CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII LEGISLATURA

PROPOSTA DI LEGGE N. 90

presentato dai Consiglieri regionali

DEIANA - DETTORI Bruno - DORE - LODDO

l'8 giugno 2000

Disposizioni per la crescita sociale della famiglia e norme di sostegno della sua attività


RELAZIONE DEI PROPONENTI

Premessa

L'immagine della famiglia italiana che spesso vediamo rappresentata sui mass - media, nelle indagini di organismi ufficiali (Banca d'Italia, Istat, ecc.) porta sostanzialmente a generare ottimismo, infatti ne scaturisce una immagine di famiglia che resiste, che sta relativamente bene, dal momento che cresce la ricchezza materiale e le patologie sociali sono alquanto contenute, che risparmia e che in alcuni casi viene identificata come "impresa famiglia".

La realtà, purtroppo, è ben diversa perché il quadro formulato secondo gli indicatori statistici è piuttosto generico, schematico, povero, se non addirittura fuorviante. E ciò non perché i dati forniti dalle statistiche non siano veri, ma perché si tace su una quantità di problemi familiari che invece, se esaminati con serenità e attenzione consentono di avere una descrizione della realtà della famiglia più aderente alla realtà. Una realtà che vede, oggi, una società dove il ruolo della famiglia non è né riconosciuto né tutelato. Lo stato sociale, che pure ha permesso agli italiani di crescere o di superare le mere condizioni di sussistenza, è entrato in crisi. Diminuisce la fiducia dei cittadini; diventa insopportabile la spesa a carico della collettività; occorre invertire la rotta abbandonando la logica statalista che ha considerato come unico interlocutore la singola persona. Bisogna, quindi, riformare lo stato sociale assumendo come punto di riferimento la famiglia.

Attualmente il nucleo familiare è penalizzato e svantaggiato; la sua funzione sociale, pur solennemente contemplata e garantita dalla costituzione, non trova nessun oggettivo riconoscimento nelle leggi dello Stato né a livello sociale, né a livello di una organizzazione del lavoro più attenta alle sue esigenze.

Il 1994 è stato caratterizzato da fortissimi richiami alle famiglie come "cellula" fondamentale della società e, come tale, oggetto meritorio di una particolare attenzione da parte dello Stato che è chiamato ad assisterla e a difenderla per consentirle di svolgere i suoi fondamentali compiti. L'ONU con le iniziative per l'Anno Internazionale della Famiglia e il Pontefice Giovanni Paolo II con la "Lettera alle Famiglie" ci richiamano l'importanza della famiglia a livello mondiale, ci fanno riflettere su certe tendenze operanti nella cultura, diffuse attraverso la comunicazione sociale e protese a incidere sul costume e sulle legislazioni le quali falsificano l'essenza stessa della famiglia. Si deve riaffermare il concetto di famiglia come "comunità di generazioni"; famiglia come unica e insostituibile istituzione capace di mediare in modo umano tra individuo e società e non come solo luogo di relazioni meramente affettive; famiglia portatrice di interesse privato del gruppo che, come tale, si realizza, in positivo, come una serie di vincoli di comune responsabilità e di solidarietà economica, sicché il bene dell'individuo e il bene delle famiglie non sono in posizione conflittuale, ma in posizione circolare nel senso che si avvantaggiano in modo reciproco e in maniera altrettanto reciproca possono decadere.

Per tali ragioni la famiglia ha riacquistato, e devono essere rimosse tutte le cause che oggi non lo consentono, una posizione centrale nella trama dei rapporti sociali e ora anche politici. Oggi essa è chiamata a svolgere i suoi compiti essenziali di promozione delle vite, di formazione e di socializzazione primaria della persona: è questo il luogo privilegiato ove, attraverso l'unione coniugale, l'uomo e la donna realizzano la loro umanità e si pongono al servizio dei figli, con il compito di formarli e di educarli ai valori veri della vita, attraverso l'impegno quotidiano, la serietà morale, il sentimento di solidarietà.

Prendendo in considerazione questi elementi si comprende come è necessaria una politica adeguata per la famiglia, per rafforzare questo microsistema dove si realizza la prima sintesi tra le istanze di libertà dell'individuo e le esigenze di solidarietà per i soggetti più deboli del gruppo, dove è possibile trovare una convergenza tra le forze politiche per arrivare ad una alleanza tra economia di mercato e solidarietà che consenta il definitivo superamento della crisi morale ed economica che tuttora attanaglia il nostro Paese.

Sulla scorta di queste considerazioni è stata predisposta la presente proposta di legge che, proprio partendo dal riconoscimento riservato alla famiglia dalla nostra carta fondamentale nell'articolo 29, riconferma il suo ruolo di soggetto sociale e politico e pertanto predispone una serie di interventi da parte della Regione per attuare una politica organica al fine di promuovere e sostenere i diritti della famiglia per realizzare il libero svolgimento delle sue funzioni sociali.

1. Una legislazione di tipo promozionale per la famiglia.

A partire dalla fine degli anni sessanta la famiglia è stata oggetto di un crescente intervento legislativo, sia diretto (a partire dalla legge del 1967 sull'adozione speciale, e poi con la riforma del diritto di famiglia), sia indiretto (come nella legislazione sociale sulla casa, il lavoro, i servizi sociali, la sanità, ecc.). Tale legislazione ha avuto le seguenti caratteristiche:

- in quanto intervento diretto sulla famiglia e sulla sua posizione nello ordinamento giuridico, tale legislazione è stata varata prevalentemente a livello nazionale, come politica generale per l'intero Paese;

- anche a livello regionale (LL.RR. per gli anziani, i minori ricoverati in ospedale, ecc.) la legislazione ha di fatto toccato sempre più la famiglia, ma solo in modo indiretto e secondo modalità scarsamente visibili e tematizzate; al punto che si può dire che a livello degli enti locali è carente, per non dire che manca del tutto, una politica per la famiglia;

- ad entrambi i livelli (centrale e regionale) è stata data un'attuazione assai limitata e parziale, talora anche perversa, alle indicazioni della Costituzione repubblicana, e, in specifico, agli artt. 2, 3, 29 e 31;

- per quanto riguarda gli effetti della legislazione sulla realtà sociale delle famiglie in quanto tali, si può dire che si hanno scarse conoscenze al riguardo, mentre, d'altra parte, negli ultimi anni è enormemente accresciuta la necessità di far sì che la legislazione sia maggiormente aderente ai bisogni concreti delle famiglie nella vita quotidiana, per l'attuazione piena dei diritti di cittadinanza, inclusi i diritti di cittadinanza della stessa famiglia.

Una riflessione sulla collocazione della famiglia nel quadro delle politiche sociali, sia a livello nazionale che regionale o provinciale, deve necessariamente fare i conti con questa storia e con il contesto che essa è venuta definendo. Si tratta innanzitutto di comprendere gli effetti e gli esiti, comunque prodotti sulla famiglia, di una politica sociale che negli anni '70 è stata particolarmente sollecita verso le tematiche sociali, anche se ha prodotto effetti largamente inattesi e non intenzionali. E poi si tratta di focalizzare i nodi tematici dei prossimi anni.

La considerazione di partenza, che deve essere anche il costante punto di riferimento di ogni riflessione sul tema in oggetto, è che, a discapito di molte teorie ed opinioni correnti, la famiglia è e resta una istituzione ed un gruppo sociale primario vitale e basilare per la società. Comunque la si giudichi da un punto di vista ideologico, la famiglia risulta di fatto sempre più (e non sempre meno) cruciale per l'espletamento di una quantità considerevole di funzioni sociali. Nel bene o nel male, essa è decisiva per la qualità della vita, per la promozione di una cultura di responsabilità e di partecipazione civica, per una cura delle nuove generazioni che sappia metterle in grado di superare le grandi sfide della società difficile e complessa che si profila all'orizzonte del 2000.

E' per tutto questo che i problemi della famiglia devono per forza di cose essere analizzati nel contesto delle politiche sociali. Si tratta di veder come la famiglia viene concretamente presa o meno in considerazione e in che modo, in particolare nella programmazione dei servizi e degli interventi sociali e sanitari, nelle scuole dell'infanzia, nelle situazioni "a rischio" che richiedono una particolare tutela, nelle "fasce di povertà" e cosi via. E tutto ciò con lo sguardo attento al quadro complessivo della legislazione regionale che, pur avendo in queste materie notevoli spazi di autonomia, ovviamente non può essere separato da quello nazionale.

Al di là dei consueti dati statistici rilevati dagli organi di servizio pubblico preposti, le nostre conoscenze sulla famiglia nella concreta vita quotidiana sono ancora piuttosto impressionistiche. Le lacune e i servizi abbondano, e in una tale situazione le conoscenze scarse possono facilmente trasformarsi in pregiudizi o, peggio, in errori e distorsioni sistematicamente manipolabili.

L'idea che le coppie conviventi siano "molte" e in numero sempre maggiore, o che un numero crescente di giovani vivano da "singles", ad esempio, sono -  per quanto ne sappiamo sulla base di ricerche empiriche locali - immagini fortemente stereopatiche e con riferimenti assai problematici nella realtà. Più in generale, coloro i quali sostengono che la famiglia sta scomparendo, su quale base fanno tale affermazione? Si citano in proposito alcune statistiche (più o meno "ufficiali", spesso solo di "survey" limitate per obiettivi e campione), mentre si dimentica il dato di fatto, che sta sotto gli occhi di tutti, per cui la famiglia continua ad esercitare una serie crescente, e non decrescente, di funzioni sociali.

Negli ultimi due decenni, la tendenza è stata quella di privilegiare certi temi (per esempio la donna e i servizi di suo interesse, l'infanzia e la scuola) che, se hanno gettato una luce importante su talune dimensioni della vita familiare, hanno gravemente trascurato di connettere i singoli temi specifici (i bisogni o i comportamenti di un soggetto o dell'altro) al sistema - famiglia come tale.

Sempre a livello nazionale, particolarmente trascurato è stato l'aspetto della famiglia come sistema solidaristico, nel quale non soltanto vengono compensati i deficit dei vari membri, ma dove si sviluppano anche capacità cooperative, di servizio a non parenti, di imprenditorialità sociale, economica e culturale, che vanno a beneficio dell'intera comunità.

2. Una ricognizione sui problemi della famiglia.

2.1.-  La considerazione di massima sintesi che si può fare è che la famiglia si è molto modernizzata nel nostro Paese. Che cosa si debba intendere per "modernizzata" è un tema complesso, soggetto a notevoli sfumature e anche ambiguità, che non è stato ancora seriamente affrontato in sede scientifica, culturale e anche politica. Certamente si tratta però del tema del prossimo futuro.

Generalmente il termine "modernizzare" si riferisce a comportamenti e credenze che si presume debbano essere supposti socialmente positivi per definizione (in quanto si dà per scontato che essi rimandino di necessità ad una maggiore razionalità e consapevolezza, a più capacità di stare al passo con i tempi, a valori "progressivi", ecc.). Ma in realtà, se queste connotazioni simboliche all'inizio dell'industrializzazione potevano avere previsti referenti dotati di senso, esse vengono oggi applicate quasi per inerzia anche a comportamenti che di razionale e progressivo hanno ben poco, almeno in taluni aspetti o esiti della vita familiare e sociale, in particolare verso le nuove generazioni.

Si impone l'esigenza di una nuova riflessione sul significato e i limiti dei processi di modernizzazione, e quindi sulla necessità di avere una nuova cultura, simbolica e materiale di riferimento, che possa davvero darci il senso del progresso della famiglia, come crescita nella maturità umana, nella partecipazione civica e sociale, e nella padronanza dell'ambiente.

Ciò che deve essere tematizzato è il fatto che la modernizzazione della famiglia sembra giunta ad un punto - limite, o prossima ad arrivarci, che richiede una seria riconsiderazione del nostro modello globale di sviluppo. Punto - limite significa soprattutto la relativa incapacità della famiglia, specie nel Centro - Nord Italia, a riprodursi con un tasso di natalità - fecondità accettabile.

Il tasso di natalità è andato diminuendo in modo costante dalla metà degli anni '60 in poi, accentuandosi dopo il 1974.

La natalità è scesa a livello nazionale nel 1987, dal 16,8 nel 1971, al 9,6 per mille abitanti. Si tenga conto che un tasso accettabile per la semplice riproduzione della popolazione sta attorno al 10,5-11 per mille abitanti, corrispondente ad un tasso di fecondità pari a 2,1 figli per donna.

Gli squilibri sono per ora contenuti, ma la tendenza è verso il loro ulteriore aumento. Naturalmente un certo tasso di cambiamento sociale è fisiologico, ma bisogna considerare che ciò che sta accadendo va al di là di tali limiti, perché comporta:

1) un progressivo invecchiamento della popolazione locale;

2) l'emergere di una società con crescenti rischi e patologie sociali;

3) la nascita di nuove differenziazioni socio - culturali, in direzione di una nuova società multi - etnica, con tutto ciò che significa in termini di nuovi bisogni sociali e di diversificazione dei servizi e delle modalità di risposta ai giusti diritti di ogni gruppo sociale, anche di chi non ha la cittadinanza italiana.

Da fattore di crescita sociale e di emancipazione, la modernizzazione sembra oggi diventare - almeno in taluni aspetti non secondari - causa di nuovi rischi o patologie, o comunque sorgente di seri problemi che - questo è il punto - non possono essere gestiti entro il vecchio modello della crescita quantitativa di benessere materiale.

Il caso della bassa natalità è emblematico in quanto provoca enormi sconvolgimenti nelle coorti generazionali e impone la ristrutturazione di tutta l'organizzazione dei servizi.

Il caso delle nuove povertà familiari, che sono diffuse ma nello stesso tempo sommerse, frammentate e invisibili, anche perché legate a fattori come l'isolamento dei nuclei familiari (magari ristretti ad un solo componente) è un altro esempio particolarmente eloquente della novità della situazione.

Sinteticamente possiamo dire che le nuove patologie sociali rivelano il fatto che i problemi relazionali della società che sta nascendo sotto i nostri occhi non possono essere affrontati con i vecchi metodi, cioè con gli stessi valori e gli stessi strumenti di quella che siamo soliti chiamare "società moderna", così come è stata praticamente concepita e realizzata negli ultimi due decenni.

Ciò non significa assumere un punto di vista tradizionalista, ma al contrario significa guardare al futuro con il progetto di una società solidaristica e a misura d'uomo.

Certo, non tutto è frammentazione e patologia della famiglia. Non bisogna dimenticare che lo sviluppo economico e sociale ha portato anche migliori livelli di benessere dal punto di vista fisico e materiale. Non bisogna pensare che tutto vada male o che di fronte a noi stia l'abisso.

Al contrario, i livelli di vera e propria patologia sociale e di grave disadattamento toccano una parte ancora ristretta delle famiglie. Ciò che preoccupa, però, sono i trend, che vanno nella direzione dell'incremento di suicidi e tentati suicidi, di patologie di coppia (divorzi e separazioni), di devianza minorile, di diffusione della droga, dell'AIDS e delle patologie "relazionali" (psico - somatiche, ecc.) e cosi via.

A poco vale osservare che, in tema di povertà, certe province del Nord registrano un tasso relativamente basso di famiglie povere (almeno secondo gli studiosi della povertà in Italia). Bisogna infatti ricordare che esistono nuove forme di povertà (di tipo relazionale) che non sono considerate nelle statistiche ufficiali (anche perché difficilmente rilevabili). Anche per i soli aspetti materiali, stime recenti dicono che il "sommerso" delle famiglie povere può essere valutato almeno della stessa consistenza percentuale delle situazioni manifeste.

Le considerazioni da fare sono piuttosto di un altro ordine che quello strettamente quantitativo. Si dovrebbero, cioè, trarre tutte le implicazioni del fatto di fare attenzione alle seguenti novità:

- la particolare "invisibilità" dell'erosione della solidarietà familiare che si realizza in modo pervasivo, anche se "silenziosamente" e che compare solo a sintomi conclamati (gli abusi sull'infanzia, i nuovi suicidi di minori ed anziani, ecc.);

- la particolare rischiosità dell'ambiente sociale che andiamo costruendo, tanto di quello fisico che di quello umano, proprio in quanto la società complessa è intrinsecamente "rischiosa" e problematica sotto il profilo dello sfruttamento non solo dell'ambiente ecologico, ma anche delle relazioni umane e del senso della vita;

- il procedere di una crisi dello stato sociale che indica un diffuso indebolimento degli impegni collettivi per una maggiore giustizia e solidarietà sociale, con evidenti implicazioni negative per le famiglie socialmente più deboli.

Queste e altre ragioni che sarebbe lungo elencare, rendono contestualmente più grave, se non altro in via potenziale, una situazione, quella della famiglia, che per il momento può ancora essere definita come "assai delicata", e per la quale saranno decisivi gli anni '90.

Se e come il "sistema - Regione", come entità politico - amministrativa autonoma (secondo il dettato costituzionale), e come realtà economica e culturale specifica, possa e debba prendere atto di tutto ciò, è quanto una legge - quadro di promozione e sostegno della famiglia, dovrebbe contenere, viste le difficoltà di una legislazione nazionale in proposito.

Certamente con l'integrazione europea l'entità regionale è diventata, in potenza, più importante per almeno due ordini di motivi:

a) da un lato, perché il tema della famiglia, che è poi quello del livello di civiltà della società civile, sarà sempre meno gestibile dal centro politico del Paese (cioè dal Parlamento e dal Governo centrale), seppure esso debba evidentemente mantenere tutte le sue responsabilità;

b) dall'altro perché la CE, che ha già adottato alcune risoluzioni a favore di una politica promozionale della famiglia, svilupperà sempre di più i contatti direttamente con i livelli regionali, nella prospettiva di collaborazioni e progetti mirati direttamente sulle realtà locali.

Si aprirà cosi un nuovo orizzonte, una nuova rete di risorse e interconnessioni, che deve essere previsto e per quanto possibile valorizzato in anticipo. Sapendo che esso porterà con sè vantaggi e svantaggi. Il problema da porre è se la famiglia, a motivo di silenzi e di pregiudizi ideologici tuttora persistenti, sarà ancora assunta come "realtà residuale" oppure, viceversa, potrà essere aiutata a diventare un soggetto protagonista del progetto di società che viene indicata, a modo di bisogno emergente, come "caring society". Una società che si prende cura delle persone e che, radicata nel contesto locale, diventa capace di una apertura davvero "europea". Si pone cosi il problema delle linee strategiche di una politica per la famiglia che guarda oltre il localismo e il breve periodo.

2.2. Un recente rapporto sulla famiglia italiana ha mostrato in modo sufficientemente chiaro che la situazione più recente della famiglia procede nelle seguenti direzioni:

a)   mostra una particolare radicalizzazione degli indicatori del mutamento sociale, ossia accentua i trend generali che sono caratteristici di una società che procede verso un'elevata individualizzazione e differenziazione sociale, in condizioni di vantaggio materiale; e ciò per riguardo sia agli indicatori di cambiamento che per brevità possiamo chiamare di fisiologia, sia a quelli che possiamo definire di patologia;

b) nel contempo si rivelano i dilemmi che nascono da una politica pubblica che, se non attivamente contraria alla famiglia, assume comunque un atteggiamento di "indifferenza" (se di proposito o per necessità è un altro problema) verso le sorti di una istituzione e gruppo sociale primario che, in quanto esercita di fatto una molteplicità di funzioni sociali, deve essere considerato di preminente interesse pubblico e comune, pena enormi patologie sociali.

La famiglia cambia certamente sotto l'impulso delle spinte più generali espresse dalla società moderna, dapprima industriale e in seguito postindustriale. Ma perché oggi i cambiamenti familiari sono cosi accentuati? I processi di trasformazione e le relative problematiche debbono trovare una adeguata spiegazione.

Il punto di arrivo della famiglia deve essere considerato in parte come il risultato di tendenze generali della società complessa, e in parte come l'esito di politiche sociali e culturali orientate in una precisa direzione. Tra i due aspetti esiste un'interazione forte. Ci si chiede: quali tendenze e quali spinte orientatrici?

Da un punto di vista sociologico, sinteticamente, la risposta che sembra più plausibile è la seguente: si tratta di tendenze e orientamenti che hanno privilegiato due livelli di azione - intervento, segnatamente i livelli del "sistema" (inteso come collettività, politicamente controllata) e quello dell'"individuo" astratto, ponendo il livello intermedio (quello delle solidarietà intermedie, in particolari familiari) in secondo piano. La famiglia è stata, per cosi dire, funzionalizzata (e con ciò sacrificata) agli altri due livelli.

Il quadro concettuale e storico - sociale nel quale si può più correttamente leggere e interpretare l'evoluzione della famiglia, specie in aree di accentuata modernizzazione negli ultimi due decenni circa, è quello della crescita di una polarizzazione simbiotica fra il pubblico ed il privato, ossia tra istituzioni sistemiche e sfere di vita quotidiana, per non pochi aspetti "perversa". Il processo è leggibile infatti come un processo che vede aumentare contemporaneamente sia la privatizzazione che la pubblicizzazione della famiglia in modo tale da eliminare le forme intermedie della solidarietà sociale (né privata, né pubblica).

La crescente privatizzazione della famiglia consiste nel fatto che le forze dominanti della nostra società tendono a rappresentare e legittimare la famiglia essenzialmente come sfera delle relazioni espressivo - comunicative libere da qualsiasi responsabilità pubblica. Tale sfera non "ha" si dice, ma può solo "incontrare" i suoi limiti di volta in volta, e sempre solo in se stessa, dal momento che la famiglia viene intesa come pura espressività altrettanto legittima dell'altro. Tale impostazione è contro - fattuale.

Essa nega che la famiglia abbia, come ha, rilevanti funzioni di socializzazione dei figli, di mutuo servizio fra sessi e generazioni, soprattutto la cura ed il sostegno dei soggetti socialmente deboli (temporaneamente o stabilmente).

Dall'altra parte, la pubblicizzazione della famiglia consiste nel fatto che si accrescono le pressioni per rendere pubblici e politici certi compiti, comportamenti o obblighi che in precedenza erano vissuti e ritenuti come privati. In breve, la linea di forza dello spostamento in senso pubblicizzante dal punto di vista sociologico, rimanda al fatto che nella società odierna, la cultura prevalente e l'organizzazione politica che essa esprime non tollerano più che certi aspetti o comportamenti della vita familiare siano ancora considerati "privati" nel senso di essere esclusi o sottraibili all'osservazione, al giudizio, alla regolazione e intervento pubblico.

Dietro la spinta di movimenti sociali che hanno posto all'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche l'esistenza di situazioni di disagio e difficoltà, talora anche di abuso e ingiustizie, dentro la famiglia, in particolare nei rapporti fra coniugi e fra genitori e figli, è emersa sempre di più l'esigenza, in sè positiva e corretta, di introdurre i diritti umani e di cittadinanza anche nella famiglia.

Giustamente la spinta originaria è stata verso la legittimazione a discutere ed intervenire in "pubblico" su compiti e relazioni familiari che, pur essendo in linea di principio soggettivi e inter - soggettivi, non possono essere sottratti alla coscienza e regolazione collettiva. Tuttavia, il modo in cui ciò è stato fatto ha sovente comportato notevoli difficoltà per il rispetto del carattere autonomo e personalizzato delle relazioni familiari. Di fatto ha indotto ampi fenomeni di delusione, frustrazione e patologie comunicative.

Attraverso la politica dei servizi sociali dell'ultimo decennio, si è prodotta una maggiore tutela di rilevanti diritti soggettivi, ma in non pochi casi la pubblicizzazione si è tradotta in un intervento delle istituzioni pubbliche dentro la famiglia che ha avuto esiti non positivi. Certo non ha torto chi osserva che molti interventi proposti nelle politiche sociali sono rimasti sulla carta. Ma, anche per questa ragione, si deve constatare che il modo in cui la via "pubblicizzante" è stata perseguita non ha avuto i risultati positivi sperati.

Non si vuole con questo, dare qui un giudizio morale sui processi di privatizzazione e pubblicizzazione. In generale, essi sono ambivalenti, possono avere conseguenze positive e negative. Ciò che si vuole mettere in risalto è il fatto che, oggi, essi danno vita ad una situazione paradossale, la quale consiste nel fatto che:

l) vi sono al contempo pressioni sia verso la privatizzazione che verso la pubblicizzazione della famiglia;

2) forti pressioni in una direzione, oltre certe soglie, provocano esiti nella direzione contraria e viceversa (più privatizziamo, oltre certi limiti, la famiglia, più induciamo in essa spinte alla pubblicizzazione, e viceversa);

3)   la mancanza di un punto di equilibrio, per quanto necessariamente dinamico, provoca crescenti patologie, in quanto mette in crisi un numero crescente di famiglie e le reti informali del loro intorno.

I limiti e i confini che sarebbero richiesti per evitare questo parossismo non sono certamente mai dati, nè fissati a priori, bensì sempre variabili. E tuttavia anche la nostra società, come ogni altra, deve pure affrontare il problema di evitare i pericoli e i danni in atto del relativismo culturale, istituzionale e funzionale. Nella misura in cui esiste, il relativismo si esprime nella forma di un "codice simbolico" (che poi viene tradotto in leggi) che privilegia l'individualismo comportando con ciò il declino, fino all'agonia, della sfera pubblica, e la parallela degenerazione della vita privata.

Che ci si trovi in una situazione veramente paradossale lo indicano le stesse leggi che riguardano la famiglia. In Italia, ormai, capita sempre più di frequente che le leggi che vanno a toccare le "relazioni intime" pongano nel primo articolo un'affermazione esattamente contraria a quello che, invece, è lo scopo ultimo e materiale della legge. Il caso della legge n. 194/1978 sull'aborto è emblematico, in quanto il titolo della legge pone come obiettivo la tutela della maternità, tutela che poi non è concretizzata attraverso incisive azioni positive. Ma, più in generale, si deve osservare che il sistema politico - amministrativo non riesce più a mantenere un chiaro confine tra sfera privata e sfera pubblica perchè non sa (o non può) promuovere l'una e l'altra nella distinzione dei ruoli, ma deve accettare, e a sua volta moltiplicare, gli sconfinamenti reciproci, prima di fatto ed in seguito di diritto.

L'indifferentismo non aiuta a concentrare gli interventi sulle situazioni difficili, di maggior bisogno. Piuttosto, darà origine a molti effetti inattesi. Lo stesso difetto che hanno avuto le misure di politica sociale degli anni '70 (si pensi solo alla riforma sanitaria). Di conseguenza bisogna rivedere a fondo le carenze della legislazione degli anni '70 sulla famiglia, in particolare circa il sostegno alle scelte di procreazione ed agli impegni di cura dei figli.

In merito bisogna essere chiari. Si devono evitare tre possibili tentazioni, che riassumiamo in alcuni brevi punti.

1. In primo luogo, se da un lato oggi si prende atto del fallimento del disegno di costruire un "welfare state" totale, dall'altro la tentazione è di cercare la risposta in un nuovo indirizzo istituzionale della sfera pubblica, più che in un nuovo dialogo fatto di reciprocità e simmetria fra strutture pubbliche e strutture di solidarietà sociale. E' certo importante che il sistema pubblico dei servizi si apra alla collaborazione del privato sociale (inclusivo del volontariato e di tutte le iniziative di società civile), ma non è sufficiente che ciò avvenga solo e sempre nei termini di una programmazione precettorale o condizionale. In altre parole, l'ente Regione dovrebbe prendere atto che esso non può più costituire il vertice e il centro della società.

Tenendo conto dei limiti di efficacia, efficienza ed equità che la gestione pubblica ha dimostrato negli ultimi decenni nei confronti delle famiglie (specie di quelle più emarginate), e della necessità di promuovere il quadro democratico di valori e procedure, l'ente Regione dovrebbe limitarsi a definire gli obiettivi e le condizioni generali di promozione di una politica sociale per la famiglia, senza più rivendicare il ruolo direttivo di ogni progettualità e di ogni intervento. La famiglia e i mondi vitali hanno urgente bisogno di essere valorizzati come soggetti autonomi, specie nelle forme di associazionismo, cooperazione, volontariato e forme auto - organizzate di gestione dei servizi che li riguardano.

Certo, oggi qualche passo in avanti viene fatto allorchè si prende atto che siamo lontani dall'atteggiamento degli anni '70 che considerava il "privato", in blocco, come sinonimo di azioni ed effetti negativi per la collettività. Vi è bensì un nuovo riconoscimento delle sfere di privato sociale, ma tale apertura, che include in modo intelligente anche le reti informali, resta pragmaticamente subordinata ad un disegno che non considera l'autonomia di tali sfere come risorse, valore e norma da tutelare e promuovere. Le reti solidaristiche rimangono solo integrative delle direttive pubbliche.

In altri termini, bisogna realizzare in modo più pieno, conformemente al dettato costituzionale, la valorizzazione di questi soggetti, non secondo gli obiettivi auto - referenziali dell'ente pubblico, ma secondo le loro proprie finalità, pur se all'interno di un necessario indirizzo di bene comune.

2. La seconda tentazione è quella di prendere atto che la esperienza dei consultori familiari non è stata soddisfacente e che i consultori familiari hanno fallito nella prevenzione dell'aborto, riconoscendo quindi la necessità di riorganizzare il servizio consultoriale, ma come lo si fa? Le proposte oggi in campo non sembrano contrastare il fatto che i servizi di consultorio si sono "diluiti" nella Unità sanitaria locale senza diventare un punto di riferimento specifico ed efficace nel campo degli interventi sociali e psico - sociali centrati sulla maternità, l'infanzia e la famiglia. Invece che ridefinire e potenziare il consultorio viene ad assumere una configurazione con compiti ancora più ampi e più vaghi: lo spettro delle funzioni e degli interventi è ampliato fino a comprendere tutte le esigenze e tutti i bisogni possibili. Ciò equivale a non tutelare nessuno di essi, e, in particolare, comporta la rinuncia a promuovere politiche sociali positive e compensatorie (con programmi ad hoc) per le famiglie maggiormente in difficoltà.

Più che di una legislazione efficace, si tratta di un'apertura di programmi molto vasti (una sorta di super regolamenti) in cui possono in teoria trovare posto tutte le esigenze, quali che siano, ma in cui, per ovvie ragioni, sarà difficile che possano trovare posto quelle che necessitano di un'azione molto mirata, di sostegni che richiedono una estrema concentrazione di sforzi e di mezzi con metodologie di integrazione delle prestazioni, di continuità e di aderenza al singolo caso.

3. Più in generale, ci si dovrebbe guardare dalla tentazione di far si che l'ente pubblico si incarichi di "privatizzare il privato".

Ciò avviene quando ci si apre a tutte le "possibilità" astratte. Cioè allorquando ci si aspetta che il servizio dell'ente pubblico debba e/o possa semplicemente accogliere tutte le istanze, senza una gerarchia di priorità e senza criteri selettivi (così, per esempio, l'adozione della nuove tecniche di riproduzione umana artificiale non soltanto è data come non problematica, ma viene posta sullo stesso piano di tutte le altre soluzioni, con preferenze indifferenziate). Il che segnala, come si diceva sopra, che il pubblico si incarica di "privatizzare il privato".

Si deve uscire da equivoci e pregiudizi. Ad esempio:

- pensare che gli ostacoli alla maternità siano dovuti più a vincoli materiali e strutturali che, come invece accade, a prevalenti fatti culturali;

- pensare alla famiglia nella chiave dell'indifferentismo etico, ossia configurandola come una pura possibilità, dando per scontato che la famiglia stia diventando una mera convivenza di fatto;

- tentare continuamente di ricondurre le reti informali alle logiche sistemico - istituzionali (secondo questa logica non è un caso che le Regioni in Italia continuino a perseguire l'obiettivo di estromettere il privato dai servizi educativi per l'infanzia).

In conclusione, dal punto di vista sociologico, siamo in presenza di tendenze che debbono essere ridiscusse a fondo. E non soltanto per una certa carenza di indicazioni sugli aspetti tecnici necessari per una effettiva, efficace ed equa riorganizzazione dei servizi a favore della famiglia ma soprattutto per l'architettura complessiva del progetto di "caring society".

Di fronte alla constatazione che la società civile (la famiglia) va privatizzandosi, molti progetti legislativi assumono ancora che il compito dell'ente pubblico sia quello di assecondare tale privatizzazione (degli stili di vita, dei gusti e delle preferenze) tramite un più massiccio impegno istituzionale pubblico.

Alla fine si incorre nel paradosso per cui il pubblico si incarica di privatizzare il privato: il che significa che le istituzioni pubbliche, ancorché creare solidarietà sociale, producono l'individuo isolato, in solitudine, l'individuo astratto dalla famiglia e dalla comunità, con bisogni indeterminati o viceversa pre - confezionati. Cosicché, anziché sostenere la maternità difficile, l'infanzia a rischio, la famiglia multi - problema, che sarebbero le priorità, si finisce, anche se non intenzionalmente, per assecondare forme di emarginazione e di disagio, o comunque non si va ai bisogni reali, perché non si va al cuore del problema, che sta nel sostenere relazioni familiari adeguate attraverso la promozione della famiglia come tale.

Ciò richiede un insieme integrato di misure di politica sociale, e non solo servizi centrati sull'asse della maternità (la sola diade madre - figlio). Poichè spesso si equivoca su questo punto occorre ribadire che:

-ciò non significa fare una politica "dirigistica" verso la famiglia nè avere in mente un particolare "modello di famiglia" (fatto salvo il quadro costituzionale), ma invece, significa configurare un sistema di servizi che operi in vista di accrescere le capacità di autonomia culturale e organizzative delle famiglie stesse nel risolvere i loro problemi di vita quotidiana;

- ciò non significa scaricare le responsabilità pubbliche sulle famiglie, ma comporta un nuovo impegno pubblico, anche di stato sociale, verso di esse nell'ottica del loro accrescimento di capacità gestionale, ossia configurare un'organizzazione sociale che miri a rafforzare la famiglia e le sue capacità di auto - gestione anziché fare programmi orientati ad aiutare le famiglie solo quando sono cadute nella situazione - problema.

3. Il ruolo della famiglia nella società dei servizi.

3.1. Recenti ricerche hanno messo in luce che le famiglie mostrano crescenti difficoltà nel controllare i processi che conducono a situazioni di rischio, a patologie sociali e a malattie psico - fisiche. I problemi interni della famiglia nascono da un'insufficiente connessione, e connessione significativa, con l'esterno. Ciò si applica ai servizi per l'infanzia, alla scuola, all'ampio campo dei servizi sociali e sanitari, sia generali che personali .

A questo punto è necessaria una legge quadro regionale per la famiglia. Essa, considerato il campo istituzionale specifico di intervento della Regione, deve riconsiderare soprattutto il ruolo della famiglia nell'ottica della salute come condizione non solo fisica, ma anche psico - culturale e sociale in senso lato.

Le famiglie, infatti, hanno dei "punti deboli" che debbono essere affrontati per una più incisiva azione che migliori i loro stili di vita. Si tratta qui di problemi che si riferiscono a gruppi sociali particolari, che dunque richiedono programmi - obiettivo ad hoc, come: donne casalinghe con basso livello di scolarità, operai in famiglie mono - reddito, famiglie monogenitoriali, anziani socialmente isolati.

Più in generale vale l'osservazione che anche le famiglie cosiddette "normali" vanno avanti con stili di vita e un'etica della salute che si ispira ad un vecchio "buon senso", del tutto inadeguato non solo a far propri gli sviluppi della scienza, ma anche ad affrontare le nuove sfide dell'ambiente sociale (tipi di consumo alimentare e non, rischi legati all'inquinamento ecologico ecc.), che tendenzialmente temono, ma su cui hanno scarse o nulle competenze.

Purtroppo sembra che tali competenze siano fornite in modo assai scarso dai mass - media e dal sistema medicale dei servizi. Entrambi questi apparati trattano gli individui e le famiglie in modo tale che questi si sottomettono passivamente a rappresentazioni e procedure in cui hanno scarsa fiducia, ma che reputano inevitabili, il che non matura alcuna nuova cultura della salute.

Occorre dunque intervenire più attivamente a favore delle famiglie, ma in modo tale che informazioni, prestazioni sociali, accesso ai servizi sociali (per l'infanzia, la coppia, gli anziani, i portatori di handicap, ecc.), norme sanitarie, diagnosi e terapie socio - sanitarie passino attraverso un "sistema razionale" che deve vedere una collaborazione il più possibile aperta, simmetrica e reciprocamente responsabilizzante, tra la famiglia da un lato e i servizi dall'altro, specie quelli di base.

Preoccupa invece il fatto che proprio i servizi (socio-sanitari, ma anche socializzativi) di base abbiano subìto in Italia, negli ultimi anni, una preoccupante tendenza alla specializzazione, alla non integrazione e quindi al deterioramento.

Per quanto riguarda ad esempio, l'uso dei servizi sanitari si deve constatare che il problema cruciale consiste nella crescente "residualità" del medico di base, che si manifesta nei fatti seguenti: tale figura tocca problematiche sempre più "generiche" (malesseri poco definiti, che ricevono risposte prevalentemente farmacologiche) e malattie di scarsa importanza: serve i gruppi sociali "poco competenti" e con bassa scolarità (anziani, casalinghe, operai); vede arrivare a sè una domanda per situazioni familiari difficili (a seguito di separazioni, divorzi, gravidanze indesiderate, ecc.) sulle quali non ha una competenza "consultoriale" adeguata.

In breve il medico di base non è più (o è sempre meno, laddove ancora ha una certa funzionalità) un filtro per i livelli di assistenza sanitaria specialistica. L'azione di filtro esiste solo o prevalentemente per motivi amministrativi, cioè quando si deve avere una richiesta formale del medico di base per poter usufruire gratuitamente di altri servizi del S.S.N. Il medico di base non fa educazione sanitaria, ma risponde spesso in termini di placebo (latalmente inteso). Anche con i "clienti" che restano attaccati a tale figura, il rapporto di fiducia sta lentamente declinando. Naturalmente ciò non deve essere imputato solo ai medici, ma a dinamiche più vaste su cui anch'essi hanno poco padronanza. Ciò che si vuole mettere in rilievo è la necessità di una politica sociale regionale che eviti ulteriori possibili degradi.

Quanto detto a proposito dei servizi socio-sanitari ha dei correlati anche negli altri servizi: per l'infanzia, per i portatori di handicap, per gli anziani. Indubbiamente in tutti questi settori è stato prodotto un grande impegno pubblico, di programmi e risorse, che ha visto migliorare la quantità del servizio pubblico. Ma oggi la quantità non basta più. Occorre un nuovo salto qualitativo e questo significa riorientare le politiche dei servizi locali verso la famiglia.

C'è una constatazione sociologica su cui occorre meditare: chi "sta peggio" nella vita quotidiana è colui il quale non ha una rete informale valida di sostegno (per esempio donne con sovvracarichi di lavoro); mentre chi riesce a mantenere una condizione di vita di buon livello, sia negli aspetti fisici che in quelli psico - sociali della salute, è colui il quale fa un uso consistente sia dei servizi formali che delle reti informali.

I modelli più semplici e ingenui, che ipotizzano un grado maggiore di salute per le famiglie che maggiormente si rivolgono ai servizi formali sono stati decisamente sconfessati. Di per sè, il grado di ricorso ai servizi sociali e sanitari dice poco sul tipo e gradi di funzionalità della famiglia. Semmai, piuttosto è vero il contrario, e cioè che ricorre di più (specie al medico di base) chi è meno capace di controllare conflitti, malattie e patologie varie della famiglia.

3.2. La conclusione è che occorre sviluppare le reti informali di sostegno, non in sé e per sé, ma come reti che sanno attivare un dialogo competente e forme di collaborazione con i servizi formali. Infatti le indagini sul campo hanno ben chiarito che l'uso delle reti formali e informali di aiuti per la famiglia non è alternativo, ma piuttosto complementare e cumulativo. Questo fatto indica la necessità di un intervento socio - sanitario sempre più congiunto, e quindi relazionale, di tali sistemi di aiuto, che sono essenzialmente "sistemi di consulenza" a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi.

Per le ragioni anzidette, il tema dell'intreccio "servizi formali/ famiglia/ servizi informali" appare il nodo cruciale del prossimo futuro. Ma nello stesso tempo bisogna evitare che questa esigenza sia tradotta in una crescita di programmi professionistici troppo specialistici "sulla" famiglia. Invece occorre orientarsi a programmi solidaristici "con" la famiglia che naturalmente sappiano utilizzare tutte le competenze professionali e le tecnologie disponibili.

4. Pensare ad una nuova legislazione

4.1. Se tutto ciò, come crediamo, coglie il senso degli spostamenti di confine tra pubblico e privato in atto nel medio - lungo periodo, allora anche gli interventi di welfare devono mutare di senso e di possibilità attualizzabili.

E' importante considerare il fatto che, in generale, sia l'ente Regione sia le Province ed i Comuni, non hanno mai ben focalizzato il tema di un possibile orientamento delle politiche sociali per la (e non sulla) famiglia, come destinatario e soggetto al contempo delle medesime.

Soprattutto i Comuni sono diventati negli ultimi anni sempre più dei meri "enti pagatori", ossia centri di erogazioni monetarie in parte dirette alle famiglie povere (assistenza economica) e in parte (quella maggioritaria) consistenti in trasferimenti ad altri enti - pagatori di servizi e prestazioni (in particolare l'USL) senza nessun programma esplicito e coerente in tema di sostegno alle famiglie.

Non solo non ci sono procedure e modalità chiare ed eque per stabilire i criteri di individuazione del bisogno e per le erogazioni, ma neppure il Comune si pone questi problemi: l'assistenza va avanti secondo modalità ottocentesche che tendono anzi ad impoverirsi dal punto di vista della sensibilità, dei contenuti e delle capacità professionali di sostegno alle famiglie. Il personale è del tutto insufficente. Ma ciò che più colpisce è che la riforma sanitaria ha portato ad una pesante delega da parte del Comune all'USL, che ora è l'effettivo soggetto della politica sociale (pertanto sanitarizzata) verso la famiglia.

Per chiarezza bisogna insistere: a parte le ovvie difficoltà operative, che sono ben note e scontate in partenza, è soprattutto la tematizzazione del problema che è sinora mancata e che oggi si impone con forza.

Questa situazione è assai generalizzata. Certo i grandi Comuni praticano una politica sociale più attiva e profonda, ma la mancanza di una progettualità e di un orientamento verso la famiglia è egualmente assente. Per fare solo un esempio, anche le modalità di operare dei servizi sociali e sanitari che si interessano di affidamento e tutela dei minori privilegiano la via monetaria (aiuti economici) alla famiglia in difficoltà come primo approccio ai problemi, e solo in seguito, se la situazione continua a restare grave, intervengono con servizi "in kind". Però, in questo modo il più delle volte l'intervento di sostegno sociale arriva tardi, e comunque resta, ex post, riparatore, assistenziale alla vecchia maniera, senza un'effettiva azione preventiva e di sostegno orientata ad una maturazione umana e culturale degli stili di vita e delle relazioni di mondo vitale.

E' certo vero che queste carenze risentono della mancata riforma degli enti locali. Qui, del resto, non si vuole colpevolizzare nessuno, ma cercare di esplicitare il senso di un necessario riorientamento delle politiche sociali locali. E' comunque un fatto che, dal 1982, l'ente locale ha avuto un ruolo sempre minore, ciò lo ha disabituato ad un impegno propositivo e attuativo in materia, svolto in prima persona. Ed è un altro fatto che la semplice rivendicazione di una maggiore spesa sociale non dice nulla sull'efficacia e l'equità delle politiche a favore della famiglia. Infatti anche la recente (per quanto leggera) ripresa di importanza percentuale della spesa comunale negli ultimi anni (dal 14 al 17 per cento nel periodo 81 - 85 sul totale della spesa pubblica nazionale), non ha comportato in generale una maggiore crescita culturale, ma ha significato solo che il Comune è e resta essenzialmente un ente pagatore, che può avere più o meno soldi da gestire, senza con ciò implicare sul piano dell'impegno per la famiglia.

Alla fine ci si chiede: dove va la modernizzazione della famiglia, dei servizi, della società?

Il sistema politico - amministrativo italiano ha sinora perseguito una linea di politica sociale che, al di là degli obiettivi di interesse collettivo, è risultata altamente individualizzante e privatizzante la famiglia, con scarsa capacità di incidenza preventiva delle maggiori patologie sociali e senza intenti promozionali della famiglia come tale. Il crollo della natalità e l'affacciarsi di nuovi e consistenti gruppi di immigrati dal Sud Italia e soprattutto dall'estero sono stati gli effetti più evidenti.

D'altra parte, nel quadro delle politiche sociali sinora formulate, le famiglie hanno assunto verso l'ente pubblico atteggiamenti e attese di tipo tradizionale, cioè volti a ricevere sostegni e interventi assistenziali che le mantengono in condizioni di etero - dipendenza. Bisogna prendere atto che la maggior parte delle famiglie pone richieste spesso improprie o irrealistiche ai servizi, e comunque in termini culturali non adeguati. In questo circolo "perverso" il sistema dei servizi (o sistema amministrativo) resta alquanto immobile (mostra poca flessibilità, come nel caso della gestione e organizzazione di nidi e scuole d'infanzia) e non matura una vera capacità di dialogo con la famiglia e le reti informali di sostegno sociale. In breve, il sistema dei servizi ha mostrato una tendenza (in buona misura forzata del quadro istituzionale in cui opera) a chiudersi in una sorta di autoreferenzialità, che caratterizza oggi la cd. "modernizzazione" dei servizi stessi.

Se questa linea di "modernizzazione" polarizzata, che da un lato spinge il servizio pubblico nel senso dell'autoarroccamento specialistico (anche sotto la pressione del controllo dei costi) e dall'altro privatizza sempre di più la famiglia, in mondi vitali fatti di consumismo e povertà umane compresenti, andasse avanti, non è chi non veda che ne emergerebbero problemi sociali assai gravi.

Se in accordo con tali tendenze, alla famiglia non fossero riconosciute rilevanti funzioni sociali, altro che in un vago e astratto "mondo del privato" e non anche nei servizi e nell'azione pubblica, non v'è dubbio che la famiglia verrebbe a comparire quasi accidentalmente come una "pura possibilità" e come una forma di convivenza quotidiana qualsivoglia. Il che spingerebbe la polarizzazione di cui s'è detto ancora più oltre.

Se il trend dovesse procedere ancora, insomma, è evidente che i problemi sociali esistenti non solo non verrebbero risolti, ma si aggraverebbero.

Pertanto la frontiera della politica sociale degli anni '90 sarà quella di rendere, per quanto possibile, "virtuoso" un circolo di interazioni che ha sinora giocato in modo perverso sulla famiglia.

Possiamo delineare qui di seguito le linee di un tale percorso.

4.2 . Le politiche sociali e il lavoro di servizio sociale per, con e sulle famiglie, non possono più essere definite e perseguite semplicemente nel quadro di una relazione di distanza e separatezza complementare fra il pubblico (lo Stato e i suoi apparati di welfare) e il privato (la famiglia e le sue reti informali).

Apparentemente, in alcune dimensioni, la suddetta modalità continuerà ad essere la sola possibilità attualizzabile, come negli interventi a scala retributiva globale di beni collettivi non frazionabili e/o non decentrabili (come la grande sicurezza sociale, i beni ambientali ecc.). In realtà anche in queste dimensioni la famiglia non può essere del tutto assente. Essa deve pur sempre dare il suo consenso, se non altro operativo, e sentirsi parte di quelle relazioni inerenti la cittadinanza che sono implicate nelle grandi scelte distributive e retributive, almeno nella misura in cui tali scelte pongono degli obblighi (per es. di comportamenti conseguenti e di partecipazione civica, ecc.) che si ripercuotono sulla vita familiare aiutandola o creandole problemi.

Ma ancor più rilevante è il fatto che, per la maggior parte dei servizi spiccioli, concreti, di vita quotidiana, si affacciano nuove esigenze di co-implicazione e collaborazione fra pubblico e privato e richiedono un sinergismo virtuoso e non perverso, se si vogliono affrontare sul serio i problemi sociali che affiorano in una società sempre più difficile e rischiosa.

La crescita dei bisogni che possiamo generalmente chiamare sociali, per vastità, complessità e circolarità, è tale oggi da richiedere un avvicinamento fra pubblico e privato che li renda più complementari e collaborativi a scala locale.

Dopo più di un decennio di mitizzazione dello Stato sociale "totale" (totalmente pubblico o quasi) molti sono oggi disposti a riconoscere la necessità di un coinvolgimento attivo e strutturale del privato, anche tra le forze della sinistra storica. E per la parola d'ordine che sembra guidare il nuovo processo non è mettere pubblico e privato in connessione significativa, ma "de-regolare", con l'idea di "privatizzare". Per contro, chi vuole salvare lo Stato sociale si aggrappa ancora alla vecchia tesi della priorità del pubblico sul privato. Di nuovo siamo nell'equivoco: si ritorna a credere a teorie che tracciano i confini fra pubblico e privato secondo schemi che ci fanno "ondeggiare" o slittare da un polo all'altro senza percepire i nuovi bisogni che provengono da mondi vitali altamente "razionalizzati".

Quando qui si rileva che le nuove condizioni della società con i suoi più complessi bisogni sociali, richiedono più co - implicazione tra pubblico e privato, non si intende con ciò rilevare l'esistenza, l'inevitabilità di un "gioco a scarica barile" fra lo Stato e i privati (cioè la famiglia). Per quanto questa dinamica possa essere sotto certi aspetti effettivamente in atto, essa non interpreta né le concrete tendenze di maggior rilevanza, nè il senso più profondo del cambiamento che si va delineando anche negli aspetti più materiali, come quelli relativi alle cosiddette spese sociali. Le difficoltà di "tagliare" queste spese sono, prima ancora che ideologiche, di natura strutturale: il vero problema non è tagliare, ma qualificare e rendere efficace la spesa sociale.

Il senso della co - implicazione fra pubblico e privato sta nel fatto che essi, sia in via pratica che normativa, debbono avvicinarsi e distanziarsi al contempo, debbono collaborare, ma anche distinguersi nei compiti relativi ai bisogni sociali. Per certi bisogni si richiede che l'intervento pubblico si sommi a quello privato, per altri bisogni, vi deve essere maggiore distinzione e anche separatezza. Nuove aree di cooperazione debbono essere (e di fatto vengono) trovate, e nuove sfere di compiti specifici e anche esclusivi debbono essere (di fatto vengono) create. In mezzo, tutta una serie di nuove relazioni e di "convenzioni" miste vengono prodotti ovviamente anche con notevoli confusioni e sovrapposizioni, o viceversa assenze e distorsioni.

Con tutto questo, ciò che viene significato è che stiamo andando verso una ridefinizione molto accentuata dei confini fra ciò che, nell'intervento sociale, sia a scala locale che regionale o nazionale, è pubblico o privato. Ogni teoria lineare o ondulatoria sarebbe qui fuori posto.

Per fare un esempio, l'ente locale (il Comune) cosi come definito nel quadro amministrativo tradizionale dell'intervento di welfare ("assistenza sociale") non può più rappresentare il "confine pubblico" dell'intervento locale: in primo luogo, perché si è accresciuta l'incidenza dell'intervento pubblico svolto direttamente dall'alto (Stato e Regione o Prov. Aut.); in secondo luogo, perché il Comune ha delegato una quantità rilevante di interventi ad altre agenzie pubbliche (come l'USL) e private (per es. cooperative e associazioni di volontariato e di privato sociale), tutti o in buona misura gravanti sui fondi pubblici; in terzo luogo perché ora molte agenzie non dipendenti dal Comune, che erogano servizi, chiedono di essere riconosciute come agenzie di pubblica utilità, ma con una gestione che segue criteri privati.

Tutto ciò indica non solo che si è avuta una accentuata differenziazione interna alla sfera tradizionalmente "pubblica", ma che anche il privato è entrato in essa sfondandone i confini e facendosi riconoscere come parte di una sfera pubblica più allargata. Non meno rilevante è quanto accade sul versante privato. Qui dentro la famiglia, tra le famiglie, dentro le associazioni e le altre sfere di solidarietà privata, è venuta crescendo una miriade di iniziative che da un lato hanno reso più collettivo il soddisfacimento di certi bisogni e dall'altro hanno ulteriormente privatizzato altri bisogni.

Tra famiglia e istituzioni pubbliche di benessere si è insomma dilatata una sfera, che per comodità chiamiamo "sociale" (termine comprensivo tanto del privato sociale che del privato mercantile, come anche di altre forme miste), nella quale i confini fra pubblico e privato si sono come ramificati e riorganizzati profondamente, secondo linee difficilmente prevedibili e gestibili attraverso mezzi come il diritto (la legislazione sociale in quanto strumento tipico del potere pubblico) o il denaro (la monetizzazione dei servizi in quanto strumento tipico del privato, inteso come mercato). Perciò la filosofia dei rapporti deve ora cambiare.

Se un tempo le istituzioni assistenziali delimitavano i propri confini con le famiglie assumendone le deleghe solo per i membri malati, più deboli, invalidi, e cosi via, e la famiglia stessa scaricava sul pubblico solo quanto poteva giustificare in tal senso, adesso tutto questo non solo non è più cosi, ma non può più funzionare in questo modo. I bisogni sociali delle famiglie sono enormemente aumentati, più in senso qualitativo che quantitativo (per il "care" delle relazioni umane coinvolte). Le istituzioni pubbliche debbono allargare i loro confini di intervento ma non possono farcela. Si cerca allora di ricorrere alle reti informali. Ma la collaborazione resta troppo "incomunicabile", e non solo nella sfera del pubblico e fra questa e il privato, ma anche dentro le nuove reti informali. Si deve cercare un nuovo codice simbolico- normativo e funzionale.

Al momento attuale, questo codice si sta delineando nel senso seguente:

a) da un lato le istituzioni pubbliche dovrebbero rovesciare le proprie regole nel senso di mandare alle famiglie un messaggio che, anziché assumerne i compiti per delega come un tempo o colpevolizzarle per le loro mancanze, ne esalti invece le potenzialità di servizio, di interessamento, di prevenzione, di cura più umanizzata e "personalizzata", in breve di capacità di socializzazione e soprattutto di prevenzione. Ciò che le famiglie, senza una adeguata politica sociale complessiva a loro orientata non sembrano poter fare. Si tratta dunque di identificare una tale politica sociale;

b) dall'altro le famiglie dovrebbero agire riflessivamente su se stesse per capire ciò che debbono e possono fare in collaborazione fra di loro, e tra loro e le istituzioni di pubblico servizio. Nella misura in cui esse non hanno risorse, né la legittimazione, né gli spazi funzionali per fare questo esse sono portate a rifugiarsi ancor di più nel privato.

Si tratta allora di sviluppare una sfera di "privato sociale", da alcuni chiamato anche terzo settore o terza dimensione, che assolva tali compiti. Oggi questa sfera agisce di fatto, e deve supplire a molte carenze, ma è poco riconosciuta dallo Stato sociale e certo non incentivata a svilupparsi in forme autonome, anche professionalmente valide, richieste dalla nuova complessità. Sugli attori del privato sociale grava sempre una pesante ipoteca strumentale da parte degli enti locali, ed essi si sono abituati da tempo a dover accettare le costrizioni inerenti a rapporti clientelari e di dipendenza.

Al presente, in mancanza di una raffigurazione e di un sistema operativo adeguati alle esigenze di relazionalità appena dette, ha nuovo gioco il settore dei servizi privati a pagamento che crea nuovi mercati anche all'ombra del sostegno pubblico o di forme di aiuto privato non mercantile. Altrove, però nascono anche organizzazioni più complesse, denominate per esempio "quarto settore", in quanto combinano elementi dei primi tre settori (pubblico, privato mercantile, privato sociale).

Sul piano sociologico, si affaccia l'esigenza di un nuovo dialogo che deve essere messo in atto, e per il quale esistono certamente molte speranze, bisogni e aspettative, ma non ancora norme sociali che siano abbastanza chiare, condivise e legittimate al punto da diventare efficaci in modo generalizzato attraverso un riconoscimento operativo nelle prassi quotidiane della maggioranza delle famiglie e degli operatori dei servizi.

Illustrazione sintetica degli articoli

La presente proposta di legge è così articolata: sette titoli e 29 articoli. Il titolo I - Principi e finalità - si suddivide in quattro articoli.

L'articolo 1 riconosce la piena soggettività sociale e politica della famiglia fondata sul matrimonio e su vincoli di parentela o di affinità.

L'articolo 2 finalizza la politica regionale alla promozione e al sostegno del diritto della famiglia al libero svolgimento delle sue funzioni sociali.

L'articolo 3 pone la famiglia come ambito di riferimento o di svolgimento unitario di ogni intervento in campo sociale.

L'articolo 4, infine, specifica i fini generali della politica per la famiglia: promozione e valorizzazione della famiglia, sostegno alle libertà reali delle scelte di fecondità, impulso alle reti sociali primarie ed alle solidarietà di mondi vitali, stimolo alle forme di autogestione e di imprenditorialità sociale.

Il titolo II - Interventi per le coppie giovani - è composto di sei articoli.

L'articolo 5 impegna la Regione a sostenere la formazione e lo sviluppo di nuove famiglie, mediante gli interventi di cui agli articoli successivi .

L'articolo 6 prevede l'istituzione di un servizio generale di informazione e formazione sulla vita di coppia e di famiglia.

L'articolo 7 dispone l'erogazione di aiuti finanziari, sotto forma di prestiti senza interessi o a tasso agevolato, e di sostegni indiretti, sotto forma di fidejussione, per le coppie che intendono contrarre matrimonio.

L'articolo 8 rende obbligatoria la riserva di una quota di edilizia residenziale pubblica a favore delle coppie di nubendi.

L'articolo 9 accorda riduzioni sugli oneri di urbanizzazione a favore dei privati che destinano alloggi ristrutturati o di nuova costruzione alla locazione per giovani coppie.

L'articolo 10 regola sinteticamente le procedure per l'assegnazione degli alloggi di cui agli articoli 8 e 9.

Il titolo III - Norme generale sui servizi - comprende sei articoli.

L'articolo 11 indica i principi - guida da attuare nella riorganizzazione dei servizi sociali e sanitari. In virtù di tali principi, viene accentuato il ruolo della famiglia come unità di servizi primari, luogo di rilevazione e di sintesi dei bisogni ed ambito essenziale di riferimento per tutti i servizi. Si persegue l'integrazione fra strutture pubbliche, reti informali di solidarietà e strutture di privato sociale, anche attraverso forme di coinvolgimento e di partecipazione alle politiche socio - assistenziali e sanitarie. L'organizzazione e le modalità di fruizione dei servizi si ispirano alla massima elasticità.

L'articolo 12 stabilisce i principi fondamentali per la disciplina delle strutture e delle organizzazioni di privato sociale e di volontariato, salvaguardando insieme i diritti degli utenti e la libertà assistenziale.

L'articolo 13 prende in considerazione l'assistenza domiciliare, vista come termine di un progetto integrato socio - assistenziale e sanitario: ne determina gli aspetti ed i contenuti principali, e ne persegue la promozione ed il sostegno.

L'articolo 14 richiama l'attenzione sulle possibili forme di aiuto solidaristico, anche non strutturato: e ne propone il riconoscimento ed il sostegno. Introduce anche la possibilità di sperimentare forme particolari di aiuto individuale, già diffuse in altri paesi, come la "madre di giorno", le diverse forme di assistenza tra vicini di casa e simili.

L'articolo 15 affida agli strumenti di programmazione regionali e locali, generali o particolari, l'applicazione e la verifica dei principi generali sopra indicati.

L'articolo 16 garantisce, tanto nella fase preparatoria degli strumenti di programmazione, quanto nella fase di adeguamento e di verifica, l'informazione e la partecipazione delle organizzazioni e delle formazioni sociali interessate alla politica regionale per la famiglia.

Il titolo IV - Interventi per la procreazione e per l'educazione - consta di tre articoli.

L'articolo 17 affida al servizio generale di formazione e di informazione, istituito con l'articolo 6, il compito di favorire i progetti di procreazione, mediante la formulazione per ciascuna famiglia interessata di un piano personalizzato di sostegno capace di mobilitare e di organizzare in forma coordinata ed integrata tutte le risorse, pubbliche e private, strutturate o informali, esistenti sul territorio.

L'articolo 18 prevede e regola l'inserimento delle strutture private e di volontariato nel piano di sostegno di cui all'articolo 17.

L'articolo 19 si occupa degli interventi riguardanti il diritto allo studio, salvaguardando al massimo la libertà della famiglia sia nella scelta degli interventi di cui fruire, sia soprattutto nella scelta delle strutture educative e scolastiche per i figli. Si ribadiscono le linee costituzionali in ordine alla diversificazione degli interventi per l'istruzione obbligatoria e per l'istruzione superiore.

Il titolo V - Interventi per il sostegno economico alla famiglia - si compone di cinque articoli.

L'articolo 20 sottrae i sostegni economici dalla consueta configurazione di assistenzialismo marginale e li riqualifica invece come strumenti per la realizzazione di una politica attiva e globale di sicurezza e di promozione sociale della famiglia.

L'articolo 21 indica i principi fondamentali cui devono ispirarsi gli interventi in oggetto. Si fa riferimento a metodi e criteri per la valutazione obiettiva delle situazioni di disagio da affrontare con sostegni economici, avendo riguardo a tutti i fattori familiari. Si prevede la riorganizzazione della attuale disorganica pluralità di prestazioni in una prestazione integrata di base. Si affronta il disagio economico nelle sue dinamiche specifiche, tenendo conto anche della funzione responsabilizzante che il sostegno economico deve saper promuovere.

L'articolo 22 determina gli obiettivi fondamentali del sostegno economico: la garanzia di un minimo vitale familiare, e la prevenzione di situazioni familiari a rischio di emarginazione o di disadattamento collegate con fattori economici.

L'articolo 23 dispone che i principi e le finalità sopra indicati siano criteri fondamentali ed inderogabili di tutta l'attività programmatoria ed amministrativa in questo settore.

L'articolo 24 raggruppa in un Fondo regionale per la famiglia tutte le risorse destinate agli interventi di sostegno economico o comunque collegate alla realizzazione della politica regionale per la famiglia.

Il titolo VI - Commissione regionale della famiglia - regola, in quattro articoli questo nuovo organismo inserito nell'apparato regionale.

L'articolo 25 impegna la Regione a riconoscere ed a favorire l'associazionismo, la cooperazione e le altre forme di auto - organizzazione della famiglia: e riconosce una specifica rappresentanza politica a questa realtà attraverso l'istituzione di una Commissione regionale della famiglia.

L'articolo 26 indica le fondamentali competenze di questa Commissione: competenze consultive, di proposta, di partecipazione, di studio, di impulso per quanto riguarda la politica per la famiglia.

L'articolo 27 regola la composizione della Commissione e stabilisce le procedure per la prima costituzione, in via provvisoria, della Commissione stessa.

L'articolo 28 stabilisce alcune norme di funzionamento della Commissione.

Il titolo VII - Norme finali - consta di un solo articolo.

Tale articolo 29 dispone la costituzione di un apposito organismo di studio che in termini brevi analizzi la vigente legislazione regionale interessante le tematiche della politica per la famiglia, ed indichi le modifiche, i coordinamenti, le integrazioni necessarie per dare a tale corpus normativo piena coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge. Alla Giunta regionale viene attribuito il compito di presentare le conseguenti proposte legislative, salvo restando comunque il diritto di iniziativa dei singoli consiglieri e il diritto di iniziativa popolare.

 

Art. 3
Famiglia

1. La famiglia costituisce il soggetto primario e l'ambito di riferimento e di svolgimento relazionale unitario di ogni intervento riguardante la salute, l'educazione, lo sviluppo culturale e la sicurezza sociale di ciascuno dei suoi membri.

Art. 4
Obiettivi della Regione

1. La Regione, attraverso le azioni di politica per la famiglia, si propone fra l'altro:

a) di promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;

b) di offrire opportunità sociali e sostegni socio - culturali idonei a superare i motivi che inducono le famiglie a restrizioni non desiderate della fecondità, o dovute a pianificazioni familiari rese rigide dalla mancanza di adeguati interventi di solidarietà sociale;

c) di predisporre ed organizzare i servizi sociali in modo da promuovere e sostenere le reti sociali primarie e le solidarietà di mondo vitale in tutte le loro forme, prevedendo accanto a servizi in natura anche sostegni alternativi o cumulativi in danaro;

d) di mettere a disposizione della famiglia, anche con forme di autogestione o di imprenditorialità sociale, tutte le strutture e le opportunità previste dalla Costituzione e dalle leggi in materia di diritto alla salute, all'educazione, alla cultura, alla sicurezza sociale.

TITOLO II
INTERVENTI PER LE GIOVANI COPPIE

Art. 5
Interventi a favore delle famiglie

1. La Regione, in coerenza, con quanto disposto dall'articolo 31 della Costituzione, agevola e sostiene la formazione e lo sviluppo di nuove famiglie, con interventi diretti a facilitare il matrimonio, la procreazione e la cura dei figli.

Art. 6
Strutture di consulenza familiare

1. La Regione assicura che l'azione delle strutture pubbliche di consulenza familiare sia diretta alla valorizzazione personale e sociale della maternità e della paternità, e orientata a stati di vita positivi ispirati alla stabilità familiare, alla responsabilità relazionale ed educativa, alla solidarietà sociale.

2. Agli stessi fini la Regione riconosce e valorizza le strutture di consulenza familiare del privato sociale.

Art. 7
Provvidenze

1. La Regione eroga, a favore delle coppie che intendono contrarre matrimonio, aiuti finanziari, consistenti in prestiti senza interessi o a tasso agevolato, articolati secondo fasce di reddito.

2. Alle coppie che, in base al reddito, non possono accedere alle provvidenze di cui al comma 1, e che intendano contrarre mutui per le esigenze familiari collegate o conseguenti al matrimonio, comprese le esigenze abitative, la Regione accorda gratuitamente la propria fidejussione a garanzia del rimborso dei mutui.

3. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2, la Regione stipula apposite convenzioni con istituzioni bancarie, enti finanziari assicurativi o previdenziali, assumendo a proprio carico gli interessi o garantendone il pagamento, e garantendo la restituzione di prestiti.

Art. 8
Riserva di alloggi

1. I programmi di edilizia residenziale pubblica convenzionata o sovvenzionata devono prevedere una riserva, pari al cinque per cento degli alloggi costruiti per la locazione, l'assegnazione in proprietà indivisa o in proprietà individuale, a favore delle coppie che intendono contrarre matrimonio.

2. Gli alloggi oggetto della riserva di cui al comma 1 vengono assegnati secondo apposite graduatorie speciali, cui possono concorrere tutte le coppie che intendono contrarre matrimonio.

Art. 9
Agevolazioni per i locatari

1. I soggetti privati che riservino alloggi costruiti o ristrutturati alla locazione, secondo le norme sull'equo canone, per coppie che intendono contrarre matrimonio, beneficiano, relativamente agli alloggi riservati, di una riduzione degli oneri di urbanizzazione pari alla metà della somma dovuta.

2. Gli alloggi di cui al comma 1 vengono assegnati secondo apposite graduatorie, cui possono concorrere tutte le coppie che intendono contrarre matrimonio.

Art. 10
Assegnazione degli alloggi

1. Gli alloggi di cui agli articoli precedenti, distinti a seconda del Comune in cui sono ubicati, vengono pubblicizzati mediante bandi su scala regionale.

2. Ogni coppia può presentare domanda per alloggi ubicati nei Comuni di residenza dei genitori, nei Comuni in cui si svolge l'attività lavorativa dei nubendi e nei Comuni in cui si svolgerà l'attività lavorativa dopo il matrimonio.

3. L'assegnazione degli alloggi è operata dai singoli Comuni. I contratti di locazione o di assegnazione in proprietà sono cointestati ai componenti la coppia.

TITOLO III
NORME GENERALI SUI SERVIZI

Art. 11
Principi della riorganizzazione dei servizi

1. Nella riorganizzazione dei servizi sociali e sanitari, la Regione attua i seguenti principi:

a) riconoscimento, valorizzazione e sostegno della funzione della famiglia come unità di servizi primari, luogo di rilevazione e di sintesi dei bisogni, ed ambito di riferimento essenziale per i servizi pubblici e privati volti, a tutti i livelli, a curare la soddisfazione dei bisogni sociali, culturali, sanitari e relazionali dei suoi membri;

b) eliminazione di qualsiasi clausola penalizzante per l'accesso ai servizi comunque collegata alla famiglia;

c) erogazione dei servizi con modalità incentrate sulla globale situazione familiare, e tendenti a suscitare ed a valorizzare le risorse di solidarietà della famiglia, della rete parentale e dei mondi vitali ad esse collegati;

d) integrazione fra strutture pubbliche, reti informali di solidarietà e strutture di privato sociale attraverso una azione di promozione ed indirizzo svolta dalle strutture pubbliche, in modo da costituire un quadro promozionale e flessibile di opportunità socio - assistenziali;

e) coinvolgimento e partecipazione, in forme rilevanti sul piano giuridico ed organizzativo, delle famiglie e delle strutture di privato sociale nelle politiche socio - assistenziali e sanitarie;

f) massima elasticità nell'organizzazione e nelle modalità di fruizione dei servizi, per consentire e mediare fruizioni parziali, alternate, complementari o integrate con altre opportunità, specialmente in presenza di reti parentali, di reti informali di solidarietà o di interventi di privato sociale;

g) previsione di forme di servizi in natura o in danaro non solo a favore della persona, attraverso la famiglia, ma anche a favore dell'eventuale rete parentale disposta a intervenire nella soluzione dei problemi socio - assistenziali della persona;

h) impegno dei servizi a favorire la permanenza o il ritorno della persona assistita nel suo ambito familiare, ogni volta che ciò appaia possibile, con il sostegno dei servizi esterni.

Art. 12
Strutture di privato sociale

1. Per le strutture e le organizzazioni di privato sociale e di volontariato, prive di scopo di lucro, si applicano i principi di cui ai seguenti commi.

2. L'istituzione e l'attività delle strutture e delle organizzazioni di cui al comma 1 costituiscono esercizio del diritto di libertà assistenziale, riconosciuto e garantito dall'articolo 38 della Costituzione e, in quanto tali, non sono soggetti ad alcuna autorizzazione preventiva. Esse stabiliscono e determinano autonomamente, nel rispetto delle leggi statali, i loro campi di azione, i tipi di prestazioni offerte e le modalità operative.

3. I controlli amministrativi su tali strutture ed organizzazioni possono riguardare esclusivamente l'attività svolta, sotto i profili del possesso delle abilitazioni professionali eventualmente obbligatorie, della idoneità delle strutture immobiliari impiegate, della non nocività delle prestazioni e delle modalità di erogazione di esse, della corrispondenza fra attività svolta e fini istituzionali.

4. I controlli di cui al comma 3 sono esercitati secondo le norme, i criteri, le modalità ed i contenuti stabiliti in via generale dalle leggi per le singole categorie di attività, indipendentemente dalla natura del soggetto che le svolge.

5. Il carattere privato delle strutture ed organizzazioni non può essere causa di speciali controlli, né di vincoli speciali per la loro attività.

6. Le strutture e le organizzazioni che perseguono, nella loro autonomia, finalità coincidenti o collegate con quelle della politica regionale per la famiglia, hanno diritto a sostegni ed a contributi pubblici.

Art. 13
Assistenza domiciliare

1. La Regione promuove e valorizza l'assistenza domiciliare in tutti i settori di intervento sociale e sanitario, e stabilisce per i singoli settori criteri e modalità opportuni al fine di rendere accessibile questa forma di servizio come scelta e in alternativa rispetto ad altre forme, ed in particolare rispetto al ricovero in istituti di assistenza o di cura. Rientra nell'assistenza domiciliare di cui al presente articolo anche la ospedalizzazione a domicilio.

2. L'assistenza domiciliare è perseguita come progetto integrato socio - assistenziale e sanitario, per superare le modalità isolate e parcellizzate di intervento, e comporta, fra l'altro, la mobilitazione integrata dell'assistenza sanitaria di base, dell'assistenza economica, degli interventi di riabilitazione, compresa la fornitura di ausili e di protesi, degli interventi per l'abbattimento o il superamento di barriere architettoniche, dei servizi di mensa, delle iniziative per attività motorie, per soggiorni di vacanza, per il tempo libero, e in genere delle attività socializzanti capaci di contrastare emarginazione ed isolamento. Comporta inoltre la possibilità di fruire di strutture assistenziali e sanitarie diurne o notturne o stagionali.

3. La Regione e gli altri enti competenti in campo sociale ed assistenziale studiano e sperimentano forme di sostegno in servizi, in natura ed in danaro. In particolare, vengono predisposte ed attuate forme di sostegno economico a favore di chi volontariamente rinuncia ad una attività retribuita per provvedere all'assistenza di familiari la cui situazione richiederebbe altrimenti il ricovero.

4. La Regione promuove inoltre, intervenendo anche con propri contributi, accordi fra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni economiche per l'inserimento nei rapporti di lavoro di clausole che consentano, senza perdita del posto di lavoro, sospensioni dell'attività lavorativa per ragioni di assistenza domiciliare a familiari, o che prevedano speciali modalità di svolgimento della prestazione lavorativa al fine di rendere compatibile il lavoro con accertate necessità particolari di assistenza familiare.

Art. 14
Aiuto solidaristico

1. La Regione promuove tutte le forme di aiuto solidaristico, tanto di tipo individuale quanto di tipo associativo o cooperativo, in particolare quelle a base familiare, riconoscendone la funzione di utilità sóciale.

2. La promozione ed il riconoscimento di cui al comma 1 implicano anche iniziative di coordinamento e di sostegno, nonché la sperimentazione e l'estensione, anche con interventi economici, di forme particolari di aiuto solidaristico individuale.

Art. 15
Strumenti di programmazione

1. I piani socio - assistenziali e sanitari regionali e locali, i progetti - obiettivo e le linee organizzative dei servizi socio - assistenziali e sanitari attuano i principi stabiliti dai precedenti articoli.

2. Predispongono inoltre criteri e strumenti operativi e di verifica per il coordinamento e la collaborazione integrata fra rete pubblica di servizi, reti informali, strutture di privato sociale e di volontariato, senza scopo di lucro, e forme di aiuto solidaristico.

Art. 16
Partecipazione delle formazioni sociali

1. Nella fase di elaborazione e di predisposizione degli strumenti di programmazione socio-assistenziale e sanitaria deve essere garantita l'informazione e la effettiva partecipazione delle organizzazioni e delle formazioni sociali aventi come base aggregazioni di famiglie o comunque aventi finalità coordinate e coerenti con quelle della politica regionale per la famiglia.

2. Uguale informazione e partecipazione deve essere garantita nelle fasi di verifica, di adeguamento e di controllo, compresi i momenti di controllo di gestione, degli strumenti di programmazione di cui al comma precedente.

TITOLO IV
INTERVENTI PER LA PROCREAZIONE E PER L'EDUCAZIONE

Art. 17
Progetti di procreazione

1. Il servizio generale di informazione e formazione, di cui all'articolo 6, opera per sostenere i progetti di procreazione. A tal fine predispone ed organizza, per ogni famiglia che lo richiede, un piano personalizzato di sostegno psicologico, socio-assistenziale e sanitario, capace di mobilitare ed organizzare, in forme coordinate ed integrate, risorse pubbliche e risorse di privato sociale e di volontariato, e di attivare e sostenere reti informali e parentali di solidarietà.

2. Il piano personalizzato di cui al comma 1 deve garantire alla famiglia, nel rispetto della sua libertà e nella promozione della dignità personale e sociale di tutti i suoi componenti, le opportunità e le risorse necessarie al mantenimento, all'istruzione ed all'educazione dei figli.

Art. 18
Contributi

1. I servizi e le strutture private di solidarietà sociale e di volontariato - operanti, senza scopo di lucro, nei campi della consulenza familiare, della tutela della maternità e della vita nascente, dell'aiuto all'allevamento ed all'educazione dell'infanzia, e in genere per i fini di cui all'articolo precedente -  che accettino di cooperare all'organizzazione ed all'attuazione dei piani personalizzati di cui al precedente articolo, hanno diritto a beneficiare di congrui contributi pubblici per il sostegno e lo sviluppo della loro attività.

2. La cooperazione di cui al comma 1 può essere regolata da apposite convenzioni. In tal caso la convenzione disciplina rapporti organizzativi, finanziari e di controllo intercorrenti fra le strutture pubbliche e i servizi e le strutture private, nel pieno rispetto delle opzioni culturali ed educative cui si ispirano le strutture private.

Art. 19
Assistenza scolastica e educativa

1. Gli interventi in materia di assistenza scolastica ed educativa e di diritto allo studio sono strumenti per la promozione e l'esercizio delle specifiche funzioni della famiglia, e per la tutela e l'effettiva realizzazione della libertà scolastica, educativa e culturale.

2. La Regione e gli enti locali competenti in materia sono tenuti a prevedere servizi in natura ed in danaro, lasciando alle famiglie la scelta della prestazione ritenuta autonomamente più adatta alla realizzazione delle funzioni di educazione e di istruzione.

3. Le prestazioni in danaro devono essere congrue rispetto ai corsi effettivi dell'educazione e dell'istruzione, e devono consentire realmente il superamento degli ostacoli di ordine economico che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza di opportunità nelle scelte educative e culturali delle famiglie.

4. Per la fascia della scuola dell'infanzia e dell'istruzione obbligatoria, gli interventi di cui al comma 2 sono diretti a tutte le famiglie.

5. Per la fascia di istruzione eccedente l'obbligo, gli interventi sono rigorosamente limitati ai casi di studenti capaci e meritevoli appartenenti a famiglie prive di mezzi, e sono erogati in base a procedure che garantiscano la sussistenza di tali requisiti, stabilite con apposito regolamento regionale.

 6. Gli interventi per il diritto allo studio sono diretti alle famiglie, e sono usufruibili presso qualsiasi struttura scolastica od universitaria, pubblica o privata: purché, per l'istruzione dell'obbligo, per l'istruzione superiore e per quella universitaria, si tratti di istituti riconosciuti o parificati o pareggiati.

TITOLO V
INTERVENTI PER IL SOSTEGNO
ECONOMICO ALLA FAMIGLIA

Art. 20
Criteri di programmazione

1. I principi e le finalità di cui al presente titolo costituiscono criteri fondamentali ed inderogabili per la predisposizione, l'aggiornamento, lo sviluppo e la verifica degli strumenti di programmazione socio - assistenziale, per il settore degli aiuti economici alla famiglia.

2. Gli enti, le strutture ed i servizi competenti sul piano amminístrativo per le prestazioni di sostegno economico adeguano la loro organizzazione, le loro strutture e le loro procedure ai principi ed alle finalità di cui al presente titolo.

Art. 21
Principale assistenza economica

1. Le linee regionali di intervento per l'assistenza economica attuano i seguenti principi:

a) determinazione di criteri, di metodi e di strumenti idonei a rilevare ed a valutare in termini obiettivi la povertà economica e le situazioni di deprivazione materiale e sociale in genere suscettibili di essere affrontate con aiuti economici, e ad identificare le variabili coinvolte nella situazione di povertà o di deprivazione, vista non solo come dato statico ma anche come processo sociale;

b) adozione di specifiche politiche sociali mirate alla famiglia in condizione di bisogno, agendo anche sui fattori familiari che possono costituire cause di rischio di povertà o deprivazione;

c) elaborazione di un sistema di interventi che -prevedendo anche l'utilizzazione del privato sociale, del volontariato e delle reti informali di solidarietà - riorganizzi, per quanto possibile, l'attuale pluralità di prestazione in una prestazione integrata di base, e che consenta di offrire programmi personalizzati di aiuto per ogni specifica situazione di povertà e di deprivazione, considerata nei suoi aspetti e nelle sue dinamiche specifiche;

d) selezione dei settori e delle situazioni da riservare, ancorché non come competenza esclusiva, all'intervento delle strutture pubbliche, e di quelli da attribuire, con sostegni ed incentivazioni, al privato sociale;

e) finalizzazione di ogni concreto intervento alla promozione sociale della famiglia e delle persone, ed alla acquisizione di un sempre maggior livello di autonomia e di responsabilità.

Art. 22
Interventi di assistenza economica

1. Nel rispetto ed attraverso l'attuazione dei principi di cui all'articolo precedente, attraverso le prestazioni di base ed i programmi personalizzati di aiuto economico:

a) si riconosce e si garantisce ad ogni famiglia in condizioni di povertà il diritto soggettivo ad un minimo vitale idoneo a consentire una esistenza libera e dignitosa;

b) vengono erogate integrazioni di reddito per le famiglie che volontariamente si prendono cura di membri socialmente deboli o a rischio di emarginazione o di disadattamento sociale.

Art. 23
Sostegno economico alle famiglie

1. Le forme di sostegno economico alle famiglie in stato di bisogno sono strumenti per la realizzazione di una politica attiva e globale di sicurezza e di promozione sociale della famiglia, a norma dell'articolo 4 dello Statuto speciale: devono quindi essere adeguate a prevenire, ad affrontare ed a rimuovere le cause di disagio personale e sociale derivanti da situazioni di povertà e di deprivazione materiale.

Art. 24
Fondo regionale per la famiglia

1. La Regione istituisce nel proprio bilancio il Fondo regionale per la famiglia, al quale fanno capo tutti gli interventi di sostegno economico indicati o previsti dalla presente legge o comunque collegati alla realizzazione della politica regionale per la famiglia.

2. Il Fondo è lo strumento finanziario di promozione, di coordinamento e di sviluppo degli interventi di sostegno economico alla famiglia.

TITOLO VI
COMMISSIONE REGIONALE
DELLA FAMIGLIA

Art. 25
Associazionismo

1. La Regione, al fine di valorizzare il ruolo e l'autonomia della famiglia nell'adempimento delle sue funzioni sociali, e di promuovere la responsabilità e la capacità di auto - organizzazione delle famiglie per la soddisfazione di bisogni sociali, riconosce e favorisce l'associazionismo, la cooperazione e ogni forma di auto - organizzazione di servizi da parte delle stesse famiglie, specialmente di quelle che condividono lo stesso problema sociale o che affrontano problemi affini o collegati, prevedendo agevolazioni e sostegni per quanto riguarda sia la disponibilità di strutture e di risorse materiali, sia i problemi di organizzazione di formazione e di coordinamento.

2. La Regione riconosce una specifica rappresentanza politica a queste realtà associative attraverso la istituzione di una Commissione regionale della famiglia.

Art. 26
Commissione regionale della famiglia

1. La Commissione regionale della famiglia è organo consultivo della Regione per tutto quanto attiene alla politica regionale per la famiglia.

 2. In particolare, la Commissione:

a) esprime parere obbligatorio alla Giunta regionale sugli schemi di provvedimenti di competenza della Giunta stessa e sulle direttive che la Giunta emana in materia socio - assistenziale e sanitaria;

b) esprime parere obbligatorio alle Commissioni permanenti del Consiglio regionale per i provvedimenti legislativi e regolamentari, e per i provvedimenti amministrativi di competenza del Consiglio;

c) partecipa con proposte ed osservazioni, oltre che con i pareri di cui alle lettere a) e b), alla preparazione ed alla elaborazione degli strumenti regionali di programmazione socio - assistenziale e sanitaria e dei diversi progetti obiettivo;

d) concorre, con pareri, proposte ed osservazioni, alla predisposizione degli strumenti di programmazione socio -  assistenziale infraregionali;

e) presenta agli organi regionali proposte, osservazioni e richieste su tematiche riguardanti la politica regionale per la famiglia o ad essa connessi, e promuove rapporti periodici sullo stato di attuazione della presente legge.

Art. 27
Composizione

1. La Commissione regionale della famiglia è costituita:

a) da sette rappresentanti delle associazioni di famiglie - costituite ed operanti per fini rientranti nella sfera della politica familiare o comunque ad essa collegati - cosi distinti:

1) due rappresentanti delle associazioni operanti a livello comunale;

2) due rappresentanti delle associazioni operanti a livello provinciale;

3) tre rappresentanti delle associazioni operanti a livello regionale, anche come strutture di coordinamento o di raggruppamento delle associazioni operanti a livello infraregionale;

b) da sette rappresentanti delle strutture o cooperative di auto - organizzazione di servizi sanitari, educativi, culturali, sociali o assistenziali tra famiglie, così distinti:

1) due rappresentanti delle strutture cooperative operanti a livello comunale;

2) due rappresentanti delle strutture o cooperative operanti a livello provinciale;

3) tre rappresentanti delle strutture o cooperative operanti a livello regionale, anche come strutture di coordinamento o di raggruppamento di quelle operanti a livello infraregionale;

c) da sette rappresentanti dei servizi, delle strutture private di solidarietà sociale e di volontariato di cui all'articolo 18 della presente legge, così distinti:

1) due rappresentanti dei soggetti operanti a livello comunale;

2) due rappresentanti dei soggetti operanti a livello provinciale;

3) tre rappresentanti dei soggetti operanti a livello regionale, anche come strutture di coordinamento o di raggruppamento di quelle operanti a livello infraregionale.

2. Per la costituzione, in via provvisoria, della Commissione, i rappresentanti dei soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 sono scelti dai soggetti stessi. Ognuno dei soggetti appartenenti alle categorie in cui si articolano le citate lettere a), b) e c) indica tre nomi: risultano designati, come rappresentanti di ciascuna delle categorie di cui alle lettere, coloro che hanno riscosso il maggior numero di indicazioni.

3. Le indicazioni di cui al comma 1 vengono fatte per iscritto, con lettera indirizzata al Presidente della Giunta regionale, che provvede a identificare quali persone risultino designate. Le indicazioni devono essere accompagnate da copia dello Statuto o dell'atto costitutivo del soggetto che opera le designazioni, o da altra documentazione idonea a dimostrare, in modo inequivoco, la natura e l'attività del soggetto. Sulla base di tale documentazione il Presidente della Giunta regionale valuta l'ammissibilità della indicazione.

4. Il Presidente della Giunta regionale, ricevute e verificate le indicazioni di cui ai commi precedenti, provvede a nominare, con proprio decreto, la Commissione.

5. La Commissione stessa delibera e sottopone al Consiglio regionale un regolamento per l'elezione della Commissione definitiva.

Art. 28
Funzionamento

1. La Commissione regionale della famiglia è insediata dal Presidente della Giunta regionale.

2. La Commissione elegge nel proprio seno il Presidente, e delibera un proprio regolamento interno per l'organizzazione e la disciplina dei lavori.

3. Il supporto tecnico e burocratico, i locali e le attrezzature necessari per il funzionamento della Commissione sono forniti alla Commissione stessa dalla Giunta regionale.

4. La Commissione può avvalersi, a sua discrezione, di esperti, richiedere pareri e relazioni, e promuovere ricerche e studi su questioni di sua competenza. Le relative spese sono deliberate dalla Giunta regionale e sono poste a carico del bilancio regionale.

5. La Commissione dura in carica per tutta la legislatura nel corso della quale è stata insediata; resta comunque in carica fino alla nomina della nuova Commissione.

TITOLO VII
NORME FINALI

Art. 29
Gruppo di lavoro

1. Entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la Commissione consiliare igiene e sanità, istruzione, cultura e sport, spettacolo, informazione, assistenza sociale ed emigrazione istituisce un gruppo di lavoro, cui partecipano due rappresentanti della Giunta regionale, assistito da esperti designati dalla Commissione stessa, che provvede entro i successivi tre mesi all'analisi della vigente normativa regionale comunque interessante le tematiche della politica per la famiglia, ed indica le parti di tale normativa sulle quali occorre intervenire per adeguarla ai principi ed alle disposizioni della presente legge.

2. L'attività del gruppo di lavoro termina con una dettagliata relazione, approvata dalla Commissione consiliare ed inviata alla Giunta, a tutti i consiglieri regionali, ai soggetti di cui al precedente articolo 27.

3. Entro tre mesi dal ricevimento della relazione di cui al comma 2, la Giunta regionale è tenuta ad adottare i provvedimenti, e a proporre al Consiglio regionale le iniziative, necessari per l'adeguamento e l'armonizzazione della normativa precedente alla presente legge. Restano salvi il diritto di iniziativa riconosciuto ai consiglieri regionali ed il diritto di iniziativa popolare.

Art. 30
Norma finanziaria

1. Per l'attuazione della presente legge nel bilancio pluriennale della Regione per gli anni 2000-2001-2002 sono introdotte le seguenti modifiche:

12 -      SANITA'

Capitolo 12166

(N.I.)) - Fondo regionale per la famiglia

2000 lire 10.000.000.000

2001 lire 9.000.000.000

2002 lire 9.000.000.000

03 -      BILANCIO

Capitolo 03016 -

Fondo speciale per fronteggiare spese correnti dipendenti da nuove disposizioni legislative

2000    lire    10.000.000.000

2001    lire      9.000.000.000

2002    lire      9.000.000.000

2. Le spese per l'attuazione della presente legge fanno carico ai sopra indicati capitoli del bilancio della Regione per gli anni 2000, 2001 e 2002 ed ai corrispondenti capitoli dei bilanci per gli anni successivi.

TESTO DEL PROPONENTE

 

TESTO DELLA COMMISSIONE

TITOLO I
PRINCIPI E FINALITA'

Art. 1
Finalità

1. La Regione autonoma della Sardegna riconosce come soggetto sociale e politico a pieno titolo la famiglia fondata sul matrimonio, a norma dell'articolo 29 della Costituzione, o comunque formata da persone unite da vincoli di parentela o di affinità.

Art. 2
Politica sociale

1. La Regione sarda, che sarà indicata con il termine "Regione" negli articoli successivi, predispone ed attua una organica ed integrata politica sociale per promuovere e sostenere il diritto della famiglia al libero svolgimento delle sue riconosciute funzioni sociali, in accordo con quanto stabilito dagli articoli 2, 3, 29, 30, 31, 37, 38 e 47 della Costituzione.