Sintesi dell'intervento della Presidente Lombardo alla seduta straordinaria del Consiglio regionale sulla crisi

Data: 15/07/2009 - Cagliari, Aula Consiliare via Roma

Sintesi dell’intervento della presidente del Consiglio  Claudia Lombardo durante l’assemblea straordinaria sulla crisi economica e occupazionale della Sardegna 

 

Cagliari, 15 luglio 2009 - L’unica  strada per la ripresa economica passa per la rinascita e il consolidamento del settore industriale nella nostra terra. Nessuna dismissione o smantellamento, semmai un rilancio strategico dell’industria sarda attraverso un piano di sviluppo integrato che eviti il baratro di una monocultura imprenditoriale che tanti danni ha già provocato nell’Isola. La Sardegna non può vivere di solo turismo  e agricoltura, come qualcuno velleitariamente è portato a pensare. Ma deve guardare a uno sviluppo armonico dove tutte le componenti che determinano una economia di successo sono costituite dalla presenza contemporanea e integrata di un tessuto produttivo fatto di industria, attività  imprenditoriali, artigianato, commercio e, appunto, turismo e agricoltura. Se vogliamo guardare al futuro con speranza  e ottimismo dobbiamo puntare su un modello economico che nella diversificazione delle attività trovi il suo punto di forza ed equilibrio. Dico questo, e mi preme sottolinearlo, non perché provengo da un territorio, il Sulcis-Iglesiente, a elevata densità industriale, ma in quanto da sempre fortemente convinta del ruolo insostituibile dell’industria in una economia di successo. D’altronde proprio il mio territorio fornisce la dimostrazione tangibile del fallimento delle politiche derivanti da una monocultura. Si è passati dal minerario al metallurgico, nella vana speranza che puntando tutto su un settore ci saremmo potuti risollevare.  Oggi il Sulcis-Iglesiente si trova a pagare un caro prezzo per queste scelte dissennate. Non è casuale la scelta di tenere questa assemblea presso il Consiglio Regionale, il parlamento dei sardi, simbolo di unità del nostro popolo, massima espressione della nostra democrazia.  Il popolo sardo deve avere  la percezione che qui si sono schierati: il Governo dei sardi, l’Assemblea regionale, i parlamentari, i rappresentanti degli  enti locali, le associazioni degli imprenditori e di categoria, l’Università e  il mondo sindacale, per fare un fronte comune a difesa di diritti storici che vanno ben oltre il contingente, che vede in crisi un comparto produttivo per noi di vitale importanza, per assumere una connotazione di rivisitazione dei rapporti competenziali  tra la Regione e lo Stato. Oggi noi siamo qui per inserire, nel contesto più vasto di una vera e propria Vertenza Sardegna, la volontà dei sardi di  rinegoziare un nuovo patto con lo Stato centrale che veda la soddisfazione di storiche annose rivendicazioni che tanto negativamente incidono sul nostro sistema economico e produttivo. Non c’è più tempo per dilatare ulteriormente un confronto che, al di là delle migliori intenzioni con le quali il Governo centrale intende affrontare la Questione Sarda,  deve risolversi sulla base di fatti e atti concreti sui quali fondare il mantenimento degli attuali livelli occupazionali del settore produttivo isolano. I numeri  dell’industria in Sardegna non sono certo positivi: sono circa 2800 le persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali, 6270 i posti di lavoro persi nell’ultimo anno e 7000 i dipendenti a rischio.  E’ chiaro che il quadro delineato indica uno stadio di sofferenza ormai prossimo al collasso.  Se vogliamo preservare la nostra cultura industriale e, magari, potenziarla per rilanciare il ruolo strategico dell’Isola al centro del bacino occidentale del Mediterraneo negli scambi commerciali con i continenti africano e asiatico, deve essere chiaro a tutti che neppure un solo posto di lavoro di quelli attualmente garantiti dall’Industria deve andare perduto. Questa è una pregiudiziale che poniamo a capo, come priorità assoluta, della vertenza che ci vedrà impegnati durante il confronto con il Governo centrale.  Noi non possiamo permettere che la nostra terra paghi un prezzo ancora più alto di quello già insopportabile che abbiamo sinora sostenuto.

Nel contempo dobbiamo prendere coscienza che questa gravissima emergenza deve imporre a tutti una nuova assunzione di responsabilità nella consapevolezza che la Sardegna e i sardi potranno essere salvati solo da se stessi. Non possiamo attenderci regali da nessuno. Non possiamo, dunque, dividerci sugli indirizzi di governo e politici ma, dobbiamo sempre affermare un comune sentire nel difendere i diritti storici del Popolo sardo che come tale è una “entità indivisibile, unica e irripetibile”. Tutte le volte che si è raggiunta una unità autonomistica, il nostro popolo ha vinto battaglie vitali per il proprio futuro. Ed è proprio questo il momento di esaltare la ritrovata unità di tutte le componenti politiche, sociali e culturali che sinceramente credono in un consenso popolare pieno, convinto e spontaneo a sostegno dell’azione del governo sardo in un momento così delicato e difficile della nostra storia patria. La nostra partecipazione all’Assemblea odierna dimostra che ci sentiamo protagonisti e responsabili verso il nostro popolo e se la passione politica e la difesa dei nostri ideali spesso porta a dividerci,  oggi sono  la Sardegna e suoi destini futuri che ci devono unire. Per contrapporci a torti e ingiustizie, mi riferisco anche a quanti nel passato attratti dalle agevolazioni e dai soldi hanno impiantato attività in Sardegna per poi abbandonarle al proprio destino una volta esauriti i fondi. Lasciando a noi un triste lascito fatto di disoccupati e inutilizzabili cattedrali nel deserto, costituite dai siti industriali dismessi. Cattedrali industriali che ormai, purtroppo contraddistinguono la nostra terra al pari dei Nuraghi, tanto sono lontane nel tempo le origini e il perdurare di una crisi che ha assunto risvolti endemici. Oggi l’ENI non fa altro che perpetuare questa incresciosa tradizione. Ma sappiano i vertici dell’Ente che non siamo più disposti a fare sconti a nessuno. Se davvero le intenzioni sono quelle di una dismissione pretenderemo con assoluta rigidità il rispetto dei protocolli. Prima fra tutti la procedura di bonifica dei territori nei quali si svolge l’attività industriale dell’ENI per una pronta riconversione di questo sito per destinarlo ad altre attività produttive. Bonifica che dovrà avvenire attraverso l’impiego delle attuali maestranze oggi impegnate nello stabilimento e totalmente a spese dell’Ente. La chiusura dello stabilimento di Porto Torres, per quanto negli annunci temporanea, è solo l’ultima di una lunghissima sequela di chiusure di attività industriali che nei diversi livelli di responsabilità e differenti ruoli hanno visto la classe politica sarda, unitamente alle categorie di lavoratori di volta in volta interessati,  ergersi a difesa degli accordi traditi. Ma quella di oggi non può e non deve trasformarsi in una, passatemi il termine, ordinaria straordinarietà. Non possiamo più permetterci di abbassare la guardia e dopo tante belle parole e lodevoli intenzioni, arrenderci ai voleri di un destino impostoci e mal tollerato. La situazione della nostra Isola è tale da non poterci permettere più neanche la sola perdita di una singola busta paga. I sardi hanno già pagato un prezzo altissimo in termini di solidarietà rinunciando a diritti acquisiti in nome di una fratellanza che lega tutti i  territori della nostra Repubblica. Il G8 svoltosi a l’Aquila è l’ultimo recentissimo episodio. Adesso pretendiamo che il governo centrale riservi alla Sardegna quella attenzione che le è dovuta, innanzi tutto scongiurando la chiusura dello stabilimento di Porto Torres e, poi, riaprendo i termini della Questione Sarda che segni l’effettivo rilancio della nostra terra in termini economici, ma anche sociali e culturali. Oggi sentiamo con forza l’esigenza e la necessità di affermare la centralità della Questione Sarda nel panorama italiano per chiedere che le problematiche che attanagliano il settore industriale della regione vengano inquadrate all’interno di un’ottica  di perequazione nazionale. Vogliamo realizzare un nuovo modello economico integrato fra industria, agricoltura, pesca, turismo e impresa per assicurare all’Isola una economia solida, duratura e con prospettive di crescita future e spezzare le catene di un isolamento che rischia di non essere più solo geografico ma anche culturale ed economico. E se oggi il popolo sardo si trova idealmente tutto qui unito per evitare la sciagura di un ennesimo scippo, lo fa con lo spirito di chi è ben consapevole che non sta mettendo in atto un moto egoistico per chiedere indebiti privilegi, ma il suo sacrosanto diritto a difendere le proprie inalienabili prerogative.  La prossima vertenza con lo Stato dovrà vedere la giunta regionale sostenuta da un grande movimento di popolo per ottenere finalmente misure di eccezionale portata volte al soddisfacimento di diritti storici  che ancora vedono i sardi non uguali rispetto agli altri cittadini della Repubblica. Ma sia ben chiaro:  non stiamo rivendicando misure di carattere assistenzialistico. Misure che nel passato hanno dimostrato tutta la loro fallacità. Utili  a risolvere solo parzialmente e temporaneamente la crisi che sta strozzando la nostra economia. Noi vogliamo poter contare su adeguati strumenti di governo della nostra economia per determinare autonomamente le linee e gli indirizzi di un nuovo modello per il Sistema Sardegna. Un modello che sia pensato, voluto e attuato dai sardi per i sardi. Nel rispetto delle nostre specificità storiche politiche e culturali e delle nostre potenzialità e vocazioni. Strumenti che sono già presenti nella nostra legislazione regionale. Penso alla zona franca, attraverso la quale tutto il sistema economico e produttivo sardo potrà avvalersi di un insieme di misure e interventi per consentire all’attività di impresa di raggiungere livelli di massima efficienza con il massimo grado di efficacia e in grado di auto sostenersi e di reggere i livelli più alti della concorrenza dei mercati. Nessuna prosecuzione di politiche fatte di interventi pubblici a sostegno delle attività produttive, ma  potestà esclusive della nostra economia per consentire al governo sardo l’adozione di un pacchetto di interventi che possano consentire la nascita di un sistema imprenditoriale  e industriale sardo integrato e vincente. Da questa nuova coscienza deve nascere l’ulteriore consapevolezza  che la grave crisi che stiamo attraversando non è una difficoltà passeggera e di poco momento. Da questa coscienza deve nascere la motivazione di un popolo che oggi si erge per richiedere un confronto negoziale con lo stato ampio e finalizzato a recuperare appieno il grave ritardo di sviluppo economico che la Sardegna marca sia a livello italiano che europeo. Oggi dunque non sono riunite le rappresentanze più significative  del popolo sardo per limitarsi a chiedere solo l’immediata riapertura dello stabilimento ENI di Porto Torres. Sarebbe un grave errore limitarsi a questa miope visione strategica. Non possiamo limitarci solo alla difesa dell’esistente, sapendo che in un futuro prossimo potremo dover affrontare altre drammatiche emergenze fatte di altre possibili chiusure. Se qualcuno pensa ancora che la nostra specialità sia un vantaggio la nostra risposta non può che essere conseguente: oggi più che mai la Sardegna sente l’esigenza di  approfondire il senso di una legislazione differenziata per le differenti esigenze del popolo sardo. Un nuovo patto con lo Stato che, fermo restando il principio unitario in ordine alle finalità generali della Repubblica, riconosca ai sardi un nuovo Statuto di Specialità che conferisca tutti i poteri di autodeterminazione, con la capacità di emanare norme valide nell’ambito regionale e con limiti di reciprocità  concordati con lo Stato su poche determinate materie. In tal senso avochiamo il potere di autoregolamentazione per poter essere padroni del nostro futuro e della gestione delle nostre incommensurabili e inalienabili risorse fatte di territorio, ambiente, intelligenza e lavoro. Tutti noi qui presenti dobbiamo sentirci investiti di un mandato più ampio e profondo che non si limiti alla difesa dell’attuale, ma che partendo dalla drammatica situazione che attraversiamo faccia sì che venga messo in discussione tutto il regime di rapporti che sino a oggi hanno caratterizzato il confronto Stato-Regione, per validare le ragioni storiche dei sardi attraverso un impegno del governo centrale teso alla rivisitazione degli squilibri che oggi penalizzano l’Isola attraverso un confronto paritario di reciproca soddisfazione. (R.R.)