Intervento della Presidente Lombardo al Convegno dell'Associazione degli ex parlamentari
Data: 16/01/2010 - Cagliari - T-HotelCONVEGNO ASSOCIAZIONE EX PARLAMENTARI
Cagliari, 16 gennaio 2010 - Thotel
Signor Presidente dell’Associazione, Signori relatori, Autorità, gentili convenuti:
da tempo nel Paese è avviato un grande dibattito che sta caratterizzandosi in un interessante fermento politico-culturale quale preludio alle grandi riforme costituzionali che dovrebbero portare a significative modificazioni in senso federalista della Carta Repubblicana entrata in vigore il 1 gennaio del 1948.
Per tale motivo porgere il saluto, mio personale e dell’intero Consiglio Regionale, ai lavori del Convegno organizzato dalla Sezione sarda dell’Associazione degli ex Parlamentari sul ruolo dei Parlamenti nelle riforme istituzionali, è un piacere e insieme un onore.
Entrando immediatamente nel vivo del tema, dico subito che la funzione del Parlamento, in quanto sede deputata di tutte le rappresentanze elettive e manifestazione della volontà popolare attraverso il voto, assume un rilevo ancora più pregnante in una azione di riforma costituzionale ponendosi quale garanzia insostituibile della pluralità di partecipazione delle più vive espressioni della nostra società.
Se fosse possibile tracciare un parallelo sul clima che fece da preludio all’adozione della Carta Costituzionale con la situazione odierna, non potremo fare a meno di constatare, pur nella diversità degli eventi, che comunque si tratta di due passaggi epocali.
Allora l’Italia usciva dal dramma di una guerra civile devastante che fece da cornice alla fine degli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
Il Paese si trovava di fronte alla necessità di modificare radicalmente il precedente Statuto del Regno di Sardegna, conosciuto come Statuto Albertino, passando dalla monarchia alla repubblica: da uno Statuto ottriato alla Costituzione.
Non essendovi ancora in funzione il Parlamento, un contributo ai futuri lavori della Assemblea Costituente venne da un gruppo di personalità di altissimo profilo culturale e politico che, provenienti da tutte le parti d’Italia, si riunirono spontaneamente nel gennaio del 1944 a Bari.
Uomini dello spessore, fra gli altri, di Benedetto Croce, Giuseppe Laterza, Carlo Sforza, Tommaso Fiore, Adolfo Omodeo e Vincenzo Arangio Ruiz tracciarono la strada futura ai Padri della Costituzione.
Oggi, trascorsi oltre sei decenni da quei fatti, è il Parlamento in quanto punto più alto di riferimento di tutte le componenti politiche, sociali e culturali del Paese, ad assolvere a questa funzione di studio, ricerca e adozione di soluzioni in tema di Riforme.
Spetta a questa istituzione, più di altri, raccogliere i palpiti e le aspirazioni che albergano nel popolo italiano che, pur partendo da punti di vista differenti, in sede parlamentare devono trovare valori e contenuti comuni in vista delle modifiche da apportare alla nostra Carta fondamentale.
E’ il Parlamento dunque che deve ripensare, riformulare e rimodellare le istituzioni repubblicane nel raccogliere tutte le spinte derivanti dalle migliori energie e intelligenze del popolo per ricodificare le norme poste a regola della convivenza civile sotto le istituzioni repubblicane.
Molto si deve dunque all’azione, passata e presente, del Parlamento nei vari processi di riforma che hanno caratterizzato la vita politica. Possiamo affermare che il Parlamento in quanto sede permanente di confronto ed elaborazione politica ha reso possibile costruire una società democratica e avanzata attraverso un processo di crescita civile che oggi vogliamo continuare a consolidare e contribuire a far evolvere.
La contestualizzazione delle problematiche legate agli sviluppi delle società moderne con le implicite connessioni sul processo in atto di riforma costituzionale, non potrà evitare al Parlamento di interrogarsi sul valore ancora attuale della Costituzione, quale ponte tra passato e avvenire, anche alla luce di una convivenza che in piena epoca di globalizzazione sta portando alla costruzione di una realtà sociale multietnica portatrice di molteplici e complessi problemi.
Bisogna allora chiedersi se la Costituzione sia e debba essere, come taluni ancora la considerano, un documento chiuso: una sorta di monumento da guardare con rispetto senza tener conto del suo naturale deperimento istituzionale.
Oppure, come credo, se non sia la Costituzione un documento vivo, che segue le metamorfosi della società e funge da stimolo per ragionamenti giuridici attuali sulla persona, sulle istituzioni, sui problemi e le difficoltà della convivenza.
Penso di non sbagliare nel ritenere che il processo di riforma di una norma fondamentale come la nostra Costituzione, debba tradursi in una occasione unica per riallacciare i fili di un contatto e un colloquio civile fra cittadini, e non si debba ridurre esclusivamente a un momento di confronto fra studiosi e rappresentanti politici.
Il Parlamento diviene, quindi, la sede naturale dove questo coinvolgente momento di confronto, su come siamo e su come vogliamo ripensarci, deve trovare lo sbocco naturale dando ampie garanzie di rappresentanza e rappresentatività a tutte le istanze della società italiana.
Data questa premessa bisogna considerare, per quanto ci riguarda da vicino, come inserire nel contesto generale di riforma costituzionale la funzione del nostro Parlamento regionale.
In qualità di Presidente del Consiglio Regionale di una Regione che nell’ambito ordinamentale dello Stato gode di più ampi poteri di autonomia, in forza dello Statuto Speciale, mi auguro e spero che in questo ampio contesto di riforme trovi spazio e si inserisca il tragitto verso la formulazione di un nuovo “patto” fra la Sardegna e lo Stato.
Il che avverrà con l’adozione di un nuovo Statuto di Specialità moderno, avanzato e fortemente orientato a conferire alla Sardegna tutti quei poteri necessari per l’autogoverno del proprio territorio. Uno Statuto che veda nei maggiori ambiti di autonoma determinazione un ampliamento della democrazia.
E’ chiaro che penso ad un duplice scenario futuro in chiave sia federalista e sia Europea.
Appare, infatti, irreversibile il processo interno verso una maggiore rappresentatività e soggettività delle Regioni che, nell’ambito delle riforme costituzionali introdotte nel 2001, hanno assorbito gli ambiti e le competenza abbandonate - o devolute - dallo Stato.
Ciò rende indispensabile un profondo ripensamento della concezione regionalista di impronta Costituzionale che nella sua originaria accezione vedeva la propria autonomia limitata prima della soglia federale, trovando una sua propria dimensione in una sfera di carattere amministrativo.
Nel nuovo rapporto paritetico fra gli organismi della Repubblica, scaturito dalla riforma del 2001, le Regioni assumono una maggiore determinazione che innalza la soglia della propria autonomia, trovando un limite solo nel fatto che non può essere in contrasto con i principi generali dell’ordinamento della Repubblica- indivisibilità -, con gli interessi delle altre Regioni e con gli obblighi di carattere internazionale.
Contemporaneamente si va anche nella direzione di una nuova realtà del ruolo dei territori regionali nell’Unione europea, col rafforzamento e il consolidamento delle Euroregioni. Vere e proprie entità giuridiche, così come sancite nel 1980 dal trattato di Madrid, che agiscono con valenza territoriale sotto la sfera di giurisdizione europea, destinate nel futuro a incidere sensibilmente nei rapporti interni fra gli Stati membri e l’Unione.
In questa cornice futura è chiaro che dobbiamo ripensare il ruolo e la funzione degli strumenti statutari, messi oggi a disposizione della nostra Regione, per portare a compimento quel percorso di riforme costituzionali intervenute nel periodo 1999-2001, e del quale oggi vediamo attuato il principio del cosiddetto federalismo fiscale. Perno intorno al quale ruoterà la proposta di riforma dell’architettura Costituzionale della Repubblica.
L’assenza di una incisiva opera di riforma degli statuti regionali dotati di specialità, in accoglimento delle modifiche costituzionali intervenute, ha creato paradossalmente un divario a favore delle Regioni a ordinamento normale.
Queste ultime oggi possono provvedere a effettuare una riforma organica delle loro carte statutarie, senza incorrere nelle complesse procedure di modifica costituzionale necessarie per le regioni dotate di specialità. E questo può avvenire con effetti immediati e ripetuti anche in brevi intervalli di tempo, laddove ciò si renda necessario.
La specialità in questo senso si è trasformata in un freno permanente che allunga e rende macchinoso e difficile il tragitto riformatore nelle realtà regionali interessate.
Sarebbe di per sé sufficiente tenere sotto l’egida costituzionale il solo concetto di specialità, che va ribadito anche in una prospettiva federale.
Infatti, la specialità costituisce un diritto storico imprescrittibile del nostro popolo, acquisito nel processo di unificazione del Regno d’Italia con la rinuncia alle nostre prerogative Parlamentari autonome, gli Stamenti che non poco hanno inciso nel processo di formazione del Regno di Sardegna prima e in quello d’Italia successivamente al cambiamento di nome, ma anche in forza della nostra particolare condizione geografica e culturale. In quanto tale si prefigura come un diritto irrinunciabile.
Non vi è dubbio che il nostro Parlamento Regionale sia chiamato a svolgere una funzione insostituibile nel raccogliere, elaborare e fissare in norma questo processo di riforme costituzionali.
La nostra consolidata cultura autonomista e federalista, e la presenza di realtà politiche che dallo stretto rapporto con le radici del proprio territorio ricavano l’humus sul quale si fonda il loro tessuto programmatico e ideologico, rende possibile una via sarda al federalismo legittimata da elementi caratterizzanti la nostra peculiare condizione storica, geografica e culturale che rappresentano anche per l’Italia un grande patrimonio da tutelare e custodire gelosamente come una ricchezza aggiuntiva.
Il Consiglio Regionale lo deve fare anche con lo spirito di riformare se stesso, penso alla riduzione del numero dei consiglieri e alle politiche di genere, e il suo mutato ruolo negli equilibri che derivano già oggi dalle novità introdotte nel corpo delle leggi elettorali; le quali hanno comportato un differente bilanciamento nei rapporti fra il potere esecutivo e il potere legislativo.
Se da un lato tale squilibrio è giustificabile dalla conclamata esigenza di dare continuità all’azione del governo regionale, dall’altro non possiamo accettare che tale esigenza possa diminuire gli spazi deputati alle Assemblee abbandonando completamente il modello di democrazia parlamentare.
Bisogna allora valutare se e come introdurre nella normativa il principio dei “pesi e contrappesi” per conferire al Parlamento regionale, nell’ambito dei rapporti con il Governo regionale, un nuovo equilibrio che attenui lo sbilanciamento oggi orientato verso il potere esecutivo.
Assolve a tale esigenza la difesa della funzione normativa in capo al Parlamento regionale che deve assommarsi a quelle di indirizzo e controllo rafforzando il ruolo dell’Assemblea nei confronti del potere esecutivo.
A questa valutazione deve altrettanto accompagnarsi una profonda rivisitazione del Regolamento interno del Consiglio per aumentare la produttività dell’Aula e per fissare nuovi spazi al necessario confronto democratico fra maggioranza e opposizione, e fra esse e il potere esecutivo.
Non vi è dubbio che l’adozione di uno “statuto” delle opposizioni rimane uno dei punti qualificanti di questa rivisitazione che intende riformare questo istituto interno che regola l’attività parlamentare.
Abbiamo la coscienza che nel corso della presente Legislatura regionale ci attende un lungo e impegnativo lavoro per imprimere al processo di riforme una forte accelerazione, nella consapevolezza che dopo oltre sessant’anni di vita la Costituzione repubblicana e lo Statuto sardo hanno necessità di essere rivisitati e ammodernati.
Sono tante le considerazioni che si potrebbero fare su di un tema così coinvolgente come la riforma della nostre istituzioni autonomistiche, dato il momento storico che stiamo vivendo, ma la realtà mi richiama al rispetto dei limiti di tempo per cui mi avvio alla chiusura.
Tuttavia non vorrei chiudere prima di aver colto l’occasione, dopo questo indirizzo di saluto, per porgere le mie personali congratulazioni, unitamente a quelle dell’intera Assemblea regionale, per la lodevole iniziativa odierna che sono certa contribuirà non poco a elevare il tono del dibattito in corso in Sardegna e nel Paese.
Claudia Lombardo – Presidente del Consiglio Regionale