CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII LEGISLATURA

Mozione n. 23

MOZIONE ONNIS - USAI - COSSA - FLORIS Emilio - CONTU - FOIS - BIGGIO - FRAU - CORDA - SANNA Noemi - MURGIA - CARLONI - LIORI - PILI - BIANCAREDDU - TUNIS Marco Fabrizio - NUVOLI - LOMBARDO - CORONA - FEDERICI - PILO - BALLETTO - LICANDRO - LA SPISA - RANDAZZO - PIANA - CAPPAI - CAPELLI - AMADU - SCARPA sull'attuazione in Sardegna della Direttiva comunitaria 92/43 CEE "Habitat".


IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO CHE:

1) con delibera di Giunta n.63/86 del 29 dicembre 1995 la Regione Sardegna ha aderito al progetto Bioitaly, cofinanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma Life Natura 2000;

2) con successiva delibera di Giunta n. 55/67, in data 4 dicembre 1996, è stato approvato il contratto stipulato con il Ministero dell'ambiente e avente ad oggetto l'adesione al richiamato progetto Bioitaly;

3) tali iniziative della Giunta regionale si sono tradotte nella esplicita accettazione, da parte della Regione Sardegna, delle tassative previsioni normative di cui alla Direttiva comunitaria 92/43 CEE, detta Habitat, che stabilisce l'istituzione di una "rete ecologica europea coerente di zone speciali, denominata Natura 2000";

4) proprio alla stregua di tale Direttiva l'Assessorato della difesa dell'ambiente della Regione Sardegna ha da tempo individuato e censito ben 114 siti di importanza comunitaria sparsi in tutto il territorio dell'Isola, per una superficie complessiva di circa 460.000 ettari (il venti per cento, un quinto, della superficie complessiva della Sardegna!);

5) tali siti, trasmessi al Ministero dell'ambiente, sono stati "proposti" dallo Stato italiano in vista della elaborazione, da parte della Commissione Europea, e "d'accordo con ognuno degli Stati membri", di un progetto di elenco di siti di importanza comunitaria;

6) elaborato da parte della Commissione Europea l'elenco dei siti, il Ministro dell'ambiente della Repubblica Italiana, con decreto 3 aprile 2000, pubblicato sul Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 95 del 22 aprile 2000, ha designato i 114 siti precedentemente indicati dall'Assessore dell'ambiente della Regione Sarda quali "zone speciali di conservazione";

7) il provvedimento del Ministro, viziato ed illecito per le ragioni che di seguito si esporranno, è stato emanato con insolita rapidità proprio nei giorni del trapasso dal Governo D'Alema al Governo Amato (nel quale il precedente titolare del Ministero è stato sostituito!);

8) che la rapidità nella designazione dei siti appare sospetta e potrebbe sottendere intenti punitivi anche perché, secondo quanto previsto dalla Direttiva 92/43 CEE (art. 4, paragrafo 4) e dal Regolamento di attuazione (art. 3, comma 2, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357) l'Italia disponeva e dispone, per la designazione, di "un termine massimo di sei anni" che decorre "dalla definizione da parte della Commissione Europea dell'elenco dei siti";

9) l'assoggettamento alla Direttiva Habitat dei 114 siti individuati comporta, per una parte molto rilevante del territorio della Sardegna, l'attivazione (già avvenuta!) di una lunga serie di misure di conservazione che si traducono in pesanti divieti, limiti e vincoli (art. 6);

10) peraltro le varie fasi del procedimento conclusosi con il Decreto ministeriale 3 aprile 2000, ivi compresa l'individuazione dei 114 siti da parte dell'Assessorato dell'Ambiente della Regione Sarda, sono state segnate da gravi violazioni di norme fondamentali della Direttiva 92/43 CEE e del Regolamento di attuazione;

11)  in particolare, non sono stati rispettati i princìpi informatori della Direttiva e la stessa filosofia del provvedimento di legge, laddove, in spregio dell'ultimo "considerando" di cui alla premessa della norma comunitaria ("considerando che l'istruzione e l'informazione generale relative agli obiettivi della presente Direttiva sono indispensabili per garantirne l'efficace attuazione") per un verso la designazione dei 114 siti da parte dell'Assessorato dell'ambiente della Regione Sardegna è avvenuta nella più totale ignoranza da parte degli enti locali e delle popolazioni (pare che i 114 siti "tocchino" i territori di ben 162 Comuni!) e, per altro verso, ogni informazione e consultazione con gli enti locali e le popolazioni è stata omessa sia allorquando, designati i siti, è stato elaborato dalla Commissione Europea il "progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria" (l'art. 4, comma 2 ,della Direttiva prevede che tale "progetto" debba essere elaborato "d'accordo con ognuno degli Stati membri") sia allorquando, elaborato in sede comunitaria l'elenco, il nostro Stato ha formalizzato l'individuazione dei siti attraverso il richiamato Decreto Ministeriale 3 aprile 2000.

L'emanazione di tale decreto, infatti, fulminante per la sua rapidità, ha impedito (volutamente?), ancora una volta, ogni intervento, ogni sindacato, ogni richiesta, ogni suggerimento da parte delle Province, dei Comuni e delle popolazioni, di nuovo non informati e responsabilizzati.

Con ulteriore violazione della norma di cui all'articolo 22 della Direttiva nella parte in cui sancisce che gli stati membri "nell'attuare le disposizioni della presente Direttiva hanno l'obbligo di promuovere l'istituzione e l'informazione generale sull'esigenza di tutelare le specie di fauna e flora selvatiche e di conservare il loro habitat nonché gli habitat naturali".

Dunque il Ministro dell'ambiente, prima di individuare i siti, avrebbe dovuto informare i soggetti controinteressati, anche istituzionali, ascoltandone le istanze, le obiezioni e le controdeduzioni;

12)  sembrerebbe pertanto ripetersi, ai danni della Sardegna e dei Sardi, il poco edificante e pericoloso scenario già vissuto e subito in occasione della emanazione del decreto istitutivo del Parco Nazionale del Gennargentu, decreto che, imposto dall'alto in odio alle popolazioni ed alle istituzioni locali, ha creato tanti fermenti, tanti allarmanti dissensi e tanta pericolosa, ma comprensibile ribellione.

Ponendo la Sardegna ed i Sardi di fronte al fatto compiuto della inopinata individuazione dei siti di importanza comunitaria il Ministro dell'ambiente ha gravemente compromesso le stesse condivisibili e valide finalità della Direttiva Habitat che, prefiggendosi attraverso la protezione dei siti il mantenimento e la tutela delle biodiversità facenti parte del patrimonio naturale della comunità, stabilisce che tale obiettivo deve essere raggiunto "tenendo conto al tempo stesso delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali" e grazie al "mantenimento e la promozione di attività umane".

Orbene è incontestabile che le modalità della procedura di ricerca, indicazione, trasmissione, elaborazione, formazione ed individuazione dell'elenco dei 114 siti interessanti la Sardegna hanno frustrato in termini marcati e sostanziali le "esigenze economiche, sociali, culturali e regionali" della Sardegna.

D'altro canto le previsioni e la portata della Direttiva Habitat si intrecciano, con riferimento alla nostra Isola, alle problematiche dei parchi nazionali e regionali, e più in generale delle aree protette, di cui alla Legge n. 394 del 1991 ed alla legge regionale n. 31 del 1989.

Invero la superficie complessiva impegnata dalla Direttiva - circa 460.000 ettari - è sensibilmente maggiore di quella prevista in astratto per i parchi e le aree protette (circa 320.000 ettari).

Peraltro nei 114 siti individuati sarebbero approssimativamente comprese - anche se le diverse aree non sembrano esattamente sovrapponibili - le superfici in astratto destinate a parco.

Ebbene, il complesso dei pesi indotti dalla attuazione della Direttiva 43/92 CEE, in termini di obblighi, divieti, vincoli, limitazioni etc., appare meno gravoso e, allo stato della legislazione sui parchi, più leggero dei gravissimo impatto economico, sociale, culturale ed ambientale ricollegabile alla costituzione degli stessi parchi.

Tanto più che, mentre una ricaduta socioeconomica dei parchi, così come previsti in Sardegna, è opinabile, virtuale e comunque non predeterminabile, il "cofinanziamento comunitario" introdotto dalla Direttiva (talvolta già attuato in Sardegna) potrebbe davvero rappresentare una concreta e utile boccata d'ossigeno per la nostra economia, specie delle zone interne; assicurando nel contempo una equilibrata, compatibile e non esasperata tutela dell'ambiente e delle biodiversità.

Si prospetta dunque e si propone l'esigenza, difficilmente eludibile, di una scelta di campo tra il ricorso agli strumenti di cui alla Direttiva Habitat, una volta ricontrattati, rimodulati ed accettati i siti (nella loro ubicazione, perimetrazione e nella loro "invasività") e l'istituzione dei parchi così come disegnati dalla vigente legislazione nazionale e regionale, peraltro superata, anche sotto il profilo dell'approccio dell'uomo all'ambiente e dei rapporto uomo-ambiente, dalla successiva e più equilibrata normativa comunitaria.

Così come pare allo stato contraddittoria, incoerente e comunque superata la previsione di cui all'articolo 31 della legge regionale n. 1 del 1999 (Legge finanziaria 1999) che assoggetta alla valutazione di impatto ambientale i progetti di cui all'allegato B del Decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 che ricadono, anche parzialmente, all'interno di aree naturali protette "come delimitate, anche provvisoriamente, dalla legge regionale 7 giugno 1999, n. 31".

Invero, a fronte della obbligatorietà di valutazione di impatto ambientale la Direttiva CEE n. 43192 prevede (art. 6) la meno drastica e meno paralizzante valutazione di incidenza ambientale,

impegna la Giunta regionale

a) a valutare l'opportunità di intervenire immediatamente ed energicamente presso le competenti sedi istituzionali per ottenere, a tutela degli interessi e dei diritti della Sardegna e dei Sardi, previa revoca del Decreto del Ministero dell'ambiente in data 3 aprile 2000, e degli atti regionali presupposti, che l'elenco dei siti di importanza comunitaria interessanti la Sardegna venga riformulato con l'apporto consapevole e informato di tutti i soggetti interessati; non rinunziando, se necessario sul piano giuridico, ad impugnare il Decreto 3 Aprile 2000 nelle competenti sedi giurisdizionali;

b) a considerare l'opportunità di una forte iniziativa politica tendente ad ottenere dal Consiglio regionale l'abrogazione o la modifica dell'articolo 31 della legge regionale n. 1 del 1999 e l'abrogazione della legge regionale 7 giugno 1989, n. 31.

  Cagliari, 19 luglio 2000