CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII legislaturaIl presidente del Consiglio regionale ha commemorato, solennemente, le sei vittime della sciagura dei Sette Fratelli
Cagliari, 26 febbraio 2004 - Di fronte ad un'Aula gremita di consiglieri e pubblico, alle più alte autorità civili, religiose e militari, il presidente del Consiglio regionale, Efisio Serrenti, ha solennemente ricordato le vittime della sciagura aerea dei sette Fratelli.
Intervento del presidente del Consiglio regionale, on.le Efisio Serrenti
Quando gli eventi si abbattono su di noi in maniera così dolorosa e inaspettata, così drammatica, le parole non riescono mai ad esprimere nel modo che vorremo i nostri sentimenti. Così oggi accade anche a me.
Una ressa di emozioni forti e di intollerabili tristezze che mi investe davanti alla tragedia che ha portato via alle famiglie e a noi tutti Alessandro Ricchi, Antonio Carta, Gian Marco Pinna insieme al tre piloti dell'aereo che si è schiantato, l'alba di avantieri, su un picco dei Sette Fratelli.
Poco, lo so, poco se paragonato allo strazio delle madri, delle mogli, dei figli, ma tormento sincero il mio e quello dell'intero parlamento dei sardi che qui si stringe intorno a tutti i familiari.
E' un omaggio sentito alla memoria, ancora viva nei nostri animi, delle sei persone che mi hanno lasciato mentre volavano a salvare un'altra vita.
Ho conosciuto personalmente e da tempo il dottor Alessandro Ricchi, apprezzando a fondo in lui lo scienziato e l'uomo che praticava il non facile mestiere di dare speranza ai suoi pazienti, alle famiglie e entusiasmo a tutti i suoi collaboratori.
Egli e i due compagni di volo erano partiti, dopo una impegnativa giornata di lavoro nel loro ospedale per far fede a una promessa di vita che non hanno potuto mantenere.
Il Cessna, guidato da esperti piloti, portava un cuore che, anch'esso, non è sopravvissuto al tremendo impatto.
Con Alessandro Ricchi, Antonio Carta e il loro collaboratore Gian Marco Pinna se ne vanno più che straordinari operatori della sanità sarda; se ne va una grande stagione di speranza.
Altri, certo, continueranno nell'impegno che si erano assunti di strappare esseri umani alle drammatiche conseguenze di gravi cardiopatie.
Ma la medicina sarda e la Sardegna intera sono, da ieri all'alba, impoverite. E non è solo la nostra terra a patire di questo depauperamento di competenze scientifiche e di qualità umane, se si deve porre mente al cordoglio che tutto il mondo scientifico italiano ha espresso, sapendo della tragica loro scomparsa.
Quanti lavoravano con Ricchi, Carta e Pinna all'ospedale Brotzu hanno manifestato quale senso di vuoto si sia creato non solo nel loro animo, provato da una repentina sciagura, ma nel complesso del sistema sanitario della nostra isola.
C'è come la coscienza che si sia scombinato quel delicato intreccio di relazioni e di riferimenti certi, alla cui tessitura il dottor Ricchi aveva lavorato intensamente.
Superare resistenze culturali, prevenzioni e pregiudizi sedimentati da false certezze, devitalizzare luoghi comuni incrostatisi intorno all'ignoranza è stato un impegno altrettanto importante della fatica posta per la conquista delle conoscenze scientifiche.
Il tutto fatto senza il sostegno adeguato di risorse economiche, che a volte, rischiava di rendere non comparabili l'eccellenza della struttura ospedaliera conquistata alla Sardegna e la sua piena operatività.
C'è chi ha definito eroi i tre medici e i loro accompagnatori, troppo presi dalla necessità di compiere il loro dovere per accorgersi del grave pericolo nascosto dietro la nebbia; il ministro Sirchia li ha proposti per una medaglia d'oro. Forse mai simili moti d'animo furono così lontani dalla retorica che a volte suscita l'intensa commozione.
Se poco conforto in questi riconoscimenti troveranno le famiglie, a noi resterà la sensazione di avere avuto da loro un insegnamento di coerenza e di spirito di sacrificio, tanto più rilevante oggi quando siamo portati a considerare la nostra società sull'orlo del declino morale e della perdita di valori.
E' netto nell'opinione pubblica sarda, ma non solo in questa credo, il turbamento per quello che il destino sembra presentarci come un inutile atto di solidarietà umana, quello della famiglia della donatrice del cuore da trapiantare, e un inutile sacrificio, quello delle sei persone che in aereo cercavano di fare il più in fretta possibile per dare conseguenza alla donazione di un cuore.
Né quell'atto né questo sacrificio sono però infruttuosi: nella tragedia c'è un significato di alta umanità, capace di sconfiggere ogni pessimistica previsione di decadimento etico della società sarda e di rinfocolare la speranza che questa nostra civiltà continui ad allevare valori.
Il rischio della vanità di tali atti sta semmai nel fatto che ancora troppo tortuosi e piegati a non comprensibili freni burocratici sono i percorsi che dovrebbero mettere in collegamento la generosità dei cittadini con la possibilità di salvare vite umane, di saldare solidarietà umana e competenze scientifiche con le strutture preposte all'alto compito di guarire.
Normalmente non riflettiamo su quante persone vivano ancora in mezzo a noi grazie all'opera di medici come quelli che abbiamo appena perso e che oggi con angoscia onoriamo.
I giornali in queste ore raccontano esperienze di cittadini che vivono con altri cuori o altri organi e solo allora ci rendiamo conto, è vero, dei grandi progressi fatti dalla scienza, ma anche e forse soprattutto di che cosa valga la solidarietà.
Dobbiamo fare in modo che la nobiltà d'animo si diffonda sempre più incontrando ostacoli sempre minori sulla strada della sua valorizzazione.
Non sarà facile dimenticare questi nostri morti così come non facile sarà per la sanità sarda risollevarsi dal colpo durissimo ricevuto con la scomparsa di uno scienziato come Alessandro Ricchi, un medico che sapeva parlare a chi spesso con patema d'animo gli affidava una attesa di vita.
La sua biografia e quelle di Antonio Carta e di Gian Marco Pinna sono lì a mostrare non solo il loro talento professionale ma soprattutto la loro qualità umana.
Il dottor Ricchi aveva lasciato la sua Modena, scegliendo Cagliari come seconda patria e luogo in cui onorare l'impegno di soccorrere i propri simili e di salvare vite umane. Gian Marco Pinna era invece tornato in Sardegna da Bergamo dove aveva conosciuto Ricchi e con lui stretto una forte amicizia e solidarietà professionale.
Anche quella di Antonio Carta è una storia di passione per la medicina, coltivata con riconoscenza per genitori che avevano fatto notevoli sacrifici per assecondarlo.
Pure quelle dei tre piloti scomparsi sono storie comuni, antieroiche ma improntante a un senso del dovere che, come giustamente è stato scritto, proprio per questo confina con l'eroismo e in questo sconfina.
Le famiglie di Alessandro Ricchi, Antonio Carta e di Gian Marco Pinna, insieme a quelle dei piloti Helmut Zurner, Thomas Giacomuzzi e Daniele Giacobbe, anch'essi morti nella corsa per salvare una vita, sentano la vicinanza affettuosa e grata di tutti i sardi, a cominciare da quelli che, come me, siedono nel parlamento regionale.
Se sia la fatalità, una qualche imperfezione degli uomini o delle macchine o anche una insufficiente assistenza ad aver provocato quel terribile impatto con la montagna sarà compito della magistratura accertare, ma certo la verità che un giorno o l'altro sapremo non ci risarcirà del grande dolore che oggi proviamo di fronte alla memoria dei nostri amici.
Sentiamo anche una impellente necessità: quella di affermare con forza che non deve assolutamente interrompersi, neppure per un attimo, quella fitta rete dì contatti che include la Sardegna nella rete della speranza.
Nel rinnovare alle famiglie Ricchi, Zurner, Carta, Giacomuzzi, Pinna, Giacobbe le condoglianze del Parlamento sardo e la riconoscenza del nostro popolo, solennemente promettiamo che mai dimenticheremo i loro cari scomparsi.
>