angelo Amicarelli parlò di: <<  …segnare l’inizio del Risorgimento della Sardegna che fu sogno  di generazioni ( di sardi )>>.

Il primo Presidente del Consiglio Regionale Anselmo Contu, nella seduta del 31 di maggio,  richiamò tutti allo spirito di servizio verso il popolo sardo: <<  Ciascuno di noi ha una bandiera particolare degna e nobile, seguita con buona fede e onore; ognuno la custodisca nel cuore e –  come è giusto -  ad essa si serbi fedele. Ma tutti dobbiamo ricordare che vi è una bandiera comune, consegnata a tutti noi dal voto dell’enorme maggioranza dei sardi e su questa bandiera c’è scritto SARDEGNA>>.

L’8 di maggio il popolo sardo, chiamato alle urne per dare espressione, con voto popolare e democratico a suffragio universale diretto con sistema proporzionale, alla massima Assemblea dell’Isola, affidò ai primi legislatori regionali il difficile compito di costruire la nuova realtà istituzionale sarda.

Di creare un nuovo e moderno tessuto sociale, economico e culturale.

Di avviare l’Isola verso l’industrializzazione, per metterla al passo delle regioni più progredite. 

Di dar corso alle grandi opere pubbliche per dotare la Sardegna di infrastrutture edilizie, viarie e tecnologiche – come non ricordare le grandi dighe che dissetano ancora oggi la Sardegna o l’istituzione dell’Ente Sardo di Elettricità - per supportare il grande sforzo della ricostruzione post bellica.

Di avviare, in concorso con lo Stato, le grandi riforme agricola,  della formazione e istruzione, per dare ai sardi gli strumenti e servizi per confrontarsi alla pari con le popolazioni più avanzate del continente italiano ed europeo.

Di creare le grandi strutture ospedaliere di cui l’Isola necessitava, per creare un servizio sanitario di qualità e moderno.

In una parola, avviare quello che, in tempi moderni, è stato definito il sistema Sardegna verso  il futuro.

Furono anni molto operosi  volti a dare impulso a una stagione caratterizzata da un grande fermento per realizzare la  crescita  sociale, culturale e lo sviluppo economico.

Dopo gli anni difficili e di grande miseria, segnati dal corso degli eventi bellici della II guerra mondiale, la Sardegna finalmente si rivolgeva verso nuovi orizzonti di pace, lasciando alle spalle quel tragico passato recente.

Molti erano gli interrogativi, i dubbi e le paure per un futuro che ancora ai più appariva incerto.

Ma l’opera dei nostri legislatori era sorretta da una ferrea volontà, che sempre emerge nel nostro popolo nei momenti di massima difficoltà.

Un sacro fuoco ardeva nei cuori dei padri dell’autonomia nel svolgere il compito loro affidato di guidare il popolo e la terra di Sardegna verso la rinascita sociale e culturale.

Si trattava di dare avvio a una attività legislativa per conferire alla nascente organizzazione regionale parlamentare le attribuzioni legislative e amministrative derivate dallo Statuto di Autonomia Speciale.

Era necessario dare definizione alla personalità giuridica della Regione sarda, all’interno della Repubblica italiana, per assegnare un significato al principio che l’autonomia speciale per la Sardegna non era, e non poteva essere, una semplice forma di decentramento.

Bisognava, insomma, dare forma e sostanza a una entità destinata a guidare i destini di un popolo, provvedere ai suoi bisogni, difenderne i diritti inalienabili.

In tutto questo contesto il Consiglio Regionale ha svolto una funzione essenziale.

E’ stato lo strumento che ha consentito al popolo sardo di lottare per il proprio futuro.

Ha raccolto tutte le spinte e i palpiti derivanti dalle aspirazioni dirette a esaltare le migliori energie e intelligenze di un popolo che grazie al suo Parlamento regionale finalmente ritrovava se stesso.

Grazie al Consiglio Regionale, che ha dato voce alle sue istanze più pressanti e difeso i suoi diritti, il Popolo sardo ha preso coscienza di non essere più periferia in Italia e in Europa.

L’Assemblea dei sardi è stato il bastione dell’autonomia, custodendone gelosamente i valori, promuovendone i principi, esaltandone le prerogative.

La voce dei sardi ha sempre trovato nella nostra istituzione la più ampia risonanza.

Le aspirazioni e le aspettative del nostro popolo hanno sempre visto il Consiglio Regionale farsene fiero interprete.

Il nostro Consiglio Regionale ha reso possibile costruire una società sarda democratica e avanzata attraverso un processo di crescita civile che noi vogliamo continuare a consolidare e contribuire a far evolvere.

Da quel 28 maggio sono passati sessant’anni, e oggi ci ritroviamo a commemorare quel fatidico momento storico rivivendo lo stesso clima di allora, con lo stesso spirito costituente   che tante speranze accese nel Popolo sardo per un luminoso futuro fatto di benessere e prosperità.

Sono stati, quelli trascorsi, anni caratterizzati da un costante impegno della classe politica sarda per il compimento dell’imponente trasformazione che, nel succedersi degli anni, ha modificato la nostra società portandola verso traguardi di modernità e di grandi conquiste sociali.

Nonostante le crisi che ciclicamente, in maniera endemica, colpiscono la nostra economia, questa è una Regione che è molto cresciuta rispetto agli anni dell’immediato dopo guerra.

Si è modernizzata avvicinandosi, per qualità della vita, alle  regioni più avanzate d’Europa.

Di questo va dato atto alle classi dirigenti che si sono succedute nel governo dell’Isola, portando a compimento la monumentale opera di costruzione o, se vogliamo, di creazione della nuova Regione Autonoma.

Ma questo non significa che l’opera sia giunta a compimento! Tali e tanti sono gli impegni che ci attendono per  colmare gli ancora evidenti ritardi nello sviluppo, rispetto a regioni più avanzate d’Italia e d’Europa , da richiedere una nuova stagione di grande impegno della politica sarda.

Abbiamo attraversato un secolo, eppure oggi, agli inizi del terzo millennio, siamo qui a chiederci, ancora una volta, quali indirizzi  attuare per guidare il nostro popolo consolidando il percorso verso quell’agognato sviluppo iniziato sessant’anni fa.

La crisi che ha colpito tutti i mercati internazionali sta creando difficoltà aggiuntive alla nostra economia, già duramente provata da anni drammatici a causa delle ben note carenze nello sviluppo che hanno determinato il collasso di quasi tutte le attività produttive.

Carenze imputabili, per la maggior parte,  alla nostra condizione geografica di insularità e alla conseguente lontananza dei mercati nazionali e internazionali.

Infatti, possiamo affermare che  la nostra particolare condizione geografica ha agito da moltiplicatore sulle altre cause e fattori che hanno inciso sui ritardi nello sviluppo.

Noi siamo chiamati a reagire a questa negatività, rinsaldando lo spirito unitario del Popolo sardo per  superare le difficili sfide che ci attendono con uno slancio generoso e solidale.

L’insularità, dicevo. I sardi hanno sempre vissuto il mare, dopo averlo dominato in epoche antichissime, come ci ricordano alcuni storici, non come una risorsa ma, come uno strumento che consentiva ai nostri nemici e avversari di depredare le nostre coste e colonizzare l’Isola.

Per questo motivo abbiamo sviluppato nel tempo una economia storica improntata maggiormente sul sistema agro-pastorale. In quanto le popolazioni sarde, per sfuggire a questi pericoli, hanno preferito ritirarsi verso le zone interne, più sicure e difendibili,  abbandonando il controllo del mare e lo sfruttamento delle sue immense risorse.

La rinuncia al controllo del mare, e delle rotte di collegamento, ci ha portato a sviluppare una sorta di “splendido isolamento” che ha generato una cultura originale e unica nel bacino del Mediterraneo.

Una cultura identitaria formata da tutti i connotati della nazionalità e  della statualità, avendo propria lingua, propria terra, proprie tradizioni e costumi.

Un patrimonio  che ha portato i sardi a sviluppare, nelle diverse epoche storiche, aspirazioni e culture differenti e distinte dalle popolazioni della Penisola italiana ed europea.

Anche in questo si fondano le ragioni della nostra specialità, ma non solo.

I primi legislatori avevano fin troppo evidente la necessità che i sardi rovesciassero il rapporto che li legava al mare che li circonda.

In tutti prevalse la convinzione che bisognava trasformare questo rapporto in termini di riappropriazione di questa fondamentale risorsa, per spezzare le catene di un isolamento che la società moderna non poteva più permettersi.

Riconquistare il mare ha significato creare una grande rete di trasporti marittimi e aerei per cercare di collegare in “un unicum” la Sardegna con il continente italiano ed europeo.

Ancora oggi le istituzioni regionali sono impegnate a creare le migliori condizioni per consentire ai sardi di muoversi liberamente e rapidamente, superando la barriera fisica di quel mare che ci separa dal resto del mondo.

Proprio per rispondere a questa esigenza primaria, nei primi anni cinquanta e sessanta fu dato impulso ai collegamenti marittimi per persone e merci,  riconoscendo il valore strategico di questo settore ai fini delle potenzialità offerte alla crescita e allo sviluppo economico dell’intera Isola.

Sin dal Primo Piano di Rinascita, negli anni ’60 del secolo scorso,  si ritenne indispensabile collegare la rete ferroviaria sarda a quelle del resto della Penisola attraverso grandi navi per trasporto merci delle ferrovie dello Stato.

Servizio sciaguratamente ridimensionato, con tutte le immaginabili conseguenze negative sulla nostra economia e sulla mobilità delle merci.

Si potenziarono i collegamenti aerei, assicurati anche dalla compagnia sarda oggi conosciuta come Meridiana, ma che nel 1963, quando fu costituita, si chiamava  Alisarda.

Una spinta, quella tesa a spezzare l’isolamento, che è sempre rimasta costante durante tutto lo svolgimento delle legislature regionali.

Purtroppo, nonostante questi lodevoli sforzi, dobbiamo constatare che siamo ancora un’Isola che è priva di una propria economia marittima, date le forti limitazioni nella gestione dei collegamenti.

Questo ci rende ostaggi delle nostre coste. Isolati nella nostra Isola, perché dipendenti da decisioni, e talvolta capricci, altrui per la libertà dei nostri movimenti.

Molto ci sarebbe da discutere sulla mancata realizzazione di una effettiva illimitata continuità territoriale. Però, non è questa l’occasione.

Ma forse qualcosa sta cambiando.

L’attuale situazione politica ci porta a valutare come, finalmente, abbia trovato sanzione la storica rivendicazione dei sardi ad avere riconosciute misure compensative per colmare i ritardi nello sviluppo causati dall’insularità.

La legge sul federalismo fiscale, recentemente approvata in via definitiva, oltre a dare piena attuazione al dettato dell’articolo 119 della Costituzione, in materia di fiscalità agli enti locali, ci ha conferito uno storico riconoscimento: quello del  principio di Insularità che consente l’adozione di apposite misure di compensazione alle diseconomie imputabili alla nostra particolare condizione geografica.

Questo importante riconoscimento ci dà l’occasione per sottolineare  un fatto essenziale: siamo oggi, come lo si era allora, avvinti da un clima di costruzione di una nuova architettura dell’ordinamento regionale e della Costituzione repubblicana.

In Sardegna, recentemente, si è rinvigorito il dibattito sulla necessità di una rivisitazione critica della nostra Carta di Autonomia Speciale.

E questo certamente non per effettuare una semplice perifrasi di quella esistente ma, per dotarci di una nuova Carta costituzionale sarda, originale moderna e avanzata sulle prerogative autonomistiche.

Siamo, a tutti gli effetti, in una fase di acquisizione di una nuova consapevolezza identitaria e nazionale sulla quale basare i presupposti per la riscrittura delle norme fondamentali che regolano la nostra autonomia e sostengono le ragioni della nostra specialità.

Una specialità che, a detta di alcuni, potrebbe essere minacciata e scomparire in un futuro ordinamento federale della Repubblica.

Certamente NO!

La nostra specialità deriva da diritti storici, frutto di processi ultrasecolari, che non possono essere debellati (è corretto?).

I sardi, e il loro Parlamento regionale, non intendono rinunciare alla loro specialità in nome di una ipotetica parità di impronta federale.

Il nostro popolo ha saputo mantenere intatti i connotati della propria originale cultura, resistendo a qualsiasi tipo di colonizzazione politica e intellettuale, attraverso quella che il Prof. Lilliu ha definito la costante resistenziale sarda.

Le lotte, le vicissitudini, le sconfitte e le vittorie hanno temprato il popolo sardo e ne hanno consolidato la coesione.

Ciò rende possibile affermare che fino a quando esisterà una terra e un popolo di Sardegna, questi all’interno dell’ordinamento statale della Repubblica saranno connotati dai caratteri della nostra specialità.

Ma una semplice affermazione di principio non è sufficiente. Nessuna norma giuridica potrà riconoscerci quello che non alberga nei nostri sentimenti e nella nostre menti.

Per questo, pur rifuggendo da qualsiasi velleitarismo estremizzante, noi sardi dobbiamo prendere coscienza che, seppure all’interno della unità e indivisibilità dello Stato oggi chiamato Repubblica italiana e nel quale convintamente ci riconosciamo, siamo Popolo e Nazione.

In questo trova sanzione il principio secondo il quale la Nazione, così come affermano storici e costituzionalistici, è differente da quello di Stato.

Lo Stato appartiene a una sfera politico-giuridica. La Nazione esprime uno status culturale.

Ciò ha reso possibile nei processi di formazione degli Stati l’esistenza di più Nazioni all’interno dello Stato, o di Nazioni che esistono in Stati diversi, senza minare minimamente l’unità e l’indivisibilità degli stessi.

La Nazione nasce e si forma nel corso anche di millenni di condivisione di lingua, cultura, costumi, tradizioni e interessi. Per questo talvolta precede o sopravvive agli Stati stessi.

E non vi è dubbio che i sardi hanno attraversato le diverse epoche storiche, mantenendo inalterati i caratteri della loro identità e nazionalità.

E seppure il 20 dicembre del 1847,  attraverso un decreto legge firmato da Carlo Alberto in nome della fusione perfetta, e sollecitato da due delegazioni che parlarono a nome degli Stamenti - i quali per la verità non furono mai convocati per discutere l’iniziativa - abbiamo perso la nostra statualità, sciogliendo l’istituzione parlamentare nata a Cagliari nel 1355: mai abbiamo rinunciato alla nostra soggettività politica, storica e culturale!

Alla base di queste ragioni poggiamo la nostra rivendicazione ad avere riconosciuta dallo Stato, cui apparteniamo, la nostra specialità a prescindere dalla forma ordinamentale che esso intende assumere per oggi e per il futuro.

Uno Statuto il nostro che nel ribadire lo status di autonoma determinazione dei sardi,  non deve mai perdere il senso di una leale  appartenenza alla nostra Repubblica e all’Europa.

Il Consiglio Regionale però non può assistere inerme al grande processo di riforma delle nostre istituzioni repubblicane. Esso deve farsi promotore di ogni possibile iniziativa tesa a proporre un nuovo Statuto.

Per farlo questo Consiglio della XIV° Legislatura regionale, deve  partire dall’affermazione di se stesso attraverso l’assunzione del principio che noi rappresentiamo e siamo il POPOLO SARDO.

Un popolo formato da chi vi è nato.

Da chi è emigrato ma ancora mantiene salde radici di affetto e di continuità di rapporti con la sua terra d’origine.

Non ultimo, da chi, pur non essendovi nato, ha scelto di abitare, amare e rispettare questa nostra terra, e che a buon diritto può definirsi sardo a tutti gli effetti.

Perché i sardi non sono solo quelli che sono nati nell’Isola, ma chiunque scelga di adottare la nostra terra e i nostri valori difendendoli e sentendosene parte integrante!

Colleghi, la seduta odierna del Consiglio Regionale, che oggi festeggia se stesso e i suoi sessant’anni di vita parlamentare,  deve spingere tutti noi a trovare nuova linfa in una rinnovata unità sui temi posti alla base del comune sentire del nostro popolo.

Ed è bene riflettere su questo incommensurabile valore di UNITA’ del  popolo sardo. Una unità che prima di tutto deve essere morale e politica e quindi recepita appieno nella nostra nuova carta di Autonomia Speciale.

Noi possiamo dividerci sugli indirizzi di governo ma, dobbiamo sempre affermare un comune sentire nel difendere i diritti storici del Popolo sardo che come tale è una entità indivisibile, unica e irripetibile.

Prima di avviarmi alla conclusione voglio ricordare tutti i nostri predecessori  che ci hanno donato lo splendido lascito di un Parlamento regionale al servizio dei sardi, e che nelle diverse legislature hanno difeso e onorato la Sardegna dai banchi di questo Consiglio. A loro va il nostro commosso pensiero e ringraziamento.

Colleghe, colleghi, il nostro ruolo di legislatori regionali, e ogni nostra azione politica conseguente, deve essere incentrato a promuovere l’unità spirituale dei sardi ben consapevoli che: le nostre radici affondano nel cuore di questa terra dalla quale l’Assemblea trae ispirazione e forza per governare il Popolo sardo.