CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII legislaturaL'alta incidenza di tumori (circa 7000 casi ogni anni) e di decessi (il 50 per cento) in Sardegna deriva dall'assenza di adeguati strumenti di monitoraggio e prevenzione. Proposta di legge del centrodestra per l'istituzione di centri a livello provinciale che consentano di intervenire sui fattori scatenanti e di diagnosticare in tempo le patologie.
Cagliari, 26 novembre 2002 - Ogni anno, in Sardegna, si ammalano di tumore settemila persone. Per quasi la metà, il decorso della malattia è letale. Un record negativo che nessuno ci invidia. Eppure una diagnosi tempestiva e un'assistenza adeguata potrebbero ridurre gli effetti disastrosi, considerato che, in molti casi, il cancro è una malattia curabile. Se esistesse un centro di monitoraggio che intervenisse come prevenzione, individuano e rimuovendo alcuni dei fattori scatenanti la malattia, i decessi calerebbero del 50 per cento; si salverebbe, cioè, la vita a quasi duemila sardi ogni anno.
Una proposta di legge presentata da sei consiglieri del centrodestra, primo firmatario l'on. Rassu (Fi), quindi Granara (Fi), Onida (Pps), Corona (Fi), Licandro (Fi) e Pittalis (Fi), si propone, appunto, l'istituzione, a livello provinciale, di un centro per il monitoraggio e la prevenzione oncologica. In Sardegna non esiste. Nonostante l'alta incidenza tumorale da vent'anni (da quando l'attività dei centri di lotta è stata assorbita dalle aziende sanitarie) non esiste alcuno strumento di controllo e terapia. La lacuna, afferma l'on. Rassu, va rapidamente colmata.
L'idea è maturata dopo un emendamento presentato nella Finanziaria dell'anno scorso a proposito di un'indagine epidemiologica per l'area Alghero-Portotorres, dove la presenza di tumori è superiore alla media della provincia diSassari. In quell'occasione, ha ricordato Rassu, "abbiamo preso contatti con l'Istituto di Anatomia patologica dell'Università di Sassari". E' emersa una realtà allarmante, soprattutto fuori controllo rispetto ai moderni dettami della salute. Né screening, né interventi mirati a frenare il fenomeno.
"Riteniamo indispensabile, ha aggiunto l'on. Rassu, realizzare un centro multidisciplinare che tenga sotto stretta osservazione il manifestarsi della malattia". Una ricerca mirata sulle neoplasie che acquisisca le informazioni necessarie su determinate aree e categorie di pazienti consentirebbe di intervenire per tempo. Lo studio dell'ambiente e della genetica assolverebbe una funzione utilissima per prevenire o colpire all'inizio la patologia. I quattro centri (uno per provincia) dovrebbero essere convenzionati con le Asl che dovrebbero fornire strutture di supporto.
I costi sono elevati. Si stimano attorno ai 15 milioni di euro per anno. Ma sono poca cosa rispetto al tributo elevatissimo di vite umane e dei costi attualmente sostenuti dalle strutture sanitarie. Se fosse possibile un bilancio veritiero di spesa, raddoppierebbe, almeno, i costi previsti che sono di 10 euro a cittadino. Poca cosa davvero se si dessero risposte confortanti a migliaia di pazienti per i quali la malattia, secondo una dizione in uso, viene considerata "incurabile".
Per "tumore selvaggio", insomma, ogni anno scompare un paese in Sardegna. Una sanità di versa, che previene e cura, eviterebbe questo triste primato.
Per l'on. Licandro ci sono patologie (ha fatto l'esempio dei tumori della sfera genitale femminile, all'utero e alla mammella) che uno screening può consentire di individuare ancor prima dell'insorgenza cancerogena o nelle primissime fasi. Se la proposta di legge non debella la malattia, sicuramente la rende meno preoccupante. E dal momento, ha aggiunto l'on. Granara, che quasi tutte le famiglie devono fare i conti col "male del secolo", lo strumento proposto acquista un'importanza in molti casi decisiva.
Per combattere il cancro, ha sottolineato l'on. Corona, occorre, prima di tutto, un'adeguata preparazione. Il coinvolgimento a livello cerebrale del paziente è fra i motivi di sopravvivenza. Chi si sente abbandonato, rinuncia spesso a combattere il male. Il centro, oltre l'attività strettamente sanitaria, servirebbe a suscitare una cultura del settore, coinvolgendo famiglie, medici di base, specialisti ed ospedale. Una vera e propria filiera della speranza. (a.d.)
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