CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURAMozione n. 209
MOZIONE VARGIU - DEDONI - COSSA - FOIS - MELONI Francesco - MULA sulla necessità di urgenti interventi di riforma strutturale del sistema sanitario regionale sardo.
***************
IL CONSIGLIO REGIONALE
CONSIDERATO che:
- tutti i paesi ad economia avanzata che hanno adottato modelli di welfare di tipo europeo si trovano oggi di fronte alla dissociazione tra i dati relativi alla crescita del PIL e quelli relativi alla crescita della spesa sanitaria;
- la crescita della spesa sanitaria segue le dinamiche di invecchiamento della popolazione e quelle relative all'introduzione di nuove tecnologie ed opportunità terapeutiche ed è pertanto prevedibile che, in assenza di una significativa ripresa della crescita del PIL, la divaricazione tra nuove esigenze di salute e risorse economiche disponibili tenderà ad acuirsi nei prossimi anni;
- tale difficile congiuntura economica rischia ormai di mettere in discussione i principi cardine dell'assistenza sanitaria europea e cioè l'universalità dell'accesso e la garanzia della copertura integrale delle prestazioni sanitarie considerate essenziali;
- la complessiva sofferenza di sistema si avverte in modo particolare in Italia, dove la crescita della spesa sanitaria, si è storicamente consolidata su percentuali annue intorno al 2 per cento, che appaiono sostanzialmente insostenibili nell'attuale condizione di "doppia recessione" vissuta dal Paese;
- la crisi del sistema di welfare sanitario italiano è ulteriormente accentuata dalla oggettiva cattiva distribuzione della risposta sanitaria, correlata alla presenza di una sanità a due velocità (nord/sud), che determina la crescita del fenomeno della mobilità passiva dalle regioni meridionali, con conseguente impoverimento ed ulteriore peggioramento dei sistemi sanitari regionali e della qualità assistenziale riservata ai cittadini del sud Italia;
- tale sistema sanitario a due velocità si riverbera in ritardi nell'adozione delle best practice che non riguardano soltanto le prestazioni sanitarie, ma anche tutte le attività gestionali e manageriali che costituiscono la struttura portante di qualsiasi sistema assistenziale;
- tale situazione di sofferenza strutturale del welfare sanitario italiano appare ulteriormente appesantita dalla crescita del livello di vigilanza dell'opinione pubblica nei confronti della malpractice e della malasanità che, in assenza di adeguate riforme legislative che ridefiniscano i livelli di contenzioso, rischiano di comportare la crescita incontrollabile delle risposte di medicina difensiva che, inefficaci a produrre buona sanità, appesantiscono i conti pubblici di settore con percentuali che, secondo i dati forniti dall'ex Ministro Fazio, avrebbero ampiamente superato il 10 per cento del totale;
- negli anni passati, l'evoluzione del dibattito politico sul federalismo interno e la progressiva devoluzione delle competenze verso le regioni, ha interessato in modo particolare i sistemi sanitari regionali, la cui organizzazione impegna oggi circa il 50 per cento del bilancio consuntivo delle regioni a statuto speciale, per arrivare a percentuali intorno al 70 per cento del bilancio delle restanti regioni a statuto ordinario;
- tale indicazione nazionale alla devoluzione delle competenze in materia di sanità ha però avuto come contrappeso centralistico la definizione da parte dello Stato dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) che devono costituire elemento di garanzia dei diritti di salute di ciascun cittadino, omogenei su tutto il territorio nazionale;
- l'impegno statale a garantire pari LEA ai cittadini italiani, si trasferisce nel sistema di ripartizione del Fondo sanitario nazionale che, sentita la Conferenza Stato-regioni, viene suddiviso proprio con obiettivi di equità distributiva e perequativa;
- tale tentativo virtuoso di omogeneizzazione dei livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale si scontra però con le situazioni di gap storico esistenti e con l'ingente situazione debitoria accumulata da diverse regioni meridionali, oggi sottoposte a piani di rientro che hanno comunque spesso comportato un'ulteriore contrazione delle risorse economiche disponibili nelle regioni "canaglia", con conseguente ulteriore perdita di sostenibilità economica (che ha costantemente condotto all'introduzione di nuove tasse di scopo) e scadimento della qualità del livello delle prestazioni offerte;
- già prima dell'esplosione dell'attuale fase acuta della crisi economica europea e internazionale, lo Stato italiano aveva tentato di riportare la vigilanza sulla complessiva spesa sanitaria sotto il controllo centrale attraverso la proposta di introduzione di un sistema di finanziamento basato sulle best practice e sui costi standard, destinato a dare unità di misura certa alla spesa sanitaria delle singole regioni italiane, riconducendo a parametri prefissati il costo delle prestazioni sanitarie, ovunque esse venissero erogate;
- le regioni italiane, e in particolare quelle meridionali, hanno vivacemente tentato di contrastare l'ipotesi di introduzione del sistema di finanziamento che proponeva l'utilizzo secco dei parametri dei costi standard che, oltre a venir bollato come neocentralista appariva privo di riferimenti ai deficit strutturali di partenza e monco dell'adeguata valutazione delle condizioni di deprivazione, che rappresentano la discriminante peculiare di ciascun territorio;
- il disastro scatenato dalla gravissima crisi economica internazionale ha determinato il formale accantonamento della proposta di finanziamento sanitario basata sui costi standard, determinando peraltro la proposta di introduzione di meccanismi di spending review, che appaiono orientati agli stessi, identici obiettivi di risparmio e di miglioramento della qualità della spesa in un quadro di controllo sulla spesa che appare sempre più centralizzato;
- la proposta della spending review sanitaria nazionale è stata accompagnata dalla esplicitazione di parametri di riferimento standard che, per quanto in parte ritrattati e ancora in discussione, confermano la volontà statale di vincolare l'erogazione delle risorse al rispetto di parametri di funzionamento dei sistemi regionali che obbediscano ad una criteriologia omogenea su tutto il territorio italiano;
- in questo contesto nazionale, che può piacere o non piacere, ma è assolutamente chiaro e oggettivo e di evoluzione facilmente prevedibile nei prossimi anni, si inserisce l'attuale situazione particolare della Sardegna che, a seguito del disposto della legge finanziaria nazionale del 2007, a partire del 2010, ha visto l'intera spesa sanitaria trasferita a carico del bilancio regionale;
- in altre parole, il finanziamento del Servizio sanitario regionale (SSR) a totale carico della Regione significa che la Sardegna partecipa soltanto in modo figurato alla definizione delle assegnazioni annuali CIPE per la spesa sanitaria delle singole regioni italiane;
- tale partecipazione figurata non impedisce però di avere piena conoscenza che la quota di assegnazioni che lo Stato riserverebbe alla Regione per la garanzia dei propri LEA è, annualmente, assai inferiore rispetto alla spesa consolidata; a titolo di esempio, giova ricordare che, per l'anno 2011, a fronte di un'assegnazione statale CIPE pari a 2.850 milioni di euro, la spesa a consuntivo si è rivelata di circa 350 milioni di euro superiore;
- tale differenziale relativo all'annualità 2011 non appare affatto dissimile per entità nelle annualità precedenti, consentendo di affermare, senza tema di smentita, che il SSR della Sardegna per la garanzia dei propri LEA, spende annualmente circa il 10 per cento in più di ciò che il CIPE, in sede di riparto del Fondo sanitario nazionale, calcolerebbe come spesa ottimale;
- è senz'altro possibile che una parte di tale surplus di spesa sia derivante dalle elevate condizioni di deprivazione strutturale del SSR sardo, ma è altrettanto evidente che è cospicua anche la quota di spesa gestita in modo inadeguato rispetto alle reali esigenze assistenziali della nostra Regione;
- proprio da tale considerazione di fondo nasce, nel mese di luglio 2007, l'inserimento della Regione tra le regioni italiane sottoposte a piano triennale di rientro;
- è noto come la verifica finale 2009 del raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, eseguita nel marzo 2010, si sia conclusa con esito negativo, impedendo l'accesso della Regione alle risorse aggiuntive finalizzate;
- la denuncia di tale situazione di inadeguatezza strutturale della spesa era peraltro già ampiamente contenuta nella relazione introduttiva e nelle tabelle allegate alla proposta di legge regionale di riforma sanitaria presentata dal Gruppo consiliare dei Riformatori sardi nel mese di settembre 2009, che individuava correttamente le peculiarità geomorfologiche e di viabilità, di densità abitativa e di incidenza e prevalenza statistica delle patologie della nostra Isola, e ne faceva il punto di partenza per una riforma del sistema sanitario regionale che riportasse verso la massima appropriatezza l'equilibrio del rapporto tra domanda e offerta sanitaria;
- tale progetto di riforma prevedeva in particolare la realizzazione di un'unica ASL territoriale regionale, al fine di ottimizzare le risorse umane e finanziarie indispensabili per la garanzia della miglior qualità delle risposte di sanità erogate, attraverso il raggiungimento di risparmi di scala e la cancellazione dell'area grigia, legata agli appalti e ai concorsi puntiformi e alle disfunzioni gestionali per microarea;
- lo stesso progetto di riforma precedeva altresì lo scorporo dei principali ospedali dal sistema territoriale aziendale, con l'obiettivo di sottrarre i costi economici delle prestazioni ospedaliere alla "notte nera e indecifrabile" delle quote capitarie, separando con nettezza il ruolo di ordinatore della prestazione sanitaria da quello di erogatore;
- il progetto di riforma complessiva del sistema sanitario regionale presentato dai Riformatoti non ha trovato adeguato consenso parlamentare, né il Consiglio regionale ha nel frattempo prodotto un dibattito approfondito sull'argomento, indispensabile preludio per un'iniziativa legislativa e amministrativa di forza adeguata, in grado di proteggere la stessa autonomia regionale nelle scelte in materia sanitaria che ricadono sulla qualità assistenziale dei propri cittadini;
- nel frattempo, gli stessi dati AGENAS del luglio 2012 sul livello dell'assistenza ospedaliera sarda certificano diffusi limiti di qualità, direttamente e indirettamente riconducibili al complessivo deficit organizzativo del sistema, peraltro impietosamente fotografato dalla prima stesura del decreto sulla spending review in sanità, che ha chiaramente indicato il rischio di immediata chiusura per ben tredici ospedali sardi, privi dei requisiti standard di sostenibilità della qualità delle prestazioni erogate;
- le successive indicazioni sulla spending review sanitaria sarda hanno, di fatto, semplicemente differito la scelta centralizzata di chiusura dei piccoli ospedali sardi, trasferendo formalmente alla Regione l'obbligo di effettuare scelte di razionalizzazione della rete ospedaliera coerenti con i nuovi parametri di 3,7 posti letto/mille abitanti e del tasso di ospedalizzazione pari al 160 per mille, con contrazione complessiva dei posti letto, attraverso l'eliminazione delle corrispondenti strutture operative complesse di riferimento;
- con la legge regionale n. 10 del 2006, la Regione si è dotata dell'ulteriore ausilio dell'Agenzia regionale per la sanità, organismo tecnico-scientifico che svolge specifica azione di supporto nei confronti dell'Assessorato regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale in materia di programmazione sanitaria e di verifica della qualità, quantità e congruità delle prestazioni;
- la stessa Agenzia regionale per la sanità non sembra però ancora aver acquisito quella configurazione strutturale che è indispensabile per poter assolvere al suo importantissimo ruolo di supporto nelle attività sanitarie regionali di programmazione e di controllo;
- in definitiva, l'assenza di una dialettica consiliare sui temi sanitari coerente alla drammaticità della situazione, ha impedito il raggiungimento di un adeguato livello di comune consapevolezza tra le forze politiche sul complessivo stato attuale del SSR, ritardando la nascita di percorsi riformisti, doverosamente caratterizzati dal massimo grado di condivisione,impegna il Presidente della Regione e l'Assessore regionale dell'igiene e sanità e
dell'assistenza socialedopo aver sentito il direttore dell'Agenzia regionale per la sanità, a riferire in Consiglio regionale:
1) sull'analisi dei motivi che causano un disavanzo strutturale costante tra le somme figurativamente assegnate annualmente dal Fondo sanitario nazionale alla Sardegna per la gestione dei LEA e quelle effettivamente spese a consuntivo;
2) sul sistema di indicatori che si è adottato per valutare gli attuali livelli di performance del Sistema sanitario regionale della Sardegna, con particolare riferimento alle dimensioni dell'efficacia, dell'efficienza, della soddisfazione, dell'appropriatezza e dell'equità e sulle cause dell'eventuale scostamento rilevato rispetto ai sistemi sanitari regionali italiani con le migliori performance;
3) sulle ipotesi e sugli obiettivi degli interventi strutturali di riforma che sono in fase di programmazione, sulla scelta degli strumenti di intervento, sulla quantità e qualità dei benefici attesi attraverso l'adozione di specifiche azioni di correzione del sistema e sul complesso di indicatori sanitari di breve e medio periodo che si intende monitorare per la valutazione d'impatto,impegna altresì il Consiglio regionale
a dedicare una intera sessione settimanale alla discussione delle comunicazioni del Presidente e dell'Assessore regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale, concludendo il proprio dibattito con un ordine del giorno che indichi tutti gli strumenti organizzativi e finanziari che devono essere messi in campo per il raggiungimento degli obiettivi di salute che lo stesso ordine del giorno indicherà con chiarezza.
Cagliari, 13 settembre 2012