CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII legislaturaLe Regioni a Statuto speciale hanno ancora ragione di esistere? Quali i rapporti tra Statuto ed Autonomia? Un intervento del presidente Serrenti al Compa di Bologna
Bologna, 19 settembre 2003 - Le ragioni della "specialità" di alcune regioni italiane, le peculiarità all'origine delle loro differenze istituzionali sono stati i temi approfonditi nel corso di una tavola rotonda che si è svolta a Bologna, nell'ambito del Compa, il Salone della comunicazione della pubblica amministrazione che si conclude oggi. A partecipare alla tavola rotonda, con altri presidenti dei Consigli regionali, era stato invitato anche il presidente Efisio Serrenti.
Il presidente dell'Assemblea sarda, per la contemporanea riunione degli organi politici della CRPM, la Commissione delle regioni periferiche e marittime, non ha potuto partecipare all'importante incontro bolognese. Il presidente del Consiglio regionale ha, quindi, inviato un "intervento", per illustrare le sue posizioni su un tema di così delicata attualità.
Statuto ed autonomia
Le ragioni delle autonomie della Repubblica italiana, mezzo secolo dopo la nascita degli statuti speciali e trent'anni dopo quella degli statuti ordinari, si sono rafforzate nella coscienza dei soggetti dell'autonomia che, infatti, ne rivendicano un approfondimento attraverso quei meccanismi del federalismo sia all'interno della stessa Repubblica sia nello scenario più vasto dell'Europa.
D'altra parte, pare oggi in atto un processo di rimozione e comunque di contenimento delle spinte autonomiste in un oggettivo balzo indietro ai tempi in cui c'era sospetto nei loro riguardi: signori di questo processo sono non solo le forze politiche più conservatrici, tormentate dalla messa in discussione dello stato nazionale, ma anche settori conformisti della cultura politica che si rivolgono ai partiti e anche al governo perché sia posto un freno all'espansione dell'autonomia.
Ne fa fede, per esempio, la critica, con tratti sprezzanti, rivolta da politici e politologi sospettosi della legge elettorale della Regione calabra che, com'è noto, ha utilizzato a pieno le nuove competenze che le derivano dalla legge costituzionale numero 2 del dicembre 2001. C'è come un implicito rimprovero ai legislatori di aver troppo largheggiato nella concessione di autonomia alle regioni e a queste di approfittarne.
Può essere, questo, l'esito di una naturale e comprensibile dialettica politica, ma anche lo specchio di contrastanti concezioni culturali della natura dello Stato, concezioni che schierano, in Italia ma anche altrove, in Francia e in Spagna particolarmente, da un lato i fautori dell'autonomia e dall'altro i sostenitori, al più, del decentramento quando non i franchi avversari dell'una e dell'altro.
Mano a mano che si tende ad affidare all'Unione europea elementi di sovranità, due paiono le tendenze che si manifestano: quella di comprimere l'autonomia delle entità substatuali, soprattutto quelle a forte connotazione nazionale o nazionalitaria che dir si voglia, nel timore che tale autonomia possa affrettare la decadenza degli stati nazionali e, al contrario, la tendenza ad espandere le autonomie come condizione e garanzia della tenuta degli Stati nazionali.
E', per fare un esempio, quel che succede nella Monarchia spagnola, dove alle tensioni neo-centraliste del primo ministro José Maria Aznar e del suo governo si oppongono le aperture alle autonomie del candidato premier socialista Rodrìguez Zapatero. Questioni di dialettica politica, va da sé, per cui chi è oggi all'opposizione ha la necessità di distinguersi da chi governa, ma anche contrapposizione fra diverse concezione dello Stato.
Nella Monarchia spagnola come nella Repubblica italiana, al centro del confronto, e chi sa?, dello scontro, è il problema della quota di autonomia che sia le regioni ordinarie, diremmo con il lessico istituzionale italiano, sia quelle speciali si apprestano a rivendicare con la modifica o con la riscrittura dei rispettivi statuti. Carte che furono scritte prima della nascita dell'Unione europea e che, per questo ma non solo per questo, si ha la necessità di cambiare anche per scongiurare il pericolo che al rafforzamento dell'Unione corrisponda un depotenziamento delle autonomie.
L'innalzamento dell'Unione ad una unità giuridica sempre più compatta e la sua omogeneizzazione tendono a mettere in discussione la necessità delle autonomie in Europa che, infatti, non sono riconosciute dalla bozza di Costituzione che si limita a riconoscere l'esistenza solo dei cittadini. D'altra parte, lo spirito di conservazione e la volontà di sopravvivenza degli Stati nazionali hanno molto condizionato la elaborazione di quella Carta, a detrimento non solo di una concezione federalista dell'Unione ma anche della possibilità che le regioni europee, e soprattutto le nazioni senza stato, avessero e abbiano una loro soggettività comunitaria.
Va da sé che nelle regioni europee, soprattutto in quelle legislative, si fa pressante la necessità di definire attraverso lo statuto ruoli, competenze e identità, sia in rapporto allo stato di appartenenza sia in relazione all'Europa. Il Paese basco e la Catalogna si apprestano a riscrivere radicalmente i loro statuti, in direzione di una sovranità variamente articolata; in Corsica sia le forze autonomistiche sia quelle nazionalitarie non si rassegnano al risultato, per loro negativo, del referendum dello scorso luglio e invitano il governo francese a proseguire sulla strada della sperimentazione di forme particolari di autonomia che superino il concetto del decentramento amministrativo; in Sardegna, la necessità di una riforma radicale dello Statuto è talmente sentita che il Parlamento sardo ha approvato una legge di iniziativa regionale per la istituzione di una Assemblea costituente del popolo sardo.
Nei quattro casi , si è di fronte a un processo complesso e peculiare che muove da una volontà diffusa, spesso maggioritaria, di affermare i diritti di una identità nazionale e non più solo locale. Per tutte queste nazionalità - ma lo stesso accade per la Scozia, il Galles, i lander tedeschi e quelli austriaci - l'interlocutore primo è certo lo Stato di appartenenza, ma non v'è dubbio che il punto focale è posto fuori dei confini, nell'Unione europea, entità sovranazionale ma ancora modestamente sovrastatale, alla quale si chiede la facoltà, per le regioni legislative, di partecipare alla formazione delle decisioni comunitarie.
Le resistenze sono molto forti e, di regola, sono motivate con appelli ad un nazionalismo di stato o con mozioni di affetti per una patria la cui solidità, di regola, presuppone il contenimento, se non il soffocamento, di altre e minori patrie e, conseguentemente, la negazione della natura plurinazionale di stati come, appunto, lo spagnolo, il francese, l'italiano.
Il processo di devolution, impropriamente chiamato federalista, in atto in Italia porterà indubbiamente ad un maggiore decentramento e questo non sarà senza risultati positivi. Ma sarà tanto più importante, per noi sardi e per le altre nazionalità dello stato, quanto più alto sarà il livello di concordia tra le necessità unitarie dell'Europa e i bisogni di soggettività internazionale della Sardegna e delle altre regioni speciali.
On. Efisio Serrenti
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