CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII legislatura

Messaggio del presidente del Consiglio regionale, Efisio Serrenti, in occasione de Sa die de sa Sardigna


Cagliari, 28 aprile 2003 - In occasione della celebrazione de Sa die de sa Sardigna, il presidente dell'Assemblea regionale, Efisio Serrenti, ha inviato agli organi di informazione un messaggio, che alleghiamo.

Sa Die de sa Sardigna - dieci anni
28 aprile 1993 - 28 aprile 2003

Sono dieci anni che il Parlamento sardo ha decretato il 28 aprile Die de sa Sardigna e festa nazionale dei Sardi. La scelta della cacciata dei piemontesi come avvenimento degno di memoria è stata condivisa e disapprovata, com'è legittimo capiti in una società democratica; intorno alla decisione si sono sviluppate appassionate polemiche non ancora sopite, il cui risultato più importante è che la ricerca su quegli anni cruciali della nostra storia ha avuto grande impulso.

Il pregiudizio dominante secondo cui la Sardegna non ha avuto storia è stato definitivamente inficiato; gli studi sul 1794 e sugli anni seguenti della sarda rivoluzione ci presentano un'Isola niente affatto ignara di quanto allora si è svolto e continua a svolgersi in Europa e, soprattutto, per niente inconsapevole dei ruolo che avrebbe potuto giocare se avessero vinto quelli che oggi chiameremmo riformisti.

Quel 28 aprile 1794, un lunedì, in Cagliari non ci fu un moto xenofobo, una jacquerie, un tumulto di gente affamata destinata ad acquietarsi dopo un assalto alle botteghe e ai forni. Quel giorno fu un momento importante di una rivoluzione che sì, alla fine perse, ma che ha lasciato tracce decisive non solo nella storia della nostra autonomia ma anche nei suoi stessi fondamenti ideali. Né fu un moto solo cagliaritano, ma sardo, sia perché coinvolse altri centri isolani sia perché tale fu sentito.

Il barone Manno, grande storico, ma uomo di corte, dette degli avvenimenti una lettura, diremmo oggi, folcloristica e questa sua interpretazione di versante sabaudo ha condizionato anche parte degli storici avvenire, compresi non pochi sardi, evidentemente poco interessati a smontare e rimontare quell'impianto storico. Gli studi più recenti portano a considerare che il 28 aprile non fu un improvviso sfogo di collera plebea, ma una insurrezione a lungo preparata in cui i motivi di ordine etico si incontrano con quelli economici, sociali e istituzionali; qualcosa di estremamente più complesso della sommossa plebea descritta dal Manno e, successivamente, dai critici di Sa die de sa Sardigna. Molto più, insomma, che una semplice sedizione per cacciare qualche centinaio di stranieri.

Nelle settimane e nei mesi immediatamente successivi il 28 aprile, la Reale udienza, in mano ormai a giovani giudici sardi, si trasformò in una sorta di governo provvisorio che si riuniva davanti al popolo. Voleva segnalare così che il suo potere emanava dal popolo, secondo le teorie di Jean Jacques Rousseau tutt'altro che ignote ai giudici, al pari delle idee di Voltaire, di Buonarroti e di altri propagatori dei principi di libertà. Il fatto che l'esperimento di autogoverno sia durato poco dimostra che i nemici esterni ed interni erano troppo potenti, non certo che non esistesse un nucleo di classe dirigente autonoma o che non fosse possibile una linea di sviluppo indipendente della società sarda.

A chi voglia leggere la storia della nostra terra senza indulgere ai miti ma neppure alla auto-disistima, le pagine scritte nei giorni della cacciata dei piemontesi dalla Sardegna sono in grado di offrire materia di riflessione sicuramente su quel nostro passato ma anche sul nostro presente. Dire che la storia è una grande maestra è, purtroppo, solo un luogo comune. Forse perché non riusciamo a cogliere il senso delle lezioni. Quel che allora mancò ed oggi manca è la coesione delle forze che aggregano sentimenti e coscienze, l'unità di intenti, voglio dire, intorno alla realizzazione di obiettivi nazionali che, in quanto tali, pure non sembrano essere mai o quasi mai in discussione.

In chi fa della politica il momento alto della sua passione civile mai dovrà mancare l'ottimismo, almeno quello della volontà. Ed è per questo che, oggi, decima festa nazionale de sa Sardigna, continuo a credere che le nuove generazioni di sardi sapranno trovare, in questa come in altre pagine di storia patria, i motivi più profondi della loro speranza.

On. Efisio Serrenti


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