Intervento in aula della Presidente Lombardo nel 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia

Data: 17/03/2011 - Cagliari, Aula Consiliare via Roma

SEDUTA SOLENNE 17 MARZO 

 

Il Consiglio Regionale, con l’odierna Seduta Solenne, ha inteso unirsi alle celebrazioni in corso in tutta la Repubblica per il Centocinquantenario della proclamazione del Regno d’Italia.

Il 17 marzo del 1861 resterà nella memoria collettiva  il punto di arrivo del movimento risorgimentale conclusosi con l’unificazione politica degli italiani.

Si è così portato a compimento un percorso storico tutto italiano che, preso avvio nel 753 a.C. con la fondazione di Roma, ha unito le popolazioni della Penisola in una comunanza di territorio, usi, costumi e tradizioni.

In questo complesso di vicende storiche l’Italia si è formata grazie al sacrificio e all’impegno delle sue donne e dei suoi uomini nel portare a compimento il grande sogno unitario del Risorgimento.

La mente di questo lungimirante disegno politico fu indubbiamente il Conte Camillo Benso di Cavour, che seppe, con sapienza, tessere la tela dell’unificazione italiana sino alla proclamazione del Regno.

Non da meno va ricordato che sotto il profilo dottrinale, il Regno nacque per gemmazione dal Regno di Sardegna.

 

Il Regno d’Italia era, infatti,  la prosecuzione  giuridica delle vicende legate allo Stato denominato Regno di Sardegna, nato a Cagliari, il 19 giugno del 1324, la cui Corona passò nel 1720 sotto i Savoia a seguito del Trattato di Londra.

Prova ne sia che Vittorio Emanuele, primo Re d’Italia, mantenne la numerazione di II del Regno di Sardegna.

L’Italia sino a quando la grande opera di unificazione, pensata dal Cavour, voluta da Vittorio Emanuele II e operata sul campo da Garibaldi, non fu portata a termine,  era una entità geografica senza gli attributi della statualità.

Era un sogno romantico di molti patrioti che già dai primi moti degli inizi del 1800, e nel terremoto politico del 1848 che sconvolse l’Europa intera, prendeva forma sempre più intensamente attraverso la “perfetta fusione” che fece da preludio all’Unità.

Era un fuoco che ardeva nei cuori di tutti quelli che, come Mazzini, pensavano e volevano costruire un futuro privo di dominazioni straniere nell’amato suolo italico, per riportare l’italianità umiliata, agli antichi splendori di civiltà giuridica, genialità artistica, raffinatezza culturale e  insuperata creatività nei mestieri che l’avevano resa celebre agli occhi del mondo.

Era anche una terra profondamente cattolica che viveva il dramma dei suoi abitanti divisi fra una agognata unità, che passando attraverso Roma Capitale  avrebbe incrinato il legame millenario fra gli italiani e la Chiesa, e la loro sincera fede.

 

 

Edificare lo Stato unitario fu un capolavoro di diplomazia politica che, grazie alla innata propensione alla mediazione per cui andiamo famosi nel mondo,  seppe mirabilmente preservare il fervente cattolicesimo degli italiani coniugandolo col desiderio di unificazione nella indovinata formula: “ libera Chiesa in libero Stato”.

Un legame indissolubile quello fra l’Italia e la “sua” Chiesa che seppure incrinato  dopo i primi freddi rapporti col neonato Regno d’Italia, in cui addirittura la Chiesa vietava ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica attraverso il monito delle gerarchie ecclesiastiche del non expedit,  in seguito si poté faticosamente ricostruire.

Fu un percorso  lungo quello che tratteggiò  il recupero dei rapporti fra Stato italiano e Chiesa, culminato nei Patti Lateranensi del 1929 che sancirono ufficialmente la nascita dello Stato della Città del Vaticano. Patti poi revisionati nel 1984.

Parallelamente si concretizzò una lenta ripresa dell’attivismo cattolico nella vita pubblica che al suo culmine portò gradualmente alla nascita del Partito Popolare e quindi della Democrazia Cristiana, epitomi dell’impegno politico dei cattolici italiani.

Ma l’Italia restava il sogno comune, l’orizzonte condiviso di laici e cattolici che volevano costruire la Patria di tutti gli italiani fuori da qualsiasi influenza o dominazione straniera.

 

 

 

Ne costituisce viva testimonianza il fatto che proprio attraverso le sofferenze  dei tanti che si immolarono generosamente per lo Stato a lungo sospirato, ma anche attraverso i profondi travagli che scuotevano le coscienze di quanti divisi fra sentimento religioso e amor di patria, si forgiò la consapevolezza di appartenere ad una storia comune, i cui nodi andavano riallacciati riunendo i destini di tutte le genti d’Italia.

Vi era in tutti la certezza che l’Italia geografica era nata per essere unita anche da una comunione statuale che ricongiungesse sotto uno stesso ombrello ordinamentale quelli che nell’inno nazionale si chiamarono fratelli.

Una comunione di fratellanza da sancire con la nascita dello Stato unitario che ha visto  l’Isola e i suoi figli  partecipare alle più importanti e dolorose vicende che hanno accompagnato la storia italiana prima  e dell’Unità dopo.

Non a caso buona parte di quel rosso che nel tricolore ricorda il sangue speso per l’Unità d’Italia , è tinto anche dal sangue versato da numerose generazioni di sardi che, soprattutto con gli eroici fanti della Brigata Sassari, hanno scritto pagine indelebili e gloriose negli eventi bellici che si accompagnarono alla sacra difesa del suolo patrio.

E in questo momento non posso non ricordare anche i numerosi figli della Sardegna che in tempi recenti hanno continuato a dare la vita per la salvaguardia delle libere istituzioni.

 

Quei reduci della Brigata Sassari, incarnati idealmente dalle due grandi figure di Emilio Lussu e Camillo Bellieni, una volta tornati a casa capirono il valore dell’unità dei sardi subliminata nel  comune sentire che forma l’anima del nostro Popolo e la nostra cultura identitaria originale.

Nacque il pensiero sardista che rafforzò e nutrì la cultura autonomistica dell’Isola condensata nella “Questione Sarda”, sollevata da pensatori illuminati i cui capofila furono Giovanni Battista Tuveri e Giorgio Asproni.

L’Italia  politica, con il completamento dei plebisciti per l’annessione, prima al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Italia, cessò di essere uno stato composto per divenire unitario.

E se nel 1861  il proclamato Regno d’Italia non sancì i definitivi confini del Paese, in quanto l’opera si completò con l’annessione del Veneto nel 1865, di Roma nel decennio successivo e del Trentino Alto Adige dopo la prima guerra mondiale, diede però avvio alla vicenda umana e storica della nostra attuale Repubblica.

Tre guerre d’Indipendenza, due guerre mondiali, la  caduta del  fascismo, fecero da cornice al percorso storico che nel giugno del 1946, segnò il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica e all’adozione della Costituzione che ancora oggi regola la vita degli italiani.

La nascita delle istituzioni repubblicane nel 1946 non segnò solo la ripresa della vita democratica, ma anche il riconoscimento del suffragio universale e del voto alle donne.

Un evento che colmò un ritardo storico verso il mondo femminile, in quanto vide finalmente riconosciuto alle donne italiane il diritto fondamentale di partecipare attivamente  alla vita delle libere istituzioni.

Ma fu anche una testimonianza vivida del ruolo non secondario e fondamentale delle donne in tutte le dinamiche che si accompagnarono alle vicende risorgimentali che portarono all’Unità d’Italia e in seguito alla nascita delle istituzioni repubblicane.

Gli anni dell’Assemblea Costituente segnarono il secondo risorgimento contrassegnato dalla volontà di riscatto degli italiani dopo il dramma della guerra. Da questo clima di grande fermento politico, culturale e sociale prese avvio con successo la costruzione di una società moderna e avanzata che ha portato l’Italia nel consesso economico degli  stati  più industrializzati e ricchi.

Furono anni di grandi agitazioni politiche e di temperie parlamentari, con estenuanti discussioni sulla forma della Repubblica, che poi ne uscì regionalista, e sui principi e gli indirizzi da inserire nella Carta Costituzionale.

In tutti i Padri costituenti emerse forte la volontà di preservare il sentimento unitario del Risorgimento, fissandolo  nella Costituzione con l’espressione “ una e indivisibile” per tutelare la nascente democrazia repubblicana dalla fragilità  che poteva derivarle dalle stesse cause che avevano determinato il  collasso dello stato nato unitario sotto l’egida della monarchia.

 

 

Tuttavia, l’unità cosi faticosamente raggiunta, non poteva comunque costituire un impedimento all’auspicata dai più apertura verso il ruolo delle regioni, mancata nel 1861 per la prematura scomparsa di Cavour, che avvenne  attraverso il formale riconoscimento delle autonomie come parte integrante della nuova unità nazionale.

Questa attenzione verso il sistema delle autonomie, con l’adozione di un ordinamento regionalista, favorì una visione più rispettosa delle aspirazioni di alcune componenti identitarie ed etnolinguistiche che si formalizzò con il riconoscimento di uno speciale statuto di autonomia per Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e, anni dopo,  Friuli.

Una costante, la specialità, estrinsecata in quell’essere fieramente sardi e, contemporaneamente,  sinceramente  italiani che ha sempre contraddistinto la nostra leale partecipazione alla vita dello Stato.

Fatta la Repubblica un nuovo orizzonte già si stagliava sul futuro degli italiani. Prese avvio negli anni cinquanta la discussione sulla creazione di una Comunità Economica Europea.

Quella stessa Europa auspicata da pensatori illuminati come  Mazzini, Cattaneo e il nostro Bellieni che la volevano formata dall’unione dei popoli e delle nazioni che la compongono.

Un processo di nascita e unificazione, quello dell’Europa plurinazionale, che si è mirabilmente e pacificamente costruito col consenso delle popolazioni degli stati che la compongono.

Una entità sovrastatuale che è entrata nel nostro vivere quotidiano, trasformando le nostre abitudini, modificando modelli comportamentali e aspirazioni, facendoci sentire partecipi di un grande progetto di unificazione  del Continente europeo.

Un sentire politico che avviò la creazione di una definita identità e solidarietà europea attraverso il riconoscimento delle diverse anime  formate dalle culture dei popoli e delle nazioni che la compongono.

L’Europa…, è questa la grande sfida del futuro prossimo che ci attende come sardi e italiani per erigere una grande Patria cementata dall’idem sentire di un collante unitario che fonda sulla fratellanza, la solidarietà e la comunione di intenti la spiritualità dell’anima europea.

In un certo senso con le celebrazioni odierne festeggiamo anche il ruolo protagonista dell’Italia nel processo di unificazione europea.

Colleghe, Colleghi, Autorità e cortesi ospiti, vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che l’occasione di queste solenni celebrazioni non può e non deve esaurirsi  solo nella formalità dei festeggiamenti.

Essa stessa deve divenire un’ ulteriore opportunità per una corale riflessione su quello che il Presidente della  Repubblica ha indicato “come un esame di coscienza collettivo”.

E anche se questa non è la sede idonea per approfondire tematiche specifiche, non possiamo tuttavia negare che molti sono ancora i nodi da sciogliere e da superare dei tanti problemi che ancora sussististono dopo centocinquant’anni di Unità.

Problematiche legate anche al differenziale di crescita dello sviluppo fra Nord e Sud, passando per le Isole, che tutt’ora permangono nel nostro Paese e pesano come macigni sul nostro futuro.

Un futuro nei confronti del quale ci sentiamo tutti coinvolti e responsabilizzati per costruire una società migliore, più rispettosa dei diritti di tutti  e solidale in tutte le sue componenti.

Oggi  è una giornata di celebrazioni, anche se per noi la  festività solenne è fortemente offuscata dalla preoccupazione, viva e sincera, di tutta la classe dirigente dell’Isola per la gravità della crisi incombente, amplificata dalle  carenze e dai ritardi ultrasecolari non ancora rimossi.

E’ di stretta attualità la vertenza in atto sulle entrate fiscali per la rivendicazione di un nostro diritto primario.

L’Italia è un valore fondante che non può essere limitato a una unità politica o geografica, ma di vera reale partecipazione dove tutte le componenti territoriali regionali, con le loro diversità e specificità identitarie, culturali, storiche e sociali, costituiscono una ricchezza e un valore aggiunto sul quale fondare le speranze future di prosperità della nostra Repubblica.

L’autonomia per i sardi è un forte vento di passione che esalta l’amore per la propria terra e acclama l’orgoglio delle proprie radici peculiari all’interno dell’unità della Repubblica.

 

Repubblica nella quale   lealmente crediamo e per la quale sinceramente ci siamo spesi, anche a costo del sacrificio più estremo, senza però mai rinunziare alla nostra specificità identitaria di popolo e nazione sarda.

Per dirla con le straordinarie parole del compianto Presidente emerito Francesco Cossiga: “Autonomia, parola magica che, come sentimento, aleggia fra noi sardi fin dal 1847 quando, con la cosiddetta “perfetta fusione”, il Regno di Sardegna da federato divenne unitario o semplice e l’isola perse la propria statualità individuale per assumere quella più umile di regione marginale del nuovo assetto istituzionale dello Stato. Nacque così la Questione Sarda ovverosia la coscienza di aver rinunciato a qualcosa - l’identità statuale- per la quale in tutto il mondo  molti Popoli hanno combattuto e combattono per ottenerla. Da allora, per noi, l’unica strada possibile che possa correggere il danno storico è stata e rimane la rivendicazione autonomistica, lo stabilire un rapporto più favorevole possibile con l’apparato centrale dello Stato.”

Per questo motivo vorrei terminare il mio intervento con un auspicio: in un momento di grande crisi, quale quello che stiamo attraversando, il Popolo sardo deve vincere una scommessa, quella della sua unità per il raggiungimento di  un obiettivo alto e nobile, la effettiva parità economica, politica e culturale tra la Sardegna, l’Italia e l’Europa.