CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURAPROPOSTA DI LEGGE N. 26
presentata dai Consiglieri regionali
SALIS - COCCO Daniele Secondo - MARIANI
l'11 giugno 2009
Istituzione del reddito minimo garantito. Sostegno al reddito in favore dei disoccupati, inoccupati o precariamente occupati
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RELAZIONE DEI PROPONENTI
La presente proposta di legge si propone di dare una risposta alle profonde trasformazioni del mercato del lavoro, alla necessità di individuare strumenti di sostegno in grado di rompere il ricatto della precarietà del lavoro che rende i soggetti sociali spesso deboli e quindi senza diritti. L'idea di fondo è quella di cominciare a pensare che la questione della flessibilità del lavoro, sganciata dalla precarietà, abbia dei suoi risvolti positivi, proprio perché un lavoratore può, se messo in condizione, cambiare lavoro nel corso della sua vita, acquisire nuove competenze, fare nuove esperienze, cambiare contesti e possibilmente migliorare la sua condizione personale e professionale.
La questione del reddito garantito, dunque, lega in maniera indissolubile la costruzione di garanzie nuove dentro e fuori il mondo del lavoro e la possibilità di ridare senso alla scelta, l'opportunità di determinare percorsi possibili. Due parole dunque, due termini, garanzia e scelta. Dentro un mondo dettato da un termine unico: precarietà, la garanzia e la scelta si contrappongono in modo costruttivo, possibile, realizzabile.
Cosa sarebbe infatti la flessibilità del lavoro se oggi ci fosse una garanzia economica minima per poter passare da un lavoro ad un altro senza per questo dover cadere in povertà? Cosa sarebbe la flessibilità se si potesse scegliere quale lavoro poter fare, se si potesse avere tempo per potersi muovere nel mercato, comprendere meglio quali occasioni ed opportunità cogliere, senza per questo dover essere costretto dalla necessità economica immediata e dalla risposta alla sopravvivenza? Queste riflessioni ci portano a ragionare in un altro modo, diverso, su come affrontare la condizione di precarietà e di disagio economico che migliaia e migliaia di cittadini vivono in questa regione. Non un approccio ideologico, ma pragmatico, non un approccio generico, ma uno che vuole utilizzare un altro sguardo, usando altri termini: opportunità, garanzia e scelta.
Il sistema del lavoro, negli ultimi decenni del secolo XX, ha subito profonde trasformazioni. Le strutture e le dinamiche che, dal dopoguerra fino agli anni Ottanta, hanno caratterizzato il sistema del lavoro hanno cambiato radicalmente aspetto. Da un lavoro a tempo pieno fondato sul principio del "lavoro per una vita", caratterizzato da una ritmicità e continuatività della produzione e del sistema di lavoro in cui si determinava un'organizzazione della vita non meno ritmicamente scandita da cicli ben determinati, si è assistito ad una radicale trasformazione delle forme di produzione e di regolazione dei rapporti fra impresa e lavoro, alla decentralizzazione della produzione e alla flessibilità della prestazione. Un insieme di garanzie sociali, il welfare state, con cui lo Stato poteva sostenere anche gli squilibri intrinseci del sistema di lavoro, era congeniato a rispondere ad un modello specifico di produzione e di ritmicità della vita, dentro e oltre il lavoro.
Oggi il lavoro fisso è sempre meno una possibilità reale e si è iniziato a parlare di precarietà del lavoro e della vita quale risvolto negativo della flessibilità introdotta da questo nuovo sistema del lavoro. Oggi la temporaneità della prestazione è stata esportata da settori specifici a tutta la produzione di servizi, arrivando fin dentro quelle fabbriche o quei settori industriali, finora ad essa impermeabili. La flessibilità si è imposta come modello di riferimento generale ed ha finito per coinvolgere strati sempre più larghi di popolazione.
Il lavoratore flessibile e precario si trova, però, di fronte alle esigenze della propria esistenza privo della pur minima protezione sociale. Ciò comporta forti squilibri soprattutto nella gestione della propria vita presente e nelle scelte per il futuro. Nell'introdurre la flessibilità del lavoro, nel liberalizzare il rapporto tra impresa e lavoratori, la legislazione ha mancato di stabilire un sistema di garanzie che fosse adeguato a queste nuove forme di contratto di lavoro. La liberalizzazione dei contratti ha finito per coincidere con una vera e propria deregolamentazione dei rapporti tra lavoratori e impresa.
La flessibilità frammenta oggettivamente e soggettivamente la composizione della forza lavoro, delocalizza la produzione e spezza i legami sociali che si stabilivano tra i lavoratori, nonché tra il lavoratore e il proprio lavoro. Il lavoro flessibile è sempre più spesso un lavoro individualizzato, dove ognuno gioca per sé per un tempo determinato, ed i costi sociali di questa condizione sono spesso molto alti.
Il rapporto tra le scelte personali e le condizioni socio-economiche, dunque, è particolarmente stringente per chi è in una condizione di precarietà. Le condizioni di instabilità economica restringono le possibilità di scelta sul presente, si prediligono soluzioni temporanee su ogni fronte e spesso si fanno rinunce definitive (come crearsi una famiglia o avere un figlio). Con l'estendersi della precarietà, dunque, il ciclo di vita individuale è divenuto più articolato e incerto. Per questo si è cominciato a parlare di precarietà non solo del lavoro, ma della vita.
Nello stesso tempo, la formazione, una volta relegata all'età prelavorativa, oggi sempre più tende a sovrapporsi, temporalmente, alla fase del lavoro e del non lavoro: si parla infatti di "formazione continua" di "long life learning", necessaria proprio alla ridefinizione ogni volta del lavoratore in grado di essere sempre spendibile sul mercato della domanda e dell'offerta. Sapersi muovere tra le opportunità più differenti, saper scegliere, saper "fiutare le occasioni", saper essere "imprenditore di se stesso", saper rischiare: tutto questo richiede una pazienza e una saggezza che vengono dalle esperienze di vita in generale, per cui si parla sempre più spesso di individuazione di competenze di base e trasversali.
Chi è in condizione di precarietà deve continuamente riorganizzare questo tempo libero in funzione delle richieste del mercato, delle sue fluttuazioni. È proprio la possibilità di affrontare l'organizzazione del proprio tempo extralavorativo a fare la differenza tra le opportunità che ciascun cittadino possiede per trovare un impiego dignitoso. Spesso, quando possono, sono le famiglie d'origine che fanno fronte a queste esigenze ma, in questo caso, diviene facilmente comprensibile quanto ciò pesi per avere quelle opportunità sociali su cui gli individui possono contare. Chi non ha un solido sostegno economico personale o familiare, indipendentemente spesso dalle sue capacità e dal suo impegno, difficilmente potrà fare adeguatamente fronte alla ricerca di una dignitosa collocazione professionale.
Come detto la flessibilità è un concetto ambivalente perché identifica un processo che, se da un lato individualizza il prestatore di forza lavoro, indebolendone spesso la forza contrattuale, dall'altro lo libera dalla costrizione dell'unica esperienza lavorativa. Quest'ultimo aspetto potrebbe anche produrre una maggiore valorizzazione del lavoratore stesso, sganciando la sua vita dalla routine e dalla ripetizione ed esaltandone le competenze soggettive, anche accompagnate da un ruolo maggiore della formazione professionale, in grado di permettere al lavoratore stesso la costruzione di diverse opportunità professionali nel corso della sua vita.
Una cosa possibile, questa, solo nel caso in cui si avessero delle adeguate, ampie e significative garanzie di vita nei periodi di inattività, sia nel caso di transizione tra un lavoro ed un altro, sia nell'ipotesi di ricerca di prima o nuova occupazione.
Si tratta, allora, di ripensare il concetto stesso di flessibilità così come delle tutele di chi non è ancora direttamente inserito nel mercato del lavoro. Si tratta di ridefinire, per quanto riguarda la flessibilità, quelle garanzie che non vedano il lavoratore come puro oggetto passivo, in balia delle fluttuazioni del mercato e delle esigenze dell'impresa, ma di valorizzare le sue capacità produttive, senza svilire le sue urgenze di vita. Si tratta di contrapporre alla flessibilità come condizione soltanto subita, un'impostazione che faccia della flessibilità un'occasione, una possibilità per i lavoratori: una flessibilità consapevole, un'opportunità di scelta, accompagnata da una garanzia economica. Ancor di più questo deve valere per coloro che entrano nel mercato del lavoro con contratti precari, proprio per non cadere nel ricatto del lavoro purché sia. Di nuovo questi termini: opportunità, scelta, garanzia.
Si tratta di capire che, con la trasformazione delle condizioni generali del lavoro e della vita, vanno affermandosi nuovi problemi, bisogni sociali primari di un precariato sempre più diffuso. Si tratta di capire, soprattutto, che un lavoratore soggetto alla discontinuità e all'incertezza del reddito, è innanzi tutto un lavoratore fortemente ricattabile, perché costretto ad accettare qualunque occasione, anche la più degradante e mal retribuita, pur di avere un minimo di cui vivere. Perdere l'occasione per un precario significa perdere tutto, perché non c'è conoscenza del domani, nessuna garanzia ulteriore, nessuna alternativa. E il ricatto è un brutto consigliere.
Il rischio maggiore è una crescita senza limiti di lavoro nero e irregolare, al limite e oltre la legalità. Si rischia altresì una speculazione sul lavoro, per cui la flessibilità diventa un'occasione per disporre di manodopera a basso costo e priva di coperture sindacali. La precarietà vuol dire anche questo: sottomissione a rapporti sfavorevoli perché non si ha la possibilità di rifiutare nulla, poiché nulla è garantito.
Gli effetti di ciò sul costo del lavoro, sono facilmente immaginabili: si innesca un circolo vizioso che, data la disponibilità di manodopera sotto ricatto, può determinare un livellamento al ribasso dei salari e dei diritti anche per quei lavoratori cosiddetti garantiti, come dimostrano tra l'altro le statistiche italiane sull'andamento del salario medio, caduto ben al di sotto della media europea.
Ciò sottende, evidentemente, che l'unico modo di ottenere reddito, è sottostare alla scarsità di opportunità realmente offerte, là dove solo i più forti ce la fanno. Una società così strutturata non può che avere quale propria conseguenza logica l'esclusione sociale, soprattutto dei meno abili e scaltri nel maneggiare le regole del mercato.
I rapporti degli enti di intervento sociale (per esempio, la Caritas) confermano la crescita del fenomeno e il suo allargarsi su strati sociali tradizionalmente considerati abbastanza garantiti. Forte è l'incidenza della mancanza di lavoro e della disoccupazione classica, ma altrettanto forte è la condizione di precarietà che molti soggetti vivono passando continuamente dallo stato di lavoratore attivo allo stato di disoccupato e viceversa. I bisogni che scopriamo tra i lavoratori precari e loro debolezza sociale dimostrano la fragilità della società. Ciò rischia di produrre una società più povera, più statica e perciò meno produttiva, una società con forti dispersioni di risorse.
Quando abbiamo avviato questo percorso, dunque, le nostre intenzioni erano: intervenire sul presente per costruire basi di un futuro più certo, costruendo strumenti che riescano a definirsi nel loro percorso in maniera più forte per divenire strutturali.
Purtroppo, a partire anche dal fatto che nel nostro Paese non esistono misure di reddito minimo come nel resto d'Europa, avevamo già inteso questa misura del reddito garantito, come strumento necessario e utile a rispondere anche ad un'altra emergenza che la precarietà stessa ci segnalava: l'emergere del rischio povertà. Sia essa determinata da una incapacità o impossibilità di essere dei bravi "surfisti" nelle fluttuazioni del mercato del lavoro, sia essa determinata da condizioni specifiche a partire dal contesto territoriale, sociale o familiare, sia essa determinata da una condizione complessiva di lavoro sottopagato, che vede anche molti non precari, definiti ormai "working poor", cioè persone che hanno un contratto definito, ma che non riescono a coprire economicamente le esigenze familiari o personali, che non arrivano alla fatidica quarta settimana.
In merito a questo vanno segnalate le preoccupazioni emergenti dai dati di fonte Eurostat sul rischio povertà che, come suggerisce la nota del 2006: "è un fenomeno preoccupante perché in crescita. E solo grazie a massicci interventi sociali i Paesi membri dell'Unione riusciranno a gestire una situazione altrimenti esplosiva. A livello UE, sono ben 72 milioni le persone in questa categoria, di cui 11 milioni (cioè circa il 15 per cento) si trovano in Italia."
Questo quadro va aggravandosi proprio a fronte di nuove forme di povertà che colpiscono in particolare i giovani. Secondo una ricerca dei servizi di accoglienza Caritas, i giovani dai 18 ai 25 anni, poveri e a rischio povertà, in Italia, vanno dai 600 mila a oltre il milione. Vanno segnalate infine le allarmanti previsioni che ci dicono che: "senza interventi sociali in Italia il 42 per cento della popolazione rischia nei prossimi anni la povertà" (fonte Eurostat 2005).
L'attuale crisi dunque non fa altro che accelerare e radicalizzare il disagio economico di milioni di persone che già nel 2005 erano al centro degli allarmanti comunicati europei e la necessità di interventi massicci di politiche pubbliche, di interventi sociali, di redistribuzione delle risorse economiche verso i cittadini, erano già ampiamente sollecitate dagli organismi internazionali. L'attuale crisi, quindi, ci impone di intervenire e di farlo con urgenza e di valorizzare il senso della politica come strumento in grado di rispondere alle trasformazioni in atto.
Negli ultimi mesi del 2008 il Parlamento europeo proprio per accelerare una politica di interventi sociali, soprattutto di sostegno al reddito, ha votato una risoluzione in cui si chiede di intervenire in tal senso.
"Con 540 voti favorevoli, 57 contrari e 32 astensioni il Parlamento europeo saluta con favore l'approccio della Commissione europea sul tema dell'inclusione sociale, incoraggiando gli Stati membri a prevedere un reddito minimo garantito corredato da un pacchetto di servizi di supporto all'individuo". Purtroppo, l'Italia e la Grecia sono gli unici due paesi in Europa a non avere alcuna forma di protezione e sostegno al reddito e questo, anche nella nostra Regione, rende più complicato intervenire con urgenza.
In Europa, dalla Francia con il Revenue minimum d'insertion all'Austria con la Sozialhilfe, al Belgio con il Minimex o l'RMI, all'Olanda con il Beistand fino ai modelli scandinavi e anglosassoni, le reti di protezione sociale, anche oltre il lavoro, sono una garanzia ed un diritto ormai decennale. Anche la Spagna negli ultimi anni ha dato vita a forme di reddito di base (la cosiddetta Renta basica) nelle diverse regioni iberiche. E nonostante la raccomandazione europea n. 92/441 del 1992 sulla "garanzia minima di risorse" impegnasse il nostro paese ad adottare misure di reddito minimo come elemento qualificante, rimaniamo i soli, con la Grecia, a non avere alcuno strumento di intervento.
Dai dati Eurostat 2005 si nota che la spesa sociale in relazione al Pil, in Italia è del 26,4 per cento, mentre la media UE è del 31,5 per cento con picchi, come in Germania, del 33,4 per cento. L'Italia alla voce disoccupazione spende lo 0,4 per cento mentre, ancora la Germania, spende il 3 per cento con una media UE del 2,2 per cento. Interrogando ancora i dati Eurostat del 2005, alla voce famiglia e infanzia, la media europea è del 2,4 per cento mentre l'Italia è ferma all'1,1 per cento con picchi del 3,4 per cento della Germania e del 2,5 per cento della Francia. Questi dati trovano, purtroppo, delle conferme allarmanti a partire da alcune ricerche curate dal CNEL e dall'ISFOL, sempre del 2005, in cui si evidenzia che "la probabilità di un giovane di trovare un lavoro a tempo indeterminato tra il 1991 ed il 1997 era del 40 per cento, mentre dal 1998 al 2003 questa probabilità è calata al 25 per cento".
A questi fanno eco le ricerche riportate anche da Italia Lavoro e dall'ISTAT dello stesso anno 2005, in cui si evidenzia che il tasso di copertura e sostegno al reddito per i giovani disoccupati con meno di 25 anni in Inghilterra copre il 57 per cento dei giovani, in Danimarca il 53 per cento, in Belgio il 51 per cento e in Italia lo 0,65 per cento.
Questo veloce scenario di confronto con il resto dei paesi europei rileva la necessità, dunque, di affrontare il tema della redistribuzione, cosi come quello del welfare e delle forme di protezione sociale, a partire da misure di reddito minimo, come centrale per le politiche del lavoro congiuntamente a quelle che sono definite politiche sociali.
Se il lavoro dunque si è individualizzato, è necessario trovare forme di copertura individuali, dedicate all'individuo come rafforzamento proprio, come riconoscimento di cittadinanza attiva in una società. Avere cittadini singolarmente ricattabili, resi soli nella loro condizione di disagio economico, lavorativo, sociale, rischia di portarci verso una società nel suo complesso più debole e che moltiplicherebbe i momenti di conflitto, endemico e impolitico, tra i ceti più marginali.
La necessità, dunque, di affrontare il tema del sostegno al reddito e delle forme di protezione sociale non può che essere al centro delle politiche di governo, sia nazionale che regionale. Si può discutere nel merito degli strumenti, ma non certo sulle necessità reali e sul ruolo politico che tutti oggi sono chiamati a svolgere.
Un problema, quello delle nuove garanzie sociali, con la centralità del reddito diretto (monetario) e di quello indiretto (beni e servizi), che attraversa dunque l'intero continente europeo e in particolare il nostro paese.
Le regioni, ed in particolare la Regione Sardegna, per la quale proponiamo questa legge, debbono poter intervenire proprio per far fronte su un piano locale alle esigenze sempre più stringenti.
Già la Regione Campania si è attivata da alcuni anni con la legge sul cosiddetto "reddito di cittadinanza" ed altre stanno approntando studi di fattibilità per istituire misure simili.
La Sardegna, oltre le competenze alle quali deve assolvere, ha la necessità di rispondere alle trasformazioni avvenute e di intervenire sui bisogni emergenti. Insomma, una Regione che a partire dalle sue realtà provinciali, segnala una emergenza crescente tra i cittadini proprio nella difficoltà di affrontare il futuro in tutti i suoi aspetti e in maniera trasversale tra le diverse generazioni.
I nuovi problemi quindi vanno compresi nell'urgenza che ognuno di essi esprime. È necessario trovare, per ciascuno di essi, un'adeguata soluzione, una forma di sostegno: l'insieme di quelle misure così individuate può definire un nuovo sistema di garanzie, un nuovo sistema di diritti, adeguato a far fronte ai rischi di dissoluzione della vita sociale e democratica.
Questa legge vuole, dunque, non solo tener conto di un intervento sulle emergenze sociali e sulla povertà crescente, ma incidere affinché non si arrivi alla gestione dell'emergenza e del disagio nel momento più difficile per una persona. Un intervento che incida non come misura di ultima istanza, ma nel momento in cui il rischio si paventa come orizzonte.
Oggi è compito urgente riesaminare l'ordine delle questioni in gioco e porre termine a questa anomalia legislativa e agli squilibri sociali che la precarietà ha introdotto affrontando il problema in modo radicale, valutando nel merito le implicazioni dell'attuale condizione d'incertezza e le possibili soluzioni. L'introduzione di un provvedimento legislativo che definisca un sostegno al reddito costituisce, in questo contesto, un tema politico di particolare rilevanza.
Certo, non nascondiamo le difficoltà che questa legge mette in evidenza. Prima tra tutte la questione della sperimentazione. Avremmo di gran lunga preferito che questa misura non fosse sperimentale, cioè che non avesse quella necessità di valutazione che ogni sperimentazione comporta. La riteniamo una legge troppo importante per decidere se sperimentarla o meno, ma d'altronde è anche vero che questo paese, al confronto con i paesi europei, arriva non di uno, non di cinque anni in ritardo, ma di decenni. Quello che in altri paesi è ormai una condizione strutturale di intervento, per noi è totale innovazione, sia su un piano tecnico amministrativo che culturale. Per questo crediamo che la legge almeno su un piano sperimentale debba essere approvata.
Così come riteniamo che la spesa con la quale si inizia questa sperimentazione sia utile appunto ad un avvio che dovrà vedere nei prossimi tempi un impegno ancor maggiore sotto il profilo finanziario proprio per allargare la platea dei beneficiari e rendere la legge sul reddito minimo garantito uno strumento di politiche strutturali nella direzione dell'effettivo riconoscimento della universalità di tale diritto.
È in questa direzione che muove la presente proposta.
L'articolo 1 espone gli obiettivi e le finalità della legge, tesa per l'appunto a fornire un sostegno al reddito dei soggetti inoccupati, disoccupati e di quelli la cui condizione lavorativa è caratterizzata da una marcata precarietà.
L'articolo 2 individua nel dettaglio le diverse categorie di soggetti beneficiari delle prestazioni dirette ed indirette previste dalla legge. In particolare ai soggetti del tutto privi di occupazione, siano essi inoccupati perché alla ricerca di prima occupazione, ovvero disoccupati, vengono affiancati i lavoratori precariamente occupati, individuati in coloro che, utilizzati con qualsiasi tipologia contrattuale, non hanno comunque superato la soglia di reddito prevista per la cancellazione dalle liste di disoccupazione, ed i lavoratori temporaneamente privi di retribuzione, perché costretti da gravi motivi di salute e familiari a usufruire di periodi di aspettativa non retribuita.
L'articolo 3 fornisce la definizione del reddito minimo garantito, consistente nell'erogazione di una somma di denaro non superiore a 7.000 euro l'anno, che i singoli comuni hanno la possibilità di integrare con la previsione di una serie di prestazioni indirette. Anche la Regione potrà cofinanziare le prestazioni indirette, volte a garantire ai medesimi soggetti la circolazione gratuita e la gratuità dei libri di testo scolastici, a favorire la fruizione di attività e servizi di carattere culturale, ricreativo o sportivo, a contribuire al pagamento del canone di locazione e delle forniture di pubblici servizi. Al finanziamento di tali interventi la Regione può contribuire con apposito capitolo di bilancio. Si delinea così una duplicità di interventi, il primo di sostegno diretto al reddito, il secondo di sostegno indiretto, attraverso le misure di competenza dei singoli comuni. Sarà compito della Regione intervenire anche su questo secondo fronte, garantendo attraverso il cofinanziamento degli interventi l'effettività del sostegno indiretto e l'uniformità delle prestazioni.
L'articolo 4 indica i requisiti di cui i soggetti beneficiari devono essere in possesso al momento della presentazione della domanda, requisiti indicati nella residenza nella Regione da almeno ventiquattro mesi, nella iscrizione alle liste di collocamento dei centri dei servizi per il lavoro, nella percezione di un reddito personale imponibile non superiore a 8.000 euro nell'anno precedente la presentazione dell'istanza e nel non aver maturato i requisiti per il trattamento pensionistico.
L'articolo 5 determina le modalità di accesso alle prestazioni, prevedendo che le domande debbano essere inoltrate annualmente ai comuni capoluogo di provincia, i quali provvederanno a trasmetterle ai centri dei servizi per il lavoro territorialmente competenti e che le graduatorie vengano stilate in base ai criteri che su base provinciale saranno stabiliti dalla Giunta regionale, previa consultazione con le rappresentanze istituzionali del territorio e con le parti sociali.
L'articolo 7 prevede poi le sanzioni applicabili ai beneficiari in caso di dichiarazioni non veritiere, nonché la decadenza dalle prestazioni qualora il beneficiano venga assunto con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ovvero nel caso in cui lo stesso svolga un'attività lavorativa di natura autonoma, ed in entrambi i casi, qualora percepisca un reddito imponibile superiore agli 8.000 euro annui. La decadenza è inoltre prevista nel caso in cui il beneficiario rifiuti una proposta di impiego offerta dal centro per l'impiego territorialmente competente, ma non nell'ipotesi di non congruità della proposta di impiego, ove la stessa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto interessato, della professionalità acquisita, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali ed informali in suo possesso, certificate dal centro per l'impiego medesimo attraverso l'erogazione di un bilancio di competenze.
L'articolo 8 indica le modalità con cui il regolamento della Giunta regionale dovrà disciplinare l'attuazione della legge.
L'articolo 9 disciplina la copertura finanziaria, prevedendo tra l'altro l'istituzione di uno speciale fondo regionale per il reddito minimo garantito.
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TESTO DEL PROPONENTE
Art. 1
Principi e finalità1. La Regione, nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dei principi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione, ed in conformità a quanto previsto dall'articolo 5, lettera b), dello Statuto speciale per la Sardegna, promuove e sostiene le politiche passive e attive per il lavoro e le politiche di protezione sociale.
2. La Regione, in attuazione dei principi e delle politiche di cui al comma 1, riconosce il reddito minimo garantito allo scopo di favorire l'inclusione sociale per i lavoratori disoccupati, inoccupati o precariamente occupati, quale misura di contrasto alla disuguaglianza sociale e all'esclusione sociale nonché strumento di rafforzamento delle politiche finalizzate al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti maggiormente esposti al rischio di marginalità nel mercato del lavoro.
3. Ai fini della presente legge, la Regione promuove, nell'ambito delle rispettive competenze, modalità di collaborazione con gli enti locali, volte anche al cofinanziamento del Fondo regionale per il reddito minimo garantito di cui all'articolo. 9.
Art. 2
Definizioni1. Ai fini della presente legge si intende per:
a) reddito minimo: quell'insieme di forme reddituali dirette ed indirette che assicurino un'esistenza libera e dignitosa;
b) disoccupati: coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un'attività di lavoro autonomo, sono alla ricerca di una nuova occupazione;
e) inoccupati: coloro che, senza aver precedentemente svolto un'attività lavorativa, sono alla ricerca di un'occupazione;
d) lavoratori precariamente occupati: i lavoratori che, indipendentemente dalla natura del rapporto di lavoro, percepiscono un reddito che non determina la perdita dello status di disoccupati ai sensi di quanto previsto dagli articoli 3, 4 e 5 del decreto legislativo 19 dicembre 2002 n. 297 (Disposizioni modificative e correttive del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, recante norme per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a) della L. 17 maggio 1999, n. 144) e successive modifiche;
e) centri dei servizi per il lavoro: le strutture previste dall'articolo 14 della legge regionale 5 dicembre 2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell'occupazione, sicurezza e qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche del lavoro. Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9, in materia di lavoro e servizi all'impiego) e successive modifiche;
f) lavoratori privi di retribuzione: i lavoratori che hanno subito la sospensione della retribuzione nei casi di aspettativa non retribuita per gravi e documentate ragioni familiari ai sensi della legge 8 marzo 2000 n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città), articolo 4 e successive modifiche.
Art. 3
Reddito minimo garantito1. Il reddito minimo garantito si articola nelle seguenti prestazioni:
a) per i beneficiari indicati all'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), in somme di denaro non superiori a euro 7.000 l'anno, rivalutate sulla base degli indici sul costo della vita elaborati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT);
b) per i beneficiari indicati all'articolo 4, comma 1, lettere c) e d), in somme di denaro non superiori a euro 7.000 l'anno, rivalutate sulla base degli indici sul costo della vita elaborati dall'ISTAT, calcolate tenendo conto del criterio di proporzionalità riferito al reddito percepito nell'anno precedente ed erogate nelle misure indicate nel regolamento di cui all'articolo 8. In ogni caso la somma tra il reddito percepito nell'anno precedente e il beneficio erogato non può essere superiore a euro 7.000.2. Le prestazioni dirette di cui al comma 1 sono cumulabili con trattamenti previdenziali ed assistenziali percepiti dal soggetto che ne beneficia, entro i limiti degli importi stabiliti ai sensi del comma 1, ma non sono compatibili con l'erogazione di altri contributi percepiti allo stesso fine.
3. Le prestazioni previste dal comma 1 sono personali e non sono cedibili a terzi.
4. Le amministrazioni provinciali e comunali, nell'ambito delle proprie competenze e delle risorse nazionali, regionali, provinciali e comunali disponibili, possono prevedere, per i soggetti di cui al comma 1, ulteriori interventi.
5. La Regione eroga ai beneficiari di cui all'articolo 4 una quota di importo pari alla trattenuta previdenziale proporzionata all'entità dell'erogazione economica da versare nell'apposito fondo pubblico, di cui all'articolo 9, gestito dalla Regione. L'interessato, una volta cessata la fruizione del beneficio, anche per il venir meno di una delle condizioni legittimanti, ha diritto di cumulare le quote maturate in detto fondo pubblico con quelle maturate presso la propria cassa previdenziale pubblica di riferimento.
6. La Regione, compatibilmente con le risorse disponibili, istituendo ovvero rifinanziando annualmente con la legge fnanziaria un apposito capitolo di bilancio può contribuire al finanziamento di ulteriori prestazioni volte a:
a) garantire la circolazione gratuita o con tariffe agevolate, previo accordo con gli enti interessati, sulle linee di trasporto pubblico locale su gomma e metropolitane, in attuazione di quanto previsto dalla legge regionale 7 dicembre 2005, n. 21 (Disciplina e organizzazione del trasporto pubblico locale in Sardegna), articolo 26 e successive modifiche;
b) favorire la fruizione di attività e servizi di carattere culturale, ricreativo o sportivo;
c) contribuire al pagamento delle forniture di pubblici servizi;
d) garantire la gratuità dei libri di testo scolastici;
e) erogare contributi per ridurre l'incidenza del costo dell'affitto sul reddito percepito nei confronti dei soggetti beneficiari di cui all'articolo 4, titolari di contratto di locazione.
Art. 4
Soggetti beneficiari e requisiti1. Sono beneficiari del reddito minimo garantito di cui all'articolo 3:
a) i disoccupati;
b) gli inoccupati;
c) i lavoratori precariamente occupati;
d) i lavoratori privi di retribuzione.2. I beneficiari indicati al comma 1, devono possedere, al momento della presentazione dell'istanza per l'accesso alle prestazioni, i seguenti requisiti:
a) residenza nella Regione da almeno ventiquattro mesi;
b) iscrizione alle liste di collocamento dei centri per l'impiego, ad eccezione dei soggetti indicati alla lettera d) del comma 1;
c) reddito personale imponibile non superiore a euro 8.000 nell'anno precedente la presentazione dell'istanza;
d) non aver maturato i requisiti per il trattamento pensionistico.
Art. 5
Modalità di accesso alle prestazioni1. Per accedere alle prestazioni di cui all'articolo 3 i soggetti in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 4 presentano annualmente istanza agli uffici competenti del comune capoluogo di provincia, i quali provvedono a trasmetterla al centro dei servizi per il lavoro territorialmente competente.
2. Dopo la presentazione, la domanda è presa in carico da parte del "centro dei servizi per il lavoro" territorialmente competente.
3. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, d'intesa con le rappresentanze istituzionali degli enti territoriali e previa consultazione con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello regionale, con i servizi di integrazione lavoro disabili e con gli organismi dei centri per l'impiego che si occupano delle categorie svantaggiate, con propria deliberazione definisce, su base provinciale, i criteri per la formazione delle graduatorie, tenendo conto, tra l'altro, del rischio di esclusione sociale e di marginalità nel mercato del lavoro, con particolare riferimento al sesso, all'età, alle condizioni di povertà o incapacità di ordine fisico, psichico e sensoriale, all'area geografica di appartenenza in relazione al tasso di disoccupazione, ai carichi familiari, alla situazione reddituale e patrimoniale del nucleo familiare, alla condizione abitativa, nonché alla partecipazione ai percorsi formativi, appropriati alle esigenze lavorative locali, individuati dalla Regione nell'ambito della programmazione dell'offerta formativa.
4. Sulla base dei criteri definiti dalla deliberazione di cui al comma 3, le province adottano una specifica graduatoria dei beneficiari delle prestazioni.
5. Le province presentano con cadenza annuale, all'Assessorato competente in materia di lavoro, una relazione sull'utilizzo dei fondi erogati dalla Regione per le finalità di cui all'articolo 1.
Art. 6
Inserimento lavorativo e formazione1. I fruitori degli aiuti di cui alla presente legge hanno la preferenza, a parità di condizioni, nell'accesso ai benefici in materia di politiche del lavoro e di formazione professionale. L'esercizio di tale diritto è assicurato dalla Regione e dai comuni attraverso idonee misure di informazione e di formazione.
Art. 7
Sospensione, esclusione e decadenza
dalle prestazioni1. Nel caso in cui il beneficiario, all'atto della presentazione dell'istanza o nelle successive sue integrazioni, dichiari il falso in ordine anche ad uno solo dei requisiti previsti dall'articolo 4, comma 2, l'erogazione delle prestazioni di cui all'articolo 3 è sospesa e il beneficiano medesimo è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito ed è escluso dalla possibilità di richiedere l'erogazione di tali prestazioni, pur ricorrendone i presupposti, per un periodo doppio di quello nel quale ne abbia indebitamente beneficiato.
2. Si ha sospensione delle prestazioni qualora il beneficiario:
a) venga assunto con contratto di lavoro subordinato ovvero parasubordinato sottoposto a termine finale;
b) partecipi a percorsi di inserimento professionale.3. Si ha decadenza dal beneficio al compimento dell'età di sessantacinque anni ovvero al raggiungimento dell'età pensionabile.
4. La decadenza dalle prestazioni di cui all'articolo 3, opera nel caso in cui il beneficiario venga assunto con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ovvero nel caso in cui lo stesso svolga un'attività lavorativa di natura autonoma, ed in entrambi i casi, qualora percepisca un reddito imponibile superiore a euro 8.000 annui.
5. La decadenza opera, altresì, nel caso in cui il beneficiario rifiuti una proposta di impiego offerta dal centro dei servizi per il lavoro territorialmente competente.
6. Non opera la decadenza di cui al comma 4 nell'ipotesi di non congruità della proposta di impiego, ove la stessa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto interessato, della professionalità acquisita, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali ed informali in suo possesso, certificate dal centro per l'impiego medesimo attraverso l'erogazione di un bilancio di competenze.
7. Nel caso di sospensione o di decadenza dalle prestazioni il centro per l'impiego territorialmente competente trasmette i relativi nominativi ai comuni.
Art. 8
Regolamento regionale1. La Regione con regolamento adottato, ai sensi dell'articolo 5, lettera b), dello Statuto speciale per la Sardegna, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa consultazione con le rappresentanze istituzionali degli enti territoriali, con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello regionale, e con i servizi di integrazione lavoro disabili e con gli organismi dei centri per l'impiego che si occupano delle categorie svantaggiate, fatta salva la potestà regolamentare della provincia, in particolare, provvede a:
a) definire i requisiti minimi di uniformità per la regolamentazione dello svolgimento delle attività previste dalla presente legge;
b) definire la modalità per lo svolgimento dell'attività regionale di controllo e monitoraggio in ordine all'attuazione della presente legge;
c) individuare le misure delle prestazioni dirette previste dall'articolo 3, comma 1, lettera b), calcolate tenendo conto del criterio di proporzionalità secondo apposite fasce di reddito;
d) definire le modalità di gestione del fondo regionale per il reddito sociale garantito di cui all'articolo 9;
e) individuare i criteri di riparto delle risorse da destinare alle province ai fini dell'erogazione delle prestazioni dirette.
Art. 9
Clausola valutativa1. La Giunta regionale, con cadenza annuale, presenta una relazione al Consiglio regionale sull'attuazione della presente legge nella quale sono evidenziati in particolare:
a) il numero dei beneficiari, lo stato degli impegni finanziari e le eventuali criticità;
b) i risultati degli interventi effettuati, anche dal punto di vista dell'analisi costi/benefici.
Art. 10
Disposizioni finanziarie1. Per le finalità della presente legge è istituito, nell'ambito dell'apposita UPB, un apposito capitolo di spesa denominato Fondo regionale per il reddito minimo garantito con uno stanziamento pari ad euro 200.000.000 a partire dall'anno 2010.
2. Le province e i comuni, nei limiti dei propri bilanci, possono contribuire al finanziamento del fondo per il reddito minimo garantito nell'ambito dei territori di loro competenza.
Art. 11
Entrata in vigore1. La presente legge entra in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Sardegna (BURAS).